Destiny - Anteprima
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GIULIA PEROÒ Destiny - Anteprima UUID: 3e6e9354-5931-11e4-b596-ed5308d36374 T h i s e b o o k w a s c r e a t e d w i t h B a c kTy p o ( h t t p : // b a c k t y p o . c o m ) by Simplicissimus Book Farm Table of contents Intro Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 INTRO La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare. (Arthur Schopenauer) Una goccia, due gocce. Presto divennero tante, troppe. Katie riusciva a malapena a distinguere due forme confuse che si scontravano nel cielo. Non vedeva altro. Restava lì, immobile, troppo stordita da ciò che stava succedendo lassù per provare a muoversi. L’unica cosa che sembrava essere ancora in grado di fare era tenere la mano stretta sul ginocchio e rabbrividire. Perché stava succedendo tutto quello? Lyer stava combattendo, stava rischiando la sua vita... e per che cosa? Per lei, una ragazza che non aveva mai conosciuto, una ragazza che, almeno secondo lui, doveva essere protetta a qualunque costo. Una lacrima le scese lentamente sul viso, mischiandosi alle gocce di pioggia. Niente stava andando come doveva andare. Perché non era rimasto tutto tranquillo, tutto com’era, come doveva essere? Invece adesso non sapeva più nulla. Non sapeva cosa stesse succedendo in quel cielo, non sapeva cosa sarebbe successo in futuro, non sapeva se sarebbe riuscita a tornare a casa. A casa... CAPITOLO 1 Silenzio. C’era silenzio. I fiocchi continuavano a cadere, inesorabili, mentre un vento gelido tormentava senza sosta la campagna innevata. Quell’anno l’inverno si era scatenato in tutta la sua forza e quel giorno avrebbe segnato per sempre la vita di molte persone. Avrebbe cambiato tutto. Una folta nebbia era scesa sulle ghiacciate, mentre un rumore distese lontano si avvicinava velocemente. Eppure, invece di proseguire fino ad allontanarsi, quel rombo si trasformò in un assordante boato e un serpeggiante filo di fumo grigio si levò sopra gli alberi, disperdendosi tra la nebbia. Nascoste tra le fitte trame del buio della notte, le lamiere contorte di un’auto giacevano sparse sulla neve. Un flebile lamento arrivava da quel groviglio, da una bambina che si era miracolosamente salvata. Una bambina il cui futuro sembrava ormai deciso. Ma il destino aveva ben altri progetti per lei. Era troppo importante perché morisse lì, troppo importante perché non potesse compiere ciò a cui era destinata. La vita di molte persone, l’esistenza di due interi mondi dipendevano da quell’esserino che si agitava, inerme, al freddo della tormenta. Mancava ancora poco. Sarebbe presto arrivato da lei il suo salvatore. * Ted brontolò, rassegnato. Nessuno sano di mente sarebbe mai uscito di casa con quel tempo. Il vento continuava imperterrito ad ululare nella tormenta, e la nevicata non accennava ancora a diminuire, ma il fuoco stava per spegnersi e in casa la legna da ardere ormai era finita. Forse, si disse, i vicini avrebbero potuto prestargliene un po’. Lui ormai aveva finito anche la scorta che aveva comprato e assolutamente con quella bisogno di tempesta scaldare aveva la sua famiglia. Sempre brontolando si diresse a passi pesanti verso la porta, cercando di trovare il coraggio per affrontare la bufera. Quell’inverno era stato particolarmente freddo, ma non c’era stato alcun segno che facesse presagire una tale nevicata. Nulla che gli facesse capire che bisognava correre ai ripari, o che permettesse loro di fare gli opportuni preparativi. “Papà non dovresti uscire. Hai visto che tempo? Se aspetti ancora un po’ forse si calmerà.” Ted si voltò, mentre un ragazzo biondo veniva verso di lui. “Lucas, se aspetto ancora un po’ diventeremo tutti delle statue di ghiaccio. Tua madre non sta bene, lo sai, e questo freddo non è proprio l’ideale per la sua salute. Ha bisogno di stare al caldo e senza legna non potremo riaccendere il fuoco. Tornerò presto, vedrai. Tu resta qui e prenditi cura di lei finchè io non sarò tornato, d’accordo?” “Davvero non posso venire anch’io con te?” Lui rise, abbracciandolo. “Ah, figliolo, non sei ancora abbastanza forte. Prima devi mettere su un po’ più di muscoli, come tuo padre, e allora neanche una tormenta come questa potrà scuoterti. Ma ora vai da tua madre, sarà in pensiero. E mi raccomando, non dirle niente. Inventa una scusa, ma non farla preoccupare inutilmente.” Lucas annuì, abbracciandolo forte. Guardò suo padre farsi forza e aprire la porta. Una folata improvvisa lo aggredì, facendogli chiudere gli occhi. E quando li riaprì, Ted era scomparso. Fuori, intanto, il vento stava scatenando tutta la sua forza. Piccoli turbini di neve si creavano ad ogni nuovo soffio, mentre le cime degli alberi venivano scosse e piegate senza tregua. La potente luce della torcia si muoveva, frenetica, illuminando tristemente quella tormenta di fiocchi e ghiaccio. Ted socchiuse gli occhi, cercando di lottare contro la forza di quelle folate, intirizzito dal freddo. In tutti quegli anni non aveva mai visto un inverno così rigido. E dire che lui ne aveva passati di inverni, in campagna, ma quello era strano, in qualche modo… Scosse la testa, rabbrividendo. Non era proprio il momento di fermarsi a pensare. Doveva muoversi e in fretta. Battendo i denti cominciò ad avanzare, lentamente,un passo dopo l’altro, verso la casa dei Flannigan. I Flannigan erano i loro vicini da una vita. Erano sempre state persone socievoli e disponibili e lui sperava davvero che, anche in una situazione avrebbero potuto disperata aiutarlo, come quella, ripagando un vecchio debito di tanto tempo prima, quando grazie ad un suo piccolo prestito erano riusciti ad evitare l’esproprio della loro terra. Tuttavia, nonostante la loro casa non fosse molto lontana dalla sua, il tragitto sembrò durare un’eternità. Il freddo continuava ad aggredirlo; era un nemico silenzioso, inafferrabile... e implacabile. Avanzare era sempre più difficile e il vento non smetteva un attimo di tormentarlo, colpendolo da ogni parte, cercando di buttarlo a terra. Ted si teneva il cappuccio sulla testa, cercando di difendersi in qualche modo, ma le sue dita erano sempre più fredde e ormai nemmeno i guanti riuscivano più a ripararle. Si sforzò di andare avanti, stringendo i denti e sopportando le difficoltà. Non si sarebbe arreso per così poco. Non avrebbe ceduto. Avanzò, un piede dopo l’altro. E dopo quella che gli sembrò un’eternità vide finalmente delle luci fluttuare davanti a lui. Le luci di una casa. Bussò forte, rabbrividendo e sfregandosi le braccia. Sembrava quasi che, invece di migliorare, quella tempesta stesse peggiorando ancora di più. “Ma chi... Ted! Ma cosa diamine ci fai fuori con questo tempo? Entra presto o ti congelerai!” Ted accolse con gioia quell’invito. L’improvvisa ondata di calore cominciò a pizzicargli la pelle, facendogli ritornare il colore sulle guance. “Che tempo, che tempo... Giuro, non ho mai visto niente di simile! Una tempesta del genere...” Scosse la testa, un’ombra scura sul volto. Quell’inverno era stato molto più freddo di quanto si aspettasse e anche se i Flannigan avessero potuto prestargli un po’ di legna non sarebbe certamente bastata fino all’arrivo della primavera. Non appena il vento si fosse calmato un po’ sarebbe dovuto andare giù in città a comprarne un intero carico e vista la situazione era certo che gliela avrebbero fatta pagare almeno il doppio. “Ma come ti è saltato in testa di uscire con una simile bufera? Rischiavi di congelare e di restare sepolto sotto la neve, non ci hai pensato? O forse... È successo qualcosa? Marie e Lucas stanno bene?” Ted annuì. “Sì, loro per il momento stanno bene. Ma ecco, vedi... Sono venuto per chiederti un grosso favore. Con tutto quello che ho avuto da fare quest’estate non sono riuscito a procurarmi tutta la legna che ci sarebbe servita e poi... be’, questo tempo non ha aiutato però...” L’amico gli appoggiò una mano sulla spalla, sollevato, sorridendogli e portandolo a scaldarsi davanti al camino. “Avete finito la legna vero? Già, nessuno si sarebbe mai aspettato un inverno del genere, ma dato che sono sempre stato un tipo previdente ne ho presa in abbondanza. Quanta te ne serve?” “Oh, non molta, giusto per riuscire a scaldarsi durante questa tempesta. Appena si calmerà dovrò scendere giù in città e comprarne un po’, sempre che finisca presto.” Flannigan scosse la testa. “Sai bene che ti chiederebbero almeno il doppio del prenderla prezzo adesso, normale soprattutto se andassi con a questo freddo.” “Lo so anch’io ma quali altre scelte ho? Marie è malata e deve restare al caldo, e anche con la tua legna non potremmo reggere fino alla fine dell’inverno.” Sospirò, scuotendo la testa. “Lucas poi ha preso male la situazione. Vuole trovare a tutti i costi una soluzione anche se non... non nei normali metodi. Pensa che l’altra notte l’ho beccato mentre cercava di sgattaiolare fuori di casa. E sai cosa mi ha detto? Che andava nel bosco a cercare legna.” Flannigan ridacchiò. “L’ho sempre detto che quello è un ragazzo intraprendente e dalla testa dura, tutto suo padre. Forse dovresti fargli fare qualcosa, per farlo sentire utile.” “E cosa? Di sicuro con questo tempo non lo faccio uscire di casa e quando rimane troppo al chiuso comincia a sembrare un leone in gabbia, soprattutto quando è frustrato come adesso. Tutte le sere mi sveglio automaticamente per controllare che sia nel suo letto e non in giro da qualche parte.” “Su, hai trovato la soluzione ai tuoi problemi. Hai un carretto per trasportare la legna che ti serve?” Ted scosse la testa, sbirciando fuori dalla finestra. “No, non l’ho portato, ma non credo che ci sarà d’aiuto, comunque. Con questa neve non riusciremmo a farlo avanzare di un solo centimetro, figurarsi arrivare fino a casa mia e poi tornare indietro. No, la porterò a braccia.” Flannigan alzò un sopracciglio, scettico. “Tutta a braccia? D’accordo che sei grande e grosso, ma dopo appena pochi passi inciamperesti da qualche parte e finiresti con il tuo brutto muso nella neve. No, dobbiamo trovare un altro modo, magari...” “Aspetta.” Ted alzò la testa, attento. “Non hai sentito?” Restò in ascolto, teso, ignorando l’occhiata preoccupata dell’amico. Aveva sentito qualcosa, uno strano rumore, sopra a quello del vento... un clacson. Il clacson di una macchina. Il contadino scattò in piedi, mentre un’ansia indefinibile Probabilmente cominciava una a macchina tormentarlo. era rimasta intrappolata nella neve e adesso stava cercando di attirare l’attenzione. Non c’era bisogno di preoccuparsi più di tanto eppure aveva una strana sensazione. Una sensazione di panico. “Ted, vecchio mio, stai bene? È tutto a posto? Ehi ma dove... dove vai? Ted!” Ma Ted non lo ascoltò, fiondandosi fuori dalla porta. Il gelo che trovò ad attenderlo fu come un colpo allo stomaco. Lo fece piegare in due, minacciando di sopraffarlo, ma quando il clacson suonò di nuovo cominciò a correre nella neve, incurante del freddo e del vento. Perché sentiva di non avere tempo? Perché gli sembrava di essere così maledettamente lento? Non riusciva a capire il perché della terribile ansia che gli chiudeva la gola, della frustrazione che lo perseguitava… Sentiva di essere in corsa contro il tempo, contro il destino, contro tutto ciò che aveva attorno a sé. Il vento lo ostacolava, la neve voleva ricoprirlo e stringerlo nel suo dolce ed eterno abbraccio… Ma lui correva, senza pensarci, andando avanti sostenuto solamente dalla propria forza di volontà. E corse finchè la torcia non illuminò una forma confusa davanti a sè. Non sapeva perché, ma quel profilo scuro nel bianco della neve gli fece avere un brutto presentimento. Non vedeva ancora niente ma… lo sentiva. E sapeva di non sbagliarsi. Si affrettò verso l’auto, bloccandosi non appena vide lo stato in cui era ridotta. Era andata a scontrarsi contro gli alberi, ma non era passato molto tempo perché dal motore usciva ancora del fumo. Forse non era troppo tardi, forse poteva aiutare… Eppure rimase lì, immobile, paralizzato dalla paura. E fu solo quando il clacson suonò un’altra volta che finalmente le sue gambe, quasi automaticamente, si mossero. Corse faticosamente verso la portiera, ostacolato dal vento, cercando di aprirla. E improvvisamente, non appena le sue dita toccarono la macchina, quelle raffiche sparirono di colpo, portando via con loro anche quei gelidi fiocchi bianchi. Ted non ci fece caso e continuò a lavorare di braccia, facendo forza per riuscire ad aprirsi una strada tra le lamiere. Erano incastrate, ma non si arrese. Prima o poi avrebbero dovuto cedere… Quasi sussultò quando, con uno strattone, riuscì finalmente ad aprire la portiera del guidatore. Il suo sguardo fu catturato dalla figura di un giovane, esanime, seduto al posto di guida. Gli afferrò la mano, sostenendolo per evitare che cadesse. “Tu... tu devi proteggere la mia bambina. Non c’è tempo tu... tu devi tenerla al sicuro. La mia Katie, la mia dolce Katie tu...” Tossì, mentre un rivolo di sangue gli scendeva giù lungo la tempia. “La mia Katie, la mia piccolina... Proteggila ad ogni costo, ti prego. Promettimelo... Lei... deve stare al sicuro...” “Stai.... stai tranquillo. Con me sarà al sicuro, te lo prometto, starà bene. Ma adesso tu non devi sforzarti, ok? Vado a chiamare i soccorsi e andrà tutto a posto.” “No... ormai è tardi. Porta via Katie. E tienila... al... sicu... ro.” Rovesciò la testa in avanti, con un sospiro. I suoi occhi si chiusero. Il suo cuore smise di battere. Ted lo adagiò di nuovo sul sedile, le lacrime che scorrevano libere sul volto. Sapeva che anche la donna al suo fianco ormai era morta e lui non aveva potuto fare niente per loro. Ma forse… forse avrebbe potuto aiutare qualcun altro. Prese delicatamente la piccola che era sul seggiolino, dietro, e la strinse a sè. Avrebbe mantenuto la promessa. Da quel momento avrebbe fatto di tutto... di tutto perchè quella bambina fosse al sicuro. Da quel momento lei diventava Katie Derinal. * “Katie!” “Arrivo, zia Sophie!” All’ombra degli alberi, Katie sospirò. Chiuse gli occhi, desiderando con tutte le sue forze di essere in un altro posto, un posto dove quella voce insopportabile non avrebbe più potuto raggiungerla… Ma nonostante non fosse certo povera di immaginazione, la sua mente non riusciva a farle dimenticare la sgradevole situazione che la aspettava a casa. E il solo pensiero bastava a farla stare male. Sospirò, cercando di distrarsi, di relegare Sophie, anche se solo per un attimo, in un angolo buio, dimenticato, di fare finta che non esistesse. Lasciò andare la mente alla deriva, mentre inconsapevolmente i ricordi emergevano nella sua memoria… Ma quando, con un sospiro, riaprì gli occhi, si ritrovò in un bosco che non era il suo, in un assolato pomeriggio d’estate. La ragazza balzò in piedi, spaventata, la testa che le girava vorticosamente. Si appoggiò ad un albero, il respiro affannoso, mentre la paura si impadroniva di lei. Ovunque si girasse, della radura in cui era stata fino ad un attimo prima non c’era alcuna traccia. Si prese la testa tra le mani, confusa. Quello che era successo non era possibile. Come aveva fatto dalla radura ad arrivare fin lì nei pochi secondi in cui aveva chiuso gli occhi? Inoltre non si era accorta assolutamente di nulla. Era tutto così strano… Anche quel posto poi aveva qualcosa di anomalo, scatenava in lei sensazioni che non riusciva a comprendere. Quegli alberi, quel sentiero… Tutto, attorno a lei, aveva una familiarità che la turbava. Era come… come se conoscesse quel bosco. Come se ci fosse già stata. Scosse la testa. No, non era possibile. Non sapeva nemmeno dove fosse né come ci fosse arrivata… Ma allora come poteva sentire quella nostalgia? Come poteva sentirsi a casa? Sospirò, sempre più confusa. E il suo cuore saltò un battito quando una voce fin troppo conosciuta si alzò tra gli alberi, poco davanti a lei. “Katie! Katie aspetta, non correre così!” La ragazza immobile, si impietrì, troppo allibita attonita. per Rimase riuscire a formulare dei pensieri coerenti. Quella voce… quella voce la conosceva, e anche molto bene. Eppure era cambiata, diversa in qualche modo, più giovane e più potente di quella che lei ricordava. Ma non poteva essere la voce di sua madre. Non era possibile. “Katie! Rallenta! Katie!” A quelle parole un brivido freddo la scosse e, nonostante fosse una giornata molto calda, rabbrividì. Sì, non ci potevano essere dubbi. Era lei. Fece un passo avanti, i muscoli tesi e irrigiditi, e quel semplice gesto bastò a sbloccarla. Camminava in fretta, inquieta, guardandosi continuamente attorno. Non riusciva a capire perché la presenza di Marie lì la turbasse tanto. Non ce ne era motivo, eppure… eppure non era mai stata tanto agitata in vita sua come in quel momento. Rabbrividì di nuovo, questa volta più intensamente. Era vicina. “Katie!” La ragazza sussultò e all’improvviso, alzando leggermente lo sguardo, vide venire verso di lei una bambina. Quella vista le mozzò il respiro e la bloccò. Osservò stordita una piccola sé stessa correre spensierata tra gli alberi. Come… come poteva essere? Come era possibile che proprio davanti a lei ci fosse… il suo passato? Eppure, per quanto incredibile fosse, era proprio così. Aveva visto molte foto di quando era piccola e non avrebbe potuto sbagliarsi. Ma tutto quello non poteva essere reale, non era possibile. E invece, quasi a voler rafforzare questa sua convinzione e contro ogni legge della fisica, la bambina le passò tranquillamente attraverso, senza nemmeno accorgersi di lei. Fu strano essere trapassati a quel modo. Era più o meno la stessa sensazione che provava quando, senza inaspettatamente rendersene saltava un conto, gradino; ma mentre una parte di lei rifletteva quasi automaticamente sui dettagli più insignificanti, la sua mente ormai cominciava ad entrare nel panico. Cosa era diventata? Un… fantasma? Inorridita si passò una mano sul viso, avvertendo il confortante tocco della pelle. Non era un fantasma, no di certo. E allora come era stato possibile che fosse stata attraversata da parte a parte? Cosa diavolo stava succedendo? Scosse la testa, la mente sempre più confusa. Doveva cercare di riflettere. Forse… se quella piccola era davvero lei, allora una spiegazione ci poteva essere. Se quello era il passato (e tutto sembrava indicarla come soluzione più probabile, anche se inverosimile) allora molto probabilmente la sé stessa adolescente che era in quel momento a quell’epoca ancora non esisteva. E quindi lei era una specie di… spirito. “Katie? Katie, dove sei finita? Rispondi!” La ragazza alzò gli occhi, spaventata. Sapeva chi stava arrivando, sapeva a chi apparteneva quella voce che continuava a cercare la sé stessa bambina e sapeva anche che quell’incontro avrebbe dissipato ogni suo dubbio. E nonostante questo fu un vero colpo al cuore quando vide Marie venire verso di lei. Non l’aveva mai vista così giovane, così… in salute. Il suo viso non aveva ancora quel colorito pallido e le sue guance erano rosate per lo sforzo fisico non indifferente di dover correre dietro ad una bambina con un carattere ribelle come era sempre stato il suo. Eppure Katie non l’aveva mai vista così felice, così spensierata. Chissà se già sapeva del male che cresceva inesorabile dentro di lei, che la divorava, che giorno dopo giorno la trascinava verso un baratro da cui non avrebbe potuto fuggire… Chiuse gli occhi, mentre l’ormai familiare sensazione di dolore si riapriva come una piaga nel suo petto. Da tempo continuava a chiedersi perché, perché il destino avesse scelto proprio lei. Ma non c’era risposta alla sua domanda. Ogni specialista, ogni medico con la sua bella laurea incorniciata, ognuno di loro aveva dato la stessa maledetta risposta, l’unica che loro non avrebbero voluto sentirsi dire. Non c’era più speranza. Marie non poteva guarire. E così dopo l’ennesima, cocente delusione, sua madre non aveva più voluto saperne di dottori e di altri specialisti. Diceva di essere stanca, diceva che stare a casa con la sua famiglia era l’unica cosa che potesse farla stare meglio. E Ted aveva dovuto cedere, anche se a malincuore. Da allora aveva cercato in tutti i modi di rendere quel poco tempo che le restava il migliore di tutta la sua vita e Katie non aveva potuto fare altro che aiutarlo, in silenzio, senza mai mostrare il dolore e l’impotenza che la stavano torturando dentro. Fu con questi pensieri che accolse l’arrivo di Marie e che iniziò a seguirla, incapace di allontanarsi da lei. Era così felice… Nonostante la sua malattia, sua madre aveva sempre fatto in modo di non essere di peso, aveva sempre cercato di mostrarsi in salute, allegra. Ma quella lietezza non era altro che una maschera. Dietro quella facciata, Marie soffriva e lei, sua figlia, non poteva fare niente per alleviare il suo dolore. “Katie, finalmente ti ho raggiunta! Non provare più a scappare così, ci siamo…” Il silenzio che seguì a quelle parole ebbe l’effetto di riuscire a scuoterla dalla sua apatia. Katie alzò lo sguardo, la fronte corrugata, cercando di capire perché sua madre se ne stesse lì ferma, immobile e in silenzio. E poi… poi capì. Adesso sapeva quale ricordo stava rivivendo, qual era quel determinato momento. Quello era il pomeriggio in cui aveva scoperto per la prima volta la sua radura. Quando, per la prima volta, nella sua mente erano scomparse le tenebre dell’oblio. Rivivere quel ricordo era dolce e doloroso allo stesso tempo, eppure ne fu felice. Seguì Marie e sé stessa con il sorriso sulle labbra, contagiata dall’entusiasmo che la bambina stava dimostrando per quella nuova scoperta. “Mamma hai visto? Hai visto?” “Sì tesoro, la vedo… ed è bellissima.” La ragazza sorrise alla vista della faccia stupita di Marie. Non stava fingendo per assecondarla, perchè anche per sua madre quella era la prima volta che vedeva quel posto in vita sua. “Mamma questo adesso è il mio posto, capito? Hai visto che bello?” “Sì, certo… Questo è il tuo regno e tu sei la sua regina. Sei contenta?” “Contentissima!” Il sorriso di Katie si allargò mentre vedeva la propria allegria riflessa in quel volto di tanto tempo prima. Marie non si aspettava certo che lei la prendesse sul serio, ma si sbagliava. Da quel giorno quella radura era diventata unicamente sua e quasi nessuno poteva andarci se lei non voleva. Era diventato proprio come il suo regno. Seguì attentamente con lo sguardo la bambina che man mano esplorava ciò che aveva attorno. Sapeva che il momento era vicino. I ricordi che aveva di quel giorno con il tempo si erano annebbiati ma non doveva mancare molto. Era quasi l’ora. Passarono parecchi minuti senza che accadesse nulla, ma poi la vide distendersi esausta sotto l’unico albero di quella grande radura. La vide addormentarsi, spossata, sognando, ricordando qualcosa che era rimasto sepolto nel fondo della sua coscienza per tutti quegli anni… “Katie!” Katie scattò a sedere, spaventata, il respiro affannoso. Si guardò attorno, disorientata, cercando Marie o la bambina, ma non c’era nessuno. Era sola. Si appoggiò con la schiena all’albero dietro di sè, ancora frastornata. Era tornata veramente a casa? Dalla voce di Sophie che strepitava sembrava proprio di sì. Ridacchiò, sollevata. E riuscì persino a sorridere quando si sentì di nuovo chiamare da una voce che diventava sempre più irritata. “Insomma Katie, vuoi venire? Smettila di nasconderti, ragazzina! Katie!” La ragazza si alzò, scuotendo la testa e sospirando, con il sorriso ancora impresso sulle labbra. Ripensare a quella bambina, a Marie e a tutto quello che aveva rivisto non poteva fare a meno di farla sorridere. Era sicura che niente, nemmeno la sgradevolezza della zia, sarebbe riuscita a farle perdere il buon umore. Non l’avrebbe permesso, si diceva, ma ancora non si rendeva conto di quanto sarebbe stato difficile. La sua pazienza fu messa alla prova subito dopo aver fatto appena qualche passo in casa. La voce melensa di Sophie le giunse dal salotto, portandole all’orecchio parole che nonostante tutto quello che si era ripromessa sarebbero state un boccone molto difficile da mandare giù. “Ah, questi giovani d’oggi sono senza controllo. Sono sicura che vostra figlia sia come tutte le altre, sempre lì a rimirarsi allo specchio come se già fossero delle donne fatte, sempre a vantarsi di chissà cosa. Non capiscono che solo le nobildonne come me possiedono la classe adatta per essere ammirate. E questo atteggiamento che avete verso la mia carissima nipote non va affatto bene, Marie. Le fate fare tutto quello che volete, non le date regole o se lo fate non le insegnate a rispettarle… Così proprio non va, bisogna completamente farle cambiare atteggiamento. Ferrea disciplina, ecco cosa ci vuole! E io conosco un posto perfetto dove potranno rimetterla in riga, sempre che ci sia ancora qualche speranza. Ditemi, avete già scelto un collegio? Perché mi hanno parlato del Saint August, un posto favoloso e…” Katie strinse con forza la maniglia della porta, cercando di scaricare in quella morsa ferrea tutta la rabbia che le stava montando dentro. Anche se si era ripromessa di non perdere la calma, con Sophie era una cosa impossibile. Sapeva che ormai la pace che aveva conquistato non sarebbe più tornata, almeno finchè la zia si trovava nei paraggi. Il che significava tutta la giornata. Ogni anno, infatti, la carissima parente veniva a riscuotere un vecchio prestito “gentilmente” concesso alla sua famiglia in un momento di difficoltà. Un momento che, Katie non poteva non pensarci, coincideva con il suo arrivo e che Sophie non mancava mai di ricordarle, con la cattiveria e l’arroganza che la caratterizzavano. Non c’era mai stata una volta in cui le avesse rivolto una parola gentile o un gesto di conforto, mai una volta in cui avesse cercato di conoscerla davvero. Katie ormai non nutriva più alcuna speranza in un suo cambiamento. L’unica cosa che poteva fare era tentare di sopportare la sua presenza e aspettare, con ansia, il calare del sole. Sospirò, scuotendo la testa, prima di entrare nella stanza dimenticandosi e accasciarsi casualmente sulla di sedia, salutarla nell’entrare. Sophie come sempre non era affatto cambiata. Sembrava che il tempo la lasciasse inalterata, imprigionata per l’eternità in quegli abiti soffocanti che tanto adorava. Ma dietro a quel suo aspetto sempre assolutamente perfetto si celava una donna crudele e calcolatrice. E nonostante cercassero di non darlo troppo a vedere, entrambe si detestavano in maniera eguale. La ragazza non poteva sopportare il suo atteggiamento, snob e arrogante, tanto che molte volte rasentava la maleducazione e Sophie d’altronde non riusciva ad accettare il suo comportamento ribelle. Ma anche se questo odio cresceva dentro di lei, rafforzandosi ogni giorno di più, davanti ai suoi genitori Katie non poteva mostrarsi in altro modo se non affabile e gentile, cercando di rendere le visite della zia il più piacevoli possibili. Sophie invece... Be’, lei mostrava il suo solito atteggiamento sfacciato e indifferente, ma quando erano sole Katie avvertiva facilmente l’odio in quei freddi occhi grigi. Un odio che era profondo almeno quanto il suo. Rimase seduta in silenzio a riflettere per tutta la mezz’ora in cui Sophie rimase in salotto, e non si mosse D’altronde neppure sarebbe quando uscirono tutti. stata capacissima di rimanere lì immobile fino a sera, se la voce di Marie non l’avesse richiamata ai suoi doveri. “Katie, sbrigati! Non far aspettare la zia!” La ragazza mugugnò, affondando ancora di più nella poltrona, mentre il suo umore già nero affondava ancora un po’ assieme a lei. Ma non poteva evitare di andare. Si diresse lentamente all’uscita, trascinandosi e sospirando. Doveva resistere, non poteva cedere proprio adesso. Il sole stava per tramontare e non appena se ne fosse andato avrebbe portato l’opprimente presenza di Sophie via con sé. Mancava ancora poco e poi, chissà, forse il prossimo anno sarebbe riuscita a trovare una buona scusa per poterla finalmente evitare. In fondo, perché non sognare? Rimase ferma diversi minuti a rimuginare sull’idea prima di accorgersi che Sophie non era ancora arrivata. Questo era strano. Solitamente lei andava sempre per prima, blaterando ininterrottamente per tutto il tragitto, ma non era ancora nemmeno uscita. Katie rientrò, preoccupata. Cosa stava facendo? Forse... Un sospetto la aggredì. Si fiondò in soggiorno, guardandosi attentamente attorno. Non voleva che magari stesse ficcanasando in giro come le pareva. Già l’ultima volta che c’era stata si era dimostrata molto, anzi troppo interessata a visitare la casa, ma i suoi sospetti svanirono non appena la vide ferma in cucina. Era immobile e fissava la parete, come... come se fosse in trance. Le sue labbra si muovevano veloci, quasi stesse parlando con qualcuno. Ma lì non c’era nessuno a parte lei, e molto probabilmente non si era neanche accorta del suo arrivo. La ragazza le si avvicinò lentamente, un passo dopo l’altro, mentre sentiva la paura cominciare a chiuderle la gola. Quella cosa non era normale, non lo era affatto. Tutto era silenzioso, eppure la sua bocca continuava a muoversi. Katie cercò di capire cosa stesse dicendo, ma tutto quello che riuscì a comprendere fu una sola parola: Prescelta. Una parola che per lei non aveva alcun senso. Almeno non ancora. Uscì silenziosamente dando un’ultima occhiata alla zia, ancora immobile. Forse era meglio dimenticare ciò che aveva visto, forse era meglio non provare a cercare una spiegazione che tanto non avrebbe trovato. Aveva già tante cose per la testa senza che se ne aggiungesse un’altra. In fondo lo sapeva da sempre che Sophie non aveva tutte le rotelle a posto, non c’era di che preoccuparsi. Eppure, nonostante tutto, non potè evitare di squadrarla da capo a piedi non appena uscì, in cerca di quei sintomi che l’avevano tanto confusa in cucina. Sembrava tutto normale, come se ciò che aveva visto fosse stato solo frutto della sua immaginazione. Ma guardando meglio... Sì, c’era qualcosa di diverso. Uno strano brillio in quegli occhi di piombo. Un brillio che non le piaceva per niente. “Sai, Katie, forse fa un po’ troppo freddo per andare giù in città, ed è meglio restare nei paraggi. Però sono curiosa... Perchè non mi fai vedere la tua radura speciale... non è vero?” speciale? Perchè è Katie tentò un sorriso stiracchiato, spaventata. Sophie che voleva vedere la sua radura? Non era da lei, non lo era assolutamente. E poi come aveva ribadito il fatto che fosse speciale... Voleva qualcosa, ne era sicura. Ed era altrettanto sicura che, qualunque fosse, lei non avesse alcuna intenzione di dargliela. “E perchè zia? È solo un piccolo prato, niente di più. Sono sicura che staremmo meglio in casa al caldo. Ci eviteremo un bel raffreddore.” Sophie le posò una mano sulla spalla, sorridendole malignamente. “Oh, possiamo resistere per un po’, ne sono certa. E poi ho proprio voglia di fare una bella passeggiata nei boschi. Chissà, magari la tua radura potrebbe, come dire... interessarmi.” Katie rabbrividì sotto quello sguardo avido. Non riuscì ad evitarlo. Portare Sophie alla radura, la sua radura... Lo trovava un abominio, la disgustava. Eppure non le aveva lasciato altra scelta. Non avrebbe più potuto opporsi di nuovo. Cominciò a camminare, la mano di Sophie sempre appoggiata alla sua spalla. La ragazza le lanciò uno sguardo, furiosa e spaventata allo stesso tempo. Sapeva perfettamente perchè la zia la tenesse così stretta, non voleva che lei riuscisse a scappare. Da sola non sarebbe mai riuscita a raggiungere la radura e lei era la persona ideale per portarcela. Scosse la testa, i pugni stretti. Non poteva permetterlo. La sua mente lavorava, febbrile, cercando una via d’uscita, mentre i suoi piedi la stavano portando automaticamente verso la radura. Non riusciva a capire come mai Sophie si comportasse in quel modo. Era sempre stata perfida e crudele, questo era vero, ma mai in modo così aperto ed evidente, soprattutto non con lei. Probabilmente aveva sempre pensato che Katie non fosse abbastanza importante, oppure poteva dipendere anche dal fatto che lei non aveva niente che potesse allettare la zia, niente che potesse accendere il suo interesse… Ma adesso? Come mai queste improvvise attenzioni? Cosa aveva potuto catturare l’avidità di Sophie tanto da spingerla a superare così i limiti? Sentiva che c’era sotto qualcosa, qualcosa in cui, in qualche modo, era implicata anche lei. Qualcosa da cui avrebbe voluto rimanere fuori. Digrignò i denti quando la stretta sulla sua spalla divenne più forte. Non aveva mai creduto che quella donna potesse avere una forza del genere. L’aveva sempre trattata come una stupida, capace solo di lamentarsi per delle sciocchezze, e forse era stato quello che lei aveva voluto far credere a tutti. Forse l’aveva sottovalutata troppo. “Perché ti interessa così tanto, Sophie? Sai, devo dire che mi hai proprio incuriosita. Chissà cosa ha scatenato questo tuo improvviso interesse…” Lei rise. “Perchè mi interessa? Oh, ma tu dovresti saperlo bene, persino meglio di me, non è vero Katie? Forse sarebbe ora che mi dicessi tutto. Questo gioco è troppo pericoloso per una ragazzina. Se mi dici dov’è potrei aiutarti a capire, darti una mano.” “Mi puoi spiegare cosa stai cercando? Cos’è che ti ossessiona questa volta? E per quale strana ragione io dovrei farne parte? Sappi che non sto giocando, Sophie, e non ho la minima idea di cosa tu stia parlando. Torniamo indietro, in quella radura non c’è niente che possa interessarti.” Sophie sorrise, rafforzando la presa e facendole quasi sfuggire un gemito di dolore. “Lascia che sia io a decidere. E in quanto alla tua penosa recita… non serve a nulla. È inutile che tenti di farmi credere che tu di questa storia non ne sappia niente, perché sono molto più informata di quanto evidentemente pensi, quindi non cercare di rifilarmi frottole tanto male assortite. Molto presto mi racconterai tutto nei dettagli, non preoccuparti.” Katie scosse la testa. Se stava aspettando il momento adatto in cui cominciare ad avere paura… Be’, quel momento era appena arrivato. “E invece mi preoccupo, Sophie, ma non per me o per altro. Io sono davvero preoccupata per te. Da quando hai cominciato a vedere cose che non c’erano? Da quando hai cominciato a delirare?” A quelle domande Sophie si fece una grossa risata. Ormai lei non aveva più dubbi, quella donna era completamente folle. “Capirai presto, Katie, capirai. E allora non potrai più negare la verità.” Continuò a sorriderle, un sorriso falso e melenso. Un sorriso di vittoria. E anche se Katie non lo credeva possibile, quel sorrisetto si allargò ancora di più non appena, dall’ombra della foresta, sbucarono nella radura, rischiarata debolmente dall’ormai poca luce che ancora riusciva a raggiungerla. “Bene, adesso aspettami qui. E non provare ad andartene. Può non sembrare, ma ti riprenderei facilmente perciò… evitiamo, ok?” Katie non le rispose. Sophie stava per avere ciò che voleva e lei non poteva fare nulla per impedirlo. Osservò allontanarsi tra le impotente ombre, la finchè zia non scomparve dalla sua vista. Sapeva che sarebbe tornata presto, gongolante e trionfante, e sapeva anche che non avrebbe potuto avere da lei le risposte che cercava. Chissà allora cosa sarebbe successo… Eppure, diversamente da quanto si aspettava, quando Sophie tornò il sorriso sul suo volto era scomparso. “Dov’è?” Katie la fissò, tesa, osservandola mentre la sua furia cresceva velocemente, senza limiti. Non aveva la minima idea di cosa stesse parlando, ma ripeterglielo non sarebbe servito a niente, non avrebbe creduto ad altro se non a quello in cui voleva credere. E così lei era nei guai. Sophie non aveva alcuna intenzione di dirle cosa stava cercando così disperatamente e non l’avrebbe sicuramente lasciata andare. Cosa poteva fare? “Non ne ho idea zia! Perché continui a comportarti così? Perché? Sono tua nipote!” Sophie cominciò ad avanzare verso di lei, un’ombra scura sul viso. “Nipote? Nipote?? Tu non sei mia nipote. Sei solo una trovatella che mio fratello ha accolto perchè è troppo buono, un vero idiota. Il tuo posto dovrebbe essere un orfanotrofio, insieme a tante altre creature inutili come te. Tu non hai alcun diritto da rivendicare, non puoi avere nessuna pretesa. È solo grazie a me che la tua famiglia è riuscita a sopravvivere quando ti hanno... aggiunta alle spese. È a me che devi la tua casa, i tuoi vestiti, tutto quello che hai! Quindi adesso smettila di fare la bambina viziata e dammelo subito!” Katie cominciò a indietreggiare, turbata, fermandosi solo quando sentì la schiera di alberi dietro di sé. Scosse la testa, mentre il senso di colpa che non era mai riuscita a dimenticare si riaccendeva come una fiamma dentro di lei. Sophie l’aveva colpita in un punto dolente, un punto a cui lei non poteva fare a meno di pensare ogni giorno, ogni momento. Si era sempre chiesta come sarebbe stata la vita dei suoi genitori se lei non fosse mai entrata nella loro vita, se fosse morta quel giorno, sotto la neve. Non sarebbero dovuti dipendere da una come Sophie o fare continui sacrifici per lei. La loro vita sarebbe stata certamente migliore. Eppure ricordava bene quando, un giorno, aveva detto a Marie ciò che pensava. Si ricordava bene quanto era rimasta scioccata non appena le aveva raccontato i suoi dubbi. L’aveva abbracciata, piangendo, continuando a dirle che non era vero, che il suo arrivo era stato uno dei più bei regali che la vita aveva potuto farle. Le aveva detto che lei non era un’estranea, ma era parte di quella famiglia. La sua famiglia. Perchè quindi avrebbe dovuto farsi turbare da Sophie? Da quando le importava qualcosa di quello che diceva quella donna? I suoi giudizi, le sue cattiverie, in tutti quegli anni quelle parole erano scivolate su di lei come acqua senza scalfirla minimamente. E invece adesso una sola frase era bastata a farle mettere in discussione tutto ciò che aveva costruito in quegli anni, tutto l’affetto della sua famiglia. No, non avrebbe più permesso una cosa del genere, non da lei. “Quello che dici potrà anche essere vero, Sophie, ma non sarà questo a piegarmi. Ted e Marie mi hanno accettata come loro figlia e questo a me basta. Mi hanno presa con loro quando avrebbero potuto lasciarmi lì, in quella macchina, a morire. Io voglio loro un bene dell’anima e non saranno le tue insinuazioni a farmi dubitare di far parte della mia famiglia. Non so cosa tu stia cercando con tanta insistenza, ma so che non sarà qui che lo troverai. Qui non c’è posto per te, Sophie.” Sophie la guardò in tralice, ancora infuriata. Katie sostenne il suo sguardo tranquillamente, senza mai abbassare il proprio e quando la zia la lasciò andare si voltò senza dire una parola. Poi, senza guardarsi indietro, tornò verso casa. * Sophie era rimasta immobile. Le parole di quella ragazza ancora le risuonavano nella mente, forti come nel momento in cui le aveva sentite. Chi l’avrebbe mai detto che quella ragazzina così odiosa avrebbe saputo colpirla così nel profondo? Scosse la testa, cercando di scacciare quelle sensazioni. Le emozioni non le servivano a niente, da tempo aveva imparato a farne a meno. Era meglio che restassero sepolte, nascoste nel buio. “Gaelen? Sei sempre lì?” Una voce annoiata le rispose nella sua testa. “Sempre e comunque. Devo dire che è stato proprio commovente, quasi mi mettevo a piangere. Non è che hai qualche fazzolettino?” Sophie sospirò, scuotendo la testa. Davvero non lo sopportava quell’idiota. Era così borioso e sicuro di sè, con il suo sarcasmo e la sua battutina pronta... Era un mago molto abile, quello doveva riconoscerlo anche lei, ma non significava che le dovesse stare simpatico. “Piantala di fare l’idiota e aggiornami. Se non è nemmeno qui dove può essere?” “Deve essere lì. Te l’ho già detto prima, quella ragazza è collegata. Può darsi che non lo abbia ancora trovato, che non sia ancora stata scelta e in questo caso devi fare di tutto per precederla e prenderlo prima di lei. Ma devi fare in fretta, non rimane molto tempo. Il destino non è solito aspettare troppo.” “Sì, lo so, cercherò di fare tutto il possibile. L’Oscuro è già stato avvertito?” “Lo sarà tra poco, non preoccuparti. Piuttosto, se non trovi l’Ilyes prima di tua... nipote, allora sarà meglio che non ti prenda il disturbo di riportare qui la tua incompetenza. L’Oscuro potrebbe non esserne contento. Ora va.” Sophie digrignò i denti, frustrata. Sapeva benissimo che l’Oscuro non prendeva bene i fallimenti e tuttavia quella missione si stava rivelando molto più difficile del previsto. Cominciò ad inoltrarsi nel bosco, pensierosa. Era tardi, ormai, e stava cominciando a rinfrescare. Strinse le braccia attorno al corpo, rabbrividendo. Forse non era quel freddo a disturbarla. Forse era quello che sentiva dentro di sè, che la aggrediva. CAPITOLO 2 Appena la porta di casa si chiuse dietro di lei Katie si sedette di schianto in una delle poltrone più vicine. Nonostante ciò che aveva detto nel bosco le parole di Sophie ancora la torturavano. Avrebbe dovuto ignorare quello che aveva detto quella donna, avrebbe dovuto imparare a fidarsi solo delle sue emozioni. Eppure più cercava di dimenticarle, più quelle frasi le riempivano la testa. “Katie, tesoro, sei lì in soggiorno?” La ragazza non rispose. Non aveva voglia di parlare con Marie, non in quel momento. Prima avrebbe dovuto schiarirsi le idee e forse anche riposare un po’... “Katie?” Sospirò, accasciandosi ancora di più sulla poltrona. “Sì, mamma, cosa c’è?” “Tesoro, sai dov’è Sophie? Non era assieme a te?” A quelle parole sul viso di Katie passò un’ombra. “Sì, era con me, ma ha deciso di anticipare il ritorno. Aveva degli affari da sbrigare ed era così di fretta che non ha avuto il tempo di passare a salutarvi. Ha chiesto a me di farlo al posto suo.” Marie venne a sedersi sul bracciolo accanto a lei, stringendola in un dolce abbraccio. “Katie va tutto bene? Mi sembri strana.” “Non è niente, sono solo un po’ stanca. Tu invece? Sei piuttosto pallida.” La madre rise, scompigliandole i capelli. “No, sto bene. Sono sempre stata un po’ pallida, è la mia carnagione. Ti ricordi che Lucas mi prendeva sempre in giro per questo?” Katie distolse lo sguardo, incapace di accettare sorridendo quella menzogna. Non era vero. Marie non era stata sempre così pallida, e mai come quello che aveva vissuto nel pomeriggio glielo aveva ricordato con tanta precisione. Quelle guance rosate, accese… “Lui ti manca molto, vero?” Marie scosse la testa, cercando di sorridere e di mostrarsi tranquilla. Ben presto però il dolore per quella mancanza ritornò sul suo viso e non potè più negare l’evidenza. “Be’ è normale che mi manchi. E’ sempre triste quando un figlio se ne va, ma ormai era grande e doveva essere libero di scegliere la sua strada. Non potevo tenerlo qui per sempre, non sarebbe stato giusto. Sarei stata davvero una grande egoista.” Katie sorrise, scuotendo la testa. “Tu egoista? Fidati, il giorno in cui tu farai qualcosa di egoistico allora sapremo che la fine del mondo è vicina. E poi non ti preoccupare per Lucas, se la caverà. Piuttosto sei proprio sicura di stare bene? Hai una faccia stravolta… Hai freddo? Vuoi che metta altra legna o…” Si bloccò preoccupata quando vide la madre chiudere gli occhi e abbandonarsi stancamente contro lo schienale. “Mamma? Mamma, stai bene? Mamma!” Marie scosse la testa, cercando di alzarsi, ma non appena ci provò ricadde sulla poltrona, mentre il poco colore che le restava sul viso scivolava via. “Mamma!!” Katie si affrettò a sorreggerla, il cuore raggelato in una morsa di terrore. Si guardò freneticamente attorno in cerca di aiuto. Stava sicuramente vivendo un incubo, non poteva essere vero. Non era ancora il momento, maledizione! Deglutì, chiudendo gli occhi e cercando di ricacciare indietro le lacrime. Doveva chiamare qualcuno, qualcuno che potesse aiutarla, che le dicesse che stava bene, che non c’era pericolo… Ma prima che potesse aprire bocca all’improvviso la mano della madre le afferrò il braccio, facendola voltare. “Sto bene, Katie, è tutto a posto. Sono solo un po’ stanca, ma non volevo… non volevo farti spaventare.” Katie scosse la testa, cercando di asciugare le proprie lacrime prima che la madre le vedesse. “Non è tutto a posto, mamma. Tu stai male, dovremmo chiamare il dottore e…” “No.” La ragazza chiuse gli occhi, tormentata. Perché, perché si ostinava così tanto a pensare che andava tutto bene? Perché non accettava il fatto di aver bisogno di aiuto? “No. Non voglio dottori, non voglio vedere nessuno che mi dia la falsa speranza di poter guarire. Io so che non è possibile, Katie, io l’ho accettato. È così difficile per te fare la stessa cosa? Alla fine la nostra ultima meta è sempre la stessa…” “No, non permetterò che tu te ne vada così, non quando c’è anche solo una minima possibilità di strappare ancora altro tempo. Non sono disposta ad arrendermi così facilmente e se tu non vuoi lottare, allora lotterò io per te. Mamma non puoi chiedermi di accettare una cosa del genere e di restare ad aspettare senza fare nulla… Non puoi.” Marie scosse la testa, accarezzandole dolcemente il viso rigato di lacrime. “Prima o poi dovrai farlo, piccola mia. Questa è la vita e di essa fa parte anche la morte, e non puoi negarla come non puoi sfuggirle. Ma comunque adesso non c’è di che preoccuparsi. Non è successo niente, mi sono solo praticamente addormentata. Non devi avere paura, ho intenzione di restare qui a tentare di controllarti ancora per molto tempo.” Katie cercò rassicurarla, di ma sorridere, i suoi per occhi rimasero tormentati come lo era lei in quel momento. “Niente dottore allora, ma Ted deve sapere che non sei stata bene. Questo non lo puoi evitare e non potrai fare niente per cercare di convincermi a non dirglielo.” La madre scosse la testa, addolorata. “Perché vuoi affliggerlo con una cosa del genere? Non sono stata male, Katie, sono solo molto stanca. Ti prometto che andrò a riposare ma per favore, non dire nulla a tuo padre di quello che è successo. Ultimamente è già così preoccupato per i campi, per Lucas, per tante cose… Non voglio che sopporti anche questo, non ce la farebbe. Ti prego…” La ragazza chiuse gli occhi, sospirando e facendo una smorfia. “D’accordo, ma solo e unicamente se mi prometti che andrai dritta a dormire. Hai lavorato tutto il giorno quando già non avresti dovuto fare sforzi e quindi adesso hai bisogno di riposare. Me lo prometti?” Marie annuì, tentando un debole sorriso. A quella vista Katie sentì uno squarcio doloroso aprirsi dentro di sé. Notò tormentata le grosse occhiaie sotto gli occhi stanchi, notò la pelle tirata, pallida, e la spossatezza delle braccia appoggiate alla poltrona. Se pensava per chi la madre si era ridotta così sentiva una cieca rabbia che le infuriava dentro, crescendo sempre di più. Sentiva ancora quella voce nella testa, quelle parole… Strinse forte i pugni, i muscoli tesi, cercando di non far emergere il vortice di emozioni che la stava tenendo in scacco. Doveva allontanarsi subito o presto Marie si sarebbe accorta di qualcosa. “Bene ora vado a dormire, ma mi aspetto che tu mi segua entro due minuti. Davvero mamma non sto scherzando, tu devi riposare. Fallo oppure racconterò a papà quello che è successo, capito? Mi raccomando.” “Puoi andare a riposare tranquilla, tesoro. Buona notte, piccola mia.” Katie le diede un rapido bacio sulla guancia e poi salì di corsa le scale verso la sua stanza. Lì chiuse la porta alle sue spalle, desiderando solamente rimanere immobile a fissare il buio, a pensare, ad alimentare la sua rabbia. Rivide davanti ai suoi occhi la scena del bosco, risentì come impresse a fuoco nella sua mente le bugie che Sophie le aveva detto, il modo in cui aveva tentato di manipolarla. Cominciò a tremare, le mani strette, gli occhi chiusi. Doveva calmarsi, doveva… Incapace di resistere oltre, Katie sferrò un pugno al muro in legno. Un forte scricchiolio accompagnò le sue imprecazioni, mentre si afferrava il polso dolorante. Ci mancava solo quello, la tipica ciliegina sulla torta, l’ultima catastrofe in una pessima giornata. Poteva andare peggio di così? Borbottando cercò a tentoni l’interruttore della luce, ma un improvviso bagliore proveniente dall’esterno la bloccò, preoccupata. E in un attimo capì che le cose potevano andare davvero molto peggio. Corse alla finestra, spaventata, mentre orribili immagini di vecchi incendi le riaffioravano alla memoria, il dolore alla mano e Sophie relegati in secondo piano. Se gli alberi stavano bruciando bisognava fare in fretta, avvertire tutti gli altri… Ma non era la luce di un fuoco quella che illuminava la boscaglia. Non era forte, ma chiara e quasi evanescente. Invece del solito guizzare delle fiamme quel bagliore quasi non si spostava, avvolgendo in un debole alone dorato tutta la vegetazione attorno e allungandosi in strani e scintillanti filamenti. Erano… incredibili. Era come se fossero dotati di vita propria, come se stessero cercando qualcosa. O qualcuno. Katie chiuse gli occhi, stordita, appoggiandosi alla parete. Stava succedendo qualcosa, qualcosa di inspiegabile, eppure... Scosse la testa, cercando di schiarirsi le idee, ma la nebbia nella sua mente non accennò a diradarsi. Non riusciva a pensare con lucidità. Era come se qualcosa la avvolgesse, come se la chiamasse verso di sè... E un attimo dopo capì cos’era, ad avere quell’effetto su di lei. L’aria era satura di un profumo così dolce da farle scordare tutto il resto, un profumo che non aveva mai sentito prima in vita sua. O forse... Sì, forse lo aveva già sentito nel passato, in un passato che riusciva a malapena a ricordare. Chiuse gli occhi, stordita, ma quando li riaprì si ritrovò in un’auto, in viaggio attraverso la campagna. Un viaggio avvenuto ben 16 anni prima. Katie si guardò attorno, spaventata e confusa. Non riusciva a capire cosa… cosa fosse successo. Che fosse accaduto di nuovo come quel pomeriggio, nella radura? Che stesse rivivendo di nuovo un ricordo? Scosse la testa, mentre fitte dolorose le trapassavano il cervello. Se quello era un ricordo allora poteva essere soltanto un momento preciso, un momento che aveva segnato la sua vita per sempre. Esitò a guardarsi attorno, tormentata. Sapeva già cosa avrebbe visto, chi erano le persone che si trovavano in quell’auto in quel preciso istante. Li conosceva, eppure ne ricordare era spaventata. vagamente dei Un volti, conto confusi era e annebbiati, un’altra era vederli veramente, come se fossero proprio davanti a lei. Nonostante questo, però, dovette trovare il coraggio e voltarsi. Accanto a lei, immobile sul seggiolino, c’era una bambina, una piccola dai grandi occhi castani. Una bambina che le somigliava in maniera unica. Katie si prese la testa tra le mani, mentre le fitte aumentavano sempre più di intensità. Il suo respiro si fece affannoso, i suoi battiti accelerarono. Gemette, digrignando i denti. Non poteva andare via senza averli visti, senza aver avuto la possibilità di rivedere quei volti, i volti dei suoi veri genitori. Con un enorme sforzo riuscì a voltarsi, riuscì a cogliere un leggero movimento fugace prima di ritrovarsi di nuovo nella sua camera, esattamente dove era prima di lasciarla. La ragazza si accasciò contro il muro, esausta. Non era riuscita a vederli. Di quell’esperienza aveva portato con sé solo il ricordo di quei capelli biondi, i capelli di sua madre… e del suo profumo. Perché era proprio il suo quello che aleggiava nell’auto e che adesso si trovava nella sua stanza. Come era possibile? I suoi genitori erano morti da tantissimi anni, ormai. D’altronde quel profumo stava cercando di annebbiarle la mente, di impedirle di pensare in modo da avere facile presa su di lei e non era facile provare a resistere. Lei tentava, si opponeva con tutte le sue forze, ma più il tempo passava più diventava difficile. Alla fine si abbandonò contro il muro, sconfitta e inerme. I suoi occhi si facevano sempre più pesanti, le sue difese sempre più deboli. In quello stato non sarebbe riuscita a rimanere sveglia ancora a lungo. Brevi sprazzi di incoscienza cominciavano già a sopraffarla e ogni volta che accadeva tornare cosciente era sempre più combattere difficile. quello Non strano sapeva torpore come che la invadeva, che le faceva abbandonare una ad una ogni resistenza… Rabbrividì quando, dopo qualche minuto di incoscienza, riuscì di nuovo a tornare in sé. Il suo respiro iniziava a calmarsi, la sua ostinazione cominciava già ad ammorbidirsi. Era stanca, non voleva più lottare. Ormai non ne aveva più le forze. Alzò gli occhi verso la finestra, fissando malinconicamente il cielo stellato. E fu allora che la vide. Una splendente farfalla entrò nella stanza, incurante della presenza opprimente di quel profumo che ne aveva ormai invaso ogni angolo. Volava senza paura, libera e trasportata dal vento, senza catene o legami che la trattenessero a terra. Katie la fissò, attratta dal suo bagliore, senza riuscire a distogliere lo sguardo. Seguiva quasi con devozione ogni suo battito d’ali, ogni sua mossa. Era magnifica, ma fu solo quando venne a posarsi sulla sua mano che si accorse di cosa fosse realmente. Quello che lei aveva scambiato per un riflesso altro non era che la sua luce, perché era proprio di luce che era fatta. Il calore che emanava le dava un nuovo vigore, una nuova forza. Il bosco la stava chiamando e lei doveva rispondere. E in un attimo seppe cosa fare. Si alzò, ancora un po’ indebolita. La farfalla volò davanti a lei per un po’, in circolo, prima di uscire dalla finestra. Katie la osservò sparire nella notte, inghiottita dall’oscurità. E, improvvisamente, cominciarono le lancinanti fitte alla testa. La ragazza cadde in ginocchio, tremante, e attese. Dopo qualche minuto il dolore lentamente scemò, ma lei sapeva che sarebbe tornato. Era come… come una punizione, forse. Più lei si opponeva al richiamo, più avrebbe sofferto. E non aveva più molto tempo. Faticosamente riuscì a rialzarsi, lo sguardo fisso sul bosco. Doveva pensare, riflettere. Arrivarci poteva essere complicato. Uscendo dalla porta il rischio di essere vista era alto, eppure era l’unica uscita possibile. A meno che… Si affacciò alla finestra, tesa, ed eccola, la soluzione. Proprio accanto alla sua stanza si innalzava una vecchia grondaia dimenticata, ricoperta quasi completamente dall’edera che nel corso del tempo aveva dato alla casa quell’aspetto rustico che tanto piaceva ai vicini. Pensandoci, però, quella grondaia poteva essere una via di fuga perfetta. Katie si sporse dalla finestra, esitante. E nonostante sapesse benissimo che era l’ultima cosa al mondo che avrebbe dovuto fare, azzardò un’occhiata in basso. Le sfuggì involontariamente un gemito. Proprio un bel salto. Dubitava che avrebbe potuto uscirne incolume, se fosse caduta da quell’altezza, ma era proprio ciò che doveva evitare. Chiuse gli occhi, il sudore freddo che le scivolava lungo la schiena. Era il caso di rischiare? Qualunque cosa ci fosse in quel bosco, era così importante da farle rischiare una simile caduta? Gemette quando le stilettate ardenti nel suo cervello ricominciarono. Più tentava di ragionare più quelle si facevano insistenti, facendola quasi accasciare a terra dal dolore. A quanto sembrava non aveva altra scelta che tentare. Tuttavia fu difficile convincere i suoi muscoli a muoversi e ancora più difficile fu salire sulla finestra senza cadere di sotto. Ogni cellula del suo corpo le ordinava di non saltare, ma la decisione ormai era presa. E raccogliendo tutto il coraggio che aveva, Katie saltò. Il tempo di un battito, un solo terrificante istante di vuoto e poi le sue mani si strinsero forti al tubo. Ma la pioggia che era scesa in quei giorni aveva reso l’edera scivolosa e lentamente la ragazza cominciò a perdere la presa. Il terrore la inondò, mentre continuava a fissare impietrita la terra che vorticava al buio sotto di lei. Le sue mani sudate continuavano a scendere sempre più velocemente e lei sapeva solo di dover restare aggrappata. Se avesse perso la presa, sarebbe caduta. Strinse le gambe attorno al tubo, tanto forte da farsi male, e lentamente riuscì a fermare la discesa. Chiuse gli occhi, il respiro scosso dal tremore del proprio corpo. La testa continuava a girarle, come se quella caduta non si fosse mai fermata. Era salva, ma non era ancora finita. Lentamente, molto lentamente staccò le mani dal tubo, tenendosi ben forte con le gambe. In fretta e furia se le asciugò velocemente sulla maglietta, sentendo il proprio corpo sempre più debole e stremato. Pronto a cedere. Dopo essersi di nuovo stretta alla grondaia, con cautela Katie cominciò a scendere, una mano dopo l’altra, facendo ben attenzione a non guardare mai in basso. E quando finalmente le sue gambe toccarono terra era talmente intirizzita ed esausta che cadde non appena si lasciò andare. Rimase distesa, il respiro affannoso, aspettando che le gambe smettessero di tremare come gelatina e riprendessero forza. Si sentiva stranamente leggera, come se in quel preciso momento stesse galleggiando su una soffice nuvola o in mezzo alla freschezza dell’acqua… Scosse lievemente la testa, cercando di tornare con la mente al presente. Doveva restare concentrata o si sarebbe fatta scoprire. I suoi genitori non dovevano assolutamente sapere cosa aveva fatto o sarebbe preso loro un colpo, ma non riuscì a resistere alla tentazione di chiudere gli occhi per un po’, mentre il suo corpo tornava alla normalità. In breve il suo cuore cominciò a calmarsi e i suoi muscoli cominciarono a riprendere sensibilità. Ora quando muoveva le gambe non le sembrava più di avere dei blocchi di cemento al posto dei piedi. Tuttavia si sollevò lentamente, con cautela, fino a ritrovarsi seduta, non sapendo se il suo corpo si fosse ripreso abbastanza da essere in grado di sostenere il suo peso. Aspettò con calma che la testa le smettesse di girare e piano piano si alzò, valutando il suo equilibrio. Il mondo riprese a volteggiarle intorno e, appoggiata al muro, la ragazza attese paziente di tornare alla normalità. Quando finalmente le sembrò di essere in grado di mantenersi diritta fece un passo avanti, incerta, e un sorriso le spuntò sulle labbra quando si accorse che riusciva a camminare senza perdere troppo l’equilibrio. Cominciò a fare il giro della casa, una mano sempre appoggiata al muro per prevenire eventuali ricadute, e riuscì ad arrivare senza problemi fino Tuttavia c’era alla finestra qualcosa che del soggiorno. non andava. Stranamente la luce era ancora accesa. Aggrottò la fronte, preoccupata, mentre un sospetto si insinuava nella sua mente. Possibile che sua madre… Scosse la testa, decisa. No, Marie non poteva essere così incosciente da non essere ancora andata a dormire, era impossibile. Sicuramente era Ted che stava ancora guardando la televisione, lui andava sempre a letto tardi. Ne era sicura, eppure il sospetto rimaneva. Si affacciò un attimo, curiosa, sbirciando tra le tende. E la vide, ovviamente. Sua madre era lì, seduta tranquillamente sul divano come se quella sera non fosse accaduto nulla. Katie imprecò a bassa voce, esasperata. Cos’altro doveva fare per farle capire che la sua non era una situazione da prendere così alla leggera? Ormai non sapeva più come dirglielo. Sembrava che ogni cosa che le dicesse le entrasse da un orecchio e le uscisse dall’altro. Si sporse di nuovo, tormentata, osservandola attentamente. Il viso non aveva ancora ripreso colore e le occhiaie si erano persino più accentuate. dormire? Cosa E dire aspettava che glielo ad andare aveva a anche promesso e… Si allontanò di scatto dalla finestra, trattenendo il respiro. All’ultimo, proprio mentre lei stava per ritirarsi di nuovo contro il muro, proprio in quel momento Marie aveva alzato lo sguardo verso di lei. L’aveva vista? Era riuscita a intravedere il suo viso fuori dalla finestra? Non lo sapeva e non aveva il coraggio di guardare un’altra volta. Tutta la sua attenzione era impegnata nel cercare di sentire eventuali suoni sospetti, come quello di passi che venivano verso di lei, ma non accadde nulla. Passò prima un minuto, poi due, poi tre senza che succedesse niente di particolare. Probabilmente anche se era riuscita ad intravedere qualcosa aveva pensato di essersi sbagliata. Per il momento lei era ancora salva. Sospirò di sollievo, mentre dentro di sé sentiva i suoi battiti rallentare fino a tornare alla normalità. Adesso però era di fronte ad un altro problema. Cosa doveva fare? Da una parte si sentiva in dovere di tornare dentro e avvertire Ted di quello che era successo quella sera, ma dall’altra non riusciva a distogliere il pensiero dalla luce che brillava davanti a lei. Si tormentò le mani, indecisa. Sua madre doveva riposare, questo era vero, ma allora tutto quello che aveva fatto, tutti i rischi che aveva corso per arrivare fino a lì sarebbero stati inutili. Scosse la testa, osservando irritata la foresta illuminata. Perché era dovuto succedere proprio quel giorno, quella sera? Con tutto il tempo che era passato, proprio il giorno in cui… in cui… Si bloccò, stordita. Proprio il giorno in cui era venuta Sophie. Istintivamente la sua mente tornò a qualche ora prima, in quello stesso bosco. Quello strano comportamento, la ricerca nella radura… Possibile che ci fosse un collegamento? E che la zia fosse quel legame? Forse, ma in ogni caso rimanevano ancora molti punti oscuri. Sia Sophie che la foresta erano impazziti lo stesso giorno. Perché allora in tutti gli altri anni non era mai accaduto nulla? E poi… Osservò accigliata la luce che si espandeva tra gli alberi e il particolare che fino a quel momento non era riuscita ad inquadrare finalmente le saltò agli occhi. Era stato davanti a lei per tutto il tempo, eppure non aveva collegato, ma il suo sguardo ora correva dal bosco alla finestra e viceversa, in continuazione. La luce! Come mai nessuno aveva notato qualcosa? Con la foresta illuminata a quel modo molte altre persone avrebbero dovuto accorrere a vedere cosa stava succedendo, proprio come aveva fatto lei. Eppure sembrava che solo lei riuscisse a vedere quella luce, come se fosse lì solo per lei. Scosse la testa, sorridendo di quel pensiero. Solo per lei? Non era possibile. No, stava davvero lavorando troppo di immaginazione. E poi anche pensare che Sophie potesse essere coinvolta in quelle stranezze era da pazzi e… Sussultò improvvisamente, quando il dolore esplose di nuovo nella sua testa. Sembrava che migliaia di lame incandescenti la stessero torturando, senza che potesse fare nulla per fermarle. Gemette, sofferente, accasciandosi a terra. Doveva sbrigarsi, sentiva di non avere più molto tempo. Sapeva istintivamente che se aspettava ancora il dolore sarebbe stato tale da impedirle addirittura di muoversi, ma c’era un enorme ostacolo davanti a lei. Per arrivare al bosco, avrebbe necessariamente dovuto passare davanti ai suoi genitori. La situazione non poteva essere peggiore. Sapeva perfettamente di non avere più la forza di fare il giro della casa per evitarlo e non riusciva a pensare ad una soluzione alternativa. L’unica cosa di cui era consapevole in quel momento era il dolore, un dolore che cresceva, incessantemente, che le impediva di riflettere, offuscando il suo giudizio… Imprecò sottovoce, stringendo i denti. Come poteva riuscire a percorrere l’intera finestrata senza che la vedessero? Pensa, Katie, pensa… Il suo sguardo corse alle piante preferite di Marie, che si trovavano proprio davanti alla finestra, e un piano cominciò a delinearsi nella sua mente. Quelle piante erano alte abbastanza da nasconderla se ci fosse passata dietro strisciando e sarebbero probabilmente riuscite a nasconderla agli occhi della madre. Soppesò l’idea, tentata, ma non faticò a rendersi conto delle pericolose e non così improbabili eventualità che avrebbe potuto far saltare tutto. Se Marie si fosse avvicinata troppo alla finestra non avrebbe potuto non vederla; o, per un solo movimento sbagliato, Ted, che sedeva accanto a lei sul divano, avrebbe potuto accorgersi della sua presenza. Probabilmente Sospirò, scuotendo sarebbe proprio la testa. successo qualcosa del genere, ma non poteva fare altro ormai. Le fitte lancinanti alla testa le impedivano di fare la cosa più intelligente, e cioè tornare in camera sua e fingere di non aver visto nulla. No, non aveva scelta. Pancia a terra cominciò a strisciare dietro ai vasi, stringendo i denti per evitare di gemere dal dolore. Ogni volta che sentiva un rumore sospetto si bloccava, ansiosa, e questo la rallentava. Tuttavia riuscì a proseguire inosservata fino a oltre la metà della finestra. E fu allora che le cose cominciarono ad andare male. Uno strano rumore la bloccò, mettendola in allarme. Era come... come un suono di passi. Si sentì morire. Tutta la sua sicurezza era scomparsa e la paura la bloccava sul posto, incapace di reagire. Qualcuno si stava avvicinando alla finestra. E quel qualcuno, chiunque fosse, l’avrebbe inevitabilmente vista. Rimase incollata al suolo ad aspettare, terrorizzata. Mai come in quel momento era stata così spaventata. I secondi si trascinavano lenti, inesorabili, e l’unico rumore che ormai riusciva a sentire era il rimbombante battito del suo cuore. Ti prego, ti prego, ti prego, non avvicinarti, non guardare giù! Ti prego non avvicinarti… Ti prego… “Marie, cosa stai facendo?” “Oh caro, sei tu, mi hai spaventata. Non sto facendo niente, voglio solo mettere dentro le piante. Ho sentito che stanotte farà freddo, molto più del solito, e non voglio che si rovinino. Il problema è che oggi, con tutto quel trambusto, me ne sono dimenticata.” “Non ti fa bene stare al freddo, lo sai. Sei stanca e devi andare a riposarti. Per una sera le tue piante sopravviveranno.” “Ma…” “Niente ma Marie, nelle tue condizioni hai bisogno di riposo. E tu sei molto più importante di un paio di piante.” Marie esitò un po’ prima di assecondarlo, rassegnata. “Hai ragione. Vorrà dire che andrò a riposare un po’.” Per Katie quello fu il segno che poteva tornare a respirare. Sentiva la testa leggera e il cuore che continuava a martellarle nel petto, ricordandole quanto era andata vicina a farsi scoprire. Se suo padre non fosse intervenuto, tutto quello che aveva affrontato fino a quel momento non sarebbe servito a nulla. Se la fortuna non l’avesse assistita adesso si sarebbe trovata in un mare di guai, eppure non era successo. Dopo aver superato tutti gli ostacoli che le si erano parati davanti, ora poteva continuare. Ci era vicina ormai. Mancava ancora poco. Cautamente cominciò ad inoltrarsi tra gli alberi, agitata. Aveva una strana sensazione, una sensazione talmente opprimente che quasi le toglieva il respiro. Non riusciva a capire cosa fosse, cosa potesse farla sentire così tesa. Scosse la testa, sorridendo nervosamente. Si stava agitando per nulla. Avrebbe dovuto restare calma, mantenere il sangue freddo... Si voltò di scatto, spaventata da un rumore alle sue spalle. Ma nonostante li osservasse con un’attenzione quasi maniacale, nei cespugli dietro di lei non c’era nessuno. Andiamo Katie, non perdere la testa, non c’è niente di cui aver paura. Conosci questo posto come le tue tasche, non c’è nessun problema... Ma allora perchè non riesco a smettere di tremare? Si fermò, incerta, continuando a scrutarsi attorno, le braccia tremanti strette al petto. Cominciava davvero ad avere paura, adesso. Nonostante tutta quella luce era spaventata, terrorizzata. Avrebbe solamente voluto tornare indietro, tornare nella sua stanza, nel caldo abbraccio del suo letto... Eppure una strana forza la teneva legata a quel bosco, impedendole di voltarsi e correre, correre verso la sicurezza della sua casa, della sua famiglia. Solo adesso sentiva quello che non era riuscita a capire quando ancora era in tempo. Dentro di sè sentiva che quello che stava per accadere avrebbe cambiato la sua vita per sempre, e nonostante una parte di lei lo desiderasse da una vita, un’altra parte gli si opponeva con tutte le forze che aveva. Quel conflitto era insanabile e doloroso. Katie non riusciva a contenere quel furioso combattimento e soffriva in silenzio, una lacrima dopo l’altra, svuotandosi lentamente di ogni pensiero. Sarebbe stato più facile, così. Se avesse smesso di pensare, sarebbe stata finalmente in pace. Aprì gli occhi, sentendo qualcosa di caldo sfiorarle il braccio. Attraverso le lacrime vide un fascio di luce prenderle la mano, tirandola dolcemente dietro di sè. Era una strana sensazione, dolce e confortante allo stesso tempo. Katie si lasciò guidare, confusa e stanca. Non si sarebbe opposta, non ne aveva motivo. Seguì la sua guida attraverso gli alberi, in un viaggio che sembrava dover essere eterno, sospesa in quel limbo, fino a quando non arrivarono al suo lago. E quando lo vide la ragazza restò a bocca aperta. Quel posto, così pieno di ricordi e di indimenticabili momenti, risplendeva in una confusione di luce che faceva diventare il mondo un’immensa giostra dorata. L’acqua e gli alberi rilucevano dei colori dell’arcobaleno e quella luce raggiungeva anche i più lontani confini del bosco. Ogni cosa, persino la più insignificante erbetta, sembrava coperta di oro. La luminosità era così forte che Katie, abbagliata, ormai vedeva tutto a pallini. Era uno spettacolo magnifico, unico. Magico. E proprio davanti a quello splendore, tutto in lei svanì. La delusione, la tristezza, la confusione, di tutto questo non rimase più nulla. Il suo corpo era vuoto, manovrato da qualcosa di molto più forte di lei, qualcosa che sembrava antico quanto il mondo stesso, qualcosa di cui però stranamente lei non aveva paura. Era quasi come se conoscesse quella presenza, come se non fosse la prima volta che la sentiva accanto a sé, a vegliare su di lei… E poi, improvvisamente, cominciarono a muoversi le sue gambe da sole, prima barcollanti e poi sempre più sicure. Il suo corpo cominciò ad immergersi nell’acqua, un passo dopo l’altro, fino ad esserne completamente sommerso. Sotto la sua superficie nulla riusciva a raggiungerla, nessun rumore, nessun pensiero e la luce permeava tutto il lago con una tale energia da rendere tiepida l’acqua prima gelida. La ragazza restò lì, immobile, ogni suo senso inibito e soppresso. Le sue emozioni non potevano rischiare di rovinare quell’evento, un evento che il destino aveva deciso già da molto tempo. Un evento che avrebbe segnato per sempre la sua strada. Dal fondale, lentamente, qualcosa cominciò a salire, attirando quella luminosità come una calamita, risucchiandola Quell’oggetto si dentro elevava di sempre sè. più, avvicinandosi cautamente a lei, sospesa in quell’acqua, sospesa in quell’attimo senza tempo. E quando quel globo di luce le fu davanti, lei allungò una mano. Non appena le sue dita lo sfiorarono l’energia che vi era racchiusa si sprigionò, investendo tutto ciò che trovava sul suo cammino. Veloce come era iniziato, all’improvviso il bagliore si spense e Katie si ritrovò, al buio, nell’acqua ormai gelida del lago. CAPITOLO 3 Marie era immobile, distesa sul letto. Si sentiva esausta, spossata, ma nonostante questo non riusciva Qualcosa la ancora a turbava, prendere sonno. un’immagine che continuamente riaffiorava alla sua memoria. Il ricordo di un leggero, quasi impercettibile, movimento dietro la finestra del soggiorno. Si girò su un lato, sospirando. Forse si stava solo immaginando tutto, o forse più semplicemente aveva solamente intravisto un animale selvatico, uno dei tanti che giravano nelle vicinanze. Ma allora perché non riusciva a liberarsi di quell’inquietudine, quell’angosciante sensazione di di panico? Qualcosa di indefinito le pesava sul petto, opprimendola, e nonostante i suoi sforzi ancora non era riuscita a capire cosa la turbasse tanto. Quell’orribile sensazione le ricordava di quando, tanti anni prima, Lucas sgattaiolava fuori di casa, della preoccupazione che… Si bloccò, raggelata. No, non poteva essere, era ridicolo anche solo il pensarlo. Katie non sarebbe mai uscita così di soppiatto, non era nel suo carattere. Non che Lucas fosse un ribelle, no di certo, era solo che la sua indole era estremamente curiosa, e difficilmente sopportava di stare chiuso in casa per troppo tempo. Con Katie era diverso, eppure quella terribile sensazione, quell’ansia, era proprio la stessa di tanti anni prima. Marie si rigirò di nuovo nel letto, sempre più agitata. Ora stava davvero esagerando, dubitare di sua figlia! Una ragazza dolce, vivace certo, ma nonostante questo sempre ubbidiente. Come poteva all’improvviso non fidarsi più di lei? Eppure una semplice, veloce, controllata, non le avrebbe portato via che qualche minuto… Si torse le mani, incerta, distesa sul letto a fissare il soffitto. Più cercava di allontanarla, più quell’idea si insinuava con forza nella sua mente. Solo una rapida occhiata, solo qualche secondo di incertezza. Quando poi avrebbe visto un piccolo, addormentato fagotto sotto le coperte, avrebbe potuto ridere delle sue inutili preoccupazioni. Si trovò così davanti alla porta della stanza di Katie prima ancora di rendersi conto di aver preso quella decisione. Poi, un po’ tremando, la sua mano si posò sulla vecchia maniglia, abbassandola. E la porta si aprì. Un’improvvisa folata di aria gelida la avvolse. Marie rabbrividì, sorpresa da quel freddo inaspettato, e il suo sguardo si posò sulla finestra spalancata. Il gelo che aveva ormai invaso la stanza proveniva da lì, così come da lì arrivava anche la debole luce lunare che rischiarava lievemente le figure avvolte dal buio. E a quella luce, Marie ebbe la conferma ai suoi peggiori dubbi. Il letto di Katie era vuoto, freddo. E lei era sparita. * Correvano veloce, troppo veloce. Frasi concitate si inseguivano nell’auto, ma la piccola adagiata sul sedile non vi badava. La sua attenzione era completamente assorbita da quelle macchie confuse che scivolavano fuori dal finestrino, troppo veloci per poter assumere una forma precisa. Lei allungava le braccia, ridacchiando felice, cercando di afferrarle con le sue piccole manine, mettendo in quell’impresa tutta la sua concentrazione… Ma all’improvviso tutto si fece scuro. La bambina cominciò a spaventarsi, mentre le lacrime cominciavano a rigarle il viso. Avvertiva un’ombra scura che si avvicinava, silenziosa… Sua madre urlò, terrorizzata. Suo padre diede gas all’accelleratore, ma l’ombra continua ad avanzare, imperterrita, perversamente dei loro divertendosi vani tentativi, divertendosi a vederli fuggire nell’eccitazione della caccia. E ormai li aveva quasi raggiunti. Non avrebbero potuto sfuggirgli, ormai era lì, accanto a lei... Katie si svegliò, urlando. Anche lì il buio dominava, come nel suo sogno… Rabbrividì al pensiero e strinse le braccia attorno alle ginocchia, tremando. Non era la prima volta che sognava l’incidente ma non aveva mai ricordato così vividamente, con così tanti particolari e con l’ombra. Un’ombra che non aveva mai visto, che li voleva, che li cacciava… Chiuse gli occhi, respirando a fondo. Ondate di panico la tormentavano, togliendole il respiro. Era come essere ancora lì… come rivivere tutto un’altra volta. Rabbrividì di nuovo. Faceva freddo, troppo freddo in effetti. Si strinse la manica della maglia, confusa, e un rivolo di acqua le scivolò lungo la mano. Alzò le braccia, sentendole deboli e pesanti. Come poteva essere completamente bagnata? I vestiti, i capelli, ogni cosa grondava acqua. Eppure lei non ricordava nulla, non riusciva proprio a ricordare…. Scosse la testa, sempre più disorientata, ma non appena il suo sguardo si posò sulle acque scure del lago, improvvisamente i ricordi cominciarono lentamente a riemergere. La luce nel bosco, quello strano oggetto, tutta quell’acqua… E poi buio, nient’altro. Katie si strinse la testa tra le mani, confusa, cercando ancora di ricordare, di riprendere gli ultimi pezzi di quel folle puzzle, ma nonostante i suoi sforzi non ci riusciva. Nella sua memoria non c’erano altro che attimi bui. La ragazza diede un ultimo sguardo attorno, a disagio. Sentiva che qualcosa non andava, che mancava un pezzo importante… Gemette, esasperata, quando la testa ricominciò a girarle. Doveva riflettere. C’entrava l’acqua, ne era certa... E finalmente il particolare che fino a quel momento le era sfuggito le tornò alla mente. Si guardò attorno, sempre più spaventata. Non era un caso che non ricordasse nulla. Come poteva, se era svenuta in acqua ed era rimasta priva di conoscenza? Ma allora come aveva potuto essersi svegliata all’asciutto? Rabbrividì di nuovo, a disagio. Tutta quella storia non aveva il minimo senso. Svenuta lei non avrebbe avuto alcuna possibilità di uscire viva da quelle acque. No, non era sola. Qualcuno doveva averla seguita attraverso il bosco e averla tirata fuori dal lago quando lei aveva perso conoscenza. Qualcuno le aveva salvato la vita, ma chi? Si voltò, preoccupata, cercando una figura tra gli alberi, cercando un segno qualunque, ma non vide nulla. Non c’era nessuno lì, che le chiedesse perché a quell’ora avesse improvvisamente deciso di farsi un bagno, nessuno che l’avrebbe riaccompagnata a casa per assicurarsi che stesse bene. Lei era sola e questo la spaventava. Prese un profondo respiro, cercando di alzarsi, barcollante. Stava bene. Nonostante tutto quello che era successo, incluso il fatto che era quasi annegata, stava bene. Solo un po’ ammaccata, ma niente di che. E… Si immobilizzò, tesa, quando si accorse di un lieve bagliore vicino ai suoi piedi. C’era qualcosa, a terra. Katie deglutì nervosamente, guardandosi di nuovo attorno prima di chinarsi a raccoglierlo. Come era finito lì, accanto a lei? Non poteva essere una coincidenza. Che l’avesse portato il suo ignoto salvatore? Doveva essere così, senza dubbio. Non ricordava di aver preso niente in acqua e l’unica cosa che aveva toccato era stata quella strana luce, ma non poteva essere quella. Ciò che aveva in mano, qualunque cosa fosse, era reale, duro e freddo metallo. Strinse gli occhi cercando, al buio, di distinguere che cosa potesse essere. Aveva una forma insolita, che lei non conosceva, e… Rimase a bocca aperta. Le nuvole, infatti, si erano momentaneamente consentendo alla luna di diradate, rischiarare leggermente l’oscurità. E consentendo a lei di riconoscere l’oggetto nella sua mano. Un orologio da taschino. In mano teneva un dorato e lucente orologio da taschino. La sorpresa la immobilizzò, sconcertata, e improvvisamente le venne una gran voglia di ridere. Un orologio. Scosse la testa, ridendo di sè stessa e del suo comportamento. Si era immaginata strani oggetti, ma quello senza dubbio superava tutte le sue aspettative. Continuò a sorridere, ripensando all’inutile paura che aveva avuto, ma a quel pensiero le fu sempre più difficile cercare di non ricordare. Tutto quello che era successo, tutto quello che sarebbe successo una volta tornata a casa, infatti, la opprimevano, togliendole quasi il respiro. Cercava di non pensarci, ma non riusciva a credere di averlo fatto, di essere fuggita in quel modo, di aver deluso i suoi genitori. Sentiva tutto il peso di ciò che aveva fatto sulle proprie spalle e non sapeva se era abbastanza forte da riuscire a sopportarlo, non sapeva se ce l’avrebbe fatta... Gemette, accasciandosi a terra. Non avrebbe dovuto essere lì, non avrebbe mai dovuto uscire di casa. Era stato uno stupido errore e sentiva che le conseguenze di quell’unico sbaglio sarebbero state disastrose. Cosa aveva fatto… Scosse la testa, cercando di non pensarci. Inutilmente. Il rimorso la tormentava, senza concederle un attimo di respiro. Rabbrividì, infreddolita, sentendosi sempre più debole. Non poteva continuare così, non avrebbe resistito ancora a lungo. Doveva tornare a casa e in fretta, ma prima doveva liberarsi di quell’orologio. Chiuse gli occhi, irritata al solo pensiero di ciò che aveva in mano. Non lo avrebbe portato con sé, d’altronde non avrebbe potuto spiegarne la presenza ai genitori. E poi non lo voleva nemmeno, soprattutto se ripensava a tutto quello che aveva passato per ottenerlo. No, doveva sparire. Si incamminò lentamente verso il lago, indecisa. Sapeva che buttarlo in acqua era la soluzione migliore, ma sembrava che qualcosa la trattenesse, che qualcosa la tenesse legata a quell’oggetto. Era come un istinto, una sensazione. Non aveva mai provato una cosa del genere, ma era qualcosa di intenso, tanto da farla affondare impotente nella frustrazione. Possibile che non riuscisse a disfarsene? Quel maledetto orologio era la causa di tutto quello che era successo: per ottenerlo era stata costretta praticamente con la forza a scappare da casa sua, a rischiare la vita per venire tra quegli alberi e tutto senza un motivo valido. Lo fissò, infuriata e impotente allo stesso tempo. Voleva solo farlo sparire ma sapeva che non avrebbe potuto, che non ci sarebbe riuscita e per questo lo odiava. Qualunque cosa la stesse tenendo in scacco non voleva che lei facesse qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. Perché, anche se si rifiutava di ammetterlo, lei era attratta, attratta da quei quadranti dorati e affascinata dal mistero che si celava sotto quell’innocua apparenza. Sentiva, istintivamente, che non era tutto lì, che quella che stava vedendo era solo una facciata e che dietro c’era molto altro, molto di più. In ogni caso, comunque, il problema rimaneva, perché i suoi genitori non avrebbe mai dovuto venire a sapere della sua esistenza. E così lei era di nuovo al punto di partenza. Sospirò, rassegnata, cercando di trovare una qualche scappatoia. E proprio allora sentì un rumore. Si voltò di scatto, tesa. Era stato un rumore così lieve, così impercettibile, che non se ne era quasi accorta eppure lo aveva sentito. Scrutò attentamente nel buio, ma ancora una volta non vide nessuno. Niente si muoveva e tutto attorno a lei era silenzioso e immobile, come se ogni cosa si fosse fermata nel momento in cui, in acqua, aveva toccato quella luce. Scosse la testa. No, sicuramente era solo una sua impressione. Eppure, nonostante questo, non potè impedirsi di gettare uno sguardo inquieto al lago alle sue spalle. E fu allora che capì dove poter tenere l’orologio al sicuro. L’illuminazione le venne all’improvviso ed era così semplice che si stupiva che non le fosse venuto in mente prima. In fondo, non era così complicato. La riva era piuttosto spoglia, ma c’erano dei folti cespugli che spuntavano qua e là, cespugli abbastanza grandi da poter tenere comodamente nascosto dentro di sé un piccolo oggetto come un orologio. Sorrise mentre, inginocchiata a terra, lo nascondeva tra gli arbusti. Nessuno avrebbe mai pensato di cercarlo lì, nessuno a parte lei, ovviamente. Sarebbe stato al sicuro e, con un po’ di fortuna, lei avrebbe potuto dimenticarsene. Si rialzò, ancora un po’ incerta sulle gambe. Adesso, finalmente, poteva tornare a casa. Una smorfia comparve sul suo viso all’idea di ciò che avrebbe trovato ad aspettarla. Sapeva che i suoi genitori sarebbero stati ancora alzati, preoccupati per quella sua improvvisa sparizione, in pena per la sua salute. Vedeva, nitido nella sua mente, Ted andare avanti e indietro, una cosa che faceva spesso quando qualcosa lo turbava. E sua madre… Una fitta al cuore la trafisse quando quel pensiero le affiorò alla mente. Marie aveva bisogno di restare tranquilla, di non agitarsi e tutto quell’affanno, quella preoccupazione per lei sarebbero stati un colpo tremendo per la sua salute. I sintomi che aveva mostrato quella sera avrebbero potuto aggravarsi, avrebbe potuto sentirsi male e sarebbe stata solo colpa sua… Scosse la testa, mentre quell’ipotesi le toglieva il respiro. No, non ne sopportava neanche il pensiero, non avrebbe mai permesso che accadesse una cosa del genere. Si prese la testa tra le mani, furiosa con sé stessa. Non riusciva, adesso, a capire come aveva potuto farle una cosa del genere. Come aveva potuto essere così cieca, così egoista, da non ricordarsi delle sue delicate condizioni di salute? Come aveva fatto a non capire che quella fuga l’avrebbe fatta preoccupare, che l’avrebbe messa a rischio…. Come aveva potuto? Era stata una stupida e adesso non le restava altro che sperare di essere ancora in tempo per sistemare le cose. Si voltò verso casa, cercando di camminare velocemente. Voleva fare in fretta, recuperare il tempo perso, ma non appena superò la prima schiera di alberi la testa cominciò a girarle, mentre la vista le si offuscava. Barcollò, rischiando di cadere di nuovo a terra, e si appoggiò ad un albero per sostenersi. Rimase immobile per un po’, aspettando di riprendersi. Solo quando si sentì sicura riaprì gli occhi, ma proprio allora il terrore cominciò ad inondarla, impedendole di respirare. Si guardò attorno, confusa, spaventata, ma nonostante si sforzasse non riusciva più a ricordare da che parte doveva andare, quale direzione dovesse prendere per tornare a casa. Si era persa. Gemette, furiosa. Non poteva essersi dimenticata la strada, non in quel momento, non quando Marie aveva più bisogno di lei. Imprecò sottovoce, i pugni stretti, odiandosi per la sua debolezza. Sembrava non essere abbastanza forte per aiutare sua madre, per proteggerla… Forse Lucas aveva ragione, in fondo, forse lei non sapeva badare nemmeno a sé stessa. Ricordava bene quando glielo aveva ripetuto di nuovo, appena prima di partire… “Non mi stancherò mai di dirtelo, Katie, ma fai attenzione, d’accordo? Non si sa mai cosa può succedere e non voglio che tu mi faccia stare in pensiero.” “Andiamo, Lucas, cosa vuoi che succeda? Io sono grande, ormai, e poi tanto qui non succede mai niente.” Lui aveva scosso la testa, i corti capelli biondi che scintillavano al sole. “No, tu sei ancora una bambina. Mancano ancora molti anni prima che tu possa considerarti grande, Katie, e fino a quando non sarai in grado di difenderti da sola devi promettermi di fare molta attenzione. Tu ancora non sai com’è veramente il mondo, ma è molto diverso da come te lo immagini.” Lei lo aveva fissato, i grandi occhioni spalancati. Era ancora così piccola, allora… “Perché dici queste cose? E poi perché devi andare via? La mamma e io abbiamo bisogno del fratellone.” Lucas le aveva sorriso, abbracciandola stretta. “Sai bene che mi mancherete tantissimo, ma devo andare via. Sono sicuro che quando sarai più grande capirai e riuscirai a comprendere il motivo della mia decisione, Katie. Ma ricordati, se succede qualcosa devi andare subito da papà, hai capito? Corri da lui, più veloce del vento. E se ce ne sarà bisogno tornerò subito, perché non voglio che succeda qualcosa alla mia sorellina. Su, adesso vai dalla mamma e ricordati. Vi vorrò sempre bene, ovunque sarò. Voi siete la cosa più importante per me, lo sai vero?” Lei aveva annuito, mentre le lacrime cominciavano a scenderle sulle guance. Eppure, nonostante tutte quelle promesse, Lucas non era mai tornato da lei. Da tempo non aveva più sue notizie e da anni non rivedeva più il volto solare del suo fratellone. Sembrava scomparso nel nulla, sparito senza lasciare traccia. Aveva pianto molte notti, per lui, notti insonni nelle quali mille dubbi si erano insinuati nella sua mente. Ancora adesso sentiva così tanto la sua mancanza… Scosse la testa, cercando di scacciare le lacrime, ma non appena riaprì gli occhi avvertì qualcosa, qualcosa che la immobilizzò sul posto, qualcosa che riuscì, per un istante, a fermare il battito del suo cuore. Un fruscio di foglie, dei tonfi sempre più forti e sempre più vicini. Katie si voltò di scatto, spaventata. Stava arrivando qualcosa, qualcosa di grosso… E all’improvviso una sagoma bianca si lanciò su di lei, buttandola a terra con il suo peso. La ragazza urlò, terrorizzata, ma la belva feroce non se ne preoccupò, continuando indisturbata a leccarle la faccia. E solo allora la luce della luna, filtrando da dietro le nuvole, le permise di vedere che quell’essere altri non era che il loro cane. “Whitly??” Whitly abbaiò, cercando con il muso di aiutarla a tirarsi su. Katie si alzò, incerta sulle gambe, fissando sconcertata il suo aggressore. Cosa diamine ci faceva lì? Avrebbe dovuto essere a casa e… Si bloccò all’improvviso, fissando il vuoto, folgorata da quel pensiero. Ma certo! Se Whitly veniva da casa allora avrebbe anche potuto riportarcela. Era una speranza tenue, ne era consapevole, ma ci si aggrappò. Forse seguendolo sarebbe riuscita ad uscire dal bosco e a tornare dai suoi genitori, forse sarebbe stata ancora in tempo per evitare che Marie… Scosse la testa, scacciando quel pensiero. No, non voleva pensarci. Il suo sguardo vagò tra gli alberi, tormentato, per poi posarsi su Whitly. La ragazza lo fissò, dubbiosa. C’era qualcosa di strano, lo sentiva, ma non riusciva a capire bene cosa. Certo era che quell’incontro era davvero incredibile, tanto incredibile da non sembrare neppure vero. Era come se il cane avesse avvertito che lei era nei guai e fosse corso ad aiutarla. C’erano state troppe coincidenze quella sera… Sussultò quando Whitly cominciò a tirarle la manica, ma poi lo seguì mentre la guidava tra gli alberi, certo della direzione. La ragazza barcollò, cercando di stargli dietro e contemporaneamente di mantenere il suo già precario equilibrio senza inciampare. Non aveva paura, non più. Si fidava di Whitly, sapeva che l’avrebbe portata al sicuro e questo la confortava. L’unico spiraglio di luce, in quella notte così buia. Lo seguì nell’oscurità degli alberi, gettando stancamente un ultimo sguardo dietro di sé prima di sparire nelle tenebre. Ma non appena le due figure scomparvero nella foresta qualcosa si mosse, tra il fogliame. Nascosti nell’oscurità, due occhi gialli osservarono attentamente i vari cespugli lungo la riva, soffermandosi particolarmente su uno solo di essi... Un sorriso brillò nel buio, e poi svanì. Nel bosco, intanto, Katie continuava ad avanzare, tremando come una foglia. Il vento aveva cominciato ad alzarsi e il freddo della notte stava congelando i suoi vestiti bagnati, strappandole continui brividi. Ogni passo durava un’eternità, ogni albero le sembrava identico a quello precedente. Tutto attorno a lei le sembrava uguale a ciò che aveva appena lasciato. Non aveva più né la percezione del tempo né il suo labile senso dell’orientamento. Si limitava ad affidarsi a Whitly, che continuava deciso a tirarla per la manica, lasciandosi condurre senza opporre resistenza. Sapeva, però, che non avrebbe potuto continuare così ancora per molto. I suoi piedi erano sempre più goffi, le sue gambe sempre più pesanti. In quel momento, la vera tortura era dover resistere alla tentazione del caldo abbraccio del sonno, ma sapeva che se si fosse addormentata sarebbe stata la fine. Una volta caduta tra le braccia di Morfeo niente avrebbe più potuto svegliarla e il freddo di quella notte avrebbe fatto in modo che lei non potesse mai più riaprire gli occhi. Ne era consapevole e per questo resisteva, stringendo i denti, imponendosi ogni volta di mettere un piede davanti all’altro, di non fermarsi finchè non fosse arrivata davanti alla porta della sua casa, finchè non si fosse accertata delle condizioni di Marie. Fu questo pensiero a darle la forza di andare avanti. Fu questo a spronarla a non mollare, a ricordarle perché aveva resistito così a lungo. La morte voleva già allungare le mani su sua madre, ma lei non le avrebbe permesso di prendere né lei quella sera né Marie in futuro. Avrebbe lottato fino all’ultimo, questo era certo. Tuttavia dovette raccogliere tutto il coraggio che aveva, per continuare. Ogni minuto era un lungo, interminabile momento di dolore, ma alla fine la sua tenacia fu ripagata. Le pareti bianche, le finestre illuminate, la grande porta in legno comparvero davanti a lei. Quella era casa sua, la sua meta, ma proprio quando era quasi arrivata si rese conto di non avere più la forza di continuare. Rimase lì, immobile, fissando disperatamente quella porta, la sua unica salvezza. E chiedendosi quanto ancora avrebbe potuto resistere prima di crollare. La testa cominciò di nuovo a girarle e i continui latrati di Whitly la trafiggevano come lame incandescenti. Non riusciva a capire perché dovesse fare tutto quel rumore, perché non la smettesse di torturarla dopo tutto quello che aveva passato, ma improvvisamente divenne silenzioso e stranamente tranquillo. Katie lo fissò, confusa. E poi sentì. Un armeggiare dietro la porta, voci preoccupate e finalmente Katie potè rivedere i suoi genitori, sani e salvi davanti a lei. Il sollievo che provò in quel momento fu quale non ne aveva mai provato prima. Ora era davvero al sicuro. Tuttavia… Gettò uno sguardo a Marie, preoccupata, cercando di accertarsi se stesse bene. Non sembrava ci fosse nulla di strano. Era molto pallida, ma era diventata una cosa normale, ormai. E per il resto sembrava davvero tutto a posto. La ragazza sospirò di sollievo, abbandonando finalmente la tensione, la paura e la preoccupazione che l’avevano tormentata per tutto il tragitto. Erano al sicuro, erano tutti al sicuro. Eppure non era ancora finita. Leggeva facilmente la preoccupazione sui volti dei suoi genitori, sapeva che il suo comportamento irresponsabile li aveva tormentati a lungo. Neanche lei, ora, guardandosi indietro, riusciva a trovare validi i motivi che l’avevano spinta fuori dalla finestra. La luce, l’orologio, erano ormai talmente lontani che le apparivano irreali, quasi un sogno. O un incubo. “Katie, sei tutta bagnata! Mio Dio, stai tremando… Vieni dentro, al caldo, che ti preparo una tazza di the…” Katie li lasciò affaccendarsi attorno a lei, assente, quasi inconsapevole di ciò che stava succedendo. Si sentiva come in una sorta di limbo, in cui la sua mente galleggiava senza pensieri, senza preoccupazioni… Si riscosse all’improvviso quando la madre le sorrise, rimboccandole i tre strati di coperte sotto cui l’aveva sepolta. “Katie, oggi ci hai fatto proprio preoccupare, ero tanto in pensiero… Ma l’importante è che tu sia tornata e stia bene. Be’, non contando il fatto che ti sei quasi congelata.” Katie fece una debole risatina, troppo stanca per ribattere o assecondarla. Sentiva già gli occhi chiudersi, ma doveva dirlo, doveva trovare la forza per un ultimo sussurro… “Mi… dispiace…” La madre scosse la testa, baciandola teneramente sulla fronte. “Non fa niente, piccola mia. Adesso dormi. Domani è un altro giorno.” Ma la ragazza non la stava più ascoltando. Si era addormentata già alle prime parole. Senza fare rumore, Marie si alzò dal letto e sgusciò fuori dalla stanza. Ad aspettarla c’era Ted. “Come sta?” “Meglio, adesso sta dormendo. Si è presa un bel po’ di freddo, ma penso che si rimetterà presto. Però sono molto preoccupata. Dov’è stata? E’ tornata bagnata fradicia, infreddolita e… Oh, volevo chiederglielo, ho provato ma era così stanca e stravolta e io…” Il marito la interruppe dolcemente, prendendole delicatamente il viso tra le mani. “Stai tranquilla cara. Domani è un altro giorno. Domani Katie starà meglio e ci racconterà cosa è successo. Dobbiamo solo avere pazienza e fiducia.” Lei chiuse gli occhi, stanca. Poi, con un sospiro, gli sorrise. “Hai ragione. Basta solo aspettare.” E la lasciarono dormire. Ci sarebbe stato tempo in seguito per le spiegazioni. * La luce forte del mattino filtrava attraverso le tende. Katie strinse gli occhi, gemendo, e si ritirò sotto le coperte, cercando di riaddormentarsi. Ma ormai era sveglia e la possibilità di riprendere sonno svanita. Sbadigliò, stiracchiandosi. Cominciava ad avere caldo, sotto tutte quelle coperte, ma il pensiero di quello che la aspettava di sotto bastava a tenerla ancora a letto. Fece una smorfia al ricordo della sera prima. I suoi genitori non le avevano fatto domande, era vero, ma erano turbati e molto preoccupati. Dopo aver avuto il tempo di riprendersi dalla sorpresa e dopo aver visto che lei stava meglio, sarebbero cominciate le pressioni per sapere cosa fosse successo. E lei cosa avrebbe dovuto raccontare? Che era scappata per inseguire una luce nel bosco, luce che solo lei poteva vedere, e che era poi quasi annegata per un orologio? Gemette, tornando a rintanarsi sotto le coperte. Non sarebbe mai più uscita da quella camera, non aveva il coraggio di affrontarli. Eppure... Scosse la testa, mentre il suo pensiero tornava di nuovo a ciò che era successo al lago. Adesso le sembrava tutto distante e irreale, ma era successo veramente. Non aveva sognato, non era stata un’illusione. Quella luce era vera, ne aveva persino sentito il tocco, caldo e confortante, sulla mano. Sospirò, osservando amareggiata il cielo che riusciva ad intravedere dalla finestra. Se ci ripensava le sembrava quasi di sentire ancora il profumo di sua madre nella stanza, proprio come quella sera… Chiuse gli occhi, mentre un’insolita nostalgia la soffocava, togliendole il respiro. Nonostante quello che quel profumo l’aveva costretta a fare, non riusciva a non sentirsi triste al pensiero che non avrebbe più potuto sentirlo, che non avrebbe più potuto avere quell’unico, anche se labile, contatto con la sua vera madre. I suoi veri genitori… Anche se non li aveva praticamente mai conosciuti si sentiva legata a loro, stretta da un invisibile filo che la legava al passato. Sentiva che quel legame era importante, sentiva di dover proteggere ad ogni costo quell’unico frammento che le rimaneva della sua famiglia, anche se si trattava di restare aggrappata solo ad un sogno. Era quello, tutto ciò che le rimaneva, un sogno, così fragile da poter essere spazzato via dai venti che avrebbero imperversato nella sua vita. Un sogno che a quanto sembrava le aveva mentito per anni, fino a quella sera, quando finalmente la verità era uscita allo scoperto. La ragazza sospirò, stringendo a sé le coperte. Perché dopo tanti anni? Perché fino ad allora non aveva mai visto l’Ombra, non aveva mai saputo la verità su quell’incidente? Non era una cosa che avrebbe dimenticato facilmente, anche se era ancora molto piccola. Le sarebbe rimasto impresso nella mente, tormentandola senza sosta. Ci sarebbe stato qualcosa, al posto del vuoto che aveva avuto per sedici anni. Che ci fosse quindi una connessione? Che in qualche modo quello che era successo al lago l’avesse influenzata, tanto da costringerla a ricordare qualcosa che aveva volontariamente rimosso? Scosse la testa. No, non lo credeva probabile. Anche se quello della luce era stato un evento decisamente fuori dal comune, non lo era abbastanza da smuovere ricordi nascosti così in profondità. Eppure un legame doveva esserci, doveva esistere una risposta, da qualche parte… Si tormentò le mani, pensierosa. Cos’era successo di preciso? Ricordava bene di essere entrata in acqua, di aver toccato la luce e poi di aver sognato. Scattò a sedere, mentre una scarica di adrenalina la scuoteva dal suo torpore. Come aveva fatto a non accorgersene, a non pensarci prima? E se quello che aveva trovato nel lago, quello che adesso giaceva nascosto sulla sua riva, fosse la risposta che stava cercando? La sera prima non ci aveva fatto molta attenzione, non le era sembrato importante, ma se fosse stata davvero quella la chiave di cui aveva bisogno per arrivare di nuovo a quel ricordo? Doveva riviverlo, scoprire la verità su quello che era successo, doveva riuscire a vedere il volto dei suoi genitori almeno una volta. Lei doveva vederli. Doveva. Ma come poteva fare? Ted e Marie non l’avrebbero lasciata uscire, non dopo quello che era successo. D’altronde, ormai non avevano più motivo di crederle. Scosse la testa, amareggiata. Tutti quegli anni di fiducia, di rispetto reciproco, tutto era andato in fumo in una sola notte. Come avrebbe fatto a riconquistare la loro stima in un giorno solo? Non era possibile e scappare di nuovo era assolutamente fuori discussione. Era proprio per la sua prima fuga che adesso si trovava in quel pasticcio e farlo un’altra volta avrebbe solo peggiorato le cose, per non parlare dello spavento che Marie si sarebbe presa… No, la cosa migliore da fare era scendere e affrontarli. Doveva dimostrare ai suoi genitori che era dispiaciuta per ciò che era successo, doveva mostrare loro che non intendeva sottrarsi alle sue responsabilità. Scese dal letto e si affrettò a cambiarsi prima che la sua delicatamente determinazione la porta, svanisse. Aprì affacciandosi sul corridoio. Sembrava che non ci fosse nessuno. Questo era insolito, in effetti, ma non ci fece caso. Prese un bel respiro, sentendo il cuore martellarle forte nel petto, e poi scese le scale, pronta ad affrontare tutto quello che l’avrebbe attesa di sotto. Tutto quello che l’avrebbe attesa, ovvero nulla. La casa era silenziosa, troppo silenziosa. La ragazza fece il giro di tutte le stanze, ma non c’era traccia dei suoi genitori. Tornò in soggiorno, preoccupata. Cosa poteva essere successo per costringerli ad uscire senza nemmeno avvertirla? Forse non ne avevano avuto il tempo, forse Marie si era sentita male… Cominciò a camminare in tondo, sempre più in ansia. Forse i sintomi che sua madre aveva mostrato quella sera si erano aggravati e Ted aveva dovuto portarla all’ospedale. In quello stesso momento poteva avere bisogno di lei, del suo aiuto… Scattò verso la porta, smaniosa di agire, ma non appena la aprì uno strano rumore attirò la sua attenzione. Le era familiare, sì, sembrava… il rombo di un trattore. Si voltò verso i campi, aguzzando gli occhi, cercando inutilmente di scorgerne la sagoma nella leggera nebbiolina. Adesso finalmente capiva perché la casa era vuota quando si era svegliata. Si sedette di schianto sui gradini dell’entrata, sollevata. Marie stava bene, non c’era nulla di cui preoccuparsi. Quella era una stagione cruciale per il raccolto e probabilmente non avevano potuto rimandare, uscendo e lasciandola sola. Quel pensiero la colpì come un fulmine. Lei era sola. Libera di agire. L’immaginazione di Katie cominciò a correre a briglia sciolta. Se si fosse sbrigata avrebbe potuto andare e tornare prima che i suoi genitori potessero accorgersi della sua assenza. Si sarebbe fatta trovare barcollante, ancora un po’ intontita dal sonno. Loro avrebbero immaginato che si fosse appena svegliata. Non avrebbero potuto sospettare nulla. La ragazza si morse il labbro, tentata. Sembrava una buona idea, ma era assolutamente rischiosa. Non sapendo a che ora Ted e Marie fossero usciti di casa, lei non poteva sapere quanto tempo aveva a disposizione. C’era la possibilità, tutt’altro che remota, che tornassero a casa e la trovassero vuota. E a quel punto sarebbe stata la fine di tutto. Chiuse gli occhi, combattuta, la testa tra le mani. Tornare nel bosco significava rischiare tutto ciò che aveva costruito in quegli anni. Significava perdere la fiducia dei suoi genitori, la loro stima e, forse, anche il loro affetto. Una lacrima le scese lentamente lungo la guancia. Non potevano chiederle questo. Ted e Marie erano le persone più importanti della sua vita. Il solo pensare di perderli era insopportabile, doloroso oltre l’immaginabile. In quella scommessa la posta in gioco era troppo alta, eppure la tentazione rimaneva. Senza l’orologio lei non avrebbe potuto conoscere la verità, rivedere i propri genitori. Non avrebbe potuto vedere i loro volti, avere un ricordo a cui aggrapparsi… Ma per avere solo quel fugace momento con loro lei era costretta a sacrificare l’amore di Ted e Marie, le persone che l’avevano allevata come una figlia, che erano lì, vive, accanto a lei… Scosse la testa. Stava inseguendo dei fantasmi, lo sapeva, ma il loro richiamo era così forte che lei non riusciva a resistergli. La chiamavano, la supplicavano. E lei non poteva fare altro che rispondere. * Non era cambiato nulla, da quella notte. Il lago era esattamente come lei lo aveva lasciato, eppure era come se la magia che l’aveva pervaso fosse sparita. Come se quelle acque fossero tornate come erano sempre state. Come dovevano essere. Katie sospirò, appoggiata ad un albero, osservando la scena davanti a lei. Si sentiva strana, in qualche modo, come se non fosse il lago ad essere cambiato, ma lei. Aveva fatto il celebre salto nel vuoto, eppure ancora non sapeva se lo aveva fatto nella direzione giusta. Nel suo inconscio sapeva che non sarebbe potuta tornare a casa così facilmente come sperava, ma in quel momento non c’era nulla che glielo potesse far presagire. Era al sicuro e sola, soprattutto. Questa era l’unica cosa di cui era certa, eppure si sbagliava. Non era sola, non lo era mai stata. Da quella notte era sempre stata seguita dal brillio di un paio di occhi gialli, occhi che la osservavano, che la studiavano. Occhi che erano dietro di lei proprio in quel momento, nascosti nell’ombra, in attesa... Ignara di tutto, Katie cominciò a incamminarsi verso la riva, tranquilla. Non sapeva perché, eppure sentiva di non avere fretta, di non avere nulla di cui preoccuparsi. Come se quel momento fosse solo e unicamente suo. Sua madre, suo padre, tutto ciò che era successo la notte prima, tutto passò in secondo piano non appena i suoi occhi si poggiarono sull’orologio. Era un piccolo capolavoro di oreficeria, unico, Katie ne era certa, nel suo genere. Era composto da tre quadranti rotondi, con numeri che potevano ruotare su supporti girevoli, e aveva grosso modo le dimensioni di un comune orologio da taschino. Tutt’attorno i bordi e i pochi spazi liberi erano impreziositi da cornici dorate che si intrecciavano in un complicato arabesco. Due sottili linee argentate correvano lungo i lati, congiungendosi sulla sommità in un piccolo pulsante dorato, con sopra inciso uno strano stemma. Katie aguzzò lo sguardo, tentando di decifrare quei piccolissimi simboli. Non riusciva a capire cosa potesse significare, sembrava una fiamma, o qualcosa del genere…. Alzò cautamente un dito, indecisa se premere o no quello strano disegno. La curiosità la stava divorando, ma aveva paura di fare qualcosa di decisamente sbagliato. “Fossi in te non lo farei. Fidati, è davvero una brutta, bruttissima idea.” A quelle parole Katie si voltò di scatto, spaventata. Il suo cuore si fermò per un secondo e poi riprese a battere, impazzito. I suoi occhi guizzarono da una parte all’altra, eppure attorno a lei non c’era nessuno. “Chi c’è? C’è qualcuno?” Silenzio assoluto. La ragazza attese ancora, ma nessuno rispose. Possibile che quella voce se la fosse soltanto immaginata? Scosse la testa. No, non se l’era immaginata e non stava diventando paranoica. C’era qualcuno tra gli alberi, qualcuno nascosto nell’ombra. Qualcuno che l’aveva seguita fino a lì. Fu attraversata da un brivido. Chi poteva essere? E pedinando? soprattutto, Non c’era perchè alcun la stava motivo per seguirla, lei non aveva nulla che… Si bloccò, stordita, quando quel pensiero le fece tornare alla mente quello che era successo il pomeriggio prima, con Sophie. Con tutto quello che era successo dopo aveva completamente dimenticato quella faccenda. Sembrava lontanissima, come se fosse accaduta non il giorno prima, ma mesi e mesi addietro. Eppure quel giorno la zia era sembrata alla ricerca di qualcosa, qualcosa che, a suo dire, era lì, nel bosco. Che avesse solo sbagliato posto? Che l’oggetto per il quale l’aveva minacciata fosse proprio quello che adesso aveva lei in mano? Istintivamente stringendosi fece un l’orologio passo al petto. indietro, Adesso finalmente il comportamento di Sophie aveva un senso. Tutti quei pezzi sparsi che non era riuscita a riunire in quel momento le apparivano chiari, incastonati perfettamente l’uno con l’altro. Si guardò di nuovo attorno, mentre la rabbia verso quella donna cominciava a sostituirsi alla paura. Sembrava non esserci anima viva, lì attorno. Non c’era nessuno, tranne uno strano gatto dagli occhi gialli appollaiato su un ramo poco davanti. Dove poteva essersi nascosta? Doveva essere lei, ne era certa, eppure qualcosa ancora non tornava. Scosse la testa, confusa. Ora che ci pensava la voce che aveva sentito non era quella di Sophie, non era neanche di una donna, in realtà. Quella era una voce maschile, non c’erano dubbi. Ma allora… Chiuse gli occhi, pensierosa. La zia quindi non c’entrava nulla in tutta quella storia. Non era lei che la stava spiando, non era lei ad averla seguita. A quel punto cominciava davvero a pensare di essere impazzita. Forse era stata solo la tensione a giocarle un brutto scherzo. In fondo, perchè qualcun altro avrebbe dovuto interessarsi a lei? Si bloccò, lo sguardo assente. E invece un motivo c’era. Qualcosa era successo. La sua mano sull’orologio. si strinse Possibile che automaticamente fosse quello il motivo? Che chiunque ci fosse nascosto tra quei cespugli lo volesse? Indietreggiò verso l’acqua, agitata. Se teneva così tanto a quell’oggetto, forse anche lui sapeva di cosa poteva essere capace. Forse aveva persino osservato la scena della notte prima, forse l’aveva seguita già quella volta. E probabilmente era lo stesso uomo che l’aveva tratta in salvo, tirandola fuori dall’acqua. Si guardò di nuovo attorno, agitata. Non aveva alcun senso. Se davvero era stato lui a salvarla perché non prenderle l’orologio mentre era ancora svenuta? Perché decidere di aspettare che fosse lei stessa a tornare a riprenderlo, per poi tentare di portarglielo via? Sarebbe stato un inutile spreco di tempo e non poteva prevedere che proprio quel giorno lei avrebbe avuto l’occasione di uscire di casa senza essere fermata dai suoi genitori. Avrebbe potuto aspettare per settimane, senza che lei avesse potuto avere la possibilità di tornare al lago. No, non aveva alcun senso, e questo la spaventava. Cominciò a indietreggiare, turbata. Doveva tornare a casa il più in fretta possibile e… Sussultò, terrorizzata, quando un rumore secco dietro di lei la fece voltare di scatto. Nel girarsi, però, l’orologio le cadde di mano, cadendo a terra con un tonfo. “Dovresti fare più attenzione, ragazzina, quello non è un giocattolo da far cadere per terra quando ti pare. È delicato. Ma ovviamente voi umani non potete capire.” E detto questo, improvvisamente il gatto, lo stesso che lei aveva visto poco prima, balzò a terra. Katie urlò dalla sorpresa, incespicando nei suoi stessi piedi e cadendo a terra. Si mise faticosamente a sedere, boccheggiante. Il gatto era sempre lì, a fissare la sua espressione scioccata con uno sguardo divertito e un grande ghigno stampato sul muso. “C-Come… come è possibile? Un… gatto?” “Sì, un gatto. Scommetto che pensi di essere impazzita, vero? Che questa sia solo un’allucinazione, un incubo, oppure chissà cos’altro. Fate sempre così, alla fine diventate monotoni.” Lei lo fissò ad occhi spalancati, paralizzata dallo stupore. “Tu… tu non puoi parlare!” Lui sbuffò. “E perché no? Lo sto già facendo, comunque. Su, cerca di riprendere fiato e di evitare di guardarmi con quell’aria da pesce lesso. Sì, sono un gatto che parla. Sì, in questo mondo dovrei solo miagolare e fare chissà cos’altro, e invece sono qui davanti a te a chiederti di non svenire e di non urlare di nuovo. Hai due bei polmoni, lo sapevi? Mi hai quasi perforato i timpani.” La ragazza scosse la testa, confusa. “Io… io non capisco. Cosa sta succedendo?” “E’ una storia lunga, troppo lunga, e adesso non ho il tempo di spiegartela. Ascoltami molto attentamente, qui non sei al sicuro. Verranno a cercarti e non devono trovarci ancora qui. Devo portarti via al più presto. Dopo ieri sera ho il terrore di quello che potrebbe succederti.” Lei lo fissò, ancora più confusa. “Ieri sera? Vuoi dire che sei stato tu a tirarmi fuori dall’acqua? Eri tu?” Lui sospirò, alzando gli occhi al cielo. “E’ così importante per te saperlo? Comunque sì, ero io. È mio compito proteggerti e non potevo certo lasciarti annegare. E sono stato sempre io a mandare il cane da te, per evitare che ti perdessi e non riuscissi più a tornare a casa prima di svenire congelata.” “Mi stavi… seguendo?” “Certamente. Non potevo lasciarti sola nemmeno un secondo, altrimenti chissà cosa ti sarebbe successo.” “Quindi tu sai anche cos’è questo?” Si chinò, prendendo l’orologio tra le mani e mostrandoglielo. Quando lo vide sembrò… emozionato e addolorato allo stesso tempo. “Sì, so cos’è ma non è mio compito spiegartelo. Però mi raccomando, tienilo stretto e non lasciarlo mai. Tienilo sempre con te e non cederlo a nessuno, per nessuna ragione.” “E’ tanto importante?” Lui annuì, distogliendo lo sguardo. “Non sai nemmeno quanto. Dovrai fare molta attenzione, Katie. Adesso che sei stata scelta, sei diventata un facile bersaglio.” La ragazza lo fissò, preoccupata. “Un… un bersaglio? E per chi? E poi come fai a sapere il mio nome? Sono sicura di non avertelo detto.” “Potrò anche parlare, ma resto pur sempre un felino con un udito molto sviluppato, non dimenticarlo. Ho ascoltato le conversazioni dei tuoi genitori e ho sentito fare il tuo nome, ecco come faccio a conoscerlo.” “Ci hai spiati??” “Ho dovuto. Dovevo essere costantemente informato di ciò che facevi, o non avrei potuto sorvegliarti in maniera efficiente.” “Ma perché dovevi sorvegliarmi? Io non ho idea di cosa stia succedendo!” “Lo so, ma capirai tutto appena saremo andati in un posto più sicuro. Non…” Si bloccò a metà frase, preoccupato. Dopo appena qualche secondo si levò una voce, tra di loro, una voce che sembrava provenire da tutte le direzioni. Lyer, devi venire subito. Non so ancora come, ma sono stati avvertiti. Porta immediatamente la ragazza via da lì, oppure riusciranno ad intercettarvi. Sbrigatevi. A quelle parole Lyer imprecò, agitato. “Maledizione, speravo di avere più tempo! A quanto pare invece dovremo arrangiarci. Svelta Katie, dobbiamo andare.” La ragazza indietreggiò, scuotendo la testa. “Non posso venire, non senza i miei genitori. Che ne sarà di loro?” “Loro sono al sicuro, non c’è nulla di cui preoccuparsi, ma al momento siamo noi ad essere in pericolo. Dobbiamo sbrigarci.” “Non posso andarmene così senza dire loro niente! Si preoccuperanno, chiameranno la polizia e chissà cos’altro!” Lyer sbottò, sempre più teso. “Non abbiamo il tempo di avvertirli! Hai sentito anche tu Arkel, no? Stanno arrivando e non possiamo permettere che ti catturino! Non fare la testarda, vieni e basta!” “Non posso fargli passare una cosa del genere, dobbiamo tornare indietro!” Lui scosse la testa, esasperato, ma prima che potesse ribattere un grande fragore esplose tra gli alberi. “Sono già qui! Maledizione, Katie, scappa! Scappa e non fermarti!” Lei lo fissò, spaventata, e un attimo dopo, senza neanche sapere come o perché, stava già correndo attraverso il bosco, lo stesso bosco che l’aveva accolta e protetta con i suoi rami, di cui sapeva ogni segreto, e che ora le sembrava minaccioso e pieno di ombre. In preda al panico continuava a correre, sentendo solo il battito del suo cuore nella testa, il suo respiro nei polmoni, incurante dei graffi che spine e rami le procuravano. Non sapeva cosa stesse succedendo dietro di lei, se Lyer la stesse seguendo o se invece fosse rimasto laggiù a prendere tempo. Non sapeva cosa sarebbe successo, non sapeva se davanti a lei ci fosse una qualche speranza. Il suo unico pensiero era correre, correre senza fermarsi, senza guardarsi indietro, correre finchè aveva fiato in corpo. E continuò per quelle che le sembrarono ore, ma più andava avanti più le sue gambe diventavano deboli, il suo respiro più ansante e il dolore al fianco più acuto. Chiuse gli occhi, mentre le lacrime cominciavano a scenderle lungo le guance, cercando di frenare i singhiozzi che la scuotevano. Non ce l’avrebbe fatta, non ci sarebbe riuscita… Inciampò due o tre volte e alla fine cadde lunga distesa alla base di un albero, ferendosi al ginocchio. Cercò di rialzarsi ma ricadde subito sulle foglie, gemendo. Abbassò la testa, ansimante, la mano stretta sul ginocchio per frenare il dolore. E anche attraverso il velo di lacrime che le offuscava la vista, riuscì a vedere il sangue colarle tra le dita. Alzò lo sguardo, i denti stretti, cercando di distrarsi, di non pensare al liquido caldo che le scendeva lungo la gamba. Doveva resistere… “Katie!” La ragazza voltò la testa verso Lyer, sollevata. Stava bene, non sembrava ferito. “Katie, cos’è successo?” Lei cercò di sorridergli, evitando con cura di guardarsi la gamba. O le mani. “Diciamo che… che il mio ginocchio non sta propriamente bene.” Lui aggrottò la fronte, preoccupato, lo sguardo fisso sulla ferita. “Non ci voleva, con questo taglio non riuscirai a fare nemmeno un passo. Ho paura che non abbiamo altra scelta.” Lei lo fissò, confusa. “Di cosa stai parlando?” Lyer scosse la testa, piazzandosi saldamente davanti a lei. “Di nulla. Tu continua a tenere la mano premuta sul ginocchio e non cercare di muoverti, o peggioreresti le cose.” “Peggiorare?” Lui si voltò un attimo verso di lei, serio. “Sì… Lui è vicino. Sta arrivando.” A quelle parole Katie fu attraversata da un brivido freddo. Come aveva potuto dimenticarsene? C’era qualcuno che li stava seguendo, che li cercava…. Sussultò quando, dalla boscaglia, vide una figura avvicinarsi tranquillamente verso di loro. Sbattè le palpebre, certa di aver visto male, di aver preso un abbaglio. Eppure non poteva sbagliarsi. Alto, un’inappuntabile con corti divisa capelli grigi militare… e Sì, quell’uomo era sicuramente il generale James Eledier, della Marina militare. L’aveva visto tante volte, in televisione. Ma come era possibile che un soldato pluridecorato come il generale si trovasse in quel bosco? Come era possibile che fosse lì per loro? “Riesci sempre a sorprendermi, J. Non credevo saresti riuscito ad arrivare qui così in fretta.” Lui sorrise, divertito, ma i suoi freddi occhi grigi non si staccarono nemmeno un attimo dalla mano di Katie. Una mano insanguinata stretta attorno all’orologio. “Te l’avevo già detto l’ultima volta, sono un uomo pieno di sorprese. Sai, ero sicuro che assieme a te sarebbe venuto anche Arkel, ci speravo molto. E invece a quanto pare non è venuto nemmeno questa volta, che peccato.” “Purtroppo Arkel era impegnato, ma mi ha pregato di porgerti i suoi saluti nello sfortunato caso in cui ti avessi incontrato.” “Allora, sempre che tu riesca ad uscire vivo da questi boschi, portagli i miei più sentiti saluti. Chissà, magari riusciremo ad incontrarci la prossima volta.” Lyer sbuffò, stanco di quella messinscena. “Non ci sarà una prossima volta, Eledier. Sai, ho sentito che persino nel mondo degli umani stai avendo dei problemi. Deve proprio essere un brutto periodo, per te.” Sul volto del generale passò un’ombra. “Diciamo che ho solo incontrato alcuni problemi, nulla che non possa risolvere anche ad occhi chiusi. E poi su, Lyer, non puoi dire che per me questo sia un periodo sfortunato. Basta anche solo vedere chi c’è dietro di te, per capire quanto le cose si siano messe a mio favore.” Lui ringhiò, mettendosi sulla difensiva. “Non riuscirai nemmeno a sfiorarla. Non la toccherai.” “E chi me lo impedirà, tu? Se ben ricordo il nostro ultimo incontro non ti è andato poi molto bene, Lyer. Pensavo che la ferita di quella bruciante sconfitta ti avesse insegnato qualcosa. Pensavo avessi finalmente imparato qual è il tuo posto.” “Infatti è questo, il mio posto. Quella volta sei stato solo un codardo. Mi hai preso alle spalle dopo avermi fatto lottare contro tutti i tuoi uomini, quando ormai ero sfinito. Un comportamento degno di un vero vigliacco.” Eledier fece spallucce. “E allora? Una sconfitta è sempre una sconfitta.” “Sei solo un farabutto, un lurido…” “Suvvia, Lyer, cerchiamo di essere civili, ricordati che questa volta abbiamo un’ospite. Un’ospite che verrà via con me.” Lyer rimase saldo al suo posto, immobile. “Non la toccherai.” Il sorriso del generale si raffreddò, mentre i suoi muscoli si contraevano. “Allora cominciamo.” CAPITOLO 4 Una goccia, due gocce. Presto divennero tante, troppe. Katie riusciva a malapena a distinguere due scontravano nel forme cielo. confuse Non che vedeva si altro. Restava lì, immobile, troppo stordita da ciò che stava succedendo lassù per provare a muoversi. L’unica cosa che sembrava essere ancora in grado di fare era tenere la mano stretta sul ginocchio succedendo e rabbrividire. tutto quello? Perché stava Lyer stava combattendo, stava rischiando la sua vita... e per che cosa? Per lei, una ragazza che non aveva mai conosciuto, una ragazza che, almeno secondo lui, doveva essere protetta a qualunque costo. Una lacrima le scese lentamente sul viso, mischiandosi alle gocce di pioggia. Niente stava andando come doveva andare. Perché non era rimasto tutto tranquillo, tutto com’era, come doveva essere? Invece adesso non sapeva più nulla. Non sapeva cosa stesse succedendo in quel cielo, non sapeva cosa sarebbe successo in futuro, non sapeva se sarebbe riuscita a tornare a casa. A casa... Chiuse gli occhi, un terribile peso sul cuore. I suoi genitori… Si sentiva male se pensava a come li aveva lasciati, così di soppiatto, al fatto che probabilmente non avrebbe più potuto vederli. Le sfuggì un singhiozzo quando rivide nella sua mente il viso tormentato di Marie. Cosa le sarebbe successo? Si sarebbe preoccupata tantissimo, avrebbe pensato che lei fosse morta, non avrebbe retto il colpo… E Ted? Ted, sempre così ottimista, sempre così allegro e disponibile… Si chiedeva se la sua sparizione lo avrebbe cambiato, se avrebbe cambiato tutto ciò che lei conosceva, ma non si rendeva ancora conto che il cambiamento era già cominciato. Fissò con occhi vacui le nuvole grigie sopra di lei, sentendo un grande vuoto dentro di sè. Desiderava solo perdersi, perdersi in quel nulla, smettere, finalmente, di pensare. D’altronde era così difficile ricordarsi che proprio all’interno di quell’immenso ammasso di cotone, così tranquillo e innocuo, si stava svolgendo una battaglia. Non ve n’era più alcun segno, tranne una piccola luce, che da quel tetro grigiore si avvicinava sempre più, fino a diventare grande, molto grande. E anche troppo vicina. Katie quasi non sentì l’esplosione, mentre veniva scaraventata contro un albero dall’onda d’urto. Non riusciva a restare lucida. Sentiva che il dolore era lì, vicino a lei, eppure non provava niente. Solo una grande spossatezza e la confortante vicinanza dell’oblio. Non cercò di resistere. Non cercò di combattere il buio che la stava avvolgendo. In quel momento voleva solo dimenticare tutto quello che stava succedendo, voleva liberarsi da quell’orribile sensazione di vuoto e di dolore. Era forse chiedere troppo? Non lo pensava. Voleva solo tornare a casa sua, alla vita di sempre. Un’ultima lacrima le scivolò dolcemente lungo la guancia. Non era possibile. Non lo sarebbe mai più stato. E poi, tutto fu buio. * La pioggia cominciò a cadere, prima leggera, poi sempre più fitta. Non era facile fronteggiare un avversario come il Generale in quelle condizioni. Era stato da ingenui pensare di poter mantenere una concentrazione perfetta ad una tale altezza, dove le raffiche di vento erano tali da fargli perdere l’equilibrio, distraendolo più volte. Anche l’acqua d’altronde faceva la sua parte nell’ostacolarlo, colpendolo a scrosci e riducendo notevolmente la sua visibilità. Senza dubbio, in quelle condizioni lui non era certo al meglio delle sue possibilità. I suoi riflessi erano più lenti, i movimenti più impacciati. Uno sbaglio e le cose si sarebbero davvero messe male. Eppure, mentre lui perdeva colpi, i movimenti di Eledier si erano fatti più veloci e precisi, e vederli con quella pioggia era pressoché impossibile. Tuttavia non aveva altra scelta, non poteva smettere di lottare. Doveva proteggere la Prescelta, non poteva assolutamente permettere che la catturassero o sarebbe stata la fine. Per tutti. “Saremo noi a vincere Lyer, lo sai, e ancora una volta tu non potrai fare altro che restare a guardare. Ironico come la stessa scena continui a ripetersi, non trovi?” Una lunga, sprezzante risata seguì quelle parole, arrivando a lui attraverso il denso ammasso di nuvole. Lyer si voltò di scatto, furioso. Quel maledetto… Stava cercando di provocarlo, di fargli perdere la concentrazione, e ci stava riuscendo. Una cieca rabbia ribolliva dentro di lui, desiderosa solamente di esplodere, di sfogarsi sul volto ghignante di Eledier, ma quasi subito qualcos’altro cominciò ad offuscare quella furia, dei ricordi e un dolore soffocato vecchio di anni… Tentò di fermarlo, di opporsi, ma non riuscì a impedirsi di rivedere nella mente quelle immagini, di rivivere quell’orribile giorno… E quella ferita, che nonostante tutti quegli anni non si era mai rimarginata del tutto bruciò di nuovo, forte come nell’attimo in cui si era aperta. Era un dolore immenso, un rimorso la cui forza non era diminuita con il passare del tempo e che continuava ad opprimerlo, a soffocarlo. Per un attimo, un solo istante, Lyer rimase immobile, sopraffatto da tutte quelle emozioni, e tanto bastò a Eledier per fare la sua mossa. Successe tutto molto in fretta, tanto che nessuno dei due avrebbe potuto dire con precisione cosa accadde. Una forza sconosciuta ma provvidenziale tirò Lyer da parte appena in tempo, mentre un’enorme palla infuocata lo mancava di pochi centimetri, dirigendosi verso terra. Lui rimase lì a fissarla per un momento, come in trance, pensando a quanto gli fosse passata vicina, cercando di capire cosa fosse successo. E fu in quell’attimo che la sua mente si rese conto di ciò che stava accadendo. Quella palla di fuoco stava andando verso il bosco, dritta verso Katie. “Katie! No!” Troppo tardi. Il globo stava continuando la sua caduta, inesorabile, troppo veloce per poter essere fermato, ma tutto questo non importava. L’unica cosa a cui Lyer riusciva a pensare era agire. Credeva di potercela fare, di poter essere ancora in tempo, ma questa flebile speranza si sciolse come neve al sole quando sentì l’esplosione sotto di sé. Si slanciò verso gli alberi, in preda al panico,il cuore stretto in una morsa, incurante di ciò che accadeva attorno a lui, incurante del fatto che stava voltando le spalle al nemico. Un dolore allucinante lo colse tra le scapole, ma non si girò. Non gli importava granchè di essere colpito, poteva resistere, non era quella la cosa importante. L’importante era solo Katie, perché lei doveva vivere. Non avrebbe permesso che accadesse tutto di nuovo, no, non sarebbe andata a finire così… “Katie!” Si guardò attorno, frenetico, e finalmente la vide, accasciata ai piedi di un albero... inerte. A quella vista il suo cuore si gelò. Corse da lei e sospirò di sollievo quando vide che era solo svenuta. Dovevano andarsene, ora che potevano. Arkel li stava aspettando. Era ora di tornare a casa. CAPITOLO 5 Era una mattina soleggiata, rinfrescata da una leggera brezza. Le nuvole nere del temporale erano ormai solo un ricordo. Katie osservava la vallata dal balcone della sua camera, assaporando la pace di quel luogo e la dolcezza del vento che le scivolava leggero tra i capelli. Non ricordava molto di ciò che era successo due giorni prima nel bosco, quasi come se la sua mente avesse voluto rimuovere quell’esperienza dalla sua memoria. In effetti, almeno da quello che ricordava, non era stata affatto piacevole, eppure si era risolto tutto per il meglio ed erano riusciti a scappare. Avrebbe dovuto esserne contenta, ma aveva troppi pensieri per la testa per riuscire a godersi quella piccola vittoria. I suoi genitori, i suoi incubi, tutto quello che era successo, e anche il simpatico vecchietto che si era preso cura di loro in quei giorni. Si appoggiò al balcone, pensierosa. Quel nuovo incontro le aveva dato molto su cui riflettere e soprattutto l’aveva riempita di dubbi. Come faceva a sapere che lui era veramente chi diceva di essere? E se fosse stata una qualche trappola? Insomma, qualcuno non molto tempo prima aveva già cercato di ucciderli, eppure sembrava una brava persona. Riusciva sempre a farla sentire a proprio agio, quasi sapesse quello di cui lei aveva bisogno. Quasi sapesse cosa stava pensando. “Lyer? Sta riposando, deve ancora riprendersi, ma non stare in pena per lui. È forte, molto più di quanto ammetterebbe, e sono certo che tra non molto lo vedrai di nuovo in forma.” A quella risposta Katie aveva sorriso e non aveva fatto altre domande. Aveva cominciato presto a fidarsi di lui. Il suo istinto le diceva che era una brava persona, degna di fiducia. E poi aveva riconosciuto la sua voce, la stessa che tra gli alberi aveva tentato di avvertirli del pericolo e di portarli al sicuro prima che fosse troppo tardi. Perché avrebbe dovuto farlo se non per salvarli? E d’altronde lei non aveva dubbi che Arkel fosse l’unica persona in grado di spiegarle cosa stava succedendo, ma ogni volta che tentava di chiedergli qualcosa sull’orologio, la timidezza aveva la meglio e lei restava muta e terribilmente a disagio. Arkel, e lei ne era certa, sapeva cosa la tormentava, eppure stranamente non accennava mai a ciò che l’aveva condotta da lui. Parlavano di tutto, di botanica, di libri, di astronomia, ma nemmeno un minimo riferimento all’orologio o a ciò che era successo. Era strano. Sembrava quasi che evitasse l’argomento di proposito, come se non la ritenesse ancora pronta, come se volesse darle qualche giorno di tregua. Non che lei sapesse da cosa, ma comunque apprezzava quella tranquillità, quella parvenza di normalità. Le faceva sembrare così lontano il terrore che l’aveva stretta tra quegli alberi… Arkel sapeva, sentiva che con la memoria lei tornava spesso a quei momenti e cercava di evitarlo, di mantenerla serena, per quanto possibile. Era sempre al suo fianco e cercava di distrarla, di divertirla, e anche se inizialmente diffidente e a disagio, a poco a poco lei aveva cominciato ad aprirsi, a fidarsi. D’altronde più conosceva Arkel, più il suo rispetto e la sua stima aumentavano. Arkel aveva una cultura vastissima, che sembrava comprendere ogni genere di conoscenza e di esperienza. E poi aveva una tale pazienza e saggezza, che era impossibile non rimanerne affascinati. Ci si sarebbe quindi potuti aspettare che fosse una persona noiosa, alla quale ridere e scherzare non interessava, e invece era l’esatto opposto. Arkel amava, amava ridere e non rinunciava mai all’opportunità di farlo assieme a lei. Sembrava il tipico nonno affettuoso e saggio che impartisce serenamente i suoi consigli e le sue esperienze, una guida, un punto di riferimento. Lui era riuscito in qualcosa che solo poco tempo prima lei non avrebbe creduto possibile. Grazie alle sue attenzioni, infatti, in quei due giorni, immersa nella tranquillità e nella serenità di quella sua nuova routine, Katie era quasi riuscita a dimenticare tutto ciò che era successo, tutte le paure che l’avevano tormentata. Arkel le aveva dato la possibilità di vivere normalmente, anche se solo per poco, perchè entrambi sapevano bene che quella normalità non era destinata a durare a lungo. Le domande erano state nascoste in profondità, certo, ma non si erano cancellate e prima o poi sarebbero rispuntate prepotenti alla luce del sole. Il giorno della verità era vicino, lo sapeva, anche se non avrebbe mai immaginato quanto lo fosse realmente finchè Arkel non gliene parlò. “Katie, è arrivato il momento di parlare. Non pensare che io non mi sia accorto delle domande che avresti voluto pormi, ma ho fatto di tutto per evitarle finchè non si fosse presentata l’occasione più adatta. Ho preferito lasciarti del tempo per riprenderti, per darti la possibilità di accettare un po’ alla volta tutti gli eventi che ti sono accaduti e spero che mi perdonerai se affretto così tanto i tempi. È una cosa purtroppo necessaria e sono sicuro che quando te ne avrò spiegato il motivo la vedrai anche tu allo stesso modo. Ora ho ancora alcune faccende urgenti da sbrigare, ma tra poco sarò libero e potremo finalmente parlare Nel frattempo vai pure nella tua stanza, manderò presto qualcuno a chiamarti.” Lei aveva seguito il suo consiglio ed era andata in camera sua, assillata da mille pensieri. E così l’attesa era finita; presto non ci sarebbero più stati segreti a separarla dalla verità. Ne era sollevata? Non lo sapeva ancora. La tensione continuava a divorarla, tormentandola dall’interno senza che lei potesse fare nulla per alleggerire quel peso. Cominciò a camminare in tondo, agitata. Quanto sapeva Arkel? Molto, almeno da quanto aveva lasciato trapelare. Ma c’era qualcosa, in quella situazione, che ancora non le tornava. Lei era riuscita a collegare l’orologio all’incidente, all’Ombra insaziabile che ne era stata la causa. Anche Arkel sapeva di quel legame? Poteva sapere qualcosa sull’incidente, qualcosa che l’avrebbe finalmente aiutata a scoprire tutta la verità? Scosse la testa, sospirando. Quella faccenda era una tremenda confusione. Come faceva a sapere quanto sapeva lui, se neanche lei sapeva quello che c’era da sapere? Un’orribile confusione, appunto. Perché doveva essere tutto così difficile? Si accasciò accanto alla finestra, senza una risposta, il viso rivolto verso la brezza leggera che le accarezzava la pelle. Si sentiva stanca. Erano accadute troppe cose strane tutte insieme perchè lei avesse avuto il tempo di accettarle; come sarebbe riuscita ad affrontare anche quello che avrebbe saputo di lì a poco? Ma il brutto di tutta la storia era che oltre a quello c’era un altro problema. Chiuse gli occhi, amareggiata. Quanto avrebbe potuto dire lei ad Arkel? Non gli avrebbe raccontato i suoi incubi, ma l’Ombra? Lui lo doveva sapere o era meglio che restasse un segreto, ancora per un po’? E in fondo, cos’era? Solo un sogno, un sogno... La macchina correva veloce, cercando di sfuggire al buio che lentamente incombeva su di loro. Katie poteva sentire distintamente le voci terrorizzate dei suoi genitori, eppure in mezzo a avvicinando quei un suoni altro familiari suono, si stava qualcosa di agghiacciante, di indescrivibile. Ma fu solo quando l’Ombra li circondò, affamata, che lei capì all’improvviso cosa fosse. Una risata, maligna, crudele... e, nell’oscurità, un brillio. L’ultimo segno prima dell’attacco. La macchina cominciò a sbandare, ad andare fuori strada. Stavano puntando contro gli alberi, ormai erano vicini, vicinissimi... “No!!” Katie si svegliò di colpo, urlando, il respiro affannoso. Gli ultimi ricordi le danzavano ancora davanti agli occhi, imprigionandola in quell’incubo, imprigionandola in una verità a cui non voleva credere. Si strinse le braccia attorno alle gambe, tremando. Quel brillio... No, non poteva sbagliarsi. Quelli erano occhi. Occhi umani. Si raggomitolò ancora di più su sé stessa, cercando un riparo, un luogo in cui sentirsi al sicuro. Come poteva riuscire ad allontanarsi da qualcosa che era dentro di lei, che non la abbandonava nemmeno un istante? Non aveva via di fuga, non aveva angoli in cui nascondersi. Quell’incubo era sempre lì, davanti a lei, pronto ad aggredirla di nuovo non appena avesse abbassato la guardia, non appena si fosse lasciata andare… Rabbrividì, cercando di respingere le ondate di nausea che la assalivano. Quell’Ombra l’avrebbe perseguitata per tutta la vita, durante il giorno con il suo ricordo e nella notte con la sua presenza. Di fronte a quell’essere lei era indifesa, inerme, proprio come la bambina che era un tempo, seduta, ignara di tutto, sul seggiolino di un’auto in corsa… Scosse la testa, il respiro affannoso. Sentiva ancora quella risata che le rimbombava nelle orecchie, rivedeva nitidi davanti a sé quegli occhi di ghiaccio, quello sguardo insaziabile. Come era possibile che quella cosa fosse umana? Non aveva alcun senso, alcuna spiegazione… Un colpo improvviso alla porta la fece sobbalzare, facendola quasi gridare di nuovo dallo spavento. “Katie?” Lei si asciugò in fretta le lacrime, cercando di ricomporsi e di ritrovare la voce. “L-Lyer?” “Katie, va tutto bene? Hai la voce un po’ strana, stai male?” La ragazza chiuse gli occhi, tormentandosi le mani, ancora agitata. Non stava bene, no… “No, va tutto bene. Ti ha mandato Arkel?” “Sì. Vieni, ti faccio strada.” “Oh d’accordo, io… arrivo subito.” “Fai in fretta, io intanto ti aspetto qui fuori.” Katie annuì automaticamente, cercando di controllare il tremore. Nè Lyer nè Arkel avrebbero dovuto vederla in quello stato, nessuno avrebbe dovuto sapere. Era il momento di controllarsi e di mettere da parte i suoi incubi; li avrebbe affrontati da sola, ne era certa, una volta trovato il tempo. Erano problemi suoi e non potevano avere nulla a che fare con l’orologio o con tutto quello che era successo. Avrebbero dovuto aspettare, perché a quanto sembrava quello che doveva fare era importante, persino più importante di tutti loro. “Katie?” Strinse la presa sulla maniglia, prendendo un bel respiro. Non poteva più tornare indietro. * Seduta sullo spazioso divano dello studio, Katie aspettava l’arrivo di Arkel. Lyer l’aveva lasciata lì per andare a raggiungerlo, ma le aveva assicurato che sarebbero tornati subito e le aveva raccomandato di aspettare e di avere pazienza; una pazienza che andava avanti già da troppo tempo, ormai. Dov’erano finiti? Era passata quasi mezz’ora da quando Lyer se ne era andato e ancora non si vedeva nessuno. Magari se ne erano persino dimenticati. Sospirò, sprofondando un po’ di più tra i cuscini e studiando per l’ennesima volta la stanza, l’unica sua occupazione mentre stava lì ad aspettare. Noioso, in effetti, ma non aveva di meglio al momento. Era grande per essere uno studio, arredato con eleganza ma senza essere eccessivo, e, come aveva immaginato, l’unico elemento di spicco nell’arredamento era una grande libreria, colma di volumi di ogni genere. La ragazza si alzò, guardandosi attorno un po’ incerta, poi si avvicinò ad osservarla. In quei giorni aveva facilmente intuito come Arkel dovesse essere un appassionato lettore, ma di certo non poteva immaginare quanto. Molti di quei libri erano di dimensioni enormi e vista la loro usura era chiaro che li aveva letti molte volte. Doveva averci passato molto tempo, moltissimi anni della sua vita… Si avvicinò ancora, incuriosita, sfiorandone con la punta delle dita i dorsi sfilacciati. Ci sarebbe voluta un’eternità per leggere tutto. Le sfuggì un sorriso a quel pensiero. Da quando era arrivata c’era una domanda che la intrigava, una domanda che però lei non avrebbe mai avuto il coraggio di fare. Era un dubbio che la spaventava e la affascinava al tempo stesso. Subito dopo aver visto quel volto, subito dopo aver visto quello sguardo profondo, si era chiesta quanti anni Arkel potesse avere. Le sembrava quasi che la normale durata della vita umana non fosse abbastanza per riuscire ad acquisire quella conoscenza, quella saggezza e anche quello strano sguardo, uno sguardo che sembrava aver visto secoli e secoli scivolare via. Era possibile che lui avesse potuto vivere tanto? Che fosse su quella terra da molto più tempo di quanto lei credesse? Scosse la testa, strofinandosi gli occhi ancora un po’ rossi. Ormai stava delirando; una cosa era incontrare un gatto parlante, ma pensare all’immortalità… No, questo andava molto oltre le sue possibilità. Chiuse gli occhi, stordita da un leggero giramento di testa. Cominciava a sentire il peso della mancanza di sonno, ma come poteva riuscire a riposare se ogni singola notte doveva rivivere quell’incidente, quell’incubo? Sospirò, allontanando quei ricordi, decisa a rimanere aggrappata alla realtà. Ma quando riaprì gli occhi quello che vide le fece sfuggire un gemito. Un’altra un’altra volta. volta, stava succedendo All’improvviso desiderò chiuderli di nuovo. Non poteva essere reale. E invece, purtroppo, lo era. Il suo sguardo, sprezzante e affilato come un rasoio, la trapassava da parte a parte. Il suo viso era incorniciato da corti capelli biondi, lievemente ondulati. La sua altezza non poteva superare i 15 centimetri e due leggere ali translucide si aprivano sulla sua schiena. Katie non sapeva come definirla. Folletto? Ninfa? Fata? Non ne era sicura, anche perchè in quell’esatto momento l’unica parola che le veniva in mente era arpia. Dal primo momento in cui aveva visto quegli occhi verdi e quel sorrisetto arrogante l’aveva odiata, istintivamente. E d’altronde in quell’unico istante, quando i loro sguardi si erano incrociati, aveva scorto anche in lei un odio profondo. Un odio, reciproco, che non aveva atteso molto per manifestarsi. “Katie. Arkel mi ha parlato molto di te, anzi, direi che in questi due giorni non ha quasi mai parlato d’altro. Sempre lì a lodarti, a riporre speranze su di te, le nostre speranze. E tutte, nessuna esclusa, saranno caricate sulle tue spalle. Arkel brillantemente crede a che reggerne tu il riuscirai peso, ne è addirittura sicuro, ma avrai presto modo di scoprire che io non sono altrettanto fiduciosa.” Katie si accorse subito del cambiamento di tono. La sua voce divenne più dura, i suoi lineamenti sempre più rigidi. Sotto quell’apparente calma si nascondeva un vero vulcano, ed era pronto ad esplodere. “Tu non hai idea delle cose a cui andrai incontro, non ne hai nessuna! Voi umani siete degli esseri così volubili e dalle menti così fragili... Non ci vuole poi molto a scombussolarvi le idee. Siete delle creature egoiste e infide, vili e spregevoli. Davanti al primo segno di pericolo ve la date a gambe e pensate solo a salvare la pelle. Per denaro non esitereste un solo secondo a tradire anche i vostri amici più fidati. Mi disgustate.” La ragazza rimase immobile, stupita dalla quantità di bile e di disprezzo che la fatina le aveva riversato addosso. Cosa... “Mi ferisce sentirti dire queste cose, Maki. Speravo avessi un’opinione migliore di me e delle mie azioni.” Katie si voltò verso la porta, sorpresa. Arkel stava entrando nello studio, un sorriso triste sul volto, seguito a ruota da Lyer. “Sai bene che io ho un’ottima opinione di te, Arkel. Tu sei diverso dagli altri umani e nessuno lo sa meglio di me. Questo discorso non è rivolto a te.” Lui scosse la testa. “Davvero Maki? E invece è qui che ti sbagli. Io faccio parte integrante della razza umana e come tale i tuoi giudizi su di essa coinvolgono anche me. E spero davvero di non essere la creatura spietata che hai appena descritto con tanta energia.” Maki scosse la testa, il viso improvvisamente tormentato. “Arkel tu... tu sai. Io...” “Maki, non è questo il modo giusto di affrontarlo. Non puoi giudicare ogni singola persona con lo stesso parametro, perchè ognuno è diverso, con le sue sfumature e le sue ombre, con i suoi lati di luce e di buio. Nessuno è perfetto e ogni razza ha il suo bagaglio di vergogna, una lunga lista di colpe che non potrà mai essere cancellata. Ma non è per il comportamento di un solo individuo che si può giudicare un intero popolo.” La fatina scosse di nuovo la testa, contrariata. Per Katie non fu difficile capire che quella non era la prima volta che affrontavano quel discorso. Ed era anche ovvio che la conclusione era sempre stata la stessa. “Può darsi che sia così ma non puoi aspettarti che non abbia dubbi su di lei. Non è pronta. Non è adatta.” Lui alzò una mano a fermarla, il volto stanco. “E’ stata scelta, Maki, e questo vuol dire che è più che adatta. La decisione è stata presa e non può in alcun modo essere messa in discussione. E in quanto ai tuoi dubbi, solo il tempo saprà dare una risposta alle tue domande.” Maki abbassò lo sguardo, ancora contrariata, ma non ribatté. Il tono di Arkel non ammetteva repliche. “Bene, ora è tempo di passare ad altri argomenti. Vieni Katie, sediamoci.” Lei si sedette, rivolgendo pensierosa lo sguardo oltre la finestra, ripensando ancora a quelle parole, parole di un dolore così profondo da non poter essere descritto… Arkel tu... tu sai. Io... E così, in passato, Maki doveva aver avuto delle brutte esperienze con gli umani. Probabilmente era per quello che li odiava così tanto, che detestava anche solo il minimo contatto con una di loro. E d’altronde poteva lei biasimarla? No, anche se lo avrebbe desiderato con tutta sé stessa. Come Arkel aveva detto, ogni razza si portava dietro una lista di colpe che non potevano essere cancellate né dimenticate e gli uomini non facevano eccezione. Vedendo tutto quello che accadeva nel mondo, la bassezza di cui erano capaci, poteva, guardandola negli occhi, mentirle, dirle che si sbagliava? Lei non aveva il diritto di lavare con un colpo di spugna tutti gli sbagli che la sua razza aveva commesso. Quelli sarebbero rimasti lì per sempre, indelebili, ma forse poteva provare a migliorare l’opinione che aveva su di lei. Forse poteva riuscire a dimostrarle che tra gli umani, nonostante tutto l’orrore di cui potevano essere capaci, c’era ancora qualcuno in cui poter credere. O almeno ci avrebbe provato. “Ora, Katie, argomento stiamo per particolarmente affrontare spinoso e un che richiederà una buona dose di fiducia da parte tua. Molte delle cose che ti dirò ti potranno sembrare incredibili o impossibili e forse penserai addirittura che io sia pazzo. Non fare quella faccia, non sarebbe la prima volta che mi succede, non me la prenderei. Quello di cui ho bisogno però è che tu faccia il possibile per credere a ciò che sto per raccontarti. Diciamo che ci vorrà una buona apertura mentale.” Le sorrise, cercando di diminuire il disagio che le leggeva negli occhi. “Non so come attutire il colpo né come dirtelo in un modo più delicato, ma devi sapere che esistono delle creature che quasi nessuno ha mai visto. Forse sotto forma di leggende o di racconti ne avrai sentito parlare, magari anche nelle fiabe che ti raccontavano quando eri una bambina. Strane creature, che si prodigavano per salvare innocenti e che di tanto in tanto, spinti dalla curiosità, si affacciavano nel mondo degli uomini...” “Stai dicendo che quelle leggende in realtà sono… vere?” Arkel ridacchiò di fronte alla sua espressione attonita. “Be’, non proprio tutto quello che è stato tramandato è vero, ma diciamo che alcune idee in generale non sono poi così lontane della realtà che conosciamo. Cioè, che io conosco e che tu stai per conoscere, ovviamente.” Katie scosse la testa, incredula. “Sembra impossibile.” “Ti avevo avvertita che ci sarebbe voluta una buona apertura mentale. Ora, come puoi ben immaginare sia Lyer che Maki fanno parte di questo gruppo. Tutti e due arrivano da... be’, da un altro mondo.” Fece una piccola pausa, osservandola attentamente. “Vedi Katie, anche se è difficile da credere esiste davvero un mondo parallelo al nostro, Ghalad. Le creature che vi abitano sono molto attente a non farsi scoprire da noi, anche se una barriera invisibile ad occhio umano divide i due mondi. D’altronde non è difficile riuscire a capire perché abbiano scelto questa vita di quasi totale isolamento dalla nostra. Come sai noi umani, benchè capaci dei migliori sentimenti, siamo purtroppo capaci anche dei peggiori. Alla sola idea di un nuovo mondo da colonizzare e da sfruttare si scatenerebbe una lotta di proporzioni mai viste, una lotta che noi saremmo in ogni modo destinati a perdere, come già successe in passato.” La ragazza si sporse verso di lui, curiosa. “Vuoi dire che è già successo? Che questo… Ghalad è già stato scoperto?” Arkel annuì, amareggiato. “Questa non è una storia che ci fa molto onore, anzi è una storia che penalizza tutti quelli che vi parteciparono. Vedi, molto tempo fa l’umanità viveva un particolare periodo di pace. Era lontano il ricordo dell’ultima guerra che si era scatenata e l’odio sembrava scomparso dai nostri animi e dalle nostre menti. Sembrava, però, perché in realtà non fu così. Esso continuava ad ardere nel cuore degli uomini, nascosto, aspettando solo il momento più adatto per tornare alla luce, un momento che non tardò ad arrivare. Da molto tempo a Ghalad si discuteva sulla possibilità di rivelarsi agli umani. Era un dibattito molto acceso, ma la maggioranza riteneva che dopo tutti quei secoli di isolamento e di diffidenza si dovesse uscire allo scoperto e vivere finalmente in armonia con le popolazioni che abitavano il mondo oltre la barriera. Si sperava di riuscire a stabilire una sorta di convivenza con la razza umana. Eppure, benchè ci avessero ritenuti pronti, noi non lo eravamo affatto.” “Immagino che non sia andata a finire bene.” “E avresti ragione. Tuttavia i Ghaeledian non erano degli sprovveduti, tanto che prima decisero di fare una prova, una sorta di test per verificare le nostre reazioni, che non furono certo come se le aspettavano. Si decise di mandare una piccola delegazione, allo scopo di iniziare rapporti pacifici con noi umani e di spiegare in modo esauriente ciò che era stato tenuto segreto per anni, l’esistenza di un mondo proprio accanto al nostro. Non tornarono mai.” Katie lo fissò, amareggiata. “Hanno davvero reagito così drasticamente? Perché?” Arkel scosse la testa. “Non potremo mai saperlo. Nessuno di quella spedizione ritornò vivo e ciò che accadde quella volta resterà per sempre nascosto nell’ombra dell’oblio. Ma esattamente nonostante cosa fosse nessuno successo, sapesse non era difficile immaginarlo e la situazione divenne incontrollabile. In un attimo la fiducia e la curiosità si trasformarono in odio, in un’ondata di violenza e rabbia che non aveva precedenti. I Ghaeledian volevano vendetta, giustizia contro coloro che avevano ucciso i loro fratelli. La mano tesa della pace e dell’amicizia si trasformò in pugno di ferro. Di quel villaggio non rimasero altro che cenere e macerie, e corpi riversi sulle strade.” Sospirò. “Quella strage fu un chiaro segno che l’umanità non era pronta e che probabilmente non lo sarebbe mai stata. Ciò che successe pose fine ad ogni tentativo di comunicazione tra i due mondi, ad ogni fiducia. Come penso avrai modo di constatare presto, a Ghalad gli umani non godono di un grande rispetto e sono visti con una innata diffidenza. Nonostante siano passati tanti secoli, la ferita è ancora aperta e bruciante e ho paura che le cose non cambieranno tanto presto. Certo, a meno che qualcuno non riesca a dimostrare loro il contrario.” Arkel le sorrise, benevolo. Katie abbassò lo sguardo, imbarazzata. Non credeva proprio che grazie a lei potessero cambiare facilmente idea. “Non credo che questo li smuoverà di molto. D’altronde, non hanno neanche torto.” “Vero, ma questo atteggiamento di continua diffidenza li sta portando verso la rovina. La loro società si è sempre cristallizzandosi in una più fossilizzata, struttura che non cambia da secoli. Si sono chiusi sempre più in loro stessi, fino ad arrivare a non vedere altro. Si stanno dirigendo verso un baratro da cui non potranno più tornare indietro.” “E io come potrei aiutarli se loro non vogliono nemmeno essere salvati?” Lui scosse la testa. “Ci vorrà tempo, ma presto le tue gesta cominceranno a scuotere alle fondamenta le loro più radicate convinzioni. Non ci vorrà molto, poi, a far crollare ciò che sarà rimasto ancora in piedi.” A quelle parole Katie si sforzò di rimanere seria e non ridere. Era tutto così assurdo! “Le mie gesta? Davvero, Arkel, ora sto cominciando a non seguirti più.” “Sì, immagino che per te sia difficile. Dover accettare tutto questo in un tempo così breve è chiederti molto, ma ti stai comportando in modo eccellente, molto più di quanto avessi mai osato sperare.” Lei lo fissò, ancora scettica. Lui le sorrise. “Cosa ti turba?” “Tutto. Tu parli come se io dovessi compiere grandi imprese o chissà cos’altro. Mi parli di un altro mondo, di creature che dovrebbero essere solo leggende…” Lui annuì, comprensivo. “Capisco. Ti senti confusa e disorientata, e anche molto spaventata, ma non c’è nulla di cui avere paura, Katie. Tutto questo esiste, Ghalad, e anche Maki e Lyer, è tutto reale. Lasciati libera di accettarlo e non opporti o non riusciresti a sopportarlo.” Lei scosse la testa, evitando il suo sguardo. “Non puoi chiedermi di accettare tutto così, senza difficoltà. Arkel, io ho bisogno di tempo, tempo per pensarci, tempo per riuscire anche solo ad afferrare l’idea di tutto questo…” “Putroppo è proprio il tempo, che ci manca. Ogni secondo è prezioso e io posso solo chiederti di fidarti della mia parola e di ciò che ti dico.” Finalmente Katie alzò lo sguardo verso di lui, cercando di scrutare in quell’azzurro profondo. “Io sento di potermi fidare di te, Arkel, ma questa non è solo una questione di fiducia. Come faccio a sapere che mi hai detto tutta la verità? E perché mi hai raccontato di Ghalad e di tutto il resto, se avrebbe dovuto rimanere segreto?” Arkel si sporse verso di lei, stringendole leggermente la mano. “E invece è tutta solamente una questione di fiducia. Tu ti chiedi come fare a sapere se questa è la verità, ma non c’è risposta a questa domanda. Devi solo fidarti. E in quanto al perché ti ho detto tutto questo… Be’, perché è tuo dovere conoscere questa storia. Tu non sei solo una semplice ragazza, tu sei destinata a qualcosa di grande, qualcosa di cui possiamo a malapena comprendere la portata. Non è stato un caso che tu abbia trovato quell’orologio, quella notte, non è stato un caso che Lyer sia arrivato da te, né che Eledier volesse rapirti. E non è stato ancora un caso che tu sia arrivata qui, da me. Queste non sono state coincidenze. La tua strada è tracciata, Katie, e nonostante tu possa fare delle deviazioni, la fine, il punto di arrivo, sarà sempre lo stesso. Non si può sfuggire al destino.” La ragazza scosse la testa, allontanando la mano. “Non ho idea di cosa tu stia dicendo. Io sono una normale ragazza. È solo che mi sono ritrovata invischiata in.. in qualcosa in cui non volevo essere coinvolta. Non c’entra nulla il destino o il fato o come lo vuoi chiamare. Siamo noi, Arkel, che ci creiamo il futuro, con le nostre scelte e le nostre azioni. Credo molto in questo, credo molto nel fatto che ognuno di noi sia libero di decidere di sè.” “Alle volte, Katie, scegliere non è possibile. Alle volte non si ha che una sola strada davanti a noi e non possiamo fare altro che imboccarla.” Katie distolse lo sguardo. “Questo non è giusto.” Arkel annuì. “E cosa lo è? Ognuno ha il proprio destino da seguire, un qualche scopo a cui dedicare la propria vita. E io posso dirti qual è il tuo.” Lei si ritrasse improvvisamente nel divano, chiudendo gli occhi. “Non voglio saperlo, qualunque sia non voglio saperlo.” “E invece è necessario che tu ascolti cosa ho da dirti, perché non c’è solo la tua vita in gioco, stavolta. Non hai scelta.” A quelle parole la ragazza scattò, ribellandosi a quell’idea. “Non dire nulla Arkel, altrimenti… altrimenti rivelerò l’esistenza di Ghalad. Non voglio farlo, non voglio tradire così la loro fiducia, ma non puoi coinvolgermi in qualcosa in cui, in cui… Non posso. Non posso abbandonare i miei genitori, la mia vita. Non costringermi, Arkel, ti prego.” Lui la fissò negli occhi, tranquillo, per nulla turbato da quella scenata. “So che non lo farai, Katie, e per due motivi. Il primo è che non credo che tu sia una persona capace di tradire chi si è fidato di lei. E il secondo è che tu non potresti dire nulla a nessuno nemmeno volendo. Tu porti il Feiny.” Katie si bloccò, confusa. “Il… il cosa?” “Il Feiny. Chiunque lo abbia è vincolato a mantenere determinati segreti che non può rivelare a nessuno che non porti egli stesso il marchio. È un onore essere considerati degni di portarlo. Il Feiny è il simbolo stesso della fiducia, della lealtà e anche per questo sono davvero pochi ormai gli eletti che ne sono rivestiti.” La ragazza lo fissò, immobile, sentendo la rabbia crescerle dentro come un’onda. “E tu mi stai dicendo… mi stai dicendo che io ho questo marchio?” Arkel annuì. “Sì, per motivi di sicurezza abbiamo dovuto importi il Feiny non appena sei arrivata.” A quelle parole lei scattò in piedi, furiosa. “Motivi di sicurezza? Non riesco proprio a capire per quali motivi abbiate dovuto farlo! Potevate aspettare e chiedere a me, prima di farmi un tatuaggio o roba simile!” Arkel sembrò quasi non accorgersi del suo tono offeso. “Il Feiny è invisibile a chiunque non abbia la capacità di segnare, per questo tu non potresti comunque vederlo. E in quanto ai motivi di sicurezza a cui ho accennato poco prima, devi sapere che l’ubicazione stessa di questa casa è segreta. Non potevo rischiare di lasciarti libera di rivelare certe informazioni, proprio come hai minacciato di fare poco fa.” Katie non rispose. Era ancora arrabbiata, ma la ragione cominciava a placarla e tornò a sedersi. Passò qualche minuto in silenzio, a riflettere. Sentiva che scivolando lentamente via, lasciando la il rabbia posto stava ad un angosciante senso di colpa. Era stata una sciocca. Adesso si vergognava del suo scatto d’ira; Arkel non aveva nessuna colpa e lei non poteva accusarlo di quello che stava succedendo. Lui stava solo cercando di aiutarla. “Ti chiedo scusa, Arkel, io… ho parlato senza riflettere. Sono sicura che eri e sei in buona fede. Non era… non era mia intenzione criticarti.” Arkel scosse la testa, un sorriso dolce sul viso. “Non mi devi alcuna spiegazione. La tua reazione è comprensibile e nessuno qui ti giudicherà se sei spaventata. Tutto questo è normale, visto quello che hai appena saputo, visto quello che dovrai affrontare.” “Ma io non so di cosa stai parlando. Ciò che dovrò affrontare… Non ho idea di cosa significhi tutto questo.” “Tu non lo sai ancora, ma presto ti renderai conto che un grande peso poggia sulle tue spalle. Nonostante la tua giovane età sarai chiamata ad affrontare cose che nessun’altro sarebbe in grado di sopportare. Ma forse è meglio partire dal principio, prima di rivelarti il resto.” Fece una pausa, raccogliendo i suoi pensieri. “Vedi Katie, l’esistenza stessa di Ghalad è retta da sei Essenze, globi di magia pura che assicuravano pace e una certa prosperità. Queste Essenze hanno un potere enorme e illimitato, che va al di là di qualsiasi comprensione. Nessuno ha mai saputo quanto ne abbiano realmente, o quale sia la loro vera capacità, e proprio questa ignoranza ha alimentato per secoli le leggende sulla loro forza. Con il passare del tempo, le Essenze sono diventate il simbolo stesso del potere e dell’invincibilità.” Sorrise di fronte all’espressione scettica sul suo viso. “Non esserne così sorpresa, Katie. Sai, in un primo momento queste Pietre si trovavano proprio sulla Terra, nel nostro mondo. Sono quasi sempre state al centro di guerre e battaglie e ovunque andassero lasciavano dietro di loro una lunga scia di sangue. Fu per questo motivo che si decise di portarle a Ghalad, dove si pensava fossero più al sicuro.” Katie alzò un sopracciglio, incredula. “Quindi sono veramente state sulla Terra?” “Oh, sì, sono state l’oggetto di contesa in alcune delle guerre più sanguinose della storia dell’umanità, troppe per poterle elencare tutte. Ma se vuoi ti posso citare l’esempio più famoso, una storia che tu certamente conosci. Una storia di inganni e di battaglie durata ben dieci anni…” A quelle parole la ragazza aggrottò la fronte, pensierosa. Una guerra durata dieci anni… Quasi cadde dal divano quando si rese conto di quale guerra Arkel stesse parlando. “La guerra di Troia? Quella guerra?” Arkel ridacchiò divertito di fronte alla sua espressione attonita. “Esattamente Katie, proprio la guerra di Troia, la stessa cantata da Omero. Solo che nella realtà gli Achei e i Troiani non si fronteggiarono per l’amore di una donna, come vuole la leggenda. Il vero interesse da proteggere era una delle sei Essenze.” Katie scosse la testa, confusa. “Come è possibile? Insomma, come ha fatto questa Essenza a diventare una donna, Elena? Qualcuno avrebbe pur dovuto raccontare ciò che era realmente accaduto, per cosa si era combattuto tutti quegli anni. Anche solo dei minimi accenni avrebbero dovuto esserci e invece…” “Invece non dell’effettiva troveresti presenza la minima della traccia Pietra nella vicenda. Dopo quell’incidente pensammo che fosse più… saggio nascondere per un po’ la notizia della loro esistenza, per evitare altre guerre di quella portata. E per fare questo non abbiamo avuto altra scelta che dare una lieve ritoccata alla storia.” La ragazza lo fissò, sospettosa. “Mi stai dicendo che avete cambiato tutto? Che avete sostituito Elena alla Pietra?” Arkel annuì, imperturbato. “Non potevamo certo lasciare che ci fossero altre stragi come quella, anche se poi non è servito a molto. Il potere delle Essenze, nonostante cercassimo di nasconderlo, era troppo grande per riuscire a passare inosservato. Ci furono tante altre guerre come quella che purtroppo non riuscimmo a evitare, vite che non riuscimmo a salvare, tutte sacrificate in nome della brama di potere. Quando alla fine la nostra coscienza non riuscì più a sopportare il peso di quelle stragi, decidemmo di portare definitivamente le Pietre a Ghalad, dove eravamo certi che sarebbero state provocare nuove al sicuro vittime. e Ci lontane dal sbagliavamo. Fummo così ciechi da non renderci conto che, così come era successo nel mondo degli umani, così sarebbe successo anche a Ghalad. Per ben due volte le Essenze sono state rubate e per ben due volte abbiamo temuto il peggio, la fine di ogni speranza. Una volta siamo riusciti a fermare tutto questo da soli, ma adesso non ne abbiamo più né la forza né la capacità. Senza le Pietre, l’intera Ghalad e la Terra stessa non potranno sopravvivere. La loro esistenza e quella della barriera dipendono da quel potere, e più il tempo passa, più la barriera e la vita dei due mondi si indeboliscono. Se le Essenze non verranno trovate al più presto, allora non ci sarà più nulla per cui lottare, nulla per cui vivere. Volevi sapere il motivo per cui ti trovi qui, Katie. Tu sei qui per salvare umani e creature, sei qui per salvare tutti. Tu sei la Prescelta.”