Nessuno è come sembra. Breve saggio sulla letteratura migrante di
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Nessuno è come sembra. Breve saggio sulla letteratura migrante di
Nessuno è ciò che sembra. Breve incursione nella letteratura migrante di Brigitta Bianchi * Fervono i dibattiti sulla vitalità della lingua italiana connessi a quelli sull’unità del Paese. Segnalo, soltanto per citare gli ultimi contributi, il recente volumetto di Gian Luigi Beccaria Mia lingua italiana,1 le conferenze all’ultimo Salone del libro di Torino, l’articolo La lingua doc apparso su “Focus” di maggio2 e la simpatica e spumeggiante trasmissione radiofonica Salva con nome condotta settimanalmente da Lucia Cosmetico dagli studi regionali FVG della Rai. È ancora attuale, per certi versi, il distico conclusivo della quarta strofa dell’ode manzoniana Marzo 1821 (vv. 31-32) riferito alla nazione: «una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue, di cor». Intanto la “letteratura migrante” forse apporta nuova linfa alla comunque rigogliosa pianta della narrativa italiana. Si tratta di testi prodotti in lingua italiana da migranti, non di lingua madre italiana. Convenzionalmente si fa iniziare questa produzione con il racconto Villa Literno scritto in italiano da Tahar Ben Jelloun a quattro mani con quello che poi sarebbe diventato il suo traduttore ufficiale, Egi Volterrani. Nei primi anni Novanta interessa- * Docente di italiano e latino. 1 Einaudi 2011. 2 N. 223, pp. 78-84, a firma di Sabina Berra. 117 Brigitta Bianchi va alle case editrici rinnovare i propri cataloghi con storie “strane” e di denuncia. Molta strada si è percorsa da allora nel campo dell’editoria.3 Proporrò, a testimonianza della vitalità del filone, due esempi recenti di romanzi scritti in italiano da autori non di lingua madre italiana. A Trieste è ambientato Amiche per la pelle dell’indiana Laila Wadia.4 In un fatiscente stabile della centrale via Ungaretti, strada di fantasia, ma verisimile, abitano quattro famiglie extracomunitarie (una indiana, una cinese, una bosniaca e una albanese) e un burbero anziano triestino, il signor Rosso, per il quale tutti gli stranieri sono “negri”. La voce narrante è quella di Shanti Kumar, una trentenne indiana, che si definisce «tenera ma tenace» e osserva: «Sono diventata una specie di ibrido culturale e linguistico, ma il mio cuore è sempre rimasto in un sari: devi srotolare le cinque iarde di soffice e luccicante patina occidentale per sentire il suo vero battito.»5 Moglie di Ashok e madre di Kamla, italianizzata in Camilla, di cinque anni, la donna ha instaurato un rapporto vivace e solidale con la signora Fong, detta Bocciolo di rosa, con Marinka Zigović, moglie del bosniaco Bobo e mamma di due gemelli, e con Lule, moglie dell’ingegnere albanese Besim Dardani. «Lule è sempre elegantissima – con i corti capelli biondo scuro sempre a posto come se andasse dalla parrucchiera ogni mattina. È alta e slanciata e cammina con la sicurezza di un’attrice. Assomiglia vagamente a Virna Lisi.»6 Con orgoglio Shanti racconta della comune decisione di prendere lezioni di italiano dalla signora Laura, ex insegnante di scuola media. «È una donna alta e magra, e ha lunghi capelli argentati 3 In merito, segnalo il recente e sintetico contributo a firma di Filippo La Porta, L’italiano come scelta, “Domenicale del Sole 24 Ore”, 21 agosto 2011. 4 Edizioni e/o 2009 (orig. 2007). 5 Ivi, p. 140. 6 Ivi, p. 36. 118 Nessuno è ciò che sembra che porta sciolti come una quindicenne. Profonde rughe si irradiano dai suoi occhi grigioverdi, ma sono rughe di una donna appagata, che ha vissuto la sua vita come voleva. Assieme ai verbi irregolari e alla “s” impura, cerca di inculcarci l’importanza di questa libertà, e spesso ci parla di quello che l’emancipazione femminile ha significato per la sua città natale»7. Laura le porta una volta a fare lezione al caffè San Marco, un’altra a un concerto al Ridotto del teatro Verdi,8 un’altra ancora assegna loro il compito di andare a visitare il castello di Miramare per scrivere poi le loro impressioni. Le quattro donne ci vanno in autobus con le loro famiglie e durante questa piacevole gita hanno modo di entrare in contatto diretto, soprattutto linguistico, con una tipica anziana triestina chiacchierona, che ovviamente comunica in dialetto, pur avendo ben capito di aver di fronte degli stranieri (chi non conosce questo tipo di donna, qui a Trieste?!). «Gli anziani – e soprattutto le anziane – di questa città sono assai eccentrici. Hanno un’energia e una grinta da far invidia ai ventenni, e sugli autobus spingono e imprecano come gli adolescenti con i loro enormi zaini sulle spalle. Tanti si sentono molto soli. Alla fermata ti raccontano tutta la loro vita – figli, malattie, disgrazie delle loro vicine di casa – quasi foste vecchi amici. Poi salgono sull’autobus e fanno finta di non averti mai visto prima, mentre ti strattonano per accaparrarsi un posto.»9 Anche il signor Rosso appartiene a questa categoria di energici e scontrosi triestini, ma la piccola Kamla riesce a far breccia in un temperamento che la Wadia definisce con gusto «da pentola a pressione con la valvola difettosa»10 e gli fa sgorgare dal petto 7 Ivi, p. 54. Ivi, p. 71. Gustosi i fraintendimenti delle quattro amiche su che cosa possa essere un quartetto d’archi. 9 Ivi, p. 90. 10 Ivi, p. 17. 8 119 Brigitta Bianchi «una risata che aveva soffocato per decenni. Come il tappo di una bottiglia di spumante»11. Si scopre che il vecchio è una persona colta, che insegna a memoria alla bambina poesie di Ungaretti e di Saba tra lo stupore e il compiacimento dei genitori. Inizialmente scettico è il padre Ashok, che sbotta: «Ungaretti? È una persona? Pensavo che fosse un posto, come Fernetti»12. La vita quotidiana dei condomini scorre veloce tra routine, animate discussioni, condivisioni di cibo, che possono anche generare incomprensioni e amarezze. Percependo la diffidenza delle amiche nei confronti della sua jota, la bosniaca Marinka esplode: «”Voi volete essere diversi. Vi crogiolate nel vostro stato di miserevoli stranieri! Vi ostinate ad aggrapparvi al vostro passato, a un tempo e un paese che non esistono più al di fuori della vostra fantasia. Che senso ha prendere lezioni d’italiano? Spaccarvi la testa per imparare la coniugazione dei verbi? Sforzarvi di leggere I promessi sposi e andare al cinema a vedere Il postino? Se rifiutate le basi di una cultura, la sua cucina, cioè, se non riuscite a mandare giù nemmeno un boccone di jota, come intendete digerire la vita in questo paese?” E ha sbattuto la porta a mo’ di punto esclamativo alla sua arringa.»13 Arriva il giorno in cui gli inquilini ricevono dal padrone di casa una lettera, che ingiunge loro di lasciare lo stabile entro sessanta giorni in quanto l’edificio, risultato pericolante, deve essere sottoposto a manutenzione straordinaria. Le famiglie sgomente devono innanzitutto cimentarsi con l’incomprensibile linguaggio burocratico. «Chi diavolo era S.V. ad esempio? Io sono S.K., Shanti Kumar.»14 Affrontano poi l’affannosa ricerca di una sistemazione alternativa e di un’occupazione per le donne, che consentirebbe loro una 11 Ivi, p. 28. Ivi, p. 31. 13 Ivi, p. 51. 14 Ivi, p. 98. 12 120 Nessuno è ciò che sembra maggiore disponibilità di denaro. Marinka trova lavoro come donna delle pulizie, Shanti come babysitter. È in questa occasione che l’eleganza e il benessere di Lule vengono drasticamente ridimensionati con curiosità e sollievo delle altre. Ma anche la soluzione che giunge inaspettata da parte della famiglia Fong, e poi pure dal signor Rosso («Nemmeno in un film indiano ho sentito una storia così incredibile, penso», commenta Shanti)15, ridimensiona (in positivo) la percezione dell’altro che si ha in questo condominio. La lingua di Laila Wadia è piana e scorrevole, lo stile denota acutezza e capacità di cogliere anche nel particolare le caratteristiche espressive di vari gruppi linguistici. «Due persone che vogliono abbattere il muro linguistico tra di loro sono due esseri ansiosi di costruire un mondo migliore. E noi, armate di mattoni – libri di grammatica e di esercizi, vocabolari e audiocassette – e con tanto cemento di buona volontà, stiamo tirando su con non poco sacrificio l’impalcatura del nostro futuro. […] Lule ha detto che sarebbe stato più produttivo trovarci un’insegnante privata. Avremmo avuto più tempo per risolvere i nostri problemi individuali con la lingua. La “r” di Bocciolo di rosa, kvindi la “kv” di Marinka, la mia eterna lotta con i generi e gli accenti. Lule, chiaramente, doveva solo ampliare il suo lessico già notevole.»16 I mariti non capiscono il bisogno delle loro mogli di imparare bene l’italiano. «Ai loro occhi spendere tre euro a testa all’ora e passare settimane intere a declinare verbi è uno spreco, un delitto, quasi. A Bobo non importa parlare spruzzando l’italiano con parole nella sua lingua e in triestino, Ashok sbaglia spesso accento, e Besim e il signor Fong sono così parchi di parole che i loro sbagli passano quasi inosservati.»17 Spicca, come 15 Ivi, p. 153. Ivi, p. 53. 17 Ivi, p. 59. 16 121 Brigitta Bianchi si è già accennato in precedenza, la capacità della Wadia di creare paragoni icastici. Il vecchio proprietario dello stabile, il signor Zacchigna, aveva una voce «da sturalavandino»18 e, se stringeva la mano, «la stritolava come uno spicchio d’aglio nel mixer»19. Marinka si esprime «con un singhiozzo che la fa tremare come un budino», «ha il cuore fatto di mozzarella, basta un niente e si scioglie»20; una domanda le esce dalla bocca «come il fuoco da una mitragliatrice al rallentatore»21; ancora, con dei tacchi alti insoliti per lei, muove i passi «un po’ incerti, come se fosse un pianoforte a coda che qualcuno spingeva da dietro»22; «suda come una fetta di melanzana sotto sale»23. Il signor Rosso «bussa alla porta come un martello pneumatico» e «aveva il riporto grigio che gli penzolava dalla parte sbagliata come un topo morto»24. Kamla ha una «vocina dolce come lo zucchero filato»25. I mobili, dice Shanti, «li abbiamo messi insieme come dei trovatelli in un orfanotrofio»26. Bocciolo di rosa «ha la pelle liscia come l’interno di una conchiglia di madreperla»27. Laura sbatte le ciglia «come un ventaglio a ferragosto»28. 18 Ivi, p. 10. Ivi, p. 11. 20 Ivi, p. 14. 21 Ivi, p. 49. 22 Ivi, p. 68. 23 Ivi, p. 131. 24 Ivi, p. 20. 25 Ivi, p. 27. 26 Ivi, p. 38. 27 Ivi, p. 52. 28 Ivi, p. 56. 19 122 Nessuno è ciò che sembra Roma è lo sfondo del romanzo dell’algerino Amara Lakhous Divorzio all’islamica a viale Marconi.29 Due voci si rincorrono e si intrecciano durante tutta la storia: quella del tunisino Issa (il corrispettivo di Gesù per i musulmani), al secolo Christian Mazzari, giovane siciliano che parla perfettamente l’arabo, in missione per il Sismi; e quella di Sofia, l’egiziana Safia, madre di Aida e moglie dell’architetto Said, che a Roma lavora come pizzaiolo e si fa chiamare Felice. È la primavera del 2005 e sembra che i servizi segreti italiani abbiano ricevuto la notizia che un gruppo di immigrati musulmani sta preparando un attentato nella zona di viale Marconi, vicino all’università Roma Tre. Si rende necessario quindi infiltrare una persona, Christian appunto, nella comunità araba musulmana a Roma, che gravita intorno al call center chiamato Little Cairo gestito dall’egiziano Akram. Questi propone a Issa prima un posto letto con altri undici immigrati nell’appartamento della sessantenne Teresa, soprannominata Vacanza, e poi un impiego come lavapiatti proprio nella pizzeria dove lavora Felice. Christian deve calarsi nel suo personaggio, sembrare ciò che non è, ma che gli riesce facile essere, salvo in alcuni frangenti. «Mi accorgo di un problema che avevo completamente sottovalutato: per sembrare credibile devo parlare un italiano stentato, e pure un po’ sgrammaticato. A volte mi capita di dimenticare la parte che sto interpretando. Mi devo identificare nel personaggio Issa, un immigrato tunisino. Cerco di ricordare la parlata dei miei conoscenti arabi, soprattutto di quelli tunisini. Devo imitare anche il loro accento. L’ideale è parlare un italiano con una doppia cadenza: araba, perché sono tunisino, e siciliana, perché sono un immigrato che ha vissuto in Sicilia. Forse meno italiano parlo meglio sarà. Decido senza esitazione di sospendere momentane- 29 Edizioni e/o 2010. 123 Brigitta Bianchi amente molte regole grammaticali, quindi via il congiuntivo e il passato remoto.»30 È il bengalese Omar a iniziare Christian/Issa alla vita dell’appartamento e anche a fornirgli spiegazioni su che cosa significhi essere immigrato. Issa si adatta con qualche difficoltà alla convivenza forzata, ma impara a conoscere i suoi vicini di letto e riesce pure ad aiutarne qualcuno, mandando in bestia Giuda, cioè il capitano Tassarotti del Sismi, il suo superiore che lo guida da un appartamento in via Nazionale, dove Issa può anche tornare per qualche attimo alla sua vita precedente, facendosi una doccia o leggendo le e-mail. Su un binario parallelo scorre la narrazione di Sofia, laureata in lingue, parrucchiera di nascosto dal marito, che le ha imposto l’uso del velo. «Mettere il velo? Forse non avevo capito bene. Ma noi saremmo andati a vivere in Italia o in Iran? Il velo è per caso obbligatorio a Roma? Felice non scherzava affatto. Un vero colpo basso. Un pugno sotto la cintura. Se fossimo stati sul ring l’arbitro l’avrebbe subito ammonito e io avrei guadagnato dei punti. Forse avrei pure vinto, alla fine. Ci sono delle regole del gioco da rispettare, o sbaglio? Il vero problema è che viviamo in una società nella quale il maschio fa contemporaneamente l’avversario e l’arbitro. Noi donne che dobbiamo fare? Potremmo mai vincere in questa situazione?»31 Se il racconto di Issa è fortemente incentrato sulla sua integrazione, quello di Sofia ci ragguaglia sul suo passato e ci svela i suoi pensieri e i suoi dubbi di giovane donna immigrata. «Vogliamo parlare della poligamia nel Corano? Non ho paura. Sono pronta. Non ho fatto studi all’università religiosa di Al-Azhar, però ho letto un sacco di libri sull’argomento. Dunque, i versetti dedicati alla poligamia sono soltanto tre e si trovano nel capito- 30 31 Ivi, p. 45. Ivi, p. 39. 124 Nessuno è ciò che sembra lo intitolato “Le donne”. Ecco cosa dicono esattamente: “Sposate allora fra le donne che vi piacciono due o tre o quattro, e se temete di non essere giusti con loro, allora una sola”. Fine della citazione. Secondo il mio modesto parere, la poligamia è vincolata a condizioni impossibili da rispettare. Voglio proprio vedere come farà il signor poligamo a essere giusto con quattro mogli! Infatti, dovrà dividere in maniera precisa tutto in quattro: il tempo, i soldi, i baci, i regali eccetera eccetera. È più facile vedere la luna a mezzogiorno che trattare quattro mogli in modo identico! È una roba infernale che porta direttamente in manicomio. Povero poligamo? Povero un corno! Peggio per lui.» 32 Sofia è una donna colta (frequenta la biblioteca) e socievole: la sua amica del cuore, l’algerina Samira, abita nel suo stesso palazzo, ma sovente Sofia incontra anche l’italiana Giulia e l’albanese Dorina al giardino di piazza Meucci. Queste forse non sono amiche per la pelle, come le donne di Laila Wadia, ma si confrontano e crescono insieme. Parlano di maternità, di divorzio, di chirurgia estetica. «La mia teoria è semplice: il velo non è sempre di stoffa, ci sono altri trucchi, paragonabili al nostro velo, che nascondono altre parti del corpo. E allora? Allora niente. Insomma, il seno rifatto nasconde il seno originale, il naso rifatto nasconde il naso originale, le labbra rifatte nascondono le labbra originali e così via.»33 Anche con queste amiche c’è l’anziano burbero, il signor Giovanni, a cui Dorina fa da badante. Egli legge La Padania, Libero e Il Giornale, ma, quando è triste, per sfogarsi prendendosela con i partigiani, legge Il Manifesto! Per un pianto di Sofia al call center e un provvidenziale fazzoletto porto da Issa, le due storie si intrecciano e gli stessi episodi vengono narrati dai due punti di vista. All’inizio lui per lei è solo un ragazzo con i baffi che le offre un fazzoletto, ma poi diventa 32 33 Ivi, pp. 60-61. Ivi, p. 101. 125 Brigitta Bianchi “il Marcello arabo”34 dopo un sogno sulla Dolce vita. Sì, perché ad entrambe le voci il cinema italiano è molto familiare: se Sofia dimostra spiccate preferenze per i film con Marcello Mastroianni, Issa spazia da Nanni Moretti a Federico Fellini, da Anna Magnani ad Alberto Sordi. I due si rivedono in biblioteca e poi al mercato dove Issa rischia di far saltare la sua copertura prendendo le difese di Sofia, che è stata spinta da un arrogante cinquantenne. Lei commenta: «Da quando vivo in Italia non ho mai sentito un arabo, un immigrato, uno straniero parlare un italiano così perfetto.»35 L’assimilazione di Issa continua e il capitano Giuda gli chiede di infiltrarsi nella moschea della Pace. Dopo un’iniziale ritrosia Issa riflette: «Ma perché lamentarmi? Questa è una vera occasione. Potrebbe essere un’esperienza unica che arricchirebbe il mio curriculum di orientalista, o meglio di arabista, come si usa dire in ambito accademico. Ho sempre guardato con diffidenza a quegli occidentali che vivono nei paesi arabi per anni senza sforzarsi minimamente di imparare l’arabo, e rimangono sempre dei turisti odiosi, superficiali e viziati, insopportabili! Credono di conoscere il paese in cui vivono, e invece non sanno una minchia!»36 Bisogna specificare che Christian, la sua famiglia e la sua ragazza Marta vivono in Sicilia, a Mazara del Vallo, e fin dalle prime pagine del libro la lingua di Issa riflette questo dato sia sul piano lessicale che su quello sintattico. Sono soprattutto i suoi proverbi a portarci in Sicilia: «Cu’ parra picca campa cent’anni!»37 Ma proverbi ce ne sono anche in arabo e in francese e sono perle di saggezza come quelle di padron ’Ntoni ne I Malavoglia. Sofia, dal canto suo, confessa con orgoglio di parlare bene l’italiano: «Mi è capitato di essere scambiata per un’italiana con- 34 Ivi, p. 100. Ivi, p. 105. 36 Ivi, p. 140. 37 Ivi, p. 46. 35 126 Nessuno è ciò che sembra vertita all’Islam oppure per una nata o arrivata da piccola in Italia.»38 Sottolinea invece che il marito, come tanti egiziani, non riesce a pronunciare la “p” e immagina un’esilarante scenetta in cui Felice e «un altro orfano della lettera p» dialoghino in italiano al Little Cairo. A questo punto la vicenda si complica, come in Amiche per la pelle, e avvengono due colpi di scena, che coinvolgono entrambi Issa, con i quali il romanzo si conclude. La narrazione scorrevole, la lingua particolare e gli interessanti punti di vista di immigrati sull’Italia e anche sui loro Paesi d’origine mi hanno indotto a proporre i due romanzi a studenti di una quinta ginnasiale in cui ho avuto la ventura di insegnare geografia. Gli alunni hanno accolto di buon grado il suggerimento e quasi tutti hanno letto un romanzo o l’altro e ne hanno vivacemente discusso in classe. Del libro di Lakhous hanno messo in evidenza l’attualità della tematica e il contributo che fornisce all’abbattimento di pregiudizi sul mondo arabo. Sono rimasti colpiti dal fatto che gli immigrati arrivano in Italia carichi di aspettative e lì si accorgono che gli italiani, scontenti, abbandonano il loro Paese. I ragazzi hanno espresso qualche riserva sullo stile: non hanno gradito stilemi che caratterizzassero anche linguisticamente un personaggio e si sono trovati a disagio davanti al siciliano o al romanesco, che talvolta compaiono nel testo. Comicità, ironia e triestinità sono stati gli elementi del gradimento di Amiche per la pelle. Gli alunni sono rimasti colpiti dal senso del passato, che dimostrano le quattro donne. Hanno imparato che non bisogna fidarsi delle apparenze. Chiave portante di tutta la storia è, secondo loro, la condizione della donna. Entrambi i libri sono calorosamente consigliati dai ragazzi. 38 Ivi, p. 81. 127