Untitled - Garfagnana Identità e Memoria

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Untitled - Garfagnana Identità e Memoria
L M
dizionario garfagnino
LABBRATA ~ s.f. Colpo, percossa, schiaffo dato, per lo più con il dorso della mano,
sulle labbra. Curiosamente, in materia di
percosse, a volte si fa riferimento alla parte
del corpo che l’arreca (manata, pedata), a
volte al mezzo usato (cintolata, vettata), a
volte al punto dove si concretizza l’attività
di chi percuote (labbrata, sculacciata).
LABBRO ~ s.m. Ognuna delle due parti carnose che circoscrivono la bocca: la
particolarità del dialetto garf. è nel plurale, sempre labbri, tanto se riferito a cose
come a persone (Bonini, 2 Novembre, 96:
“mia propio stricca’ i labbri”). Più squisitamente locale e assai frequente, almeno in
passato, la variante lapro, il cui plurale è,
ovviamente, lapri.
Etimologicamente derivato dal lat. labrum ‘labbro’ che al plurale fa labra per cui,
in questo caso, la dizione dialettale non è
dovuta (come avviene molte altre volte) a
conservazione di una voce antica, direttamente derivata dalla lingua di Roma.
LACCIUGA ~ s.f. Acciuga, detta anche
‘alice’, pesce di mare dalle carni pregiate.
In Garfagnana l’unione dell’articolo con
il sostantivo iniziante per vocale per formare un vocabolo unico non costituisce
una rarità (cfr. lapa, lamo): ciò premesso,
va detto che lacciuga non sembra essere
parola molto frequente nel dialetto della
valle del Serchio.
Il termine italiano è da ricondursi al
lat. apiuva, dal gr. aphye ‘piccolo pesce’
(Devoto-Oli, 20): questa tesi è condivisa
anche da Borgonovo-Torelli, 34 per i quali
inoltre il gruppo cc per p sembra rivelare
un passaggio intermedio nel dialetto genovese.
LADDILì ~ avv. Lì attorno; lì, nelle vicinanze di quel posto; giù di lì, con un senso
di minor specificazione rispetto a lì. Gian
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Mirola, op.cit., 19 menziona Lalladilì con
il medesimo significato. È comune anche
nella variante laddilinde (o là di linde).
LAGASCIÓN(E) ~ s.m. Pioggia intensa;
parola tipica del dialetto di Corfino ricordata dai fratelli Pier Luigi e Giovanni
Santini.
Là Là ~ locuz. avverb. Espressione assai
tipica nella parlata della gente di Garfagnana, unita ad anda’, nel senso di procedere
in una certa direzione, ma verso un luogo
imprecisato, dirigersi in una qualche parte, senza una meta prestabilita. Andà là là
assume sovente anche il significato di sopravvivere alla meno peggio, tirare avanti
(Pennacchi, Poveracci e signori, 110: “andàvimo là là da poveracci, senza invidia’
nissùn”).
Là Là PER IL PIAN, IL MALATO
PORTA IL SAN ~ locuz. idiom. garf.
Era la frase pronunciata dalla volpe che,
fintasi ammalata, si faceva portare in collo
dal lupo, invece ammalato sul serio. Si usa
per indicare una persona che faccia fare ad
altri il proprio lavoro.
LAMBICCO ~ s.m. Alambicco, strumen-
to per distillare materiali liquidi (ed anche
solidi). Risulta composto dalla caldaia ove
si pongono le cose che si intendono distillare e da una serpentina (raffreddata) che
permette di tramutare i vapori in alcool.
Derivato, con aferesi della a, da ‘alambicco’, a sua volta, da ricondursi all’arabo
al ambiq ‘vaso’ (Devoto-Oli, 66; conf. Borgonovo-Torelli, 26).
LAMENTÓN ~ s.m. Persona solita lamentarsi di qualsiasi cosa, che trova sempre da ridire per un motivo o per l’altro
pretendendo la comprensione altrui.
Dal lat. lamentum ‘lamento’.
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LAMIGIANA ~ s.f. Damigiana, recipien-
tore, insomma, per di’ ’l vero / gnanco
quest’anno ci possiam lammia’ ”).
Nieri fa derivare il verbo da laniare per
laniare se ‘graffiarsi’, da cui ‘lamentarsi’.
E questa − contrariamente a quanto si è
detto sopra riferendo la tesi del Pieri − potrebbe esser anche l’etimologia di lammia.
te di vetro a forma di grande fiasco, rivestito di vimini o falasco, utilizzato per contenere liquidi, in specie vino. La variante
rispetto all’italiano ‘damigiana’ pare tipica
(e non generalizzata) del dialetto di Sassi,
in comune di Molazzana.
La parola italiana ‘damigiana’ di cui
lamigiana costituisce mera variante fonetica, deriva, secondo Mestica, 426 da
Damaghan città della Persia celebre per le
sue vetrerie, mentre ad avviso di Borgonovo Torelli, 91 sarebbe da ricondursi a
dame Jeanne, signora Giovanna, “nome di
donna applicato ad un vaso in tono scherzoso, come per allusione ad una donna
panciuta”: tesi, quest’ultima, se non più
corretta, certamente più simpatica e suggestiva. Palazzi, 338 sposa la tesi del Mestica; Devoto-Oli, 647 preferiscono l’altra.
LAMO ~ s.m. Amo, uncino d’acciaio che
si applica alla lenza per catturare i pesci
dopo avervi collocato l’esca. L’unione dell’articolo alla parola per formare un unico
vocabolo non è fenomeno raro nel dialetto
(ved. lacciuga, lapa). Fanfani riporta il vocabolo precisando trattarsi di ‘idiotismo’
per ‘amo da pesca’.
Dal lat. hamus ‘uncino’ (D’Arbela, Annaratone, Cammelli, 474).
LAMIÓNA (LAMMIÓNA) ~ s.f. Perso-
LAMÓN ~ s.m. Pungiglione di ape o di
na noiosa. Ved. infra Làmmia
vespa ed anche la lingua bifida dei serpenti.
La parola è contenuta nella raccolta di vocaboli tipici del dialetto della Garfagnana
compilata dal maestro Nello Guido Poli.
LÀMMIA ~ s.f. Persona noiosa che si
lamenta continuamente per futili motivi
(tutti stèn zitti, solamente quella làmmia
continuò a discore). È usata anche la variante lamiona (o lammiona).
Nella mitologia classica e medievale
‘Lamia o Lammia’ era un mostro con corpo di serpente e volto di donna che usciva di notte dai boschi e dai crepacci per
succhiare il sangue dei bambini e divorarli; se il termine garfagnino risale a questa
leggenda (in tal senso Pieri, riportato da
Battaglia, VIII, 717) bisogna dire che, pur
mantenendo un certo tenore dispregiativo, si è parecchio nobilitato (ved. però infra lammiassi).
LAMMIASSI ~ rifless. Coniugato come
i verbi in ‘ia’’. Lamentarsi, rammaricarsi
(“smettila di lammiatti ogni momento”)
(Santini, Fattoria moderna, 35: “Caro fat-
LAMMIATA ~ s.f. Lamentela, lagnanza.
LAMPEZZA’ ~ intrans. impers. Coniu-
gato come ama’ nei modi e nei tempi che
ammette. Apparire di lampi nel cielo, lampeggiare. Il verbo è particolarmente usato
quando, nelle sere estive, si vedono lampi
lontani, ma non si sente il tuono né piove
dove ci si trova, fenomeno detto comunemente ‘lampi di calore’.
Da ‘lampo’ derivato da un tardo lat.
lampare ‘splendere’ (Devoto-Oli, 1243;
conf. Palazzi, 626) a sua volta da ricondursi al gr. làmpein.
LAMPO ~ s.m. Fulmine, fenomeno luminoso di breve durata prodotto dalla
elettricità atmosferica; non è certamente
vocabolo esclusivo del dialetto garf., anzi
si tratta di comune termine italiano, ma lo
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si segnala perché nella nostra lingua nazionale la parola con cui si indica più frequentemente questo fenomeno è ‘fulmine’,
mentre in Garfagnana il termine più usato
per indicare la scarica elettrica dalle nubi è
sicuramente lampo.
Per la derivazione etimologica ved. supra lampezza’.
LAMPÓN ~ s.m. Lampone, arbusto che
dà frutti dallo stesso nome, rossi e profumati simili alle more, mangiabili come
sono o sotto forma di marmellata.
Etimologia praticamente sconosciuta.
Passerini Tosi, 819 propone una derivazione da “una forma dialettale”, ma non va
oltre, mentre Devoto-Oli, 1244 riconducono la parola ad una forma settentrionale l’ampon risalente a tema mediterraneo,
con successiva concrezione dell’articolo
(conf. Battaglia, VIII, 728).
LAMPUGIÓN ~ s.m. Lacrimone, grossa
lacrima provocata per lo più da intenso
dolore (Bonini, 2 Novembre, 96: “…el core
/ i lampugioni da j occhi fa casca’ ”).
LANTERNÓN ~ s.m. Bastone molto alto
(tre metri, se non di più), portato a mano
al seguito delle processioni notturne, sul
quale era fissata una lanterna mobile che
si spostava avanti e indietro,. Al termine
della cerimonia, i lanternoni venivano riportati in Chiesa per essere utilizzati come
strumenti decorativi o devozionali nelle
processioni diurne. La parola è più usata
al plurale.
Accr. di ‘lanterna’ dalla identica voce
lat.
LANTÌNO ~ s.m. Scuro, imposta, anta di
una finestra. Come avvenuto in altri casi
(cfr. lacciuga. lamo, lapa) non è raro che il
dialetto garfagnino fonda in un’unica parola il vocabolo ed il suo articolo.
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Dall’omonima parola lat. anta (Passerini Tosi, 82).
LAPA ~ s.f. Ape (ved. supra apa). Il fenomeno dell’incorporazione dell’articolo
nel sostantivo, già notato sopra riguardo a
lacciuga, lamo e lantino, pur non frequentissimo, è presente nel dialetto della Garfagnana: a differenza di lacciuga inoltre, lapa
è vocabolo di uso comune.
Dal lat. apis ‘ape’.
LÀPIDA ~ s.f. Lapide, lastra di pietra,
marmo o altro materiale che solitamente
attesta il nome di un defunto, reca un’iscrizione in sua memoria o ne porta impresse le date di nascita e di morte e trovasi
apposta su un monumento, un sepolcro,
una tomba, un muro o sulle pareti di una
Chiesa: oggi è termine desueto, sostituito
dall’italiano ‘lapide’.
Etimologicamente deriva da lapidem
acc. del lat. lapis ‘pietra’; la parola garfagnina, rispetto al vocabolo italiano, ha
inoltre subìto il passaggio dalla terza alla
prima declinazione; si deve però segnalare
che ‘lapida’, per quanto definita ‘voce toscana’ si trova registrata nei comuni dizionari della lingua italiana.
LAPÌN ~ s.m. Coniglio. Parola di origi-
ne corfinese, di cui fa menzione, nella sua
raccolta di termini del vernacolo locale,
Maria Luisa Santini e che manifesta un
evidente collegamento con il vocabolo
francese lapin ‘coniglio’.
LàPPORA ~ s.f. Vocabolo usato principalmente al plurale per indicare le ciglia o
i peli di esse singolarmente presi. È tuttavia vocabolo non della Garfagnana, ma di
derivazione lucchese, che si sente a volte
per un fenomeno, per così dire, di ‘importazione linguistica’. Nel Grande Dizionario
del Battaglia, VIII, 766 si trova ‘lappola’,
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quale diminutivo di ‘nappa’ con dissimilazione, nel significato di ‘ciuffo di peli’.
LARDO ~ s.m. Grasso del maiale. Il
vocabolo viene qui citato per segnalare
l’espressione idiomatica garfagnina ’un
esseci tanto lardo da struce con il significato di ‘trovarsi in condizione di dover fare
economia’.
Dal lat. laridum ‘lardo’ (Devoto-Oli,
1249).
LASAGNÓN ~ s.m. Ceffone, schiaffone,
ma anche ragazzaccio.
LASSA’ (LASCIA’) ~ trans. Coniugato
come ama’ (la forma lascia’ rispetta ovviamente le particolarità segnalate nelle note
di grammatica relativamente ai verbi in
‘cia’’). Lasciare, dimenticare, non portare
con sé, abbandonare; il verbo non diverge
dal vocabolo italiano e lo si segnala per il
part. pass. lascio che non esiste in italiano,
dove possiamo trovare ‘lasso’, impiegato
peraltro nel linguaggio aulico o poetico, ed inoltre con il significato di ‘stanco,
spossato’, non di ‘lasciato’.
Dal lat. laxare ‘allargare, sciogliere, dar
sollievo, calmare’ (Castiglioni-Mariotti,
829). Borgonovo-Torelli, 155 ne danno
la complessa evoluzione semantica cui si
rimanda.
LÀSTRICO ~ s.m. Pavimentazione di
aie o vie formata da cemento, masselli di
pietre o sassi piatti; selciato. È comune
anche la forma àstrico (ved. supra) con
scomparsa della consonante iniziale della
parola, divenuta articolo, fenomeno già
osservato, ad esempio con apis per lapis.
Dal lat. àstracum, dal gr. òstracon ‘coccio’.
LATTICCIO ~ s.m. Latticello, liquido
sieroso che rimane dopo la coagulazione
del burro. Quando si poteva disporre del
latticcio per preparare le tùllore (ved. infra) era una festa perché, indubbiamente,
riuscivano più gustose e saporite rispetto
a quando venivano ottenute con il latte
scremato.
Dal lat. lac ‘latte’, etimologia comune
a tutti gli altri vocaboli aventi lo stesso
tema.
LATTINA ~ s.f. recipiente di latta con cui
i contadini portavano il latte a vendere.
L’etimologia potrebbe farsi risalire al
contenuto, ‘il latte’, ma è più probabile che
si debba far riferimento al materiale, ‘latta’
(dal tardo lat. latta di etimo incerto, Borgonovo-Torelli, 155), con cui era realizzato il contenente, dato che lattina è parola
usata anche nel caso di recipienti di latta
impiegati per contenere liquidi diversi
(dammi una lattina di bira).
LAVAMàN ~ s.m. Lavabo, recipiente di
ceramica o metallo per le abluzioni parziali della persona, utilizzato particolarmente
quando nelle case mancava ancora l’acqua
corrente. Con questa parola si indicava
tanto la semplice catinella (ved. supra)
quanto l’armatura metallica a piede che
sorreggeva la brocca dell’acqua, il portasapone e il catino (conf. Lenzi). Il vocabolo
è contenuto anche nel Novissimo Vocabolario della Lingua Italiana compilato e
riveduto da Pietro Fanfani, 503.
Dal tardo lat. lavamanus.
LAVATIVO ~ s.m. Clistere
Dal franc. lavatif (Passerini Tosi, 828).
LAVATÓIO ~ s.m. Vasca per il lavaggio
manuale dei panni. Il lavatóio per antonomasia era un vascone rettangolare ad uso
pubblico con un ampio bordo pendente
verso l’interno dove confluiva l’acqua non
utilizzata della fontana e dove le donne
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si recavano per lavare i panni (ved. infra
pozzo). In genere il lavatóio era fatto di cemento (con il bordo levigato fin dall’origine o a seguito dell’uso), così come la vasca
più piccola, destinata alla medesima finalità e posta davanti alle case (o nei cijeri):
quest’ultima, detta lavatojétto, non aveva il
bordo su tu tre lati (come il lavatóio), ma
disponeva solo di un piano inclinato verso
il basso sul davanti utilizzato per appoggiare, insaponare, sfregare, battere e strizzare i panni.
Dal lat. lavare. Devoto-Oli, 1256 si riportano direttamente ad un tardo lat. lavatorium.
LAVEZZìN ~ s.m. Piccola pentola, pentolino, padellina.
LAVéZZO ~ s.m. Paiolo, pentola di bronzo dalle ampie dimensioni con forma cilindrica e dotata di manico semicircolare. La
parola, anche nella variante laveggio, è diffusa in tutta l’area centromeridionale italiana (dove è comune l’espressione ‘cascar dal
paiolo nel laveggio’ equivalente a ‘cader dalla padella nelle braci’ per indicare colui che,
al fine di evitarsi un male, vada incontro
ad uno peggiore). Per le affinità (e le differenze) con il paiolo ved. infra quest’ultimo
vocabolo. (Pennacchi, La vecchina, 122: “La
mi’ mamma, alla fin dell’orazión / cavava
dal lavezzo il vin bullito”).
‘Laveggio’, che si può unificare a lavezzo
anche per l’etimologia, deriva dal lat. lapideus, ‘di pietra’ da cui lapidium ‘vaso di
pietra’ (Passerini Tosi, 828; conf. DevotoOli, 1256).
LAVORANTE ~ s.m./f. Lavoratore, la-
voratrice, nel senso di persona che non si
tira indietro se c’è da lavorare; cfr. la novella Quella che non voleva lavora’ raccolta da
Venturelli, 190 ove si dice: “Allòra, s’èra due
sorelle: lla più grande era svelta, lavorante”.
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LAVORATÓRA ~ s.f. ed agg. Curiosa
espressione garfagnina, in quanto il femminile di ‘lavoratore’ dovrebbe essere ‘lavoratrice’ anche in dialetto; tuttavia non è
raro che quest’ultimo, linguaggio semplificato rispetto alla lingua ufficiale, si limiti
ad apporre la tipica desinenza femminile
a al tema del sostantivo maschile Santini,
nella poesia La vacca (pubblicata anche
dal giornale “La Garfagnana”) fa qualificare dal contadino con questo termine la
mucca che è intenzionato a vendere. (Da
notare che nel volume “All’ombra del Torrione” dello stesso Santini, 60 – nel quale è
contenuta la medesima poesia – la parola è
diventata lavoratore; non vi è dubbio però
che si tratti di un refuso e che sia esatto
quanto scritto sul periodico locale, perché
tutta la lirica è impostata sulla descrizione
della bestia, ovviamente al femminile).
Dal lat. labor ‘fatica’.
LAZARÓN ~ s.m. Lazzarone, canaglia,
persona spregevole (Santini, Carlìn e il
miccio, 41: “E fammela un popo’ più muderata! / rospo d’un lazarón!...”).
Dallo spagn. lazaro ‘povero, cencioso’
dal nome di Lazzaro, il mendico coperto
di piaghe del quale parla la parabola del
ricco epulone, nel Vangelo di Luca (Battaglia, VIII, 865). Potrebbe anche farsi risalire al fratello di Marta, che la tradizione
popolare identifica in una persona patita
e macilenta.
LE’ ~ pron. pers. femm. di terza persona
sing. Lei. Si usa come complemento oggetto e nei complementi con preposizioni (ho
incontrato propio le’; partirò cun le’). Come
soggetto trova impiego nelle esclamazioni
(beata le’!), quando vi è contrapposizione fra due soggetti (le’ rivò puntuale, lu’
mezz’òra doppo), quando il soggetto è posto dopo il verbo (l’ha ditto le’) e quando
è preceduto da cume, tanto, quanto, pure
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ecc. (’un fate cume le’; c’era anco le’). (Pennacchi, Il Togno e la Nena, 103: “Io son siguro che nun dissi gnente / e le’, lo stesso,
m’arispose: sì”). Anche Bonini lo usa di
frequente, ad esempio nella poesia Ugello
in gapia, 30, ricordando al merlo quando
era con la sua compagna, gli dice: “e passavi cun le’ vita felice”
Dal lat. ille.
LÈCCA ~ s.f. Botta, percossa, colpo violento; per estensione ‘schianto, rumore
forte’ (ad esempio quello di un tuono immediatamente successivo ad un fulmine
caduto nelle vicinanze). La parola viene
anche impiegata per alludere ad un acciacco, un malanno improvviso ed inopinato di una certa virulenza, ma destinato a
guarire abbastanza rapidamente, come un
forte raffreddore, un’influenza accompagnata da febbre alta (questa volta ho chiappo una bella lècca). In questo ultimo senso
si sentono anche i termini melècca e salècca
(ved. infra).
Voce di origine settentrionale di natura
onomatopeica (Battaglia VIII, 874).
LECCHIN(E) ~ s.m. Pignolo, meticoloso. Vocabolo usato a Corfino e ricordato
da Pier Luigi e Giovanni Santini.
LÉCCO ~ agg. Azzimato, ordinato, ben
pettinato. Il vocabolo sottende una leggera
sfumatura disgregiativa, nel senso di ‘persona agghindata con civetteria, affettata’.
LÉCE ~ s.f. Legge, atto deliberativo del
Parlamento o emanato dall’Autorità cui
sia stato attribuito dalla Costituzione il
potere legislativo (Bonini, Parla un amico
del bicchierotto, 75: “Io vorei che una léce
ci urdinasse / che ’l vino si bevesse e si
mangiasse”). Il vocabolo ricorre anche in
G.B.Santini, Lo zezzorón, 19/ 20.
Dal lat. lex ‘legge’.
LÈGGE ~ trans. Irregolare al pass. rem. io
leggétti (lèssi), tu leggésti, egli leggétte (lèsse), noi leggéttimo (leggémmo, lèssimo), voi
leggéste, essi leggéttero (lèssero, lèssino) e al
part. pass. lètto. Praticare la lettura, rendersi conto, conoscere il contenuto di un libro,
di un articolo di giornale, di un manifesto,
di qualsiasi cosa scritta. Pronunciare ad
alta voce quanto sta scritto in un testo, in
un documento che si ha tra le mani ed il
cui contenuto non è conosciuto a memoria. Decifrare una scrittura, comprenderne
i caratteri ed il significato dei segni grafici e
delle parole. Si riporta questo verbo, simile,
pure nel significato, all’italiano ‘leggere’ sia
per la sua estrema diffusione anche nella
parlata della gente di Garfagnana, sia per
sottolineare l’impiego a volte della variante
léce (Bonini, 17 si rivolge ai destinatari delle
sue poesie, intitolando proprio la prima di
esse: A chi mi lece), sia per ricordare che in
qualche caso il part. pass. è leggiuto (Nella
poesia Si coje o no a firma CIDI, pubblicata
da “La Garfagnana” troviamo: “Se ’un èn
tutte fandonie / quel ch’ài leggiuto / in del
giornale”).
Dal lat. legere letteralmente ‘cogliere,
fissare con lo sguardo’.
LEGGÈRA 1 ~ agg. s.m e s.f. Persona
poco affidabile; riferito a donna significa
‘poco seria’, se non addirittura ‘di facili costumi’.
Dal francese antico legier derivato dal
lat. pop. levianus a sua volta da levis ‘leggero’ (Borgonovo-Torelli, 156).
LEGGÈRA 2 ~ s.f. Persona sempre senza
soldi e che non ha nessuna voglia di lavorare. Il vocabolo è menzionato dal Poli nella
sua raccolta di parole dialettali locali.
LEGGICCHIA’ (LEGGIUCCHIA’) ~
trans. Coniugato come i verbi in ‘ia’’. Leggere senza prestare troppa attenzione, saltan307
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do magari qualche parola; leggere di mala
voglia o in modo superficiale. Anche con il
significato di ‘saper leggere poco bene’.
LéGNA ~ s.f. Legno o legna da bruciare.
In italiano – essendo l’espressione ‘legne’
ormai desueta – il termine ‘legna’ è divenuto una specie di plurale tantum per cui
viene usato con articolo e aggettivo singolare anche nel senso di indicare un insieme, una pluralità di pezzi di legno (‘spaccare la legna, ordinare la legna, aggiungere
un pezzo di legna al fuoco, la stufa va a
legna’); nella parlata della gente della Garfagnana, pur esistendo molte espressioni
conformi a quanto avviene nella nostra
lingua nazionale (mia mette altra legna nel
fòco, sarà bèn sistema’ la legna), si trova anche l’espressione legne, (residuo di un uso
passato, Fanfani, 507 cita ancora “legne o
legna”) accompagnata da articolo e aggettivo alla forma plurale (indù posso appoggia’ le legne?; il miccio ’un ce la fa a porta’
tutte queste legne!), nonché una inconsueta concordanza tra aggettivo plurale e sostantivo singolare le legna (cfr. la leggenda
Il pane, raccolta da Venturelli, 215). È vero
che si potrebbe ribattere che in questo
caso ‘legna’ non è femminile singolare,
ma plurale neutro; tuttavia la stranezza
di cui si è parlato rimarrebbe ugualmente perché diverrebbe, allora, inspiegabile
l’espressione, assai comune, le legne (con
il sostantivo non più neutro, ma divenuto
femminile plurale).
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che si muova velocemente: core cume una
légora. Légora è anche parola tipica del dialetto di Sillico, come ci fa sapere Odorico
Bonini. Nella raccolta di vocaboli del dialetto locale compilata da Nello Guido Poli
si trova anche la variante leóra.
Il vocabolo italiano deriva dal lat. lepus
‘lepre’.
LÈMBO ~ agg. Assorbente. Il vocabolo
è usato con particolare riferimento alle
patate: è infatti pratica comune in cucina
aggiungere ai cibi troppo salati delle fette
di patate o delle patate intere, che hanno
il potere di assorbire il sale in eccedenza.
Grazie alle patate lembe, le vivande risultano meno salate e più gradite al palato.
LÈMBRA ~ s.f. Grande fame, golosità.
Nieri, 110 lo dice vocabolo “comunissimo”. Oggi ciò non sembra, mentre più frequente è l’aggettivo lembro (ved. infra).
LÈMBRO ~ agg. e s.m. Ghiotto, goloso,
vorace, affamato. Il vocabolo ricorre anche come sostantivo con il significato di
“ghiottone, grande mangiatore”.
Il termine deriva da lembrugio, voce
lucchese, incrocio di lambire (nella variante lembire) con leccare (Battaglia, VIII,
937).
LÈNCORO ~ agg. e s.m. Buono a nulla.
LENDINATA ~ s.f. Caduta di pioggia leg-
LÉGORA ~ s.f. Lepre. Il vocabolo è cita-
gera e sottile, quasi una nebbiolina che si
discioglie in gocce minute e evanescenti.
to da Nieri, 110 come tipico del linguaggio
della Garfagnana, dove peraltro è assai più
diffusa la comune espressione lepre. Inoltre
légura, legurìn è parola di ampia diffusione
nella zona della Italia del Nord, specialmente della Lombardia, il cui dialetto è assai distante da quello della Garfagnana. Comunque non è raro sentir dire di una persona
LÈNDINE 1~ s.m./s.f. Il vocabolo, normalmente usato al plurale, lèndini, indica
quelle piccolissime gocce di pioggia che
danno origine ad un particolare fenomeno atmosferico per cui sembra quasi che
le particelle d’acqua restino sospese per
aria; lo stesso termine, forse per la forma
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e le dimensioni, è usato anche ad indicare
le uova dei pidocchi che si annidano (o,
meglio, per fortuna, si annidavano) tra i
capelli delle persone. Non è inconsueto
ascoltare questo (e il vocabolo seguente)
con l’accento acuto, léndine.
Da lendinem, acc. del tardo lat. lendis
per il class. lens (Devoto-Oli, 1265).
LÈNDINE 2 ~ s.m./s.f. Avaro, taccagno,
spilorcio. Come si è visto sopra, il vocabolo identifica anche i pidocchi, vocabolo
che pure nella lingua italiana è usato, in
senso traslato, per indicare persone avare.
LÈNTE ~ agg. Allentato, molle, non teso,
non stretto (tira quel filo:’un vedi che è lènte?). Da sottolineare come al femminile,
rimanga lènte senza assumere la desinenza
in a. Come si vede, nel dialetto della Garfagnana, il vocabolo non ha il significato
di ‘lento’ proprio della lingua italiana nel
senso di ‘individuo o animale tardo, che si
muove piano, che impiega un tempo eccessivo a far le cose’ (accezione per la quale
si usa lènto anche in Garfagnana).
Dal lat. lentus ‘pieghevole’, che ha conservato nel dialetto un significato assai più
vicino a quello originario, rispetto all’italiano ‘lento’.
LÈRCIO ~ agg. Sporco, lurido. Il termine
è presente con lo stesso contenuto anche
nella lingua italiana, ma val comunque la
pena di segnalarlo in quanto Nello Guido
Poli, nella sua raccolta di vocaboli tipici
del dialetto locale, gli attribuisce il diverso
significato di ‘scaltro, furbo’.
Dal lat. volg. hirceus ‘caprino’ incrociatosi con ‘lardo’ (Devoto-Oli, 1268).
LÈRNIA ~ s.f. Noia, fastidio. Il vocabolo,
abbastanza comune, si trova contenuto anche nella tesi di laurea di Piergiorgio Lenzi
sul dialetto di Castelnuovo di Garfagnana.
Dal lat. hernia ‘ernia’, con concrezione
dell’articolo (Battaglia, VIII, 965).
LÈRNIO ~ s.m. Debole, svogliato nel
mangiare; anche nel senso di ‘noioso,
lento’.
LÈSINA ~ s. f. Maria Luisa Santini inserisce questo vocabolo nella sua raccolta di
parole tipiche di Corfino con il significato
di “strumento appuntito per fare i buchi
nel cuoio”. Ora ci pare che il termine, oltre
ad esser diffuso in altre zone della Garfagnana, sia voce italiana. Si ritiene comunque di segnalarlo non solo per il dovuto
rispetto alla fatica della Signora Santini,
ma per rimarcare una volta di più la presenza nel dialetto garf. di termini propri
di un linguaggio forbito o dotto, utilizzati
comunemente anche da persone prive di
istruzione convenzionale.
Dal got. alisna (Devoto-Oli, 1268).
LÉSSO ~ agg. Stanco, sfinito (ved. supra
cotto).
LETICA’ ~ intrans. Coniugato come i
verbi in ‘ca’’. Litigare, disputare accanitamente con qualcuno, spesso trascendendo
ad ingiurie od offese o passando a vie di
fatto. Nel dialetto della gente di Garfagnana il verbo è spesso usato alla forma riflessiva (l’ho visti che si liticàino).
L’etimologia è da ricondurre al lat. lis
‘lite’.
LETICATA ~ s.f. Litigata, bisticcio, alterco, litigio, discussione accanita ed animata,
in grado di sfociare sovente in contumelie
verbali, quando non in vere e proprie colluttazioni.
LÉTO ~ agg. Sporco, sudicio.
Da letare ‘concimare, ingrassare, insudiciare’ (Battaglia, VIII, 977).
309
dizionario garfagnino
LÈTTA ~ s.f. Decisione, scelta (Santini,
El semaforo, 56: “’Un crede mia, ’n città, di
caminare / di qua o di là, o ’ndelmezzo, a
tu’ letta...”).
dicare la quantità di generi di monopolio
che il gestore dell’appalto ritirava presso i
magazzini dello Stato per rifornire il proprio negozio. Altra riprova di come vocaboli colti (e tipici di una certa attività)
siano entrati, con l’uso, nel dialetto, pur
essendo questo espressione di una cultura
popolare e non certo dotta.
LEVA’ ~ trans. Coniugato come ama’.
Portar via, levare, togliere; per estensione, raccogliere (indù hai lèvo quel fungio?). (Pennacchi, La Luna ’un è più lé, 14:
“Nun possino capì questi scienziati / quel
c’àn lèvo a noialtri, disgraziati”; Bonini,
La noscia fin, 21: “Ti vedi abbindolato in
tutti i modi / e nimo che ti levi el mal di
dosso”). Alla forma riflessiva assume il
significato di ‘sollevarsi, alzarsi dal letto’
(stamani mi son lèvo alle sette) ed anche
di ‘allontanarsi, muoversi’ (“lèviti di li’!,
lèviti di torno!).
Dal lat. levare ‘levare, sollevare, togliere’.
LÈVO ~ agg. partic. Si tratta di una voce
con pluralità di significati: tolto, rimosso,
portato via, trovato e raccolto (‘indù hai lèvo
quel fungio?’); alzato, destato (‘mi son lèvo
un’ora fa’). Lèvo è poi usato nel senso di ‘lievitato’ (ved. supra fogaccia lèva), ma in questo caso trattasi non del part. pass. del verbo
leva’, ma di l(i)evita’ nella forma sincopata
l(i)eva’, con probabile derivazione da eleva’.
LEVA’ DI SOTTO ~ Locuz. idiom. garf.
LÉZZA ~ s.f. Frana, terreno friabile e
Espressione che viene usata per indicare
l’attività di sottrarre una persona (in genere un bambino) ad un’altra (di norma
un genitore) che la sta percuotendo (il mi’
marito bussava il Giuvannìn: s’ ’un glielo
levao di sotto, lo ruvinava); questa espressione viene adoperata anche con il significato di ‘togliere il letame da sotto le bestie
nella stalla’.
sdrucciolevole, strapiombo, ravaneto.
Il vocabolo, che si ritrova con il medesimo significato nel dialetto modenese, è
da riconnettere etimologicamente alla famiglia dei derivati da ‘lava’ (così Battaglia,
VIII, 1030, che tuttavia propone questa
derivazione in forma dubitativa).
LEVàME ~ s.m. Lievito per panificazione che si otteneva aggiungendo acqua
e farina ad un pezzetto dell’impasto del
pane fatto la settimana precedente (per
uso familiare il pane si faceva in casa una
volta alla settimana) e conservato in una
tazza. Il vocabolo è dichiarato come tipico
dal giornale “La Garfagnana”.
Etimologicamente si ricollega al latino
levamen ‘mezzo di sollievo, alleviamento’
(Campanini-Carboni, 389) da cui il significato di ‘lievito’ per incrocio con levare
‘lievitare’. E infatti il lievito fa sollevare,
alzare la farina impastata.
310
LEVATA ~ s.f. Termine tecnico per in-
LÉZZO ~ s.m. Odore non gradevole. Il
termine viene adoperato in specie per indicare il sapore caratteristico che assume l’uovo quando è stato sbattuto o lasciato in un
piatto, in una ciotola, in una scodella, in un
bicchiere (questo bicchieri odora di lézzo).
Da ‘olezzo’ per aferesi.
LEZZÓN ~ s.m. Luogo franoso. Accr. di
lezza (ved. supra).
LIBRAIA ~ s.f. Logorìo, fame, vuoto di
stomaco. È parola contenuta nell’elenco
di voci dialettali tipiche redatto da Nello
Guido Poli che segnala anche la variante
livraia.
dizionario garfagnino
LICCUSÌ 1 ~ avv. Lì, in quel posto; liccu-
zativa. Proprio quello; di tal genere, di
tal fatta (Santini, Opinioni sull’anticipio
dell’ora legale, 13: “Se ’un è ’na cojonella
a j ’gnoranti / quell’ordin liccusì certo è
abusivo); anche questo vocabolo è spesso
usato nella forma “liccosì”.
LIMACA ~ s.f. Chiocciola. Il dialetto della
Garfagnana attribuisce dunque alla parola
un significato diverso da quello della lingua
italiana, dove il termine ‘lumaca’ allude al
mollusco gasteropodo privo del guscio a
forma di conchiglia, che in garfagnino è
chiamato invece lumacón (ved. infra).
La parola è oggi desueta essendo stata
soppiantata dal termine italiano ‘lumaca’,
ancorchè la dizione dialettale sia più vicina foneticamente al vocabolo latino limax
‘lumaca’, dal quale deriva.
LIGARÈLLO ~ s.m. Nel libro “La gente
LìMIO ~ s.m. Nella raccolta compilata da
garfagnina dicea…così”, 97 è contenuto
questo sostantivo, quale termine di paragone per una persona “dai capelli bianchi
come un batuffolo di stoppa o fili di canapa”.
.
LIGNITE ~ s.f. Tipo di carbon fossile
con percentuale di carbonio non molto
alta. Anche in Garfagnana, nei dintorni di
Cerretoli, si trovava un giacimento di questo carbone, di cui Bonini (Lamento d’un
garfagnìn, 91) si duole sia stato compiuto
uno sfruttamento indiscriminato, che ha
finito con il farlo scomparire del tutto: “E
come si ni vanno le ligniti / cusì i castagni
caline a mijaie / lasciando nei tereni stincuriti / solamente i curnicci e le ceppaie”.
Dal lat. lignum ‘legno’, materiale da cui
deriva il carbone.
Nello Guido Poli si trova questo vocabolo
cui viene attribuito il significato di “vuoto
di stomaco”. Si tratta però, con ogni probabilità, di una semplice variante fonetica
di limo (ved. infra).
sì peraltro pare costituire un rafforzativo
del semplice ‘lì ’, quasi a dire, ‘proprio lì’. È
assai frequente anche la variante liccosì.
LICCUSÌ 2 ~ avv. con funzione raffor-
LIMA’ ~ trans. Coniugato come ama’. As-
sillare, tormentare ossessivamente ed insistentemente, ma in maniera leggera, non
brutale. Si usa anche nell’accezione, comune alla lingua italiana di ‘levigare, spianare, assottigliare’, in particolare con l’ausilio
della lima ed anche nel senso di ‘sfregare,
stropicciare’. Alla forma riflessiva, limassi
assume il significato di ‘logorarsi’.
Dal lat. limare ‘limare, strofinare’ (D’Arbela, Annaratone, Cammelli, 636).
LIMO ~ s.m. Logorio, malessere, dolia,
sia in senso fisico (ho un limo a’ denti,
all’istómbico), sia in senso morale (ho un
limo drento). Poli lo traduce con ‘piccolo
dolore’.
LIMÒ ~ avv. Lì, in quel luogo, non molto
lontano da chi parla e da chi ascolta. A volte viene usato per dar un tono enfatico al
discorso (guarda limò, che disastro!). Frequente anche in molte locuzioni avverbiali
come limò sotto, limò accanto, limò drento.
LIMÓN ~ s.m. Limone, albero che produce frutti giallo verdi dal succo asprigno
con l’identico nome utilizzati in cucina
come ingredienti di varie preparazioni e
quale condimento di pietanze e contorni.
Dall’arabo limun o laimun.
LIMÒSINA ~ s.f. Elemosina, offerta
spontanea fatta per pietà, compassione
o degnazione a favore dei poveri o della
Chiesa.
Dal gr. elemosýne da cui il lat. elemosina.
311
dizionario garfagnino
LIMPI’ ~ trans. Coniugato come empi’
(ved. supra). Riempire, metter in un recipiente, in un contenitore tutto quanto vi
può stare (ho limpito il bicchieri; la piazza
s’èra limpita di gente).
Dal lat. implire, composto da in, dentro
e pleo, dalla radice di plenus ‘pieno’.
LINCHÉTTO ~ s.m. Bufardello, termine, quest’ultimo, assai più usato in Garfagnana (ved. supra). È uno spiritello dispettoso, ma non sempre cattivo che si diverte
a far scherzi alle persone (come scoprirle
mentre dormono, spostare gli oggetti posati sui mobili, legare le code degli animali
fra loro) per poi ridere delle sue bravate.
Interessante l’opinione del Nieri, 113
circa l’etimologia della parola, da ricondursi al lat. incubus ‘incubo’ (con l’articolo
l’ prostetico), nella sua forma diminutiva
‘l’incubetto’ poi divenuto parola unica
(lincubetto) proprio perché il linchetto
non è cattivo e angosciante.
LINDA, LINDA ~ locuz. avv. Espressione
che veniva usata nel divertimento popolare del tiro della forma, con il significato
di ‘far in modo che questa possa scorrere
sul pulito o comunque in modo che possa
procedere liscia senza scosse, così da poter
andare più lontano’ (cfr. Poli: appràdela
qui, linda, linda).
LINGHIÉRA ~ s.f. Ringhiera, parapetto
in ferro o altro materiale (legno, muratura), protezione per chi sale o scende le
scale.
Da un tardo lat. aringhiera con radice
di arengo, arengario ‘luogo di adunanza’
(Passerini Tosi, 1287).
LINGUACIO ~ s.m. Linguaggio, modo
di esprimersi, di parlare (Santini, I pionieri, 72: “Veramente la creanza / vol linguacio diferente”).
312
Passerini Tosi, 846 fa derivare il vocabolo dal prov. languatge da cui il franc.
langage (conf. Battaglia, IX, 113).
LINZÓLO ~ s.m. Lenzuolo. Evidente variante fonetica della parola italiana. Telo,
un tempo di canapa ed oggi, in genere, di
lino o cotone, che avvolge i materassi del
letto (Pennacchi, Mezzo sogno di una notte
di Capodanno, 19: “Mi sognai… d’ èssimi
svejato / in un lettin pulito di bucato / cun
le molle, i linzoli e un bel guanciale / propio cume quand’ero allo Spedale”; Bonini,
Una doppo l’altra, 63: “…Eccola lì: una
nevata / che ha coperto el terrén come un
linzolo”).
Dal lat. linteolum, dimin. di linteum
‘panno’ (Battaglia, VII, 955). Passerini
Tosi, 834 propende egualmente per una
derivazione da “linteum”, ma quale neutro
dell’aggettivo “linteus” ‘di lino’.
LIOFANTE ~ s.m. Elefante. Animale
assai probabilmente conosciuto dai garfagnini di un tempo per averne sentito la
descrizione o il racconto delle abitudini
o degli impieghi dalle narrazioni di chi li
aveva potuti vedere al giardino zoologico,
essendo stato in città, ovvero da coloro
che, dotati di un minimo di istruzione,
facevano da narratori, nelle “sere a vejo”,
parlando di quanto avevano letto nei poemi epici o cavallereschi o nei libri di storia
o di avventure.
Il vocabolo deriva dal gr. eléphas divenuto il lat. elephans con caduta della e iniziale ed alterazione fonetica della seconda
e in io.
LIPERA’ ~ trans. Coniugato coma ama’.
Liberare, render libero da un vincolo, da
una restrizione, da un impiccio. È identico
all’italiano ‘liberare’ e lo si segnala per sottolineare la variante eufonica consistente
nella sostituzione della p alla b (questa vol-
dizionario garfagnino
ta semplice e non doppia come gia visto a
proposito, ad esempio, di arapiato per ‘arrabbiato’ e di gapia per ‘gabbia’). (Bonini,
Icunumia per scaldassi quand’ è freto, 26:
“Sapete quel che far si deve / per liperà dal
freto gambe e spalle?”).
Derivato dal lat. liberare.
LIPERTA’ ~ s. f. Libertà con sostituzione
della p alla b (presente anche nella radice
etimologica libertas) per cui ved. supra
lipera’. Bonini, 68 titola con tale parola
una sua poesia. Anche Santini, Politica, 28
adopera questo vocabolo: “Cambia il lavoro, ma nun cambia ’l testo / per via che la
promessa è sempre uguale / pace, lavoro;
e, cosa principale, / lipertà d’esse porco e
disonesto”.
LIPRO ~ s.m. Libro, volume. Il maestro
Poli propone anche la variante (abbastanza rara e probabilmente tipica della zona
di Piazza al Serchio) lipre con passaggio
del vocabolo dalla seconda alla terza declinazione.
LISCIA’ ~ trans. Coniugato come i verbi in ‘cia’’. Render liscio, levigare, lisciare,
ma anche seguire con la mano il verso del
pelo di un animale o quello dei peli delle
membra delle persone. Come si vede non
vi è diversità rispetto all’italiano ‘lisciare’,
ma si segnala ugualmente questo verbo
per ricordare un giochetto che, in passato, si faceva spesso ai bambini ed ragazzi,
consistente nel passar loro la mano aperta
sul viso, prima dalla fronte verso il mento, quindi in senso contrario: la prima
operazione era gradevole per il bimbo, la
seconda ovviamente no. Per tal motivo,
chi la compiva soleva accompagnarla con
queste parole, rivolte al bambino: così si
liscia (quando la mano scendeva verso il
mento), così si arriccia (quando ritornava
dal mento verso la fronte).
Borgonovo-Torelli, 159 fanno derivare
la parola dal lat. lissius di origine discussa; Mestica, 872 dal gr. lissos; Devoto-Oli,
1289 propendono per una derivazione dal
lat. mediev. lixare ‘levigare’.
LISCIVA ~ s.f. Liscivia. Acqua bollente
filtrata attraverso la cenere ed usata come
detergente per lavare i panni. Con lo stesso
nome si indicava una miscela di carbonato
di sodio e di potassio utilizzata per il bucato, antesignana dei moderni detersivi.
Dal lat. lixivia, derivato da (aqua) lixa
‘acqua calda’ (Mestica, 873).
LIZZA ~ s.f. Veicolo senza ruote destinato
al trasporto di cose (e di persone) in luoghi scoscesi: con questo termine venivano
indicate le grosse slitte impiegate per il
trasporto dei blocchi di marmo dalle cave
fino a valle. Lizza era anche uno dei più
popolari canti di lavoro che accompagnavano l’attività dei cavatori di marmo delle
Apuane, che prevedeva anche la necessità
di condurre a valle su slitte senza ruote i
blocchi tagliati dalla montagna.
Ad avviso di Battaglia, IX, 172 etimologicamente deriverebbe da una forma
settentrionale l’ilza con concrezione dell’articolo; Passerini Tosi, 853 invece fa discendere il vocabolo da lizzare incrocio fra
‘lisciare’ e ‘drizzare’, tesi che pare da condividere, visto che si parla di uno strumento dei cavatori di marmo (delle Apuane),
forse non adusi ad utilizzare termini dei
dialetti del Nord Italia
LOCCAIO ~ s.m. O. Bonini menziona
questa parola nel suo elenco di vocaboli
di Sillico precisando che con tale termine
si indica ‘quanto rimane dopo la battitura
del grano’.
LOCCATA ~ s.f. Sciocchezza, stupidaggine. (Pennacchi, Il Togno e il divorzio, 31:
313
dizionario garfagnino
“…guarda loccata che t’à tiro fori / quel
povero onorevole Fortuna!”).
LÓCCO ~ agg. e s.m. Sciocco, tonto, stupido. In molte zone è comune la variante
olocco, da cui deriva locco (Pennacchi, Se
artornasse mi pa’, 70: “E quaggiù in tera
durin a ammazzassi / senza sape’ per chi,
poveri locchi”). Il volume “La gente garfagnina dicea…così”, 97 riporta la parola
attribuendole tuttavia il meno spregiativo
significato di ‘credulone’.
Devoto-Oli, 1296 propongono una derivazione da ‘allocco’ (garf. olocco), generalmente condivisa; tuttavia deve osservarsi
che ‘allocco’ deriva a sua volta da ulucus,
non ‘allocco’, ma ‘civetta’ (ved. infra olocco).
presenza di colonne. Per estensione edificio coperto, comunicante direttamente
con l’esterno, circondato da colonne che
sostengono archi attraverso i quali è agevole il transito di persone, animali e cose.
È più comune il plurale ‘logge’.
Dal germ. laubja (Palazzi, 650) ‘pergola’. Devoto-Oli, 1297 ritengono che il
vocabolo sia invece da ricondurre al franc.
loge.
LÒGLIO ~ s.m. Pianta erbacea delle
graminacee, che infesta i campi di grano.
È detta pure zizzània, vocabolo forse più
comune nel dialetto.
Dal lat. lolium ‘loglio’.
LOGORA’ ~ trans. Coniugato come
LÒDOLA ~ s. f. Allodola, passeraceo as-
sai comune. Il vocabolo è presente anche
nella lingua italiana e viene qui ricordato
per la frequenza del suo uso nella parlata
della gente di Garfagnana e per esser contenuto nella raccolta del maestro Poli.
LÒFFA ~ s.f. Vescia, fungo di colore
biancastro, dal corpo più o meno sferico
contenente una polvere impalpabile costituita dalle spore e dalle ife, dall’aspetto di
una pallina semisgonfia. Si tratta di funghi
eduli, ma non ritenuti tali in Garfagnana,
dove vengono considerati fungacci.
Forse di origine onomatopeica in
quanto, schiacciandola, ricorda il rumore
di una gonfia, ma cosa vuota quando la si
comprime.
ama’. Annoiare, tediare (di persone noiose
o moleste) ovvero minare il fisico (di malattie). Usato alla forma riflessiva assume il
significato di ‘stare in ansia’.
Dal lat. lucrari ‘guadagnare’ (D’Arbela,
Annaratone, Cammelli, 646). BorgonovoTorelli, 159/160 precisano: “il passaggio
semantico è dal concetto di guadagno a
quello di mancata spesa e, quindi, eccessivo risparmio, uso di qualche cosa fino a
deteriorarla”.
LÓGORO ~ s.m. Tormento, dolore, anche fisico, ma specialmente di ordine morale. Angoscia, patimento (tutte le volte che
vedo quella povera donna, mi chiappa un
lógoro che mai!).
LOGORÓN ~ s.m. Persona ansiosa, che
LÒFFARO ~ agg. e s.m.Vagabondo, in-
dolente, pigro (cfr. anche Lenzi); Gian Mirola, op. cit., 14 dà al termine la definizione
di ‘noioso’.
LOGGIA ~ s.f. Loggiato, portico; parte
della casa che si trova all’ingresso prima
della porta, caratterizzata per lo più dalla
314
si preoccupa di cose insignificanti, che si
fascia la testa per un nonnulla.
LOMBARDO ~ agg e s.m. Abitante delle
terre al di là dell’Appennino, verso Nord.
Venturelli, Glossario, 271 afferma che il
vocabolo identifica gli abitanti delle montagne modenesi e reggiane; tuttavia sem-
dizionario garfagnino
bra che la portata del termine sia più vasta
e generica. Curiosa l’espressione, riferita
da Orietta Bertoli: fa’ da mangia’ per quaranta lombardi, nel senso di ‘preparare una
grande quantità di cibo’.
LÓNTORA ~ s.f. Zacchera, grumo di
fango, di mota, raccolto dalle scarpe, dal
fondo dei vestiti, camminando sul fango o
schizzato da chi sia passato, a piedi, in bicicletta o con altro mezzo di locomozione,
in una pozzanghera d’acqua o di fango.
LONTRIA ~ s.f. Il prof. Venturelli (Glossario, 271) precisa che la parola significa
‘lontra’, osservando peraltro che il narratore della novella L’albero dell’idolo del
sole, da lui riportata, le attribuisce – con
accezione singolare e sconosciuta – il significato di “grosso pesce”.
LÓNZA ~ s.f. La schiena all’altezza dei
reni. Lombata. Nel maiale è l’arista. Così
precisa don Baldisseri (op. cit., 126), ma la
parola non ci sembra propriamente garfagnina.
Mestica, 878 fa derivare il vocabolo dal
lat. lumbus, Passerini Tosi, 856 dal franc.
longe ‘lombata’.
LÓRDA ~ s.f. Grande fame. “Fame famelica” traduce la parola, con bella definizione, Nello Guido Poli nella sua raccolta di
vocaboli dialettali.
LÓRDO ~ agg. Affamato, persona con
grande appetito.
Cortellazzo-Marcato, 255 sottolineano
come sulla etimologia della parola non
vi sia convergenza di opinioni, essendovi
chi la riconduce al lat. luridus nel senso di
‘pallido, giallo’ colore dell’affamato e chi
sempre a luridus, ma nel suo significato
proprio di ‘sporco’ per cui una fame lorda
sarebbe una fame sudicia, pesante.
LÒRI ~ pron.pers. Loro, essi (Santini, La
radio, 15: “J dissi a secco: ’un basta esse signori / per cojonammi me: se lei ha trovato / de’ biscari inzinòra, chiami lòri”).
LÓRNIO ~ agg. Pigro, sornione. La dottoressa Giulia Pieroni traduce il vocabolo
con ‘lento’. I predetti significati nel dialetto garf. sono assai più frequenti rispetto a
quello di ‘miope, guercio’ che la parola ha
in altre zone d’Italia.
Dal francese lorgne ‘miope, sciocco’
(Battaglia, IX, 223).
LOSIMA’ ~ trans. Coniugato come ama’.
Logorare, snervare. Con il significato lievemente diverso di ‘temporeggiare, esitare, farla lunga’ si sente anche lusima’ (ved.
infra): si tratta però sempre del medesimo
verbo, che presenta sfaccettature fonetiche
diverse ed una pluralità di significati, oltre
a mutar categoria (nel secondo dei significati forniti infatti diventa intransitivo).
LOZZO 1 ~ s.m.. Sporcizia, sudiciume.
Dal lat. luteus ‘fangoso’.
LOZZO 2 ~ agg. Sporco, poco pulito.
LU’ ~ pron. pers. masch. di terza persona.
Lui. Si usa come complemento oggetto e
negli altri complementi se accompagnato
da una preposizione Per il resto valgono
le notazioni fatte a proposito dell’analogo
pronome le’ (ved. supra) cui si rimanda.
LUCCHÉSE ~ agg. Qualità di mela, di
colore rosso, gustosa e di lunga conservazione (il vocabolo è contenuto nel lavoro
del Lenzi sul dialetto di Castelnuovo).
LÙCCICA ~ s.f. Lucciola. Simpatica era
l’usanza (diffusa in tutta la Garfagnana e
ricordata anche da Lenzi) di far credere ai
bimbi che una lùccica, catturata la sera e
315
dizionario garfagnino
posta sotto un bicchiere capovolto, avrebbe durante la notte prodotto dei soldi: al
mattino, infatti, i genitori, prima che i
bambini si destassero, ponevano sotto il
bicchiere qualche piccola moneta che scatenava la gioia dei loro piccoli.
Variante di ‘lucciola’ con la stessa etimologia da lux ‘luce’ o da luceo ‘risplendo’.
LULLì ~ pron. pers. Lui, proprio quello
lì, a volte anche con valore lievemente dispregiativo nel senso di ‘quel bel tomo’.
LUCCICHÉTTO ~ s.m. Piccola luce,
LUMACÓN ~ s.m. Lumaca senza guscio.
lumicino. Il vocabolo è illustrato da Venturelli nel Glossario, 271.
‘Lumacone ignudo’ lo definisce con bella
espressione Fanfani, 523. Abbiamo già visto (ved. supra limaca) che il dialetto garf.
non usa il termine ‘chiocciola’ per indicare
il gasteropodo con il guscio, ed impiega
limaca per alludere alla ‘chiocciola’ e lumacón riferendosi all’animaletto privo di
guscio. Il vocabolo viene poi adoperato
anche per descrivere una persona lenta,
tarda, flemmatica.
L’etimologia è sempre da limax ‘lumaca’.
LUCCICÓN ~ s.m. Lacrima, lacrimone
(Pennacchi, Mezzo sogno di una notte di
Capodanno, 20: “M’asciugai un luccicón,
presi una balla / e m’avviai giù giù verso
la stalla”).
LÙCCIOLA ~ s.f. Ulcera, malattia dello stomaco. Vocabolo citato così da Maria
Luisa Santini come dal maestro Poli.
LUCERNAIO ~ s.m. Nieri, 115 lo tra-
duce come ‘abbaino’, ma lucernaio in Garfagnana ha una portata più ampia, alludendo a qualsiasi finestra, fissa o mobile,
fornita o meno di alzata in muratura, che
consenta di dar luce alla stanza in cui è
collocata.
Dal lat. lucerna, connesso con lux ‘luce’.
LUCÍGNORO ~ s.m. Stoppino del lume
a petrolio.
LUDURINA ~ s.f. Allodola. Il vocabolo
è contenuto nel Glossario del Venturelli,
271.
Dal lat. alauda ‘allodola’ (CastiglioniMariotti, 68).
LUGLIÉSE ~ agg. Vocabolo utilizzato
esclusivamente con riferimento all’uva
che matura a luglio (detta, appunto, uva
lugliese).
316
LUJO ~ s.m. Luglio, settimo mese del-
l’anno (Pennacchi, Il Togno e la tera, 85:
“quand’è il sole del Lujo o dell’Ogosto”.
Dal lat. julius (mensis) ‘mese di luglio’.
LUME ~ s.m. Sorgente luminosa, e anche
apparecchio che illumina. Il vocabolo viene
peraltro qui segnalato per ricordare la locuzione idiomatica garfagnina tra il lume e il
buio con la quale si indica il ‘crepuscolo’.
LUMI ~ s.m.plur. Altro vocabolo qui
riportato per sottolineare un’espressione
idiom. garf.: a questi lumi di Luna, impiegata con riferimento ad una condizione di
difficoltà economica, se non, addirittura,
di miseria.
LUMINÉLLA 1 ~ s.f. Pianta con fusto
erbaceo e piccole foglie, appartenente al
genere ‘Eufrasia’, impiegata per curare le
malattie degli occhi.
LUMINÉLLA 2 ~ s.f. Pupilla. Parola di
uso relativo e certamente di origine non
garfagnina (pare addirittura trattarsi di
vocabolo di derivazione elbana). Nel significato di ‘pupilla’, oltre che da Battaglia,
dizionario garfagnino
IX, 278, è attestata anche da Fanfani, 523.
Odorico Bonini la menziona nella sua lista
di parole tipiche di Sillico.
Evidente la derivazione dal lat. lumen
‘luce, occhio’ (Castiglioni-Mariotti, 860).
LUNÉTTA ~ s.f. Arnese da cucina con
due manici ed una robusta lama curva, detta anche (e più frequentemente, stante la
sua forma) mezzaluna, usata per ottenere i
battuti e per spezzettare carni e verdure.
LUNGAGNÓN ~ s.m. Persona lunga e
tarda nell’operare e nel muoversi; tiratardi. Il vocabolo viene anche riferito a persona molto alta e magra.
LUNGÌN ~ agg. Esile, come la fiamma di
un lumicino a petrolio. Così nel libro “La
gente garfagnina dicea…così”, 96.
LUNNIDì ~ s.m. O. Bonini segnala que-
sto vocabolo con il significato di ‘lunedì’,
primo giorno della settimana’, tra i vocaboli tipici di Sillico.
LUPE ~ s.m. Lupo. La variante, con
passaggio dalla seconda alla terza declinazione, ricorre con discreta frequenza
nel dialetto della zona attorno a Piazza al
Serchio.
LUPINO ~ s.m. Pianta erbacea i cui semi,
detti pure lupini, simili a fagioli di colore
giallastro e di gusto amarognolo, si mangiano dopo che siano stati bolliti e macerati in acqua salata.
Dal lat. lupinus.
LÙPPICA ~ s.f. Cispa, secrezione lacrimale raggruppatasi sulle ciglia o sulle palpebre (a Corfino si dice làppeca, a Sillico
làppica).
Per l’etimologia ved. infra luppicóso.
LUPPICÓSO ~ agg. Cisposo, persona
con occhi pieni di cispa, muco delle palpebre che si è seccato (cfr. Gian Mirola op.
cit., 20).
Dal lat. lippus ‘cisposo’ (Georges-Calonghi, col, 1592).
LUSIMA’ ~ intrans. Coniugato come
ama’. Temporeggiare, esitare (ved. supra
losima’).
LUSTRIÓN ~ s.m Persona magra ema-
ciata, quasi trasparente.
L’etimologia può forse ricollegarsi a
lustro ‘lucido, trasparente al punto di potercisi specchiare o di potervisi vedere attraverso’.
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