"Sistema Sanzionatorio Penale nelle Frodi Fiscali".

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"Sistema Sanzionatorio Penale nelle Frodi Fiscali".
SISTEMA SANZIONATORIO PENALE NELLE FRODI FISCALI
RELAZIONE DEL GENERALE DIVISIONE GIUSEPPE GERLI AL
CONVEGNO ORGANIZZATO DAL CENTRO DIRITTO PENALE
TRIBUTARIO IN CHERASCO (CN)
21 NOVEMBRE 2014
SOMMARIO
1. L’applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali e personali alle
fattispecie evasive tributarie.
2. Prospettive future del sistema sanzionatorio tributario.
La Legge Delega 23/2014 di riforma del sistema fiscale.
1
1. L’applicabilità delle misure di prevenzione personali e patrimoniali alle fattispecie
evasive tributarie.
Negli ultimi decenni la necessità di incrementare l’azione di contrasto alle più pericolose
forme di criminalità, operanti anche in modo organizzato, assicurandone una maggiore
efficacia ha indotto il legislatore nazionale ad affinare progressivamente gli strumenti
messi a disposizione delle forze di polizia e degli organi giudiziari e diretti a privare le
organizzazioni criminali dei capitali accumulati illecitamente, inquinando in modo
irreversibile l’economia legale.
Tra gli strumenti che assicurano maggiore efficacia all’esercizio dell’azione di contrasto
patrimoniale alla criminalità economica si annoverano:
-
la c.d. “confisca allargata”, operante in ambito penale e disciplinata dall’art. 12-sexies
del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 1;
la c.d. “confisca di prevenzione”, attualmente prevista in seno all’art. 24 del D.Lgs. 6
settembre 2011, n. 159, contenente il nuovo “Codice delle leggi antimafia”.
Come verrà meglio chiarito in seguito, in entrambi i casi, l’apprensione dei beni si fonda,
tra l’altro, sulla riscontrata “sproporzione” tra i redditi dichiarati ovvero le attività
economiche svolte dai soggetti investigati, rispetto agli incrementi patrimoniali dai
medesimi registrati nell’arco temporale monitorato. Ebbene, tra le questioni di maggior
rilievo non ancora risolte in modo definitivo dal legislatore e recentemente affrontate in
giurisprudenza, rientra certamente la possibilità per i soggetti potenzialmente
assoggettabili a tali misure ablative di giustificare la medesima sproporzione dimostrando
che la stessa scaturisce dallo svolgimento di attività economiche “in nero”, che hanno
generato proventi sottratti al Fisco, per questo non rilevabili da parte degli organi
investigativi mediante l’esame delle dichiarazioni fiscali, ovvero delle attività economiche
“emerse”, dagli stessi lecitamente condotte.
Per questo, nel presente paragrafo verrano evidenziate le questioni ancora aperte, in
attesa di un intervento legislativo che possa definitivamente omogeneizzare la portata
applicativa della richiamata “confisca allargata” in ambito penale, rispetto a quella
disciplinata dal Codice Antimafia.
Nello specifico, l’istituto della confisca allargata in ambito penale, disciplinata dall’art.
12-sexies, offre agli operatori giuridici un percorso agevolato rappresentato dalla
dimostrazione della discordanza tra:
-
la capacità reddituale di una persona sottoposta ad indagini per determinate
fattispecie delittuose, durante l’arco temporale di riferimento;
il patrimonio accumulato da tale soggetto nel medesimo periodo 2.
1 Convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356.
2 Tale istituto è entrato in vigore subito dopo l’emanazione della sentenza della Corte
Costituzionale n. 48 del 1994, con cui è stata sancita l’illegittimità costituzionale – in relazione
all’art. 27, comma 2, della Costituzione – dell’art. 12-quinquies, comma 2, del D.L. n. 306/92.
2
L’elenco delle fattispecie delittuose che risultano presupposto per l’applicazione della
“confisca allargata” è stato oggetto di progressivo ampliamento, con esclusione dei reati
penal-tributari.
In sostanza, la confisca ex art. 12-sexies si applica nei casi di condanna del soggetto
(anche a seguito di “patteggiamento” ex art. 444 c.p.p.) per uno dei reati-presupposto e
può avere ad oggetto denaro, beni e altre utilità nella titolarità o disponibilità del reo (anche
per interposta persona fisica o giuridica), al ricorrere dei seguenti requisiti:
-
rilevazione della sproporzione tra il valore dei beni potenzialmente oggetto della
confisca ed il reddito dichiarato o l’attività economica svolta dal reo;
impossibilità per il soggetto di giustificare la legittima provenienza dei beni di cui sia
titolare ovvero abbia, anche per interposta persona fisica o giuridica, la disponibilità a
qualsiasi titolo.3
L’applicabilità della confisca obbligatoria in sede di condanna giustifica - durante la fase
delle indagini preliminari - l’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca,
laddove sussistano, inscindibilmente:
-
il fumus di uno degli illeciti “presupposto”, consistente nell’astratta configurabilità di
una delle fattispecie delittuose richiamate dall’art. 12-sexies, senza che rilevino né la
sussistenza degli indizi di colpevolezza né la loro gravità;
-
il periculum in mora, per il quale, secondo autorevole dottrina, il requisito
dell’imminenza del pregiudizio implica che “l’evento dannoso paventato da chi
domanda il provvedimento d’urgenza debba non essere di remota possibilità, ma
incombere con vicina probabilità” e che “l’iter, il quale conduce a detto evento, appaia
già, se non proprio iniziato, almeno direttamente ed univocamente preparato” 4.
E’ indubbio che tale misura ablatoria si sia rivelata un efficace strumento di aggressione ai
patrimoni illecitamente accumulati non solo dalla criminalità mafiosa, ma anche dagli autori
di altri reati, commessi sempre con finalità di arricchimento indebito, quali i delitti di
contrabbando aggravato, contraffazione, peculato, concussione, corruzione, usura,
riciclaggio, reimpiego dei proventi illeciti in attività economiche e finanziarie.
La sua forza è rappresentata dal fatto che mira direttamente a colpire i beni, nella
prospettiva di evitare che gli stessi, rimanendo nella disponibilità del condannato, possano
essere riutilizzati in altre attività illecite.
3 Facendo riferimento espresso ai concetti di “titolarità” e “disponibilità”, il legislatore ha inteso
estendere il campo di operatività della confisca per sproporzione, attribuendo rilevanza ad ogni
genere di rapporto esistente fra i beni ed il reo, purché idoneo ad assicurare, a quest’ultimo, il
pieno godimento e la libera destinazione dei beni medesimi.
4 In tal senso, testualmente, cfr. Cass. Sez. U., sent. n. 920 del 19-01-2004 (cc. del 17-12-2003),
Montella (rv 226492). In senso conforme, cfr, Cass. Sez. VI, Sent. n. 27710 del 14-04-2008 (ud.
del 14-04-2008), I.G. (rv. 240527); Cass. Sez. I, sent. n. 9218 del 14-01-2009 (ud. del 14-01-2009),
B.M.R. (rv. 243544); Cass. Sez. I, sent. n. 16207 del 11-02-2010 (ud. del 11-02-2010), (rv.
247237).
3
Attraverso la selezione di una serie di fattispecie delittuose connotate da un elevato
disvalore sociale, idonee a creare un’accumulazione economica che possa astrattamente
consentire la realizzazione di ulteriori crimini, in un’ottica di politica criminale, il legislatore
ha giustificato l’applicazione di una presunzione, iuris tantum, di origine illecita del
patrimonio “sproporzionato” a disposizione del condannato per i medesimi illeciti, in
relazione alla quale la Corte Costituzionale ne ha sottolineato la ragionevolezza 5.
Come accennato, l’ulteriore strumento messo a disposizione dal legislatore per il contrasto
alla criminalità economica è rappresentato dalle misure di prevenzione personale e
patrimoniale, attualmente disciplinate in seno al nuovo “Codice delle leggi antimafia”, la
cui emanazione è scaturita dalla necessità di disciplinare in modo organico lo specifico
comparto.
In base alla rinnovata disciplina, infatti, il legislatore ha, innanzitutto, individuato, in seno
agli artt. 1 e 4, le tipologie di soggetti nei cui confronti risultano applicabili le misure di
prevenzione personale.
Nello specifico, le misure dell’avviso orale e del foglio di via obbligatorio, di
competenza del Questore, sono applicabili a coloro che:
-
debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici
delittuosi;
per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che
vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che siano
dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o
morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
Invece, la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ed il divieto o l’obbligo di
soggiorno, possono essere disposti dall’Autorità Giudiziaria nei confronti:
-
-
delle persone che possono essere destinatarie di provvedimenti del Questore;
degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra, alla
‘ndrangheta o alle altre associazioni, comunque localmente denominate, che
perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di
tipo mafioso, nonché agli indiziati per uno dei reati di cui all'art. 51, comma 3- bis,
C.P.P., ovvero del delitto di cui all’articolo 12-quinquies, comma 1, del D.L. 8 giugno
1992, n. 306;
di coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori,
obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la
commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II del codice penale 6
o dagli articoli 284 (Insurrezione armata contro i poteri dello Stato), 285
(Devastazione, saccheggio e strage) 286 (Guerra civile), 306 (Banda armata), 438
5 Cfr. Corte Cost., Ord. n. 18/1996. In tale pronunciamento, la Consulta ha chiarito che i delitti
individuati dal legislatore presentano una notevole propensione a essere perpetrati in forma quasi
professionale e a porsi quali fonti di ricchezza illecita.
6 Nel libro II, titolo VI, capo I, del codice penale sono rubricati i delitti di comune pericolo mediante
violenza.
4
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-
(Epidemia), 439 (Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari), 605 (Sequestro di
persona) e 630 (Sequestro di persona a scopo di estorsione) dello stesso codice
nonché con la commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale;
di coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della Legge
20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento
successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente;
di coloro che compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla
ricostituzione del partito fascista ai sensi dell’articolo 1 della citata Legge n. 645 del
1952, in particolare con l’esaltazione o la pratica della violenza;
di coloro che, fuori dei casi indicati ai precedenti tre punti, siano stati condannati per
uno dei delitti previsti dalla Legge 2 ottobre 1967, n. 895 7, e dagli articoli 8 e seguenti
della Legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni 8, quando debba
ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un
reato della stessa specie con il fine di sovvertire l’ordinamento dello Stato o con finalità
di terrorismo anche internazionale;
degli istigatori, dei mandanti e dei finanziatori dei reati indicati nei punti precedenti,
intendendo per finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni,
conoscendo lo scopo cui sono destinati;
delle persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte
attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza nel corso di attività o
manifestazioni sportive di cui all’articolo 6 della Legge 13 dicembre 1989, n. 401.
Il campo di applicazione di tale legislazione è stato esteso anche a soggetti che, seppur
non indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o di aver compiuto reati
particolarmente gravi, hanno comunque svolto o traggono profitti dalla commissione di
reati.
Per quanto d’interesse in questa sede, tra i c.d. “delinquenti abituali”, potenzialmente
destinatari di una misura di prevenzione personale di competenza del Questore, ai sensi
dell’art. 1 del D. Lgs. n. 159/11, rientrano, tra l’altro, i c.d. “evasori fiscali seriali” ed i
soggetti abitualmente dediti alla commissione di gravi reati finanziari, fallimentari e
societari, ovvero che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di tali attività
delittuose, i quali, conseguentemente, risultano pienamente assoggettabili anche alla
misura di prevenzione patrimoniale della “confisca per sproporzione”.
Inoltre, per gli stessi, occorre specificare che la “pericolosità sociale”, presupposto per
l’applicazione della misura di prevenzione personale, deve essere desunta, in concreto, da
“elementi di fatto” qualificati, che consentano di dimostrare il loro coinvolgimento non
episodico, quanto piuttosto sistematico, nelle indicate attività delinquenziali.
Sul fronte del contrasto patrimoniale, in seno all’art. 16 del medesimo decreto delegato,
il legislatore ha individuato i seguenti soggetti, potenzialmente destinatari delle misure di
prevenzione:
7 La L. 2 ottobre 1967, n. 895 contiene le “Disposizioni per il controllo delle armi”.
8 Gli articoli 8 e seguenti della Legge 14 ottobre 1974, n. 497 (contenente “Nuove norme contro la
criminalità”) hanno modificato il primo comma dell’articolo 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423
(con riferimento alla punibilità dei contravventori agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale),
nonché l’articolato della Legge 2 ottobre 1967, n. 895 (in materia di armi ed esplosivi).
5
-
soggetti di cui all’art. 4, in seno al quale sono ricomprese tutte le persone
potenzialmente destinatarie di misure di prevenzione personale, tra cui i c.d.
“delinquenti abituali”;
persone fisiche e giuridiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite,
o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento di fondi o
di risorse economiche, quando vi siano fondati elementi per ritenere che i fondi o le
risorse stesse possano essere dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di
organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.
Sotto il profilo oggettivo, l’art. 24, in combinato disposto con l’art. 20 del D.Lgs. n. 159/11,
prevede che la confisca venga disposta “sui beni sequestrati di cui la persona nei cui
confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di
cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la
disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini
delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino
essere il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”.
Quindi, analogamente a quanto previsto per la confisca allargata in ambito penale,
disciplinata dall’art. 12-sexies del D.L. n. 306/92, uno dei requisiti oggettivi richiesti per
l’applicazione di tale misura di prevenzione patrimoniale è rappresentato dalla
sproporzione tra le accumulazioni patrimoniali ed i redditi dichiarati, ovvero le attività
economiche svolte dal soggetto proposto.
Come accennato, la rilevanza dell’evasione fiscale, ai fini della verifica della sproporzione,
rientra tra le questioni non ancora affrontate direttamente dal legislatore, per cui occorre
far riferimento a taluni recenti orientamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità al
fine di definire con maggiore chiarezza il contesto di riferimento.
Innanzitutto, occorre evidenziare che la formulazione normativa attualmente adottata per
disciplinare l’applicazione della confisca per “sproporzione”, nonché della confisca di
prevenzione, richiede la verifica della sussistenza di uno squilibrio tra:
-
il valore economico del patrimonio (staticamente inteso) di cui il reo abbia la
disponibilità;
il reddito da questi dichiarato, ovvero i proventi della sua attività economica, sotto
l’aspetto dinamico delle fonti di produzione attraverso attraverso le quali la ricchezza
(nella sua consistenza quantitativa e composizione qualitativa) si è formata nel tempo.
Per questo, secondo la giurisprudenza di legittimità consolidatasi con riferimento alle
ipotesi di applicazione dell’art. 12-sexies del D.L. 306/92, assume specifico rilievo il
confronto tra i valori economici in gioco, partendo dal reddito dichiarato o dall’attività
economica non già al momento dell’applicazione della misura in relazione a tutti i cespiti
presenti, bensì nel momento in cui sono avvenuti i singoli acquisti entrati a far parte della
patrimonio del reo9.
In sede di raffronto, non deve essere sottovalutata, per un verso, la quota di reddito
consumata in relazione al tenore di vita del reo e della sua famiglia, e dall’altro la
9 Cass. pen., SS.UU., 19 gennaio 2004, n. 920.
6
generazione di leciti proventi derivanti da eventuali legittime alienazioni di beni eseguite
nell’arco di tempo monitorato.
Come accennato, ai fini della valutazione della sproporzione rispetto al patrimonio, occorre
tener conto, in via alternativa e non concorrente, del reddito dichiarato al fisco o della sua
attività economica10.
Da ciò deriva che le dichiarazioni presentate ai fini fiscali costituiscono di norma un
elemento di raffronto sufficiente, per cui, secondo il Supremo Collegio, una volta
apprezzata la sproporzione rispetto al dato ufficiale, cioè al reddito dichiarato, il giudice
non è obbligato a ricercare una situazione di fatto contrastante con il dato documentale.
Tuttavia, ai fini dell’applicazione della “confisca allargata” in sede penale, nonché del
prodromico sequestro preventivo ex art. 321 C.p.p., in corso d’indagini, qualora l’imputato
dimostri in modo attendibile la titolarità di un’attività economica che superi, di fatto,
“l’immagine reddituale rappresentata al fisco”, il giudice deve tenere conto di tale realtà nel
suo libero convincimento11.
Sul tema, inoltre, si è più volte soffermata la Corte di Cassazione, consolidando
l’orientamento in base al quale deve essere ammessa la prova della legittima provenienza
dei beni sottoposti a sequestro (e confisca) ex art.12-sexies, anche attraverso redditi
derivanti da evasione fiscale12.
Tali conclusioni sono giustificate dalla natura e dalle finalità attuali dell’istituto della
confisca “per sproporzione” applicabile in ambito penale, se si tiene conto del fatto che la
presunzione di illiceità della provenienza delle risorse patrimoniali di un dato soggetto non
mira a colpire quelle situazioni in cui le fonti di produzione siano identificabili, lecite, ossia
tali da giustificarne la titolarità in termini non sproporzionati ad esse, a prescindere
dall’assenza o incompletezza di una dichiarazione dei redditi.
Diversamente, la norma penale consentirebbe l’espropriazione del patrimonio non già in
base alla presunzione di provenienza illecita dello stesso, bensì proprio in ragione
dell’evasione fiscale, in aperto contrasto con l’attuale ratio dell’istituto in questione.
Tali conclusioni assumono vieppiù rilievo per coloro che ritengono suggestiva la possibilità
di estendere lo strumento della confisca per “sproporzione” ex art. 12-sexies, quantomeno
alle più gravi e pericolose fattispecie frodatorie esistenti in ambito fiscale.
Invero, in assenza di dichiarazioni fiscali, oppure in presenza di dichiarazioni fraudolente o
infedeli, la possibilità riconosciuta in astratto al reo di giustificare la provenienza del
cespite anche con redditi non dichiarati fiscalmente rimane subordinata alla preventiva e
rigorosa dimostrazione da parte dell’interessato dell’esistenza di un’attività economica
10 Cfr. Cass. Sez. 1, Sent., 10 giugno 1994, n. 2860, Cass. Sez. 1, Sent. 14 ottobre 1996, n.
5202.
11 Cass. pen. Sez. V Sent., 25 settembre 2007, n. 39048.
12 Cfr. Cass. pen. Sez. VI, Sent., 26 luglio 2011, n. 29926.
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lecita, vale a dire di un’attività non solo in sé lecita (cioè consentita dall’ordinamento), ma
che trovi anche origine lecita.
Per questo, certamente non potrà ritenersi giustificato l’acquisto di un bene attraverso
redditi (non dichiarati) derivanti da attività lecita ma avviata con capitali illeciti, per
l’evidente conseguenza elusiva rispetto alla ratio della norma in commento13.
Pertanto, in capo all’imputato (o condannato) ricade l’onere di dimostrare, in questi casi,
l’entità e la natura lecita dei redditi fiscalmente evasi, facendo ricorso ad elementi
inequivoci e verificabili, anche documentali, sull’effettiva produzione del reddito.
Tuttavia, essendo in presenza di redditi non dichiarati, in relazione ai quali normalmente il
contribuente mira a non lasciare traccia, in molti casi certamente l’assoluzione di tale
prova può risultare poco agevole14.
Diversamente, a conclusioni totalmente opposte è di recente giunta la giurisprudenza di
legittimità con riferimento alla “deducibilità” dei redditi non dichiarati al fisco, ai fini della
verifica della sproporzione in sede di applicazione della confisca di prevenzione.
Al riguardo, infatti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33451
del 29 luglio 201415, hanno definitivamente chiarito che, ai fini della confisca di
prevenzione, per individuare il presupposto della sproporzione tra i beni posseduti e le
attività economiche del soggetto, deve tenersi conto anche dei proventi dell’evasione
fiscale.
In tale ambito, la diversa impostazione seguita dal Supremo Collegio, riguardo alla
rilevanza delle “attività in nero” scaturisce da una sostanziale diversità tra i due istituti,
atteso che:
-
le misure di prevenzione patrimoniali sono applicabili (anche) nei confronti di soggetti
a cosiddetta “pericolosità generica”, ovvero di coloro nei cui confronti può formularsi il
giudizio circa la loro attitudine a commettere attività penalmente illecite, non
necessariamente connesse a forme particolari di criminalità 16. Per tale ragione, tra le
attività illecite della persona sottoposta a misura di prevenzione vi può essere anche
l’evasione fiscale;
13 Laddove si verserebbe in un’ipotesi di reimpiego di proventi illeciti in un’attività economica o finanziaria, penalmente
rilevante ex art.648-ter c.p..
14 In tal senso, vedasi Cass. pen. Sez. II, Sent., 01 settembre 2011, n. 32977, nella quale i giudici
di legittimità hanno ritenuto corretto il riferimento fatto dal Tribunale ai soli redditi dichiarati e non
anche ai complessivi proventi (rectius: gli asseriti introiti in nero non dichiarati al fisco),
evidenziando che l’onere di allegazione che l’indagato aveva, in ordine alla positiva liceità della
provenienza dei beni sottoposti a sequestro, non poteva dirsi in alcun modo assolto.
15 Tale pronunciamento giurisprudenziale si riferisce ad un’ipotesi di applicazione della confisca di
prevenzione ex art. 2-ter della legge 31 maggio 1965 n. 575, previgente rispetto all’attuale Codice
Antimafia; tuttavia, in ragione della uniformità delle disposizioni ivi contenute, i principi espressi dal
Supremo Collegio risultano estensibili anche alle disposizioni che disciplinano la confisca di
prevenzione “per sproporzione” nella sua attuale formulazione normativa.
8
-
la confisca ex art.12-sexies si fonda, invece, sulla condanna del soggetto per una
serie di reati a connotazione economica, solo in parte coincidenti con le ipotesi
previste in materia di misure di prevenzione e tra i quali attualmente non rientrano i
reati tributari disciplinati dal D. Lgs. n. 74/2000.
Come sottolineato dalle Sezioni Unite della Cassazione, l’esame dei precedenti
giurisprudenziali riguardanti i casi di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale
consente di rilevare la frequenza con cui – tra le cause di giustificazione della legittima
provenienza dei beni – sia stato fatto ricorso alla c.d. “evasione fiscale”.
Tuttavia, questa giustificazione è stata ritenuta inidonea a tal fine, rientrando oramai
pacificamente l’evasione fiscale tra le attività illecite che giustificano l’applicazione della
confisca di prevenzione prevista dall’art. 24 del Codice Antimafia.
Sul punto, la Suprema Corte ha ribadito che la confisca di prevenzione “persegue un più
ampio fine di interesse pubblico volto all’eliminazione dal circuito economico di beni di
sospetta provenienza illegittima - siccome appartenenti a soggetti abitualmente dediti a
traffici illeciti dai quali ricavano i propri mezzi di vita - che sussiste per il solo fatto che quei
beni siano andati ad incrementare il patrimonio del soggetto, a prescindere (…)
dall’eventuale provenienza dei cespiti da attività sommerse fonte di evasione fiscale. In
altri termini la finalità preventiva perseguita con lo strumento ablativo risiede nell’impedire
che il sistema economico legale sia funzionalmente alterato da anomali accumuli di
ricchezza di cui il soggetto possa disporre per il reimpiego nel circuito economicofinanziario, ragione per la quale devono considerarsi di provenienza illecita anche i redditi
acquisiti per effetto dell’evasione fiscale”.
Al fine di marcare la differenza tra la confisca di prevenzione e la confisca allargata ex art.
12-sexies D.L. 306/92, il Supremo Collegio a Sezioni Unite ha evidenziato che, mentre
quest’ultima è legata alla non giustificabilità della provenienza delle utilità ed alla
sproporzione rispetto ai redditi dichiarati o alla propria attività economica, quella di
prevenzione aggiunge - profilo estraneo alla confisca ex art. 12-sexies - in alternativa, la
riconducibilità dei beni, sulla base di sufficienti indizi, al frutto di attività illecite ed al
reimpiego delle stesse (“beni ...che siano il frutto di attività illecite e ne costituiscano il
reimpiego”).
Confermando un orientamento già espresso 17, le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che
l’evasione fiscale integra ex se un’attività illecita anche qualora non si configuri una
fattispecie di reato, sottolineando, peraltro, che la “sottrazione di attività, pur
intrinsecamente lecite (e cioè da impresa palese, non da mafia), agli obblighi fiscali (in
tutto o in parte), inevitabilmente porta con sé altre connesse illiceità, non essendo neppure
immaginabile che l’evasione fiscale non comporti anche altre correlate violazioni che
parimenti locupletano il soggetto o sono strumentali all’illecito arricchimento”.
16 Le persone a pericolosità generica sono ora indicate dall’art.1 del Dlgs. n. 159/2011.
17 Cfr. Cass. pen., Sez. II, sentenza 13 ottobre 2011, n. 36913. In senso contrario, ma solo con
riferimento all’ipotesi di applicazione della confisca penale allargata di cui all’art. 12-sexies D.L.
306/92 (laddove l’ablazione per sproporzione è limitata a specifiche fattispecie illecite indicate dal
legislatore), cfr. Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-05-2011) 26-07-2011, n. 29926; in materia, cfr.
altresì Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-10-2011) 07-11-2011, n. 40048.
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In conclusione, la giurisprudenza di legittimità ha definitivamente escluso la rilevanza
dell’evasione fiscale ai fini dell’applicazione della confisca per sproporzione, in ambito
penale, ex art. 12-sexies del D.L. 306/92.
Come accennato, ad una diversa soluzione si potrà pervenire solo per volontà del
legislatore, qualora si opti per l’inserimento nell’elenco dei reati-presupposto della sopra
richiamata confisca allargata delle fattispecie penal-tributarie, contraddistinte da maggiore
gravità, da cui emerga un disvalore tale da giustificare l’applicazione di tale istituto in sede
penale, quale efficace strumento per privare i condannati dalle ricchezze illecitamente
accumulate.
Diversamente, le Sezioni Unite della Cassazione, con riferimento alla confisca di
prevenzione hanno chiarito che l’evasione fiscale non rileva, ex se, come fonte di
“pericolosità sociale”, dovendosi tuttavia escludere che la stessa possa essere addotta
quale giustificazione (anche parziale) dell’illecita accumulazione di ricchezza.
Seguendo tale indirizzo, il Supremo Collegio ha evidenziato che il vigente Codice
Antimafia non ha introdotto una nuova tipologia di confisca “per sproporzione”, rivolta a
colpire indirettamente l’evasione fiscale.
Tuttavia, non vi è chi non veda come la sistematica evasione fiscale, in particolare quella
integrante condotte che rientrino nell’area dell’illecito penale, si attagli perfettamente alla
categoria di “pericolosità comune” delineata dall’art. 1, lett. a) e b) (e 4, lett. c) del Dlgs. n.
159/11, quando il soggetto viva di traffici delittuosi ovvero con il provento di attività
delittuose, tali considerandosi anche (ma non solo) i profitti prodotti dall’evasione fiscale,
ancorché la stessa sia pertinente ad attività economiche astrattamente lecite 18.
Ne deriva che, in forza di una vera e propria “clausola generale di illiceità” contenuta nel
vigente Codice Antimafia, i beni suscettibili di sequestro e successiva confisca di
prevenzione possono essere frutto di qualsiasi attività illecita o costituirne il reimpiego,
senza necessità di distinguere se tale attività sia o meno mafiosa, con conseguente
possibilità di ricomprendere anche i proventi derivanti da illeciti di natura tributaria 19.
3. Prospettive future del sistema sanzionatorio tributario.
La Legge Delega 23/2014 di riforma del sistema fiscale.
Con l’emanazione della Legge Delega 11 marzo 2014, n. 23 (in vigore dal 27 marzo) il
Governo è stato delegato ad introdurre “disposizioni per un sistema fiscale più equo,
trasparente e orientato alla crescita”.
Nell’ambito di questa strategia di persuasione al rispetto degli obblighi tributari e di
contrasto dei comportamenti in violazione, rimane centrale il ricorso alla sanzione penale
e, quindi, la conferma di una scelta repressiva decisamente abbracciata agli inizi degli anni
ottanta (D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto
18 In tal senso vgs. Tribunale di Chieti, 12 luglio 2012 (procedimento 12/2012 R.G.M.P. della
Procura della Repubblica di Lanciano).
19 Cfr. G. Furciniti – D. Frustagli, Le indagini economico patrimoniali nel contrasto alla criminalità
organizzata, Giuffrè, 2013, pag. 30.
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1982, n. 516), rimodulata nel 2000 (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) e inasprita nel 2011
(D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011,
n. 148)20.
L’art. 8 della legge delega ha una rubrica apparentemente neutra (“revisione del sistema
sanzionatorio”) ma il contenuto della norma è chiarissimo nel suo riferirsi essenzialmente
al sistema sanzionatorio “penale”, confermato come necessario e irrinunciabile, anche se
riconosciuto bisognoso di una “revisione” attraverso uno o più decreti legislativi, in
attuazione di una pluralità di principi direttivi.
Poco è detto, invece, sul sistema sanzionatorio “amministrativo” - che pure è parte
integrante, e non meno importante, della strategia di contrasto all’evasione - ma è chiaro
che la diversa geometria delle sanzioni penali si riflette direttamente anche sulle sanzioni
amministrative, ampliandone o restringendone il campo di applicazione (si pensi alla
prescrizione, indirizzata al legislatore delegato di tener conto di “adeguate soglie di
punibilità” per delimitare l’entità del disvalore della condotta e la tipologia del trattamento
sanzionatorio).
In sostanza, nel rispetto del “principio di legalità” (art. 23 Cost.), il legislatore delegato è
stato invitato a ripensare la validità dell’attuale sistema sanzionatorio, pacificamente
racchiuso nel (ed espresso dal) D.Lgs. n. 74/2000 e successive modifiche in tema di
“nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto”.
L’aver indicato in modo esplicito il “criterio di predeterminazione” (e cioè che nessuno
possa venir punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla
legge né con pene che non siano da essa stabilite) non assurge tanto a presa di distanza
dallo ius conditum quanto, piuttosto, dai tentativi di superamento delle attuali fattispecie
incriminatrici in via interpretativa (es., giurisprudenziale) per delineare un sistema
sanzionatorio più rispondente alle esigenze sociali.
La delega rivendica al legislatore la decisione su ciò che è penale e ciò che non lo deve
essere, anche e soprattutto in funzione di garanzia dei contribuenti, i quali devono
conoscere esattamente le implicazioni della condotta che si accingono a tenere in materia
tributaria.
Un ulteriore tema che il legislatore delegato sarà chiamato ad affrontare nel prossimo
futuro è certamente quello legato alla “proporzionalità delle sanzioni rispetto alla gravità di
comportamenti”.
Se, in generale, vi è spazio per cogliere una qualche perplessità sull’asprezza attuale del
sistema penal-tributario dopo la riforma del 2011, l’invito ad una maggior cura del rapporto
tra gravità dell’illecito e gravità della sanzione comminata lascia trasparire un favor del
delegante per più “adeguate soglie di punibilità” e cioè per una scelta antitetica rispetto a
quella perseguita nella seconda metà del 2011 (quando furono ridotte, in linea generale, le
soglie di punibilità previste dal D.Lgs. n. 74/2000).
20 Per un approfondimento, vgs. P. Corso, Possibili obiettivi della revisione del sistema
sanzionatorio penale, in “Corriere tributario” n. 15 del 2014, pag. 1161; A. Iorio – S. Mecca, La
riforma del sistema sanzionatorio nella delega fiscale, in “il fisco” n. 16 del 2014, pag. 1528.
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Il legislatore delegato dovrà riflettere sulle soglie di punibilità soppresse e su quelle
mantenute (es., artt. 3, 4, 5, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 D.Lgs. n. 74/2000), tenuto conto
dell’ampio scarto tra il minimo (sei mesi di reclusione) e il massimo (sei anni di reclusione)
della pena comminata: pare di capire che si vogliono precisare i poteri dell’autorità
giudiziaria nella commisurazione della pena da irrogare.
Premesso che le sanzioni penali minime comminate attualmente per i reati di
dichiarazione fraudolenta (artt. 2, 3) e di creazione di documentazione falsa (art. 8) sono
dichiarate intangibili dalla “revisione” contestualmente affidata al legislatore delegato, se
ne può dedurre, a contrariis, che per le altre fattispecie l’intervento potrebbe riguardare
anche i minimi edittali (non i massimi che - come si è detto – rimangono i sei anni di
reclusione attualmente previsti, non aumentabili ma diminuibili in forza della previsione
della “possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi”).
Un’esplicita area di intervento è indicata come “revisione del regime della dichiarazione
infedele” (attualmente disciplinata dall’art. 4 D.Lgs. n. 74/2000), fattispecie nella quale la
legge delega sembra cogliere un deficit di proporzionalità tra le sanzioni comminate (da
uno a tre anni di reclusione) e l’effettiva gravità dei comportamenti.
Ancora, dalla legge delega si rileva che il legislatore sarà chiamato a prevedere “ efficacia
attenuante o esimente dell’adesione alle forme di comunicazione e di cooperazione
rafforzata di cui all’art. 6, comma 1”, nel quadro di una condivisibile scelta di fondo che è
quella che riconosce priorità alla massimizzazione degli introiti rispetto all’applicazione
delle sanzioni.
Una qualche ricaduta in termini penali (a favore del contribuente) si potrà avere anche
dall’applicazione dell’art. 1, comma 1, lett. d), della legge n. 23/2014. Attualmente si
assiste alla condanna penale ex art. 10-bis (omesso versamento di ritenute certificate) e
art. 10-ter (omesso versamento IVA) del D.Lgs. n. 74/2000, anche in presenza di superiori
debiti dello Stato e degli enti pubblici più che congrui per consentire al contribuente
l’adempimento corretto dei propri debiti fiscali.
La “tendenziale generalizzazione del meccanismo della compensazione tra crediti
d’imposta spettanti al contribuente e debiti tributari a suo carico” (cfr. lett. d), art. 1 L.
n.23/2014), potrebbe far riflettere sulla possibilità di una compensazione, tra gli stessi
soggetti (contribuente - Stato), che ricomprenda anche crediti non tributari di cui sia certo
l’an, il quantum, e il quando debeatur.
Inoltre, l’art. 8, comma 2, della legge n. 23/2014, vuole intervenire sulla disciplina del
raddoppio dei termini, quale risulta dopo l’intervento chiarificatore della Corte
costituzionale. Infatti il raddoppio è legato non alla “inviabilità”, ma all’effettivo invio della
denuncia ex art. 331 c.p.p. e il legislatore delegato è invitato a precisare quando l’invio
della denuncia debba essere “tempestivo” in relazione all’obiettivo di un maggior termine
per l’accertamento.
Infine, richiamando le considerazioni già sopra esposte, la Legge delega pare soffermarsi,
seppur non esplicitamente, anche in relazione all’omesso inserimento dei reati tributari
tra i reati presupposto di responsabilità amministrativa dell’ente.
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Inoltre, una meditazione sull’art. 6, comma 2, della legge n. 23/2014, nel suo esplicito
richiamo all’art. 8, può aprire la strada alla diretta responsabilizzazione dell’ente - ai sensi
del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (ovviamente da ampliare) - per deficitaria “gestione del
rischio fiscale”21.
21 L’art. 6, comma 2, legge n. 23/2014 dispone che “il Governo è altresì delegato a prevedere,
nell’introduzione delle norme di cui al comma 1, incentivi sotto forma di minori adempimenti per i
contribuenti e di riduzioni delle eventuali sanzioni, anche in relazione alla disciplina da introdurre ai
sensi dell’articolo 8 e ai criteri di limitazione e di esclusione della responsabilità previsti dal decreto
legislativo 8 giugno 2001, n. 231, nonché forme specifiche di interpello preventivo con procedura
abbreviata”. Per una panoramica aggiornata sulla giurisprudenza in tema di reati tributari e D.Lgs.
n. 231/2001, cfr. S.M. Corso, Codice della responsabilità “da reato” degli enti, Torino, 2014.
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