Voce 8 Gennaio.qxd - Partito Repubblicano Italiano
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QUOTIDIANO DEL PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO - ANNO LXXXVII - N° 4 - MARTEDI 8 GENNAIO 2008 Euro 1,00 NUOVA SERIE POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB (RM) CRISI GRAVISSIMA Da Lamberto Dini uniniziativa politica utile per il Paese L Italia ha iniziato il n u o v o anno nelle condizioni peggiori. Con una situazione drammatica a Napoli e in Campania che non trova precedenti nelle altre nazioni occidentali e che discredita l’immagine del nostro paese, oltre che penalizzare le condizioni di vita di tanti nostri connazionali. Ma vi è anche una situazione inflazionistica particolarmente esposta. Al rincaro dei combustibili dovuto all’aumento del prezzo del petrolio, si aggiunge quello dei generi di prima necessità, come il pane. I mercati infatti si sono aperti, la competizione è diventata molto più incalzante e molti nostri prodotti, per reggere, dovrebbero ricorrere a tecnologie ogm: ma la cosa, come sappiamo, è dibattuta e ostacolata. In questo modo il pane costerà come le brioche: ma sappiamo da esempi storici che questo non è un buon segno. L’unica iniziativa politica che appare preoccupata dall’esigenza di rilanciare la vita nazionale è quella che il leader dei liberaldemocratici, Lamberto Dini, ha esposto con un articolo sul “Corriere della Sera”. Dini ha rivolto al governo una serie di richieste che indicano un percorso che occorrerà intraprendere al più presto se si vuole arrestare la minaccia di un declino che oggi appare sempre più tangibile. Le richieste sono per larga parte da noi condivisibili, quando non sono addirittura come nel caso della necessità di abolire le province - temi classici dell’impostazione repubblicana. Su altre occorre discutere e qualche altra proposta andrebbe inserita per facilitare la modernizzazione del paese. Ma la domanda che ci poniamo, e che poniamo al senatore Dini, è un’altra. Può l’attuale governo, un governo nel quale come ha scritto egli stesso - “chi è incaricato di alte funzioni politiche” è ciò nonostante capace di “perdere la precisa cognizione della realtà”, essere in grado di compiere i passi necessari per risalire la china? Sinceramente, alla luce di quanto visto anche in questi ultimi giorni, ne dubitiamo. E se avessimo ragione, se il programma comunque di buon senso indicato da Dini fosse disatteso – nella maggioranza si sostiene infatti che il programma di governo c’è già e che Dini sostanzialmente deve tacere ed obbedire – cosa intende fare l’ex premier? Abbiamo tutta l’intenzione di vedere le sue carte e di iniziare un percorso finalizzato a superare l’attuale quadro politico che, nella nostra valutazione, ha dimostrato ampiamente di non avere né le energie, né le risorse per uscire da questa situazione. Ma il senatore Dini è pronto a trarre tutte le conseguenze necessarie dalla sua iniziativa politica? Ancora scontri a Pianura Il sindaco di Napoli: Prodi sapeva almeno da un anno La Iervolino attacca il premier I l sindaco del capoluogo campano, Rosa Russo Iervolino, attacca Prodi. “Sento di essere rispettosa istituzionalmente, ma al presidente del Consiglio Romano Prodi la possibilità di giungere a una situazione del genere era stata prospettata l’11 gennaio del 2007, durante una riunione fatta a Castel dell’Ovo dopo una lunga e particolareggiata relazione del commissario governativo di allora, Guido Bertolaso. Stranamente questa riunione non ha avuto ricadute”. “Dopodiché - prosegue - c’è stato un decreto legge del Governo, convertito in legge, che individuava alcuni siti che stranamente non sono stati aperti. Non voglio dire che ho fatto tutto in modo perfetto, ma la responsabilità è legata ai poteri che si hanno. Non posso essere responsabile di cose per la quali non ho mai avuto il potere, né io, né prima di me Riccardo Marone, né Bassolino”. USA, OBAMA IN VANTAGGIO NEW HAMPSHIRE NEL La candidata democratica alla presidenza Usa Hillary Clinton si è battuta per rimanere in vantaggio nel decisivo turno del New Hampshire. Ma, secondo nuovi sondaggi, sarebbe Barack Obama, già vincitore nello Iowa, a raccogliere più consensi .Le primarie del New Hampshire sono il prossimo campo di battaglia nel processo di scelta, stato per stato, dei candidati democratici e repubblicani in vista delle elezioni di novembre. MEDIORIENTE, AL QAEDA MINACCIA BUSH; LA CASA BIANCA NON SI PREOCCUPA La Casa Bianca non prende sul serio le minacce di morte di al Qaeda contro George W. Bush in occasione del suo imminente viaggio in Medio Oriente: “Non sono in grado di offrire altro che morte e violenza”, contro “la speranza offerta” dal presidente, “a quanti cercano una vita migliore”. Adam Gadahn, lo statunitense convertito all’Islam ritenuto l’esperto informatico di al Qaeda, con un lungo messaggio sul web aveva esortato i miliziani musulmani a preparare le “bombe” per l’arrivo di George W. Bush in Medio Oriente, dall’8 al 16 gennaio. SRY LANKA, NUOVI EUGENIO FUSIGNANI: ABORTO, UNA DISCUSSIONE CHE CI DISTRAE DA ALTRI TEMI. A pag. 4 L a Direzione nazionale del Pri, riunitasi il 7 gennaio 2008, esprime grande preoccupazione per le prospettive più immediate della situazione economica e sociale dell’Italia. Le vicende di Napoli non sono un incidente occasionale, ma rappresentano il frutto di una serie di errori che riguardano sia gli amministratori regionali e locali, sia esponenti di governo quale il ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio. Problemi da troppo tempo non risolti che precipitano in una situazione di emergenza alla quale risulta quasi impossibile dare una risposta adeguata. La crisi, ieri circoscritta ai soli problemi della finanza pubblica, rischia ora di incidere sugli equilibri economici più complessivi. Cresce il tasso di inflazione sulla spinta di fenomeni internazionali (petrolio e generi alimentari) che sfuggono al controllo dei singoli stati nazionali. Ne soffrono i ceti meno abbienti, mentre aumenta il senso di precarietà e pessimismo dei cittadini e degli operatori economici. L’Italia deve riprendere il cammino dello sviluppo, grazie ad un impegno collettivo in grado di conseguirlo. In questo contesto, la direzione del Pri valuta positivamente l’iniziativa politica di Lamberto Dini. Si tratta di un primo passo, un inizio per sviluppare una discussione più approfondita sulla base della quale tentare di prefigurare un assetto politico dell’Italia finalmente capace di rovesciare le attuali tendenze esorcizzando lo spettro di un suo incombente declino. Al di là della proposta Franceschini Intervento mirato a rafforzare la leadership Pd Il sistema francese e la governabilità italiana di Italico Santoro M a che succede al Partito democratico? Dopo la proposta di riforma elettorale (e costituzionale) di Franceschini, la dura replica di D’Alema, l’intervento di Veltroni e, da ultimo, le dichiarazioni di Bettini, si ha l’impressione che il gruppo dirigente del nuovo partito abbia perduto la bussola. Potremmo anche concludere che è in atto uno scontro di potere e chiudere qui il discorso. Ma sarebbe un’analisi ingiusta e superficiale, anche se – come è inevitabile in politica – tale scontro non è estraneo al dibattito in corso. Cerchiamo allora di capire quali siano i reali motivi del conflitto aperto da Franceschini con la sua proposta e quale sia la reale posta in gioco. Non abbiamo granché apprezzato l’opera di Veltroni come sindaco di Roma. Né la sua permanenza al vertice dei Democratici di sinistra fu di quelle destinate a lasciare il segno. Ma ci sono occasioni – come si suol dire – che creano le leadership; ed è quello che sta avvenendo probabilmente a Veltroni da quando il plebiscito ottenuto alle primarie ne ha legittimato la guida del Pd. Da quel momento, sia pure fra innumerevoli contraddizioni e ripiegamenti, il nuovo segretario ha perseguito un disegno ambizioso: fare del Partito democratico una forza politica a vocazione maggioritaria. Questo disegno apre di fatto, all’interno del centrosinistra, un triplice fronall’onorevole Sergio D’Elia, Presidente di “Nessuno te conflittuale: con la sinitocchi Caino”, ci aspettiamo un tempestivo e tonante stra radicale; con i partiti appello a che “nessuno tocchi Bassolino”. Non perché non sia il maggiore responsabile della tragedia che minori e i gruppi che, nello sta travolgendo Napoli e la Campania, ma perché i molti soggetti stesso Pd, puntano alla politici e istituzionali, di destra e di sinistra, che lo hanno sostericostruzione di un centro nuto e ne hanno condiviso scelte, pasticci ed omissioni tentano cattolico; e, infine e ineviora di farne il capro espiatorio da sacrificare. Una esecuzione tabilmente, con Prodi, che esemplare, solenne e traumatica come rito purificatore e, sopratper salvaguardare la tenuta tutto, come pietra tombale su tutto il passato: mancata costruziodel suo governo è costretto ne dei termovalorizzatori; assunzione di migliaia di netturbini ad essere lo zelante custode con mal di schiena e conseguente inabilità al lavoro; assunzione degli attuali e compositi improduttiva di migliaia di lavoratori “socialmente utili”; manequilibri di centrosinistra. cata apertura di nuove discariche. E poi commissari inerti e superpagati, enti inutili costati centinaia di migliaia di euro, conI segnali di questo triplice sulenze miliardarie etc. Pecoraro Scanio, Rosa Russo Jervolino, conflitto si sono avvertiti l’intero gruppo dirigente dei DS, destra sociale e sinistra ribelle, subito, già all’indomani la signora Lonardo, sindacalisti vari, cardinali e vescovi sappiadella elezione di Veltroni no che non basterà la testa di Bassolino a cancellare la loro comalla segreteria del Partito partecipazione attiva e compiaciuta a questi ultimi dieci anni di democratico, e da allora si degradante storia napoletana. sono ripresentati in vario modo. Fino alla proposta Candide dirompente di Nel migliore dei mondi possibili D SCONTRI In scontri nel nord del paese sono morti sette ribelli delle Tigri Tamil, che rivendicano l’istituzione di uno stato indipendente in Sri Lanka. Lo riferiscono fonti militari. Sale così a 73 il numero delle vittime delle violenze registrate da sabato in una escalation del conflitto che contrappone da 25 anni indipendentisti ed esercito. I soldati hanno distrutto tre bunker utilizzati dai ribelli nella penisola di Jaffna, nel nord. Documento della Dn Pri Franceschini. Che proprio dirompente non è: rappresenta solo la naturale e per certi versi prevedibile risposta a chi ha cercato nei mesi scorsi di ridimensionare, di annacquare o addirittura di compromettere definitivamente il disegno politico di Veltroni (e con esso anche la sua leadership nel Partito democratico). Il tema dell’assetto istituzionale del paese (e in questo contesto della legge elettorale) non è infatti di quelli che possano essere considerati neutrali per chi voglia fare del maggior partito di centrosinistra una forza politica a vocazione maggioritaria. Il dibattito tra il sistema tedesco e quello francese – i due poli estremi fra i quali oscillano le attuali proposte di riforma - può apparire ai più astratto ed inconcludente, ma è dall’adozione dell’uno o dell’altro (o dall’equilibrio che tra l’uno e l’altro sarà definito) che verranno determinati gli assetti politici dei prossimi anni. Con il sistema tedesco il Partito democratico dovrebbe venire a patti – sulla sua sinistra o sulla sua destra – con i partiti che dovessero superare lo sbarramento (del cinque per cento?). C’è di più. Il Pd rischierebbe addirittura di implodere in seguito alla formazione di un partito di centro, di ispirazione cattolica, che finirebbe per calamitare voti e dirigenti attualmente orientati verso il Partito democratico. Con il sistema francese – o con una sua variante comunque maggioritaria – il Partito democratico si imporrebbe invece come uno dei due poli, frantumando le velleità dei neocentristi o le ambizioni della sinistra radicale. Ne sono evidente conferma, proprio in Francia, la rapida eclisse di Bayrou o la sostanziale scomparsa della galassia comunista e verde. Tutto questo, alla fine, potrebbe riguardarci poco. E potrebbe avere scarsa importanza per forze politiche come la nostra che non hanno mai nutrito particolare interesse per i meccanismi elettorali. E d’altra parte un partito sopravvissuto a ben altre intemperie della storia può anche trascurare gli accidenti della cronaca. Il punto è, però, che tutto il dibattito in corso – e l’esito che ne scaturirà – hanno a che fare con la governabilità del paese (che è cosa diversa dalla stabilità dei governi). E una riedizione, magari ripulita dal sistema tedesco, dell’esperienza fallimentare dell’Unione, con la sua frammentazione e con i pesanti condizionamenti della sinistra radicale, non sarebbe di certo utile ad una Italia già in crisi. E non sarebbe utile a prescindere dalla collocazione del Pd, che sia in maggioranza o si trovi all’opposizione. E’ perciò che lo sforzo di Veltroni va sostenuto e, magari, stimolato. Tre fronti interni contro cui combattere sono forse troppi, e può essere che da questa battaglia il sindaco di Roma esca sconfitto. Ma è bene sapere, fin d’ora, che la sua sconfitta sarà la Waterloo della sinistra. E un’occasione perduta per il paese. Rifiuti e classe dirigente Ora il centrosinistra si assuma tutte le sue responsabilità L a responsabilità personale è quella che viene stabilita nei tribunali. Quella politica, invece, vive nei fatti, negli accadimenti della vita quotidiana. Il presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino e il presidente della provincia Dino Di Palma hanno un bel dire nello scaricare le responsabilità dell’emergenza rifiuti che devasta in questi giorni il territorio campano sulle spalle della gestione commissariale e quindi di organismi insediati dal ministero dell’Interno. Può anche essere vero, come ha detto la Iervolino, che si è soli e senza poteri nell’affrontare il disastro ambientale. Ma questo non esime la classe dirigente napoletana, una classe dirigente interamente di centrosinistra (un concetto mai abbastanza amplificato dall’informazione, soprattutto quella pubblica, probabilmente timorosa di disturbare il governo), dall’assunzione delle proprie responsabilità politiche. A maggior ragione se la propria carriera politica, quella di Bassolino e soci, è stata costruita sull’idea che la sinistra campana rappresentasse il nuovo, la legalità, la democrazia, la partecipazione popolare. Mentre dall’altra parte, nel centrodestra, vivevano la corruzione, i rapporti clientelari, i fantasmi della Prima Repubblica. I quindici anni di potere bassoliniano, dal 1993 ad oggi, uniformemente spalmati su tutta la regione affondano oggi sotto caterve di immondizia. E con essi scompare anche l’idea della diversità antropologica della sinistra, viene cancellata la questione morale, che veniva ancora riproposta alle comunali napoletane del 2006, quando la Iervolino gridava allarmata alle infiltrazioni camorristiche nel centrodestra. Per poi scoprire, a urne aperte, che l’Unione nei quartieri a più alta densità criminale, come la periferia orientale, aveva riportato percentuali anche dell’80%. Più di Siena, più di Modena. Bassolino e i suoi uomini ancora tentano una difesa disperata richiamandosi a un comune senso di responsabilità che dovrebbe garantire alla sua giunta altri due anni di manovra clientelare indisturbata. Dicono che se vanno via loro arriva la camorra. E’ il momento di denunciare questa grande mascherata, questo immenso alibi: se la camorra opera nel settore dei rifiuti non fa altro che attingere a una greppia che già esiste, evidentemente mantenuta dal governo campano. Con i soldi piovuti in questi anni in Regione si poteva trasformare la Campania in un giardino e Napoli essere pulita come una città svedese. Se così non è la colpa è di chi ha amministrato gli enti locali. Se Bassolino ama Napoli dovrebbe dimettersi, sgombrando il campo, oltre che dai rifiuti, dal suo oppressivo centro di gestione del potere. Come dovrebbe dimettersi il ministro dell’Ambiente, il campano Alfonso Pecoraro Scanio, l’uomo dal sorriso stereotipato che da anni, in nome di un ambientalismo di facciata, blocca la costruzione dei termovalorizzatori, preferendo i cumuli di immondizia nelle strade (e la diossina nell’aria). 2 LA VOCE REPUBBLICANA Martedì 8 gennaio 2008 economia Il purgatorio dellinformazione di Gutenberg = = = = = = = = = = = = = = Per Sandro Curzi il canone Rai è assolutamente intoccabile In cambio promette una televisione che sarà competente Campare ignorando il mercato I l sempre sorridente Sandro Curzi, scivolato dalla pensione al consiglio di amministrazione della Rai, dopo aver diretto per anni con allegria un telegiornale, che, chissà perché (?) era soprannominato Telekabul, si indigna, ma con pacatezza, perché qualche collega “sul più grande quotidiano italiano” ha avanzato la proposta, di fronte ai noiosi palinsesti della Rai, di non pagare più il canone. Bisogna perdonarli, questi ragazzi, sorride Curzi, non sanno quello che fanno, anzi, non sanno quello che dicono. Se un medico sbaglia, è il caso di rifiutarsi di pagare il servizio sanitario nazionale? Se un articolo di giornale non ci piace, è il caso di rifiutarsi di pagare le tasse, perché con quelle si assicurano anche i contributi di sostegno alla stampa? La risposta, per il nostro, è ovvia: no. Dal sillogismo curziano si ricava che no, non è possibile neanche pensare di non pagare il canone Rai. I programmi televisivi ci annoiano? Di Sanremo in tv non ne possiamo più? Troviamo Santoro insopportabile? Pazienza! Il canone si paga, perchè serve a sostenere il servizio pubblico. Già, se c’è una cosa nel bel Paese che non può minimamente essere messa in discussione, questa è il servizio pubblico radiotelevisivo. Potete mettere tutto in discussione, ma non l’inutile e costoso servizio pubblico dell’informazione. Che questo faccia un po’ schifo se ne è accorto però anche Curzi, il quale ha una sua ricetta: la competenza, creare una rete (pubblica) della competenza. “La Rai – ha scritto- ha bisogno come il pane di una rete della competenza”. Bravo. Ma come deve essere una rete della competenza? Ecco la risposta “una rete di stile e metodo… con dentro una fiction competente, cioè fatta con competenza… un’informazione regionale che mi dica al mattino se al pomeriggio piove… con dentro una comicità che faccia ridere… e con dentro perfino le belle donne, perIl canone televisivo ché anche la seduzione è compesi deve pagare: lo dice tenza”. Chiaro? Limpido. Viva la Sandro Curzi. Che però competenza! Ma, ci scuserà pensa ad una tv che sia Curzi, non vorremmo passare da competente. Ma non incompetenti, questa rete della sappiamo in base a competenza è una rete in più che quali parametri si aggiunge alle altre tre? O è una delle tre già esistenti? E, comunque vada, delle altre reti, che sempre per il sillogismo curziano sarebbero a questo punto incompetenti, che ne facciamo? Le buttiamo o le teniamo? Ma l’interrogativo che più ci assilla è un altro. Chi stabilisce nel servizio pubblico la competenza? Nei casi normali, è il mercato, ma con il servizio pubblico non c’è mercato. E allora? Siamo certi che Curzi sa bene chi, nella sua visione, è abilitato a stabilire le competenze, ma non ce lo dirà. Intervista di Lanfranco Palazzolo Furio Colombo, senatore Pd, ritiene che, rispetto a Hillary, Obama rappresenti meglio la fiducia degli Usa nel futuro La Clinton e il peso del passato O bama rappresenta la speranza del futuro. Lo pensa il Senatore del Partito democratico Furio Colombo a proposito delle elezioni primarie nel Pd americano. Senatore Colombo, cosa pensa della rimonta di Obama su Hillary Clinton? “Non parlerei di rimonta, quanto di affermazione di Obama. Questa dell’Iowa è stata la prima prova eletRitengo che il limite torale – pur con il modello del caucus per Hillary Clinton sia – nella quale i due sfidanti si sono quello di appartenere affrontati. La prova nell’Iowa non ha ad una politica troppo il rigore delle prove successive, come ancorata al passato. quella del New Hampshire, dove il Mentre Obama incarna voto viene scritto sulla scheda. Molti le speranze degli Usa osservatori americani avevano fatto delle osservazioni positive sulla solidità della candidatura di Obama. Anche io ho una grande simpatia per Obama”. Pensa che Obama sia stato più coerente di Hillary? “Obama ha votato contro la guerra in Iraq, quando non era popolare farlo per l’80 per cento degli americani. A mio avviso il candidato democratico aveva visto l’errore di questa scelta e ha votato contro, da senatore che deve rappresentare gli elettori americani. Inoltre Obama non ha mai cambiato questa posizione, anche quando Bush è diventato più popolare per quella scelta - prima di cadere nei sondaggi. Possiamo definirlo un kennedyano perché si è ispirato ad una filosofia che JFK aveva espresso nel suo bellissimo libro dal titolo ‘Ritratti del coraggio’. Si tratta dei ritratti di 20 americani che – secondo JFK – erano stati grandi perché avevano saputo prendere decisioni impopolari. Questa è la qualità tipicamente kennedyana di Obama. La seconda qualità è di non essersi trasformato in un rivendicatore della causa nera, ma di aver fatto le primarie con toni costruttivi e di speranza”. L’insuccesso di Hillary nello Iowa sfata il mito del candidato “ricco” e vincente? “Assolutamente no. Obama, giovane politico carismatico, ha raccolto tanti milioni di dollari quanti ne ha raccolti Hillary. Gli elettori americani danno e poi chiedono ai politici che sostengono. I contributi degli elettori servono agli spot televisivi. Qui i costi sono immensi e i candidati pagano la tariffa piena perché non possiedono televisioni. Il valore di quel che danno ha a che vedere con il risultato finale delle primarie”. Cosa pensa della candidatura di Hillary Clinton? “Hillary è sulla scena politica con onore da molto tempo. Ha il merito di avere proposto il piano di copertura sanitaria per tutti gli americani. Il piano era suo e non era del marito. Negli Usa sono 40 milioni le persone escluse dal piano sanitario, secondo quanto sostiene l’economista Paul Krugman. Il limite di Hillary è il suo senso di appartenenza al passato. Gli americani sono ottimisti per natura e amano il futuro. Gli americani hanno apprezzato Bill Clinton, ma preferiscono il futuro. E con Obama arriva il futuro”. OCCUPAZIONE GIOVANILE: MALE LITALIA fatti e fattacci I l conflitto religioso in nome della Chiesa Anglicana. In Gran Bretagna i fondamentalisti islamici spadroneggiano sempre più e hanno ormai preso il controllo di intere zone abitate dove i non musulmani non mettono nemmeno piede per paura di essere fisicamente attaccati. Lo ha denunciato domenica un vescovo anglicano di spicco, che ha così rilanciato il dibattito sul ruolo della religione fondata da Maometto in un paese di forti tradizioni cristiane.Vescovo di Rochester, il reverendo Michael Nazir-Ali è di origine pakistana e in un articolo pubblicato dal domenicale Sunday Telegraph avverte che gli estremisti musulmani sono alloffensiva su scala mondiale e in Gran Bretagna stanno ormai imponendo un carattere islamico a certe aree urbane: estendono al di là del necessario gli appelli alla preghiera lanciati dai megafoni delle moschee, quando possono usano la sharia come sistema legale per la risoluzione delle dispute allinterno della loro comunità e hanno atteggiamenti minacciosi nei confronti degli infedeli. Unico vescovo della Church of England con sangue asiatico nelle vene, il reverendo Nazir-Ali non ha precisato quali zone del Regno Unito siano diventate off limits per i non-musulmani. A suo avviso è stato incoraggiato lo sviluppo di una società multireligiosa e multiculturale che mina lo status di fede nazionale attribuito alla chiesa anglicana e più in generale al cristianesimo. Secondo il Sunday Telegraph il vescovo di Rochester ha avuto il coraggio di dire pubblicamente quello che al vertice della gerarchia anglicana pensano in molti, e cioè che limmigrazione incontrollata sta distruggendo progressivamente lidentità cristiana del Regno Unito. Per il vescovo il multiculturalismo praticato da politici senza visione morale e spirituale si è rivelato pernicioso perché ha contribuito a profonde divisioni nella società e ha di fatto incoraggiato una tendenza delle varie comunità allautosegregazione. Ogni comunità etnica sembra aspirare a vivere da sola, in particolare i seguaci di Allah che attualmente in Gran Bretagna sono almeno un milione e ottocentomila. La filippica del vescovo anglicano non è piaciuta né al governo laburista di Gordon Brown né ai leader della comunità islamica britannica. Downing Street ha opposto un gelido no comment. Il Muslim Council of Britan ha accusato il reverendo Nazir-Ali di aver detto cose insensate, senza nemmeno una briciola di prove a supporto. Persino i conservatori, principale forza di opposizione e piuttosto sanguigni quando si discute di immigrazione e di Islam, hanno indicato per bocca del ministroombra degli Esteri William Hague che il vescovo di Rochester probabilmente cè andato giù troppo duro. E la serie dei commenti politici, forse per paura di ritorsioni, è finita subito. Disoccupazione giovanile in Italia tra le più alte dell’Ue: a settembre il tasso degli under 25 senza lavoro era al 20,2%. Vanno peggio solo la Grecia (22,6%) che si piazza al primo posto, la Romania (21,0%) e la Polonia (20,5%). Agli ultimi posti per disoccupazione giovanile, invece, l’Olanda (5,4%) e l’Austria (8,3%). Francia e Germania hanno invece messo a segno rispettivamente il 18,4% e il 10,8%. UE A 13: PREZZI PRODUZIONE +0, 8% L’indice dei prezzi alla produzione industriale nella zona euro è cresciuto dello 0,8% in novembre rispetto al mese precedente. L’incremento è stato dell’1,1% nell’intera Ue, dello 0,9% in Italia. Rispetto al novembre del 2006 i prezzi sono quindi cresciuti del 4,1% nell’eurozona e del 4,2% nel’Ue-27. Gli incrementi più forti si registrano nel settore dell’energia, soprattutto per il caro-petrolio. primo piano E confortante sapere che vi sarà un confronto no stop del governo con il sindacato per evitare lo sciopero generale. Lo hanno chiesto Cgil, Cisl e Uil. E puntualmente il ministro del Lavoro Cesare Damiano ha chinato la testa. Ma il calendario non è sufficiente. Come ha spiegato Bonanni,noi attendiamo, già con le prime risposte, una disponibilità del governo ad aumentare le detrazioni per i lavoratori dipendenti, in maniera rafforzata per chi ha figli e disabili, a defiscalizzare il salario di secondo livello e in prospettiva a ridurre le aliquote Irpef.Altrimenti lo sciopero sarà inevitabile.Visti i conti presentati dal ministro dellEconomia, vorremmo capire come ne uscirà il governo: se facendo saltare i bilanci o il sistema nervoso dei lavoratori. & a n a l i s i Subito riforme contro unItalia in serie B C omincia il conto alla rovescia per la legge elettorale. Da questa settimana al Senato, in commissione Affari Costituzionali, parte la corsa contro il tempo per approvare la nuova legge. Dando per scontato il via libera della Corte Costituzionale ai quesiti referendari, tra il 16 e il 18 gennaio, resteranno un pugno di mesi per avere quel sì del Parlamento che eviti la consultazione referendaria. Anche fossero archiLA VOCE REPUBBLICANA Fondata nel 1921 Francesco Nucara Direttore Italico Santoro Condirettore Giancarlo Camerucci Vicedirettore responsabile Iscritta al numero 1202 del registro stampa del Tribunale di Roma - Registrata quale giornale murale al Tribunale di Roma con decreto 4107 del 10 novembre 1954/1981. Nuove Politiche Editoriali, Società cooperativa giornalistica - Sede Legale - Roma - Corso Vittorio Emanuele II, 326. Amministratore Unico: Dott. Giancarlo Camerucci Direzione e Redazione: Roma - Corso Vittorio Emanuele II, 326 Tel. 06/6865824-6893448 - fax. 06/68300903 - Amministrazione: Tel. 06/6833852 - Stampa: Telestampa Centro Italia - Zona Industriale Località Casale Marcangeli - Oricola (AQ). Progetto grafico e impaginazione: Sacco A. & Bernardini. 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A chiedere al Parlamento una “stretta”, ripartendo proprio dal lavoro fin qui condotto in commissione, è il presidente del Senato Marini, che in un’intervista al “Messaggero” ha riproposto il “patto per le Riforme” come unica possibilità per evitare all’Italia la “serie B”. Che il clima sia favorevole per una ripresa della bozza Bianco è confermato anche dall’atteggiamento di Forza Italia e del Pd. Sandro Bondi osserva che la strada del dialogo “non ha alternative” e aggiunge che perdere l’occasione sarebbe “imperdonabile”. Il vice coordinatore azzurro Fabrizio Cicchitto spiega che il doppio turno alla francese richiederebbe una vasta opera di revisione della Costituzione, inimmaginabile in questa legislatura. E dunque, osserva l’esponente di Forza Italia, l’unica soluzione “ragionevole e realistica” è riprendere in mano la bozza Bianco e cambiarne alcune parti, introducendo per esempio l’attribuzione dei seggi su base circoscrizionale, meccanismo che premierebbe i grandi partiti. Considerazioni sostanzialmente analoghe vengono da Goffredo Bettini, braccio destro di Veltroni, che aggiunge tra i correttivi alla bozza Bianco uno sbarramento al cinque per cento e un “misurato premio di maggioranza” al partito che vince. Con queste modifiche, la bozza Bianco partorirebbe un sistema essenzialmente bipolare, incentrato sui partiti leader delle due coalizioni: il Pd da una parte e Forza Italia (o Popolo della libertà) dall’altra. Rifondazione comunista, che vuole essere della partita, dice sì al dialogo ed evita di pronunciarsi sul premio di maggioranza proposto da Bettini. La preoccupazione del Prc, dice il capogruppo Gennaro Migliore, è piuttosto quella che le divisioni del Pd abbiano come “conseguenza indesiderata” il referendum, ipotesi che il partito di Bertinotti vede come c o m m e n t i fumo negli occhi. A remare contro l’accordo sulla bozza Bianco, modificata secondo i desideri di Veltroni e di Forza Italia, sono gli ipermaggioritari da un lato e i proporzionalisti a oltranza dall’altro. Nella prima schiera va collocata An, che ha scelto una linea di distinzione dagli alleati di Forza Italia e di totale appoggio al referendum. Nella seconda l’Udc, che punta tutto sul sistema tedesco. Ammesso anche che il Parlamento fosse in grado davvero di produrre una legge elettorale, chi può escludere di vedere nascere un mostro con le sembianze della paura di tutti i partiti? Se al Carroccio non piacciono i francesi B ossi e Formigoni hanno un obiettivo comune: la difesa di Malpensa e degli aeroporti del Nord Italia dalle prospettive nere della trattativa per la cessione di Alitalia ad Air France. Bossi ha chiamato il premier venerdì scorso dalla sua casa di Gemonio, dove si trovavano anche Roberto Calderoli e Roberto Maroni. Che cosa si sono detti il leader della Lega e il premier? Calderoli si limita a dire che “alla fine Bossi mi è sembrato soddisfatto. Ma non anticipiamo nulla perché noi siamo quelli del fare e non del dire - e oggi chi chiacchiera rischia di fare dei danni a Malpensa anziché favorire il futuro dello scalo”. Bossi ha parlato con Prodi degli slot, argomento importante nella ipotesi di far nascere una compagnia del Nord che possa occupare gli spazi lasciati liberi da Alitalia. Per il segretario del Carroccio, gli slot lasciati liberi a Malpensa dovrebbero subito essere consegnati alla Sea (la società che gestisce gli scali milanesi) e riassegnati. Su queste basi potrebbe prendere il via la scommessa di una compagnia in grado di servire l’area del nord Italia e anche il Canton Ticino. Roberto Formigoni punta alla difesa di Malpensa attraverso una strategia “a tre stadi” che parte dalla richiesta al Governo di annullare la scelta di Air France. Il secondo stadio, nel caso la decisione fosse confermata, è di far sì che la Regione Lombardia entri “a pieno titolo” nel negoziato per fare in modo che le condizioni siano le “meno penalizzanti”. “Si tratterebbe - spiega Formigoni - di negoziare una moratoria di cinque anni nei quali vengano mantenute le rotte Alitalia sugli aeroporti del Nord, gestite da Air France, sia nazionali, sia europee, sia intercontinentali”. Contemporaneamente si tratta di ottenere dal Governo la conferma di “tutti” gli impegni sul potenziamento dei collegamenti viabilistici e ferroviari di Malpensa e di porre le condizioni per creare una “grande” compagnia alternativa. Il terzo “stadio” riguarda proprio questa nuova compagnia che “abbia come hub Malpensa - afferma il governatore lombardo - e collegamenti adeguati con tutti gli aeroporti del Nord. Essa potrebbe nascere dall’accordo tra un grande vettore mondiale (alcuni si sono già detti interessati) e finanziatori italiani (che pure si sono già resi disponibili)”. L’iniziativa della Lega era inevitabile. Anche se oggi i suoi uomini forse ritengono difficile fidarsi di Romano Prodi: quello che sta accadendo dalle parti di Napoli testimonia di un Governo che non sa come muoversi. E, nonostante la proposta del Carroccio, a questo punto sarebbe del tutto sbagliato a chiudere con Air France. Del resto la Lega Nord non è stata chiarissima su chi dovrebbe farsi avanti. E quindi sarà molto difficile che le cose cambino interamente come vorrebbero gli uomini di Bossi e il governatore lombardo. Olmert: inasprire la reazione militare A lla sfida di alcuni giorni fa, quando da Gaza è stato sparato addirittura un missile katiusha che ha colpito la periferia della città di Ashkelon distante sedici chilometri, il premier Ehud Olmert ha risposto chiedendo al ministro della difesa di inasprire la reazione militare. Per Olmert è chiaro che l’attacco con i katiusha è una “escalation” non più tollerabile. Le forze armate israeliane hanno così compiuto una profonda incursione nel campo profughi di Al Bureij, nel centro della Striscia. Qui è esplosa una violenta battaglia con un bilancio, tuttora provvisorio, di 4 morti e oltre 40 feriti fra i palestinesi, e di cinque feriti fra i soldati israeliani. Ma la reazione israeliana non è solo militare. Dopo la riduzione nelle forniture di carburante introdotta lo scorso 28 ottobre in seguito alla decisione del governo di proclamare la Striscia di Gaza “entità ostile”, domenica l’ente elettrico palestinese che gestisce le forniture nella Striscia ha annunciato l’introduzione di un drastico razionamento. Israele spera, esercitando una pressione sulla popolazione con sanzioni di questo tipo, di provocare una reazione a catena che alla fine coinvolga e travolga il movimento integralista di Hamas che dal giugno dello scorso anno controlla politicamente e militarmente la Striscia. Hamas tuttavia è solo in parte responsabile degli attacchi con i razzi contro Israele: le sue milizie infatti si astengono deliberatamente dall’impiego di qassam, limitandosi ad attacchi contro l’esercito israeliano e ricorrendo solo all’uso di mortai che per la loro gittata non possono colpire le aree israeliane abitate da civili. A compiere i lanci con razzi qassam (e tre giorni fa con i katiusha) sono invece altri gruppi armati, come la Jihad Islamica, o il Comitato di resistenza popolare, che formalmente sfuggono al controllo di Hamas. A questo punto Israele dovrebbe prendere atto dell’impossibilità di ogni forma di rapporto ad ovest di Tel Aviv e lasciare aperta la fiammella del dialogo solo con la Cisgiordania. Questa sarebbe l’unica strada da seguire almeno fino a quando a Gaza non avranno compreso che i problemi non si risolvono solo lanciando i razzi. Martedì 8 gennaio 2008 Anche Al Jazeera parla di immondizia E ravamo campioni di tv spazzatura, adesso solo di spazzatura. Un bel biglietto da visita! Le immagini dell’Italia che i telegiornali di tutto il mondo stanno mandando in onda riguardano la rivolta contro la riapertura della discarica di Pianura. Si vedono roghi, montagne di immondizia per le strade di Napoli, cariche di polizia e sassaiole, ambulanze, un autobus in fuoco. Persino Al Jazeera, versione inglese, ci ha trattato come meritiamo. Il bello (il brutto) è che le immagini di Napoli erano accostate, per uno strano destino, a disastri naturali, a inondazioni, ai grandi slum di Nairobi, le baraccopoli sorte sulle montagne di rifiuti. Dobbiamo rassegnarci: nella rappresentazione giornalistica internazionale rischiamo di apparire come un Paese del “terzo mondo”, ammesso che questa definizione abbia ancora senso, un Paese che si fa sommergere e opprimere dai rifiuti, un Paese che un tempo dettava stili di vita e che ora naviga nell’immondizia. Al Jazeera è la tv satellitare pan-araba che trasmette 24 ore su 24, come la Cnn. La sua sede è a Doha, capitale del piccolo emirato del Qatar; qualche anno fa è diventata all’improvviso famosa per aver trasmesso l’appello di Osama Bin Laden alla “guerra santa” contro gli Usa. Adesso possiede una rete in inglese: significa che è importante non solo per i Paesi arabi. E noi su Al Jazeera, come su altre all news, ci siamo finiti per la nostra incapacità di risolvere un problema vitale come quello del pattume: “Naples residents riot over rubbish”, è rivolta a Napoli per i rifiuti. Sul sito di Al Jazeera, in coda alla descrizione della guerriglia, sono riportate sia le preoccupazioni del presidente Giorgio Napolitano che quelle di Romano Prodi: “Everybody’s watching us, and I don’t want Italy to give off this negative image”. È proprio così: tutti ci vedono, persino nei Paesi arabi, e l’immagine che l’Italia offre di sé è negativa. Ed è la cosa più triste, infelice, dannosa che potessimo fare: fornire lo qualche spettacolo avvilente di un Paese che non è più in grado di smaltire i suoi rifiuti. A corredo della notizia, Al Jazeera propone la connessione con due vecchie vicende riguardanti mafia e camorra. Bingo! In questi anni, qualche bello spirito ha pensato che tutti i problemi potessero essere risolti in termini d’immagine, di apparenza, di moda. Sottovalutando un po’ il reale. Che ogni tanto scuote il corpaccione e si prende le sue rivincite. Così, all’immagine che vorremmo dare di noi, si sostituisce l’immagine che gli altri hanno di noi. Tempo fa, descrivendo Rai International sottolineavo l’aria di provincia e di mestizia che spira da quel canale. Rai International è l’immagine della Rai all’estero ma soprattutto è l’immagine globale del nostro Paese perché è l’unico canale di cui disponiamo nel mondo. Non siamo nemmeno in grado di sottotitolare in inglese il Tg1. Temo però che la situazione sia ancora più grave: la modestia della nostra tv riproduce bene l’emergenza attuale del nostro Paese. L’emergenza spazzatura, appunto. Aldo Grasso,Corriere della Sera, 7 gennaio 2008 terza pagina-archivio della settimana Se il magistrato fa errori di grammatica Q uando si parla di magistrati, per riflesso condizionato, vengono alla mente esempi di grande saggezza, di buona cultura umanistica. Insomma il giudice colto che nelle sentenze riversa il suo sapere e non soltanto quello che riguarda i codici. Ma se andiamo a leggere le notizie sull’ultimo concorso per entrare in magistratura si avverte forse la necessità di rivedere quel tipo di automatismo. Prendiamo, ad esempio, l’uso del latino che nelle aule di giustizia da sempre costituisce elemento fondamentale della dialettica forense. Sarà per colpa del declino della scuola, ma sembra proprio che non tutti gli aspiranti giudici siano in grado di padroneggiare la vecchia lingua. Questa, e tante altre “sorprese” ancor meno edificanti, trapelano da un gossip maturato a conclusione del concorso di novembre che ha fatto registrare il record di domande (43 mila) e di candidati giunti alla consegna della prova scritta (quattromila) per 380 posti da coprire. A fronte di tanta affluenza, però, non è stato possibile registrare altrettanta ricchezza di promozioni: a essere immessi nei ruoli della magistratura sono stati 322 “esordienti”, 58 in meno di quelli che servivano. Ma non è questo l’aspetto sconcertante della storia. Il fatto clamoroso è che tutti quelli che si sono persi per strada sono caduti per eccesso di ignoranza, tanto evidente e irreparabile da aver indotto la commissione ad andar giù pesante. Torniamo al latino: si può far finta di nulla di fronte a un candidato che stravolge il fondamento del “Nulla poena sine lege” col più disinvolto “Nullum pene sine lege”? Come spiegare agli esaminandi che il latino è difficilmente conciliabile con lo slang asfittico dei messaggini telefonici? Immaginiamo, dunque, lo stupore dei commissari nel leggere la parola “venerata”, scritta da una candidata. C’è voluto più di qualche minuto per intuire che la ragazza voleva scrivere “vexata” e che era stata tradita da quella x che nel linguaggio dei cellulari è l’abbreviazione di “per”. Ci sono stati candidati che hanno scritto i due temi interamente con le abbreviazioni “cellularesche”: immaginiamo cosa possa essersi appalesato agli occhi della commissione, costretta a smorfiare un “cmq” che si traduce con “comunque”. Per non parlare della punteggiatura. Intere pagine senza una virgola e senza un punto, ma anche senza la forza di un Joyce. Al contrario, c’è stato chi ha frammentato le singole frasi, anche soggetto e predicato, a colpi di virgole, punti e punti e virgola, come Totò e Peppino nella “Malafemmina”. E non mancano i furbi. Per sopperire all’assoluta ignoranza sulla sillabazione, molti hanno accorciato il rigo per sfuggire alla necessità di andare a capo, magari sbagliando. Nessuno dei commissari confesserà mai tutto ciò che sono stati costretti a leggere, ma il gossip - in funzione da quasi tre mesi, con tanto di attacco alla commissione su un blog allestito dai candidati respinti - fa trapelare l’entità di un altro poco invidiabile record di questo concorso: una raccolta di circa dodici pagine di strafalcioni. Numerosissimi gli “essere” e gli “avere” senza accento e senza l’acca, l’”un” apostrofato ed anche “qual”. C’è anche un “riscuotere” con la “q”. Un livello che ha indotto il giudice di Corte d’Appello, Matteo Frasca, commissario d’esami, a intervenire sul sito del Movimento per la Giustizia, per un bilancio della sua esperienza. Da un lato, spiega il magistrato, i numeri venuti fuori dal concorso “rappresentano una conferma di una persistente serietà nella selezione”. “Dall’altro lato - riprende - creano non poche perplessità sul livello medio di preparazione dei partecipanti”. Inutile tentare di ottenere conferme alle indiscrezioni: se è vero, per esempio, che qualcuno ha confuso la Corte dell’Aja con la “Corte dell’Aiax”, e se c’è stato chi ha provato ad “addolcire” i temi di diritto amministrativo e penale con incipit, diciamo, poetici, del tipo “Finché la barca va” o “Per fare un albero ci vuole un fiore”. “Degli errori singoli - replica il giudice Frasca non parlo. L’intervento che ho scritto per il ‘Movimento’ non aveva certo lo scopo di provocare uno scandalo fine a se stesso o soltanto delle battute umoristiche”. E allora? “E’ il complesso della vicenda - risponde il magistrato - che desta preoccupazione. Certo ho scritto per inciso che mi astenevo dal riportare ‘indicibili citazioni che pongono seri dubbi sulle modalità di conseguimento del diploma di scuola media inferiore di alcuni candidati’. Ma il nodo del discorso è un altro: riguarda le difficoltà sempre maggiori che incontriamo nel riempire i vuoti di organico, riguarda per esempio l’età di accesso alla professione che è ormai stabilizzata sopra i trent’anni. E questo perché l’Università è più lunga e i concorsi sono lenti. Il basso numero di vincitori mi fa intravedere un pericolo nell’immediato: la tentazione al ricorso ai reclutamenti straordinari o all’immissione per titoli. Il concorso è stato sempre duro, ma ha rappresentato garanzia di qualità del personale della magistratura”. Francesco La Licata,La Stampa, 7 gennaio 2008 Mafia: Confindustria vuole vederci chiaro E il momento della verità. Chi collabora resta dentro, chi tace va fuori”. Per due mesi, dopo l’annuncio dell’esclusione da Confindustria di chi continua a pagare il pizzo a Cosa nostra, i vertici degli industriali hanno atteso di conoscere la reale entità del coinvolgimento della classe economica siciliana. Ma ora, davanti al silenzio assordante, allo “zero” assoluto di denunce e soprattutto davanti alle centinaia di nomi di imprenditori e commercianti sul libro mastro del boss Salvatore Lo Piccolo pubblicati la scorsa settimana da “Repubblica”, la Confindustria siciliana passa dalle parole ai fatti. Convocando, subito, davanti ai vertici di Assindustria Palermo gli imprenditori citati nei “pizzini” del capomafia. Una sfilata di titolari di aziende e imprese, alcune delle quali molto note e persino con cariche in Confindustria, chiamati a spiegare, chiarire la loro posizione, a scegliere, in sostanza, se rimanere dentro o fuori. L’annuncio dato dal presidente degli industriali siciliani Ivan Lo Bello a Catania nel corso della cerimonia di consegna del premio intitolato al giornalista Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia, ha sca- LA VOCE REPUBBLICANA tenato una standing ovation nella platea. “Dobbiamo rompere gli indugi. Non è più il momento di attendere. Chi decide di collaborare è dentro, chi sceglie di restare dall’altra parte va fuori”, dice Lo Bello dopo che nelle scorse settimane il presidente di Assindustria Palermo Nino Salerno aveva fatto sapere che già una decina di associati erano stati “invitati” a lasciare l’associazione vista l’incompatibilità a proseguire sul percorso segnato dai vertici di Confindustria con l’approvazione del nuovo codice etico. Ma allora il lungo elenco dei nomi segnati accanto alle cifre del pizzo pagato alla cosca di Salvatore Lo Piccolo non era ancora noto e adesso i vertici degli industriali non ritengono di poter attendere i tempi lunghi della magistratura. “Ovviamente - spiega Lo Bello - il ritrovarsi citati in quei ‘pizzini’ non equivale affatto ad una prova di responsabilità, ma noi dobbiamo sapere ora. Per questo abbiamo deciso di convocare tutti coloro che sono citati. Perché ci spieghino, perché non abbiano più alibi, perché diano prova di accettare nei fatti quel codice etico che ci siamo appena dati. Fino ad ora, per quel che abbiamo letto, il fenomeno ci tocca in minima parte. L’elenco è costituito per lo più da commercianti. Ma aspettiamo di sapere quali altre imprese sono coinvolte, a cominciare da quelle della zona industriale di Carini che ricadono in pieno nel territorio controllato da Lo Piccolo”. Emanuele Lauria,la Repubblica, 7 gennaio 2008 Nicolas e Carla: ma allora è tutto vero? O tto febbraio. Venerdì. Meglio il nove. Sabato. Nicolas e Carla aspettano gli amici e i parenti, lei in abito tendente al bianco, lui in scuro da cerimonia. La Francia prepara la festa e le pernacchie. Sarkozy e Bruni vanno a nozze, lo scoop parte dalle pagine del “Journal du Dimanche”, con tutti i particolari di cronaca. Non è passato nemmeno un mese dal colpo di fulmine ma la coppia va già al sodo. Hanno capito di essere fatti uno per l’altra, due piccioncini che non possono perdere altro tempo sulle panchine del parco, davanti a un lume di candela, mano nella mano. Sarkò è uno da pensiero e azione, la Carla ha intuito che dopo le sfilate di moda in giro per il mondo e le canzoni al festival di Sanremo è arrivato il momento di fare sul serio: una vita dolce nella dimora dell’Eliseo non si può rifiutare, anche buttando nella Senna i pensieri di gauche che l’hanno accompagnata in questi anni emarginati e faticosi. A suggellare l’amore esistono documenti fotografici, da Eurodisney fino alle Piramidi, un po’ come Napoleone, ma anche oggetti sostanziali: lui ha regalato a lei un anello in diamanti rosa, a forma di cuore, firmato da Victoire de Castellane che disegna i monili della casa di moda Dior. Lei ha ricambiato con un Patek Philippe in acciaio grigio, non vede l’ora di arpionarlo definitivamente. Eppoi ci sono altri asterischi perfidi: per esempio dove ha portato Nicolas in gita turistica e amorosa la chanteuse italienne? A Petra, laddove secondo i segugi, la Cecilia Sarkozy aveva tradito il consorte in una malandrina fuitina con Richard Attias, suo amante prima diabolico poi angelico visto come aveva reagito il futuro presidente di Francia. Ma non è mica finita qui. Le immagini da Petra hanno mostrato Nicolas Sarkozy che teneva sulle spalle lo scudo umano Aurelien, figlio di una notte d’amore della Carla con Raphael Enthoven. Il bebè è stato costretto non soltanto a stare in groppa all’amico di maman ma anche a coprirsi gli occhi con le manine e a tenere il cappuccio calato sulla testa per sfuggire alle riprese dei fotografi e delle telecamere. Secondo i maligni e gli oppositori Sarkozy così avrebbe scelto di camminare lungo il tragitto per tenere alla larga eventuali teste calde, con un bambino issato sulle spalle chi avrebbe tentato un atto sconsiderato, essendo già questo commesso dallo stesso Nicolas? Ma la storia sta diventando davvero grossa, gonfia, piena di colpi di scena e per i francesi, poco abituati allo spettacolo pubblico ma stranamente avvezzi, nei secoli, alle folie e alle coppie aperte, tutto ciò è degoutant, disgustoso, volgare, terribile. Nicolas Sarkozy se ne frega, in perfetta coerenza francese, ha già presentato madamina (in dialetto turineis) Bruni come madame Sarkò ad alcuni ministri del governo Fillon, tra questi, pare, André Santini, dicastero della Funzione pubblica, Christine Albanel, Cultura e comunicazione e Roger Karoutchi, ministro dei Rapporti con il Parlamento. Ora anche se Parigi non è piccola però la gente mormora, dunque hanno provveduto a mettere in circuito sensazioni e memorie dell’incontro confermando che tra i due la passione è di quelle forti, sanguigne, la Carla fa la francese ma in fondo è italiana e lui poi non abbisogna di ulteriori scoperte e precisazioni. Nicolas Sarkozy è fatto di sangue, in politica e nella vita, questo sarebbe il terzo matrimonio in venticinque anni. Incominciò nel settembre dell’Ottantadue quando prese in sposa Marie Dominique Culioli, figlia di un farmacista corso di Vico ma anche nipote del sindaco di Neuilly, Achille Peretti, dunque una spruzzatina di italiano, almeno nell’onomastica, già era presente. Due i figli, Pierre e Jean, oggi di 22 e 20 anni. Neuilly era piaciuta così tanto a Sarkozy da diventare sindaco di questo quartiere sciccosissimo di Parigi e proprio da sindaco provvide a sancire il matrimonio tra tale Cecilia Ciganer-Albeniz e Jacques Martin. Mentre Martin sorrideva ai fotografi Sarkozy sbirciava la Cecilia la quale, cinque anni dopo, mollò Jacques Martin e avviò le pratiche che la portarono a sposare Sarkozy nell’ottobre del Novantasei, con un figlio, Louis, nato un anno dopo. L’album di famiglia sembrava esaurito se non si fossero messi di mezzo il viaggio a Petra di Cecilia, la voglia di potere assoluto di Nicolas, la separazione (addì ottobre, giorno dieci, dell’anno scorso), la depressione conseguente, la serata con gli amici di sinistra tra i quali la ragazza italiana, lo sguardo galeotto a cena, l’accompagnamento a casa, la notte di pensieri e desideri, la prima, la seconda, la terza telefonata e tutto il resto, cominciando da Paperino e Topolino a Eurodisney fino alle ultime notizie di cronaca che le “Journal du Dimanche” ha messo in onda. Tony Damascelli,il Giornale,7 gennaio 2008 z i b a l d o n e In Vietnam linno italiano ha il nome di Bella ciao Terza parte delle considerazioni del condirettore della “Voce Repubblicana” dopo un suo recente viaggio in Indocina. di Italico Santoro S ulla strada per My Son. My Son fu un importante centro di culto del popolo Cham, che all’inizio del passato millennio contrastò con alterne vicende la potenza egemone dell’epoca, l’impero Khmer (al quale si devono i grandi templi di Angkor). Sepolto dalla foresta, era stato poi riscoperto dai francesi che ne avevano avviato il recupero. Con il sentiero di Ho Chi Minh che si inerpicava lungo le montagne circostanti, fu inevitabilmente teatro di duri scontri durante la guerra con gli americani. Non a caso Danang – dove aveva sede la grande base statunitense – dista solo una sessantina di chilometri. A My Son, finalmente, ho sentito parlare degli ultimi vietcong. Che sono, naturalmente, italiani (siamo bravi, si sa, ad esportare ideologia a buon mercato). Percorrendo su una vecchia jeep americana il tratto di strada che porta ai templi, l’autista mi chiede, attraverso la guida, di cantare il nostro inno nazionale. Provo a intonare, con qualche difficoltà, “Fratelli d’Italia”. L’autista mi guarda stupito: “Ma io ne conosco un altro - traduce la guida - conosco una canzone che dice: ‘Bella ciao’, è la canzone degli italiani che vengono a lavorare a My Son nella missione archeologica”. E che cercano anche, evidentemente, di risvegliare il sopito spirito rivoluzionario dei vietnamiti. Seduta vicino a me, Maria Tilde – una signora che aveva vissuto il Sessantotto in modo duro e puro - ha quasi le lacrime agli occhi: non so se pensa con simpatia agli archeologi italiani o con rimpianto ai vietcong ormai scomparsi. O forse alla giovinezza lontana e perduta. A poca distanza dai templi, in una specie di teatro improvvisato, alcune ballerine si esibiscono in una danza tradizionale. Il loro rituale comincia in abito lungo, finisce in costume (quasi) adamitico. Poco oltre, tra gli immancabili souvenir, spiccano naturalmente i medaglioni di Ho Chi Min, mescolati con quelli di Gesù e con le riproduzioni - in misure e dimensioni per tutti i gusti - del “linga” e della “ioni”, i sacri simboli della sessualità comuni alle culture e alle religioni induiste. Resta la suggestione dei templi e dell’ambiente che li avvolge. Una magia che neppure il crescente flusso turistico riesce a spegnere. *** Per circa centoquaranta anni Huè fu capitale degli Nguyen, l’ultima dinastia imperiale vietnamita. A mezza strada tra le due grandi anse fluviali che segnano la storia del Vietnam - il Fiume Rosso a nord e il Mekong a sud – conserva molte costruzioni dell’epoca. Fu definita “città di sogno e di poesia”. Sogno e poesia accompagnarono la triste esistenza di Tu-duc, l’imperatore che non seppe contrastare l’arrivo dei francesi e non riuscì a dare un erede al suo popolo. Ossessionato dalla duplice sconfitta, trascorreva buona parte del suo tempo sulle rive di un piccolo lago artificiale componendo versi e pescando in solitudine. Rifiutò a tal punto il suo tempo da comporre il testo della sua stele commemorativa nei caratteri antichi, e ormai desueti, della lingua vietnamita. Lungo il Fiume dei Profumi, che attraversa la città, si giunge alla Pagoda della Dama Celeste. A parte lo stupa ottagonale che domina il paesaggio, c’è ormai poco da vedere. Della costruzione originale non resta quasi niente. Ma la Pagoda ospita, sotto una tettoia, l’auto con la quale il venerabile Quang Duc si recò a Saigon nel giugno del 1963 per darsi fuoco e così protestare contro la politica filocattolica del presidente Diem. Fu solo il primo, seguito da altri bonzi. La notizia fece scalpore in Occidente e contribuì alla caduta, qualche tempo dopo, dello stesso Diem. L’auto di Quang Duc non è il solo ricordo, a Huè, della guerra. La città, confine tra i due Vietnam, fu teatro di scontri feroci. Durante l’offensiva del Tet scatenata dai nordvietnamiti nel 1968 e risoltasi in un insuccesso, si combatté con ferocia e molti edifici storici andarono distrutti o furono danneggiati. A cominciare da alcuni padiglioni della Cittadella, che conservano tracce ancora evidenti di quegli scontri. Ma anche lì la guerra è il passato, i turisti sono il presente. All’interno del palazzo della Pace Suprema, nel padiglione che ospita la sala del trono, dove l’imperatore accordava le sue udienze e promulgava ogni anno le festività del nuovo calendario lunare, per cinque dollari è possibile indossarne i paramenti e sedere sul trono. Il mio amico Giulio non resiste alla tentazione. Debbo confessare che ne ho seguito l’esempio. *** Più a sud di Huè, di Danang, di My Son, sono le terre impervie che ospitano i montagnards. Nessuno ne parla, nessuno propone di andarci. Considerati alla stregua di selvaggi, minoranze scomode che aiutarono francesi e americani in odio ai vietnamiti, sono tuttora oggetto di feroci persecuzioni. E su di loro è calato il silenzio, rotto di tanto in tanto in Occidente dalla denuncia di qualche intellettuale. Non ne parlano neppure i testi più documentati, che preferiscono dedicarsi alle loro origini remote piuttosto che alla loro realtà presente. (continua) Alcuni devoti di Padre Pio odiano larchitetto Piano Q uando si monta una macchina mediatica di quelle fatte bene, allora non c’è pudore che tenga. Del resto la notizia riguarda il culto di una salma, pratica in fondo anche laica. Non una salma comune, sia ben chiaro, bensì quella di Padre Pio, di fronte alla cui fama ogni obiezione cade. “Vi annuncio che in occasione del 40° anniversario della morte si procederà alla esumazione e alla ricognizione canonica del corpo di san Pio da Pietrelcina”. Ma è polemica e rivolta tra i fedeli dopo l’annuncio che il corpo di Padre Pio sarà esumato ed esposto alla venerazione dei fedeli, in una teca di vetro, per alcuni mesi. L’iniziativa prenderà il via da metà di aprile. L’annuncio è stato dato dall’arcivescovo di Manfredonia e delegato della Santa Sede per il santuario e le opere di San Pio da Pietrelcina, Domenico Sorrentino. Tutto ciò per i festeggiamenti dei 40 anni dalla morte di Padre Pio (1968) e per i 90 anni delle stimmate (1918). Facile prevedere una affluenza record di pellegrini al santuario: se si considera che mediamente ora l’affluenza di fedeli è di sette milioni l’anno, inevitabile che con l’esumazione del Santo le cifre saliranno vertiginosamente. Smentita invece la voce della traslazione del corpo di Padre Pio dal vecchio al nuovo santuario: lo sostengono i frati che hanno la responsabilità del medesimo. L’esposizione avverrà nell’area del vecchio convento. Nessuno sa in che condizioni sia il corpo del santo, in quanto a suo tempo non si fece la ricognizione che abitualmente viene effettuata in occasione del processo di canonizzazione. Smentita anche la voce che il corpo del santo sia stato imbalsamato. Secondo la biografia ufficiale la sera del giorno della morte la bara in legno venne sostituita con una in acciaio ricoperta con una lastra di cristallo. L’ufficiale sanitario dottor Grifa praticò al cadavere delle iniezioni di formalina per assicurare lo stato di conservazione durante i giorni della esposizione al pubblico. Le pratiche giuridiche preliminari del processo di beatificazione iniziarono un anno dopo la morte del Padre, nel 1969, ma incontrarono molti ostacoli da parte di coloro che erano stati nemici dichiarati di Padre Pio. Furono ascoltati decine di testimoni e raccolti 104 volumi di disposizioni e documenti, e nel 1979 tutto il 3 materiale fu inviato a Roma al vaglio degli esperti del Papa. Il procedimento che portò alla canonizzazione ebbe inizio con il nihil obstat del 29 novembre 1982. Il 20 marzo 1983 iniziò il processo diocesano per la sua canonizzazione. Il 21 gennaio 1990 Padre Pio venne proclamato venerabile, fu beatificato il 2 maggio 1999 e proclamato santo il 16 giugno 2002 in piazza San Pietro da papa Giovanni Paolo II come san Pio da Pietrelcina. La sua festa liturgica viene celebrata il 23 settembre. Tra i segni miracolosi che gli vengono attribuiti troviamo le “stigmate” che portò per 50 anni (20 settembre 1918 - 23 settembre 1968), il dono della bilocazione e della capacità di leggere nei cuori e nella mente delle persone. Tra i molti miracoli che gli vengono attribuiti c’è quello della guarigione del piccolo Matteo Pio Coltella di San Giovanni Rotondo, sul quale è stato celebrato il processo canonico che ha portato poi alla elevazione agli altari di San Pio. Tra i racconti di bilocazione che lo avrebbero visto protagonista c’è quello fornito da Luigi Orione, secondo il quale nel 1925, mentre si trovava in piazza San Pietro per i festeggiamenti in onore di Teresa di Lisieux, gli sarebbe apparso inaspettatamente Padre Pio da Pietrelcina, che in realtà non si mosse mai dal convento che lo ospitava dal 1918 sino alla morte. Torniamo un momento alle polemiche di cui sopra, che necessitano di una spiegazione. La “minaccia” è costituita dal fatto che la tomba potrebbe essere trasferita all’interno del nuovo tempio edificato a San Giovanni Rotondo da Renzo Piano. L’architetto, assicurano i frati cappuccini, è anche l’autore della “splendida cripta” destinata ad accogliere le ossa del santo. Grida al sacrilegio un gruppo di fedeli capeggiati da un avvocato torinese, Francesco Traversi, che dice di volersi opporre “con ogni mezzo giuridico alla realizzazione di questo progetto”. Per il momento frate Antonio Belpiede, il portavoce dei Cappuccini, getta acqua sul fuoco della polemica. “La traslazione, ad oggi, non è in agenda” afferma. Poi aggiunge: “Del resto la nuova chiesa l’abbiamo fatta per ospitare le spoglie di padre Pio. Vogliamo che la gente capisca...”. L’avvocato di Torino non ci sta: “Le finalità dei frati sono esclusivamente di natura economica e sono sostenute da commercianti e albergatori che lavorano nelle vicinanze della nuova chiesa, appunto. Padre Pio d’altra parte non ha necessità di essere riesumato in quanto è stato canonizzato il 16 giugno 2002”. Insomma, costoro dicono un “no” su tutta la linea. niente modernità e splendida nuova cripta griffata da un archistar, niente esposizione, nulla. Ma si capisce che si tratta di una linea perdente sin da oggi. Tuttavia, davanti ad una così venerata salma, sarebbe anche il caso di darsi un contegno.Ad ogni modo intorno alle mummie carismatiche si è sempre formato un acceso dibattito che ha attraversato la storia. 4 LA VOCE REPUBBLICANA Martedì 8 gennaio 2008 Aborto: una discussione che ci distrae da altri temi In un Paese normale non si interverrebbe sulla revisione di questa legge Si parla di 194 e si ignora tutto il resto I n questi giorni di torpore festivo le cronache sono pressoché monopolizzate dal dibattito sulla revisione della legge 194. A quanto pare, allo stuolo dei politici cattolici che, a vario titolo, si contendono il ruolo di più fedeli interpreti dei dettami vaticani (cosa non si farebbe per un voto!?), stupisce che si siano accodati anche alfieri (!?) del pensiero laico. D’altronde la strada era gia stata tracciata dall’ex Presidente del Senato, Marcello Pera: e poco importa se que- st’ultimo sia oramai universalmente ritenuto il peggior Presidente che il senato repubblicano abbia avuto; il suo esempio continua, evidentemente, a fare scuola in tutti coloro che pretendono di interpretare, in chiave personale (o personalistica), il ruolo dei laici nella società. Così mentre nella Ravenna dai trascorsi laici e dei mangiapreti c’è la Lega che si inventa la “Romagna cristiana”, a Roma si spingono i ragionamenti fino agli eccessi e ai paradossi. E allora cosa di meglio che strumentalizzare un dramma di coscienza come l’aborto? Sia chiaro che pur essendo uno strenuo e convinto difensore della legge 194, non pretendo che le mie convinzioni prevalgano sulle decisioni di altre persone le quali, ovviamente e laicamente, sono libere di non ricorrere all’interruzione di gravidanza. Convengo con chi sostiene che il ricorso all’interruzione di gravidanza non possa considerarsi un “metodo”; ma, ostinarsi a non considerarlo come un diritto di grande civiltà, mi sembra altrettanto colpevole. In un paese normale il tema della revisione di una legge come la 194 che, nonostante le fisiologiche imperfezioni di tutte le umani leggi, continua a funzionare, avendo quasi annullato gli aborti clandestini e tutelato i diritti e la libertà di migliaia di donne di essere padrone della loro vita non si porrebbe. E non si porrebbe principalmente per tre semplici ragioni: primo perché oltre ad aver funzionato, la legge 194 è scaturita da un referendum sofferto, ma che ha visto la maggioranza degli italiani (inclusi molti cattolici) esprimersi a suo favore; in secondo luogo perché i problemi del paese sono ben altri, ed una classe politica avveduta non sprechereb- be il tempo per dibattere capziosamente su un tema che non è sul tappeto; infine, anche se non ultimo, perché ogni discussione su temi che riguardino la sfera pubblica o i diritti civili, in un moderno stato occidentale, non può essere né influenzata né tanto meno indirizzata da istituzioni religiose. Ma in Italia nulla è normale, e lo sappiamo bene; a maggior ragione oggi, dopo che un alfiere della laicità come Giuliano Ferrara, si è assunto l’onere di aprire un varco alle già numerose interferenze confessionali nella vita pubblica del nostro paese. Eppure, conoscendo ed apprezzando le doti intellettive dell’uomo, un dubbio mi assale: e se fosse un modo per gettare ancora scompiglio nel centrosinistra, alimentando le sottolineature e i distinguo di tutte le varie senatrici Binetti, con o senza cilicio? Fantasticherie? Può essere; ma perchè proprio adesso quando Prodi, evitando la spallata e smettendo di fare il “Prodi”, sta muovendo passi decisivi per la vita del governo (e del Paese) come l’accordo Alitalia – Air France - Klm, l’unico percorribile per la salvezza della compagnia, nonostante i vaneggiamenti padano-lombardi sull’Hub di Malpensa? Se poi dovesse concretizzarsi quanto il Presidente del Consiglio va dicendo (e conoscendo l’ostinazione del Premier c’è da scommetterci!), e cioè che alla trimestrale di cassa, se confermati i positivi dati economici, si potrebbe cominciare a ridistribuire parte delle entrate, cominciando dalle “buste paga”, con evidenti ricadute reali sulla capacità di acquisto dei salari, ergo sulla ripresa dell’economia - e con buona pace sia della turbolenta sinistra radicale sia del centro moderato - allora il cerchio si chiude. Staremo a vedere: intanto, come direbbe un noto politico italiano, peraltro ministro in un governo a guida Dc ai tempi del referendum, “a pensar male…..”. Eugenio Fusignani, assessore provinciale Pri Ravenna LItalia e le trasformazioni dovute ai flussi degli immigrati E le differenti culture religiose rappresentano il maggiore terreno di scontro La laicità contro tutte le derive xenofobe N on c’è alcun dubbio che la società italiana è, e sarà sempre più, multietnica e multiculturale. Le problematiche sorte da questa condizione come la convivenza, l’integrazione e la sicurezza richiedono una soluzione a breve termine, se non si vuol alimentare certe derive xenofobe. Tutte le belle iniziative messe in campo finora come tavoli di confronto, scambi culturali ecc., mi sembrano come i piani di una casa mancanti di fondamenta. Questa solida base su cui posare tutto il resto ha un nome ben preciso: Stato laico. E’ innegabile che la diversa cultura religiosa sia uno dei maggiori motivi di scontro. Se non si creano “zone neutre” dove tutti possano sentirsi unicamente cittadini italiani (e quindi sentire il dovere di rispettare l’unica legge valida che è la Costituzione), non si arriverà mai ad un punto di incontro permanente. I modi di intervento per ottenere ciò sono tanti; innanzi tutto credo sia indispensabile eliminare simboli ed icone religiose dai luoghi pubblici: scuole, uffici, ospedali, piazze. Non sto dando ragione al signor Adel Smith, che gettando incivilmente il crocifisso dalla finestra lo avrebbe sostituito volentieri con altra immagine a lui gradita. Io propongo di toglierli tutti, perché penso che il sentire religioso sia intimamente legato alla sfera privata di un individuo e, per un principio di uguaglianza, che tale debba rimanere. Questa inflazione di simbolismo religioso ostentato ovunque, a mio avviso, toglie valore ai luoghi principali di culto (chiese, moschee, sinagoghe ecc.), che giustamente devono essere presenti sul territorio nazionale e che dovrebbero essere gestiti esclusivamente dai propri fedeli. Di conseguenza trovo più che logica l’abolizione di qualsiasi finanziamento statale a favore degli ordini religiosi e ritengo molto più utile, nella direzione di una migliore integrazione, che sia proposto l’insegnamento nelle scuole pubbliche di “Storia delle religioni”, in sostituzione dell’unilaterale “Religione cattolica”. Il mio ragionamento è “un voler mettere ogni cosa al suo posto” senza creare discriminazione alcuna. Mi sembra una strada in salita, considerando il radicamento degli interessi religiosi nelle nostre istituzioni, ma potrebbe rivelarsi l’unica percorribile per favorire il processo di integrazione culturale di diverse etnie. Ricordiamoci che l’Italia sta sperimentando in 7-8 anni il flusso migratorio in entrata che la Francia ha affrontato in 50 anni di storia, con annesse lacerazioni e conflitti sociali. Per una volta non rinchiudiamoci nelle solite affermazioni da bar: “A casa loro non lo farebbero mai!”; cerchiamo di essere realisti, pragmatici, possibilmente “giusti” nell’affrontare il problema. Valentino Calbucci, Fgr