La locomotiva cinese trainerà la ripresa, con vagoni occidentali La
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La locomotiva cinese trainerà la ripresa, con vagoni occidentali La
ANNO XVIII NUMERO 15 - PAG 3 EDITORIALI La svoltina anti giustizialista del Pd Dopo la sentenza pro Quirinale, Bersani si libera dalle manette E’ arrivato buon ultimo ma è arrivato. E solo questo conta. Nel silenzio assenso che marca la sua campagna elettorale, Bersani ha fatto una svoltina che è una mezza rivoluzione: ha relegato il giustizialismo fra gli arnesi arrugginiti, spuntati, lo ha assimilato addirittura al populismo che nella sua vulgata è male assoluto e origine di ogni male. La confraternita dei raddrizzatori del legno storto dell’umanità ha perso dunque la sponda più importante. Qualche giorno fa la Corte costituzionale ha spazzato via ogni possibile ambiguità, difeso l’operato di Giorgio Napolitano e sottolineato il comportamento “omissivo” della procura di Palermo. La sentenza è stata accolta con risentimento e livore da Marco Travaglio e dagli amici del Fatto. Ma è stata salutata dall’Unità, che pure ha ospitato negli ultimi mesi la voce di Antonio Ingroia in chiave moralistico-antiberlusconiana, con un articolo in prima pagina a firma di Giovanni Pellegrino: dove l’ex senatore diesse ed ex presidente della commissione parlamentare sulle stragi plaude chiaramente alla sconfitta dei giustizialisti. E’ evidente che rimanere in prossimità dei petulanti vociferatori di non si sa quale rivoluzione morale e civile sarebbe solo una palla al piede per un Pd che si sente lanciato verso la vittoria. Tanto più che nessuno può sospettare Bersani di essere indifferente alla moralità della cosa pubblica: anche il segretario è convinto che si debba fare un po’ di pulizia, solo che crede che il compito spetti alla politica e non ad altri. Al più gli si può rimproverare di non essere stato lui a prendere l’iniziativa, di essersi fatto stanare dai fatti. Prima la pretesa della procura di Palermo che le intercettazioni del capo dello stato fossero considerate legittime. Poi le sculacciate di Scalfari a Zagrebelsky intervenuto a difesa dei procuratori. Solo allora il segretario è uscito da una lunga, confortevole ambiguità, cominciando con l’abbandonare al suo destino il manettaro principe nativo di Montenero di Bisaccia. Di suo ci ha messo la candidatura, tatticamente intelligente, di Pietro Grasso, del quale tutto si può dire ma non che si sia allineato sui riscrittori di storia di rito palermitano. Cosa sarebbe accaduto di buono in Italia se il Pd si fosse rimesso anni fa dalla sbornia giustizialista, avesse cambiato linguaggio e cultura, e magari in un meritevole sforzo pedagogico avesse riletto quei terribili anni 1993 e 1994? La Bce rincuora e avverte Bollettino positivo, ma l’Italia non si rilassi ora che torna la politica I l bollettino mensile della Banca centrale europea, reso noto ieri, mentre lancia un messaggio rincuorante per l’economia reale, perché conferma la sua stima di una ripresa della crescita dell’Eurozona nella seconda parte del 2013, in contrasto con previsioni meno ottimistiche del Fondo monetario internazionale, avverte anche che la crisi finanziaria non è finita. E nel fare ciò fa esplicito riferimento all’Italia, osservando che nel 2012, a causa delle incertezze politiche, c’è stato un considerevole flusso di investimento di risparmiatori italiani verso titoli obbligazionari esteri, quelli dotati di tripla A. Va notato che questo deflusso è stato però compensato da un afflusso da paesi extraeuropei, che, diversamente, hanno valutato meno rischioso l’investimento nei titoli pubblici italiani e, dato il successo delle operazio- ni di consolidamento riguardanti la Grecia, il risultato è stato anche per noi positivo. La buona performance è stata rafforzata anche dai dubbi sull’investimento in dollari, dovuti al “fiscal cliff”. Ma, argomenta la Bce, il calo degli spread dovrebbe essere sostenuto da ulteriori passi nel risanamento delle finanze pubbliche. Non competeva alla Bce spiegare in che cosa sia consistita l’incertezza politica, che ha sospinto al deflusso dal mercato obbligazionario italiano verso altri lidi più sicuri. Ma non è difficile desumerlo, poiché il governo Monti era transitorio. Segnalando l’incertezza politica, la Bce però intende mandare un avvertimento a non rilassarsi: dati i limiti raggiunti dalla pressione fiscale, la partita ora si gioca sul controllo strutturale della spesa e sulle politiche di crescita. Un fronte che rimane scoperto. La Gendarmerie e il mondo L’intervento in Mali sconta gli errori in Libia. La Siria è fuori dal calcolo I l presidente francese Hollande ha deciso, in Mali, di forzare quel che l’Onu aveva stabilito e di intervenire contro l’avanzata di al Qaida. Dice che andrà fino in fondo, perché la minaccia terroristica a due passi dall’Europa non può essere tollerata. Fa quello che l’America non fa più, tanto che l’ex ministro degli Esteri De Villepin, contrario alla guerra al terrore in tutte le sue forme, sostiene che anche Hollande è stato contaminato dal “virus néoconservateur” – ma per il fatto che è socialista ed è francese non si ritrova le piazze arcobaleno a dargli di neocolonialista e “lo fai solo per le risorse”. Hollande era a favore anche della guerra in Libia, pure se la considerava un “rattrapage”, una pezza che Sarkozy ha messo alla sua sconsiderata politica filo Gheddafi. Cacciare il colonnello libico – stanarlo, ammazzarlo – è stata un’al- tra operazione condotta forzando una risoluzione Onu e che non ha scatenato piazze indignate. Ha però scatenato forze destabilizzanti nella regione, come oggi riconosce lo stesso Hollande, quando dice che i terroristi (mai si dica islamisti) “sono ben addestrati e bene armati. Hanno approfittato del crollo del regime libico”. Un crollo giusto, ma “si sa che il dopoguerra è sempre più difficile della guerra”. Il dopoguerra libico è uno stato fuori controllo che agevola il traffico di armi, militanti, ideologia qaidista in tutta la regione, nell’indifferenza dell’occidente che s’è abituato a pensare a seconda del singolo interesse nazionale e a mobilitarsi solo in caso di attacco diretto (vedi la strage di Bengasi). Tanto che la Siria, “così diversa” dal resto della regiona, continua a essere esclusa da ogni azione comune di qualche efficacia. No alle nozze gay, la versione di Monti Una dichiarazione importante anche se fatta a titolo personale L a presa di posizione del senatore Mario Monti, che intervistato da Ilaria D’Amico su Sky Tg 24 si è detto personalmente contrario al matrimonio gay, è importante per due motivi. Il primo è che, sia pure pronunciate a titolo individuale – Monti ha voluto sottolineare che “nel nostro movimento politico ci sono idee pluralistiche su questo tema, così come nella società e così come negli altri partiti” – le sue parole non sono equivocabili: il premier dimissionario e ora candidato alla guida del paese ritiene che la famiglia sia quella “costituita da un uomo e da una donna” e “fondata sul matrimonio”, e che “sia necessario che i figli crescano con un padre e con una madre”. Non è poco, come dimostrano certe reazioni deluse del mondo militante Lgbt. Non è poco soprattutto in un momento nel quale in molti giocano a na- scondino o preferiscono rifugiarsi in mezze parole, dico-non dico, ammicco un po’ qua e un po’ là e poi si vedrà, forse ammaestrati dalla vicenda francese del “mariage gay”, diventata un boomerang per il presidente Hollande (ieri, tra l’altro, i socialisti in difficoltà hanno annunciato un emendamento alla legge da loro stessi presentata, con il quale si riducono a una dozzina, contro i precedenti centocinquanta, i punti del codice civile in cui i termini “padre” e “madre” dovrebbero essere sostituiti dal neutro “parent”). Il secondo aspetto interessante della dichiarazione di Monti è oggettivo: è illusorio, oltre che sbagliato, sperare di tener fuori dalla battaglia politica i temi eticamente sensibili. Non solo perché l’intervistatore di turno può stanare i reticenti, ma perché contano nell’idea di paese che si vuole proporre. IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 18 GENNAIO 2013 La locomotiva cinese trainerà la ripresa, con vagoni occidentali NEL 2013 PECHINO TORNERÀ A CRESCERE, MA CON QUALCHE PREOCCUPAZIONE. GLI ESPERTI CI SPIEGANO I GUAI INFLATTIVI Roma. La crisi economica si è fatta sentire nell’ultimo anno anche in Cina (crescita del pil sotto l’8 per cento, non accadeva dal 1999), ma gli investimenti non sembrano risentirne e il governo annuncia che entro il 2018 Pechino avrà il suo nuovo grande aeroporto. Fino a oggi, la metropoli cinese poteva contare solo su uno scalo, il Capital Airport. Troppo poco, troppo piccolo per una città che ha venti milioni di abitanti, hanno detto le autorità. E’ anche questione di ambizione. Per le Olimpiadi del 2008, era stato costruito in soli quattro anni il terminal 3, un’enorme struttura in acciaio e vetro progettata da Norman Foster. Una Stansted in grande, disse qualcuno, riferendosi allo scalo a nord-est di Londra servito dalle compagnie low-cost, pure quello disegnato dall’archistar inglese. Dopotutto, la capitale britannica di scali ne ha cinque, New York tre. L’aeroporto potrà contare su sei reti ferroviarie a uso civile, la settima sarà riservata ai militari. “Servirà 45 milioni di passeggeri l’anno, arrivando a quota 70 milioni entro il 2025”, ha spiegato entusiasta Zhu Wenxin, vicedirettore dell’ufficio che si occuperà della costruzione dello scalo. Che la Cina torni a crescere lo testimonia anche la portata dell’investimento: 70 miliardi di yuan, pari a 11,2 miliardi di dollari. Cifre che non spaventano, soprattutto se necessarie a sviluppare le infrastrutture, punto cardine del nuovo piano di investimenti ripartito dopo l’incidente ferroviario di Wenzhou, nell’agosto del 2011 – oltre all’errore umano, all’origine del disastro c’era un “difetto di progettazione”. Sull’alta velocità Pechino intende investire sempre di più, e non a caso le autorità hanno sottolineato quanto importanti saranno i collegamenti su rotaia tra il centro della capitale e il nuovo scalo. I primi dati diffusi dalle autorità cinesi – da prendere con prudenza, vista la scarsa trasparenza del governo di Pechino – fanno pensare che la ripresa sia partita, anche se i numeri record degli anni Novanta sono da dimenticare: “Le stime della Banca mondiale per il 2013 parlano di una crescita del pil su base annua dell’8,4 per cento”, dice al Foglio Giuseppe Gabusi, docente di Economia politica internazionale e Politiche economiche dell’Asia orientale all’Università di Torino, che aggiunge: “La crescita è reale, anche se con- anni precedenti”. Il grosso timore, semmai, è l’aumento dell’inflazione: potrebbe essere questo, secondo un’analisi del New York Times pubblicata domenica scorsa, il nuovo problema capace di rallentare il ritmo del- Il governo annuncia grandi investimenti nelle infrastrutture: entro il 2018 sarà aperto al pubblico il nuovo aeroporto della capitale. Costo complessivo, 11 miliardi di dollari. L’inverno più rigido degli ultimi trent’anni penalizza le colture del nord e i prezzi raddoppiano tinua a essere sbilanciata sugli investimenti e molto dipendente dalle esportazioni, non a caso a questi dati si accompagna una timida ripresa del mercato statunitense”. A ogni modo, spiega Gabusi, “le stime sono plausibili”. D’altronde, la Cina è un paese come tutti gli altri, “esposto agli alti e bassi del ciclo economico globale”, ha detto al Financial Times Stephen King, capo economista di Hsbc, “ed è probabile che nel 2013 la sua economia riprenderà vigore, grazie a nuovi massicci investimenti nelle infrastrutture”. Proprio per questo, aggiunge King, “la crescita sarà più alta rispetto al 2012, ma nettamente inferiore rispetto agli l’economia cinese. A dicembre, il tasso d’inflazione è cresciuto del 2,5 per cento (a novembre era già aumentato del 2 per cento). Nulla di preoccupante, secondo il Wall Street Journal, ma il dubbio che le cifre siano altre è forte, come ha detto al Nyt l’economista Stephen Green, secondo cui l’inflazione reale potrebbe toccare il 5 per cento nel quarto trimestre, con la conseguenza che “la Banca centrale di Pechino potrebbe decidere l’aumento dei tassi d’interesse”. Gli investimenti diretti esteri calano I prezzi a dicembre sono cresciuti anche a causa dell’inverno più freddo degli ultimi trent’anni che ha messo in ginocchio le produzioni agricole del nord, solitamente abituato a un clima temperato. Si spiegano così gli aumenti repentini del 10 e 20 per cento su frutta e verdura, visti sabato scorso in un mercato di Guangzhou (Cina meridionale). Pochi si sono lamentati, almeno fino a ora: “Hanno capito che la colpa è del freddo”, spiegano i commercianti. Tuttavia – per evitare tensioni – l’agenzia di stampa ufficiale, Xinhua, precisa che il governo sta già correndo ai ripari grazie alle riserve di vegetali stoccate da tempo. Eppure, spiega Yao Wei, di Société Générale, ad aumentare non sono solo i prezzi dei mandarini nei mercati, ma anche gli affitti per le case: un rialzo del 3 per cento rispetto all’anno precedente. Al momento, dice Giuseppe Gabusi, “il dato sull’inflazione non è allarmante, anche perché in gran par- te risente dell’aumento dei prezzi dovuto alla scarsità del raccolto. Difficilmente l’inflazione supererà il 3,5 per cento, soglia considerata accettabile dal governo di Pechino per mantenere la stabilità sociale”. Considerato però “il continuo apprezzamento dello yuan e la necessità (impellente) di stabilire i consumi interni, le autorità dovranno essere estremamente vigili”, continua il nostro interlocutore. Il problema, spiega Gabusi, non è tanto l’esistenza di una bolla inflattiva pronta a scoppiare, quanto il fatto che “da anni si ripetano ondate di aumenti a due cifre dei prezzi alimentari”. Potrebbe essere questo il segnale di “un deterioramento del food security in Cina, legato alle criticità dell’agricoltura, settore trascurato già negli anni Novanta, e soprattutto al pesante inquinamento del suolo, dell’aria e dell’acqua”. Se i primi timidi segnali di una ripresa iniziano a intravvedersi e l’inflazione (per ora) non preoccupa più di tanto, qualche grattacapo in più lo danno gli investimenti diretti esteri in Cina, calati del 3,7 per cento rispetto al 2011. I costi di produzione nelle fabbriche dell’entroterra cinese sono sempre più alti, così come i salari, e le multinazionali iniziano a espandersi altrove, India, Indonesia e Vietnam. Nonostante ciò, se il mondo andrà incontro alla ripresa, molto dipenderà dalla Cina, dice Gabusi: “L’Europa non trainerà nulla, si dovrà guardare a Cina e Stati Uniti”. Anche se il pil di Pechino è un terzo rispetto a quello di Washington, “le sorti economiche dei due paesi sono collegate, in quanto la maggiore quota di profitti delle esportazioni cinesi finisce in aziende multinazionali (spesso americane) e la Cina è il maggior creditore degli Stati Uniti”. Saranno questi i due paesi capofila della ripresa, aggiunge il nostro interlocutore: “La locomotiva cinese ha bisogno dei vagoni occidentali e nel lungo periodo il processo di urbanizzazione in atto renderà l’andamento di quel mercato assai più cruciale per l’economia mondiale di quanto non lo sia ora”. Twitter @matteomatzuzzi La resistenza russa al “disordine morale” dell’Unione europea I n Russia, dopo la caduta del comunismo, la condizione delle minoranze sessuali (Lgbt) si è andata gradualmente normalizzando. Dal 1993 GORKY PARK CORNER - DI MASSIMO BOFFA l’omosessualità non è più un reato punito dal codice penale, come era all’epoca sovietica. Dal 2003 i gay possono fare il servizio militare. Dal 2008 possono donare il sangue. Nelle grandi città, come Mosca e San Pietroburgo, è visibile una vita sociale delle minoranze sessuali: club, discoteche, bar, luoghi di ritrovo di vario genere. Perfino i social network si sono aggiornati: dall’agosto scorso, Vkontakte (il concorrente russo di Facebook, 91 milioni di iscritti), dopo un’iniziale resistenza, ha accettato che gli utenti possano indicare nel loro status una relazione omosessuale. Eppure gli attivisti Lgbt considerano la Russia un paese omofobo, a causa del suo rifiuto di adeguarsi agli standard internazionali della “cultura gay”. Le autorità, infatti, sostenute dall’autorità morale della chiesa ortodossa, hanno idealmente tracciato una sorta di linea divisoria tra le libere inclinazioni della vita privata e le loro pubbliche manifestazioni. La municipalità di Mosca, per esempio, non ha mai dato l’autorizzazione allo svolgimento del Gay Pride (ragione per la quale, nel 2010, è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a pagare un indennizzo di trentamila euro al suo promotore, Nikolaj Alekseev, paladino dei diritti gay). Anche la rivendicazione di matrimoni tra persone dello stesso sesso ha sempre incontrato un netto diniego (è perfino escluso dalla Costituzione che, essendo recente e dunque figlia dei tempi, si è premurata di definire il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna). L’ultima pietra dello scandalo è la controversa legge, votata dal consiglio municipale di San Pietroburgo (e da alcune altre città, ma non Mosca), che vieta la “propaganda dell’omosessualità di fronte a minorenni”. All’interno del paese questo approccio, che mira a mantenere un equilibrio tra le libertà dell’individuo e i valori della tradizione, gode di un’approvazione ultra maggioritaria. I problemi si manifestano nei rapporti con le istituzioni europee, dove prevale invece un’idea radicale dei diritti e da dove vengono sempre più esercitate pressioni sulla Russia e invocate sanzioni: nel settembre scorso, alla conferenza sulla gioventù del Consiglio d’Europa tenutasi a San Pietroburgo, la parte russa – molto criticata per questo – si è rifiutata di approvare il documento finale nel quale era stato inserito un emendamento sulle minoranze sessuali. La rotta di collisione è, anche in questo caso, prima di tutto culturale. Un amico, che partecipa come osservatore ai lavori delle commissioni di Strasburgo, si sfoga ricorrendo a un classico argomento, molto in voga tra i suoi compatrioti: “A noi russi, l’Europa e l’occidente appaiono a volte come l’Impero romano negli ultimi anni della sua esistenza: disordine morale e decadenza. Non vogliamo seguirli su questa strada. E per questo ci attaccano”. Così la chiesa tedesca, ravveduta, ha chiuso con l’inquisizione Roma. C’era mezza Germania ieri sera davanti al talk-show “Beckmann”, dalle 22.45 sulla prima rete pubblica Ard. Tutti incollati ai teleschermi per guardare il duello fra colui che è divenuto il grande accusatore della chiesa cattolica, il criminologo Christian Pfeiffer, e il segretario della Conferenza episcopale del paese, il padre gesuita Hans Langendoerfer. Le accuse di Pfeiffer sono pesanti. Destituito all’improvviso nei giorni scorsi dell’incarico assunto nel 2010 di stanare per conto della stessa chiesa i preti pedofili, ha dichiarato “di non comprendere il motivo” della decisione e si è detto preoccupato che vescovi e clero possano tornare a “insabbiare” come un tempo. E a poco sono servite le parole di un grande vecchio dell’episcopato, il cardinale Karl Lehmann, che ha detto: “Noi non abbiamo niente da nascondere”. Così, invece, il vescovo di Münster, monsignor Felix Genn, ha respinto le accuse di Pfeiffer di U n viaggio che dura poche ore, da Francoforte a Heidelberg, sul convoglio trainato da una sbuffante locomotiva. Ma un viaggio che dura nove anni, ripercorsi nella memoria da Ludwig seduto nel vagone di prima classe di fronte alla donna che ama. Nove anni prima si erano incontrati per la prima volta nella casa di lei, la moglie del Consigliere G., il ricchissimo proprietario dell’industria chimica dove Ludwig lavorava. Aveva conosciuto la miseria e l’umiliazione, Ludwig, “era cresciuto alle mense dei poveri, arrabattandosi come maestro a domicilio ed educatore”, mentre di notte proseguiva gli studi. Era entrato nella grande fabbrica dal gradino più umile, era salito poco a poco con impegno e tenacia, finché il Consigliere, spesso costretto a casa dalla cattiva salute, gli aveva proposto di diventare suo segretario personale. Non voleva Ludwig, al principio, non voleva tornare in una di quelle case di ricchi dove era stato “un elemento decorativo come i fiori di magnolia sul tavolo”, vittima dello scherno di ragazzini viziati e ferito dalla condiscendente generosità dei padroni. Davanti all’alternativa del licenziamento però si era piegato. Era entrato in quella villa sontuosa con le spalle curve, cariche del peso della biancheria sfilacciata, del vestito liso; tutto di lui era fuori posto nella stanza luminosa e ben arredata che gli era stata assegnata. Ma era bastato che “censura” da parte della chiesa: “E’ vero casomai il contrario”, ha affermato. Era il 2010 quando la chiesa tedesca, sull’onda dei dati diffusi fra gli altri dall’agenzia tedesca Dpa che contava “più di 250 casi sospetti di preti pedofili” in 23 delle 27 diocesi tedesche – l’indignazione montò parecchio quando venne rivelato che i casi si erano verificati nel collegio gesuita Canisius di Berlino, a Monaco quando era arcivescovo Joseph Ratzinger, nel coro delle voci bianche di Ratisbona diretti dal fratello maggiore del Papa, Georg Ratzinger e infine a Friburgo sede vescovile dell’attuale capo dei vescovi Robert Zollitsch – affidò a Pfeiffer l’incarico d’indagare. Per svolgere al meglio il suo compito, al criminologo la chiesa cattolica concesse di accedere all’archivio di ogni sacerdote attivo sul territorio, anni giovanili compresi. L’esistenza di ogni sacerdote fu vagliata alla ricerca d’indizi. “Sull’onda di una isteria collettiva”, dice LIBRI Stefan Zweig IL VIAGGIO NEL PASSATO Ibis, 90 pp., 8 euro lei gli porgesse la mano, lo ringraziasse con un sorriso sincero, gli offrisse un’alleanza leale nel sostenere il marito, che il mondo di Ludwig si era capovolto. Lei lo trattava con cordialità schietta, lo colmava di discrete attenzioni – citava un libro in una conversazione, se lo ritrovava qualche giorno più tardi su uno scaffale –, ne aveva fatto uno di famiglia. Ma lui non si era accorto che il sentimento che li legava era un vero amore, non era possibile immaginarlo, lei così superiore, così leale, così pura; fino al giorno in cui il Consigliere lo aveva destinato a dirigere alcune miniere della società in Messico. All’annuncio della prossima separazione la passione era esplosa. Ma il tradimento non si era compiuto: “Non posso farlo qui, nella mia, nella sua casa. Ma al tuo ritorno, quando vorrai”. Due anni, avrebbe dovuto restare lontano; alla vigilia del rientro però era scoppiata la guerra: era prigioniero di là oggi al Foglio Guido Horst, direttore di Vatican Magazin e corrispondente da Roma per la Tagespost, “la chiesa aveva deciso di aprirsi totalmente alle ispezioni con tutti i rischi che ciò comportava”. Fra questi, il rischio reale che l’iter formativo d’ogni sacerdote, pregi e soprattutto difetti compresi, divenisse di fatto pubblico, a volte uscendo addirittura senza alcun preavviso sui quotidiani nazionali. Ciò che Pfeiffer però non ha preventivato è stata la reazione degli stessi sacerdoti. Un gruppo nutrito di loro è sceso nei mesi scorsi a Roma. Ha protestato chiedendo l’intervento del Vaticano contro quello che a loro dire altro non era che un “sopruso” della propria privacy. Il Vaticano si è fatto sentire con Zollitsch e Langendoerfer e immediatamenente a Pfeiffer è stato revocato l’incarico. Dice Horst: “E’ stato soprattutto Peter Beer, vescovo vicario di Monaco, a insistere col Vaticano per un intervento definitivo e la sua dell’oceano. Poco a poco, il ricordo di lei era sbiadito, Ludwig si era sposato, aveva due figli. Ma ora, a guerra finita, è tornato in Germania, non resiste alla tentazione di chiamarla. Si rivedono, il Consigliere è morto da tempo, Ludwig infine le chiede di mantenere l’antica promessa. Ed è così che partono per Heidelberg, dove allora avevano trascorso una meravigliosa domenica insieme ai bambini di lei. Ma il mondo è cambiato. All’arrivo si imbattono in una bellicosa manifestazione nazionalista. L’hotel dove si fermano è uno squallido alberghetto a ore. E anche loro devono riconoscere che non sono più gli stessi: “E con un brivido spaventato capì di colpo qual era il senso di quella rivelazione: non erano forse loro stessi, quelle ombre, che cercavano nel loro passato ponendo oscure domande a un tempo che non esisteva più, ombre che avrebbero voluto essere vive e non potevano più farlo perché né lei né lui erano più quelli di un tempo, eppure si cercavano invano e si sfuggivano aggrappandosi l’uno all’altro con sforzi inconsistenti e privi di energia come quei fantasmi neri ai loro piedi?”. Scritto nel 1929, a lungo disperso e pubblicato solo nel 1987, “Il viaggio nel passato” è, per quanto breve, una fulminante premonizione dello Zweig più maturo, il cantore disperato fino al suicidio dell’irreparabile scomparsa del “mondo di ieri”. linea ha prevalso. Secondo l’agenzia Dpa la collaborazione col criminologo sarebbe saltata in quanto la Conferenza episcopale tedesca avrebbe chiesto, a seguito di forti resistenze interne al clero contro l’indagine, di intervenire a posteriori sui risultati, di autorizzarli prima della pubblicazione e, all’occorrenza, addirittura di vietarli. Alcune diocesi, inoltre, sarebbero addirittura arrivate a distruggere in passato diversi atti sugli abusi e successivamente non avrebbero risposto alle richieste di chiarimento avanzate da Pfeiffer. “Eravamo partiti bene, ma all’improvviso sono emerse resistenze dall’arcidiocesi di Monaco e Frisinga”, ha detto Pfeiffer alla tv pubblica tedesca. “Ma in realtà” spiega ancora Horst, “la chiesa affiderà a un altro soggetto le indagini che oggi sono legittimamente chiuse semplicemente perché Pfeiffer lavorava senza avere più la fiducia dei vescovi e dello stesso clero”. IL FOGLIO quotidiano Direttore Responsabile: Giuliano Ferrara Vicedirettore Esecutivo: Maurizio Crippa Vicedirettore: Alessandro Giuli Coordinamento: Claudio Cerasa Redazione: Annalena Benini, Stefano Di Michele, Mattia Ferraresi, Marco Valerio Lo Prete, Giulio Meotti, Salvatore Merlo, Paola Peduzzi, Daniele Raineri, Marianna Rizzini, Paolo Rodari, Nicoletta Tiliacos, Piero Vietti, Vincino. Giuseppe Sottile (responsabile dell’inserto del sabato) Editore: Il Foglio Quotidiano società cooperativa Via Carroccio 12 - 20123 Milano Tel. 02/771295.1 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 Presidente: Giuseppe Spinelli Direttore Generale: Michele Buracchio Redazione Roma: Lungotevere Raffaello Sanzio 8/c 00153 Roma - Tel. 06.589090.1 - Fax 06.58335499 Registrazione Tribunale di Milano n. 611 del 7/12/1995 Telestampa Centro Italia srl - Loc. 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