Destiny - Anteprima

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GIULIA PEROÒ
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T h i s e b o o k w a s c r e a t e d w i t h B a c kTy p o
( h t t p : // b a c k t y p o . c o m )
by Simplicissimus Book Farm
Table of contents
Intro
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
INTRO
La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro.
Leggerli in ordine è vivere,
sfogliarli a caso è sognare.
(Arthur Schopenauer)
Una goccia, due gocce. Presto divennero tante,
troppe. Katie riusciva a malapena a distinguere
due forme confuse che si scontravano nel cielo.
Non vedeva altro. Restava lì, immobile, troppo
stordita da ciò che stava succedendo lassù per
provare a muoversi. L’unica cosa che sembrava
essere ancora in grado di fare era tenere la
mano stretta sul ginocchio e rabbrividire.
Perché stava succedendo tutto quello? Lyer
stava combattendo, stava rischiando la sua
vita... e per che cosa? Per lei, una ragazza che
non aveva mai conosciuto, una ragazza che,
almeno secondo lui, doveva essere protetta a
qualunque costo.
Una lacrima le scese lentamente sul viso,
mischiandosi alle gocce di pioggia. Niente stava
andando come doveva andare. Perché non era
rimasto tutto tranquillo, tutto com’era, come
doveva essere? Invece adesso non sapeva più
nulla. Non sapeva cosa stesse succedendo in
quel cielo, non sapeva cosa sarebbe successo in
futuro, non sapeva se sarebbe riuscita a tornare
a casa. A casa...
CAPITOLO 1
Silenzio. C’era silenzio.
I fiocchi continuavano a cadere, inesorabili,
mentre un vento gelido tormentava senza sosta
la campagna innevata. Quell’anno l’inverno si
era scatenato in tutta la sua forza e quel giorno
avrebbe segnato per sempre la vita di molte
persone. Avrebbe cambiato tutto.
Una
folta
nebbia
era
scesa
sulle
ghiacciate,
mentre
un
rumore
distese
lontano
si
avvicinava velocemente. Eppure, invece di
proseguire fino ad allontanarsi, quel rombo si
trasformò
in
un
assordante
boato
e
un
serpeggiante filo di fumo grigio si levò sopra gli
alberi, disperdendosi tra la nebbia.
Nascoste tra le fitte trame del buio della notte,
le lamiere contorte di un’auto giacevano sparse
sulla neve.
Un flebile lamento arrivava da quel groviglio,
da una bambina che si era miracolosamente
salvata. Una bambina il cui futuro sembrava
ormai deciso.
Ma il destino aveva ben altri progetti per lei.
Era troppo importante perché morisse lì,
troppo
importante
perché
non
potesse
compiere ciò a cui era destinata. La vita di
molte persone, l’esistenza di due interi mondi
dipendevano da quell’esserino che si agitava,
inerme, al freddo della tormenta.
Mancava ancora poco. Sarebbe presto arrivato
da lei il suo salvatore.
*
Ted brontolò, rassegnato. Nessuno sano di
mente sarebbe mai uscito di casa con quel
tempo. Il vento continuava imperterrito ad
ululare nella tormenta, e la nevicata non
accennava ancora a diminuire, ma il fuoco
stava per spegnersi e in casa la legna da ardere
ormai era finita. Forse, si disse, i vicini
avrebbero potuto prestargliene un po’. Lui
ormai aveva finito anche la scorta che aveva
comprato
e
assolutamente
con
quella
bisogno
di
tempesta
scaldare
aveva
la
sua
famiglia.
Sempre brontolando si diresse a passi pesanti
verso la porta, cercando di trovare il coraggio
per affrontare la bufera. Quell’inverno era stato
particolarmente freddo, ma non c’era stato
alcun segno che facesse presagire una tale
nevicata. Nulla che gli facesse capire che
bisognava correre ai ripari, o che permettesse
loro di fare gli opportuni preparativi.
“Papà non dovresti uscire. Hai visto che tempo?
Se aspetti ancora un po’ forse si calmerà.”
Ted si voltò, mentre un ragazzo biondo veniva
verso di lui.
“Lucas, se aspetto ancora un po’ diventeremo
tutti delle statue di ghiaccio. Tua madre non sta
bene, lo sai, e questo freddo non è proprio
l’ideale per la sua salute. Ha bisogno di stare al
caldo e senza legna non potremo riaccendere il
fuoco. Tornerò presto, vedrai. Tu resta qui e
prenditi cura di lei finchè io non sarò tornato,
d’accordo?”
“Davvero non posso venire anch’io con te?”
Lui rise, abbracciandolo.
“Ah, figliolo, non sei ancora abbastanza forte.
Prima devi mettere su un po’ più di muscoli,
come tuo padre, e allora neanche una tormenta
come questa potrà scuoterti. Ma ora vai da tua
madre, sarà in pensiero. E mi raccomando, non
dirle niente. Inventa una scusa, ma non farla
preoccupare inutilmente.”
Lucas annuì, abbracciandolo forte. Guardò suo
padre farsi forza e aprire la porta. Una folata
improvvisa lo aggredì, facendogli chiudere gli
occhi.
E quando li riaprì, Ted era scomparso.
Fuori, intanto, il vento stava scatenando tutta la
sua forza. Piccoli turbini di neve si creavano ad
ogni nuovo soffio, mentre le cime degli alberi
venivano scosse e piegate senza tregua. La
potente luce della torcia si muoveva, frenetica,
illuminando tristemente quella tormenta di
fiocchi e ghiaccio. Ted socchiuse gli occhi,
cercando di lottare contro la forza di quelle
folate, intirizzito dal freddo. In tutti quegli anni
non aveva mai visto un inverno così rigido. E
dire che lui ne aveva passati di inverni, in
campagna, ma quello era strano, in qualche
modo… Scosse la testa, rabbrividendo. Non era
proprio il momento di fermarsi a pensare.
Doveva muoversi e in fretta.
Battendo
i
denti
cominciò
ad
avanzare,
lentamente,un passo dopo l’altro, verso la casa
dei Flannigan. I Flannigan erano i loro vicini da
una vita. Erano sempre state persone socievoli
e disponibili e lui sperava davvero che, anche
in
una
situazione
avrebbero
potuto
disperata
aiutarlo,
come
quella,
ripagando
un
vecchio debito di tanto tempo prima, quando
grazie ad un suo piccolo prestito erano riusciti
ad evitare l’esproprio della loro terra. Tuttavia,
nonostante la loro casa non fosse molto lontana
dalla sua, il tragitto sembrò durare un’eternità.
Il freddo continuava ad aggredirlo; era un
nemico silenzioso, inafferrabile... e implacabile.
Avanzare era sempre più difficile e il vento non
smetteva un attimo di tormentarlo, colpendolo
da ogni parte, cercando di buttarlo a terra. Ted
si teneva il cappuccio sulla testa, cercando di
difendersi in qualche modo, ma le sue dita
erano sempre più fredde e ormai nemmeno i
guanti riuscivano più a ripararle. Si sforzò di
andare avanti, stringendo i denti e sopportando
le difficoltà. Non si sarebbe arreso per così
poco. Non avrebbe ceduto.
Avanzò, un piede dopo l’altro. E dopo quella
che gli sembrò un’eternità vide finalmente
delle luci fluttuare davanti a lui. Le luci di una
casa.
Bussò forte, rabbrividendo e sfregandosi le
braccia.
Sembrava
quasi
che,
invece
di
migliorare, quella tempesta stesse peggiorando
ancora di più.
“Ma chi... Ted! Ma cosa diamine ci fai fuori con
questo tempo? Entra presto o ti congelerai!”
Ted accolse con gioia quell’invito. L’improvvisa
ondata di calore cominciò a pizzicargli la pelle,
facendogli ritornare il colore sulle guance.
“Che tempo, che tempo... Giuro, non ho mai
visto
niente
di
simile!
Una
tempesta
del
genere...”
Scosse la testa, un’ombra scura sul volto.
Quell’inverno era stato molto più freddo di
quanto si aspettasse e anche se i Flannigan
avessero potuto prestargli un po’ di legna non
sarebbe certamente bastata fino all’arrivo della
primavera. Non appena il vento si fosse
calmato un po’ sarebbe dovuto andare giù in
città a comprarne un intero carico e vista la
situazione era certo che gliela avrebbero fatta
pagare almeno il doppio.
“Ma come ti è saltato in testa di uscire con una
simile bufera? Rischiavi di congelare e di
restare sepolto sotto la neve, non ci hai pensato?
O forse... È successo qualcosa? Marie e Lucas
stanno bene?”
Ted annuì.
“Sì, loro per il momento stanno bene. Ma ecco,
vedi... Sono venuto per chiederti un grosso
favore. Con tutto quello che ho avuto da fare
quest’estate non sono riuscito a procurarmi
tutta la legna che ci sarebbe servita e poi... be’,
questo tempo non ha aiutato però...”
L’amico gli appoggiò una mano sulla spalla,
sollevato, sorridendogli e portandolo a scaldarsi
davanti al camino.
“Avete finito la legna vero? Già, nessuno si
sarebbe mai aspettato un inverno del genere,
ma dato che sono sempre stato un tipo
previdente ne ho presa in abbondanza. Quanta
te ne serve?”
“Oh, non molta, giusto per riuscire a scaldarsi
durante questa tempesta. Appena si calmerà
dovrò scendere giù in città e comprarne un po’,
sempre che finisca presto.”
Flannigan scosse la testa.
“Sai bene che ti chiederebbero almeno il
doppio
del
prenderla
prezzo
adesso,
normale
soprattutto
se
andassi
con
a
questo
freddo.”
“Lo so anch’io ma quali altre scelte ho? Marie è
malata e deve restare al caldo, e anche con la
tua legna non potremmo reggere fino alla fine
dell’inverno.”
Sospirò, scuotendo la testa.
“Lucas poi ha preso male la situazione. Vuole
trovare a tutti i costi una soluzione anche se
non... non nei normali metodi. Pensa che l’altra
notte
l’ho
beccato
mentre
cercava
di
sgattaiolare fuori di casa. E sai cosa mi ha detto?
Che andava nel bosco a cercare legna.”
Flannigan ridacchiò.
“L’ho sempre detto che quello è un ragazzo
intraprendente e dalla testa dura, tutto suo
padre. Forse dovresti fargli fare qualcosa, per
farlo sentire utile.”
“E cosa? Di sicuro con questo tempo non lo
faccio uscire di casa e quando rimane troppo al
chiuso comincia a sembrare un leone in gabbia,
soprattutto quando è frustrato come adesso.
Tutte le sere mi sveglio automaticamente per
controllare che sia nel suo letto e non in giro da
qualche parte.”
“Su, hai trovato la soluzione ai tuoi problemi.
Hai un carretto per trasportare la legna che ti
serve?”
Ted scosse la testa, sbirciando fuori dalla
finestra.
“No, non l’ho portato, ma non credo che ci sarà
d’aiuto, comunque. Con questa neve non
riusciremmo a farlo avanzare di un solo
centimetro, figurarsi arrivare fino a casa mia e
poi tornare indietro. No, la porterò a braccia.”
Flannigan alzò un sopracciglio, scettico.
“Tutta a braccia? D’accordo che sei grande e
grosso,
ma
dopo
appena
pochi
passi
inciamperesti da qualche parte e finiresti con il
tuo brutto muso nella neve. No, dobbiamo
trovare un altro modo, magari...”
“Aspetta.”
Ted alzò la testa, attento.
“Non hai sentito?”
Restò in ascolto, teso, ignorando l’occhiata
preoccupata dell’amico. Aveva sentito qualcosa,
uno strano rumore, sopra a quello del vento...
un clacson. Il clacson di una macchina.
Il contadino scattò in piedi, mentre un’ansia
indefinibile
Probabilmente
cominciava
una
a
macchina
tormentarlo.
era
rimasta
intrappolata nella neve e adesso stava cercando
di attirare l’attenzione. Non c’era bisogno di
preoccuparsi più di tanto eppure aveva una
strana sensazione. Una sensazione di panico.
“Ted, vecchio mio, stai bene? È tutto a posto?
Ehi ma dove... dove vai? Ted!”
Ma Ted non lo ascoltò, fiondandosi fuori dalla
porta. Il gelo che trovò ad attenderlo fu come
un colpo allo stomaco. Lo fece piegare in due,
minacciando di sopraffarlo, ma quando il
clacson suonò di nuovo cominciò a correre
nella neve, incurante del freddo e del vento.
Perché sentiva di non avere tempo? Perché gli
sembrava di essere così maledettamente lento?
Non riusciva a capire il perché della terribile
ansia che gli chiudeva la gola, della frustrazione
che lo perseguitava… Sentiva di essere in corsa
contro il tempo, contro il destino, contro tutto
ciò che aveva attorno a sé. Il vento lo
ostacolava, la neve voleva ricoprirlo e stringerlo
nel suo dolce ed eterno abbraccio…
Ma lui correva, senza pensarci, andando avanti
sostenuto solamente dalla propria forza di
volontà. E corse finchè la torcia non illuminò
una forma confusa davanti a sè. Non sapeva
perché, ma quel profilo scuro nel bianco della
neve gli fece avere un brutto presentimento.
Non vedeva ancora niente ma… lo sentiva. E
sapeva di non sbagliarsi.
Si affrettò verso l’auto, bloccandosi non appena
vide lo stato in cui era ridotta. Era andata a
scontrarsi contro gli alberi, ma non era passato
molto tempo perché dal motore usciva ancora
del fumo. Forse non era troppo tardi, forse
poteva aiutare… Eppure rimase lì, immobile,
paralizzato dalla paura. E fu solo quando il
clacson suonò un’altra volta che finalmente le
sue gambe, quasi automaticamente, si mossero.
Corse
faticosamente
verso
la
portiera,
ostacolato dal vento, cercando di aprirla. E
improvvisamente, non appena le sue dita
toccarono
la
macchina,
quelle
raffiche
sparirono di colpo, portando via con loro
anche quei gelidi fiocchi bianchi.
Ted non ci fece caso e continuò a lavorare di
braccia, facendo forza per riuscire ad aprirsi
una strada tra le lamiere. Erano incastrate, ma
non si arrese. Prima o poi avrebbero dovuto
cedere…
Quasi
sussultò
quando,
con
uno
strattone, riuscì finalmente ad aprire la portiera
del guidatore. Il suo sguardo fu catturato dalla
figura di un giovane, esanime, seduto al posto
di guida. Gli afferrò la mano, sostenendolo per
evitare che cadesse.
“Tu... tu devi proteggere la mia bambina. Non
c’è tempo tu... tu devi tenerla al sicuro. La mia
Katie, la mia dolce Katie tu...”
Tossì, mentre un rivolo di sangue gli scendeva
giù lungo la tempia.
“La mia Katie, la mia piccolina... Proteggila ad
ogni costo, ti prego. Promettimelo... Lei... deve
stare al sicuro...”
“Stai.... stai tranquillo. Con me sarà al sicuro, te
lo prometto, starà bene. Ma adesso tu non devi
sforzarti, ok? Vado a chiamare i soccorsi e andrà
tutto a posto.”
“No... ormai è tardi. Porta via Katie. E tienila...
al... sicu... ro.”
Rovesciò la testa in avanti, con un sospiro. I
suoi occhi si chiusero. Il suo cuore smise di
battere.
Ted lo adagiò di nuovo sul sedile, le lacrime
che scorrevano libere sul volto. Sapeva che
anche la donna al suo fianco ormai era morta e
lui non aveva potuto fare niente per loro. Ma
forse… forse avrebbe potuto aiutare qualcun
altro.
Prese delicatamente la piccola che era sul
seggiolino, dietro, e la strinse a sè. Avrebbe
mantenuto la promessa. Da quel momento
avrebbe fatto di tutto... di tutto perchè quella
bambina fosse al sicuro.
Da quel momento lei diventava Katie Derinal.
*
“Katie!”
“Arrivo, zia Sophie!”
All’ombra degli alberi, Katie sospirò. Chiuse gli
occhi, desiderando con tutte le sue forze di
essere in un altro posto, un posto dove quella
voce insopportabile non avrebbe più potuto
raggiungerla… Ma nonostante non fosse certo
povera di immaginazione, la sua mente non
riusciva
a
farle
dimenticare
la
sgradevole
situazione che la aspettava a casa. E il solo
pensiero bastava a farla stare male.
Sospirò,
cercando
di
distrarsi,
di
relegare
Sophie, anche se solo per un attimo, in un
angolo buio, dimenticato, di fare finta che non
esistesse. Lasciò andare la mente alla deriva,
mentre
inconsapevolmente
i
ricordi
emergevano nella sua memoria… Ma quando,
con un sospiro, riaprì gli occhi, si ritrovò in un
bosco che non era il suo, in un assolato
pomeriggio d’estate.
La ragazza balzò in piedi, spaventata, la testa
che le girava vorticosamente. Si appoggiò ad un
albero, il respiro affannoso, mentre la paura si
impadroniva di lei. Ovunque si girasse, della
radura in cui era stata fino ad un attimo prima
non c’era alcuna traccia.
Si prese la testa tra le mani, confusa. Quello che
era successo non era possibile. Come aveva
fatto dalla radura ad arrivare fin lì nei pochi
secondi in cui aveva chiuso gli occhi? Inoltre
non si era accorta assolutamente di nulla. Era
tutto così strano… Anche quel posto poi aveva
qualcosa di anomalo, scatenava in lei sensazioni
che non riusciva a comprendere. Quegli alberi,
quel sentiero… Tutto, attorno a lei, aveva una
familiarità che la turbava. Era come… come se
conoscesse quel bosco. Come se ci fosse già
stata.
Scosse la testa. No, non era possibile. Non
sapeva nemmeno dove fosse né come ci fosse
arrivata… Ma allora come poteva sentire quella
nostalgia? Come poteva sentirsi a casa?
Sospirò, sempre più confusa. E il suo cuore
saltò un battito quando una voce fin troppo
conosciuta si alzò tra gli alberi, poco davanti a
lei.
“Katie! Katie aspetta, non correre così!”
La
ragazza
immobile,
si
impietrì,
troppo
allibita
attonita.
per
Rimase
riuscire
a
formulare dei pensieri coerenti. Quella voce…
quella voce la conosceva, e anche molto bene.
Eppure era cambiata, diversa in qualche modo,
più giovane e più potente di quella che lei
ricordava. Ma non poteva essere la voce di sua
madre. Non era possibile.
“Katie! Rallenta! Katie!”
A quelle parole un brivido freddo la scosse e,
nonostante fosse una giornata molto calda,
rabbrividì. Sì, non ci potevano essere dubbi. Era
lei.
Fece un passo avanti, i muscoli tesi e irrigiditi, e
quel
semplice
gesto
bastò
a
sbloccarla.
Camminava in fretta, inquieta, guardandosi
continuamente attorno. Non riusciva a capire
perché la presenza di Marie lì la turbasse tanto.
Non ce ne era motivo, eppure… eppure non era
mai stata tanto agitata in vita sua come in quel
momento. Rabbrividì di nuovo, questa volta
più intensamente. Era vicina.
“Katie!”
La ragazza sussultò e all’improvviso, alzando
leggermente lo sguardo, vide venire verso di lei
una bambina. Quella vista le mozzò il respiro e
la bloccò. Osservò stordita una piccola sé stessa
correre spensierata tra gli alberi. Come… come
poteva essere? Come era possibile che proprio
davanti a lei ci fosse… il suo passato? Eppure,
per quanto incredibile fosse, era proprio così.
Aveva visto molte foto di quando era piccola e
non avrebbe potuto sbagliarsi. Ma tutto quello
non poteva essere reale, non era possibile. E
invece, quasi a voler rafforzare questa sua
convinzione e contro ogni legge della fisica, la
bambina le passò tranquillamente attraverso,
senza nemmeno accorgersi di lei.
Fu strano essere trapassati a quel modo. Era più
o meno la stessa sensazione che provava
quando,
senza
inaspettatamente
rendersene
saltava
un
conto,
gradino;
ma
mentre
una
parte
di
lei
rifletteva
quasi
automaticamente sui dettagli più insignificanti,
la sua mente ormai cominciava ad entrare nel
panico. Cosa era diventata? Un… fantasma?
Inorridita
si
passò
una
mano
sul
viso,
avvertendo il confortante tocco della pelle.
Non era un fantasma, no di certo. E allora come
era stato possibile che fosse stata attraversata da
parte a parte? Cosa diavolo stava succedendo?
Scosse la testa, la mente sempre più confusa.
Doveva cercare di riflettere. Forse… se quella
piccola era davvero lei, allora una spiegazione
ci poteva essere. Se quello era il passato (e tutto
sembrava
indicarla
come
soluzione
più
probabile, anche se inverosimile) allora molto
probabilmente la sé stessa adolescente che era
in quel momento a quell’epoca ancora non
esisteva. E quindi lei era una specie di… spirito.
“Katie? Katie, dove sei finita? Rispondi!”
La ragazza alzò gli occhi, spaventata. Sapeva chi
stava arrivando, sapeva a chi apparteneva
quella voce che continuava a cercare la sé stessa
bambina e sapeva anche che quell’incontro
avrebbe
dissipato
ogni
suo
dubbio.
E
nonostante questo fu un vero colpo al cuore
quando vide Marie venire verso di lei.
Non l’aveva mai vista così giovane, così… in
salute. Il suo viso non aveva ancora quel
colorito pallido e le sue guance erano rosate per
lo sforzo fisico non indifferente di dover
correre dietro ad una bambina con un carattere
ribelle come era sempre stato il suo. Eppure
Katie non l’aveva mai vista così felice, così
spensierata. Chissà se già sapeva del male che
cresceva inesorabile dentro di lei, che la
divorava, che giorno dopo giorno la trascinava
verso un baratro da cui non avrebbe potuto
fuggire…
Chiuse gli occhi, mentre l’ormai familiare
sensazione di dolore si riapriva come una piaga
nel suo petto. Da tempo continuava a chiedersi
perché, perché il destino avesse scelto proprio
lei. Ma non c’era risposta alla sua domanda.
Ogni specialista, ogni medico con la sua bella
laurea incorniciata, ognuno di loro aveva dato
la stessa maledetta risposta, l’unica che loro non
avrebbero voluto sentirsi dire. Non c’era più
speranza. Marie non poteva guarire.
E così dopo l’ennesima, cocente delusione, sua
madre non aveva più voluto saperne di dottori
e di altri specialisti. Diceva di essere stanca,
diceva che stare a casa con la sua famiglia era
l’unica cosa che potesse farla stare meglio. E
Ted
aveva
dovuto
cedere,
anche
se
a
malincuore. Da allora aveva cercato in tutti i
modi di rendere quel poco tempo che le restava
il migliore di tutta la sua vita e Katie non aveva
potuto fare altro che aiutarlo, in silenzio, senza
mai mostrare il dolore e l’impotenza che la
stavano torturando dentro.
Fu con questi pensieri che accolse l’arrivo di
Marie e che iniziò a seguirla, incapace di
allontanarsi da lei. Era così felice… Nonostante
la sua malattia, sua madre aveva sempre fatto in
modo di non essere di peso, aveva sempre
cercato di mostrarsi in salute, allegra. Ma quella
lietezza non era altro che una maschera. Dietro
quella facciata, Marie soffriva e lei, sua figlia,
non poteva fare niente per alleviare il suo
dolore.
“Katie, finalmente ti ho raggiunta! Non provare
più a scappare così, ci siamo…”
Il silenzio che seguì a quelle parole ebbe
l’effetto di riuscire a scuoterla dalla sua apatia.
Katie alzò lo sguardo, la fronte corrugata,
cercando di capire perché sua madre se ne
stesse lì ferma, immobile e in silenzio. E poi…
poi capì. Adesso sapeva quale ricordo stava
rivivendo, qual era quel determinato momento.
Quello era il pomeriggio in cui aveva scoperto
per la prima volta la sua radura. Quando, per la
prima volta, nella sua mente erano scomparse
le tenebre dell’oblio.
Rivivere quel ricordo era dolce e doloroso allo
stesso tempo, eppure ne fu felice. Seguì Marie e
sé stessa con il sorriso sulle labbra, contagiata
dall’entusiasmo
che
la
bambina
stava
dimostrando per quella nuova scoperta.
“Mamma hai visto? Hai visto?”
“Sì tesoro, la vedo… ed è bellissima.”
La ragazza sorrise alla vista della faccia stupita
di Marie. Non stava fingendo per assecondarla,
perchè anche per sua madre quella era la prima
volta che vedeva quel posto in vita sua.
“Mamma questo adesso è il mio posto, capito?
Hai visto che bello?”
“Sì, certo… Questo è il tuo regno e tu sei la sua
regina. Sei contenta?”
“Contentissima!”
Il sorriso di Katie si allargò mentre vedeva la
propria allegria riflessa in quel volto di tanto
tempo prima. Marie non si aspettava certo che
lei la prendesse sul serio, ma si sbagliava. Da
quel
giorno
quella
radura
era
diventata
unicamente sua e quasi nessuno poteva andarci
se lei non voleva. Era diventato proprio come il
suo regno.
Seguì attentamente con lo sguardo la bambina
che man mano esplorava ciò che aveva attorno.
Sapeva che il momento era vicino. I ricordi che
aveva di quel giorno con il tempo si erano
annebbiati ma non doveva mancare molto. Era
quasi l’ora.
Passarono parecchi minuti senza che accadesse
nulla, ma poi la vide distendersi esausta sotto
l’unico albero di quella grande radura. La vide
addormentarsi, spossata, sognando, ricordando
qualcosa che era rimasto sepolto nel fondo
della sua coscienza per tutti quegli anni…
“Katie!”
Katie scattò a sedere, spaventata, il respiro
affannoso.
Si
guardò
attorno,
disorientata,
cercando Marie o la bambina, ma non c’era
nessuno. Era sola.
Si appoggiò con la schiena all’albero dietro di
sè, ancora frastornata. Era tornata veramente a
casa? Dalla voce di Sophie che strepitava
sembrava proprio di sì.
Ridacchiò, sollevata. E riuscì persino a sorridere
quando si sentì di nuovo chiamare da una voce
che diventava sempre più irritata.
“Insomma
Katie,
vuoi
venire?
Smettila
di
nasconderti, ragazzina! Katie!”
La
ragazza
si
alzò,
scuotendo
la
testa
e
sospirando, con il sorriso ancora impresso sulle
labbra. Ripensare a quella bambina, a Marie e a
tutto quello che aveva rivisto non poteva fare a
meno di farla sorridere. Era sicura che niente,
nemmeno la sgradevolezza della zia, sarebbe
riuscita a farle perdere il buon umore. Non
l’avrebbe permesso, si diceva, ma ancora non si
rendeva conto di quanto sarebbe stato difficile.
La sua pazienza fu messa alla prova subito dopo
aver fatto appena qualche passo in casa. La voce
melensa
di
Sophie
le
giunse
dal
salotto,
portandole all’orecchio parole che nonostante
tutto quello che si era ripromessa sarebbero
state un boccone molto difficile da mandare
giù.
“Ah, questi giovani d’oggi sono senza controllo.
Sono sicura che vostra figlia sia come tutte le
altre, sempre lì a rimirarsi allo specchio come
se già fossero delle donne fatte, sempre a
vantarsi di chissà cosa. Non capiscono che solo
le nobildonne come me possiedono la classe
adatta
per
essere
ammirate.
E
questo
atteggiamento che avete verso la mia carissima
nipote non va affatto bene, Marie. Le fate fare
tutto quello che volete, non le date regole o se
lo fate non le insegnate a rispettarle… Così
proprio non va, bisogna completamente farle
cambiare atteggiamento. Ferrea disciplina, ecco
cosa ci vuole! E io conosco un posto perfetto
dove potranno rimetterla in riga, sempre che ci
sia ancora qualche speranza. Ditemi, avete già
scelto un collegio? Perché mi hanno parlato del
Saint August, un posto favoloso e…”
Katie strinse con forza la maniglia della porta,
cercando di scaricare in quella morsa ferrea
tutta la rabbia che le stava montando dentro.
Anche se si era ripromessa di non perdere la
calma, con Sophie era una cosa impossibile.
Sapeva che ormai la pace che aveva conquistato
non sarebbe più tornata, almeno finchè la zia si
trovava nei paraggi. Il che significava tutta la
giornata.
Ogni anno, infatti, la carissima parente veniva a
riscuotere un vecchio prestito “gentilmente”
concesso alla sua famiglia in un momento di
difficoltà. Un momento che, Katie non poteva
non pensarci, coincideva con il suo arrivo e che
Sophie non mancava mai di ricordarle, con la
cattiveria e l’arroganza che la caratterizzavano.
Non c’era mai stata una volta in cui le avesse
rivolto una parola gentile o un gesto di
conforto, mai una volta in cui avesse cercato di
conoscerla davvero. Katie ormai non nutriva
più alcuna speranza in un suo cambiamento.
L’unica cosa che poteva fare era tentare di
sopportare la sua presenza e aspettare, con
ansia, il calare del sole.
Sospirò, scuotendo la testa, prima di entrare
nella
stanza
dimenticandosi
e
accasciarsi
casualmente
sulla
di
sedia,
salutarla
nell’entrare. Sophie come sempre non era
affatto cambiata. Sembrava che il tempo la
lasciasse inalterata, imprigionata per l’eternità
in quegli abiti soffocanti che tanto adorava. Ma
dietro a quel suo aspetto sempre assolutamente
perfetto
si
celava
una
donna
crudele
e
calcolatrice. E nonostante cercassero di non
darlo troppo a vedere, entrambe si detestavano
in maniera eguale. La ragazza non poteva
sopportare
il
suo
atteggiamento,
snob
e
arrogante, tanto che molte volte rasentava la
maleducazione
e
Sophie
d’altronde
non
riusciva ad accettare il suo comportamento
ribelle. Ma anche se questo odio cresceva
dentro di lei, rafforzandosi ogni giorno di più,
davanti ai suoi genitori Katie non poteva
mostrarsi in altro modo se non affabile e
gentile, cercando di rendere le visite della zia il
più piacevoli possibili. Sophie invece... Be’, lei
mostrava il suo solito atteggiamento sfacciato e
indifferente, ma quando erano sole Katie
avvertiva facilmente l’odio in quei freddi occhi
grigi. Un odio che era profondo almeno quanto
il suo.
Rimase seduta in silenzio a riflettere per tutta la
mezz’ora in cui Sophie rimase in salotto, e non
si
mosse
D’altronde
neppure
sarebbe
quando
uscirono
tutti.
stata
capacissima
di
rimanere lì immobile fino a sera, se la voce di
Marie non l’avesse richiamata ai suoi doveri.
“Katie, sbrigati! Non far aspettare la zia!”
La ragazza mugugnò, affondando ancora di più
nella poltrona, mentre il suo umore già nero
affondava ancora un po’ assieme a lei. Ma non
poteva evitare di andare. Si diresse lentamente
all’uscita, trascinandosi e sospirando. Doveva
resistere, non poteva cedere proprio adesso. Il
sole stava per tramontare e non appena se ne
fosse andato avrebbe portato l’opprimente
presenza di Sophie via con sé. Mancava ancora
poco e poi, chissà, forse il prossimo anno
sarebbe riuscita a trovare una buona scusa per
poterla finalmente evitare. In fondo, perché
non sognare?
Rimase ferma diversi minuti a rimuginare
sull’idea prima di accorgersi che Sophie non era
ancora arrivata. Questo era strano. Solitamente
lei
andava
sempre
per
prima,
blaterando
ininterrottamente per tutto il tragitto, ma non
era ancora nemmeno uscita. Katie rientrò,
preoccupata. Cosa stava facendo? Forse... Un
sospetto la aggredì. Si fiondò in soggiorno,
guardandosi attentamente attorno. Non voleva
che magari stesse ficcanasando in giro come le
pareva. Già l’ultima volta che c’era stata si era
dimostrata molto, anzi troppo interessata a
visitare la casa, ma i suoi sospetti svanirono non
appena la vide ferma in cucina.
Era immobile e fissava la parete, come... come
se fosse in trance. Le sue labbra si muovevano
veloci, quasi stesse parlando con qualcuno. Ma
lì non c’era nessuno a parte lei, e molto
probabilmente non si era neanche accorta del
suo arrivo. La ragazza le si avvicinò lentamente,
un passo dopo l’altro, mentre sentiva la paura
cominciare a chiuderle la gola. Quella cosa non
era normale, non lo era affatto. Tutto era
silenzioso, eppure la sua bocca continuava a
muoversi.
Katie cercò di capire cosa stesse dicendo, ma
tutto quello che riuscì a comprendere fu una
sola parola: Prescelta. Una parola che per lei
non aveva alcun senso. Almeno non ancora.
Uscì silenziosamente dando un’ultima occhiata
alla zia, ancora immobile. Forse era meglio
dimenticare ciò che aveva visto, forse era
meglio non provare a cercare una spiegazione
che tanto non avrebbe trovato. Aveva già tante
cose per la testa senza che se ne aggiungesse
un’altra. In fondo lo sapeva da sempre che
Sophie non aveva tutte le rotelle a posto, non
c’era di che preoccuparsi. Eppure, nonostante
tutto, non potè evitare di squadrarla da capo a
piedi non appena uscì, in cerca di quei sintomi
che
l’avevano
tanto
confusa
in
cucina.
Sembrava tutto normale, come se ciò che aveva
visto
fosse
stato
solo
frutto
della
sua
immaginazione. Ma guardando meglio... Sì,
c’era qualcosa di diverso. Uno strano brillio in
quegli occhi di piombo. Un brillio che non le
piaceva per niente.
“Sai, Katie, forse fa un po’ troppo freddo per
andare giù in città, ed è meglio restare nei
paraggi. Però sono curiosa... Perchè non mi fai
vedere
la
tua
radura
speciale... non è vero?”
speciale?
Perchè
è
Katie tentò un sorriso stiracchiato, spaventata.
Sophie che voleva vedere la sua radura? Non
era da lei, non lo era assolutamente. E poi come
aveva ribadito il fatto che fosse speciale...
Voleva
qualcosa,
ne
era
sicura.
Ed
era
altrettanto sicura che, qualunque fosse, lei non
avesse alcuna intenzione di dargliela.
“E perchè zia? È solo un piccolo prato, niente di
più. Sono sicura che staremmo meglio in casa al
caldo. Ci eviteremo un bel raffreddore.”
Sophie
le
posò
una
mano
sulla
spalla,
sorridendole malignamente.
“Oh, possiamo resistere per un po’, ne sono
certa. E poi ho proprio voglia di fare una bella
passeggiata nei boschi. Chissà, magari la tua
radura potrebbe, come dire... interessarmi.”
Katie rabbrividì sotto quello sguardo avido.
Non riuscì ad evitarlo. Portare Sophie alla
radura, la sua radura... Lo trovava un abominio,
la disgustava. Eppure non le aveva lasciato altra
scelta. Non avrebbe più potuto opporsi di
nuovo.
Cominciò a camminare, la mano di Sophie
sempre appoggiata alla sua spalla. La ragazza le
lanciò uno sguardo, furiosa e spaventata allo
stesso tempo. Sapeva perfettamente perchè la
zia la tenesse così stretta, non voleva che lei
riuscisse a scappare. Da sola non sarebbe mai
riuscita a raggiungere la radura e lei era la
persona ideale per portarcela. Scosse la testa, i
pugni stretti. Non poteva permetterlo. La sua
mente lavorava, febbrile, cercando una via
d’uscita,
mentre
i
suoi
piedi
la
stavano
portando automaticamente verso la radura.
Non riusciva a capire come mai Sophie si
comportasse in quel modo. Era sempre stata
perfida e crudele, questo era vero, ma mai in
modo così aperto ed evidente, soprattutto non
con lei. Probabilmente aveva sempre pensato
che Katie non fosse abbastanza importante,
oppure poteva dipendere anche dal fatto che lei
non aveva niente che potesse allettare la zia,
niente che potesse accendere il suo interesse…
Ma adesso? Come mai queste improvvise
attenzioni? Cosa aveva potuto catturare l’avidità
di Sophie tanto da spingerla a superare così i
limiti?
Sentiva
che
c’era
sotto
qualcosa,
qualcosa in cui, in qualche modo, era implicata
anche lei. Qualcosa da cui avrebbe voluto
rimanere fuori.
Digrignò i denti quando la stretta sulla sua
spalla divenne più forte. Non aveva mai
creduto che quella donna potesse avere una
forza del genere. L’aveva sempre trattata come
una stupida, capace solo di lamentarsi per delle
sciocchezze, e forse era stato quello che lei
aveva voluto far credere a tutti. Forse l’aveva
sottovalutata troppo.
“Perché ti interessa così tanto, Sophie? Sai, devo
dire che mi hai proprio incuriosita. Chissà cosa
ha scatenato questo tuo improvviso interesse…”
Lei rise.
“Perchè mi interessa? Oh, ma tu dovresti
saperlo bene, persino meglio di me, non è vero
Katie? Forse sarebbe ora che mi dicessi tutto.
Questo gioco è troppo pericoloso per una
ragazzina. Se mi dici dov’è potrei aiutarti a
capire, darti una mano.”
“Mi puoi spiegare cosa stai cercando? Cos’è che
ti ossessiona questa volta? E per quale strana
ragione io dovrei farne parte? Sappi che non
sto giocando, Sophie, e non ho la minima idea
di cosa tu stia parlando. Torniamo indietro, in
quella
radura
non
c’è
niente
che
possa
interessarti.”
Sophie sorrise, rafforzando la presa e facendole
quasi sfuggire un gemito di dolore.
“Lascia che sia io a decidere. E in quanto alla
tua penosa recita… non serve a nulla. È inutile
che tenti di farmi credere che tu di questa storia
non ne sappia niente, perché sono molto più
informata
di
quanto
evidentemente
pensi,
quindi non cercare di rifilarmi frottole tanto
male assortite. Molto presto mi racconterai
tutto nei dettagli, non preoccuparti.”
Katie scosse la testa. Se stava aspettando il
momento adatto in cui cominciare ad avere
paura… Be’, quel momento era appena arrivato.
“E invece mi preoccupo, Sophie, ma non per
me o per altro. Io sono davvero preoccupata
per te. Da quando hai cominciato a vedere cose
che non c’erano? Da quando hai cominciato a
delirare?”
A quelle domande Sophie si fece una grossa
risata. Ormai lei non aveva più dubbi, quella
donna era completamente folle.
“Capirai presto, Katie, capirai. E allora non
potrai più negare la verità.”
Continuò a sorriderle, un sorriso falso e
melenso. Un sorriso di vittoria. E anche se Katie
non lo credeva possibile, quel sorrisetto si
allargò ancora di più non appena, dall’ombra
della
foresta,
sbucarono
nella
radura,
rischiarata debolmente dall’ormai poca luce che
ancora riusciva a raggiungerla.
“Bene, adesso aspettami qui. E non provare ad
andartene. Può non sembrare, ma ti riprenderei
facilmente perciò… evitiamo, ok?”
Katie non le rispose. Sophie stava per avere ciò
che voleva e lei non poteva fare nulla per
impedirlo.
Osservò
allontanarsi
tra
le
impotente
ombre,
la
finchè
zia
non
scomparve dalla sua vista. Sapeva che sarebbe
tornata
presto,
gongolante
e
trionfante,
e
sapeva anche che non avrebbe potuto avere da
lei le risposte che cercava. Chissà allora cosa
sarebbe successo… Eppure, diversamente da
quanto si aspettava, quando Sophie tornò il
sorriso sul suo volto era scomparso.
“Dov’è?”
Katie la fissò, tesa, osservandola mentre la sua
furia cresceva velocemente, senza limiti. Non
aveva la minima idea di cosa stesse parlando,
ma ripeterglielo non sarebbe servito a niente,
non avrebbe creduto ad altro se non a quello in
cui voleva credere. E così lei era nei guai.
Sophie non aveva alcuna intenzione di dirle
cosa stava cercando così disperatamente e non
l’avrebbe sicuramente lasciata andare. Cosa
poteva fare?
“Non ne ho idea zia! Perché continui a
comportarti così? Perché? Sono tua nipote!”
Sophie cominciò ad avanzare verso di lei,
un’ombra scura sul viso.
“Nipote? Nipote?? Tu non sei mia nipote. Sei
solo una trovatella che mio fratello ha accolto
perchè è troppo buono, un vero idiota. Il tuo
posto dovrebbe essere un orfanotrofio, insieme
a tante altre creature inutili come te. Tu non hai
alcun diritto da rivendicare, non puoi avere
nessuna pretesa. È solo grazie a me che la tua
famiglia è riuscita a sopravvivere quando ti
hanno... aggiunta alle spese. È a me che devi la
tua casa, i tuoi vestiti, tutto quello che hai!
Quindi adesso smettila di fare la bambina
viziata e dammelo subito!”
Katie
cominciò
a
indietreggiare,
turbata,
fermandosi solo quando sentì la schiera di
alberi dietro di sé. Scosse la testa, mentre il
senso di colpa che non era mai riuscita a
dimenticare si riaccendeva come una fiamma
dentro di lei. Sophie l’aveva colpita in un punto
dolente, un punto a cui lei non poteva fare a
meno di pensare ogni giorno, ogni momento.
Si era sempre chiesta come sarebbe stata la vita
dei suoi genitori se lei non fosse mai entrata
nella loro vita, se fosse morta quel giorno, sotto
la neve. Non sarebbero dovuti dipendere da
una come Sophie o fare continui sacrifici per
lei. La loro vita sarebbe stata certamente
migliore.
Eppure ricordava bene quando, un giorno,
aveva detto a Marie ciò che pensava. Si
ricordava bene quanto era rimasta scioccata
non appena le aveva raccontato i suoi dubbi.
L’aveva abbracciata, piangendo, continuando a
dirle che non era vero, che il suo arrivo era
stato uno dei più bei regali che la vita aveva
potuto farle. Le aveva detto che lei non era
un’estranea, ma era parte di quella famiglia. La
sua famiglia. Perchè quindi avrebbe dovuto
farsi
turbare
da
Sophie?
Da
quando
le
importava qualcosa di quello che diceva quella
donna? I suoi giudizi, le sue cattiverie, in tutti
quegli anni quelle parole erano scivolate su di
lei come acqua senza scalfirla minimamente. E
invece adesso una sola frase era bastata a farle
mettere in discussione tutto ciò che aveva
costruito in quegli anni, tutto l’affetto della sua
famiglia. No, non avrebbe più permesso una
cosa del genere, non da lei.
“Quello che dici potrà anche essere vero,
Sophie, ma non sarà questo a piegarmi. Ted e
Marie mi hanno accettata come loro figlia e
questo a me basta. Mi hanno presa con loro
quando avrebbero potuto lasciarmi lì, in quella
macchina, a morire. Io voglio loro un bene
dell’anima e non saranno le tue insinuazioni a
farmi
dubitare di far parte della mia famiglia. Non so
cosa tu stia cercando con tanta insistenza, ma
so che non sarà qui che lo troverai. Qui non c’è
posto per te, Sophie.”
Sophie la guardò in tralice, ancora infuriata.
Katie sostenne il suo sguardo tranquillamente,
senza mai abbassare il proprio e quando la zia
la lasciò andare si voltò senza dire una parola.
Poi, senza guardarsi indietro, tornò verso casa.
*
Sophie era rimasta immobile. Le parole di
quella ragazza ancora le risuonavano nella
mente, forti come nel momento in cui le aveva
sentite. Chi l’avrebbe mai detto che quella
ragazzina così odiosa avrebbe saputo colpirla
così nel profondo? Scosse la testa, cercando di
scacciare quelle sensazioni. Le emozioni non le
servivano a niente, da tempo aveva imparato a
farne a meno. Era meglio che restassero
sepolte, nascoste nel buio.
“Gaelen? Sei sempre lì?”
Una voce annoiata le rispose nella sua testa.
“Sempre e comunque. Devo dire che è stato
proprio commovente, quasi mi mettevo a
piangere. Non è che hai qualche fazzolettino?”
Sophie sospirò, scuotendo la testa. Davvero non
lo sopportava quell’idiota. Era così borioso e
sicuro di sè, con il suo sarcasmo e la sua
battutina pronta... Era un mago molto abile,
quello doveva riconoscerlo anche lei, ma non
significava che le dovesse stare simpatico.
“Piantala di fare l’idiota e aggiornami. Se non è
nemmeno qui dove può essere?”
“Deve essere lì. Te l’ho già detto prima, quella
ragazza è collegata. Può darsi che non lo abbia
ancora trovato, che non sia ancora stata scelta e
in questo caso devi fare di tutto per precederla
e prenderlo prima di lei. Ma devi fare in fretta,
non rimane molto tempo. Il destino non è
solito aspettare troppo.”
“Sì, lo so, cercherò di fare tutto il possibile.
L’Oscuro è già stato avvertito?”
“Lo sarà tra poco, non preoccuparti. Piuttosto,
se non trovi l’Ilyes prima di tua... nipote, allora
sarà meglio che non ti prenda il disturbo di
riportare qui la tua incompetenza. L’Oscuro
potrebbe non esserne contento. Ora va.”
Sophie
digrignò
i
denti,
frustrata.
Sapeva
benissimo che l’Oscuro non prendeva bene i
fallimenti e tuttavia quella missione si stava
rivelando molto più difficile del previsto.
Cominciò ad inoltrarsi nel bosco, pensierosa.
Era
tardi,
ormai,
e
stava
cominciando
a
rinfrescare. Strinse le braccia attorno al corpo,
rabbrividendo. Forse non era quel freddo a
disturbarla. Forse era quello che sentiva dentro
di sè, che la aggrediva.
CAPITOLO 2
Appena la porta di casa si chiuse dietro di lei
Katie si sedette di schianto in una delle poltrone
più vicine. Nonostante ciò che aveva detto nel
bosco le parole di Sophie ancora la torturavano.
Avrebbe dovuto ignorare quello che aveva
detto quella donna, avrebbe dovuto imparare a
fidarsi solo delle sue emozioni. Eppure più
cercava di dimenticarle, più quelle frasi le
riempivano la testa.
“Katie, tesoro, sei lì in soggiorno?”
La ragazza non rispose. Non aveva voglia di
parlare con Marie, non in quel momento.
Prima avrebbe dovuto schiarirsi le idee e forse
anche riposare un po’...
“Katie?”
Sospirò, accasciandosi ancora di più sulla
poltrona.
“Sì, mamma, cosa c’è?”
“Tesoro, sai dov’è Sophie? Non era assieme a
te?”
A quelle
parole
sul
viso
di
Katie
passò
un’ombra.
“Sì, era con me, ma ha deciso di anticipare il
ritorno. Aveva degli affari da sbrigare ed era
così di fretta che non ha avuto il tempo di
passare a salutarvi. Ha chiesto a me di farlo al
posto suo.”
Marie venne a sedersi sul bracciolo accanto a
lei, stringendola in un dolce abbraccio.
“Katie va tutto bene? Mi sembri strana.”
“Non è niente, sono solo un po’ stanca. Tu
invece? Sei piuttosto pallida.”
La madre rise, scompigliandole i capelli.
“No, sto bene. Sono sempre stata un po’ pallida,
è la mia carnagione. Ti ricordi che Lucas mi
prendeva sempre in giro per questo?”
Katie distolse lo sguardo, incapace di accettare
sorridendo quella menzogna. Non era vero.
Marie non era stata sempre così pallida, e mai
come quello che aveva vissuto nel pomeriggio
glielo aveva ricordato con tanta precisione.
Quelle guance rosate, accese…
“Lui ti manca molto, vero?”
Marie scosse la testa, cercando di sorridere e di
mostrarsi tranquilla. Ben presto però il dolore
per quella mancanza ritornò sul suo viso e non
potè più negare l’evidenza.
“Be’ è normale che mi manchi. E’ sempre triste
quando un figlio se ne va, ma ormai era grande
e doveva essere libero di scegliere la sua strada.
Non potevo tenerlo qui per sempre, non
sarebbe stato giusto. Sarei stata davvero una
grande egoista.”
Katie sorrise, scuotendo la testa.
“Tu egoista? Fidati, il giorno in cui tu farai
qualcosa di egoistico allora sapremo che la fine
del mondo è vicina. E poi non ti preoccupare
per Lucas, se la caverà. Piuttosto sei proprio
sicura di stare bene? Hai una faccia stravolta…
Hai freddo? Vuoi che metta altra legna o…”
Si bloccò preoccupata quando vide la madre
chiudere gli occhi e abbandonarsi stancamente
contro lo schienale.
“Mamma? Mamma, stai bene? Mamma!”
Marie scosse la testa, cercando di alzarsi, ma
non appena ci provò ricadde sulla poltrona,
mentre il poco colore che le restava sul viso
scivolava via.
“Mamma!!”
Katie si affrettò a sorreggerla, il cuore raggelato
in
una
morsa
di
terrore.
Si
guardò
freneticamente attorno in cerca di aiuto. Stava
sicuramente vivendo un incubo, non poteva
essere vero. Non era ancora il momento,
maledizione!
Deglutì, chiudendo gli occhi e cercando di
ricacciare indietro le lacrime. Doveva chiamare
qualcuno, qualcuno che potesse aiutarla, che le
dicesse che stava bene, che non c’era pericolo…
Ma
prima
che
potesse
aprire
bocca
all’improvviso la mano della madre le afferrò il
braccio, facendola voltare.
“Sto bene, Katie, è tutto a posto. Sono solo un
po’ stanca, ma non volevo… non volevo farti
spaventare.”
Katie scosse la testa, cercando di asciugare le
proprie lacrime prima che la madre le vedesse.
“Non è tutto a posto, mamma. Tu stai male,
dovremmo chiamare il dottore e…”
“No.”
La ragazza chiuse gli occhi, tormentata. Perché,
perché si ostinava così tanto a pensare che
andava tutto bene? Perché non accettava il fatto
di aver bisogno di aiuto?
“No. Non voglio dottori, non voglio vedere
nessuno che mi dia la falsa speranza di poter
guarire. Io so che non è possibile, Katie, io l’ho
accettato. È così difficile per te fare la stessa
cosa? Alla fine la nostra ultima meta è sempre la
stessa…”
“No, non permetterò che tu te ne vada così, non
quando c’è anche solo una minima possibilità
di strappare ancora altro tempo. Non sono
disposta ad arrendermi così facilmente e se tu
non vuoi lottare, allora lotterò io per te.
Mamma non puoi chiedermi di accettare una
cosa del genere e di restare ad aspettare senza
fare nulla… Non puoi.”
Marie
scosse
la
testa,
accarezzandole
dolcemente il viso rigato di lacrime.
“Prima o poi dovrai farlo, piccola mia. Questa è
la vita e di essa fa parte anche la morte, e non
puoi negarla come non puoi sfuggirle. Ma
comunque adesso non c’è di che preoccuparsi.
Non
è
successo
niente,
mi
sono
solo
praticamente addormentata. Non devi avere
paura,
ho
intenzione
di
restare
qui
a
tentare
di
controllarti ancora per molto tempo.”
Katie
cercò
rassicurarla,
di
ma
sorridere,
i
suoi
per
occhi
rimasero
tormentati come lo era lei in quel momento.
“Niente dottore allora, ma Ted deve sapere che
non sei stata bene. Questo non lo puoi evitare e
non
potrai
fare
niente
per
cercare
di
convincermi a non dirglielo.”
La madre scosse la testa, addolorata.
“Perché vuoi affliggerlo con una cosa del
genere? Non sono stata male, Katie, sono solo
molto stanca. Ti prometto che andrò a riposare
ma per favore, non dire nulla a tuo padre di
quello che è successo. Ultimamente è già così
preoccupato per i campi, per Lucas, per tante
cose… Non voglio che sopporti anche questo,
non ce la farebbe. Ti prego…”
La ragazza chiuse gli occhi, sospirando e
facendo una smorfia.
“D’accordo, ma solo e unicamente se mi
prometti che andrai dritta a dormire. Hai
lavorato tutto il giorno quando già non avresti
dovuto fare sforzi e quindi adesso hai bisogno
di riposare. Me lo prometti?”
Marie annuì, tentando un debole sorriso. A
quella vista Katie sentì uno squarcio doloroso
aprirsi dentro di sé. Notò tormentata le grosse
occhiaie sotto gli occhi stanchi, notò la pelle
tirata, pallida, e la spossatezza delle braccia
appoggiate alla poltrona. Se pensava per chi la
madre si era ridotta così sentiva una cieca
rabbia
che
le
infuriava
dentro,
crescendo
sempre di più. Sentiva ancora quella voce nella
testa, quelle parole… Strinse forte i pugni, i
muscoli tesi, cercando di non far emergere il
vortice di emozioni che la stava tenendo in
scacco. Doveva allontanarsi subito o presto
Marie si sarebbe accorta di qualcosa.
“Bene ora vado a dormire, ma mi aspetto che
tu
mi
segua
entro
due
minuti.
Davvero
mamma non sto scherzando, tu devi riposare.
Fallo oppure racconterò a papà quello che è
successo, capito? Mi raccomando.”
“Puoi andare a riposare tranquilla, tesoro.
Buona notte, piccola mia.”
Katie le diede un rapido bacio sulla guancia e
poi salì di corsa le scale verso la sua stanza. Lì
chiuse la porta alle sue spalle, desiderando
solamente rimanere immobile a fissare il buio,
a pensare, ad alimentare la sua rabbia. Rivide
davanti ai suoi occhi la scena del bosco, risentì
come impresse a fuoco nella sua mente le
bugie che Sophie le aveva detto, il modo in cui
aveva tentato di manipolarla. Cominciò a
tremare, le mani strette, gli occhi chiusi.
Doveva calmarsi, doveva…
Incapace di resistere oltre, Katie sferrò un
pugno al muro in legno. Un forte scricchiolio
accompagnò le sue imprecazioni, mentre si
afferrava il polso dolorante. Ci mancava solo
quello, la tipica ciliegina sulla torta, l’ultima
catastrofe in una pessima giornata. Poteva
andare peggio di così?
Borbottando cercò a tentoni l’interruttore della
luce, ma un improvviso bagliore proveniente
dall’esterno la bloccò, preoccupata. E in un
attimo capì che le cose potevano andare
davvero molto peggio.
Corse alla finestra, spaventata, mentre orribili
immagini di vecchi incendi le riaffioravano alla
memoria, il dolore alla mano e Sophie relegati
in
secondo
piano.
Se
gli
alberi
stavano
bruciando bisognava fare in fretta, avvertire
tutti gli altri…
Ma non era la luce di un fuoco quella che
illuminava la boscaglia. Non era forte, ma
chiara e quasi evanescente. Invece del solito
guizzare delle fiamme quel bagliore quasi non
si spostava, avvolgendo in un debole alone
dorato
tutta
la
vegetazione
attorno
e
allungandosi in strani e scintillanti filamenti.
Erano… incredibili. Era come se fossero dotati
di vita propria, come se stessero cercando
qualcosa. O qualcuno.
Katie chiuse gli occhi, stordita, appoggiandosi
alla
parete.
Stava
succedendo
qualcosa,
qualcosa di inspiegabile, eppure... Scosse la
testa, cercando di schiarirsi le idee, ma la
nebbia nella sua mente non accennò a diradarsi.
Non riusciva a pensare con lucidità. Era come
se qualcosa la avvolgesse, come se la chiamasse
verso di sè... E un attimo dopo capì cos’era, ad
avere quell’effetto su di lei. L’aria era satura di
un profumo così dolce da farle scordare tutto il
resto, un profumo che non aveva mai sentito
prima in vita sua. O forse... Sì, forse lo aveva già
sentito nel passato, in un passato che riusciva a
malapena a ricordare. Chiuse gli occhi, stordita,
ma quando li riaprì si ritrovò in un’auto, in
viaggio attraverso la campagna. Un viaggio
avvenuto ben 16 anni prima.
Katie si guardò attorno, spaventata e confusa.
Non riusciva a capire cosa… cosa fosse successo.
Che fosse accaduto di nuovo come quel
pomeriggio, nella radura? Che stesse rivivendo
di nuovo un ricordo?
Scosse
la
testa,
mentre
fitte
dolorose
le
trapassavano il cervello. Se quello era un
ricordo
allora
poteva
essere
soltanto
un
momento preciso, un momento che aveva
segnato la sua vita per sempre. Esitò a guardarsi
attorno, tormentata. Sapeva già cosa avrebbe
visto, chi erano le persone che si trovavano in
quell’auto in quel preciso istante. Li conosceva,
eppure
ne
ricordare
era
spaventata.
vagamente
dei
Un
volti,
conto
confusi
era
e
annebbiati, un’altra era vederli veramente,
come
se
fossero
proprio
davanti
a
lei.
Nonostante questo, però, dovette trovare il
coraggio e voltarsi. Accanto a lei, immobile sul
seggiolino, c’era una bambina, una piccola dai
grandi occhi castani. Una bambina che le
somigliava in maniera unica.
Katie si prese la testa tra le mani, mentre le fitte
aumentavano sempre più di intensità. Il suo
respiro
si
fece
affannoso,
i
suoi
battiti
accelerarono. Gemette, digrignando i denti.
Non poteva andare via senza averli visti, senza
aver avuto la possibilità di rivedere quei volti, i
volti dei suoi veri genitori. Con un enorme
sforzo riuscì a voltarsi, riuscì a cogliere un
leggero movimento fugace prima di ritrovarsi
di nuovo nella sua camera, esattamente dove
era prima di lasciarla.
La ragazza si accasciò contro il muro, esausta.
Non era riuscita a vederli. Di quell’esperienza
aveva portato con sé solo il ricordo di quei
capelli biondi, i capelli di sua madre… e del suo
profumo. Perché era proprio il suo quello che
aleggiava nell’auto e che adesso si trovava nella
sua stanza.
Come era possibile? I suoi genitori erano morti
da tantissimi anni, ormai. D’altronde quel
profumo stava cercando di annebbiarle la
mente, di impedirle di pensare in modo da
avere facile presa su di lei e non era facile
provare a resistere. Lei tentava, si opponeva
con tutte le sue forze, ma più il tempo passava
più diventava difficile.
Alla fine si abbandonò contro il muro, sconfitta
e inerme. I suoi occhi si facevano sempre più
pesanti, le sue difese sempre più deboli. In
quello stato non sarebbe riuscita a rimanere
sveglia
ancora
a
lungo.
Brevi
sprazzi
di
incoscienza cominciavano già a sopraffarla e
ogni volta che accadeva tornare cosciente era
sempre
più
combattere
difficile.
quello
Non
strano
sapeva
torpore
come
che
la
invadeva, che le faceva abbandonare una ad
una ogni resistenza…
Rabbrividì quando, dopo qualche minuto di
incoscienza, riuscì di nuovo a tornare in sé. Il
suo
respiro
iniziava
a
calmarsi,
la
sua
ostinazione cominciava già ad ammorbidirsi.
Era stanca, non voleva più lottare. Ormai non
ne aveva più le forze. Alzò gli occhi verso la
finestra, fissando malinconicamente il cielo
stellato. E fu allora che la vide. Una splendente
farfalla entrò nella stanza, incurante della
presenza opprimente di quel profumo che ne
aveva ormai invaso ogni angolo. Volava senza
paura, libera e trasportata dal vento, senza
catene o legami che la trattenessero a terra.
Katie la fissò, attratta dal suo bagliore, senza
riuscire a distogliere lo sguardo. Seguiva quasi
con devozione ogni suo battito d’ali, ogni sua
mossa. Era magnifica, ma fu solo quando venne
a posarsi sulla sua mano che si accorse di cosa
fosse realmente. Quello che lei aveva scambiato
per un riflesso altro non era che la sua luce,
perché era proprio di luce che era fatta. Il calore
che emanava le dava un nuovo vigore, una
nuova forza. Il bosco la stava chiamando e lei
doveva rispondere. E in un attimo seppe cosa
fare.
Si alzò, ancora un po’ indebolita. La farfalla
volò davanti a lei per un po’, in circolo, prima
di uscire dalla finestra. Katie la osservò sparire
nella
notte,
inghiottita
dall’oscurità.
E,
improvvisamente, cominciarono le lancinanti
fitte alla testa.
La ragazza cadde in ginocchio, tremante, e
attese.
Dopo
qualche
minuto
il
dolore
lentamente scemò, ma lei sapeva che sarebbe
tornato. Era come… come una punizione, forse.
Più lei si opponeva al richiamo, più avrebbe
sofferto. E non aveva più molto tempo.
Faticosamente riuscì a rialzarsi, lo sguardo fisso
sul bosco. Doveva pensare, riflettere. Arrivarci
poteva essere complicato. Uscendo dalla porta il
rischio di essere vista era alto, eppure era
l’unica uscita possibile. A meno che… Si affacciò
alla finestra, tesa, ed eccola, la soluzione.
Proprio accanto alla sua stanza si innalzava una
vecchia grondaia dimenticata, ricoperta quasi
completamente dall’edera che nel corso del
tempo aveva dato alla casa quell’aspetto rustico
che tanto piaceva ai vicini. Pensandoci, però,
quella grondaia poteva essere una via di fuga
perfetta. Katie si sporse dalla finestra, esitante.
E nonostante sapesse benissimo che era l’ultima
cosa al mondo che avrebbe dovuto fare,
azzardò un’occhiata in basso.
Le
sfuggì
involontariamente
un
gemito.
Proprio un bel salto. Dubitava che avrebbe
potuto uscirne incolume, se fosse caduta da
quell’altezza, ma era proprio ciò che doveva
evitare.
Chiuse gli occhi, il sudore freddo che le
scivolava lungo la schiena. Era il caso di
rischiare? Qualunque cosa ci fosse in quel
bosco, era così importante da farle rischiare
una simile caduta? Gemette quando le stilettate
ardenti nel suo cervello ricominciarono. Più
tentava di ragionare più quelle si facevano
insistenti, facendola quasi accasciare a terra dal
dolore. A quanto sembrava non aveva altra
scelta che tentare.
Tuttavia fu difficile convincere i suoi muscoli a
muoversi e ancora più difficile fu salire sulla
finestra senza cadere di sotto. Ogni cellula del
suo corpo le ordinava di non saltare, ma la
decisione ormai era presa. E raccogliendo tutto
il coraggio che aveva, Katie saltò.
Il tempo di un battito, un solo terrificante
istante di vuoto e poi le sue mani si strinsero
forti al tubo. Ma la pioggia che era scesa in quei
giorni aveva reso l’edera scivolosa e lentamente
la ragazza cominciò a perdere la presa. Il
terrore la inondò, mentre continuava a fissare
impietrita la terra che vorticava al buio sotto di
lei.
Le
sue
mani
sudate
continuavano
a
scendere sempre più velocemente e lei sapeva
solo di dover restare aggrappata. Se avesse
perso la presa, sarebbe caduta.
Strinse le gambe attorno al tubo, tanto forte da
farsi male, e lentamente riuscì a fermare la
discesa. Chiuse gli occhi, il respiro scosso dal
tremore del proprio corpo. La testa continuava
a girarle, come se quella caduta non si fosse mai
fermata. Era salva, ma non era ancora finita.
Lentamente, molto lentamente staccò le mani
dal tubo, tenendosi ben forte con le gambe. In
fretta e furia se le asciugò velocemente sulla
maglietta, sentendo il proprio corpo sempre
più debole e stremato. Pronto a cedere.
Dopo essersi di nuovo stretta alla grondaia, con
cautela Katie cominciò a scendere, una mano
dopo l’altra, facendo ben attenzione a non
guardare mai in basso. E quando finalmente le
sue
gambe
toccarono
terra
era
talmente
intirizzita ed esausta che cadde non appena si
lasciò andare.
Rimase distesa, il respiro affannoso, aspettando
che le gambe smettessero di tremare come
gelatina
e
riprendessero
forza.
Si
sentiva
stranamente leggera, come se in quel preciso
momento stesse galleggiando su una soffice
nuvola o in mezzo alla freschezza dell’acqua…
Scosse lievemente la testa, cercando di tornare
con la mente al presente. Doveva restare
concentrata o si sarebbe fatta scoprire. I suoi
genitori non dovevano assolutamente sapere
cosa aveva fatto o sarebbe preso loro un colpo,
ma non riuscì a resistere alla tentazione
di chiudere gli occhi per un po’, mentre il suo
corpo tornava alla normalità. In breve il suo
cuore cominciò a calmarsi e i suoi muscoli
cominciarono a riprendere sensibilità. Ora
quando muoveva le gambe non le sembrava
più di avere dei blocchi di cemento al posto dei
piedi. Tuttavia si sollevò lentamente, con
cautela, fino a ritrovarsi seduta, non sapendo se
il suo corpo si fosse ripreso abbastanza da
essere in grado di sostenere il suo peso. Aspettò
con calma che la testa le smettesse di girare e
piano piano si alzò, valutando il suo equilibrio.
Il mondo riprese a volteggiarle intorno e,
appoggiata al muro, la ragazza attese paziente
di tornare alla normalità. Quando finalmente le
sembrò di essere in grado di mantenersi diritta
fece un passo avanti, incerta, e un sorriso le
spuntò sulle labbra quando si accorse che
riusciva a camminare senza perdere troppo
l’equilibrio.
Cominciò a fare il giro della casa, una mano
sempre appoggiata al muro per prevenire
eventuali ricadute, e riuscì ad arrivare senza
problemi
fino
Tuttavia
c’era
alla
finestra
qualcosa
che
del
soggiorno.
non
andava.
Stranamente la luce era ancora accesa. Aggrottò
la fronte, preoccupata, mentre un sospetto si
insinuava nella sua mente. Possibile che sua
madre… Scosse la testa, decisa. No, Marie non
poteva essere così incosciente da non essere
ancora andata a dormire, era impossibile.
Sicuramente
era
Ted
che
stava
ancora
guardando la televisione, lui andava sempre a
letto tardi. Ne era sicura, eppure il sospetto
rimaneva.
Si
affacciò
un
attimo,
curiosa,
sbirciando tra le tende. E la vide, ovviamente.
Sua madre era lì, seduta tranquillamente sul
divano come se quella sera non fosse accaduto
nulla. Katie imprecò a bassa voce, esasperata.
Cos’altro doveva fare per farle capire che la sua
non era una situazione da prendere così alla
leggera? Ormai non sapeva più come dirglielo.
Sembrava che ogni cosa che le dicesse le
entrasse da un orecchio e le uscisse dall’altro.
Si sporse di nuovo, tormentata, osservandola
attentamente. Il viso non aveva ancora ripreso
colore e le occhiaie si erano persino più
accentuate.
dormire?
Cosa
E
dire
aspettava
che
glielo
ad
andare
aveva
a
anche
promesso e…
Si allontanò di scatto dalla finestra, trattenendo
il respiro. All’ultimo, proprio mentre lei stava
per ritirarsi di nuovo contro il muro, proprio in
quel momento Marie aveva alzato lo sguardo
verso di lei.
L’aveva vista? Era riuscita a intravedere il suo
viso fuori dalla finestra? Non lo sapeva e non
aveva il coraggio di guardare un’altra volta.
Tutta la sua attenzione era impegnata nel
cercare di sentire eventuali suoni sospetti,
come quello di passi che venivano verso di lei,
ma non accadde nulla. Passò prima un minuto,
poi due, poi tre senza che succedesse niente di
particolare. Probabilmente anche se era riuscita
ad
intravedere
qualcosa
aveva
pensato
di
essersi sbagliata. Per il momento lei era ancora
salva.
Sospirò di sollievo, mentre dentro di sé sentiva
i suoi battiti rallentare fino a tornare alla
normalità. Adesso però era di fronte ad un altro
problema. Cosa doveva fare? Da una parte si
sentiva in dovere di tornare dentro e avvertire
Ted di quello che era successo quella sera, ma
dall’altra non riusciva a distogliere il pensiero
dalla luce che brillava davanti a lei. Si tormentò
le mani, indecisa. Sua madre doveva riposare,
questo era vero, ma allora tutto quello che
aveva fatto, tutti i rischi che aveva corso per
arrivare fino a lì sarebbero stati inutili.
Scosse la testa, osservando irritata la foresta
illuminata.
Perché
era
dovuto
succedere
proprio quel giorno, quella sera? Con tutto il
tempo che era passato, proprio il giorno in cui…
in cui…
Si bloccò, stordita. Proprio il giorno in cui era
venuta Sophie. Istintivamente la sua mente
tornò a qualche ora prima, in quello stesso
bosco. Quello strano comportamento, la ricerca
nella
radura…
Possibile
che
ci
fosse
un
collegamento? E che la zia fosse quel legame?
Forse, ma in ogni caso rimanevano ancora
molti punti oscuri. Sia Sophie che la foresta
erano impazziti lo stesso giorno. Perché allora
in tutti gli altri anni non era mai accaduto nulla?
E poi…
Osservò accigliata la luce che si espandeva tra
gli alberi e il particolare che fino a quel
momento
non
era
riuscita
ad
inquadrare
finalmente le saltò agli occhi. Era stato davanti
a lei per tutto il tempo, eppure non aveva
collegato, ma il suo sguardo ora correva dal
bosco alla finestra e viceversa, in continuazione.
La luce! Come mai nessuno aveva notato
qualcosa? Con la foresta illuminata a quel modo
molte
altre
persone
avrebbero
dovuto
accorrere a vedere cosa stava succedendo,
proprio come aveva fatto lei. Eppure sembrava
che solo lei riuscisse a vedere quella luce, come
se
fosse
lì
solo
per
lei.
Scosse
la
testa,
sorridendo di quel pensiero. Solo per lei? Non
era possibile. No, stava davvero lavorando
troppo di immaginazione. E poi anche pensare
che Sophie potesse essere coinvolta in quelle
stranezze era da pazzi e…
Sussultò improvvisamente, quando il dolore
esplose di nuovo nella sua testa. Sembrava che
migliaia di lame incandescenti la stessero
torturando, senza che potesse fare nulla per
fermarle. Gemette, sofferente, accasciandosi a
terra. Doveva sbrigarsi, sentiva di non avere più
molto tempo. Sapeva istintivamente che se
aspettava ancora il dolore sarebbe stato tale da
impedirle addirittura di muoversi, ma c’era un
enorme ostacolo davanti a lei. Per arrivare al
bosco, avrebbe necessariamente dovuto passare
davanti ai suoi genitori.
La situazione non poteva essere peggiore.
Sapeva perfettamente di non avere più la forza
di fare il giro della casa per evitarlo e non
riusciva a pensare ad una soluzione alternativa.
L’unica cosa di cui era consapevole in quel
momento era il dolore, un dolore che cresceva,
incessantemente, che le impediva di riflettere,
offuscando il suo giudizio…
Imprecò sottovoce, stringendo i denti. Come
poteva riuscire a percorrere l’intera finestrata
senza che la vedessero?
Pensa, Katie, pensa…
Il suo sguardo corse alle piante preferite di
Marie, che si trovavano proprio davanti alla
finestra, e un piano cominciò a delinearsi nella
sua mente. Quelle piante erano alte abbastanza
da nasconderla se ci fosse passata dietro
strisciando e sarebbero probabilmente riuscite
a nasconderla agli occhi della madre. Soppesò
l’idea, tentata, ma non faticò a rendersi conto
delle
pericolose
e
non
così
improbabili
eventualità che avrebbe potuto far saltare tutto.
Se Marie si fosse avvicinata troppo alla finestra
non avrebbe potuto non vederla; o, per un solo
movimento sbagliato, Ted, che sedeva accanto
a lei sul divano, avrebbe potuto accorgersi della
sua
presenza.
Probabilmente
Sospirò,
scuotendo
sarebbe
proprio
la
testa.
successo
qualcosa del genere, ma non poteva fare altro
ormai.
Le
fitte
lancinanti
alla
testa
le
impedivano di fare la cosa più intelligente, e
cioè tornare in camera sua e fingere di non aver
visto nulla. No, non aveva scelta.
Pancia a terra cominciò a strisciare dietro ai
vasi, stringendo i denti per evitare di gemere
dal dolore. Ogni volta che sentiva un rumore
sospetto si bloccava, ansiosa, e questo la
rallentava.
Tuttavia
riuscì
a
proseguire
inosservata fino a oltre la metà della finestra. E
fu allora che le cose cominciarono ad andare
male. Uno strano rumore la bloccò, mettendola
in allarme. Era come... come un suono di passi.
Si sentì morire. Tutta la sua sicurezza era
scomparsa e la paura la bloccava sul posto,
incapace
di
reagire.
Qualcuno
si
stava
avvicinando alla finestra. E quel qualcuno,
chiunque fosse, l’avrebbe inevitabilmente vista.
Rimase
incollata
al
suolo
ad
aspettare,
terrorizzata. Mai come in quel momento era
stata così spaventata. I secondi si trascinavano
lenti, inesorabili, e l’unico rumore che ormai
riusciva a sentire era il rimbombante battito del
suo cuore.
Ti prego, ti prego, ti prego, non avvicinarti, non
guardare giù! Ti prego non avvicinarti… Ti
prego…
“Marie, cosa stai facendo?”
“Oh caro, sei tu, mi hai spaventata. Non sto
facendo niente, voglio solo mettere dentro le
piante. Ho sentito che stanotte farà freddo,
molto più del solito, e non voglio che si
rovinino. Il problema è che oggi, con tutto quel
trambusto, me ne sono dimenticata.”
“Non ti fa bene stare al freddo, lo sai. Sei stanca
e devi andare a riposarti. Per una sera le tue
piante sopravviveranno.”
“Ma…”
“Niente ma Marie, nelle tue condizioni hai
bisogno
di
riposo.
E
tu
sei
molto
più
importante di un paio di piante.”
Marie esitò un po’ prima di assecondarlo,
rassegnata.
“Hai ragione. Vorrà dire che andrò a riposare
un po’.”
Per Katie quello fu il segno che poteva tornare a
respirare. Sentiva la testa leggera e il cuore che
continuava a martellarle nel petto, ricordandole
quanto era andata vicina a farsi scoprire. Se suo
padre non fosse intervenuto, tutto quello che
aveva affrontato fino a quel momento non
sarebbe servito a nulla. Se la fortuna non
l’avesse assistita adesso si sarebbe trovata in un
mare di guai, eppure non era successo. Dopo
aver superato tutti gli ostacoli che le si erano
parati davanti, ora poteva continuare. Ci era
vicina ormai. Mancava ancora poco.
Cautamente cominciò ad inoltrarsi tra gli
alberi, agitata. Aveva una strana sensazione, una
sensazione talmente opprimente che quasi le
toglieva il respiro. Non riusciva a capire cosa
fosse, cosa potesse farla sentire così tesa. Scosse
la testa, sorridendo nervosamente. Si stava
agitando per nulla. Avrebbe dovuto restare
calma, mantenere il sangue freddo... Si voltò di
scatto, spaventata da un rumore alle sue spalle.
Ma nonostante li osservasse con un’attenzione
quasi maniacale, nei cespugli dietro di lei non
c’era nessuno.
Andiamo Katie, non perdere la testa, non c’è
niente di cui aver paura. Conosci questo posto
come le tue tasche, non c’è nessun problema...
Ma allora perchè non riesco a smettere di
tremare?
Si fermò, incerta, continuando a scrutarsi
attorno, le braccia tremanti strette al petto.
Cominciava davvero ad avere paura, adesso.
Nonostante tutta quella luce era spaventata,
terrorizzata. Avrebbe solamente voluto tornare
indietro, tornare nella sua stanza, nel caldo
abbraccio del suo letto... Eppure una strana
forza
la
teneva
legata
a
quel
bosco,
impedendole di voltarsi e correre, correre
verso la sicurezza della sua casa, della sua
famiglia. Solo adesso sentiva quello che non era
riuscita a capire quando ancora era in tempo.
Dentro di
sè sentiva che quello che stava per accadere
avrebbe cambiato la sua vita per sempre, e
nonostante una parte di lei lo desiderasse da
una vita, un’altra parte gli si opponeva con tutte
le forze che aveva. Quel conflitto era insanabile
e doloroso. Katie non riusciva a contenere quel
furioso combattimento e soffriva in silenzio,
una
lacrima
dopo
l’altra,
svuotandosi
lentamente di ogni pensiero. Sarebbe stato più
facile, così. Se avesse smesso di pensare,
sarebbe stata finalmente in pace.
Aprì gli occhi, sentendo qualcosa di caldo
sfiorarle il braccio. Attraverso le lacrime vide
un fascio di luce prenderle la mano, tirandola
dolcemente
dietro
di
sè.
Era
una
strana
sensazione, dolce e confortante allo stesso
tempo. Katie si lasciò guidare, confusa e stanca.
Non si sarebbe opposta, non ne aveva motivo.
Seguì la sua guida attraverso gli alberi, in un
viaggio che sembrava dover essere eterno,
sospesa in quel limbo, fino a quando non
arrivarono al suo lago. E quando lo vide la
ragazza restò a bocca aperta.
Quel
posto,
così
pieno
di
ricordi
e
di
indimenticabili momenti, risplendeva in una
confusione di luce che faceva diventare il
mondo un’immensa giostra dorata. L’acqua e
gli alberi rilucevano dei colori dell’arcobaleno e
quella luce raggiungeva anche i più lontani
confini del bosco. Ogni cosa, persino la più
insignificante erbetta, sembrava coperta di oro.
La
luminosità
era
così
forte
che
Katie,
abbagliata, ormai vedeva tutto a pallini. Era uno
spettacolo magnifico, unico. Magico.
E proprio davanti a quello splendore, tutto in
lei
svanì.
La
delusione,
la
tristezza,
la
confusione, di tutto questo non rimase più
nulla. Il suo corpo era vuoto, manovrato da
qualcosa di molto più forte di lei, qualcosa che
sembrava
antico
quanto
il
mondo
stesso,
qualcosa di cui però stranamente lei non aveva
paura. Era quasi come se conoscesse quella
presenza, come se non fosse la prima volta che
la sentiva accanto a sé, a vegliare su di lei…
E
poi,
improvvisamente,
cominciarono
a
muoversi
le
sue
gambe
da
sole,
prima
barcollanti e poi sempre più sicure. Il suo corpo
cominciò ad immergersi nell’acqua, un passo
dopo l’altro, fino ad esserne completamente
sommerso. Sotto la sua superficie nulla riusciva
a raggiungerla, nessun rumore, nessun pensiero
e la luce permeava tutto il lago con una tale
energia da rendere tiepida l’acqua prima gelida.
La ragazza restò lì, immobile, ogni suo senso
inibito e soppresso. Le sue emozioni non
potevano rischiare di rovinare quell’evento, un
evento che il destino aveva deciso già da molto
tempo. Un evento che avrebbe segnato per
sempre la sua strada.
Dal fondale, lentamente, qualcosa cominciò a
salire, attirando quella luminosità come una
calamita,
risucchiandola
Quell’oggetto
si
dentro
elevava
di
sempre
sè.
più,
avvicinandosi cautamente a lei, sospesa in
quell’acqua,
sospesa
in
quell’attimo
senza
tempo. E quando quel globo di luce le fu
davanti, lei allungò una mano. Non appena le
sue dita lo sfiorarono l’energia che vi era
racchiusa si sprigionò, investendo tutto ciò che
trovava sul suo cammino. Veloce come era
iniziato, all’improvviso il bagliore si spense e
Katie si ritrovò, al buio, nell’acqua ormai gelida
del lago.
CAPITOLO 3
Marie era immobile, distesa sul letto. Si
sentiva esausta, spossata, ma nonostante questo
non
riusciva
Qualcosa
la
ancora
a
turbava,
prendere
sonno.
un’immagine
che
continuamente riaffiorava alla sua memoria. Il
ricordo di un leggero, quasi impercettibile,
movimento dietro la finestra del soggiorno.
Si girò su un lato, sospirando. Forse si stava
solo
immaginando
tutto,
o
forse
più
semplicemente aveva solamente intravisto un
animale selvatico, uno dei tanti che giravano
nelle vicinanze. Ma allora perché non riusciva a
liberarsi
di
quell’inquietudine,
quell’angosciante
sensazione
di
di
panico?
Qualcosa di indefinito le pesava sul petto,
opprimendola,
e
nonostante
i
suoi
sforzi
ancora non era riuscita a capire cosa la turbasse
tanto. Quell’orribile sensazione le ricordava di
quando, tanti anni prima, Lucas sgattaiolava
fuori di casa, della preoccupazione che…
Si bloccò, raggelata. No, non poteva essere, era
ridicolo anche solo il pensarlo. Katie non
sarebbe mai uscita così di soppiatto, non era nel
suo carattere. Non che Lucas fosse un ribelle,
no di certo, era solo che la sua indole era
estremamente
curiosa,
e
difficilmente
sopportava di stare chiuso in casa per troppo
tempo. Con Katie era diverso, eppure quella
terribile sensazione, quell’ansia, era proprio la
stessa di tanti anni prima.
Marie si rigirò di nuovo nel letto, sempre più
agitata. Ora stava davvero esagerando, dubitare
di sua figlia! Una ragazza dolce, vivace certo, ma
nonostante questo sempre ubbidiente. Come
poteva all’improvviso non fidarsi più di lei?
Eppure una semplice, veloce, controllata, non
le avrebbe portato via che qualche minuto… Si
torse le mani, incerta, distesa sul letto a fissare il
soffitto.
Più
cercava
di
allontanarla,
più
quell’idea si insinuava con forza nella sua
mente. Solo una rapida occhiata, solo qualche
secondo di incertezza. Quando poi avrebbe
visto un piccolo, addormentato fagotto sotto le
coperte, avrebbe potuto ridere delle sue inutili
preoccupazioni.
Si trovò così davanti alla porta della stanza di
Katie prima ancora di rendersi conto di aver
preso quella decisione. Poi, un po’ tremando, la
sua mano si posò sulla vecchia maniglia,
abbassandola. E la porta si aprì.
Un’improvvisa folata di aria gelida la avvolse.
Marie rabbrividì, sorpresa da quel freddo
inaspettato, e il suo sguardo si posò sulla
finestra spalancata. Il gelo che aveva ormai
invaso la stanza proveniva da lì, così come da lì
arrivava anche la debole luce lunare che
rischiarava lievemente le figure avvolte dal
buio. E a quella luce, Marie ebbe la conferma ai
suoi peggiori dubbi. Il letto di Katie era vuoto,
freddo. E lei era sparita.
*
Correvano
veloce,
troppo
veloce.
Frasi
concitate si inseguivano nell’auto, ma la piccola
adagiata sul sedile non vi badava. La sua
attenzione era completamente assorbita da
quelle macchie confuse che scivolavano fuori
dal
finestrino,
troppo
veloci
per
poter
assumere una forma precisa. Lei allungava le
braccia,
ridacchiando
felice,
cercando
di
afferrarle con le sue piccole manine, mettendo
in quell’impresa tutta la sua concentrazione…
Ma all’improvviso tutto si fece scuro. La
bambina cominciò a spaventarsi, mentre le
lacrime
cominciavano
a
rigarle
il
viso.
Avvertiva un’ombra scura che si avvicinava,
silenziosa…
Sua madre urlò, terrorizzata. Suo padre diede
gas all’accelleratore, ma l’ombra continua ad
avanzare,
imperterrita,
perversamente
dei
loro
divertendosi
vani
tentativi,
divertendosi a vederli fuggire nell’eccitazione
della caccia. E ormai li aveva quasi raggiunti.
Non avrebbero potuto sfuggirgli, ormai era lì,
accanto a lei...
Katie si svegliò, urlando. Anche lì il buio
dominava, come nel suo sogno… Rabbrividì al
pensiero e strinse le braccia attorno alle
ginocchia, tremando. Non era la prima volta
che sognava l’incidente ma non aveva mai
ricordato così vividamente, con così tanti
particolari e con l’ombra. Un’ombra che non
aveva mai visto, che li voleva, che li cacciava…
Chiuse gli occhi, respirando a fondo. Ondate di
panico la tormentavano, togliendole il respiro.
Era come essere ancora lì… come rivivere tutto
un’altra volta.
Rabbrividì di nuovo. Faceva freddo, troppo
freddo in effetti. Si strinse la manica della
maglia, confusa, e un rivolo di acqua le scivolò
lungo la mano. Alzò le braccia, sentendole
deboli
e
pesanti.
Come
poteva
essere
completamente bagnata? I vestiti, i capelli, ogni
cosa grondava acqua. Eppure lei non ricordava
nulla, non riusciva proprio a ricordare….
Scosse la testa, sempre più disorientata, ma non
appena il suo sguardo si posò sulle acque scure
del
lago,
improvvisamente
i
ricordi
cominciarono lentamente a riemergere. La luce
nel
bosco,
quello
strano
oggetto,
tutta
quell’acqua… E poi buio, nient’altro.
Katie si strinse la testa tra le mani, confusa,
cercando ancora di ricordare, di riprendere gli
ultimi pezzi di quel folle puzzle, ma nonostante
i suoi sforzi non ci riusciva. Nella sua memoria
non c’erano altro che attimi bui. La ragazza
diede un ultimo sguardo attorno, a disagio.
Sentiva che qualcosa non andava, che mancava
un pezzo importante…
Gemette, esasperata, quando la testa ricominciò
a girarle. Doveva riflettere. C’entrava l’acqua,
ne era certa... E finalmente il particolare che
fino a quel momento le era sfuggito le tornò
alla mente. Si guardò attorno, sempre più
spaventata. Non era un caso che non ricordasse
nulla. Come poteva, se era svenuta in acqua ed
era rimasta priva di conoscenza? Ma allora
come aveva potuto essersi svegliata all’asciutto?
Rabbrividì di nuovo, a disagio. Tutta quella
storia non aveva il minimo senso. Svenuta lei
non avrebbe avuto alcuna possibilità di uscire
viva
da
quelle
acque.
No,
non
era
sola.
Qualcuno doveva averla seguita attraverso il
bosco e averla tirata fuori dal lago quando lei
aveva perso conoscenza. Qualcuno le aveva
salvato la vita, ma chi?
Si voltò, preoccupata, cercando una figura tra
gli alberi, cercando un segno qualunque, ma
non vide nulla. Non c’era nessuno lì, che le
chiedesse
perché
a
quell’ora
avesse
improvvisamente deciso di farsi un bagno,
nessuno che l’avrebbe riaccompagnata a casa
per assicurarsi che stesse bene. Lei era sola e
questo la spaventava.
Prese un profondo respiro, cercando di alzarsi,
barcollante.
Stava
bene.
Nonostante
tutto
quello che era successo, incluso il fatto che era
quasi
annegata,
stava
bene.
Solo
un
po’
ammaccata, ma niente di che. E…
Si immobilizzò, tesa, quando si accorse di un
lieve
bagliore
vicino
ai
suoi
piedi.
C’era
qualcosa, a terra. Katie deglutì nervosamente,
guardandosi di nuovo attorno prima di chinarsi
a raccoglierlo. Come era finito lì, accanto a lei?
Non
poteva
essere
una
coincidenza.
Che
l’avesse portato il suo ignoto salvatore? Doveva
essere così, senza dubbio. Non ricordava di aver
preso niente in acqua e l’unica cosa che aveva
toccato era stata quella strana luce, ma non
poteva essere quella. Ciò che aveva in mano,
qualunque cosa fosse, era reale, duro e freddo
metallo.
Strinse
gli
occhi
cercando,
al
buio,
di
distinguere che cosa potesse essere. Aveva una
forma insolita, che lei non conosceva, e…
Rimase a bocca aperta. Le nuvole, infatti, si
erano
momentaneamente
consentendo
alla
luna
di
diradate,
rischiarare
leggermente l’oscurità. E consentendo a lei di
riconoscere
l’oggetto
nella
sua
mano.
Un
orologio da taschino. In mano teneva un dorato
e lucente orologio da taschino. La sorpresa la
immobilizzò, sconcertata, e improvvisamente
le venne una gran voglia di ridere. Un orologio.
Scosse la testa, ridendo di sè stessa e del suo
comportamento.
Si
era
immaginata
strani
oggetti, ma quello senza dubbio superava tutte
le sue aspettative.
Continuò a sorridere, ripensando all’inutile
paura che aveva avuto, ma a quel pensiero le fu
sempre più difficile cercare di non ricordare.
Tutto quello che era successo, tutto quello che
sarebbe successo una volta tornata a casa,
infatti, la opprimevano, togliendole quasi il
respiro. Cercava di non pensarci, ma non
riusciva a credere di averlo fatto, di essere
fuggita in quel modo, di aver deluso i suoi
genitori. Sentiva tutto il peso di ciò che aveva
fatto sulle proprie spalle e non sapeva se era
abbastanza forte da riuscire a sopportarlo, non
sapeva se ce l’avrebbe fatta...
Gemette, accasciandosi a terra. Non avrebbe
dovuto essere lì, non avrebbe mai dovuto uscire
di casa. Era stato uno stupido errore e sentiva
che le conseguenze di quell’unico sbaglio
sarebbero state disastrose. Cosa aveva fatto…
Scosse la testa, cercando di non pensarci.
Inutilmente. Il rimorso la tormentava, senza
concederle un attimo di respiro. Rabbrividì,
infreddolita, sentendosi sempre più debole.
Non poteva continuare così, non avrebbe
resistito ancora a lungo. Doveva tornare a casa e
in
fretta,
ma
prima
doveva
liberarsi
di
quell’orologio. Chiuse gli occhi, irritata al solo
pensiero di ciò che aveva in mano. Non lo
avrebbe portato con sé, d’altronde non avrebbe
potuto spiegarne la presenza ai genitori. E poi
non
lo
voleva
nemmeno,
soprattutto
se
ripensava a tutto quello che aveva passato per
ottenerlo. No, doveva sparire.
Si
incamminò
lentamente
verso
il
lago,
indecisa. Sapeva che buttarlo in acqua era la
soluzione migliore, ma sembrava che qualcosa
la trattenesse, che qualcosa la tenesse legata a
quell’oggetto.
Era
come
un
istinto,
una
sensazione. Non aveva mai provato una cosa
del genere, ma era qualcosa di intenso, tanto da
farla affondare impotente nella frustrazione.
Possibile che non riuscisse a disfarsene? Quel
maledetto orologio era la causa di tutto quello
che
era
successo:
per
ottenerlo
era
stata
costretta praticamente con la forza a scappare
da casa sua, a rischiare la vita per venire tra
quegli alberi e tutto senza un motivo valido. Lo
fissò, infuriata e impotente allo stesso tempo.
Voleva solo farlo sparire ma sapeva che non
avrebbe potuto, che non ci sarebbe riuscita e
per questo lo odiava. Qualunque cosa la stesse
tenendo in scacco non voleva che lei facesse
qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. Perché,
anche se si rifiutava di ammetterlo, lei era
attratta, attratta da quei quadranti dorati e
affascinata dal mistero che si celava sotto
quell’innocua
apparenza.
Sentiva,
istintivamente, che non era tutto lì, che quella
che stava vedendo era solo una facciata e che
dietro c’era molto altro, molto di più. In ogni
caso, comunque, il problema rimaneva, perché
i suoi genitori non avrebbe mai dovuto venire a
sapere della sua esistenza. E così lei era di
nuovo al punto di partenza.
Sospirò, rassegnata, cercando di trovare una
qualche scappatoia. E proprio allora sentì un
rumore. Si voltò di scatto, tesa. Era stato un
rumore così lieve, così impercettibile, che non
se ne era quasi accorta eppure lo aveva sentito.
Scrutò attentamente nel buio, ma ancora una
volta non vide nessuno. Niente si muoveva e
tutto attorno a lei era silenzioso e immobile,
come
se
ogni
cosa
si
fosse
fermata
nel
momento in cui, in acqua, aveva toccato quella
luce. Scosse la testa. No, sicuramente era solo
una
sua
impressione.
Eppure,
nonostante
questo, non potè impedirsi di gettare uno
sguardo inquieto al lago alle sue spalle. E fu
allora che capì dove poter tenere l’orologio al
sicuro. L’illuminazione le venne all’improvviso
ed era così semplice che si stupiva che non le
fosse venuto in mente prima. In fondo, non era
così complicato. La riva era piuttosto spoglia,
ma c’erano dei folti cespugli che spuntavano
qua e là, cespugli abbastanza grandi da poter
tenere comodamente nascosto dentro di sé un
piccolo oggetto come un orologio.
Sorrise
mentre,
inginocchiata
a
terra,
lo
nascondeva tra gli arbusti. Nessuno avrebbe
mai pensato di cercarlo lì, nessuno a parte lei,
ovviamente. Sarebbe stato al sicuro e, con un
po’
di
fortuna,
lei
avrebbe
potuto
dimenticarsene.
Si rialzò, ancora un po’ incerta sulle gambe.
Adesso, finalmente, poteva tornare a casa. Una
smorfia comparve sul suo viso all’idea di ciò
che avrebbe trovato ad aspettarla. Sapeva che i
suoi genitori sarebbero stati ancora alzati,
preoccupati
per
quella
sua
improvvisa
sparizione, in pena per la sua salute. Vedeva,
nitido nella sua mente, Ted andare avanti e
indietro, una cosa che faceva spesso quando
qualcosa lo turbava. E sua madre… Una fitta al
cuore la trafisse quando quel pensiero le affiorò
alla mente. Marie aveva bisogno di restare
tranquilla, di non agitarsi e tutto quell’affanno,
quella preoccupazione per lei sarebbero stati un
colpo
tremendo per la sua salute. I sintomi che aveva
mostrato
quella
sera
avrebbero
potuto
aggravarsi, avrebbe potuto sentirsi male e
sarebbe stata solo colpa sua…
Scosse la testa, mentre quell’ipotesi le toglieva il
respiro. No, non ne sopportava neanche il
pensiero, non avrebbe mai permesso che
accadesse una cosa del genere. Si prese la testa
tra le mani, furiosa con sé stessa. Non riusciva,
adesso, a capire come aveva potuto farle una
cosa del genere. Come aveva potuto essere così
cieca, così egoista, da non ricordarsi delle sue
delicate condizioni di salute? Come aveva fatto
a non capire che quella fuga l’avrebbe fatta
preoccupare, che l’avrebbe messa a rischio….
Come aveva potuto? Era stata una stupida e
adesso non le restava altro che sperare di essere
ancora in tempo per sistemare le cose.
Si voltò verso casa, cercando di camminare
velocemente. Voleva fare in fretta, recuperare il
tempo perso, ma non appena superò la prima
schiera di alberi la testa cominciò a girarle,
mentre
la
vista
le
si
offuscava.
Barcollò,
rischiando di cadere di nuovo a terra, e si
appoggiò ad un albero per sostenersi. Rimase
immobile per un po’, aspettando di riprendersi.
Solo quando si sentì sicura riaprì gli occhi, ma
proprio allora il terrore cominciò ad inondarla,
impedendole di respirare. Si guardò attorno,
confusa, spaventata, ma nonostante si sforzasse
non riusciva più a ricordare da che parte
doveva
andare,
quale
direzione
dovesse
prendere per tornare a casa. Si era persa.
Gemette,
furiosa.
Non
poteva
essersi
dimenticata la strada, non in quel momento,
non quando Marie aveva più bisogno di lei.
Imprecò sottovoce, i pugni stretti, odiandosi
per la sua debolezza. Sembrava non essere
abbastanza forte per aiutare sua madre, per
proteggerla… Forse Lucas aveva ragione, in
fondo, forse lei non sapeva badare nemmeno a
sé stessa. Ricordava bene quando glielo aveva
ripetuto di nuovo, appena prima di partire…
“Non mi stancherò mai di dirtelo, Katie, ma fai
attenzione, d’accordo? Non si sa mai cosa può
succedere e non voglio che tu mi faccia stare in
pensiero.”
“Andiamo, Lucas, cosa vuoi che succeda? Io
sono grande, ormai, e poi tanto qui non succede
mai niente.”
Lui aveva scosso la testa, i corti capelli biondi
che scintillavano al sole.
“No, tu sei ancora una bambina. Mancano
ancora
molti
anni
prima
che
tu
possa
considerarti grande, Katie, e fino a quando non
sarai in grado di difenderti da sola devi
promettermi di fare molta attenzione. Tu
ancora non sai com’è veramente il mondo, ma
è molto diverso da come te lo immagini.”
Lei
lo
aveva
fissato,
i
grandi
occhioni
spalancati. Era ancora così piccola, allora…
“Perché dici queste cose? E poi perché devi
andare via? La mamma e io abbiamo bisogno
del fratellone.”
Lucas le aveva sorriso, abbracciandola stretta.
“Sai bene che mi mancherete tantissimo, ma
devo andare via. Sono sicuro che quando sarai
più grande capirai e riuscirai a comprendere il
motivo della mia decisione, Katie. Ma ricordati,
se succede qualcosa devi andare subito da papà,
hai capito? Corri da lui, più veloce del vento. E
se ce ne sarà bisogno tornerò subito, perché
non voglio che succeda qualcosa alla mia
sorellina.
Su,
adesso
vai
dalla
mamma
e
ricordati. Vi vorrò sempre bene, ovunque sarò.
Voi siete la cosa più importante per me, lo sai
vero?”
Lei
aveva
annuito,
mentre
le
lacrime
cominciavano a scenderle sulle guance. Eppure,
nonostante tutte quelle promesse, Lucas non
era mai tornato da lei. Da tempo non aveva più
sue notizie e da anni non rivedeva più il volto
solare del suo fratellone. Sembrava scomparso
nel nulla, sparito senza lasciare traccia. Aveva
pianto molte notti, per lui, notti insonni nelle
quali mille dubbi si erano insinuati nella sua
mente. Ancora adesso sentiva così tanto la sua
mancanza…
Scosse la testa, cercando di scacciare le lacrime,
ma
non
appena
riaprì
gli
occhi
avvertì
qualcosa, qualcosa che la immobilizzò sul
posto, qualcosa che riuscì, per un istante, a
fermare il battito del suo cuore. Un fruscio di
foglie, dei tonfi sempre più forti e sempre più
vicini. Katie si voltò di scatto, spaventata. Stava
arrivando qualcosa, qualcosa di grosso… E
all’improvviso una sagoma bianca si lanciò su
di lei, buttandola a terra con il suo peso. La
ragazza urlò, terrorizzata, ma la belva feroce
non se ne preoccupò, continuando indisturbata
a leccarle la faccia. E solo allora la luce della
luna, filtrando da dietro le nuvole, le permise di
vedere che quell’essere altri non era che il loro
cane.
“Whitly??”
Whitly abbaiò, cercando con il muso di aiutarla
a tirarsi su. Katie si alzò, incerta sulle gambe,
fissando sconcertata il suo aggressore. Cosa
diamine ci faceva lì? Avrebbe dovuto essere a
casa e…
Si bloccò all’improvviso, fissando il vuoto,
folgorata da quel pensiero. Ma certo! Se Whitly
veniva da casa allora avrebbe anche potuto
riportarcela. Era una speranza tenue, ne era
consapevole,
ma
ci
si
aggrappò.
Forse
seguendolo sarebbe riuscita ad uscire dal bosco
e a tornare dai suoi genitori, forse sarebbe stata
ancora in tempo per evitare che Marie… Scosse
la testa, scacciando quel pensiero. No, non
voleva pensarci. Il suo sguardo vagò tra gli
alberi, tormentato, per poi posarsi su Whitly.
La ragazza lo fissò, dubbiosa. C’era qualcosa di
strano, lo sentiva, ma non riusciva a capire
bene cosa. Certo era che quell’incontro era
davvero
incredibile, tanto incredibile da non sembrare
neppure vero. Era come se il cane avesse
avvertito che lei era nei guai e fosse corso ad
aiutarla.
C’erano
state
troppe
coincidenze
quella sera…
Sussultò quando Whitly cominciò a tirarle la
manica, ma poi lo seguì mentre la guidava tra
gli alberi, certo della direzione. La ragazza
barcollò,
cercando
di
stargli
dietro
e
contemporaneamente di mantenere il suo già
precario
equilibrio
senza
inciampare.
Non
aveva paura, non più. Si fidava di Whitly,
sapeva che l’avrebbe portata al sicuro e questo
la confortava. L’unico spiraglio di luce, in quella
notte così buia. Lo seguì nell’oscurità degli
alberi, gettando stancamente un ultimo sguardo
dietro di sé prima di sparire nelle tenebre.
Ma non appena le due figure scomparvero
nella foresta qualcosa si mosse, tra il fogliame.
Nascosti
nell’oscurità,
due
occhi
gialli
osservarono attentamente i vari cespugli lungo
la riva, soffermandosi particolarmente su uno
solo di essi... Un sorriso brillò nel buio, e poi
svanì.
Nel
bosco,
intanto,
Katie
continuava
ad
avanzare, tremando come una foglia. Il vento
aveva cominciato ad alzarsi e il freddo della
notte stava congelando i suoi vestiti bagnati,
strappandole
continui
brividi.
Ogni
passo
durava un’eternità, ogni albero le sembrava
identico a quello precedente. Tutto attorno a lei
le sembrava uguale a ciò che aveva appena
lasciato. Non aveva più né la percezione del
tempo né il suo labile senso dell’orientamento.
Si limitava ad affidarsi a Whitly, che continuava
deciso a tirarla per la manica, lasciandosi
condurre senza opporre resistenza. Sapeva,
però, che non avrebbe potuto continuare così
ancora per molto. I suoi piedi erano sempre
più goffi, le sue gambe sempre più pesanti. In
quel momento, la vera tortura era dover
resistere alla tentazione del caldo abbraccio del
sonno, ma sapeva che se si fosse addormentata
sarebbe stata la fine. Una volta caduta tra le
braccia di Morfeo niente avrebbe più potuto
svegliarla e il freddo di quella notte avrebbe
fatto in modo che lei non potesse mai più
riaprire gli occhi. Ne era consapevole e per
questo
resisteva,
stringendo
i
denti,
imponendosi ogni volta di mettere un piede
davanti all’altro, di non fermarsi finchè non
fosse arrivata davanti alla porta della sua casa,
finchè non si fosse accertata delle condizioni di
Marie. Fu questo pensiero a darle la forza di
andare avanti. Fu questo a spronarla a non
mollare, a ricordarle perché aveva resistito così
a lungo. La morte voleva già allungare le mani
su sua madre, ma lei non le avrebbe permesso
di prendere né lei quella sera né Marie in
futuro. Avrebbe lottato fino all’ultimo, questo
era certo.
Tuttavia dovette raccogliere tutto il coraggio
che aveva, per continuare. Ogni minuto era un
lungo, interminabile momento di dolore, ma
alla fine la sua tenacia fu ripagata. Le pareti
bianche, le finestre illuminate, la grande porta
in legno comparvero davanti a lei. Quella era
casa sua, la sua meta, ma proprio quando era
quasi arrivata si rese conto di non avere più la
forza di continuare. Rimase lì, immobile,
fissando disperatamente quella porta, la sua
unica salvezza. E chiedendosi quanto ancora
avrebbe potuto resistere prima di crollare.
La testa cominciò di nuovo a girarle e i continui
latrati di Whitly la trafiggevano come lame
incandescenti. Non riusciva a capire perché
dovesse fare tutto quel rumore, perché non la
smettesse di torturarla dopo tutto quello che
aveva passato, ma improvvisamente divenne
silenzioso e stranamente tranquillo. Katie lo
fissò, confusa. E poi sentì. Un armeggiare dietro
la porta, voci preoccupate e finalmente Katie
potè rivedere i suoi genitori, sani e salvi davanti
a lei. Il sollievo che provò in quel momento fu
quale non ne aveva mai provato prima. Ora era
davvero al sicuro. Tuttavia… Gettò uno sguardo
a Marie, preoccupata, cercando di accertarsi se
stesse bene. Non sembrava ci fosse nulla di
strano. Era molto pallida, ma era diventata una
cosa normale, ormai. E per il resto sembrava
davvero tutto a posto.
La ragazza sospirò di sollievo, abbandonando
finalmente
la
tensione,
la
paura
e
la
preoccupazione che l’avevano tormentata per
tutto il tragitto. Erano al sicuro, erano tutti al
sicuro. Eppure non era ancora finita. Leggeva
facilmente la preoccupazione sui volti dei suoi
genitori, sapeva che il suo comportamento
irresponsabile li aveva tormentati a lungo.
Neanche lei, ora, guardandosi indietro, riusciva
a trovare validi i motivi che l’avevano spinta
fuori dalla finestra. La luce, l’orologio, erano
ormai talmente lontani che le apparivano
irreali, quasi un sogno. O un incubo.
“Katie,
sei
tutta
bagnata!
Mio
Dio,
stai
tremando… Vieni dentro, al caldo, che ti
preparo una tazza di the…”
Katie li lasciò affaccendarsi attorno a lei,
assente, quasi inconsapevole di ciò che stava
succedendo. Si sentiva come in una sorta di
limbo, in cui la sua mente galleggiava senza
pensieri, senza preoccupazioni… Si riscosse
all’improvviso quando la madre le sorrise,
rimboccandole i tre strati di coperte sotto cui
l’aveva sepolta.
“Katie, oggi ci hai fatto proprio preoccupare,
ero tanto in pensiero… Ma l’importante è che tu
sia tornata e stia bene. Be’, non contando il fatto
che ti sei quasi congelata.”
Katie fece una debole risatina, troppo stanca
per ribattere o assecondarla. Sentiva già gli
occhi chiudersi, ma doveva dirlo, doveva
trovare la forza per un ultimo sussurro…
“Mi… dispiace…”
La
madre
scosse
la
testa,
baciandola
teneramente sulla fronte.
“Non fa niente, piccola mia. Adesso dormi.
Domani è un altro giorno.”
Ma la ragazza non la stava più ascoltando. Si era
addormentata già alle prime parole. Senza fare
rumore, Marie si alzò dal letto e sgusciò fuori
dalla stanza. Ad aspettarla c’era Ted.
“Come sta?”
“Meglio, adesso sta dormendo. Si è presa un bel
po’ di freddo, ma penso che si rimetterà presto.
Però sono molto preoccupata. Dov’è stata? E’
tornata bagnata fradicia, infreddolita e… Oh,
volevo chiederglielo, ho provato ma era così
stanca e stravolta e io…”
Il
marito
la
interruppe
dolcemente,
prendendole delicatamente il viso tra le mani.
“Stai tranquilla cara. Domani è un altro giorno.
Domani Katie starà meglio e ci racconterà cosa
è successo. Dobbiamo solo avere pazienza e
fiducia.”
Lei chiuse gli occhi, stanca. Poi, con un sospiro,
gli sorrise.
“Hai ragione. Basta solo aspettare.”
E la lasciarono dormire. Ci sarebbe stato tempo
in seguito per le spiegazioni.
*
La luce forte del mattino filtrava attraverso le
tende. Katie strinse gli occhi, gemendo, e si
ritirò
sotto
le
coperte,
cercando
di
riaddormentarsi. Ma ormai era sveglia e la
possibilità di riprendere sonno svanita.
Sbadigliò, stiracchiandosi. Cominciava ad avere
caldo, sotto tutte quelle coperte, ma il pensiero
di quello che la aspettava di sotto bastava a
tenerla ancora a letto. Fece una smorfia al
ricordo della sera prima. I suoi genitori non le
avevano fatto domande, era vero, ma erano
turbati e molto preoccupati. Dopo aver avuto il
tempo di riprendersi dalla sorpresa e dopo aver
visto che lei stava meglio, sarebbero cominciate
le pressioni per sapere cosa fosse successo. E lei
cosa
avrebbe
dovuto
raccontare?
Che
era
scappata per inseguire una luce nel bosco, luce
che solo lei poteva vedere, e che era poi quasi
annegata per un orologio?
Gemette, tornando a rintanarsi sotto le coperte.
Non sarebbe mai più uscita da quella camera,
non aveva il coraggio di affrontarli. Eppure...
Scosse la testa, mentre il suo pensiero tornava
di nuovo a ciò che era successo al lago. Adesso
le sembrava tutto distante e irreale, ma era
successo veramente. Non aveva sognato, non
era stata un’illusione. Quella luce era vera, ne
aveva
persino
sentito
il
tocco,
caldo
e
confortante, sulla mano. Sospirò, osservando
amareggiata il cielo che riusciva ad intravedere
dalla finestra. Se ci ripensava le sembrava quasi
di sentire ancora il profumo di sua madre nella
stanza, proprio come quella sera…
Chiuse gli occhi, mentre un’insolita nostalgia la
soffocava, togliendole il respiro. Nonostante
quello che quel profumo l’aveva costretta a
fare, non riusciva a non sentirsi triste al
pensiero che non avrebbe più potuto sentirlo,
che non avrebbe più potuto avere quell’unico,
anche se labile, contatto con la sua vera madre.
I suoi veri genitori… Anche se non li aveva
praticamente mai conosciuti si sentiva legata a
loro, stretta da un invisibile filo che la legava al
passato.
Sentiva
che
quel
legame
era
importante, sentiva di dover proteggere ad ogni
costo quell’unico frammento che le rimaneva
della sua famiglia, anche se si trattava di restare
aggrappata solo ad un sogno. Era quello, tutto
ciò che le rimaneva, un sogno, così fragile da
poter
essere
spazzato
via
dai
venti
che
avrebbero imperversato nella sua vita. Un
sogno che a quanto sembrava le aveva mentito
per anni, fino a quella sera, quando finalmente
la verità era uscita allo scoperto.
La ragazza sospirò, stringendo a sé le coperte.
Perché dopo tanti anni? Perché fino ad allora
non aveva mai visto l’Ombra, non aveva mai
saputo la verità su quell’incidente? Non era una
cosa
che
avrebbe
dimenticato
facilmente,
anche se era ancora molto piccola. Le sarebbe
rimasto impresso nella mente, tormentandola
senza sosta. Ci sarebbe stato qualcosa, al posto
del vuoto che aveva avuto per sedici anni.
Che ci fosse quindi una connessione? Che in
qualche modo quello che era successo al lago
l’avesse influenzata, tanto da costringerla a
ricordare qualcosa che aveva volontariamente
rimosso?
Scosse la testa. No, non lo credeva probabile.
Anche se quello della luce era stato un evento
decisamente fuori dal comune, non lo era
abbastanza da smuovere ricordi nascosti così in
profondità. Eppure un legame doveva esserci,
doveva esistere una risposta, da qualche parte…
Si
tormentò
le
mani,
pensierosa.
Cos’era
successo di preciso? Ricordava bene di essere
entrata in acqua, di aver toccato la luce e poi di
aver sognato.
Scattò
a
sedere,
mentre
una
scarica
di
adrenalina la scuoteva dal suo torpore. Come
aveva fatto a non accorgersene, a non pensarci
prima? E se quello che aveva trovato nel lago,
quello che adesso giaceva nascosto sulla sua
riva, fosse la risposta che stava cercando? La
sera prima non ci aveva fatto molta attenzione,
non le era sembrato importante, ma se fosse
stata davvero quella la chiave di cui aveva
bisogno
per arrivare di nuovo a quel ricordo? Doveva
riviverlo, scoprire la verità su quello che era
successo, doveva riuscire a vedere il volto dei
suoi genitori almeno una volta. Lei doveva
vederli. Doveva.
Ma come poteva fare? Ted e Marie non
l’avrebbero lasciata uscire, non dopo quello che
era successo. D’altronde, ormai non avevano
più
motivo
di
crederle.
Scosse
la
testa,
amareggiata. Tutti quegli anni di fiducia, di
rispetto reciproco, tutto era andato in fumo in
una
sola
notte.
Come
avrebbe
fatto
a
riconquistare la loro stima in un giorno solo?
Non era possibile e scappare di nuovo era
assolutamente fuori discussione. Era proprio
per la sua prima fuga che adesso si trovava in
quel pasticcio e farlo un’altra volta avrebbe solo
peggiorato le cose, per non parlare dello
spavento che Marie si sarebbe presa… No, la
cosa migliore da fare era scendere e affrontarli.
Doveva dimostrare ai suoi genitori che era
dispiaciuta per ciò che era successo, doveva
mostrare loro che non intendeva sottrarsi alle
sue responsabilità.
Scese dal letto e si affrettò a cambiarsi prima
che
la
sua
delicatamente
determinazione
la
porta,
svanisse. Aprì
affacciandosi
sul
corridoio. Sembrava che non ci fosse nessuno.
Questo era insolito, in effetti, ma non ci fece
caso. Prese un bel respiro, sentendo il cuore
martellarle forte nel petto, e poi scese le scale,
pronta ad affrontare tutto quello che l’avrebbe
attesa di sotto. Tutto quello che l’avrebbe attesa,
ovvero nulla. La casa era silenziosa, troppo
silenziosa. La ragazza fece il giro di tutte le
stanze, ma non c’era traccia dei suoi genitori.
Tornò in soggiorno, preoccupata. Cosa poteva
essere successo per costringerli ad uscire senza
nemmeno avvertirla? Forse non ne avevano
avuto il tempo, forse Marie si era sentita male…
Cominciò a camminare in tondo, sempre più in
ansia. Forse i sintomi che sua madre aveva
mostrato quella sera si erano aggravati e Ted
aveva dovuto portarla all’ospedale. In quello
stesso momento poteva avere bisogno di lei, del
suo aiuto…
Scattò verso la porta, smaniosa di agire, ma non
appena la aprì uno strano rumore attirò la sua
attenzione. Le era familiare, sì, sembrava… il
rombo di un trattore. Si voltò verso i campi,
aguzzando gli occhi, cercando inutilmente di
scorgerne la sagoma nella leggera nebbiolina.
Adesso finalmente capiva perché la casa era
vuota quando si era svegliata.
Si sedette di schianto sui gradini dell’entrata,
sollevata. Marie stava bene, non c’era nulla di
cui preoccuparsi. Quella era una stagione
cruciale per il raccolto e probabilmente non
avevano
potuto
rimandare,
uscendo
e
lasciandola sola. Quel pensiero la colpì come un
fulmine. Lei era sola. Libera di agire.
L’immaginazione di Katie cominciò a correre a
briglia sciolta. Se si fosse sbrigata avrebbe
potuto andare e tornare prima che i suoi
genitori potessero accorgersi della sua assenza.
Si sarebbe fatta trovare barcollante, ancora un
po’
intontita
dal
sonno.
Loro
avrebbero
immaginato che si fosse appena svegliata. Non
avrebbero potuto sospettare nulla.
La ragazza si morse il labbro, tentata. Sembrava
una
buona
idea,
ma
era
assolutamente
rischiosa. Non sapendo a che ora Ted e Marie
fossero usciti di casa, lei non poteva sapere
quanto tempo aveva a disposizione. C’era la
possibilità, tutt’altro che remota, che tornassero
a casa e la trovassero vuota. E a quel punto
sarebbe stata la fine di tutto.
Chiuse gli occhi, combattuta, la testa tra le
mani. Tornare nel bosco significava rischiare
tutto ciò che aveva costruito in quegli anni.
Significava perdere la fiducia dei suoi genitori,
la loro stima e, forse, anche il loro affetto.
Una lacrima le scese lentamente lungo la
guancia. Non potevano chiederle questo. Ted e
Marie erano le persone più importanti della sua
vita.
Il
solo
pensare
di
perderli
era
insopportabile, doloroso oltre l’immaginabile.
In quella scommessa la posta in gioco era
troppo alta, eppure la tentazione rimaneva.
Senza
l’orologio
lei
non
avrebbe
potuto
conoscere la verità, rivedere i propri genitori.
Non avrebbe potuto vedere i loro volti, avere
un ricordo a cui aggrapparsi… Ma per avere solo
quel fugace momento con loro lei era costretta
a sacrificare l’amore di Ted e Marie, le persone
che l’avevano allevata come una figlia, che
erano lì, vive, accanto a lei…
Scosse la testa. Stava inseguendo dei fantasmi,
lo sapeva, ma il loro richiamo era così forte che
lei non riusciva a resistergli. La chiamavano, la
supplicavano. E lei non poteva fare altro che
rispondere.
*
Non era cambiato nulla, da quella notte. Il lago
era esattamente come lei lo aveva lasciato,
eppure era come se la magia che l’aveva
pervaso fosse sparita. Come se quelle acque
fossero tornate come erano sempre state. Come
dovevano essere.
Katie
sospirò,
appoggiata
ad
un
albero,
osservando la scena davanti a lei. Si sentiva
strana, in qualche modo, come se non fosse il
lago ad essere cambiato, ma lei. Aveva fatto il
celebre salto nel vuoto, eppure ancora non
sapeva se lo aveva fatto nella direzione giusta.
Nel suo inconscio sapeva che non sarebbe
potuta tornare
a casa così facilmente come sperava, ma in quel
momento non c’era nulla che glielo potesse far
presagire. Era al sicuro e sola, soprattutto.
Questa era l’unica cosa di cui era certa, eppure
si sbagliava. Non era sola, non lo era mai stata.
Da quella notte era sempre stata seguita dal
brillio di un paio di occhi gialli, occhi che la
osservavano, che la studiavano. Occhi che
erano dietro di lei proprio in quel momento,
nascosti nell’ombra, in attesa...
Ignara di tutto, Katie cominciò a incamminarsi
verso la riva, tranquilla. Non sapeva perché,
eppure sentiva di non avere fretta, di non avere
nulla
di
cui
preoccuparsi.
Come
se
quel
momento fosse solo e unicamente suo. Sua
madre, suo padre, tutto ciò che era successo la
notte prima, tutto passò in secondo piano non
appena i suoi occhi si poggiarono sull’orologio.
Era un piccolo capolavoro di oreficeria, unico,
Katie
ne
era
certa,
nel
suo
genere.
Era
composto da tre quadranti rotondi, con numeri
che potevano ruotare su supporti girevoli, e
aveva
grosso
modo
le
dimensioni
di
un
comune orologio da taschino. Tutt’attorno i
bordi e i pochi spazi liberi erano impreziositi
da cornici dorate che si intrecciavano in un
complicato arabesco. Due sottili linee argentate
correvano lungo i lati, congiungendosi sulla
sommità in un piccolo pulsante dorato, con
sopra inciso uno strano stemma.
Katie aguzzò lo sguardo, tentando di decifrare
quei piccolissimi simboli. Non riusciva a capire
cosa potesse significare, sembrava una fiamma,
o qualcosa del genere…. Alzò cautamente un
dito, indecisa se premere o no quello strano
disegno. La curiosità la stava divorando, ma
aveva paura di fare qualcosa di decisamente
sbagliato.
“Fossi in te non lo farei. Fidati, è davvero una
brutta, bruttissima idea.”
A quelle
parole
Katie
si
voltò
di
scatto,
spaventata. Il suo cuore si fermò per un
secondo e poi riprese a battere, impazzito. I
suoi occhi guizzarono da una parte all’altra,
eppure attorno a lei non c’era nessuno.
“Chi c’è? C’è qualcuno?”
Silenzio assoluto. La ragazza attese ancora, ma
nessuno rispose. Possibile che quella voce se la
fosse soltanto immaginata?
Scosse la testa. No, non se l’era immaginata e
non
stava
diventando
paranoica.
C’era
qualcuno tra gli alberi, qualcuno nascosto
nell’ombra. Qualcuno che l’aveva seguita fino a
lì.
Fu attraversata da un brivido. Chi poteva
essere?
E
pedinando?
soprattutto,
Non
c’era
perchè
alcun
la
stava
motivo
per
seguirla, lei non aveva nulla che…
Si bloccò, stordita, quando quel pensiero le fece
tornare alla mente quello che era successo il
pomeriggio prima, con Sophie. Con tutto
quello
che
era
successo
dopo
aveva
completamente dimenticato quella faccenda.
Sembrava lontanissima, come se fosse accaduta
non il giorno prima, ma mesi e mesi addietro.
Eppure quel giorno la zia era sembrata alla
ricerca di qualcosa, qualcosa che, a suo dire, era
lì, nel bosco. Che avesse solo sbagliato posto?
Che l’oggetto per il quale l’aveva minacciata
fosse proprio quello che adesso aveva lei in
mano?
Istintivamente
stringendosi
fece
un
l’orologio
passo
al
petto.
indietro,
Adesso
finalmente il comportamento di Sophie aveva
un senso. Tutti quei pezzi sparsi che non era
riuscita
a
riunire
in
quel
momento
le
apparivano chiari, incastonati perfettamente
l’uno con l’altro. Si guardò di nuovo attorno,
mentre
la
rabbia
verso
quella
donna
cominciava a sostituirsi alla paura. Sembrava
non esserci anima viva, lì attorno. Non c’era
nessuno, tranne uno strano gatto dagli occhi
gialli appollaiato su un ramo poco davanti.
Dove poteva essersi nascosta? Doveva essere lei,
ne era certa, eppure qualcosa ancora non
tornava. Scosse la testa, confusa. Ora che ci
pensava la voce che aveva sentito non era quella
di Sophie, non era neanche di una donna, in
realtà. Quella era una voce maschile, non
c’erano dubbi. Ma allora…
Chiuse gli occhi, pensierosa. La zia quindi non
c’entrava nulla in tutta quella storia. Non era lei
che la stava spiando, non era lei ad averla
seguita. A quel punto cominciava davvero a
pensare di essere impazzita. Forse era stata solo
la tensione a giocarle un brutto scherzo. In
fondo, perchè qualcun altro avrebbe dovuto
interessarsi a lei?
Si bloccò, lo sguardo assente. E invece un
motivo c’era. Qualcosa era successo.
La
sua
mano
sull’orologio.
si
strinse
Possibile
che
automaticamente
fosse
quello
il
motivo? Che chiunque ci fosse nascosto tra quei
cespugli lo volesse? Indietreggiò verso l’acqua,
agitata. Se teneva così tanto a quell’oggetto,
forse anche lui sapeva di cosa poteva essere
capace. Forse aveva persino osservato la scena
della notte prima, forse l’aveva seguita già
quella volta. E probabilmente era lo stesso
uomo che l’aveva tratta in salvo, tirandola fuori
dall’acqua.
Si guardò di nuovo attorno, agitata. Non aveva
alcun senso. Se davvero era stato lui a salvarla
perché non prenderle l’orologio mentre era
ancora svenuta? Perché decidere di aspettare
che fosse lei stessa a tornare a riprenderlo, per
poi tentare di portarglielo via? Sarebbe stato un
inutile spreco di tempo e non poteva prevedere
che proprio quel giorno lei avrebbe avuto
l’occasione di uscire di casa senza essere
fermata dai
suoi genitori. Avrebbe potuto aspettare per
settimane, senza che lei avesse potuto avere la
possibilità di tornare al lago. No, non aveva
alcun senso, e questo la spaventava.
Cominciò a indietreggiare, turbata. Doveva
tornare a casa il più in fretta possibile e…
Sussultò, terrorizzata, quando un rumore secco
dietro di lei la fece voltare di scatto. Nel girarsi,
però, l’orologio le cadde di mano, cadendo a
terra con un tonfo.
“Dovresti fare più attenzione, ragazzina, quello
non è un giocattolo da far cadere per terra
quando ti pare. È delicato. Ma ovviamente voi
umani non potete capire.”
E detto questo, improvvisamente il gatto, lo
stesso che lei aveva visto poco prima, balzò a
terra. Katie urlò dalla sorpresa, incespicando
nei suoi stessi piedi e cadendo a terra. Si mise
faticosamente a sedere, boccheggiante. Il gatto
era sempre lì, a fissare la sua espressione
scioccata con uno sguardo divertito e un grande
ghigno stampato sul muso.
“C-Come… come è possibile? Un… gatto?”
“Sì, un gatto. Scommetto che pensi di essere
impazzita,
vero?
Che
questa
sia
solo
un’allucinazione, un incubo, oppure chissà
cos’altro. Fate sempre così, alla fine diventate
monotoni.”
Lei lo fissò ad occhi spalancati, paralizzata dallo
stupore.
“Tu… tu non puoi parlare!”
Lui sbuffò.
“E perché no? Lo sto già facendo, comunque.
Su, cerca di riprendere fiato e di evitare di
guardarmi con quell’aria da pesce lesso. Sì, sono
un gatto che parla. Sì, in questo mondo dovrei
solo miagolare e fare chissà cos’altro, e invece
sono qui davanti a te a chiederti di non svenire
e di non urlare di nuovo. Hai due bei polmoni,
lo sapevi? Mi hai quasi perforato i timpani.”
La ragazza scosse la testa, confusa.
“Io… io non capisco. Cosa sta succedendo?”
“E’ una storia lunga, troppo lunga, e adesso non
ho il tempo di spiegartela. Ascoltami molto
attentamente, qui non sei al sicuro. Verranno a
cercarti e non devono trovarci ancora qui. Devo
portarti via al più presto. Dopo ieri sera ho il
terrore di quello che potrebbe succederti.”
Lei lo fissò, ancora più confusa.
“Ieri sera? Vuoi dire che sei stato tu a tirarmi
fuori dall’acqua? Eri tu?”
Lui sospirò, alzando gli occhi al cielo.
“E’ così importante per te saperlo? Comunque
sì, ero io. È mio compito proteggerti e non
potevo certo lasciarti annegare. E sono stato
sempre io a mandare il cane da te, per evitare
che ti perdessi e non riuscissi più a tornare a
casa prima di svenire congelata.”
“Mi stavi… seguendo?”
“Certamente.
Non
potevo
lasciarti
sola
nemmeno un secondo, altrimenti chissà cosa ti
sarebbe successo.”
“Quindi tu sai anche cos’è questo?”
Si chinò, prendendo l’orologio tra le mani e
mostrandoglielo. Quando lo vide sembrò…
emozionato e addolorato allo stesso tempo.
“Sì, so cos’è ma non è mio compito spiegartelo.
Però mi raccomando, tienilo stretto e non
lasciarlo mai. Tienilo sempre con te e non
cederlo a nessuno, per nessuna ragione.”
“E’ tanto importante?”
Lui annuì, distogliendo lo sguardo.
“Non sai nemmeno quanto. Dovrai fare molta
attenzione, Katie. Adesso che sei stata scelta, sei
diventata un facile bersaglio.”
La ragazza lo fissò, preoccupata.
“Un… un bersaglio? E per chi? E poi come fai a
sapere il mio nome? Sono sicura di non avertelo
detto.”
“Potrò anche parlare, ma resto pur sempre un
felino con un udito molto sviluppato, non
dimenticarlo. Ho ascoltato le conversazioni dei
tuoi genitori e ho sentito fare il tuo nome, ecco
come faccio a conoscerlo.”
“Ci hai spiati??”
“Ho dovuto. Dovevo essere costantemente
informato di ciò che facevi, o non avrei potuto
sorvegliarti in maniera efficiente.”
“Ma perché dovevi sorvegliarmi? Io non ho idea
di cosa stia succedendo!”
“Lo so, ma capirai tutto appena saremo andati
in un posto più sicuro. Non…”
Si bloccò a metà frase, preoccupato. Dopo
appena qualche secondo si levò una voce, tra di
loro, una voce che sembrava provenire da tutte
le direzioni.
Lyer, devi venire subito. Non so ancora come, ma
sono stati avvertiti. Porta immediatamente la
ragazza
via
da
lì,
oppure
riusciranno
ad
intercettarvi. Sbrigatevi.
A quelle parole Lyer imprecò, agitato.
“Maledizione, speravo di avere più tempo! A
quanto pare invece dovremo arrangiarci. Svelta
Katie, dobbiamo andare.”
La ragazza indietreggiò, scuotendo la testa.
“Non posso venire, non senza i miei genitori.
Che ne sarà di loro?”
“Loro sono al sicuro, non c’è nulla di cui
preoccuparsi, ma al momento siamo noi ad
essere in pericolo. Dobbiamo sbrigarci.”
“Non posso andarmene così senza dire loro
niente! Si preoccuperanno, chiameranno la
polizia e chissà cos’altro!”
Lyer sbottò, sempre più teso.
“Non abbiamo il tempo di avvertirli! Hai sentito
anche tu Arkel, no? Stanno arrivando e non
possiamo permettere che ti catturino! Non fare
la testarda, vieni e basta!”
“Non posso fargli passare una cosa del genere,
dobbiamo tornare indietro!”
Lui scosse la testa, esasperato, ma prima che
potesse ribattere un grande fragore esplose tra
gli alberi.
“Sono già qui! Maledizione, Katie, scappa!
Scappa e non fermarti!”
Lei lo fissò, spaventata, e un attimo dopo, senza
neanche sapere come o perché, stava già
correndo attraverso il bosco, lo stesso bosco che
l’aveva accolta e protetta con i suoi rami, di cui
sapeva ogni segreto, e che ora le sembrava
minaccioso e pieno di ombre. In preda al
panico continuava a correre, sentendo solo il
battito del suo cuore nella testa, il suo respiro
nei polmoni, incurante dei graffi che spine e
rami le procuravano. Non sapeva cosa stesse
succedendo dietro di lei, se Lyer la stesse
seguendo o se invece fosse rimasto laggiù a
prendere tempo. Non sapeva cosa sarebbe
successo, non sapeva se davanti a lei ci fosse
una qualche speranza. Il suo unico pensiero era
correre, correre senza fermarsi, senza guardarsi
indietro, correre finchè aveva fiato in corpo. E
continuò per quelle che le sembrarono ore, ma
più
andava
avanti
più
le
sue
gambe
diventavano deboli, il suo respiro più ansante e
il dolore al fianco più acuto. Chiuse gli occhi,
mentre le lacrime cominciavano a scenderle
lungo
le
guance,
cercando
di
frenare
i
singhiozzi che la scuotevano. Non ce l’avrebbe
fatta, non ci sarebbe riuscita… Inciampò due o
tre volte e alla fine cadde lunga distesa alla base
di un albero, ferendosi al ginocchio. Cercò di
rialzarsi
ma
ricadde
subito
sulle
foglie,
gemendo. Abbassò la testa, ansimante, la mano
stretta sul ginocchio per frenare il dolore. E
anche attraverso il velo di lacrime che le
offuscava la vista, riuscì a vedere il sangue
colarle tra le dita.
Alzò lo sguardo, i denti stretti, cercando di
distrarsi, di non pensare al liquido caldo che le
scendeva lungo la gamba. Doveva resistere…
“Katie!”
La ragazza voltò la testa verso Lyer, sollevata.
Stava bene, non sembrava ferito.
“Katie, cos’è successo?”
Lei cercò di sorridergli, evitando con cura di
guardarsi la gamba. O le mani.
“Diciamo che… che il mio ginocchio non sta
propriamente bene.”
Lui aggrottò la fronte, preoccupato, lo sguardo
fisso sulla ferita.
“Non ci voleva, con questo taglio non riuscirai a
fare nemmeno un passo. Ho paura che non
abbiamo altra scelta.”
Lei lo fissò, confusa.
“Di cosa stai parlando?”
Lyer scosse la testa, piazzandosi saldamente
davanti a lei.
“Di nulla. Tu continua a tenere la mano
premuta
sul
ginocchio
e
non
cercare
di
muoverti, o peggioreresti le cose.”
“Peggiorare?”
Lui si voltò un attimo verso di lei, serio.
“Sì… Lui è vicino. Sta arrivando.”
A quelle parole Katie fu attraversata da un
brivido
freddo.
Come
aveva
potuto
dimenticarsene? C’era qualcuno che li stava
seguendo, che li cercava….
Sussultò quando, dalla boscaglia, vide una
figura avvicinarsi tranquillamente verso di loro.
Sbattè le palpebre, certa di aver visto male, di
aver preso un abbaglio. Eppure non poteva
sbagliarsi.
Alto,
un’inappuntabile
con
corti
divisa
capelli
grigi
militare…
e
Sì,
quell’uomo era sicuramente il generale James
Eledier, della Marina militare. L’aveva visto
tante
volte,
in
televisione.
Ma
come
era
possibile che un soldato pluridecorato come il
generale si trovasse in quel bosco? Come era
possibile che fosse lì per loro?
“Riesci sempre a sorprendermi, J. Non credevo
saresti riuscito ad arrivare qui così in fretta.”
Lui sorrise, divertito, ma i suoi freddi occhi
grigi non si staccarono nemmeno un attimo
dalla mano di Katie. Una mano insanguinata
stretta attorno all’orologio.
“Te l’avevo già detto l’ultima volta, sono un
uomo pieno di sorprese. Sai, ero sicuro che
assieme a te sarebbe venuto anche Arkel, ci
speravo molto. E invece a quanto pare non è
venuto nemmeno questa volta, che peccato.”
“Purtroppo Arkel era impegnato, ma mi ha
pregato di porgerti i suoi saluti nello sfortunato
caso in cui ti avessi incontrato.”
“Allora, sempre che tu riesca ad uscire vivo da
questi boschi, portagli i miei più sentiti saluti.
Chissà, magari riusciremo ad incontrarci la
prossima volta.”
Lyer sbuffò, stanco di quella messinscena.
“Non ci sarà una prossima volta, Eledier. Sai, ho
sentito che persino nel mondo degli umani stai
avendo dei problemi. Deve proprio essere un
brutto periodo, per te.”
Sul volto del generale passò un’ombra.
“Diciamo
che
ho
solo
incontrato
alcuni
problemi, nulla che non possa risolvere anche
ad occhi chiusi. E poi su, Lyer, non puoi dire
che per me questo sia un periodo sfortunato.
Basta anche solo vedere chi c’è dietro di te, per
capire quanto le cose si siano messe a mio
favore.”
Lui ringhiò, mettendosi sulla difensiva.
“Non riuscirai nemmeno a sfiorarla. Non la
toccherai.”
“E chi me lo impedirà, tu? Se ben ricordo il
nostro ultimo incontro non ti è andato poi
molto bene, Lyer. Pensavo che la ferita di
quella bruciante sconfitta ti avesse insegnato
qualcosa. Pensavo avessi finalmente imparato
qual è il tuo posto.”
“Infatti è questo, il mio posto. Quella volta sei
stato solo un codardo. Mi hai preso alle spalle
dopo avermi fatto lottare contro tutti i tuoi
uomini,
quando
ormai
ero
sfinito.
Un
comportamento degno di un vero vigliacco.”
Eledier fece spallucce.
“E allora? Una sconfitta è sempre una sconfitta.”
“Sei solo un farabutto, un lurido…”
“Suvvia,
Lyer,
cerchiamo
di
essere
civili,
ricordati che questa volta abbiamo un’ospite.
Un’ospite che verrà via con me.”
Lyer rimase saldo al suo posto, immobile.
“Non la toccherai.”
Il sorriso del generale si raffreddò, mentre i
suoi muscoli si contraevano.
“Allora cominciamo.”
CAPITOLO 4
Una goccia, due gocce. Presto divennero
tante, troppe. Katie riusciva a malapena a
distinguere
due
scontravano
nel
forme
cielo.
confuse
Non
che
vedeva
si
altro.
Restava lì, immobile, troppo stordita da ciò che
stava succedendo lassù per provare a muoversi.
L’unica cosa che sembrava essere ancora in
grado di fare era tenere la mano stretta sul
ginocchio
succedendo
e
rabbrividire.
tutto
quello?
Perché
stava
Lyer
stava
combattendo, stava rischiando la sua vita... e
per che cosa? Per lei, una ragazza che non aveva
mai conosciuto, una ragazza che, almeno
secondo lui, doveva essere protetta a qualunque
costo.
Una lacrima le scese lentamente sul viso,
mischiandosi alle gocce di pioggia. Niente stava
andando come doveva andare. Perché non era
rimasto tutto tranquillo, tutto com’era, come
doveva essere? Invece adesso non sapeva più
nulla. Non sapeva cosa stesse succedendo in
quel cielo, non sapeva cosa sarebbe successo in
futuro, non sapeva se sarebbe riuscita a tornare
a casa. A casa...
Chiuse gli occhi, un terribile peso sul cuore. I
suoi genitori… Si sentiva male se pensava a
come li aveva lasciati, così di soppiatto, al fatto
che probabilmente non avrebbe più potuto
vederli. Le sfuggì un singhiozzo quando rivide
nella sua mente il viso tormentato di Marie.
Cosa
le
sarebbe
successo?
Si
sarebbe
preoccupata tantissimo, avrebbe pensato che lei
fosse morta, non avrebbe retto il colpo… E Ted?
Ted, sempre così ottimista, sempre così allegro
e disponibile… Si chiedeva se la sua sparizione
lo avrebbe cambiato, se avrebbe cambiato tutto
ciò che lei conosceva, ma non si rendeva ancora
conto che il cambiamento era già cominciato.
Fissò con occhi vacui le nuvole grigie sopra di
lei, sentendo un grande vuoto dentro di sè.
Desiderava solo perdersi, perdersi in quel nulla,
smettere, finalmente, di pensare. D’altronde era
così difficile ricordarsi che proprio all’interno
di quell’immenso ammasso di cotone, così
tranquillo e innocuo, si stava svolgendo una
battaglia. Non ve n’era più alcun segno, tranne
una piccola luce, che da quel tetro grigiore si
avvicinava sempre più, fino a diventare grande,
molto grande. E anche troppo vicina. Katie
quasi non sentì l’esplosione, mentre veniva
scaraventata contro un albero dall’onda d’urto.
Non riusciva a restare lucida. Sentiva che il
dolore era lì, vicino a lei, eppure non provava
niente. Solo una grande spossatezza e la
confortante vicinanza dell’oblio.
Non cercò di resistere. Non cercò di combattere
il buio che la stava avvolgendo. In quel
momento voleva solo dimenticare tutto quello
che
stava
succedendo,
voleva
liberarsi
da
quell’orribile sensazione di vuoto e di dolore.
Era forse chiedere troppo? Non lo pensava.
Voleva solo tornare a casa sua, alla vita di
sempre.
Un’ultima
lacrima
le
scivolò
dolcemente lungo la guancia. Non era possibile.
Non lo sarebbe mai più stato.
E poi, tutto fu buio.
*
La pioggia cominciò a cadere, prima leggera,
poi sempre più fitta. Non era facile fronteggiare
un avversario come il Generale in quelle
condizioni. Era stato da ingenui pensare di
poter mantenere una concentrazione perfetta
ad una tale altezza, dove le raffiche di vento
erano
tali
da
fargli
perdere
l’equilibrio,
distraendolo più volte. Anche l’acqua d’altronde
faceva la sua parte nell’ostacolarlo, colpendolo a
scrosci
e
riducendo
notevolmente
la
sua
visibilità. Senza dubbio, in quelle condizioni lui
non era certo al meglio delle sue possibilità. I
suoi riflessi erano più lenti, i movimenti più
impacciati. Uno sbaglio e le cose si sarebbero
davvero messe male.
Eppure, mentre lui perdeva colpi, i movimenti
di Eledier si erano fatti più veloci e precisi, e
vederli
con
quella
pioggia
era
pressoché
impossibile. Tuttavia non aveva altra scelta, non
poteva smettere di lottare. Doveva proteggere
la
Prescelta,
non
poteva
assolutamente
permettere che la catturassero o sarebbe stata la
fine. Per tutti.
“Saremo noi a vincere Lyer, lo sai, e ancora una
volta tu non potrai fare altro che restare a
guardare. Ironico come la stessa scena continui
a ripetersi, non trovi?”
Una
lunga,
sprezzante
risata
seguì
quelle
parole, arrivando a lui attraverso il denso
ammasso di nuvole. Lyer si voltò di scatto,
furioso. Quel maledetto… Stava cercando di
provocarlo, di fargli perdere la concentrazione,
e ci stava riuscendo. Una cieca rabbia ribolliva
dentro
di
lui,
desiderosa
solamente
di
esplodere, di sfogarsi sul volto ghignante di
Eledier, ma quasi subito qualcos’altro cominciò
ad offuscare quella furia, dei ricordi e un dolore
soffocato vecchio di anni… Tentò di fermarlo,
di opporsi, ma non riuscì a impedirsi di
rivedere
nella
mente
quelle
immagini,
di
rivivere quell’orribile giorno… E quella ferita,
che nonostante tutti quegli anni non si era mai
rimarginata del tutto bruciò di nuovo, forte
come nell’attimo in cui si era aperta. Era un
dolore immenso, un rimorso la cui forza non
era diminuita con il passare del tempo e che
continuava ad opprimerlo, a soffocarlo. Per un
attimo, un solo istante, Lyer rimase immobile,
sopraffatto da tutte quelle emozioni, e tanto
bastò a Eledier per fare la sua mossa.
Successe tutto molto in fretta, tanto che
nessuno dei due avrebbe potuto dire con
precisione cosa accadde. Una forza sconosciuta
ma provvidenziale tirò Lyer da parte appena in
tempo, mentre un’enorme palla infuocata lo
mancava di pochi centimetri, dirigendosi verso
terra. Lui rimase lì a fissarla per un momento,
come in trance, pensando a quanto gli fosse
passata vicina, cercando di capire cosa fosse
successo. E fu in quell’attimo che la sua mente si
rese conto di ciò che stava accadendo. Quella
palla di fuoco stava andando verso il bosco,
dritta verso Katie.
“Katie! No!”
Troppo tardi. Il globo stava continuando la sua
caduta, inesorabile, troppo veloce per poter
essere fermato, ma tutto questo non importava.
L’unica cosa a cui Lyer riusciva a pensare era
agire. Credeva di potercela fare, di poter essere
ancora in tempo, ma questa flebile speranza si
sciolse
come
neve
al
sole
quando
sentì
l’esplosione sotto di sé.
Si slanciò verso gli alberi, in preda al panico,il
cuore stretto in una morsa, incurante di ciò che
accadeva attorno a lui, incurante del fatto che
stava voltando le spalle al nemico. Un dolore
allucinante lo colse tra le scapole, ma non si
girò. Non gli importava granchè di essere
colpito, poteva resistere, non era quella la cosa
importante. L’importante era solo Katie, perché
lei doveva vivere. Non avrebbe permesso che
accadesse tutto di nuovo, no, non sarebbe
andata a finire così…
“Katie!”
Si guardò attorno, frenetico, e finalmente la
vide, accasciata ai piedi di un albero... inerte. A
quella vista il suo cuore si gelò. Corse da lei e
sospirò di sollievo quando vide che era solo
svenuta.
Dovevano
andarsene,
ora
che
potevano. Arkel li stava aspettando. Era ora di
tornare a casa.
CAPITOLO 5
Era una mattina soleggiata, rinfrescata da una
leggera brezza. Le nuvole nere del temporale
erano ormai solo un ricordo.
Katie osservava la vallata dal balcone della sua
camera, assaporando la pace di quel luogo e la
dolcezza del vento che le scivolava leggero tra i
capelli. Non ricordava molto di ciò che era
successo due giorni prima nel bosco, quasi
come se la sua mente avesse voluto rimuovere
quell’esperienza dalla sua memoria. In effetti,
almeno da quello che ricordava, non era stata
affatto piacevole, eppure si era risolto tutto per
il meglio ed erano riusciti a scappare. Avrebbe
dovuto esserne contenta, ma aveva troppi
pensieri per la testa per riuscire a godersi quella
piccola vittoria. I suoi genitori, i suoi incubi,
tutto quello che era successo, e anche il
simpatico vecchietto che si era preso cura di
loro in quei giorni.
Si appoggiò al balcone, pensierosa. Quel nuovo
incontro le aveva dato molto su cui riflettere e
soprattutto l’aveva riempita di dubbi. Come
faceva a sapere che lui era veramente chi diceva
di essere? E se fosse stata una qualche trappola?
Insomma, qualcuno non molto tempo prima
aveva già cercato di ucciderli, eppure sembrava
una brava persona. Riusciva sempre a farla
sentire a proprio agio, quasi sapesse quello di
cui lei aveva bisogno. Quasi sapesse cosa stava
pensando.
“Lyer? Sta riposando, deve ancora riprendersi,
ma non stare in pena per lui. È forte, molto più
di quanto ammetterebbe, e sono certo che tra
non molto lo vedrai di nuovo in forma.”
A quella risposta Katie aveva sorriso e non
aveva fatto altre domande. Aveva cominciato
presto a fidarsi di lui. Il suo istinto le diceva che
era una brava persona, degna di fiducia. E poi
aveva riconosciuto la sua voce, la stessa che tra
gli alberi aveva tentato di avvertirli del pericolo
e di portarli al sicuro prima che fosse troppo
tardi. Perché avrebbe dovuto farlo se non per
salvarli? E d’altronde lei non aveva dubbi che
Arkel fosse l’unica persona in grado di spiegarle
cosa stava succedendo, ma ogni volta che
tentava di chiedergli qualcosa sull’orologio, la
timidezza aveva la meglio e lei restava muta e
terribilmente a disagio.
Arkel, e lei ne era certa, sapeva cosa la
tormentava,
eppure
stranamente
non
accennava mai a ciò che l’aveva condotta da lui.
Parlavano di tutto, di botanica, di libri, di
astronomia,
ma
nemmeno
un
minimo
riferimento all’orologio o a ciò che era successo.
Era
strano.
Sembrava
quasi
che
evitasse
l’argomento di proposito, come se non la
ritenesse ancora pronta, come se volesse darle
qualche giorno di tregua. Non che lei sapesse da
cosa,
ma
comunque
apprezzava
quella
tranquillità, quella parvenza di normalità. Le
faceva sembrare così lontano il terrore che
l’aveva stretta tra quegli alberi… Arkel sapeva,
sentiva che con la memoria lei tornava spesso a
quei
momenti
e
cercava
di
evitarlo,
di
mantenerla serena, per quanto possibile. Era
sempre al suo fianco e cercava di distrarla, di
divertirla, e anche se inizialmente diffidente e a
disagio, a poco a poco lei aveva cominciato ad
aprirsi, a fidarsi. D’altronde più conosceva
Arkel, più il suo rispetto e la sua stima
aumentavano.
Arkel
aveva
una
cultura
vastissima, che sembrava comprendere ogni
genere di conoscenza e di esperienza. E poi
aveva una tale pazienza e saggezza, che era
impossibile non rimanerne affascinati. Ci si
sarebbe quindi potuti aspettare che fosse una
persona noiosa, alla quale ridere e scherzare
non interessava, e invece era l’esatto opposto.
Arkel amava, amava ridere e non rinunciava
mai all’opportunità di farlo assieme a lei.
Sembrava il tipico nonno affettuoso e saggio
che impartisce serenamente i suoi consigli e le
sue
esperienze,
una
guida,
un
punto
di
riferimento. Lui era riuscito in qualcosa che
solo poco tempo prima lei non avrebbe creduto
possibile. Grazie alle sue attenzioni, infatti, in
quei due giorni, immersa nella tranquillità e
nella serenità di quella sua nuova routine, Katie
era quasi riuscita a dimenticare tutto ciò che era
successo,
tutte
le
paure
che
l’avevano
tormentata. Arkel le aveva dato la possibilità di
vivere normalmente, anche se solo per poco,
perchè entrambi sapevano bene che quella
normalità non era destinata a durare a lungo.
Le domande erano state nascoste in profondità,
certo, ma non si erano cancellate e prima o poi
sarebbero rispuntate prepotenti alla luce del
sole. Il giorno della verità era vicino, lo sapeva,
anche se non avrebbe mai immaginato quanto
lo fosse realmente finchè Arkel non gliene
parlò.
“Katie, è arrivato il momento di parlare. Non
pensare che io non mi sia accorto delle
domande che avresti voluto pormi, ma ho fatto
di tutto per evitarle finchè non si fosse
presentata l’occasione più adatta. Ho preferito
lasciarti del tempo per riprenderti, per darti la
possibilità di accettare un po’ alla volta tutti gli
eventi che ti sono accaduti e spero che mi
perdonerai se affretto così tanto i tempi. È una
cosa purtroppo necessaria e sono sicuro che
quando te ne avrò spiegato il motivo la vedrai
anche tu allo stesso modo. Ora ho ancora
alcune faccende urgenti da sbrigare, ma tra
poco sarò libero e potremo finalmente parlare
Nel
frattempo
vai
pure
nella
tua
stanza,
manderò presto qualcuno a chiamarti.”
Lei aveva seguito il suo consiglio ed era andata
in camera sua, assillata da mille pensieri. E così
l’attesa era finita; presto non ci sarebbero più
stati segreti a separarla dalla verità. Ne era
sollevata? Non lo sapeva
ancora. La tensione continuava a divorarla,
tormentandola
dall’interno
senza
che
lei
potesse fare nulla per alleggerire quel peso.
Cominciò a camminare in tondo, agitata.
Quanto sapeva Arkel? Molto, almeno da quanto
aveva lasciato trapelare. Ma c’era qualcosa, in
quella situazione, che ancora non le tornava.
Lei
era
riuscita
a
collegare
l’orologio
all’incidente, all’Ombra insaziabile che ne era
stata la causa. Anche Arkel sapeva di quel
legame? Poteva sapere qualcosa sull’incidente,
qualcosa che l’avrebbe finalmente aiutata a
scoprire tutta la verità?
Scosse la testa, sospirando. Quella faccenda era
una tremenda confusione. Come faceva a
sapere quanto sapeva lui, se neanche lei sapeva
quello
che
c’era
da
sapere?
Un’orribile
confusione, appunto. Perché doveva essere
tutto così difficile?
Si accasciò accanto alla finestra, senza una
risposta, il viso rivolto verso la brezza leggera
che le accarezzava la pelle. Si sentiva stanca.
Erano
accadute
troppe
cose
strane
tutte
insieme perchè lei avesse avuto il tempo di
accettarle; come sarebbe riuscita ad affrontare
anche quello che avrebbe saputo di lì a poco?
Ma il brutto di tutta la storia era che oltre a
quello c’era un altro problema. Chiuse gli occhi,
amareggiata. Quanto avrebbe potuto dire lei ad
Arkel? Non gli avrebbe raccontato i suoi incubi,
ma l’Ombra? Lui lo doveva sapere o era meglio
che restasse un segreto, ancora per un po’? E in
fondo, cos’era? Solo un sogno, un sogno...
La
macchina
correva
veloce,
cercando
di
sfuggire al buio che lentamente incombeva su
di loro. Katie poteva sentire distintamente le
voci terrorizzate dei suoi genitori, eppure in
mezzo
a
avvicinando
quei
un
suoni
altro
familiari
suono,
si
stava
qualcosa
di
agghiacciante, di indescrivibile. Ma fu solo
quando l’Ombra li circondò, affamata, che lei
capì all’improvviso cosa fosse. Una risata,
maligna, crudele... e, nell’oscurità, un brillio.
L’ultimo segno prima dell’attacco. La macchina
cominciò a sbandare, ad andare fuori strada.
Stavano puntando contro gli alberi, ormai
erano vicini, vicinissimi...
“No!!”
Katie si svegliò di colpo, urlando, il respiro
affannoso. Gli ultimi ricordi le danzavano
ancora davanti agli occhi, imprigionandola in
quell’incubo, imprigionandola in una verità a
cui non voleva credere. Si strinse le braccia
attorno alle gambe, tremando. Quel brillio...
No, non poteva sbagliarsi. Quelli erano occhi.
Occhi umani.
Si raggomitolò ancora di più su sé stessa,
cercando un riparo, un luogo in cui sentirsi al
sicuro. Come poteva riuscire ad allontanarsi da
qualcosa che era dentro di lei, che non la
abbandonava nemmeno un istante? Non aveva
via di fuga, non aveva angoli in cui nascondersi.
Quell’incubo era sempre lì, davanti a lei, pronto
ad aggredirla di nuovo non appena avesse
abbassato la guardia, non appena si fosse
lasciata andare…
Rabbrividì, cercando di respingere le ondate di
nausea che la assalivano. Quell’Ombra l’avrebbe
perseguitata per tutta la vita, durante il giorno
con il suo ricordo e nella notte con la sua
presenza. Di fronte a quell’essere lei era
indifesa, inerme, proprio come la bambina che
era un tempo, seduta, ignara di tutto, sul
seggiolino di un’auto in corsa…
Scosse la testa, il respiro affannoso. Sentiva
ancora quella risata che le rimbombava nelle
orecchie, rivedeva nitidi davanti a sé quegli
occhi di ghiaccio, quello sguardo insaziabile.
Come era possibile che quella cosa fosse
umana?
Non
aveva
alcun
senso,
alcuna
spiegazione…
Un
colpo
improvviso
alla
porta
la
fece
sobbalzare, facendola quasi gridare di nuovo
dallo spavento.
“Katie?”
Lei si asciugò in fretta le lacrime, cercando di
ricomporsi e di ritrovare la voce.
“L-Lyer?”
“Katie, va tutto bene? Hai la voce un po’ strana,
stai male?”
La ragazza chiuse gli occhi, tormentandosi le
mani, ancora agitata. Non stava bene, no…
“No, va tutto bene. Ti ha mandato Arkel?”
“Sì. Vieni, ti faccio strada.”
“Oh d’accordo, io… arrivo subito.”
“Fai in fretta, io intanto ti aspetto qui fuori.”
Katie annuì automaticamente, cercando di
controllare il tremore. Nè Lyer nè Arkel
avrebbero dovuto vederla in quello stato,
nessuno
avrebbe
dovuto
sapere.
Era
il
momento di controllarsi e di mettere da parte i
suoi incubi; li avrebbe affrontati da sola, ne era
certa,
una
volta
trovato
il
tempo.
Erano
problemi suoi e non potevano avere nulla a che
fare con l’orologio o con tutto quello che era
successo. Avrebbero dovuto aspettare, perché a
quanto sembrava quello che doveva fare era
importante, persino più importante di tutti
loro.
“Katie?”
Strinse la presa sulla maniglia, prendendo un
bel respiro. Non poteva più tornare indietro.
*
Seduta sullo spazioso divano dello studio, Katie
aspettava l’arrivo di Arkel. Lyer l’aveva lasciata
lì per andare a raggiungerlo, ma le aveva
assicurato che sarebbero tornati subito e le
aveva raccomandato di aspettare e di avere
pazienza; una pazienza che andava avanti già
da troppo tempo, ormai. Dov’erano finiti? Era
passata quasi mezz’ora da quando Lyer se ne
era andato e ancora non si vedeva nessuno.
Magari se ne erano persino dimenticati.
Sospirò, sprofondando un po’ di più tra i
cuscini e studiando per l’ennesima volta la
stanza, l’unica sua occupazione mentre stava lì
ad aspettare. Noioso, in effetti, ma non aveva di
meglio al momento.
Era grande per essere uno studio, arredato con
eleganza ma senza essere eccessivo, e, come
aveva immaginato, l’unico elemento di spicco
nell’arredamento
era
una
grande
libreria,
colma di volumi di ogni genere.
La ragazza si alzò, guardandosi attorno un po’
incerta, poi si avvicinò ad osservarla. In quei
giorni aveva facilmente intuito come Arkel
dovesse essere un appassionato lettore, ma di
certo non poteva immaginare quanto. Molti di
quei libri erano di dimensioni enormi e vista la
loro usura era chiaro che li aveva letti molte
volte. Doveva averci passato molto tempo,
moltissimi anni della sua vita…
Si avvicinò ancora, incuriosita, sfiorandone con
la punta delle dita i dorsi sfilacciati. Ci sarebbe
voluta un’eternità per leggere tutto. Le sfuggì
un sorriso a quel pensiero. Da quando era
arrivata c’era una domanda che la intrigava,
una domanda che però lei non avrebbe mai
avuto il coraggio di fare. Era un dubbio che la
spaventava e la affascinava al tempo stesso.
Subito dopo aver visto quel volto, subito dopo
aver visto quello sguardo profondo, si era
chiesta quanti anni Arkel potesse avere. Le
sembrava quasi che la normale durata della vita
umana non fosse abbastanza per riuscire ad
acquisire quella conoscenza, quella saggezza e
anche quello strano sguardo, uno sguardo che
sembrava aver visto secoli e secoli scivolare via.
Era possibile che lui avesse potuto vivere tanto?
Che fosse su quella terra da molto più tempo di
quanto lei credesse?
Scosse la testa, strofinandosi gli occhi ancora un
po’ rossi. Ormai stava delirando; una cosa era
incontrare
un
gatto
parlante,
ma
pensare
all’immortalità… No, questo andava molto oltre
le sue possibilità.
Chiuse
gli
occhi,
stordita
da
un
leggero
giramento di testa. Cominciava a sentire il peso
della mancanza di sonno, ma come poteva
riuscire a riposare se ogni singola notte doveva
rivivere quell’incidente, quell’incubo? Sospirò,
allontanando quei ricordi, decisa a rimanere
aggrappata alla realtà. Ma quando riaprì gli
occhi quello che vide le fece sfuggire un
gemito.
Un’altra
un’altra
volta.
volta,
stava
succedendo
All’improvviso
desiderò
chiuderli di nuovo. Non poteva essere reale. E
invece, purtroppo, lo era.
Il suo sguardo, sprezzante e affilato come un
rasoio, la trapassava da parte a parte. Il suo viso
era
incorniciato
da
corti
capelli
biondi,
lievemente ondulati. La sua altezza non poteva
superare i 15 centimetri e due leggere ali
translucide si aprivano sulla sua schiena.
Katie non sapeva come definirla. Folletto?
Ninfa? Fata? Non ne era sicura, anche perchè in
quell’esatto momento l’unica parola che le
veniva in mente era arpia.
Dal primo momento in cui aveva visto quegli
occhi verdi e quel sorrisetto arrogante l’aveva
odiata,
istintivamente.
E
d’altronde
in
quell’unico istante, quando i loro sguardi si
erano incrociati, aveva scorto anche in lei un
odio profondo. Un odio, reciproco, che non
aveva atteso molto per manifestarsi.
“Katie. Arkel mi ha parlato molto di te, anzi,
direi che in questi due giorni non ha quasi mai
parlato d’altro. Sempre lì a lodarti, a riporre
speranze su di te, le nostre speranze. E tutte,
nessuna esclusa, saranno caricate sulle tue
spalle.
Arkel
brillantemente
crede
a
che
reggerne
tu
il
riuscirai
peso,
ne
è
addirittura sicuro, ma avrai presto modo di
scoprire che io non sono altrettanto fiduciosa.”
Katie si accorse subito del cambiamento di
tono. La sua voce divenne più dura, i suoi
lineamenti
sempre
più
rigidi.
Sotto
quell’apparente calma si nascondeva un vero
vulcano, ed era pronto ad esplodere.
“Tu non hai idea delle cose a cui andrai
incontro, non ne hai nessuna! Voi umani siete
degli esseri così volubili e dalle menti così
fragili...
Non
ci
vuole
poi
molto
a
scombussolarvi le idee. Siete delle creature
egoiste e infide, vili e spregevoli. Davanti al
primo segno di pericolo ve la date a gambe e
pensate solo a salvare la pelle. Per denaro non
esitereste un solo secondo a tradire anche i
vostri amici più fidati. Mi disgustate.”
La ragazza rimase immobile, stupita dalla
quantità di bile e di disprezzo che la fatina le
aveva riversato addosso. Cosa...
“Mi ferisce sentirti dire queste cose, Maki.
Speravo avessi un’opinione migliore di me e
delle mie azioni.”
Katie si voltò verso la porta, sorpresa. Arkel
stava entrando nello studio, un sorriso triste sul
volto, seguito a ruota da Lyer.
“Sai bene che io ho un’ottima opinione di te,
Arkel. Tu sei diverso dagli altri umani e
nessuno lo sa meglio di me. Questo discorso
non è rivolto a te.”
Lui scosse la testa.
“Davvero Maki? E invece è qui che ti sbagli. Io
faccio parte integrante della razza umana e
come tale i tuoi giudizi su di essa coinvolgono
anche me. E spero davvero di non essere la
creatura spietata che hai appena descritto con
tanta energia.”
Maki scosse la testa, il viso improvvisamente
tormentato.
“Arkel tu... tu sai. Io...”
“Maki,
non
è
questo
il
modo
giusto
di
affrontarlo. Non puoi giudicare ogni singola
persona
con
lo
stesso
parametro,
perchè
ognuno è diverso, con le sue sfumature e le sue
ombre, con i suoi lati di luce e di buio. Nessuno
è perfetto e ogni razza ha il suo bagaglio di
vergogna, una lunga lista di colpe che non potrà
mai
essere
cancellata.
Ma
non
è
per
il
comportamento di un solo individuo che si può
giudicare un intero popolo.”
La fatina scosse di nuovo la testa, contrariata.
Per Katie non fu difficile capire che quella non
era la prima volta che affrontavano quel
discorso. Ed era anche ovvio che la conclusione
era sempre stata la stessa.
“Può darsi che sia così ma non puoi aspettarti
che non abbia dubbi su di lei. Non è pronta.
Non è adatta.”
Lui alzò una mano a fermarla, il volto stanco.
“E’ stata scelta, Maki, e questo vuol dire che è
più che adatta. La decisione è stata presa e non
può in alcun modo essere messa in discussione.
E in quanto ai tuoi dubbi, solo il tempo saprà
dare una risposta alle tue domande.”
Maki abbassò lo sguardo, ancora contrariata,
ma non ribatté. Il tono di Arkel non ammetteva
repliche.
“Bene,
ora
è
tempo
di
passare
ad
altri
argomenti. Vieni Katie, sediamoci.”
Lei si sedette, rivolgendo pensierosa lo sguardo
oltre la finestra, ripensando ancora a quelle
parole, parole di un dolore così profondo da
non poter essere descritto…
Arkel tu... tu sai. Io...
E così, in passato, Maki doveva aver avuto delle
brutte esperienze con gli umani. Probabilmente
era per quello che li odiava così tanto, che
detestava anche solo il minimo contatto con
una di loro. E d’altronde poteva lei biasimarla?
No, anche se lo avrebbe desiderato con tutta sé
stessa. Come Arkel aveva detto, ogni razza si
portava dietro una lista di colpe che non
potevano essere cancellate né dimenticate e gli
uomini non facevano eccezione. Vedendo tutto
quello che accadeva nel mondo, la bassezza di
cui erano capaci, poteva, guardandola negli
occhi, mentirle, dirle che si sbagliava? Lei non
aveva il diritto di lavare con un colpo di spugna
tutti gli sbagli che la sua razza aveva commesso.
Quelli
sarebbero
rimasti
lì
per
sempre,
indelebili, ma forse poteva provare a migliorare
l’opinione che aveva su di lei. Forse poteva
riuscire
a
dimostrarle
che
tra
gli
umani,
nonostante tutto l’orrore di cui potevano essere
capaci, c’era ancora qualcuno in cui poter
credere. O almeno ci avrebbe provato.
“Ora,
Katie,
argomento
stiamo
per
particolarmente
affrontare
spinoso
e
un
che
richiederà una buona dose di fiducia da parte
tua. Molte delle cose che ti dirò ti potranno
sembrare incredibili o impossibili e forse
penserai addirittura che io sia pazzo. Non fare
quella faccia, non sarebbe la prima volta che mi
succede, non me la prenderei. Quello di cui ho
bisogno però è che tu faccia il possibile per
credere a ciò che sto per raccontarti. Diciamo
che ci vorrà una buona apertura mentale.”
Le sorrise, cercando di diminuire il disagio che
le leggeva negli occhi.
“Non so come attutire il colpo né come dirtelo
in un modo più delicato, ma devi sapere che
esistono delle creature che quasi nessuno ha
mai visto. Forse sotto forma di leggende o di
racconti ne avrai sentito parlare, magari anche
nelle fiabe che ti raccontavano quando eri una
bambina. Strane creature, che si prodigavano
per salvare innocenti e che di tanto in tanto,
spinti dalla curiosità, si affacciavano nel mondo
degli uomini...”
“Stai dicendo che quelle leggende in realtà
sono… vere?”
Arkel ridacchiò di fronte alla sua espressione
attonita.
“Be’, non proprio tutto quello che è stato
tramandato è vero, ma diciamo che alcune idee
in generale non sono poi così lontane della
realtà che conosciamo. Cioè, che io conosco e
che tu stai per conoscere, ovviamente.”
Katie scosse la testa, incredula.
“Sembra impossibile.”
“Ti avevo avvertita che ci sarebbe voluta una
buona apertura mentale. Ora, come puoi ben
immaginare sia Lyer che Maki fanno parte di
questo gruppo. Tutti e due arrivano da... be’, da
un altro mondo.”
Fece
una
piccola
pausa,
osservandola
attentamente.
“Vedi Katie, anche se è difficile da credere esiste
davvero un mondo parallelo al nostro, Ghalad.
Le creature che vi abitano sono molto attente a
non farsi scoprire da noi, anche se una barriera
invisibile ad occhio umano divide i due mondi.
D’altronde non è difficile riuscire a capire
perché abbiano scelto questa vita di quasi totale
isolamento dalla nostra. Come sai noi umani,
benchè capaci dei migliori sentimenti, siamo
purtroppo capaci anche dei peggiori. Alla sola
idea di un nuovo mondo da colonizzare e da
sfruttare
si
scatenerebbe
una
lotta
di
proporzioni mai viste, una lotta che noi
saremmo in ogni modo destinati a perdere,
come già successe in passato.”
La ragazza si sporse verso di lui, curiosa.
“Vuoi dire che è già successo? Che questo…
Ghalad è già stato scoperto?”
Arkel annuì, amareggiato.
“Questa non è una storia che ci fa molto onore,
anzi è una storia che penalizza tutti quelli che vi
parteciparono. Vedi, molto tempo fa l’umanità
viveva un particolare periodo di pace. Era
lontano il ricordo dell’ultima guerra che si era
scatenata e l’odio sembrava scomparso dai
nostri animi e dalle nostre menti. Sembrava,
però, perché in realtà non fu così. Esso
continuava ad ardere nel cuore degli uomini,
nascosto, aspettando solo il momento più
adatto per tornare alla luce, un momento che
non tardò ad arrivare.
Da molto tempo a Ghalad si discuteva sulla
possibilità di rivelarsi agli umani. Era un
dibattito molto acceso, ma la maggioranza
riteneva
che
dopo
tutti
quei
secoli
di
isolamento e di diffidenza si dovesse uscire allo
scoperto e vivere finalmente in armonia con le
popolazioni che abitavano il mondo oltre la
barriera. Si sperava di riuscire a stabilire una
sorta di convivenza con la razza umana.
Eppure, benchè ci avessero ritenuti pronti, noi
non lo eravamo affatto.”
“Immagino che non sia andata a finire bene.”
“E avresti ragione. Tuttavia i Ghaeledian non
erano
degli
sprovveduti,
tanto
che
prima
decisero di fare una prova, una sorta di test per
verificare le nostre reazioni, che non furono
certo come se le aspettavano. Si decise di
mandare una piccola delegazione, allo scopo di
iniziare rapporti pacifici con noi umani e di
spiegare in modo esauriente ciò che era stato
tenuto segreto per anni, l’esistenza di un
mondo
proprio
accanto
al
nostro.
Non
tornarono mai.”
Katie lo fissò, amareggiata.
“Hanno davvero reagito così drasticamente?
Perché?”
Arkel scosse la testa.
“Non potremo mai saperlo. Nessuno di quella
spedizione ritornò vivo e ciò che accadde quella
volta resterà per sempre nascosto nell’ombra
dell’oblio.
Ma
esattamente
nonostante
cosa
fosse
nessuno
successo,
sapesse
non
era
difficile immaginarlo e la situazione divenne
incontrollabile. In un attimo la fiducia e la
curiosità si trasformarono in odio, in un’ondata
di violenza e rabbia che non aveva precedenti. I
Ghaeledian volevano vendetta, giustizia contro
coloro che avevano ucciso i loro fratelli. La
mano
tesa
della
pace
e
dell’amicizia
si
trasformò in pugno di ferro. Di quel villaggio
non rimasero altro che cenere e macerie, e
corpi riversi sulle strade.”
Sospirò.
“Quella strage fu un chiaro segno che l’umanità
non era pronta e che probabilmente non lo
sarebbe mai stata. Ciò che successe pose fine ad
ogni tentativo di comunicazione tra i due
mondi, ad ogni fiducia. Come penso avrai
modo di constatare presto, a Ghalad gli umani
non godono di un grande rispetto e sono visti
con una innata diffidenza. Nonostante siano
passati tanti secoli, la ferita è ancora aperta e
bruciante
e
ho
paura
che
le
cose
non
cambieranno tanto presto. Certo, a meno che
qualcuno non riesca a dimostrare loro il
contrario.”
Arkel le sorrise, benevolo. Katie abbassò lo
sguardo, imbarazzata. Non credeva proprio che
grazie a lei potessero cambiare facilmente idea.
“Non credo che questo li smuoverà di molto.
D’altronde, non hanno neanche torto.”
“Vero, ma questo atteggiamento di continua
diffidenza li sta portando verso la rovina. La
loro
società
si
è
sempre
cristallizzandosi
in
una
più
fossilizzata,
struttura
che
non
cambia da secoli. Si sono chiusi sempre più in
loro stessi, fino ad arrivare a non vedere altro.
Si stanno dirigendo verso un baratro da cui non
potranno più tornare indietro.”
“E io come potrei aiutarli se loro non vogliono
nemmeno essere salvati?”
Lui scosse la testa.
“Ci vorrà tempo, ma presto le tue gesta
cominceranno a scuotere alle fondamenta le
loro più radicate convinzioni. Non ci vorrà
molto, poi, a far crollare ciò che sarà rimasto
ancora in piedi.”
A quelle parole Katie si sforzò di rimanere seria
e non ridere. Era tutto così assurdo!
“Le
mie
gesta?
Davvero,
Arkel,
ora
sto
cominciando a non seguirti più.”
“Sì, immagino che per te sia difficile. Dover
accettare tutto questo in un tempo così breve è
chiederti molto, ma ti stai comportando in
modo eccellente, molto più di quanto avessi
mai osato sperare.”
Lei lo fissò, ancora scettica. Lui le sorrise.
“Cosa ti turba?”
“Tutto. Tu parli come se io dovessi compiere
grandi imprese o chissà cos’altro. Mi parli di un
altro mondo, di creature che dovrebbero essere
solo leggende…”
Lui annuì, comprensivo.
“Capisco. Ti senti confusa e disorientata, e
anche molto spaventata, ma non c’è nulla di cui
avere paura, Katie. Tutto questo esiste, Ghalad,
e anche Maki e Lyer, è tutto reale. Lasciati
libera di accettarlo e non opporti o non
riusciresti a sopportarlo.”
Lei scosse la testa, evitando il suo sguardo.
“Non puoi chiedermi di accettare tutto così,
senza difficoltà. Arkel, io ho bisogno di tempo,
tempo per pensarci, tempo per riuscire anche
solo ad afferrare l’idea di tutto questo…”
“Putroppo è proprio il tempo, che ci manca.
Ogni secondo è prezioso e io posso solo
chiederti di fidarti della mia parola e di ciò che
ti dico.”
Finalmente Katie alzò lo sguardo verso di lui,
cercando di scrutare in quell’azzurro profondo.
“Io sento di potermi fidare di te, Arkel, ma
questa non è solo una questione di fiducia.
Come faccio a sapere che mi hai detto tutta la
verità? E perché mi hai raccontato di Ghalad e
di tutto il resto, se avrebbe dovuto rimanere
segreto?”
Arkel si sporse verso di lei, stringendole
leggermente la mano.
“E invece è tutta solamente una questione di
fiducia. Tu ti chiedi come fare a sapere se
questa è la verità, ma non c’è risposta a questa
domanda. Devi solo fidarti. E in quanto al
perché ti ho detto tutto questo… Be’, perché è
tuo dovere conoscere questa storia. Tu non sei
solo una semplice ragazza, tu sei destinata a
qualcosa di grande, qualcosa di cui possiamo a
malapena comprendere la portata. Non è stato
un caso che tu abbia trovato quell’orologio,
quella notte, non è stato un caso che Lyer sia
arrivato da te, né che Eledier volesse rapirti. E
non è stato ancora un caso che tu sia arrivata
qui, da me. Queste non sono state coincidenze.
La tua strada è tracciata, Katie, e nonostante tu
possa fare delle deviazioni, la fine, il punto di
arrivo, sarà sempre lo stesso. Non si può
sfuggire al destino.”
La ragazza scosse la testa, allontanando la
mano.
“Non ho idea di cosa tu stia dicendo. Io sono
una normale ragazza. È solo che mi sono
ritrovata invischiata in.. in qualcosa in cui non
volevo essere coinvolta. Non c’entra nulla il
destino o il fato o come lo vuoi chiamare.
Siamo noi, Arkel, che ci creiamo il futuro, con
le nostre scelte e le nostre azioni. Credo molto
in questo, credo molto nel fatto che ognuno di
noi sia libero di decidere di sè.”
“Alle volte, Katie, scegliere non è possibile. Alle
volte non si ha che una sola strada davanti a noi
e non possiamo fare altro che imboccarla.”
Katie distolse lo sguardo.
“Questo non è giusto.”
Arkel annuì.
“E cosa lo è? Ognuno ha il proprio destino da
seguire, un qualche scopo a cui dedicare la
propria vita. E io posso dirti qual è il tuo.”
Lei si ritrasse improvvisamente nel divano,
chiudendo gli occhi.
“Non voglio saperlo, qualunque sia non voglio
saperlo.”
“E invece è necessario che tu ascolti cosa ho da
dirti, perché non c’è solo la tua vita in gioco,
stavolta. Non hai scelta.”
A quelle parole la ragazza scattò, ribellandosi a
quell’idea.
“Non dire nulla Arkel, altrimenti… altrimenti
rivelerò l’esistenza di Ghalad. Non voglio farlo,
non voglio tradire così la loro fiducia, ma non
puoi coinvolgermi in qualcosa in cui, in cui…
Non posso. Non posso abbandonare i miei
genitori, la mia vita. Non costringermi, Arkel, ti
prego.”
Lui la fissò negli occhi, tranquillo, per nulla
turbato da quella scenata.
“So che non lo farai, Katie, e per due motivi. Il
primo è che non credo che tu sia una persona
capace di tradire chi si è fidato di lei. E il
secondo è che tu non potresti dire nulla a
nessuno nemmeno volendo. Tu porti il Feiny.”
Katie si bloccò, confusa.
“Il… il cosa?”
“Il Feiny. Chiunque lo abbia è vincolato a
mantenere determinati segreti che non può
rivelare a nessuno che non porti egli stesso il
marchio. È un onore essere considerati degni di
portarlo. Il Feiny è il simbolo stesso della
fiducia, della lealtà e anche per questo sono
davvero pochi ormai gli eletti che ne sono
rivestiti.”
La ragazza lo fissò, immobile, sentendo la
rabbia crescerle dentro come un’onda.
“E tu mi stai dicendo… mi stai dicendo che io
ho questo marchio?”
Arkel annuì.
“Sì, per motivi di sicurezza abbiamo dovuto
importi il Feiny non appena sei arrivata.”
A quelle parole lei scattò in piedi, furiosa.
“Motivi di sicurezza? Non riesco proprio a
capire per quali motivi abbiate dovuto farlo!
Potevate aspettare e chiedere a me, prima di
farmi un tatuaggio o roba simile!”
Arkel sembrò quasi non accorgersi del suo tono
offeso.
“Il Feiny è invisibile a chiunque non abbia la
capacità di segnare, per questo tu non potresti
comunque vederlo. E in quanto ai motivi di
sicurezza a cui ho accennato poco prima, devi
sapere che l’ubicazione stessa di questa casa è
segreta. Non potevo rischiare di lasciarti libera
di rivelare certe informazioni, proprio come
hai minacciato di fare poco fa.”
Katie non rispose. Era ancora arrabbiata, ma la
ragione cominciava a placarla e tornò a sedersi.
Passò qualche minuto in silenzio, a riflettere.
Sentiva
che
scivolando
lentamente
via,
lasciando
la
il
rabbia
posto
stava
ad
un
angosciante senso di colpa. Era stata una
sciocca. Adesso si vergognava del suo scatto
d’ira; Arkel non aveva nessuna colpa e lei non
poteva
accusarlo
di
quello
che
stava
succedendo. Lui stava solo cercando di aiutarla.
“Ti chiedo scusa, Arkel, io… ho parlato senza
riflettere. Sono sicura che eri e sei in buona
fede.
Non
era…
non
era
mia
intenzione
criticarti.”
Arkel scosse la testa, un sorriso dolce sul viso.
“Non mi devi alcuna spiegazione. La tua
reazione è comprensibile e nessuno qui ti
giudicherà se sei spaventata. Tutto questo è
normale, visto quello che hai appena saputo,
visto quello che dovrai affrontare.”
“Ma io non so di cosa stai parlando. Ciò che
dovrò
affrontare…
Non
ho
idea
di
cosa
significhi tutto questo.”
“Tu non lo sai ancora, ma presto ti renderai
conto che un grande peso poggia sulle tue
spalle. Nonostante la tua giovane età sarai
chiamata ad affrontare cose che nessun’altro
sarebbe in grado di sopportare. Ma forse è
meglio partire dal principio, prima di rivelarti
il resto.”
Fece una pausa, raccogliendo i suoi pensieri.
“Vedi Katie, l’esistenza stessa di Ghalad è retta
da sei Essenze, globi di magia pura che
assicuravano
pace
e
una
certa
prosperità.
Queste Essenze hanno un potere enorme e
illimitato,
che
va
al
di
là
di
qualsiasi
comprensione. Nessuno ha mai saputo quanto
ne abbiano realmente, o quale sia la loro vera
capacità,
e
proprio
questa
ignoranza
ha
alimentato per secoli le leggende sulla loro
forza. Con il passare del tempo, le Essenze sono
diventate
il
simbolo
stesso
del
potere
e
dell’invincibilità.”
Sorrise di fronte all’espressione scettica sul suo
viso.
“Non esserne così sorpresa, Katie. Sai, in un
primo momento queste Pietre si trovavano
proprio sulla Terra, nel nostro mondo. Sono
quasi sempre state al centro di guerre e
battaglie e ovunque andassero lasciavano dietro
di loro una lunga scia di sangue. Fu per questo
motivo che si decise di portarle a Ghalad, dove
si pensava fossero più al sicuro.”
Katie alzò un sopracciglio, incredula.
“Quindi sono veramente state sulla Terra?”
“Oh, sì, sono state l’oggetto di contesa in alcune
delle
guerre
più
sanguinose
della
storia
dell’umanità, troppe per poterle elencare tutte.
Ma se vuoi ti posso citare l’esempio più famoso,
una storia che tu certamente conosci. Una
storia di inganni e di battaglie durata ben dieci
anni…”
A quelle parole la ragazza aggrottò la fronte,
pensierosa. Una guerra durata dieci anni…
Quasi cadde dal divano quando si rese conto di
quale guerra Arkel stesse parlando.
“La guerra di Troia? Quella guerra?”
Arkel ridacchiò divertito di fronte alla sua
espressione attonita.
“Esattamente Katie, proprio la guerra di Troia,
la stessa cantata da Omero. Solo che nella realtà
gli Achei e i Troiani non si fronteggiarono per
l’amore di una donna, come vuole la leggenda.
Il vero interesse da proteggere era una delle sei
Essenze.”
Katie scosse la testa, confusa.
“Come è possibile? Insomma, come ha fatto
questa Essenza a diventare una donna, Elena?
Qualcuno avrebbe pur dovuto raccontare ciò
che era realmente accaduto, per cosa si era
combattuto tutti quegli anni. Anche solo dei
minimi accenni avrebbero dovuto esserci e
invece…”
“Invece
non
dell’effettiva
troveresti
presenza
la
minima
della
traccia
Pietra
nella
vicenda. Dopo quell’incidente pensammo che
fosse più… saggio nascondere per un po’ la
notizia della loro esistenza, per evitare altre
guerre di quella portata. E per fare questo non
abbiamo avuto altra scelta che dare una lieve
ritoccata alla storia.”
La ragazza lo fissò, sospettosa.
“Mi stai dicendo che avete cambiato tutto? Che
avete sostituito Elena alla Pietra?”
Arkel annuì, imperturbato.
“Non potevamo certo lasciare che ci fossero
altre stragi come quella, anche se poi non è
servito
a
molto.
Il
potere
delle
Essenze,
nonostante cercassimo di nasconderlo, era
troppo
grande
per
riuscire
a
passare
inosservato. Ci furono tante altre guerre come
quella che purtroppo non riuscimmo a evitare,
vite
che
non
riuscimmo
a
salvare,
tutte
sacrificate in nome della brama di potere.
Quando alla fine la nostra coscienza non riuscì
più a sopportare il peso di quelle stragi,
decidemmo
di
portare
definitivamente
le
Pietre a Ghalad, dove eravamo certi che
sarebbero
state
provocare
nuove
al
sicuro
vittime.
e
Ci
lontane
dal
sbagliavamo.
Fummo così ciechi da non renderci conto che,
così come era successo nel mondo degli umani,
così sarebbe successo anche a Ghalad. Per ben
due volte le Essenze sono state rubate e per ben
due volte abbiamo temuto il peggio, la fine di
ogni speranza. Una volta siamo riusciti a
fermare tutto questo da soli, ma adesso non ne
abbiamo più né la forza né la capacità. Senza le
Pietre, l’intera Ghalad e la Terra stessa non
potranno sopravvivere. La loro esistenza e
quella della barriera dipendono da quel potere,
e più il tempo passa, più la barriera e la vita dei
due mondi si indeboliscono. Se le Essenze non
verranno trovate al più presto, allora non ci
sarà più nulla per cui lottare, nulla per cui
vivere. Volevi sapere il motivo per cui ti trovi
qui, Katie. Tu sei qui per salvare umani e
creature, sei qui per salvare tutti. Tu sei la
Prescelta.”