Untitled - Garfagnana Identità e Memoria
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Untitled - Garfagnana Identità e Memoria
L M dizionario garfagnino LABBRATA ~ s.f. Colpo, percossa, schiaffo dato, per lo più con il dorso della mano, sulle labbra. Curiosamente, in materia di percosse, a volte si fa riferimento alla parte del corpo che l’arreca (manata, pedata), a volte al mezzo usato (cintolata, vettata), a volte al punto dove si concretizza l’attività di chi percuote (labbrata, sculacciata). LABBRO ~ s.m. Ognuna delle due parti carnose che circoscrivono la bocca: la particolarità del dialetto garf. è nel plurale, sempre labbri, tanto se riferito a cose come a persone (Bonini, 2 Novembre, 96: “mia propio stricca’ i labbri”). Più squisitamente locale e assai frequente, almeno in passato, la variante lapro, il cui plurale è, ovviamente, lapri. Etimologicamente derivato dal lat. labrum ‘labbro’ che al plurale fa labra per cui, in questo caso, la dizione dialettale non è dovuta (come avviene molte altre volte) a conservazione di una voce antica, direttamente derivata dalla lingua di Roma. LACCIUGA ~ s.f. Acciuga, detta anche ‘alice’, pesce di mare dalle carni pregiate. In Garfagnana l’unione dell’articolo con il sostantivo iniziante per vocale per formare un vocabolo unico non costituisce una rarità (cfr. lapa, lamo): ciò premesso, va detto che lacciuga non sembra essere parola molto frequente nel dialetto della valle del Serchio. Il termine italiano è da ricondursi al lat. apiuva, dal gr. aphye ‘piccolo pesce’ (Devoto-Oli, 20): questa tesi è condivisa anche da Borgonovo-Torelli, 34 per i quali inoltre il gruppo cc per p sembra rivelare un passaggio intermedio nel dialetto genovese. LADDILì ~ avv. Lì attorno; lì, nelle vicinanze di quel posto; giù di lì, con un senso di minor specificazione rispetto a lì. Gian 302 Mirola, op.cit., 19 menziona Lalladilì con il medesimo significato. È comune anche nella variante laddilinde (o là di linde). LAGASCIÓN(E) ~ s.m. Pioggia intensa; parola tipica del dialetto di Corfino ricordata dai fratelli Pier Luigi e Giovanni Santini. Là Là ~ locuz. avverb. Espressione assai tipica nella parlata della gente di Garfagnana, unita ad anda’, nel senso di procedere in una certa direzione, ma verso un luogo imprecisato, dirigersi in una qualche parte, senza una meta prestabilita. Andà là là assume sovente anche il significato di sopravvivere alla meno peggio, tirare avanti (Pennacchi, Poveracci e signori, 110: “andàvimo là là da poveracci, senza invidia’ nissùn”). Là Là PER IL PIAN, IL MALATO PORTA IL SAN ~ locuz. idiom. garf. Era la frase pronunciata dalla volpe che, fintasi ammalata, si faceva portare in collo dal lupo, invece ammalato sul serio. Si usa per indicare una persona che faccia fare ad altri il proprio lavoro. LAMBICCO ~ s.m. Alambicco, strumen- to per distillare materiali liquidi (ed anche solidi). Risulta composto dalla caldaia ove si pongono le cose che si intendono distillare e da una serpentina (raffreddata) che permette di tramutare i vapori in alcool. Derivato, con aferesi della a, da ‘alambicco’, a sua volta, da ricondursi all’arabo al ambiq ‘vaso’ (Devoto-Oli, 66; conf. Borgonovo-Torelli, 26). LAMENTÓN ~ s.m. Persona solita lamentarsi di qualsiasi cosa, che trova sempre da ridire per un motivo o per l’altro pretendendo la comprensione altrui. Dal lat. lamentum ‘lamento’. dizionario garfagnino LAMIGIANA ~ s.f. Damigiana, recipien- tore, insomma, per di’ ’l vero / gnanco quest’anno ci possiam lammia’ ”). Nieri fa derivare il verbo da laniare per laniare se ‘graffiarsi’, da cui ‘lamentarsi’. E questa − contrariamente a quanto si è detto sopra riferendo la tesi del Pieri − potrebbe esser anche l’etimologia di lammia. te di vetro a forma di grande fiasco, rivestito di vimini o falasco, utilizzato per contenere liquidi, in specie vino. La variante rispetto all’italiano ‘damigiana’ pare tipica (e non generalizzata) del dialetto di Sassi, in comune di Molazzana. La parola italiana ‘damigiana’ di cui lamigiana costituisce mera variante fonetica, deriva, secondo Mestica, 426 da Damaghan città della Persia celebre per le sue vetrerie, mentre ad avviso di Borgonovo Torelli, 91 sarebbe da ricondursi a dame Jeanne, signora Giovanna, “nome di donna applicato ad un vaso in tono scherzoso, come per allusione ad una donna panciuta”: tesi, quest’ultima, se non più corretta, certamente più simpatica e suggestiva. Palazzi, 338 sposa la tesi del Mestica; Devoto-Oli, 647 preferiscono l’altra. LAMO ~ s.m. Amo, uncino d’acciaio che si applica alla lenza per catturare i pesci dopo avervi collocato l’esca. L’unione dell’articolo alla parola per formare un unico vocabolo non è fenomeno raro nel dialetto (ved. lacciuga, lapa). Fanfani riporta il vocabolo precisando trattarsi di ‘idiotismo’ per ‘amo da pesca’. Dal lat. hamus ‘uncino’ (D’Arbela, Annaratone, Cammelli, 474). LAMIÓNA (LAMMIÓNA) ~ s.f. Perso- LAMÓN ~ s.m. Pungiglione di ape o di na noiosa. Ved. infra Làmmia vespa ed anche la lingua bifida dei serpenti. La parola è contenuta nella raccolta di vocaboli tipici del dialetto della Garfagnana compilata dal maestro Nello Guido Poli. LÀMMIA ~ s.f. Persona noiosa che si lamenta continuamente per futili motivi (tutti stèn zitti, solamente quella làmmia continuò a discore). È usata anche la variante lamiona (o lammiona). Nella mitologia classica e medievale ‘Lamia o Lammia’ era un mostro con corpo di serpente e volto di donna che usciva di notte dai boschi e dai crepacci per succhiare il sangue dei bambini e divorarli; se il termine garfagnino risale a questa leggenda (in tal senso Pieri, riportato da Battaglia, VIII, 717) bisogna dire che, pur mantenendo un certo tenore dispregiativo, si è parecchio nobilitato (ved. però infra lammiassi). LAMMIASSI ~ rifless. Coniugato come i verbi in ‘ia’’. Lamentarsi, rammaricarsi (“smettila di lammiatti ogni momento”) (Santini, Fattoria moderna, 35: “Caro fat- LAMMIATA ~ s.f. Lamentela, lagnanza. LAMPEZZA’ ~ intrans. impers. Coniu- gato come ama’ nei modi e nei tempi che ammette. Apparire di lampi nel cielo, lampeggiare. Il verbo è particolarmente usato quando, nelle sere estive, si vedono lampi lontani, ma non si sente il tuono né piove dove ci si trova, fenomeno detto comunemente ‘lampi di calore’. Da ‘lampo’ derivato da un tardo lat. lampare ‘splendere’ (Devoto-Oli, 1243; conf. Palazzi, 626) a sua volta da ricondursi al gr. làmpein. LAMPO ~ s.m. Fulmine, fenomeno luminoso di breve durata prodotto dalla elettricità atmosferica; non è certamente vocabolo esclusivo del dialetto garf., anzi si tratta di comune termine italiano, ma lo 303 dizionario garfagnino si segnala perché nella nostra lingua nazionale la parola con cui si indica più frequentemente questo fenomeno è ‘fulmine’, mentre in Garfagnana il termine più usato per indicare la scarica elettrica dalle nubi è sicuramente lampo. Per la derivazione etimologica ved. supra lampezza’. LAMPÓN ~ s.m. Lampone, arbusto che dà frutti dallo stesso nome, rossi e profumati simili alle more, mangiabili come sono o sotto forma di marmellata. Etimologia praticamente sconosciuta. Passerini Tosi, 819 propone una derivazione da “una forma dialettale”, ma non va oltre, mentre Devoto-Oli, 1244 riconducono la parola ad una forma settentrionale l’ampon risalente a tema mediterraneo, con successiva concrezione dell’articolo (conf. Battaglia, VIII, 728). LAMPUGIÓN ~ s.m. Lacrimone, grossa lacrima provocata per lo più da intenso dolore (Bonini, 2 Novembre, 96: “…el core / i lampugioni da j occhi fa casca’ ”). LANTERNÓN ~ s.m. Bastone molto alto (tre metri, se non di più), portato a mano al seguito delle processioni notturne, sul quale era fissata una lanterna mobile che si spostava avanti e indietro,. Al termine della cerimonia, i lanternoni venivano riportati in Chiesa per essere utilizzati come strumenti decorativi o devozionali nelle processioni diurne. La parola è più usata al plurale. Accr. di ‘lanterna’ dalla identica voce lat. LANTÌNO ~ s.m. Scuro, imposta, anta di una finestra. Come avvenuto in altri casi (cfr. lacciuga. lamo, lapa) non è raro che il dialetto garfagnino fonda in un’unica parola il vocabolo ed il suo articolo. 304 Dall’omonima parola lat. anta (Passerini Tosi, 82). LAPA ~ s.f. Ape (ved. supra apa). Il fenomeno dell’incorporazione dell’articolo nel sostantivo, già notato sopra riguardo a lacciuga, lamo e lantino, pur non frequentissimo, è presente nel dialetto della Garfagnana: a differenza di lacciuga inoltre, lapa è vocabolo di uso comune. Dal lat. apis ‘ape’. LÀPIDA ~ s.f. Lapide, lastra di pietra, marmo o altro materiale che solitamente attesta il nome di un defunto, reca un’iscrizione in sua memoria o ne porta impresse le date di nascita e di morte e trovasi apposta su un monumento, un sepolcro, una tomba, un muro o sulle pareti di una Chiesa: oggi è termine desueto, sostituito dall’italiano ‘lapide’. Etimologicamente deriva da lapidem acc. del lat. lapis ‘pietra’; la parola garfagnina, rispetto al vocabolo italiano, ha inoltre subìto il passaggio dalla terza alla prima declinazione; si deve però segnalare che ‘lapida’, per quanto definita ‘voce toscana’ si trova registrata nei comuni dizionari della lingua italiana. LAPÌN ~ s.m. Coniglio. Parola di origi- ne corfinese, di cui fa menzione, nella sua raccolta di termini del vernacolo locale, Maria Luisa Santini e che manifesta un evidente collegamento con il vocabolo francese lapin ‘coniglio’. LàPPORA ~ s.f. Vocabolo usato principalmente al plurale per indicare le ciglia o i peli di esse singolarmente presi. È tuttavia vocabolo non della Garfagnana, ma di derivazione lucchese, che si sente a volte per un fenomeno, per così dire, di ‘importazione linguistica’. Nel Grande Dizionario del Battaglia, VIII, 766 si trova ‘lappola’, dizionario garfagnino quale diminutivo di ‘nappa’ con dissimilazione, nel significato di ‘ciuffo di peli’. LARDO ~ s.m. Grasso del maiale. Il vocabolo viene qui citato per segnalare l’espressione idiomatica garfagnina ’un esseci tanto lardo da struce con il significato di ‘trovarsi in condizione di dover fare economia’. Dal lat. laridum ‘lardo’ (Devoto-Oli, 1249). LASAGNÓN ~ s.m. Ceffone, schiaffone, ma anche ragazzaccio. LASSA’ (LASCIA’) ~ trans. Coniugato come ama’ (la forma lascia’ rispetta ovviamente le particolarità segnalate nelle note di grammatica relativamente ai verbi in ‘cia’’). Lasciare, dimenticare, non portare con sé, abbandonare; il verbo non diverge dal vocabolo italiano e lo si segnala per il part. pass. lascio che non esiste in italiano, dove possiamo trovare ‘lasso’, impiegato peraltro nel linguaggio aulico o poetico, ed inoltre con il significato di ‘stanco, spossato’, non di ‘lasciato’. Dal lat. laxare ‘allargare, sciogliere, dar sollievo, calmare’ (Castiglioni-Mariotti, 829). Borgonovo-Torelli, 155 ne danno la complessa evoluzione semantica cui si rimanda. LÀSTRICO ~ s.m. Pavimentazione di aie o vie formata da cemento, masselli di pietre o sassi piatti; selciato. È comune anche la forma àstrico (ved. supra) con scomparsa della consonante iniziale della parola, divenuta articolo, fenomeno già osservato, ad esempio con apis per lapis. Dal lat. àstracum, dal gr. òstracon ‘coccio’. LATTICCIO ~ s.m. Latticello, liquido sieroso che rimane dopo la coagulazione del burro. Quando si poteva disporre del latticcio per preparare le tùllore (ved. infra) era una festa perché, indubbiamente, riuscivano più gustose e saporite rispetto a quando venivano ottenute con il latte scremato. Dal lat. lac ‘latte’, etimologia comune a tutti gli altri vocaboli aventi lo stesso tema. LATTINA ~ s.f. recipiente di latta con cui i contadini portavano il latte a vendere. L’etimologia potrebbe farsi risalire al contenuto, ‘il latte’, ma è più probabile che si debba far riferimento al materiale, ‘latta’ (dal tardo lat. latta di etimo incerto, Borgonovo-Torelli, 155), con cui era realizzato il contenente, dato che lattina è parola usata anche nel caso di recipienti di latta impiegati per contenere liquidi diversi (dammi una lattina di bira). LAVAMàN ~ s.m. Lavabo, recipiente di ceramica o metallo per le abluzioni parziali della persona, utilizzato particolarmente quando nelle case mancava ancora l’acqua corrente. Con questa parola si indicava tanto la semplice catinella (ved. supra) quanto l’armatura metallica a piede che sorreggeva la brocca dell’acqua, il portasapone e il catino (conf. Lenzi). Il vocabolo è contenuto anche nel Novissimo Vocabolario della Lingua Italiana compilato e riveduto da Pietro Fanfani, 503. Dal tardo lat. lavamanus. LAVATIVO ~ s.m. Clistere Dal franc. lavatif (Passerini Tosi, 828). LAVATÓIO ~ s.m. Vasca per il lavaggio manuale dei panni. Il lavatóio per antonomasia era un vascone rettangolare ad uso pubblico con un ampio bordo pendente verso l’interno dove confluiva l’acqua non utilizzata della fontana e dove le donne 305 dizionario garfagnino si recavano per lavare i panni (ved. infra pozzo). In genere il lavatóio era fatto di cemento (con il bordo levigato fin dall’origine o a seguito dell’uso), così come la vasca più piccola, destinata alla medesima finalità e posta davanti alle case (o nei cijeri): quest’ultima, detta lavatojétto, non aveva il bordo su tu tre lati (come il lavatóio), ma disponeva solo di un piano inclinato verso il basso sul davanti utilizzato per appoggiare, insaponare, sfregare, battere e strizzare i panni. Dal lat. lavare. Devoto-Oli, 1256 si riportano direttamente ad un tardo lat. lavatorium. LAVEZZìN ~ s.m. Piccola pentola, pentolino, padellina. LAVéZZO ~ s.m. Paiolo, pentola di bronzo dalle ampie dimensioni con forma cilindrica e dotata di manico semicircolare. La parola, anche nella variante laveggio, è diffusa in tutta l’area centromeridionale italiana (dove è comune l’espressione ‘cascar dal paiolo nel laveggio’ equivalente a ‘cader dalla padella nelle braci’ per indicare colui che, al fine di evitarsi un male, vada incontro ad uno peggiore). Per le affinità (e le differenze) con il paiolo ved. infra quest’ultimo vocabolo. (Pennacchi, La vecchina, 122: “La mi’ mamma, alla fin dell’orazión / cavava dal lavezzo il vin bullito”). ‘Laveggio’, che si può unificare a lavezzo anche per l’etimologia, deriva dal lat. lapideus, ‘di pietra’ da cui lapidium ‘vaso di pietra’ (Passerini Tosi, 828; conf. DevotoOli, 1256). LAVORANTE ~ s.m./f. Lavoratore, la- voratrice, nel senso di persona che non si tira indietro se c’è da lavorare; cfr. la novella Quella che non voleva lavora’ raccolta da Venturelli, 190 ove si dice: “Allòra, s’èra due sorelle: lla più grande era svelta, lavorante”. 306 LAVORATÓRA ~ s.f. ed agg. Curiosa espressione garfagnina, in quanto il femminile di ‘lavoratore’ dovrebbe essere ‘lavoratrice’ anche in dialetto; tuttavia non è raro che quest’ultimo, linguaggio semplificato rispetto alla lingua ufficiale, si limiti ad apporre la tipica desinenza femminile a al tema del sostantivo maschile Santini, nella poesia La vacca (pubblicata anche dal giornale “La Garfagnana”) fa qualificare dal contadino con questo termine la mucca che è intenzionato a vendere. (Da notare che nel volume “All’ombra del Torrione” dello stesso Santini, 60 – nel quale è contenuta la medesima poesia – la parola è diventata lavoratore; non vi è dubbio però che si tratti di un refuso e che sia esatto quanto scritto sul periodico locale, perché tutta la lirica è impostata sulla descrizione della bestia, ovviamente al femminile). Dal lat. labor ‘fatica’. LAZARÓN ~ s.m. Lazzarone, canaglia, persona spregevole (Santini, Carlìn e il miccio, 41: “E fammela un popo’ più muderata! / rospo d’un lazarón!...”). Dallo spagn. lazaro ‘povero, cencioso’ dal nome di Lazzaro, il mendico coperto di piaghe del quale parla la parabola del ricco epulone, nel Vangelo di Luca (Battaglia, VIII, 865). Potrebbe anche farsi risalire al fratello di Marta, che la tradizione popolare identifica in una persona patita e macilenta. LE’ ~ pron. pers. femm. di terza persona sing. Lei. Si usa come complemento oggetto e nei complementi con preposizioni (ho incontrato propio le’; partirò cun le’). Come soggetto trova impiego nelle esclamazioni (beata le’!), quando vi è contrapposizione fra due soggetti (le’ rivò puntuale, lu’ mezz’òra doppo), quando il soggetto è posto dopo il verbo (l’ha ditto le’) e quando è preceduto da cume, tanto, quanto, pure dizionario garfagnino ecc. (’un fate cume le’; c’era anco le’). (Pennacchi, Il Togno e la Nena, 103: “Io son siguro che nun dissi gnente / e le’, lo stesso, m’arispose: sì”). Anche Bonini lo usa di frequente, ad esempio nella poesia Ugello in gapia, 30, ricordando al merlo quando era con la sua compagna, gli dice: “e passavi cun le’ vita felice” Dal lat. ille. LÈCCA ~ s.f. Botta, percossa, colpo violento; per estensione ‘schianto, rumore forte’ (ad esempio quello di un tuono immediatamente successivo ad un fulmine caduto nelle vicinanze). La parola viene anche impiegata per alludere ad un acciacco, un malanno improvviso ed inopinato di una certa virulenza, ma destinato a guarire abbastanza rapidamente, come un forte raffreddore, un’influenza accompagnata da febbre alta (questa volta ho chiappo una bella lècca). In questo ultimo senso si sentono anche i termini melècca e salècca (ved. infra). Voce di origine settentrionale di natura onomatopeica (Battaglia VIII, 874). LECCHIN(E) ~ s.m. Pignolo, meticoloso. Vocabolo usato a Corfino e ricordato da Pier Luigi e Giovanni Santini. LÉCCO ~ agg. Azzimato, ordinato, ben pettinato. Il vocabolo sottende una leggera sfumatura disgregiativa, nel senso di ‘persona agghindata con civetteria, affettata’. LÉCE ~ s.f. Legge, atto deliberativo del Parlamento o emanato dall’Autorità cui sia stato attribuito dalla Costituzione il potere legislativo (Bonini, Parla un amico del bicchierotto, 75: “Io vorei che una léce ci urdinasse / che ’l vino si bevesse e si mangiasse”). Il vocabolo ricorre anche in G.B.Santini, Lo zezzorón, 19/ 20. Dal lat. lex ‘legge’. LÈGGE ~ trans. Irregolare al pass. rem. io leggétti (lèssi), tu leggésti, egli leggétte (lèsse), noi leggéttimo (leggémmo, lèssimo), voi leggéste, essi leggéttero (lèssero, lèssino) e al part. pass. lètto. Praticare la lettura, rendersi conto, conoscere il contenuto di un libro, di un articolo di giornale, di un manifesto, di qualsiasi cosa scritta. Pronunciare ad alta voce quanto sta scritto in un testo, in un documento che si ha tra le mani ed il cui contenuto non è conosciuto a memoria. Decifrare una scrittura, comprenderne i caratteri ed il significato dei segni grafici e delle parole. Si riporta questo verbo, simile, pure nel significato, all’italiano ‘leggere’ sia per la sua estrema diffusione anche nella parlata della gente di Garfagnana, sia per sottolineare l’impiego a volte della variante léce (Bonini, 17 si rivolge ai destinatari delle sue poesie, intitolando proprio la prima di esse: A chi mi lece), sia per ricordare che in qualche caso il part. pass. è leggiuto (Nella poesia Si coje o no a firma CIDI, pubblicata da “La Garfagnana” troviamo: “Se ’un èn tutte fandonie / quel ch’ài leggiuto / in del giornale”). Dal lat. legere letteralmente ‘cogliere, fissare con lo sguardo’. LEGGÈRA 1 ~ agg. s.m e s.f. Persona poco affidabile; riferito a donna significa ‘poco seria’, se non addirittura ‘di facili costumi’. Dal francese antico legier derivato dal lat. pop. levianus a sua volta da levis ‘leggero’ (Borgonovo-Torelli, 156). LEGGÈRA 2 ~ s.f. Persona sempre senza soldi e che non ha nessuna voglia di lavorare. Il vocabolo è menzionato dal Poli nella sua raccolta di parole dialettali locali. LEGGICCHIA’ (LEGGIUCCHIA’) ~ trans. Coniugato come i verbi in ‘ia’’. Leggere senza prestare troppa attenzione, saltan307 dizionario garfagnino do magari qualche parola; leggere di mala voglia o in modo superficiale. Anche con il significato di ‘saper leggere poco bene’. LéGNA ~ s.f. Legno o legna da bruciare. In italiano – essendo l’espressione ‘legne’ ormai desueta – il termine ‘legna’ è divenuto una specie di plurale tantum per cui viene usato con articolo e aggettivo singolare anche nel senso di indicare un insieme, una pluralità di pezzi di legno (‘spaccare la legna, ordinare la legna, aggiungere un pezzo di legna al fuoco, la stufa va a legna’); nella parlata della gente della Garfagnana, pur esistendo molte espressioni conformi a quanto avviene nella nostra lingua nazionale (mia mette altra legna nel fòco, sarà bèn sistema’ la legna), si trova anche l’espressione legne, (residuo di un uso passato, Fanfani, 507 cita ancora “legne o legna”) accompagnata da articolo e aggettivo alla forma plurale (indù posso appoggia’ le legne?; il miccio ’un ce la fa a porta’ tutte queste legne!), nonché una inconsueta concordanza tra aggettivo plurale e sostantivo singolare le legna (cfr. la leggenda Il pane, raccolta da Venturelli, 215). È vero che si potrebbe ribattere che in questo caso ‘legna’ non è femminile singolare, ma plurale neutro; tuttavia la stranezza di cui si è parlato rimarrebbe ugualmente perché diverrebbe, allora, inspiegabile l’espressione, assai comune, le legne (con il sostantivo non più neutro, ma divenuto femminile plurale). 308 che si muova velocemente: core cume una légora. Légora è anche parola tipica del dialetto di Sillico, come ci fa sapere Odorico Bonini. Nella raccolta di vocaboli del dialetto locale compilata da Nello Guido Poli si trova anche la variante leóra. Il vocabolo italiano deriva dal lat. lepus ‘lepre’. LÈMBO ~ agg. Assorbente. Il vocabolo è usato con particolare riferimento alle patate: è infatti pratica comune in cucina aggiungere ai cibi troppo salati delle fette di patate o delle patate intere, che hanno il potere di assorbire il sale in eccedenza. Grazie alle patate lembe, le vivande risultano meno salate e più gradite al palato. LÈMBRA ~ s.f. Grande fame, golosità. Nieri, 110 lo dice vocabolo “comunissimo”. Oggi ciò non sembra, mentre più frequente è l’aggettivo lembro (ved. infra). LÈMBRO ~ agg. e s.m. Ghiotto, goloso, vorace, affamato. Il vocabolo ricorre anche come sostantivo con il significato di “ghiottone, grande mangiatore”. Il termine deriva da lembrugio, voce lucchese, incrocio di lambire (nella variante lembire) con leccare (Battaglia, VIII, 937). LÈNCORO ~ agg. e s.m. Buono a nulla. LENDINATA ~ s.f. Caduta di pioggia leg- LÉGORA ~ s.f. Lepre. Il vocabolo è cita- gera e sottile, quasi una nebbiolina che si discioglie in gocce minute e evanescenti. to da Nieri, 110 come tipico del linguaggio della Garfagnana, dove peraltro è assai più diffusa la comune espressione lepre. Inoltre légura, legurìn è parola di ampia diffusione nella zona della Italia del Nord, specialmente della Lombardia, il cui dialetto è assai distante da quello della Garfagnana. Comunque non è raro sentir dire di una persona LÈNDINE 1~ s.m./s.f. Il vocabolo, normalmente usato al plurale, lèndini, indica quelle piccolissime gocce di pioggia che danno origine ad un particolare fenomeno atmosferico per cui sembra quasi che le particelle d’acqua restino sospese per aria; lo stesso termine, forse per la forma dizionario garfagnino e le dimensioni, è usato anche ad indicare le uova dei pidocchi che si annidano (o, meglio, per fortuna, si annidavano) tra i capelli delle persone. Non è inconsueto ascoltare questo (e il vocabolo seguente) con l’accento acuto, léndine. Da lendinem, acc. del tardo lat. lendis per il class. lens (Devoto-Oli, 1265). LÈNDINE 2 ~ s.m./s.f. Avaro, taccagno, spilorcio. Come si è visto sopra, il vocabolo identifica anche i pidocchi, vocabolo che pure nella lingua italiana è usato, in senso traslato, per indicare persone avare. LÈNTE ~ agg. Allentato, molle, non teso, non stretto (tira quel filo:’un vedi che è lènte?). Da sottolineare come al femminile, rimanga lènte senza assumere la desinenza in a. Come si vede, nel dialetto della Garfagnana, il vocabolo non ha il significato di ‘lento’ proprio della lingua italiana nel senso di ‘individuo o animale tardo, che si muove piano, che impiega un tempo eccessivo a far le cose’ (accezione per la quale si usa lènto anche in Garfagnana). Dal lat. lentus ‘pieghevole’, che ha conservato nel dialetto un significato assai più vicino a quello originario, rispetto all’italiano ‘lento’. LÈRCIO ~ agg. Sporco, lurido. Il termine è presente con lo stesso contenuto anche nella lingua italiana, ma val comunque la pena di segnalarlo in quanto Nello Guido Poli, nella sua raccolta di vocaboli tipici del dialetto locale, gli attribuisce il diverso significato di ‘scaltro, furbo’. Dal lat. volg. hirceus ‘caprino’ incrociatosi con ‘lardo’ (Devoto-Oli, 1268). LÈRNIA ~ s.f. Noia, fastidio. Il vocabolo, abbastanza comune, si trova contenuto anche nella tesi di laurea di Piergiorgio Lenzi sul dialetto di Castelnuovo di Garfagnana. Dal lat. hernia ‘ernia’, con concrezione dell’articolo (Battaglia, VIII, 965). LÈRNIO ~ s.m. Debole, svogliato nel mangiare; anche nel senso di ‘noioso, lento’. LÈSINA ~ s. f. Maria Luisa Santini inserisce questo vocabolo nella sua raccolta di parole tipiche di Corfino con il significato di “strumento appuntito per fare i buchi nel cuoio”. Ora ci pare che il termine, oltre ad esser diffuso in altre zone della Garfagnana, sia voce italiana. Si ritiene comunque di segnalarlo non solo per il dovuto rispetto alla fatica della Signora Santini, ma per rimarcare una volta di più la presenza nel dialetto garf. di termini propri di un linguaggio forbito o dotto, utilizzati comunemente anche da persone prive di istruzione convenzionale. Dal got. alisna (Devoto-Oli, 1268). LÉSSO ~ agg. Stanco, sfinito (ved. supra cotto). LETICA’ ~ intrans. Coniugato come i verbi in ‘ca’’. Litigare, disputare accanitamente con qualcuno, spesso trascendendo ad ingiurie od offese o passando a vie di fatto. Nel dialetto della gente di Garfagnana il verbo è spesso usato alla forma riflessiva (l’ho visti che si liticàino). L’etimologia è da ricondurre al lat. lis ‘lite’. LETICATA ~ s.f. Litigata, bisticcio, alterco, litigio, discussione accanita ed animata, in grado di sfociare sovente in contumelie verbali, quando non in vere e proprie colluttazioni. LÉTO ~ agg. Sporco, sudicio. Da letare ‘concimare, ingrassare, insudiciare’ (Battaglia, VIII, 977). 309 dizionario garfagnino LÈTTA ~ s.f. Decisione, scelta (Santini, El semaforo, 56: “’Un crede mia, ’n città, di caminare / di qua o di là, o ’ndelmezzo, a tu’ letta...”). dicare la quantità di generi di monopolio che il gestore dell’appalto ritirava presso i magazzini dello Stato per rifornire il proprio negozio. Altra riprova di come vocaboli colti (e tipici di una certa attività) siano entrati, con l’uso, nel dialetto, pur essendo questo espressione di una cultura popolare e non certo dotta. LEVA’ ~ trans. Coniugato come ama’. Portar via, levare, togliere; per estensione, raccogliere (indù hai lèvo quel fungio?). (Pennacchi, La Luna ’un è più lé, 14: “Nun possino capì questi scienziati / quel c’àn lèvo a noialtri, disgraziati”; Bonini, La noscia fin, 21: “Ti vedi abbindolato in tutti i modi / e nimo che ti levi el mal di dosso”). Alla forma riflessiva assume il significato di ‘sollevarsi, alzarsi dal letto’ (stamani mi son lèvo alle sette) ed anche di ‘allontanarsi, muoversi’ (“lèviti di li’!, lèviti di torno!). Dal lat. levare ‘levare, sollevare, togliere’. LÈVO ~ agg. partic. Si tratta di una voce con pluralità di significati: tolto, rimosso, portato via, trovato e raccolto (‘indù hai lèvo quel fungio?’); alzato, destato (‘mi son lèvo un’ora fa’). Lèvo è poi usato nel senso di ‘lievitato’ (ved. supra fogaccia lèva), ma in questo caso trattasi non del part. pass. del verbo leva’, ma di l(i)evita’ nella forma sincopata l(i)eva’, con probabile derivazione da eleva’. LEVA’ DI SOTTO ~ Locuz. idiom. garf. LÉZZA ~ s.f. Frana, terreno friabile e Espressione che viene usata per indicare l’attività di sottrarre una persona (in genere un bambino) ad un’altra (di norma un genitore) che la sta percuotendo (il mi’ marito bussava il Giuvannìn: s’ ’un glielo levao di sotto, lo ruvinava); questa espressione viene adoperata anche con il significato di ‘togliere il letame da sotto le bestie nella stalla’. sdrucciolevole, strapiombo, ravaneto. Il vocabolo, che si ritrova con il medesimo significato nel dialetto modenese, è da riconnettere etimologicamente alla famiglia dei derivati da ‘lava’ (così Battaglia, VIII, 1030, che tuttavia propone questa derivazione in forma dubitativa). LEVàME ~ s.m. Lievito per panificazione che si otteneva aggiungendo acqua e farina ad un pezzetto dell’impasto del pane fatto la settimana precedente (per uso familiare il pane si faceva in casa una volta alla settimana) e conservato in una tazza. Il vocabolo è dichiarato come tipico dal giornale “La Garfagnana”. Etimologicamente si ricollega al latino levamen ‘mezzo di sollievo, alleviamento’ (Campanini-Carboni, 389) da cui il significato di ‘lievito’ per incrocio con levare ‘lievitare’. E infatti il lievito fa sollevare, alzare la farina impastata. 310 LEVATA ~ s.f. Termine tecnico per in- LÉZZO ~ s.m. Odore non gradevole. Il termine viene adoperato in specie per indicare il sapore caratteristico che assume l’uovo quando è stato sbattuto o lasciato in un piatto, in una ciotola, in una scodella, in un bicchiere (questo bicchieri odora di lézzo). Da ‘olezzo’ per aferesi. LEZZÓN ~ s.m. Luogo franoso. Accr. di lezza (ved. supra). LIBRAIA ~ s.f. Logorìo, fame, vuoto di stomaco. È parola contenuta nell’elenco di voci dialettali tipiche redatto da Nello Guido Poli che segnala anche la variante livraia. dizionario garfagnino LICCUSÌ 1 ~ avv. Lì, in quel posto; liccu- zativa. Proprio quello; di tal genere, di tal fatta (Santini, Opinioni sull’anticipio dell’ora legale, 13: “Se ’un è ’na cojonella a j ’gnoranti / quell’ordin liccusì certo è abusivo); anche questo vocabolo è spesso usato nella forma “liccosì”. LIMACA ~ s.f. Chiocciola. Il dialetto della Garfagnana attribuisce dunque alla parola un significato diverso da quello della lingua italiana, dove il termine ‘lumaca’ allude al mollusco gasteropodo privo del guscio a forma di conchiglia, che in garfagnino è chiamato invece lumacón (ved. infra). La parola è oggi desueta essendo stata soppiantata dal termine italiano ‘lumaca’, ancorchè la dizione dialettale sia più vicina foneticamente al vocabolo latino limax ‘lumaca’, dal quale deriva. LIGARÈLLO ~ s.m. Nel libro “La gente LìMIO ~ s.m. Nella raccolta compilata da garfagnina dicea…così”, 97 è contenuto questo sostantivo, quale termine di paragone per una persona “dai capelli bianchi come un batuffolo di stoppa o fili di canapa”. . LIGNITE ~ s.f. Tipo di carbon fossile con percentuale di carbonio non molto alta. Anche in Garfagnana, nei dintorni di Cerretoli, si trovava un giacimento di questo carbone, di cui Bonini (Lamento d’un garfagnìn, 91) si duole sia stato compiuto uno sfruttamento indiscriminato, che ha finito con il farlo scomparire del tutto: “E come si ni vanno le ligniti / cusì i castagni caline a mijaie / lasciando nei tereni stincuriti / solamente i curnicci e le ceppaie”. Dal lat. lignum ‘legno’, materiale da cui deriva il carbone. Nello Guido Poli si trova questo vocabolo cui viene attribuito il significato di “vuoto di stomaco”. Si tratta però, con ogni probabilità, di una semplice variante fonetica di limo (ved. infra). sì peraltro pare costituire un rafforzativo del semplice ‘lì ’, quasi a dire, ‘proprio lì’. È assai frequente anche la variante liccosì. LICCUSÌ 2 ~ avv. con funzione raffor- LIMA’ ~ trans. Coniugato come ama’. As- sillare, tormentare ossessivamente ed insistentemente, ma in maniera leggera, non brutale. Si usa anche nell’accezione, comune alla lingua italiana di ‘levigare, spianare, assottigliare’, in particolare con l’ausilio della lima ed anche nel senso di ‘sfregare, stropicciare’. Alla forma riflessiva, limassi assume il significato di ‘logorarsi’. Dal lat. limare ‘limare, strofinare’ (D’Arbela, Annaratone, Cammelli, 636). LIMO ~ s.m. Logorio, malessere, dolia, sia in senso fisico (ho un limo a’ denti, all’istómbico), sia in senso morale (ho un limo drento). Poli lo traduce con ‘piccolo dolore’. LIMÒ ~ avv. Lì, in quel luogo, non molto lontano da chi parla e da chi ascolta. A volte viene usato per dar un tono enfatico al discorso (guarda limò, che disastro!). Frequente anche in molte locuzioni avverbiali come limò sotto, limò accanto, limò drento. LIMÓN ~ s.m. Limone, albero che produce frutti giallo verdi dal succo asprigno con l’identico nome utilizzati in cucina come ingredienti di varie preparazioni e quale condimento di pietanze e contorni. Dall’arabo limun o laimun. LIMÒSINA ~ s.f. Elemosina, offerta spontanea fatta per pietà, compassione o degnazione a favore dei poveri o della Chiesa. Dal gr. elemosýne da cui il lat. elemosina. 311 dizionario garfagnino LIMPI’ ~ trans. Coniugato come empi’ (ved. supra). Riempire, metter in un recipiente, in un contenitore tutto quanto vi può stare (ho limpito il bicchieri; la piazza s’èra limpita di gente). Dal lat. implire, composto da in, dentro e pleo, dalla radice di plenus ‘pieno’. LINCHÉTTO ~ s.m. Bufardello, termine, quest’ultimo, assai più usato in Garfagnana (ved. supra). È uno spiritello dispettoso, ma non sempre cattivo che si diverte a far scherzi alle persone (come scoprirle mentre dormono, spostare gli oggetti posati sui mobili, legare le code degli animali fra loro) per poi ridere delle sue bravate. Interessante l’opinione del Nieri, 113 circa l’etimologia della parola, da ricondursi al lat. incubus ‘incubo’ (con l’articolo l’ prostetico), nella sua forma diminutiva ‘l’incubetto’ poi divenuto parola unica (lincubetto) proprio perché il linchetto non è cattivo e angosciante. LINDA, LINDA ~ locuz. avv. Espressione che veniva usata nel divertimento popolare del tiro della forma, con il significato di ‘far in modo che questa possa scorrere sul pulito o comunque in modo che possa procedere liscia senza scosse, così da poter andare più lontano’ (cfr. Poli: appràdela qui, linda, linda). LINGHIÉRA ~ s.f. Ringhiera, parapetto in ferro o altro materiale (legno, muratura), protezione per chi sale o scende le scale. Da un tardo lat. aringhiera con radice di arengo, arengario ‘luogo di adunanza’ (Passerini Tosi, 1287). LINGUACIO ~ s.m. Linguaggio, modo di esprimersi, di parlare (Santini, I pionieri, 72: “Veramente la creanza / vol linguacio diferente”). 312 Passerini Tosi, 846 fa derivare il vocabolo dal prov. languatge da cui il franc. langage (conf. Battaglia, IX, 113). LINZÓLO ~ s.m. Lenzuolo. Evidente variante fonetica della parola italiana. Telo, un tempo di canapa ed oggi, in genere, di lino o cotone, che avvolge i materassi del letto (Pennacchi, Mezzo sogno di una notte di Capodanno, 19: “Mi sognai… d’ èssimi svejato / in un lettin pulito di bucato / cun le molle, i linzoli e un bel guanciale / propio cume quand’ero allo Spedale”; Bonini, Una doppo l’altra, 63: “…Eccola lì: una nevata / che ha coperto el terrén come un linzolo”). Dal lat. linteolum, dimin. di linteum ‘panno’ (Battaglia, VII, 955). Passerini Tosi, 834 propende egualmente per una derivazione da “linteum”, ma quale neutro dell’aggettivo “linteus” ‘di lino’. LIOFANTE ~ s.m. Elefante. Animale assai probabilmente conosciuto dai garfagnini di un tempo per averne sentito la descrizione o il racconto delle abitudini o degli impieghi dalle narrazioni di chi li aveva potuti vedere al giardino zoologico, essendo stato in città, ovvero da coloro che, dotati di un minimo di istruzione, facevano da narratori, nelle “sere a vejo”, parlando di quanto avevano letto nei poemi epici o cavallereschi o nei libri di storia o di avventure. Il vocabolo deriva dal gr. eléphas divenuto il lat. elephans con caduta della e iniziale ed alterazione fonetica della seconda e in io. LIPERA’ ~ trans. Coniugato coma ama’. Liberare, render libero da un vincolo, da una restrizione, da un impiccio. È identico all’italiano ‘liberare’ e lo si segnala per sottolineare la variante eufonica consistente nella sostituzione della p alla b (questa vol- dizionario garfagnino ta semplice e non doppia come gia visto a proposito, ad esempio, di arapiato per ‘arrabbiato’ e di gapia per ‘gabbia’). (Bonini, Icunumia per scaldassi quand’ è freto, 26: “Sapete quel che far si deve / per liperà dal freto gambe e spalle?”). Derivato dal lat. liberare. LIPERTA’ ~ s. f. Libertà con sostituzione della p alla b (presente anche nella radice etimologica libertas) per cui ved. supra lipera’. Bonini, 68 titola con tale parola una sua poesia. Anche Santini, Politica, 28 adopera questo vocabolo: “Cambia il lavoro, ma nun cambia ’l testo / per via che la promessa è sempre uguale / pace, lavoro; e, cosa principale, / lipertà d’esse porco e disonesto”. LIPRO ~ s.m. Libro, volume. Il maestro Poli propone anche la variante (abbastanza rara e probabilmente tipica della zona di Piazza al Serchio) lipre con passaggio del vocabolo dalla seconda alla terza declinazione. LISCIA’ ~ trans. Coniugato come i verbi in ‘cia’’. Render liscio, levigare, lisciare, ma anche seguire con la mano il verso del pelo di un animale o quello dei peli delle membra delle persone. Come si vede non vi è diversità rispetto all’italiano ‘lisciare’, ma si segnala ugualmente questo verbo per ricordare un giochetto che, in passato, si faceva spesso ai bambini ed ragazzi, consistente nel passar loro la mano aperta sul viso, prima dalla fronte verso il mento, quindi in senso contrario: la prima operazione era gradevole per il bimbo, la seconda ovviamente no. Per tal motivo, chi la compiva soleva accompagnarla con queste parole, rivolte al bambino: così si liscia (quando la mano scendeva verso il mento), così si arriccia (quando ritornava dal mento verso la fronte). Borgonovo-Torelli, 159 fanno derivare la parola dal lat. lissius di origine discussa; Mestica, 872 dal gr. lissos; Devoto-Oli, 1289 propendono per una derivazione dal lat. mediev. lixare ‘levigare’. LISCIVA ~ s.f. Liscivia. Acqua bollente filtrata attraverso la cenere ed usata come detergente per lavare i panni. Con lo stesso nome si indicava una miscela di carbonato di sodio e di potassio utilizzata per il bucato, antesignana dei moderni detersivi. Dal lat. lixivia, derivato da (aqua) lixa ‘acqua calda’ (Mestica, 873). LIZZA ~ s.f. Veicolo senza ruote destinato al trasporto di cose (e di persone) in luoghi scoscesi: con questo termine venivano indicate le grosse slitte impiegate per il trasporto dei blocchi di marmo dalle cave fino a valle. Lizza era anche uno dei più popolari canti di lavoro che accompagnavano l’attività dei cavatori di marmo delle Apuane, che prevedeva anche la necessità di condurre a valle su slitte senza ruote i blocchi tagliati dalla montagna. Ad avviso di Battaglia, IX, 172 etimologicamente deriverebbe da una forma settentrionale l’ilza con concrezione dell’articolo; Passerini Tosi, 853 invece fa discendere il vocabolo da lizzare incrocio fra ‘lisciare’ e ‘drizzare’, tesi che pare da condividere, visto che si parla di uno strumento dei cavatori di marmo (delle Apuane), forse non adusi ad utilizzare termini dei dialetti del Nord Italia LOCCAIO ~ s.m. O. Bonini menziona questa parola nel suo elenco di vocaboli di Sillico precisando che con tale termine si indica ‘quanto rimane dopo la battitura del grano’. LOCCATA ~ s.f. Sciocchezza, stupidaggine. (Pennacchi, Il Togno e il divorzio, 31: 313 dizionario garfagnino “…guarda loccata che t’à tiro fori / quel povero onorevole Fortuna!”). LÓCCO ~ agg. e s.m. Sciocco, tonto, stupido. In molte zone è comune la variante olocco, da cui deriva locco (Pennacchi, Se artornasse mi pa’, 70: “E quaggiù in tera durin a ammazzassi / senza sape’ per chi, poveri locchi”). Il volume “La gente garfagnina dicea…così”, 97 riporta la parola attribuendole tuttavia il meno spregiativo significato di ‘credulone’. Devoto-Oli, 1296 propongono una derivazione da ‘allocco’ (garf. olocco), generalmente condivisa; tuttavia deve osservarsi che ‘allocco’ deriva a sua volta da ulucus, non ‘allocco’, ma ‘civetta’ (ved. infra olocco). presenza di colonne. Per estensione edificio coperto, comunicante direttamente con l’esterno, circondato da colonne che sostengono archi attraverso i quali è agevole il transito di persone, animali e cose. È più comune il plurale ‘logge’. Dal germ. laubja (Palazzi, 650) ‘pergola’. Devoto-Oli, 1297 ritengono che il vocabolo sia invece da ricondurre al franc. loge. LÒGLIO ~ s.m. Pianta erbacea delle graminacee, che infesta i campi di grano. È detta pure zizzània, vocabolo forse più comune nel dialetto. Dal lat. lolium ‘loglio’. LOGORA’ ~ trans. Coniugato come LÒDOLA ~ s. f. Allodola, passeraceo as- sai comune. Il vocabolo è presente anche nella lingua italiana e viene qui ricordato per la frequenza del suo uso nella parlata della gente di Garfagnana e per esser contenuto nella raccolta del maestro Poli. LÒFFA ~ s.f. Vescia, fungo di colore biancastro, dal corpo più o meno sferico contenente una polvere impalpabile costituita dalle spore e dalle ife, dall’aspetto di una pallina semisgonfia. Si tratta di funghi eduli, ma non ritenuti tali in Garfagnana, dove vengono considerati fungacci. Forse di origine onomatopeica in quanto, schiacciandola, ricorda il rumore di una gonfia, ma cosa vuota quando la si comprime. ama’. Annoiare, tediare (di persone noiose o moleste) ovvero minare il fisico (di malattie). Usato alla forma riflessiva assume il significato di ‘stare in ansia’. Dal lat. lucrari ‘guadagnare’ (D’Arbela, Annaratone, Cammelli, 646). BorgonovoTorelli, 159/160 precisano: “il passaggio semantico è dal concetto di guadagno a quello di mancata spesa e, quindi, eccessivo risparmio, uso di qualche cosa fino a deteriorarla”. LÓGORO ~ s.m. Tormento, dolore, anche fisico, ma specialmente di ordine morale. Angoscia, patimento (tutte le volte che vedo quella povera donna, mi chiappa un lógoro che mai!). LOGORÓN ~ s.m. Persona ansiosa, che LÒFFARO ~ agg. e s.m.Vagabondo, in- dolente, pigro (cfr. anche Lenzi); Gian Mirola, op. cit., 14 dà al termine la definizione di ‘noioso’. LOGGIA ~ s.f. Loggiato, portico; parte della casa che si trova all’ingresso prima della porta, caratterizzata per lo più dalla 314 si preoccupa di cose insignificanti, che si fascia la testa per un nonnulla. LOMBARDO ~ agg e s.m. Abitante delle terre al di là dell’Appennino, verso Nord. Venturelli, Glossario, 271 afferma che il vocabolo identifica gli abitanti delle montagne modenesi e reggiane; tuttavia sem- dizionario garfagnino bra che la portata del termine sia più vasta e generica. Curiosa l’espressione, riferita da Orietta Bertoli: fa’ da mangia’ per quaranta lombardi, nel senso di ‘preparare una grande quantità di cibo’. LÓNTORA ~ s.f. Zacchera, grumo di fango, di mota, raccolto dalle scarpe, dal fondo dei vestiti, camminando sul fango o schizzato da chi sia passato, a piedi, in bicicletta o con altro mezzo di locomozione, in una pozzanghera d’acqua o di fango. LONTRIA ~ s.f. Il prof. Venturelli (Glossario, 271) precisa che la parola significa ‘lontra’, osservando peraltro che il narratore della novella L’albero dell’idolo del sole, da lui riportata, le attribuisce – con accezione singolare e sconosciuta – il significato di “grosso pesce”. LÓNZA ~ s.f. La schiena all’altezza dei reni. Lombata. Nel maiale è l’arista. Così precisa don Baldisseri (op. cit., 126), ma la parola non ci sembra propriamente garfagnina. Mestica, 878 fa derivare il vocabolo dal lat. lumbus, Passerini Tosi, 856 dal franc. longe ‘lombata’. LÓRDA ~ s.f. Grande fame. “Fame famelica” traduce la parola, con bella definizione, Nello Guido Poli nella sua raccolta di vocaboli dialettali. LÓRDO ~ agg. Affamato, persona con grande appetito. Cortellazzo-Marcato, 255 sottolineano come sulla etimologia della parola non vi sia convergenza di opinioni, essendovi chi la riconduce al lat. luridus nel senso di ‘pallido, giallo’ colore dell’affamato e chi sempre a luridus, ma nel suo significato proprio di ‘sporco’ per cui una fame lorda sarebbe una fame sudicia, pesante. LÒRI ~ pron.pers. Loro, essi (Santini, La radio, 15: “J dissi a secco: ’un basta esse signori / per cojonammi me: se lei ha trovato / de’ biscari inzinòra, chiami lòri”). LÓRNIO ~ agg. Pigro, sornione. La dottoressa Giulia Pieroni traduce il vocabolo con ‘lento’. I predetti significati nel dialetto garf. sono assai più frequenti rispetto a quello di ‘miope, guercio’ che la parola ha in altre zone d’Italia. Dal francese lorgne ‘miope, sciocco’ (Battaglia, IX, 223). LOSIMA’ ~ trans. Coniugato come ama’. Logorare, snervare. Con il significato lievemente diverso di ‘temporeggiare, esitare, farla lunga’ si sente anche lusima’ (ved. infra): si tratta però sempre del medesimo verbo, che presenta sfaccettature fonetiche diverse ed una pluralità di significati, oltre a mutar categoria (nel secondo dei significati forniti infatti diventa intransitivo). LOZZO 1 ~ s.m.. Sporcizia, sudiciume. Dal lat. luteus ‘fangoso’. LOZZO 2 ~ agg. Sporco, poco pulito. LU’ ~ pron. pers. masch. di terza persona. Lui. Si usa come complemento oggetto e negli altri complementi se accompagnato da una preposizione Per il resto valgono le notazioni fatte a proposito dell’analogo pronome le’ (ved. supra) cui si rimanda. LUCCHÉSE ~ agg. Qualità di mela, di colore rosso, gustosa e di lunga conservazione (il vocabolo è contenuto nel lavoro del Lenzi sul dialetto di Castelnuovo). LÙCCICA ~ s.f. Lucciola. Simpatica era l’usanza (diffusa in tutta la Garfagnana e ricordata anche da Lenzi) di far credere ai bimbi che una lùccica, catturata la sera e 315 dizionario garfagnino posta sotto un bicchiere capovolto, avrebbe durante la notte prodotto dei soldi: al mattino, infatti, i genitori, prima che i bambini si destassero, ponevano sotto il bicchiere qualche piccola moneta che scatenava la gioia dei loro piccoli. Variante di ‘lucciola’ con la stessa etimologia da lux ‘luce’ o da luceo ‘risplendo’. LULLì ~ pron. pers. Lui, proprio quello lì, a volte anche con valore lievemente dispregiativo nel senso di ‘quel bel tomo’. LUCCICHÉTTO ~ s.m. Piccola luce, LUMACÓN ~ s.m. Lumaca senza guscio. lumicino. Il vocabolo è illustrato da Venturelli nel Glossario, 271. ‘Lumacone ignudo’ lo definisce con bella espressione Fanfani, 523. Abbiamo già visto (ved. supra limaca) che il dialetto garf. non usa il termine ‘chiocciola’ per indicare il gasteropodo con il guscio, ed impiega limaca per alludere alla ‘chiocciola’ e lumacón riferendosi all’animaletto privo di guscio. Il vocabolo viene poi adoperato anche per descrivere una persona lenta, tarda, flemmatica. L’etimologia è sempre da limax ‘lumaca’. LUCCICÓN ~ s.m. Lacrima, lacrimone (Pennacchi, Mezzo sogno di una notte di Capodanno, 20: “M’asciugai un luccicón, presi una balla / e m’avviai giù giù verso la stalla”). LÙCCIOLA ~ s.f. Ulcera, malattia dello stomaco. Vocabolo citato così da Maria Luisa Santini come dal maestro Poli. LUCERNAIO ~ s.m. Nieri, 115 lo tra- duce come ‘abbaino’, ma lucernaio in Garfagnana ha una portata più ampia, alludendo a qualsiasi finestra, fissa o mobile, fornita o meno di alzata in muratura, che consenta di dar luce alla stanza in cui è collocata. Dal lat. lucerna, connesso con lux ‘luce’. LUCÍGNORO ~ s.m. Stoppino del lume a petrolio. LUDURINA ~ s.f. Allodola. Il vocabolo è contenuto nel Glossario del Venturelli, 271. Dal lat. alauda ‘allodola’ (CastiglioniMariotti, 68). LUGLIÉSE ~ agg. Vocabolo utilizzato esclusivamente con riferimento all’uva che matura a luglio (detta, appunto, uva lugliese). 316 LUJO ~ s.m. Luglio, settimo mese del- l’anno (Pennacchi, Il Togno e la tera, 85: “quand’è il sole del Lujo o dell’Ogosto”. Dal lat. julius (mensis) ‘mese di luglio’. LUME ~ s.m. Sorgente luminosa, e anche apparecchio che illumina. Il vocabolo viene peraltro qui segnalato per ricordare la locuzione idiomatica garfagnina tra il lume e il buio con la quale si indica il ‘crepuscolo’. LUMI ~ s.m.plur. Altro vocabolo qui riportato per sottolineare un’espressione idiom. garf.: a questi lumi di Luna, impiegata con riferimento ad una condizione di difficoltà economica, se non, addirittura, di miseria. LUMINÉLLA 1 ~ s.f. Pianta con fusto erbaceo e piccole foglie, appartenente al genere ‘Eufrasia’, impiegata per curare le malattie degli occhi. LUMINÉLLA 2 ~ s.f. Pupilla. Parola di uso relativo e certamente di origine non garfagnina (pare addirittura trattarsi di vocabolo di derivazione elbana). Nel significato di ‘pupilla’, oltre che da Battaglia, dizionario garfagnino IX, 278, è attestata anche da Fanfani, 523. Odorico Bonini la menziona nella sua lista di parole tipiche di Sillico. Evidente la derivazione dal lat. lumen ‘luce, occhio’ (Castiglioni-Mariotti, 860). LUNÉTTA ~ s.f. Arnese da cucina con due manici ed una robusta lama curva, detta anche (e più frequentemente, stante la sua forma) mezzaluna, usata per ottenere i battuti e per spezzettare carni e verdure. LUNGAGNÓN ~ s.m. Persona lunga e tarda nell’operare e nel muoversi; tiratardi. Il vocabolo viene anche riferito a persona molto alta e magra. LUNGÌN ~ agg. Esile, come la fiamma di un lumicino a petrolio. Così nel libro “La gente garfagnina dicea…così”, 96. LUNNIDì ~ s.m. O. Bonini segnala que- sto vocabolo con il significato di ‘lunedì’, primo giorno della settimana’, tra i vocaboli tipici di Sillico. LUPE ~ s.m. Lupo. La variante, con passaggio dalla seconda alla terza declinazione, ricorre con discreta frequenza nel dialetto della zona attorno a Piazza al Serchio. LUPINO ~ s.m. Pianta erbacea i cui semi, detti pure lupini, simili a fagioli di colore giallastro e di gusto amarognolo, si mangiano dopo che siano stati bolliti e macerati in acqua salata. Dal lat. lupinus. LÙPPICA ~ s.f. Cispa, secrezione lacrimale raggruppatasi sulle ciglia o sulle palpebre (a Corfino si dice làppeca, a Sillico làppica). Per l’etimologia ved. infra luppicóso. LUPPICÓSO ~ agg. Cisposo, persona con occhi pieni di cispa, muco delle palpebre che si è seccato (cfr. Gian Mirola op. cit., 20). Dal lat. lippus ‘cisposo’ (Georges-Calonghi, col, 1592). LUSIMA’ ~ intrans. Coniugato come ama’. Temporeggiare, esitare (ved. supra losima’). LUSTRIÓN ~ s.m Persona magra ema- ciata, quasi trasparente. L’etimologia può forse ricollegarsi a lustro ‘lucido, trasparente al punto di potercisi specchiare o di potervisi vedere attraverso’. 317