devicienti-2-una-provenza-dellanima

Transcript

devicienti-2-una-provenza-dellanima
Antonio Devicienti: Una Provenza dell’anima.PER
UNA LETTURA DI MISTRAL DI
IDA VALLERUGO
f. latourette
.
Mi proverò a leggere MISTRAL di Ida Vallerugo (Il Ponte del Sale, Rovigo, 2010) cedendo
volentieri alla suggestione che spira dalle pagine del libro e che lascia intravedere “una Provenza
dell’anima”, appunto, una sorta di patria poetica metastorica e sovranazionale ed anche un mito
della fantasia, un sogno ad occhi aperti, ma sognato con gli occhi della poesia.
Mi sembra tuttavia ineludibile quale avvio di questo intervento accennare brevemente al Pasolini
de LA MEGLIO GIOVENTÙ quale primo luogo di germinazione di una tale idea, perché è proprio
nei versi friulani e addirittura nella dedica e nell’epigrafe al libro pasoliniano che si coglie la scelta
consapevole e programmatica di un’appartenenza che significa poi apertura e non chiusura al
mondo che non si esprime in friulano.
Ricordiamo che Pier Paolo Pasolini, fresco di studi linguistico-filologici a Bologna, compone il suo
libro poetico nella lingua materna (quella di Casarsa e delle comunità circostanti che vengono
infatti scrupolosamente menzionate nelle note d’autore ai testi) anche in opposizione alla politica
culturale del Fascismo che tendeva ad imporre la lingua nazionale contro le parlate locali; per sua
esplicita dichiarazione il giovane poeta correda i testi in friulano della traduzione in italiano per
evitare di non essere letto affatto, cercando dunque in ogni caso lettori non appartenenti
esclusivamente all’area linguistica friulana; la dedica della raccolta è a Gianfranco Contini con
amor de lonh cui segue una citazione da Peire Vidal: “ab l’alen tir vas me l’aire / qu’eu sen venir
de Proensa: / tot quant es de lai m’agensa”. Si profila da subito l’idea di un Friuli appartenente ad
un’area linguistica e culturale che travalica i confini italiani assieme ad una Provenza lontana, ma
presente nelle sue suggestioni e nel legame affettivo-psicologico col poeta; in più: la dedica ad un
maestro indiscusso degli studi romanzi allarga la prospettiva ad altre regioni della vasta comunità
neolatina. Nella stessa raccolta sono presenti titoli e schemi metrici d’area castigliana, per
esempio: “ah, nini, i soj cu’l còur / ta un ràmpit borc furlàn (ROMANCERILLO, vv. 9 e 10 “ah
bambino, sono con il cuore / in un crudo borgo friulano); in O ME DONZEL (vv. 6-8): “In chel spieli
Ciasarsa / – coma i pras di rosada – / di timp antic a trima” (in quello specchio di Casarsa / –
come i prati di rugiada – / trema il tempo antico) Pasolini esplicita il suo atteggiamento nei
confronti di Casarsa che diventa specchio della propria infanzia ed usa in poesia la parola rosada
che, udita un pomeriggio dalla bocca di un ragazzo di Casarsa, gli aveva come rivelato tutto il
mondo delle parlate friulane e la loro profondità temporale estesa ad almeno un millennio, vale a
dire dal Novecento indietro fino ai secoli dello svolgersi della lirica provenzale. Il friulano di
Pasolini, così fresco, commosso ed inventivo, nega col suo stesso attuarsi l'”autarchia” imposta
anche in ambito culturale e lo fa con geniale paradosso in quanto ribadisce l’appartenenza
dell’Italia ad una comunità storica e linguistica e culturale sovranazionale proprio nel momento in
cui viene usata una lingua che non è l’italiano, ma quella di una comunità specifica del grande
crogiuolo peninsulare e poi romanzo.
Un’anticipazione di MISTRAL fu pubblicata nei NUOVI POETI ITALIANI 5 (Einaudi, Torino, 2004)
a cura di Franco Loi il quale nell’entusiastica nota introduttiva ai testi di Ida Vallerugo sottolinea in
maniera netta la distanza di questa poesia da quella pasoliniana in friulano e da quella dell’altro
importante poeta ancora in friulano, Amedeo Giacomini; concordo con tale posizione e ribadisco
che il mio riferimento al Pasolini “friulano” era strumentale al tentativo di rintracciare eventuali
precedenti all’idea di Provenza quale patria poetica comune.
f.latourette – aix en provence
.
Come la raccolta del poeta di Casarsa anche il libro di Ida Vallerugo si apre con un’epigrafe,
stavolta composta dall’autrice stessa: “Tanti fuèjs secj in Provenza. / Mont in svendita, Provenza. /
E tu, mint, Provenza viêrta e scura. // Ma tu, parcè discòritu, muârta poeta?” (Quante foglie
secche in Provenza. / Mondo in svendita, Provenza. / E tu, mente, Provenza aperta e oscura. //
Ma tu, perché parli, poeta morta?) La prospettiva è chiarissima: l’intera prima sezione di MISTRAL
s’intitola PROVENZA e si tratta di una regione fisica, ma anche spirituale e storica e linguistica
che trascende e comprende la Provenza così come il Friuli e, vedremo, ogni luogo del mondo con
cui la voce poetica di Ida Vallerugo sia entrata in empatia. Sarà cantato un mondo in svendita,
nella sua fase autunnale e sùbito il pensiero va ad un mondo anche geograficamente vicinissimo
a quello di Ida Vallerugo, addirittura compreso in quest’idea di Provenza dell’anima: è il paesaggio
ferito, offeso, venduto e distrutto che Andrea Zanzotto tematizza nella sua poesia e in molti
interventi anche veementemente polemici e addolorati (si veda, ad esempio, ETERNA
RIABILITAZIONE DA UN TRAUMA DI CUI S’IGNORA LA NATURA, Roma, Nottetempo, 2007); è
anche il Friuli “ricostruito” dopo il terremoto del quale Pierluigi Cappello mette in evidenza la
perdita d’identità e d’anima. Proprio Cappello scrive in friulano IL ME DONZEL, esplicito richiamo
pasoliniano ed è da subito convinto sostenitore della poesia di Ida Vallerugo, un cui verso egli
pone in esergo ad una lirica di AMÔRS; alla poetessa è anche dedicata un’altra composizione in
INNIÒ (entrambe sono attualmente leggibili in ASSETTO DI VOLO, Crocetti, Milano, 2006), senza
dimenticare che è stato proprio il poeta di Chiusaforte a far pubblicare FIGURAE, il secondo libro
friulano di Ida Vallerugo.
Sempre nell’epigrafe di Ida Vallerugo c’è una stupenda identificazione tra mente e Provenza ed
infine compare una poeta “morta”, colei che si proverà con le proprie deboli forze a dire la
Provenza.
Il Mistral che soffia attraverso tutto il libro è sia la poesia sostanziata di ansia conoscitiva e di
ricordo, che la storia e la minaccia di dissolvimento del mondo e soffia attraverso i cipressi e i pini
di Provenza: “Ciprès di Provenza, biei ciprès / che tal mistral insièmit i vi pleait sui cjavài / che là a
sôstin, i ûltins a dìsin in libertât” (vv.1-3 cipressi di Provenza , bei cipressi / che nel mistral insieme
vi piegate sui cavalli / che là sostano, gli ultimi dicono la libertà). Diversi questi cipressi da quelli
che in Friuli, tristi, si ergono sulle tombe, benché il tema delle ombre attraversi tutta la silloge
anche in questi casi istituendo un dialogo tra vivi e morti che è, direi, presenza della memoria.
Soffermiamoci sui versi seguenti: “encja su di me vi pleàvo / se là tal mistral jo i ven, David, a
dansâ / se, Vincent, là i puârti il dolour? (vv. 7-9: anche su di me vi piegate / se là nel mistral io
vengo, David, a danzare / se, Vincent, là porto il dolore?) – è questo il primo luogo in cui compare
Vincent (van Gogh); la Provenza e il pittore accomunano il libro di Ida Vallerugo ad una delle
ultime raccolte di René Char, LES VOYSINAGES DE VAN GOGH (1985), libro del commiato e
“provenzale” proprio in quanto ripercorre coi passi del pittore anche in questo caso un paesaggio
interiore ed amatissimo, cantato fin dagli albori della poesia chariana stessa. Trovo interessante il
fatto che le due raccolte vadano formandosi contemporaneamente (nei primi anni Ottanta) ed
ovviamente indipendentemente l’una dall’altra, con la differenza che la poetessa friulana
attenderà molto tempo prima di veder pubblicato il proprio libro. Sia Ida Vallerugo che René Char
devono misurarsi con una tradizione poetica nobilissima, incarnata proprio dal paesaggio
provenzale e dai trovatori, addirittura all’origine di tutta la tradizione lirica europea post-latina.
Entrambi compiono un itinerario che li porta ad inserirsi con naturalezza e consapevolezza in
quest’alveo (farò spesso riferimento a Char nel prosieguo della mia lettura), si ancorano alla
tradizione affinché essa liberi in loro le forze creative della poesia, si pongono in dialogo con il
proprio presente anche traverso un passato immortalato dall’arte; la poetessa friulana può allora
interloquire direttamente con David (è il biblico autore dei Salmi?) e col pittore il cui nome viene
non casualmente interconnesso col dolore; ella s’immerge nel mistral, cioè nello spirare della
poesia che in questo caso s’apparenta alla danza e al dolore per concludere: “Muts vô e
indiferèns come li ombri / ch’a mi compàgnin. Il mistral a vi mouf / come amour, a dìsin, il mont a
mouf” (vv. 10-12: muti voi e indifferenti come le ombre / che mi accompagnano. Il vento vi muove /
come amore, dicono, il mondo muove). Ma a me lettore piace pensare che il canto poetico
penetrerà l’indifferenza dei cipressi e delle ombre, quel mistral che viene splendidamente
associato all’amore, per cui entriamo subito nel cuore delle poesia di Ida Vallerugo: una poesia
ch’è scelta di una lingua e scelta d’amore. Ai cipressi s’aggiungono i pini: “Un mar snôt il mistral
fra i pins / tratignût mâr di ruvìna / e cencia difêsi i soi , bieli rami ch’i vi stuargèit / a trategni inmò
un pôc sôra di me chel mâr” (VINT FRA I PINS, VENTO TRA I PINI, vv. 1-4: un mare stanotte il
mistral fra i pini / trattenuto mare di rovina / e senza difese sono, bei rami che vi torcete / a
trattenerlo ancora un po’ sopra di me quel mare). La Provenza affacciata sul Mediterraneo: “Ce
toit tranquille, où marchent des colombes, / entre les pins palpite, entre les tombes”, inizia il canto
di Paul Valéry nel CIMITERO MARINO (questo tetto tranquillo, dove passeggiano le colombe, /
palpita tra i pini, tra le tombe).Ancora il mistral, dunque, che stavolta rassomiglia ad un mare e che
pian piano diventa mare sul quale migrano le genti, e può trasformarsi persino nell’Egeo sul
quale, come dice il mito, i ritorni fortunati o meno erano segnalati dalle vele bianche o nere delle
navi: ecco, siamo dentro le movenze caratterizzanti della poesia vallerughiana, fatta di continui
slittamenti d’immagini e di senso, d’accostamenti inattesi dei concetti tramite improvvise
transizioni, “fondata sulla illogicità dei costrutti, sull’assoluta esposizione dell’anima al vento delle
impressioni e delle memorie” come scrive Franco Loi nella nota già in precedenza citata, un vero
viaggiare attraverso territori inaspettati, un continuo allargarsi dello sguardo e della mente dalla
piccola patria friulana del presente al mondo, alla storia e al mito. Il vento della poesia permette
questi attraversamenti: “(…..) in pèis i lu speti / fin cuan ch’i ai vous a dìsi ce ch’i sin al mont / e
inmò di pì ce che inmò i na sin” (vv. 17-19: in piedi lo aspetto / fin a quando ho voce a dire ciò che
siamo al mondo / e più ancora ciò che ancora non siamo). Non è questa una dichiarazione di
poetica da parte di un’autrice assolutamente schiva e che vive totalmente nella sua propria
poesia? È un aprire al canto territori immensi, riattualizzando la parte più stimolante della lezione
romantica (penso al Novalis che con e nella parola poetica si avventura negli inesplorati territori
della notte, là dove il termine tedesco di Sehnsucht è uno slancio e uno struggimento per
qualcosa che ci sta davanti e continuamente ci sfugge).
Nella lirica COR, OM VUEIT, COR (CORRI, UOMO VUOTO, CORRI) appare il Rodano e le mille
isole che forma fino al suo grande delta e al mare e, parola tematica, le “misteriôsi lontananci”
che, pochi versi dopo, sono “freidi lontananci” (“Ferne”, lontananza appunto, è altra parola chiave
del Romanticismo tedesco). È questa una bellissima lirica di laica religiosità, se mi si perdona
l’apparente ossimoro; dice la poetessa: “a na è pì aria uchì / par chêsta nêstra dura splendida
utopia / che vèirs a si fai e sevèirs / (…..) / nô chi veglàn i na maledirìn il nêstri louc” (vv. 9-11 e
16: non c’è più aria qui / per questa nostra dura splendida utopia / che veri ci fa e severi / (…..) /
noi che vegliamo non malediremo il nostro luogo) pronunciando parole che a me sembrano di
consacrazione, ché sono dette alla prima persona plurale (nô / noi), sono riferite ad una comunità
errante che ha anche “radìs nòvi” (radici nuove) ed esprimono un’etica di severità e serietà
espressa traverso l’andare, il guardare (“mai strachis i vôi”, mai stanchi gli occhi) e, credo, in
modo originale e coraggioso in questi anni di disillusione, attraverso l’utopia. MISTRAL è anche
un libro di luoghi capace di accogliere nelle sue pagine l’οὐ – τόπος del desiderio e dell’ideale, per
cui abitare la lingua (è quello che fa ogni poeta) è anche compiere un rito di fondazione (l’hic
manebimus bene dei Romani, ma attualizzato e cosciente dell’inquietudine che ci caratterizza).
” Greni blancj, formi perfeti / pinsèirs di vêgla cuan che amour e vêgla / (…..) / a còrin pal delta i
cjavài // no, su la lìnia dal mâr a còrin se soul i tu sèri / un pôc i vôi, si tu liberei in te la visiòn”
(LIBERTÂT, vv. 4-5 e 7-9: criniere bianche, forme perfette / pensieri di veglia quando amore
veglia / (…..) / corrono per il delta i cavalli // no, sulla linea del mare corrono se solo chiudi / un po’
gli occhi, se liberi la visione) e il lettore si lascia portare dalla corsa libera non solo dei cavalli, che
fanno il paio col mistral, ma della visione appunto e la mente si riempie di felicità perché respira
quest’anelito di libertà, corre a briglia sciolta, è il caso di dire, nella pianura vastissima sostanziata
contemporaneamente di acqua e di terra della Camargue, ma che è anche la pianura friulana
attraversata fino all’Adriatico dai suoi fiumi. Nella Provenza di Char e, aggiungo qui, di Francesco
Petrarca il Sorga (la Sorgue in francese) e la Fonte di Valchiusa (la Fontaine de Vaucluse)
incarnano bellezza e poesia, sono capaci di donare a chi vi si rechi non da turista un’esperienza
spirituale intensissima dettata dalla luce e dall’acqua, anzi, dalle acque come felicemente intuì
Petrarca che vedeva nel fiume un moltiplicarsi di suggestioni ed affetti capaci di determinare la
sua ars poetica. Chiedo scusa se apparentemente mi allontano dal libro della poetessa friulana,
ma la lettura porta sempre con sé un ventaglio di suggestioni e richiami cui sistematicamente mi
rifiuto di sottrarmi e che voglio sviluppare anche in questo frangente. La suggestione che mi si
profila davanti in questo momento è ancora chariana, promana da TRACÉ SUR LE GOUFFRE
(TRACCIATO SULL’ABISSO): “Dans la plaie chimérique de Vaucluse je vous ai regardé
souffrir. Là, bien qu’abaissé, vous étiez une eau verte, et encore une route. Vous
traversiez la mort en son désordre. Fleur vallonnée d’un secret continu” (Nella piaga
chimerica di Valchiusa / l’ho guardato soffrire. Era, benché prostrato, / un’acqua verde
laggiù, e poi anche una strada. / Attraversava la morte nel suo disordine. / Fiore
ondulato d’un insonne segreto – la traduzione è di Vittorio Sereni). Lo stesso traduttore
e poeta italiano riporta in nota l’episodio che condusse alla germinazione del testo:
René Char raggiunge con un amico filosofo le sorgenti del Sorga, la Fonte di Valchiusa
appunto, e questi cade in una sorta di trasognamento nel quale si sente sovrastato dal
dolore di vivere; in quel medesimo momento Char vede la figura di Petrarca
attraversare la barriera del tempo, il poeta italiano custodire il fiore ondulato d’un
insonne segreto, cioè la forza trasfiguratrice della poesia rappresentata dalle acque del
fiume, perpetuamente fresche ed abbondanti anche in periodi siccitosi. Ricordo inoltre
che almeno tre altri poeti italiani sono legati alla poesia di Char e dunque ad un’idea di
Provenza che continua ad avere in Petrarca il trait d’union con l’Italia: Piero Bigongiari,
Giorgio Caproni e Cosimo Ortesta, tutti eccellenti traduttori del grande Provenzale,
anche se forse è proprio Vittorio Sereni colui che ha condotto un vero e proprio corpo a
corpo con la poesia chariana, introiettandola nella propria: in STELLA VARIABILE
(1981) la quarta sezione si intitola TRADUCEVO CHAR e l’ottavo testo suona:
“Bastava un niente / e scavalcava un anno / una costa splendente / una vallata ariosa /
viene a cadere qui / e s’impiglia tra i passi / negli indugi della mente / la foglia che più
resiste – / voglia intermittente: Vaucluse” (nel Meridiano dedicato all’opera poetica
sereniana). Ed aggiungo per riallacciarmi alla figura di Petrarca: il VIAGGIO CELESTE
E TERRESTRE DI SIMONE MARTINI (1994) comincia con la partenza del pittore da
Avignone; Mario Luzi immagina che negli ultimi anni di vita Simone Martini, già figura
emblematica di molti luoghi della poesia luziana, torni nella sua Siena dopo la lunga
permanenza in Provenza. Uno dei testi s’intitola proprio PETRARCA: “Perché non lo
lasciava / un momento con lo sguardo? / Lo seguiva in ogni istante / dell’opera,
scrutava / il laborioso facimento / dei volti, dei panneggi, / aspettava trepidando / la
mandorla degli occhi, / dagli occhi il loro misericordioso dardo. / “Studiava il poeta della
Corte / maestro in cortesia / la mia sovranità, la mia maestria, / domandava elemosina /
di luce e di pietà / alle mie storie la sua arte / che non aveva storia – divorata / dalla
beltà, assetata di gazia” (trascrivo dal Meridiano dedicato all’opera poetica luziana).
.
b.vikso
….
Anche la poetessa tedesca Sarah Kirsch cede alla suggestione che s’impossessa del viaggiatore
che percorra lo Chemin de la Fontaine e in DER SÜDEN (IL SUD) contenuto nella raccolta
VENTO ALLE SPALLE del 1976 scrive: (…..) / Die alten Papierfabriken! Das grüne reine Wasser.
/ Mein Arm drinnen, der andere / zugereicht. Höchstens vier Grad die Sorgue. / Petrarca kommt
mit Laura den Weg uns entgegen / auf einem Maultier. Beide über siebzig und Laura / raucht
Zigarrn” (vv. 5-10: (…..) / le antiche cartiere! L’acqua verde e pura. / Un mio braccio lì immerso,
l’altro / sporto. Massimo quattro gradi il Sorga. / Petrarca ci viene incontro con Laura / su di un
asino. Entrambi ultrasettantenni e Laura / fuma sigari). Si noti anche in questo caso il motivo delle
acque del fiume, verdi e fresche e la presenza, anzi il venire incontro al lettore di una delle coppie
per antonomasia della tradizione lirica occidentale, qui estremamente umanizzata, direi addirittura
strappata alla manieristica stereotipata rappresentazione tradizionale.
Ritorniamo ora a MISTRAL: c’è una veglia d’amore, perché questo libro è anche canzoniere
amoroso dedicato alla Provenza-Friuli, ad un’intera civiltà, alla sofferenza degli umani. Prova ne
sia il fatto che la lirica immediatamente seguente (MÊ BIELI OMBRI, MIE BELLE OMBRE) è
dedicata a Thomas ed Elisabeth, due innamorati trovati morti suicidi su di una panchina di Londra:
la Provenza di Ida Vallerugo include dunque anche Londra e di nuovo vi si materializzano ombre
(“il mistral a vi puârta / mê bieli ombri”, il mistral vi porta, mie belle ombre, vv. 1 e 2) che
percorrono le stesse strade della poetessa a cui ella cerca di avvicinarsi, ma senza successo,
mentre la poesia ha anche questa funzione evocativa e i morti nella tradizione greca erano,
appunto, “ombre”, inafferrabili simulacri delle persone un tempo vive, come l’amatissima nonna
Regina, la maa Onda del libro omonimo, rievocata con struggente amore in AMOUR DI ME
(AMORE DI ME), ove la Provenza giunge fino ai limoni di Girgenti e al pettine di Sidney, perché la
“cjârta geografica” di nonna Regina e della nipote Ida è vastissima, dà conto di tutte le partenze e
di tutti i ritorni di cui consta una vita umana. “Provenza viêrta e scùra, un puèst segrèt sigûr /
indulà in ogni moment slongjâssi in una sfêsa / in un lândri, e scuprî un limon, ‘na lampada / un
spartît blanc poiât ulì da te par te” (vv. 13-16: Provenza aperta e scura, un posto segreto sicuro /
dove in qualsiasi momento allungarsi in una fessura / in una caverna, e scoprire il limone, una
lampada / uno spartito bianco posato lì da te per te) – e trovo suggestiva questa sospensione tra
apertura ed oscurità, questo suggerire fessure e caverne di un Friuli effettivamente percorso fin
nelle sue viscere da fessure e caverne, esattamente come la Provenza; Lascaux e le sue pitture,
mentre l’uomo che ha appena cominciato a conquistare lo spazio “sera un milliard de fois
moins lumineux et revéléra un milliard de fois moins de choses cachées que l’homme
granité, reclus et recouché de Lascaux” (sarà un miliardo di volte meno luminoso e
porterà alla luce un miliardo di volte meno cose celate dell’uomo granitico, recluso e
coricato di Lascaux: queste parole appartengono al testo del 1959 AI RIVIERASCHI
DEL SORGA) è luogo cantato negli indimenticabili versi omonimi di René Char e contenuti in LA
PAROLE EN ARCHIPEL.
Ed eccola Poffabro, il paese-culla, il paese delle origini e del diventare presenti a se stessi,
mentre la poetessa s’inginocchia in Oxford Street, ma in MISTRAL i luoghi sono concomitanti,
facilmente si trapassa dall’uno nell’altro: “I m’ingenôgli uchì / in Oxford Street e cun fuârcia e
pudour / i tòcj la cjera la mê clara ava. // E su la placia di Pofâvri / piêra e misteri, misteri e piêra /
vuardànt in frèidi turchìni lontananci / i speti il gno antenât, il sorêli” (STIRPE, vv. 2-8:
m’inginocchio qui / in Oxford Street e con energia e pudore / tocco la terra la mia chiara ava. // E
sulla piazza di Poffabro / pietra e mistero, mistero e pietra / guardando in fredde turchine
lontananze / aspetto il mio antenato, il sole). Di nuovo un atto di matrice religiosa, un omaggio alla
terra, di nuovo lo sguardo che si spinge in lontananza e ci sono la pietra, il mistero e il pudore (è
un caso se una delle raccolte più straordinarie di Char si chiama proprio FUREUR ET
MYSTÈRE?) – e mi commuove ritrovare un accenno al pudore che significa anche rispetto ed
umiltà, quasi un imperativo morale ribadito proprio nel momento in cui i versi scritti vengono offerti
alla lettura di tutti, cosa che costituisce per ogni poeta un atto di denudamento davanti agli sguardi
altrui. Sappiamo quanto Ida Vallerugo abbia atteso e forse resistito prima di dare alle stampe
questo libro (ne parlano sia Franco Loi, prefatore, che Anna De Simone nell’esaustivo saggio
finale) – non gliene sapremo mai essere grati abbastanza di essersi decisa a pubblicare.
E continua a soffiare il ventomistral: “(…..) a saràn pleni di bièli gens / li stradi di Provenza,
doman. E sa soflarà / inmò e lour a na lu sintaràn e a si vuardaràn intòr / spierdûs o anoiâs a sarà
parcè / ch’a na san da èssi in Provenza. // Ducjus turiscj in Provenza! Epùr dut al è uchì” (A
SOFLA, SOFFIA, vv. 13-18: saranno piene di belle genti / le strade di Provenza, domani. E se
soffierà / ancora e loro non lo sentiranno e si guarderanno intorno / sperduti o annoiati sarà
perché / non sanno di essere in Provenza. // Tutti turisti qui in Provenza! Eppure è tutto qui). La
poesia guarda con occhi di viaggiatrice, moltissimi con occhi (superficiali, pressocché ciechi) di
turisti – e non sembra questa Provenza-Friuli il mondo intero, l’esistenza stessa? Perché “dut al è
uchì”, e poi:”E i iès. I iès par ièssi. Che par amour i iès. / Dut ce ch’i ài al mont a iè in me. / Oh
tanti gens che a li tìmpli a mi compàgnin” (vv. 19-21: Ed esco. Esco per uscire. Che per amore
esco. / Tutto ciò che ho al mondo è in me. / Oh quante genti che alle tempie mi accompagnano) in
quanto la poesia è un uscire da se stessi, un andare incontro, un viaggiare che continua nella
lirica BALAUSTRA ove compaiono colonne forse d’un tempio greco che domani più non saranno
(metafora del tempo distruttore) e, inaspettata, Elena di Troia che viene a guardare per un
momento il mondo: “la bellezza salverà il mondo?” si chiede la poetessa nella nota esplicativa al
componimento. Ancora Char, FEUILLETS D’HYPNOS (1943-1944), 237: “Dans nos ténèbres, il
n’y a pas une place pour la Beauté. Toute la place est pour la Beauté” (nelle nostre tenebre non
c’è un posto per la Bellezza. Tutto il posto è per la Bellezza – la traduzione è di Vittorio Sereni).
Si apre poi un bellissimo chiaro di luna: “Aparenci. Realtât. Cui vi divide snot? // Bieli lûs intòr di
me. E il mandurl. Il ciprès. / Aghi lusìnti e clari. Ogni cunfìn lontàn. / E il pàs suspindût dal timp”
(LUNA, vv. 1-4: Apparenze. Realtà. Chi vi divide stanotte? // Belle luci intorno a me. E il mandorlo.
E il cipresso. / Acque lucenti e chiare. Ogni confine lontano. / E il passo sospeso del tempo). Il
lettore vede chiaramente come quella di Ida Vallerugo sia contemporaneamente poesia lirica e
poesia meditativa, ponte tra la realtà di fuori e quella interiore, linguaggio che avanza in uno
spazio sempre più vasto (“ogni cunfìn lontàn”) e il verso, spesso lungo, conosce pause, cadenze
e punteggiature tutte interne alle esigenze del canto; l’uso reiterato del punto fermo all’interno del
verso, per esempio, mi sembra una peculiarità interessante, così come i rientri tipografici di alcuni
versi rispetto ad altri: in tal modo la poetessa, che certamente segue un ritmo dettatole dal suo
stesso canto che si manifesta anche nell’accentazione grafica “più vicina all’oralità e alla sua
intonazione personale che alle norme ortografiche correnti” (sua stessa affermazione alla fine del
volume), crea come uno spartito per le proprie liriche, evidenziando anche quanto la dizione ad
alta voce possa essere più consona al dettato poetico – non erano le liriche dei trovatori anche
musica? Non venivano esse anche cantate? E non è la lingua stessa suono, musica, prosodia?
“Plèiadi dal rispîr” (sempre in LUNA, pleiadi del respiro, ultimo verso)?
l. parenti
.
Senza dimenticare che il Friuli-Provenza è geograficamente prossimo alla ex-Jugoslavia e che noi
tutti siamo prossimi a quella tragedia: “làssimi dâ liniamìns al nuia sôra ‘na brea di un punt / crolât
in Iugoslavia forç sul Danubio forç su la Drina / e à li sô veni, li màcj, i tàis, li brusadùri” (MA LA
CURNÎS A MI PLÂS VUEITA, MA LA CORNICE MI PIACE VUOTA, vv. 6-9: lasciami dare
lineamenti al niente sulla tavola di un ponte / crollato in Iugoslavia forse sul Danubio forse sulla
Drina / e ha le sue vene, le macchie, i tagli, le bruciature) – e la poetessa erompe poi in un grido:
“punt, punt, jo i soi un punt, un punt, un punt” (v. 18: ponte, ponte, io sono un ponte, un ponte, un
ponte) che mi fa tornare di nuovo in mente Char quando sostiene che quello del poeta è mestiere
di chi costruisce ponti.
MISTRAL fa anche i conti con Dachau nella persona di Anastasia, giovane Ucraina salvatasi dallo
sterminio grazie ad un giovane che la porta a Meduno (‘ndulà che jo ostinada i doi dal tu al
deserto, dice la poetessa, v. 12: dove io, ostinata, do del tu al deserto) e la sposa; ma la storia
continua ad irrompere nel libro e siamo ad una lirica dal titolo bellissimo GITA AL TIMP (GITA AL
TEMPO) ambientata nella mitica Greenwich del meridiano 0, là dove Ida Vallerugo rievoca alla
nipote Anna che l’accompagna i bombardamenti nazisti su Londra, i Londinesi rifugiatisi nella
metropolitana (come non pensare a Henry Moore e ai suoi SHELTER SKETCHBOOKS?). Ida ed
Anna si recheranno tra poco in visita dallo zio Jack, uno dei figli della maa Onda che abita a
Londra, ma il trovarsi sul meridiano 0 fa nascere una meditazione sul tempo che la poesia sa
attraversare con la sua facoltà evocatrice e rappresentativa.
TEMPORÂL IN PROVENZA, lirica in cui il tuono e il fulmine sono protagonisti, sospesi tra il
Ventoso e la pianura, ci offre la metafora del pensiero che, appunto si accende come un fulmine
carico di luce e di energia – e il fulmine è cifra anche della poesia di Char, illuminazione e strappo,
salto e saldatura degli opposti, eracliteo divenire del pensiero. E immerso nel buio del temporale,
illuminato poi per istanti brevissimi dal lampo, si profila il Ventoso (Mont Ventoux), altro luogo
ideale e reale di poesia e pensiero: è durante l’ascesa al Monte Ventoso che Petrarca riceve dalle
pagine di Sant’Agostino l’illuminazione che lo porterà ad una fondamentale svolta esistenziale ed
artistica; “le Mont Ventoux, miroir des aigles, était en vue” (il Ventoso, specchio delle aquile, era
visibile) scrive René Char in LE THOR, contenuto in FUREUR ET MYSTÈRE – Le Thor è la
località dove sul finire degli anni Sessanta Martin Heidegger aveva tenuto i suoi seminari proprio
su invito di Char.
Avviandoci verso la fine della prima sezione del libro ci cattura sempre di più la bellezza e
l’armonia di musica ed immagini, perché la filiazione di MISTRAL è dalla poesia lirica: “Ma al è un
melâr ta l’univers, fì, una peraula / e gens lusìnti e clari intòr a ròdin…” (ANTÎC CJANT
PROVENZÂL, ANTICO CANTO PROVENZALE, vv. 19 e 20: ma c’ è un melo nell’universo, figlio,
una parola / e genti lucenti e chiare intorno ruotano…); “soul l’amor a sarà stât e al è ” (SÔRA
UNA TOMBA AD ARLES, SOPRA UNA TOMBA AD ARLES, v. 5: solo l’amore sarà stato ed è);
scrive Paul-Jean Toulet in una delle sue CONTRERIMES: “Dans Arles où sont les
Alyscamps, / quand l’ombre est rouge sous les roses / et clair le temps, / prends garde
à la douceur des choses, / lorsque tu sens battre sans cause / ton cœur trop lourd / et
que se taisent les colombes. / Parle tout bas, si c’est d’amour, / au bord des tombes”
(ad Arles dove ci sono gli Alyscamps, / quando è rossa l’ombra sotto le rose / e chiaro
il tempo, / sta’ attento alla dolcezza delle cose, / quando senti battere senza motivo / il
cuore troppo pesante / e le colombe tacciono. / Parla a voce bassissima, se si tratta
d’amore, / a lato delle tombe). In contrapposizione alla melancolica e piacevole
canzonetta di Toulet si coglie bene la pronuncia decisa, antisentimentale, piena di Ida
Vallerugo, sempre impostata secondo ampie campiture di metro e di pensiero.
Restiamo ad Arles e sfogliamo per alcuni istanti il bellissimo libro di un’altra grande
poetessa italiana, Antonella Anedda. Il libro è LA VITA DEI DETTAGLI (Donzelli,
Roma, 2009) nel quale un lungo capitolo è dedicato proprio alla città sul Rodano e alle
molte figure artistiche ad essa legate, da Char a Cesare Di Liborio, da Akira Kurosawa
a Paul Celan. Proprio Antonella Anedda usa la pregnante espressione di “Provenza
interiore” (pag. 150) accennando allo splendido film di Kurosawa I SOGNI in cui il
regista letteralmente s’immerge e si sprofonda nei colori dei dipinti provenzali di Van
Gogh e la Provenza, mi vien fatto di aggiungere, è luogo dell’anima e patria elettiva di
De Staël, Picasso, Matisse, Cézanne, attualmente di Anselm Kiefer. Ed ancora: a
ragione Antonella Anedda ricorda il legame tra Char e Celan, specialmente se si tiene
conto del fatto che il poeta ebreo di lingua tedesca aveva di fatto perduto la propria
patria, diciamo così, fisica per trovare essenzialmente nella lingua (anche nelle molte
lingue da lui conosciute e parlate) e nella poesia una terra, appunto, dell’anima o dove
disperatamente cercare l’anima distruttagli dalla persecuzione nazista.
Torniamo adesso ad ascoltare la voce di Ida Vallerugo: “Ma a son i trovadours! E da ogni banda a
vègnin / a âlcin bras e chitari in sen di salût. / E a àn cjamêsi viêrti e lisèri chei, e chei a vègnin / in
mantèi serâs. Ducjus vuè a vègnin cjantant / l’amour gentîl in chê lenga muârta provenzâl furlana
/ uchì su chêsta cjera indulà ch’a àn vivût / e a son muars sècui e sècui fa e che di lour a scunt /
vuès e segrès. Diu ch’i soi circondàda!” (CÔRU PAR I NUVÌS, CORO PER GLI SPOSI, vv. 11-18:
Ma sono i trovatori! E da ogni parte vengono / alzano braccia e chitarre in segno di saluto. / E
hanno camicie aperte e leggere quelli , e quelli vengono / in mantelli chiusi. Tutti oggi vengono
cantando / l’amor gentile in quella lingua morta provenzal friulana / qui su questa terra dove
hanno vissuto / e sono morti secoli e secoli fa e che di loro nasconde / ossa e segreti. Dio che
sono circondata!)
“Atent a te Bernart di Ventadorn / i na conòs la tô melodia ma i ài tanti disarmonîs / in armonia jo
ch’a ti pòs sbregâ cun gracia / la tô cjamêsa fina” (ibidem, vv.19.22: attento a te Bernard de
Ventadorn / non conosco la tua melodia ma ho tante disarmonie / in armonia io che posso
strapparti con grazia / quella tua camicia fine). Bernart de Ventadorn-Dante-Eliot, ecco un altro filo
che lega questa silloge ad un’idea della Provenza quale patria poetica, dato che già Dante, con
una consapevolezza critica infallibile, riconosce nella lirica provenzale una delle matrici del suo
poetare e dato che il luogo famoso della COMMEDIA (Purgatorio, XXVI, incontro prima con Guido
Guinizzelli e poi con Arnaut Daniel) è ripreso da Eliot nel dedicare al “miglior fabbro” (a Pound) la
TERRA DESOLATA; Pound stesso cita a più riprese nei CANTOS poeti e versi provenzali
riportando alla coscienza della poesia novecentesca il debito nei confronti di quella straordinaria
cultura che venne quasi cancellata dalla crociata contro gli Albigesi. Ricorderei inoltre il tentativo
effettuato da Frédéric Mistral di rivivificare nelle proprie opere e nel movimento del Félibrige lingua
e cultura provenzali. Altro poeta del Novecento italiano che esplicitamente si rifà a modelli
provenzali per attualizzarli sotto forma di meditazione sul fare poetico e caricandoli di forte
sperimentalismo linguistico è Giovanni Giudici in SALUTZ (Einaudi, Torino, 1986).
“Cul mistral a na si vîf / ma s’al cèssa a si mour” (col mistral non si vive / ma se cessa si muore) –
forse perché nulla è acquietato in questo libro, forse perché mistral è il flusso stesso del vivere
dentro il quale stiamo immersi ed è lo spirare continuo dei ricordi (l’intera poesia vallerughiana
tematizza continuamente la memoria) e siamo nella seconda parte della raccolta: LUNA
MATUTINA.
“Al è soul un sècul grant e barbar ch’al pàssa. / (…..) / Soflàn, discurìn. Il pinsèir al è dut. // dut al
è il pinsèir. E come l’univers a pêsa” (CJERA, TERRA, vv. 21 e 23, 24: È solo un secolo grande e
barbaro che passa. / (…..) / Soffiamo, parliamo. Il pensiero è tutto. / Tutto è il pensiero. E come
l’universo pesa).
Quante persone anche in questa parte del libro! Sarà Amhed che fissa l’acqua del Tamigi, ma che
con i pensieri cammina sul Gange e sarà l’imbianchino Guido che la sera, dopo aver bevuto,
viene sotto le finestre della poetessa a parlare da solo e provoca, quasi per medianica virtù,
l’apparizione di Aristotele che guarda per terra (come nell’affresco di Raffaello), di Leonardo e
delle donne da lui ritratte, dei potenti della terra con i loro eserciti e di Einstein. Nelle pagine
seguenti ci sarà un poeta ” pôlvera inamorada” (polvere innamorata), un ragazzo pakistano che
vive a Londra e poi anche la Pietà Rondanini che dondola nel vuoto sospesa ad una gru, presagio
della bellezza che viene minacciata e distrutta in nome del profitto; la Provenza vallerughiana è
poi anche la Cornovaglia sotto la pioggia e la Mayflower in navigazione, si manifestano presagi di
morte e di decomposizione, violenze contro il paesaggio: “parcè na sòfle il mistral che ta la mê
anfora a suna? / (…..) / jo i silabèi il mont” (STANSA, vv. 7 e 12: perché non soffia il mistral che
nella mia anfora suona? / (…..) / io sto sillabando il mondo) oppone la poetessa a tale minaccia.
Jeanne D’Arc che sente le voci, il mugnaio eretico Menocchio, il poeta Federico Tavan, ancora
Vincent che percorre le strade di Arles-Meduno in PASSANT DI NOT (PASSANTE NOTTURNO)
ed i genitori della poetessa, la nonna Regina sono tutte figure che animano questa parte della
silloge stabilendo una comunicazione ininterrotta tra i vivi e i morti – e tra le epoche: “E tu apena
four di Arles i tu à molât la strècia. / E tu Janne encja snot i tu à sintût li vous. / E tu tal scial nêri i
tu strenç il fouc” (FEMINI TAL VINT SECUI FA, DONNE NEL VENTO SECOLI FA, vv. 1-3: e tu
appena fuori da Arles hai sciolto la treccia. / E tu Jeanne anche stanotte hai sentito le voci. / E tu
nello scialle nero stringi il fuoco); mi soffermo qui sul tema decisivo della “vous” che sembra
essere incarnazione della poesia stessa ed espressione del destino individuale, come se si
esistesse appunto nel parlare, nel dire se stessi e il mondo. La “vous”, che è ovviamente anche
mistral, che è anche portare alla coscienza gli accadimenti della storia, che è anche congiungere
il mondo appartato della provincia col moto più vasto del tempo, la “vous” ha un’implicazione
eretica, ribelle e libera: “Menòs erant eretic, fiêvra ligria / di creassiòn, dolour interrogant, vous,
vous / vous ch’a trapàssa li flami, il scûr / il scûr butât a sècjus, a sècui / sui curtîfs dai cencia vous
// desaparecidos” (VOUS PAR UN ERETIC, VOCE PER UN ERETICO, vv. 1-6: Menòs errante,
eretico, febbre allegria / di creazione, dolore interrogante, voce, voce / voce che trapassa le
fiamme, il buio / il buio buttato a secchi, a secoli / sui cortili dei senza voce // desaparecidos).
Anche la Provenza storica ha conosciuto i roghi degli Albigesi e dei Valdesi: “L’hiver se plaisait en
Provence / sous le regard gris des Vaudois; / le bûcher a fondu la neige, / l’eau glissa bouillante
au torrent” (René Char, SEPT PARCELLES DE LUBERON, SETTE SCHEGGE DEL LUBERON
vv. 26-29, in LE NU PERDU del 1971: lieto di sé l’inverno era in Provenza / sotto lo sguardo grigio
dei Valdesi; / il rogo ha fuso la neve, / bollente l’acqua è corsa al torrente – traduzione di Vittorio
Sereni).
l. zito
.
“E bat tu, bat ai vêris da la normalitât. // Tanti vôlti a not fônda i ti ai vidût / passâ di chì Ros cun
una valîs plena pìvera / li seraduri ch’a stàn par saltâ” (PASSANT DI NOT, vv. 4-7: e batti tu, batti
ai vetri della normalità. // Quante volte a notte fonda ti ho visto / passare di qui Rosso con una
valigia piena zeppa / le serrature sul punto di saltare). Passa Van Gogh nella notte di Meduno,
deve scansare “li steli gileri” (le stelle gilere) montate da ragazzi che gridano nella notte, si
sofferma a parlare coi suoi mangiatori di patate trascinandosi dietro quella valigia (che trovo
bellissimo oggetto gonfio di significato nella sua semplicità), valigia di viaggiatore e di emigrante e
di pellegrino della vita; scrive René Char nelle sue VICINANZE DI VAN GOGH: “Il sortait
longuement la nuit, disparaissait entre d’épais cyprès que de rapides étoiles abordaient
facilement, ou bien il ameutait le mistral à l’extrême avec la présence encombrante de son
chevalet, de sa palette et de ses toiles ficelées à la diable” (stava fuori a lungo la notte,
scompariva tra fitti cipressi facilmente abbordati da rapide stelle, oppure scatenava la furia del
mistral con l’ingombrante presenza del suo cavaletto, della tavolozza e delle tele legate alla
peggio” (la traduzione è di Cosimo Ortesta). Vincent richiama l’amico di Ida Vallerugo, il poeta
Federico Tavan recluso in una casa di cura per malattie mentali (si veda, tra l’altro, il bellissimo,
umanissimo servizio che POESIA nel numero di dicembre del 2008 ha dedicato al poeta di
Andreis) e anche sia il padre che il nonno della poetessa, valenti mosaicisti autori il primo di un
tavolo e il secondo del mosaico pavimentale nella casa di Meduno. Mi piace pensare che l’arte sia
vista, attraverso queste quattro figure, come quell’atto di “decenza quotidiana” (Montale) che
possiede le caratteristiche del silenzioso, umile, artigianale lavorare, il pressocché anonimo,
sublime mestiere dei mosaicisti, degli scalpellini, dei muratori, dei falegnami, dei fabbri e di tanti
altri che edificarono, ad esempio, le Cattedrali del Medioevo. La Provenza vallerughiana è anche
una terra abitata e nobilitata da un popolo tenace, solidale e che ama la bellezza.
“La flama ardeva / la flama ardeva / oh s’ardeva la tô vous // vous, vous, vous ch’a trapassa la
caliga dai dìs / e ‘a fai iêssi la mûsa nêstra dismenteada // sudant, vaìnt ‘i tu mi leèvi li tô poesìis /
di penc’font eretic, Federico / (…..) / Sì, l’esser perfetissim al è tornât / uman, la tô vous, // nêstra
presiôsa eresia, Federico” (MÛSA NÊSTRA DISMENTEADA, VOLTO NOSTRO DIMENTICATO,
vv.1-7, 19-21: la fiamma ardeva / la fiamma ardeva / oh se ardeva la tua voce // voce, voce, voce
che trapassa la nebbia dei giorni / e richiama il volto nostro dimenticato // sudando, piangendo, mi
leggevi le tue poesie / di denso profondo eretico, Federico / (…..) / Sì, l’essere perfettissimo è
tornato / umano, la tua voce, // nostra preziosa eresia, Federico).
E la Provenza può dilatarsi poi fino a Capua: “A li grândi vous dal Mediterraneo i durmirài / intòr i
tès e li culini verdi di Teano // e a na mi svearà a l’âlba il cigu / di Federico che a Capua a liberêa il
falc nassìnt il sorêli” (IDA, vv. 6-9: alle grandi voci del Mediterraneo dormirò / intorno i tetti e le
colline verdi di Teano // e non mi sveglierà all’alba il grido / di Federico che a Capua libera il falco
nascendo il sole).
Sì, è proprio Federico di Svevia, non a caso l’erede con la sua scuola poetica della lezione
provenzale e all’origine della tradizione lirica nella nostra Penisola. E qui c’è una saldatura con la
biografia dell’autrice: proprio a Teano abita Ida, la più piccola dei nipoti della poetessa,
apprendiamo dalla nota al testo, “colei che rinomina il mondo e torna a farlo splendere” come
spiega Ida Vallerugo con splendida e profondissima semplicità. Senza pretese titaniche la
poetessa si affida alla parola poetica per illuminare e ridare senso al mondo, cerca di recuperare
la sorgività e la naturalezza del dire che appartiene fatalmente a chi sta imparando a parlare e
stabilisce una linea di trasmissione della parola tutta femminile: la maa Onda (nonna Regina), la
madre (Eva), la poetessa (Ida), le nipoti (Anna ed Ida).
Si conclude l’ampio, arioso, mosso MISTRAL vallerughiano con una lirica dedicata a Poffabro,
dove la poetessa ha abitato dai 10 ai 23 anni, “qui ho incominciato a scrivere”, dichiara nella nota
al testo. Sono anche Poffabro e Meduno, assieme alla Chiusaforte di Pierluigi Cappello, luoghi
dell’anima e della poesia, vale a dire luoghi che dalla privata biografia vengono trasfigurati e
trasformati ed offerti al lettore, affinché egli trovi nella lettura e nell’ascolto nuove tappe accoglienti
all’errare che è l’esistere.
Riporto alcuni versi la cui bellezza emoziona ed entusiasma e il cui canto ci accompagna nel
chiudere MISTRAL, ma per averne subito nostalgia: “Utopia, utopia, che cussì veirs i tu si fai,
utopia! // Ouf di lûs a gira lênta la placia / intor al sorêli, capsula pura, meravêa / – sì, i na finìn pì
da meravêassi e avê / visions potênti encja sa neveàs par secui – // ta li fermadi dai cjants / – li
schèni cuntra li schèni – i spetàn / da dentri e four di nô i cjants di rispuêsta / dai giovins dai
nêstris âltris planès / cjapâs encja lour a nàssi, clamâ…” (vv. 4-13 della seconda parte: utopia,
utopia, che così veri ci fai, utopia! // Uovo di luce gira lenta la piazza / intorno al sole, capsula
pura, meraviglia / – sì, non finiamo più di meravigliarci e avere / visioni potenti anche se nevicasse
per secoli – // nelle fermate dei canti / – le schiene contro le schiene – aspettiamo / da dentro e
fuori di noi i canti di risposta / dei giovani degli altri nostri pianeti / presi anche loro a nascere,
chiamare…); “Cronaca! Cronaca! Essi realista! / a mi ciga il venditour autorisât di ombreni / cuntra
il monson, reduce da Auschwitz. // Epûr, i ài vuardât a lunc a l’âlba, / subit dopu Hiroshima, la lûs
ch’a tôrna a luminâ / la part dal sum ch’a si pòs tocjâ, a lunc / i vi ài vuardât, amâs, distacâ cun li
ònguli il glaç / dai vêris ch’a tornàvin a scurîssi cul flât / e la vuêstra man che girant a passa sôra /
e il mont ch’al tôrna in chel cêrcli // e la strada di Pofâvri ièssi dal scûr // e sul prufîl glaciât da la
culina sara ch’a ven // discôlcia, e cun jè su la neif disens vidûs…” (vv.1-13 della terza parte:
Cronaca! Cronaca! Sii realista! / mi grida il venditore autorizzato di ombrelli / contro il monsone,
reduce da Auschwitz. // Eppure ho guardato a lungo all’alba, / subito dopo Hiroshima, la luce che
torna a illuminare / la parte del sogno che si può toccare, a lungo / vi ho guardato, amati, staccare
con le unghie il ghiaccio / dai vetri che tornavano ad appannarsi col respiro / e la vostra mano che
girando passa sopra / e il mondo che torna in quel cerchio // e la strada di Poffabro che esce dal
buio // e sul profilo ghiacciato della collina Sara che viene // scalza, e con lei sulla neve disegni
visti…)
Antonio Devicienti
RIFERIMENTI IN RETE:
https://cartesensibili.wordpress.com/2011/05/09/ida-vallerugo-vince-il-premio-salvo-basso-2011/
https://cartesensibili.wordpress.com/2011/03/18/il-soffio-del-mistral-%E2%80%93-di-anna-elisa-degregorio/
https://cartesensibili.wordpress.com/2011/02/03/pietro-civitareale-mistral-di-ida-vallerugo/
https://cartesensibili.wordpress.com/2010/10/23/nelvia-di-monte-mistral-di-ida-vallerugo/
http://miolive.wordpress.com/2011/11/13/ida-vallerugo-movimenti-e-apparizioni/
https://cartesensibili.wordpress.com/2010/09/20/%E2%80%9Caltre-lingue-altre-voci%E2%80%9D-rubricasulla-poesia-nelle-lingue-minoritarie-e-gli-idiomi-locali-del-mondo-a-cura-di-ivan-crico-la-poesia-di-idavallerugo-%E2%80%9Coh-fiamma-oh-buio/
https://cartesensibili.wordpress.com/2010/08/24/franco-loi-un-albero-nel-giardino-introduzione-a-mistral/
https://cartesensibili.wordpress.com/2010/09/08/n-%C2%B0-2-immersioni-di-e-miticocchiomistral-idavallerugo-%E2%80%93-il-ponte-del-sale-editore-%E2%80%93-rovigo-2010/