La locomotiva cinese trainerà la ripresa, con vagoni occidentali La

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La locomotiva cinese trainerà la ripresa, con vagoni occidentali La
ANNO XVIII NUMERO 15 - PAG 3
EDITORIALI
La svoltina anti giustizialista del Pd
Dopo la sentenza pro Quirinale, Bersani si libera dalle manette
E’
arrivato buon ultimo ma è arrivato.
E solo questo conta. Nel silenzio assenso che marca la sua campagna elettorale, Bersani ha fatto una svoltina che è
una mezza rivoluzione: ha relegato il giustizialismo fra gli arnesi arrugginiti,
spuntati, lo ha assimilato addirittura al
populismo che nella sua vulgata è male
assoluto e origine di ogni male. La confraternita dei raddrizzatori del legno storto
dell’umanità ha perso dunque la sponda
più importante. Qualche giorno fa la Corte costituzionale ha spazzato via ogni possibile ambiguità, difeso l’operato di Giorgio Napolitano e sottolineato il comportamento “omissivo” della procura di Palermo. La sentenza è stata accolta con risentimento e livore da Marco Travaglio e dagli amici del Fatto. Ma è stata salutata
dall’Unità, che pure ha ospitato negli ultimi mesi la voce di Antonio Ingroia in
chiave moralistico-antiberlusconiana,
con un articolo in prima pagina a firma di
Giovanni Pellegrino: dove l’ex senatore
diesse ed ex presidente della commissione parlamentare sulle stragi plaude chiaramente alla sconfitta dei giustizialisti. E’
evidente che rimanere in prossimità dei
petulanti vociferatori di non si sa quale
rivoluzione morale e civile sarebbe solo
una palla al piede per un Pd che si sente lanciato verso la vittoria. Tanto più che
nessuno può sospettare Bersani di essere
indifferente alla moralità della cosa pubblica: anche il segretario è convinto che
si debba fare un po’ di pulizia, solo che
crede che il compito spetti alla politica e
non ad altri. Al più gli si può rimproverare di non essere stato lui a prendere l’iniziativa, di essersi fatto stanare dai fatti. Prima la pretesa della procura di Palermo che le intercettazioni del capo dello stato fossero considerate legittime. Poi
le sculacciate di Scalfari a Zagrebelsky
intervenuto a difesa dei procuratori. Solo allora il segretario è uscito da una lunga, confortevole ambiguità, cominciando
con l’abbandonare al suo destino il manettaro principe nativo di Montenero di
Bisaccia. Di suo ci ha messo la candidatura, tatticamente intelligente, di Pietro
Grasso, del quale tutto si può dire ma non
che si sia allineato sui riscrittori di storia di rito palermitano. Cosa sarebbe accaduto di buono in Italia se il Pd si fosse
rimesso anni fa dalla sbornia giustizialista, avesse cambiato linguaggio e cultura, e magari in un meritevole sforzo pedagogico avesse riletto quei terribili anni
1993 e 1994?
La Bce rincuora e avverte
Bollettino positivo, ma l’Italia non si rilassi ora che torna la politica
I
l bollettino mensile della Banca centrale europea, reso noto ieri, mentre
lancia un messaggio rincuorante per l’economia reale, perché conferma la sua
stima di una ripresa della crescita dell’Eurozona nella seconda parte del 2013,
in contrasto con previsioni meno ottimistiche del Fondo monetario internazionale, avverte anche che la crisi finanziaria non è finita. E nel fare ciò fa esplicito riferimento all’Italia, osservando che
nel 2012, a causa delle incertezze politiche, c’è stato un considerevole flusso di
investimento di risparmiatori italiani
verso titoli obbligazionari esteri, quelli
dotati di tripla A. Va notato che questo
deflusso è stato però compensato da un
afflusso da paesi extraeuropei, che, diversamente, hanno valutato meno rischioso l’investimento nei titoli pubblici
italiani e, dato il successo delle operazio-
ni di consolidamento riguardanti la Grecia, il risultato è stato anche per noi positivo. La buona performance è stata
rafforzata anche dai dubbi sull’investimento in dollari, dovuti al “fiscal cliff”.
Ma, argomenta la Bce, il calo degli
spread dovrebbe essere sostenuto da ulteriori passi nel risanamento delle finanze pubbliche. Non competeva alla Bce
spiegare in che cosa sia consistita l’incertezza politica, che ha sospinto al deflusso dal mercato obbligazionario italiano
verso altri lidi più sicuri. Ma non è difficile desumerlo, poiché il governo Monti
era transitorio. Segnalando l’incertezza
politica, la Bce però intende mandare un
avvertimento a non rilassarsi: dati i limiti raggiunti dalla pressione fiscale, la
partita ora si gioca sul controllo strutturale della spesa e sulle politiche di crescita. Un fronte che rimane scoperto.
La Gendarmerie e il mondo
L’intervento in Mali sconta gli errori in Libia. La Siria è fuori dal calcolo
I
l presidente francese Hollande ha deciso, in Mali, di forzare quel che l’Onu
aveva stabilito e di intervenire contro l’avanzata di al Qaida. Dice che andrà fino
in fondo, perché la minaccia terroristica
a due passi dall’Europa non può essere
tollerata. Fa quello che l’America non fa
più, tanto che l’ex ministro degli Esteri
De Villepin, contrario alla guerra al terrore in tutte le sue forme, sostiene che
anche Hollande è stato contaminato dal
“virus néoconservateur” – ma per il fatto che è socialista ed è francese non si ritrova le piazze arcobaleno a dargli di
neocolonialista e “lo fai solo per le risorse”. Hollande era a favore anche della
guerra in Libia, pure se la considerava
un “rattrapage”, una pezza che Sarkozy
ha messo alla sua sconsiderata politica
filo Gheddafi. Cacciare il colonnello libico – stanarlo, ammazzarlo – è stata un’al-
tra operazione condotta forzando una risoluzione Onu e che non ha scatenato
piazze indignate. Ha però scatenato forze destabilizzanti nella regione, come oggi riconosce lo stesso Hollande, quando
dice che i terroristi (mai si dica islamisti)
“sono ben addestrati e bene armati. Hanno approfittato del crollo del regime libico”. Un crollo giusto, ma “si sa che il dopoguerra è sempre più difficile della
guerra”. Il dopoguerra libico è uno stato
fuori controllo che agevola il traffico di
armi, militanti, ideologia qaidista in tutta la regione, nell’indifferenza dell’occidente che s’è abituato a pensare a seconda del singolo interesse nazionale e a
mobilitarsi solo in caso di attacco diretto (vedi la strage di Bengasi). Tanto che la
Siria, “così diversa” dal resto della regiona, continua a essere esclusa da ogni
azione comune di qualche efficacia.
No alle nozze gay, la versione di Monti
Una dichiarazione importante anche se fatta a titolo personale
L
a presa di posizione del senatore Mario Monti, che intervistato da Ilaria
D’Amico su Sky Tg 24 si è detto personalmente contrario al matrimonio gay, è importante per due motivi. Il primo è che,
sia pure pronunciate a titolo individuale – Monti ha voluto sottolineare che “nel
nostro movimento politico ci sono idee
pluralistiche su questo tema, così come
nella società e così come negli altri partiti” – le sue parole non sono equivocabili: il premier dimissionario e ora candidato alla guida del paese ritiene che la
famiglia sia quella “costituita da un uomo e da una donna” e “fondata sul matrimonio”, e che “sia necessario che i figli
crescano con un padre e con una madre”. Non è poco, come dimostrano certe reazioni deluse del mondo militante
Lgbt. Non è poco soprattutto in un momento nel quale in molti giocano a na-
scondino o preferiscono rifugiarsi in
mezze parole, dico-non dico, ammicco un
po’ qua e un po’ là e poi si vedrà, forse
ammaestrati dalla vicenda francese del
“mariage gay”, diventata un boomerang
per il presidente Hollande (ieri, tra l’altro, i socialisti in difficoltà hanno annunciato un emendamento alla legge da loro stessi presentata, con il quale si riducono a una dozzina, contro i precedenti
centocinquanta, i punti del codice civile
in cui i termini “padre” e “madre” dovrebbero essere sostituiti dal neutro
“parent”). Il secondo aspetto interessante della dichiarazione di Monti è oggettivo: è illusorio, oltre che sbagliato, sperare di tener fuori dalla battaglia politica i temi eticamente sensibili. Non solo
perché l’intervistatore di turno può stanare i reticenti, ma perché contano nell’idea di paese che si vuole proporre.
IL FOGLIO QUOTIDIANO
VENERDÌ 18 GENNAIO 2013
La locomotiva cinese trainerà la ripresa, con vagoni occidentali
NEL 2013 PECHINO TORNERÀ A CRESCERE, MA CON QUALCHE PREOCCUPAZIONE. GLI ESPERTI CI SPIEGANO I GUAI INFLATTIVI
Roma. La crisi economica si è fatta sentire nell’ultimo anno anche in Cina (crescita del pil sotto l’8 per cento, non accadeva
dal 1999), ma gli investimenti non sembrano
risentirne e il governo annuncia che entro
il 2018 Pechino avrà il suo nuovo grande aeroporto. Fino a oggi, la metropoli cinese poteva contare solo su uno scalo, il Capital
Airport. Troppo poco, troppo piccolo per
una città che ha venti milioni di abitanti,
hanno detto le autorità. E’ anche questione
di ambizione. Per le Olimpiadi del 2008, era
stato costruito in soli quattro anni il terminal 3, un’enorme struttura in acciaio e vetro progettata da Norman Foster. Una Stansted in grande, disse qualcuno, riferendosi
allo scalo a nord-est di Londra servito dalle compagnie low-cost, pure quello disegnato dall’archistar inglese. Dopotutto, la capitale britannica di scali ne ha cinque, New
York tre. L’aeroporto potrà contare su sei
reti ferroviarie a uso civile, la settima sarà
riservata ai militari. “Servirà 45 milioni di
passeggeri l’anno, arrivando a quota 70 milioni entro il 2025”, ha spiegato entusiasta
Zhu Wenxin, vicedirettore dell’ufficio che si
occuperà della costruzione dello scalo.
Che la Cina torni a crescere lo testimonia
anche la portata dell’investimento: 70 miliardi di yuan, pari a 11,2 miliardi di dollari. Cifre che non spaventano, soprattutto se
necessarie a sviluppare le infrastrutture,
punto cardine del nuovo piano di investimenti ripartito dopo l’incidente ferroviario
di Wenzhou, nell’agosto del 2011 – oltre all’errore umano, all’origine del disastro c’era un “difetto di progettazione”. Sull’alta
velocità Pechino intende investire sempre
di più, e non a caso le autorità hanno sottolineato quanto importanti saranno i collegamenti su rotaia tra il centro della capitale e il nuovo scalo. I primi dati diffusi dalle autorità cinesi – da prendere con prudenza, vista la scarsa trasparenza del governo
di Pechino – fanno pensare che la ripresa
sia partita, anche se i numeri record degli
anni Novanta sono da dimenticare: “Le stime della Banca mondiale per il 2013 parlano di una crescita del pil su base annua
dell’8,4 per cento”, dice al Foglio Giuseppe
Gabusi, docente di Economia politica internazionale e Politiche economiche dell’Asia
orientale all’Università di Torino, che aggiunge: “La crescita è reale, anche se con-
anni precedenti”. Il grosso timore, semmai,
è l’aumento dell’inflazione: potrebbe essere questo, secondo un’analisi del New York
Times pubblicata domenica scorsa, il nuovo
problema capace di rallentare il ritmo del-
Il governo annuncia grandi investimenti nelle infrastrutture: entro il
2018 sarà aperto al pubblico il nuovo aeroporto della capitale. Costo
complessivo, 11 miliardi di dollari. L’inverno più rigido degli ultimi trent’anni
penalizza le colture del nord e i prezzi raddoppiano
tinua a essere sbilanciata sugli investimenti e molto dipendente dalle esportazioni,
non a caso a questi dati si accompagna una
timida ripresa del mercato statunitense”. A
ogni modo, spiega Gabusi, “le stime sono
plausibili”. D’altronde, la Cina è un paese
come tutti gli altri, “esposto agli alti e bassi del ciclo economico globale”, ha detto al
Financial Times Stephen King, capo economista di Hsbc, “ed è probabile che nel 2013
la sua economia riprenderà vigore, grazie a
nuovi massicci investimenti nelle infrastrutture”. Proprio per questo, aggiunge
King, “la crescita sarà più alta rispetto al
2012, ma nettamente inferiore rispetto agli
l’economia cinese. A dicembre, il tasso d’inflazione è cresciuto del 2,5 per cento (a novembre era già aumentato del 2 per cento).
Nulla di preoccupante, secondo il Wall
Street Journal, ma il dubbio che le cifre siano altre è forte, come ha detto al Nyt l’economista Stephen Green, secondo cui l’inflazione reale potrebbe toccare il 5 per cento
nel quarto trimestre, con la conseguenza
che “la Banca centrale di Pechino potrebbe
decidere l’aumento dei tassi d’interesse”.
Gli investimenti diretti esteri calano
I prezzi a dicembre sono cresciuti anche
a causa dell’inverno più freddo degli ultimi
trent’anni che ha messo in ginocchio le produzioni agricole del nord, solitamente abituato a un clima temperato. Si spiegano così gli aumenti repentini del 10 e 20 per cento su frutta e verdura, visti sabato scorso in
un mercato di Guangzhou (Cina meridionale). Pochi si sono lamentati, almeno fino a
ora: “Hanno capito che la colpa è del freddo”, spiegano i commercianti. Tuttavia – per
evitare tensioni – l’agenzia di stampa ufficiale, Xinhua, precisa che il governo sta già
correndo ai ripari grazie alle riserve di vegetali stoccate da tempo.
Eppure, spiega Yao Wei, di Société Générale, ad aumentare non sono solo i prezzi
dei mandarini nei mercati, ma anche gli affitti per le case: un rialzo del 3 per cento rispetto all’anno precedente. Al momento, dice Giuseppe Gabusi, “il dato sull’inflazione
non è allarmante, anche perché in gran par-
te risente dell’aumento dei prezzi dovuto alla scarsità del raccolto. Difficilmente l’inflazione supererà il 3,5 per cento, soglia
considerata accettabile dal governo di Pechino per mantenere la stabilità sociale”.
Considerato però “il continuo apprezzamento dello yuan e la necessità (impellente) di stabilire i consumi interni, le autorità
dovranno essere estremamente vigili”, continua il nostro interlocutore. Il problema,
spiega Gabusi, non è tanto l’esistenza di una
bolla inflattiva pronta a scoppiare, quanto
il fatto che “da anni si ripetano ondate di
aumenti a due cifre dei prezzi alimentari”.
Potrebbe essere questo il segnale di “un deterioramento del food security in Cina, legato alle criticità dell’agricoltura, settore trascurato già negli anni Novanta, e soprattutto al pesante inquinamento del suolo, dell’aria e dell’acqua”.
Se i primi timidi segnali di una ripresa
iniziano a intravvedersi e l’inflazione (per
ora) non preoccupa più di tanto, qualche
grattacapo in più lo danno gli investimenti
diretti esteri in Cina, calati del 3,7 per cento rispetto al 2011. I costi di produzione nelle fabbriche dell’entroterra cinese sono
sempre più alti, così come i salari, e le multinazionali iniziano a espandersi altrove,
India, Indonesia e Vietnam. Nonostante ciò,
se il mondo andrà incontro alla ripresa,
molto dipenderà dalla Cina, dice Gabusi:
“L’Europa non trainerà nulla, si dovrà guardare a Cina e Stati Uniti”. Anche se il pil di
Pechino è un terzo rispetto a quello di Washington, “le sorti economiche dei due paesi sono collegate, in quanto la maggiore
quota di profitti delle esportazioni cinesi finisce in aziende multinazionali (spesso
americane) e la Cina è il maggior creditore
degli Stati Uniti”. Saranno questi i due paesi capofila della ripresa, aggiunge il nostro
interlocutore: “La locomotiva cinese ha bisogno dei vagoni occidentali e nel lungo periodo il processo di urbanizzazione in atto
renderà l’andamento di quel mercato assai
più cruciale per l’economia mondiale di
quanto non lo sia ora”.
Twitter @matteomatzuzzi
La resistenza russa al “disordine morale” dell’Unione europea
I
n Russia, dopo la caduta del
comunismo, la condizione delle
minoranze sessuali (Lgbt) si è andata
gradualmente normalizzando. Dal 1993
GORKY PARK CORNER - DI MASSIMO BOFFA
l’omosessualità non è più un reato punito
dal codice penale, come era all’epoca
sovietica. Dal 2003 i gay possono fare il
servizio militare. Dal 2008 possono donare
il sangue. Nelle grandi città, come Mosca
e San Pietroburgo, è visibile una vita
sociale delle minoranze sessuali: club,
discoteche, bar, luoghi di ritrovo di vario
genere. Perfino i social network si sono
aggiornati: dall’agosto scorso, Vkontakte
(il concorrente russo di Facebook, 91
milioni di iscritti), dopo un’iniziale
resistenza, ha accettato che gli utenti
possano indicare nel loro status una
relazione omosessuale.
Eppure gli attivisti Lgbt considerano la
Russia un paese omofobo, a causa del suo
rifiuto di adeguarsi agli standard
internazionali della “cultura gay”. Le
autorità, infatti, sostenute dall’autorità
morale della chiesa ortodossa, hanno
idealmente tracciato una sorta di linea
divisoria tra le libere inclinazioni della
vita privata e le loro pubbliche
manifestazioni. La municipalità di Mosca,
per esempio, non ha mai dato
l’autorizzazione allo svolgimento del Gay
Pride (ragione per la quale, nel 2010, è
stata condannata dalla Corte europea dei
diritti dell’uomo a pagare un indennizzo
di trentamila euro al suo promotore,
Nikolaj Alekseev, paladino dei diritti
gay). Anche la rivendicazione di
matrimoni tra persone dello stesso sesso
ha sempre incontrato un netto diniego (è
perfino escluso dalla Costituzione che,
essendo recente e dunque figlia dei
tempi, si è premurata di definire il
matrimonio come l’unione tra un uomo e
una donna). L’ultima pietra dello
scandalo è la controversa legge, votata
dal consiglio municipale di San
Pietroburgo (e da alcune altre città, ma
non Mosca), che vieta la “propaganda
dell’omosessualità di fronte a
minorenni”.
All’interno del paese questo approccio,
che mira a mantenere un equilibrio tra le
libertà dell’individuo e i valori della
tradizione, gode di un’approvazione ultra
maggioritaria. I problemi si manifestano
nei rapporti con le istituzioni europee,
dove prevale invece un’idea radicale dei
diritti e da dove vengono sempre più
esercitate pressioni sulla Russia e
invocate sanzioni: nel settembre scorso,
alla conferenza sulla gioventù del
Consiglio d’Europa tenutasi a San
Pietroburgo, la parte russa – molto
criticata per questo – si è rifiutata di
approvare il documento finale nel quale
era stato inserito un emendamento sulle
minoranze sessuali. La rotta di collisione
è, anche in questo caso, prima di tutto
culturale. Un amico, che partecipa come
osservatore ai lavori delle commissioni di
Strasburgo, si sfoga ricorrendo a un
classico argomento, molto in voga tra i
suoi compatrioti: “A noi russi, l’Europa e
l’occidente appaiono a volte come
l’Impero romano negli ultimi anni della
sua esistenza: disordine morale e
decadenza. Non vogliamo seguirli su
questa strada. E per questo ci attaccano”.
Così la chiesa tedesca, ravveduta, ha chiuso con l’inquisizione
Roma. C’era mezza Germania ieri sera
davanti al talk-show “Beckmann”, dalle
22.45 sulla prima rete pubblica Ard. Tutti incollati ai teleschermi per guardare il
duello fra colui che è divenuto il grande
accusatore della chiesa cattolica, il criminologo Christian Pfeiffer, e il segretario
della Conferenza episcopale del paese, il
padre gesuita Hans Langendoerfer. Le accuse di Pfeiffer sono pesanti. Destituito
all’improvviso nei giorni scorsi dell’incarico assunto nel 2010 di stanare per conto della stessa chiesa i preti pedofili, ha
dichiarato “di non comprendere il motivo” della decisione e si è detto preoccupato che vescovi e clero possano tornare
a “insabbiare” come un tempo. E a poco
sono servite le parole di un grande vecchio dell’episcopato, il cardinale Karl
Lehmann, che ha detto: “Noi non abbiamo niente da nascondere”. Così, invece, il
vescovo di Münster, monsignor Felix
Genn, ha respinto le accuse di Pfeiffer di
U
n viaggio che dura poche ore, da
Francoforte a Heidelberg, sul convoglio trainato da una sbuffante locomotiva. Ma un viaggio che dura nove anni,
ripercorsi nella memoria da Ludwig seduto nel vagone di prima classe di fronte alla donna che ama. Nove anni prima
si erano incontrati per la prima volta
nella casa di lei, la moglie del Consigliere G., il ricchissimo proprietario dell’industria chimica dove Ludwig lavorava.
Aveva conosciuto la miseria e l’umiliazione, Ludwig, “era cresciuto alle mense
dei poveri, arrabattandosi come maestro
a domicilio ed educatore”, mentre di notte proseguiva gli studi. Era entrato nella
grande fabbrica dal gradino più umile,
era salito poco a poco con impegno e tenacia, finché il Consigliere, spesso costretto a casa dalla cattiva salute, gli aveva proposto di diventare suo segretario
personale. Non voleva Ludwig, al principio, non voleva tornare in una di quelle
case di ricchi dove era stato “un elemento decorativo come i fiori di magnolia sul
tavolo”, vittima dello scherno di ragazzini viziati e ferito dalla condiscendente
generosità dei padroni. Davanti all’alternativa del licenziamento però si era piegato. Era entrato in quella villa sontuosa con le spalle curve, cariche del peso
della biancheria sfilacciata, del vestito
liso; tutto di lui era fuori posto nella
stanza luminosa e ben arredata che gli
era stata assegnata. Ma era bastato che
“censura” da parte della chiesa: “E’ vero
casomai il contrario”, ha affermato.
Era il 2010 quando la chiesa tedesca,
sull’onda dei dati diffusi fra gli altri dall’agenzia tedesca Dpa che contava “più di
250 casi sospetti di preti pedofili” in 23
delle 27 diocesi tedesche – l’indignazione
montò parecchio quando venne rivelato
che i casi si erano verificati nel collegio
gesuita Canisius di Berlino, a Monaco
quando era arcivescovo Joseph Ratzinger,
nel coro delle voci bianche di Ratisbona
diretti dal fratello maggiore del Papa,
Georg Ratzinger e infine a Friburgo sede
vescovile dell’attuale capo dei vescovi Robert Zollitsch – affidò a Pfeiffer l’incarico
d’indagare. Per svolgere al meglio il suo
compito, al criminologo la chiesa cattolica concesse di accedere all’archivio di
ogni sacerdote attivo sul territorio, anni
giovanili compresi. L’esistenza di ogni sacerdote fu vagliata alla ricerca d’indizi.
“Sull’onda di una isteria collettiva”, dice
LIBRI
Stefan Zweig
IL VIAGGIO NEL PASSATO
Ibis, 90 pp., 8 euro
lei gli porgesse la mano, lo ringraziasse
con un sorriso sincero, gli offrisse un’alleanza leale nel sostenere il marito, che
il mondo di Ludwig si era capovolto. Lei
lo trattava con cordialità schietta, lo colmava di discrete attenzioni – citava un libro in una conversazione, se lo ritrovava
qualche giorno più tardi su uno scaffale
–, ne aveva fatto uno di famiglia. Ma lui
non si era accorto che il sentimento che
li legava era un vero amore, non era possibile immaginarlo, lei così superiore,
così leale, così pura; fino al giorno in cui
il Consigliere lo aveva destinato a dirigere alcune miniere della società in Messico. All’annuncio della prossima separazione la passione era esplosa. Ma il
tradimento non si era compiuto: “Non
posso farlo qui, nella mia, nella sua casa.
Ma al tuo ritorno, quando vorrai”.
Due anni, avrebbe dovuto restare lontano; alla vigilia del rientro però era
scoppiata la guerra: era prigioniero di là
oggi al Foglio Guido Horst, direttore di
Vatican Magazin e corrispondente da Roma per la Tagespost, “la chiesa aveva deciso di aprirsi totalmente alle ispezioni
con tutti i rischi che ciò comportava”. Fra
questi, il rischio reale che l’iter formativo d’ogni sacerdote, pregi e soprattutto difetti compresi, divenisse di fatto pubblico,
a volte uscendo addirittura senza alcun
preavviso sui quotidiani nazionali.
Ciò che Pfeiffer però non ha preventivato è stata la reazione degli stessi sacerdoti. Un gruppo nutrito di loro è sceso nei
mesi scorsi a Roma. Ha protestato chiedendo l’intervento del Vaticano contro
quello che a loro dire altro non era che un
“sopruso” della propria privacy. Il Vaticano si è fatto sentire con Zollitsch e Langendoerfer e immediatamenente a Pfeiffer è stato revocato l’incarico. Dice Horst: “E’ stato soprattutto Peter Beer, vescovo vicario di Monaco, a insistere col Vaticano per un intervento definitivo e la sua
dell’oceano. Poco a poco, il ricordo di lei
era sbiadito, Ludwig si era sposato, aveva due figli. Ma ora, a guerra finita, è tornato in Germania, non resiste alla tentazione di chiamarla. Si rivedono, il Consigliere è morto da tempo, Ludwig infine
le chiede di mantenere l’antica promessa. Ed è così che partono per Heidelberg,
dove allora avevano trascorso una meravigliosa domenica insieme ai bambini di
lei. Ma il mondo è cambiato. All’arrivo si
imbattono in una bellicosa manifestazione nazionalista. L’hotel dove si fermano
è uno squallido alberghetto a ore. E anche loro devono riconoscere che non sono più gli stessi: “E con un brivido spaventato capì di colpo qual era il senso di
quella rivelazione: non erano forse loro
stessi, quelle ombre, che cercavano nel
loro passato ponendo oscure domande a
un tempo che non esisteva più, ombre
che avrebbero voluto essere vive e non
potevano più farlo perché né lei né lui
erano più quelli di un tempo, eppure si
cercavano invano e si sfuggivano aggrappandosi l’uno all’altro con sforzi inconsistenti e privi di energia come quei fantasmi neri ai loro piedi?”.
Scritto nel 1929, a lungo disperso e
pubblicato solo nel 1987, “Il viaggio nel
passato” è, per quanto breve, una fulminante premonizione dello Zweig più maturo, il cantore disperato fino al suicidio
dell’irreparabile scomparsa del “mondo
di ieri”.
linea ha prevalso. Secondo l’agenzia Dpa
la collaborazione col criminologo sarebbe saltata in quanto la Conferenza episcopale tedesca avrebbe chiesto, a seguito di
forti resistenze interne al clero contro
l’indagine, di intervenire a posteriori sui
risultati, di autorizzarli prima della pubblicazione e, all’occorrenza, addirittura
di vietarli. Alcune diocesi, inoltre, sarebbero addirittura arrivate a distruggere in
passato diversi atti sugli abusi e successivamente non avrebbero risposto alle richieste di chiarimento avanzate da Pfeiffer. “Eravamo partiti bene, ma all’improvviso sono emerse resistenze dall’arcidiocesi di Monaco e Frisinga”, ha detto Pfeiffer alla tv pubblica tedesca. “Ma in
realtà” spiega ancora Horst, “la chiesa affiderà a un altro soggetto le indagini che
oggi sono legittimamente chiuse semplicemente perché Pfeiffer lavorava senza
avere più la fiducia dei vescovi e dello
stesso clero”.
IL FOGLIO
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