Ricette - Infoteca

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M. COSTA
islam
Federico Messersì
BARICELLA (BO)
aricella è un paese di 6.200
abitanti a pochi chilometri da
Bologna, in direzione di Ferrara. Il paesaggio, il clima, il background
culturale sono quelli tipici della pianura padana e Baricella non presenta caratteristiche peculiari se non quella di
ospitare una discreta comunità di immigrati di fede e cultura islamica, provenienti in particolare dal Marocco.
Gli stranieri qui residenti - circa il 7%
della popolazione - sono impegnati
prevalentemente nell’industria e nell’agricoltura. Nella maggior parte dei
casi gli uomini - i primi ad arrivare sono stati raggiunti dalle famiglie, per
cui vi sono anche donne che portano
avanti la casa e bambini nelle scuole.
Nell’ambito di una ricerca per la tesi
universitaria, abbiamo scelto Baricella
per studiare l’alimentazione degli immigrati musulmani e i processi culturali connessi: sia la quotidiana alimentazione domestica, sia quella sul luogo
di lavoro, nelle mense, sia, infine,
quella «straordinaria» delle feste con
piatti tradizionali.
B
LA MACELLAZIONE
I piatti marocchini maggiormente cucinati in Italia sono il cous-cous (piatto preparato con semola, verdure, carne di mucca, agnello, pecora o pesce),
il tagine (ricetta che prende il nome
dal vassoio in cui viene cucinata e
servita, preparata con cipolla, pomodoro, patate, carote, il tutto unito a
carne di vitello e di pollo), l’harira
(minestrina di zafferano, ceci, farina,
fagioli e carne di qualsiasi tipo, eccetto il maiale). Per preparare questi piatti, gli immigrati comprano gli ingredienti nei mercati o supermercati, a
eccezione della carne. Questa, infatti,
secondo le consuetudini musulmane,
va acquistata nelle macellerie islamiche, le quali, a loro volta, la comprano da macelli italiani per poi macellarla secondo il rito islamico e rivenderla ai musulmani.
Ricette
miste
Perché i musulmani seguono precise regole
per la preparazione di alcuni cibi e ne rifiutano
altri? Come cambiano queste consuetudini
in Italia? Un giovane studioso ha provato a dare
alcune risposte. Incontrando gli immigrati
di un paese nel bolognese
La macellazione islamica (dabh, in
arabo) deve seguire alcune regole precise: anzitutto, bisogna rivolgere
l’animale verso la Mecca, occorre poi
pronunciare le parole «Dio è grande»
mentre si taglia il collo dell’animale
con un coltello affilato affinché esca
tutto il sangue, elemento considerato
impuro. Naturalmente in Italia non è
possibile praticare questa macellazione «in proprio», per elementari norme
igieniche. Tuttavia, anche nel caso di
macelli eseguiti in strutture adeguate,
la pratica del dabh ha creato difficoltà fino ad alcuni anni fa: la legislazione italiana, infatti, imponeva di stordire l’animale, mentre il rito islamico
prevede che l’animale sia cosciente.
Una legge del 1980 ha risolto il problema, autorizzando la macellazione
secondo i riti religiosi ebraico e islamico, dunque escludendo l’obbligo di
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islam
previo stordimento dell’animale. Dopo
questa legge sono nate appunto le
macellerie islamiche.
Ma perché si seguono queste regole?
Dai dialoghi avuti con i marocchini di
Baricella emergono risposte particolari. Alcuni, come Amir, in Italia da
più di dieci anni, ritengono che attenersi alla pratica del dabh faccia bene
all’essere umano; infatti «l’islam parla sempre per il bene dei fedeli». Più
precisamente, «si fa così per far uscire il sangue dell’animale, che è nocivo per l’uomo». La dimostrazione è
data - secondo Amir - dal fatto che «i
non musulmani affetti da tumore sono più numerosi dei fedeli dell’islam»
e «le donne musulmane non hanno le
vene varicose come le donne cristiane che mangiano carni con sangue e
il maiale».
Amir ha però aggiunto una precisazione significativa su come molte persone immigrate siano comunque disponibili a modificare alcuni aspetti
importanti della
Al di là del
propria cultura in
valore identitario nome di altre esiassegnato
genze, come la
a luoghi, riti
sopravvivenza o
l’integrazione.
o regole, si nota
Secondo Amir, se
che non esiste
un musulmano
un unico islam,
non trova niente
esistono
da mangiare ecle pratiche
cetto carne già
di singoli o
piccole comunità macellata secondo un rito non
islamico, può cuocerla dicendo «Dio
è grande» e ripetendo la formula prima di mangiare: questo perché «è la
preghiera ciò che rende puro il musulmano».
Un altro atteggiamento interessante è
quello di Koubi, padre di famiglia.
Egli ha deciso di lasciar mangiare ai
suoi figli la carne della mensa scolastica che mangiano gli altri bambini,
«perché è più importante che si integrino nel Paese e imparino a convivere insieme ai coetanei italiani. Quando saranno grandi decideranno da soli che cosa mangiare».
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Koubi si sta anche impegnando per
creare l’associazione Amici del Marocco, che avrà come finalità quella di
far conoscere la cultura marocchina
agli abitanti di Baricella. «Questo può
avvenire - dice - dando la possibilità
agli italiani di scoprire come vivono i
marocchini in Italia, ma anche nel nostro Paese». Per questo ha già organizzato un viaggio in Marocco in cui i
partecipanti italiani hanno avuto modo di conoscere la cultura locale, anche culinaria, e di capire quale importanza ricoprono l’ospitalità e il condividere i pasti.
NO AL MAIALE
Escluso da ogni tipo di macellazione
che possa purificarlo è il maiale, hinzir in arabo, che è del tutto proibito
dalla religione islamica. Alcuni studiosi ritengono che il divieto religioso
sia nato per far diventare legge quella
che era una necessità data dalle condizioni ambientali in cui vivevano sia
il popolo ebraico sia le comunità musulmane. I maiali, infatti, sono poco
adatti alla vita nomade e non producono né lana né latte: nelle terre mediorientali era decisamente meglio allevare mucche e capre.
La motivazione data dalle persone incontrate a Baricella è molto diversa:
nella loro visione il maiale è vietato
perché è un animale che mangia altra
carne («mangia la carne degli uomini,
se li trova morti»), perché è sporco («è
l’unico animale che mangia le proprie
feci»), perché c’è una parte nel suo
corpo che fa male («una parte che non
si sa dov’è, perché è una cosa che si
muove»). Quindi il maiale sarebbe impuro perché, a sua volta, mangia carne non pura; questa impurità, tuttavia, non è localizzata in una parte
precisa del corpo, ma fluttua, si muove e quindi rende pericoloso tutto
l’animale.
Queste spiegazioni sono interessanti
perché coincidono con alcune teorie
antropologiche che tentano di spiegare perché un cibo è proibito in una
cultura e amato in un’altra: una teo-
ria è quella dell’incorporazione dell’impurità, un’altra è quella per cui
ciò che è impuro è spesso pensato e
rappresentato come qualcosa di mobile, difficile da localizzare in una
parte di un animale. Questo proprio
perché nei sistemi di classificazione
che le diverse culture usano per distinguere ciò che è buono da ciò che
è cattivo, quel che è difficile da definire, catturare e imprigionare con un
nome diventa pericoloso.
Per quanto riguarda l’alcol, i marocchini di Baricella spiegano che nel
Corano ci sono vari passaggi che
proibiscono l’uso del vino, e dell’alcol
in genere. Inizialmente non era proibito bere, ma quando Maometto si
accorse che l’alcol impediva ai suoi
compagni di pregare rispettando le
posizioni che bisogna assumere e recitando a memoria le sure, dapprima
lo sconsigliò e infine lo proibì del tutto. La spiegazione quindi è semplice:
l’alcol fa male alla persona, «non ti fa
agire con la testa» durante la preghiera e nemmeno durante le altre azioni
della giornata.
M. COSTA
Nella pagina precedente,
l’interno di una macelleria islamica.
A sinistra, la preparazione del kebap,
tipico piatto di carne della gastronomia
turca, persiana e araba.
In questo caso, però, tutte le persone
incontrate hanno ammesso di avere
bevuto alcolici, specie in gioventù.
Gli adulti affermano di avere smesso
dopo avere compreso che il precetto è
giusto. I più giovani non hanno voluto parlare della propria esperienza
personale e di come la frequentazione dei coetanei italiani influenzi il loro rapporto con l’alcol. Queste reticenze fanno supporre che, per un
musulmano, il consumo di alcolici sia
molto più difficile da limitare rispetto
a quello, per esempio, della carne di
maiale e che in questo campo le differenze culturali tra contesto di partenza e contesto di arrivo siano molto labili.
PIATTI CONDIVISI
Nella cultura islamica le regole alimentari trovano fondamento nel Corano e non hanno l’obiettivo di regolare i rapporti tra gli uomini - come
le sure che si occupano ad esempio di
matrimonio o dei reati -, ma riguardano direttamente il rapporto tra uomo e Dio. In questo campo rientrano
altri obblighi come quelli del digiuno, dell’elemosina, del pellegrinaggio
alla Mecca.
Nel pensiero islamico il cibo è una
grazia divina, il Corano ne esalta i benefici e invita l’uomo a mangiare le
cose buone che Dio ha creato per lui e
ad astenersi da quelle impure: non è
quindi un sistema improntato sul sacrificio per espiare i peccati ed è più
corretto parlare di regole con una loro razionalità, per quanto soprannaturale, piuttosto che di divieti. Queste
regole, dettate da Dio a Maometto e
scritte per sempre nel Corano, sono
però vissute da fedeli che, sempre più
spesso, vivono la realtà dell’emigrazione in Paesi stranieri. In questi casi
la religione viene spesso riscoperta e
vissuta con più convinzione perché
diventa un modo per sentirsi vicini alla propria terra di origine o anche per
ricreare una piccola comunità che si
identifica rispettando le stesse pratiche alimentari, o frequentando la
stessa moschea ogni venerdì per la
preghiera comunitaria. In questo senso anche le macellerie islamiche diventano quindi luoghi in cui sentirsi a
casa, in cui ricreare una comunità che
ricorda la terra natia.
Ma, al di là del valore identitario assegnato a luoghi, riti o regole, si nota
- come mette in luce il caso di Baricella - che non esiste un unico islam,
esistono piuttosto le pratiche dei singoli (o delle piccole comunità) che
realizzano ciascuno in maniera diversa la stessa struttura culturale e religiosa, modificandola e trasformandola in base alle esigenze pratiche, all’incontro con l’altro e ai compromessi
necessari quando si emigra in un’altra
società. Non si può affermare né che
gli immigrati perdano la loro cultura
arrivando nel nostro Paese, né che
questa cultura resti identica, né, infine, che la nostra cultura rimanga intatta e impermeabile. Con l’arrivo di
persone straniere si viene a creare una
nuova identità, che è una mediazione
tra le due precedenti all’incontro; questa nuova identità non è stabile, ma
cambia continuamente in base al costante confronto e scambio.
A Baricella l’esempio più evidente è
nel menù delle mense scolastiche, dove negli ultimi anni si è aggiunta la
possibilità di avere un primo o un secondo senza la carne di maiale. Non si
sono mescolati i sapori, ma il bambino Koubi ha deciso
musulmano siede a di lasciar
tavola con i compa- mangiare ai suoi
gni italiani portan- figli la carne
do la sua cultura, della mensa
dicendo che è possi- scolastica che
bile far convivere mangiano gli altri
tante diversità. Su bambini, «perché
invito del prete del è più importante
paese, la comunità che si integrino
marocchina ha poi nel Paese»
iniziato a svolgere
alcune feste tradizionali nei locali della parrocchia, feste a cui spesso si uniscono i compaesani italiani. È così
possibile mangiare insieme i piatti cucinati dalle donne marocchine e non è
raro che qualche signora italiana porti un dolce bolognese, una pizza, una
torta salata. I piatti «misti», o meglio i
piatti «condivisi» che si vengono a
creare possono essere allora un ottimo
specchio di come le due culture mettono in comune i rispettivi sapori,
dando vita a una nuova e fantasiosa
ricetta per la convivenza.
PER SAPERNE DI PIÙ
Marco Aime
Eccessi di culture
Einaudi, Torino 2004, euro 8
Agostino Cilardo
Il diritto islamico e il sistema
giuridico italiano
Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli 2002, euro 24,8
Francesca Ersilia
Introduzione alle regole
alimentari islamiche
Pubblicazioni dell’Istituto
per l’Oriente C.A. Nallino
Roma 1995, euro 4,65
Silvio Ferrari (a cura di)
Musulmani in Italia
Il Mulino, Bologna 2000,
euro 16,5