Per una didattica dell`archeologia
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Per una didattica dell`archeologia
Per una didattica dell’archeologia «Non voglio rassegnarmi a considerare conclusa e travalicata quella civiltà nella quale il pensare storicamente era il criterio più alto del comportamento umano, perché in un prevalere del mondo che avesse per modello la tecnica io vedo un enorme pericolo per la libertà razionale dell’umano pensare e dell’umano agire»: questo scriveva R. Bianchi Bandinelli nell’Avvertenza alla sua Introduzione all’archeologia, Bari, 1975, p. X. Oggi quel pericolo sembra più vicino. Occorre evitare l’appiattimento che può essere imposto da una società tecnologica, che guarda solo al futuro, e dunque possibilmente tecnocratica: questo, in fondo, è il rischio. Ecco una buona ragione per portare l’archeologia nella scuola, archeologia che è scienza storica! È di fondamentale importanza il formarsi di una coscienza storica negli adolescenti: essa è indispensabile per una piena e consapevole partecipazione alla gestione della vita civile nella sua interezza, in primis dell’organismo urbano in cui si risiede, sia esso città, paese, villaggio. È questo un momento drammatico per i centri storici come per le periferie delle città e degli insediamenti minori. Tutela, conservazione, qualificazione, riqualificazione, funzionalizzazione, ecc… sono spesso parole vuote, esercizi retorici, esibizionismi intellettuali, strumenti di propaganda elettorale. La non-conoscenza della propria realtà abitativa e della storia di questa è, nei fatti, un lasciare il campo libero alle speculazioni dei politici e dei tecnici, gli uni e gli altri in molti casi sprovvisti essi stessi di coscienza storica. I risultati disastrosi di ciò sono sotto gli occhi di tutti. Non penso fosse pura provocazione un’affermazione di Bruno Zevi secondo cui sarebbe bene imporre lo studio dell’architettura agli uomini che aspirano alle cariche pubbliche. Io aggiungerei lo studio della storia, anche e soprattutto quella locale. Anche per gli architetti, per i quali l’antico – quando è degno di interesse – parte, se va bene, dal medioevo e ciò che è greco e romano vive solo filtrato attraverso la visione che della cultura classica ebbe il Rinascimento. Dunque, è da ribadire a tutto campo l’importanza della storia. La città è un concentrato di storia, è noto a tutti. Basti pensare al numero sterminato di ricerche che in tutte le scuole, di ogni ordine e grado, vengono redatte – con “deboli” risultati: nei fatti, è piuttosto evidente il disinteresse di molti ragazzi in visita a una città (attraggono molto di più le vetrine…). La città va intesa come strumento di formazione. La città può diventare aula (M. MCLUHAN - K. HUTCHON - E. MCLUHAN, La città come aula, Roma, Armando, 1980), in cui vedere, ascoltare, sentire, percepire l’oggi, ma anche l’ieri e l’avantieri. Prima di arrivare a ciò, occorre formare nei ragazzi nozioni e categorie fondamentali come quelle di spazio e tempo, la cui padronanza è indispensabile per la costruzione della coscienza storica: esse hanno la funzione di organizzare la conoscenza, sono le dimensioni entro le quali si colloca e si contestualizza l’esperienza sociale e culturale di ogni individuo a partire dall’infanzia. Questo processo di formazione è compito della scuola: del primo grado, per quel che riguarda l’area propriamente spazio-temporale; del secondo grado, per l’area geostorica e sociale. Non si può affidare la costruzione di ciò a processi formativi spontanei o alla casualità dell’esperienza quotidiana. Soprattutto alle elementari e alle medie inferiori il processo di apprendimento di tali nozioni risulta a volte difficile. L’archeologia, con la sua “sperimentalità”, può aiutare. Il giovane “Laboratorio per la didattica dell’archeologia” del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università degli Studi di Pavia – che presto avrà un sito (a cura di G. Colombo) – in questi anni ha messo a punto e svolto una serie di attività, di percorsi che ci piace definire “ecologici”: la loro finalità ultima è quella di sensibilizzare i ragazzi alla conoscenza e al rispetto, oltre che dell’ambiente naturale, di quello “costruito”, modificato dall’uomo, nel quale in fondo trascorriamo la quasi totalità del nostro tempo. Il progetto “cubo archeologico” è un po’ il nostro fiore all’occhiello, quello che ci ha dato maggior Il “cubo archeologico” realizzato a Pavia soddisfazione: esso consiste nella realizzazione di una stratigrafia artificiale, usando materiali economici e semplici da trattare – gommapiuma, polistirolo, colori ad acqua, carta, legno, argilla, ecc… Si comincia da una capanna protostorica circolare della quale si evidenziano i buchi di palo, il focolare, alcuni oggetti d’uso (contenitori per bere, mangiare, cuocere, pesi da telaio, ecc…); dopo uno strato di abbandono, viene una casa romana, con muro in mattoni (ciò consentirà un excursus sui sistemi di misurazione antichi, l’antropometrismo, il costruire “a misura d’uomo”), un mosaico, oggetti domestici; la fase di crollo; in un altro settore si realizzerà una sepoltura (a cassetta, in urna, ecc…) con relativo corredo; poi strati di abbandono e accrescimento; fino al terreno agricolo, con i “segni” dal sottosuolo (l’ingiallimento della vegetazione in corrispondenza delle strutture murarie, cocci ceramici venuti in superficie con le arature, ecc…). Particolare: pavimento a mosaico Particolare: sepoltura a cassetta Naturalmente, alcune semplici lezioni teoriche precedono le lezioni pratiche. È chiaro che il “cubo” consente: a) di comprendere la metodologia di uno scavo moderno e dunque i principi della disciplina archeologica; b) di acquisire il processo logico e deduttivo che porta alla ricostruzione del passato sulla base dei dati materiali. Il ragazzo, inoltre, vive l’esperienza dell’uomo protostorico che costruisce la propria capanna, poi del romano che realizza la propria casa in muratura (anche la propria tomba), tra un’inondazione e una distruzione per incendio, ad es.; poi comprende come si smonta tale stratigrafia, secondo una modalità corretta, scientifica, che “fa storia”. Sul piano propriamente storico, il ragazzo può parallelamente imparare i modi del vivere nelle varie epoche, nelle varie civiltà succedutesi in un sito. Un secondo percorso, “Vivere nel mondo romano”, sviluppa queste conoscenze. Su tale tema può continuare il lavoro pratico attraverso: a) la realizzazione di modellini di capanne protostoriche e case romane (ma anche medievali…); Modellino della Casa del Fauno di Pompei b) la realizzazione di un affresco di tipo pompeiano (ma anche di ceramica o altro). Realizzazione di un “affresco” di tipo pompeiano Per quel che riguarda le superiori, ovviamente cade il discorso pratico, manuale, della costruzione di una stratigrafia artificiale; resta quello teorico, più ricco e articolato: può comunque esservi una parte “attiva” del percorso, con l’allestimento di un ipertesto di storia locale. Dopo la fase sperimentale in alcune scuole della provincia di Pavia, si è deciso di operare la classica pausa di riflessione. Essa ci è servita per allestire – con il contributo dell’Amministrazione Provinciale e di uno sponsor privato (la Banca Regionale Europea) – un agile volumetto (Archeologia a scuola, Pavia, Greppi, 2002), nel quale fossero illustrate le nostre esperienze e offerte alle scuole della Provincia di Pavia, alcune tracce per una riproposizione, anche parziale, dei percorsi archeologici (è stato pure presentato un Poster al Convegno Abitare in Cisalpina. L’edilizia privata nelle città e nel territorio in età romana (Aquileia 2000), AAAd XLIX, Trieste 2001, pp. 813-820). Il momento di riflessione ha pure comportato la volontà di confrontarci con altre realtà impegnate sullo stesso terreno. Si è così organizzata una Giornata di Studio (primavera 2002) alla quale hanno partecipato amici e colleghi della Lombardia e dell’Emilia, in rappresentanza di Istituzioni (dalla Regione ai Comuni), Soprintendenze, Musei, Università. Sono in uscita gli Atti, realizzati con il contributo della Regione Lombardia (Scuola Museo Territorio. Per una didattica dell’archeologia, Firenze, All’insegna del Giglio, 2003). Dopo di che, non abbiamo certo scoperto regole per la didattica dell’archeologia, qualche indicazione sì: prima di tutto – voi direte: un’ovvietà! – la necessità di un approccio multidisciplinare, in cui, ad esempio, abbiano spazio i risultati (sul piano del metodo, su quello delle conoscenze) acquisiti in campo storico, in campo psicologico (con le ricerche sul processo di elaborazione cognitiva delle famose categorie spazio – tempo nell’età evolutiva, a partire da Piaget). Certamente, si è sempre più rafforzato in noi il convincimento secondo il quale la base di tutto debba essere una buona conoscenza della disciplina archeologica. Non si può improvvisare: una buona didattica parte sempre da una buona conoscenza! È importantissima l’interazione scuola/museo. Il lavoro in classe tutto sommato può rientrare nella programmazione; il lavoro in museo no, è autonomo, specialistico. Dunque, vi sono tre poli interattivi nel discorso della didattica archeologica: Scuola, Museo, Università. La Scuola ha, tutto sommato, un ruolo passivo, ricettivo – potrà (e dovrà) elaborare la “lezione” dello specialista, formato dall’Università, che dovrebbe trovare una collocazione presso le Istituzioni Museali. E qui sta il primo problema: quali forze abbiamo per fare ciò? Quanti Musei, quanti siti archeologici sono attrezzati, in termini di personale? Per quel che ci riguarda, è capitato di dover dire no a qualche scuola: oggi, con i tirocini obbligatori per gli studenti, le cose vanno leggermente meglio. L’Università prepara gli operatori (laurea breve, laurea specialistica, master): ma poi questi operatori dove e come si collocano? Una volta formato l’operatore didattico, occorre che la sua professionalità abbia una collocazione. Secondo e ancor più grave problema! Ora che finalmente la divulgazione e la diffusione culturale (nella forma della comunicazione scientifica come della didattica) non sono più ritenute un sottoprodotto della ricerca scientifica – lo si vede dal tipo di organizzazione di molti “eventi”, dalla qualità di molte visite guidate – a maggior ragione bisogna puntare sulla buona conoscenza della disciplina negli operatori. Chiudo con questa domanda, nella speranza di avere risposte concrete – siamo nella sede opportuna! Perché, dal mio punto di vista, non sia vanificato in un certo senso il mio stesso lavoro (in fondo, io insegno una disciplina archeologica, l’Archeologia delle Province romane) e dunque il ruolo dell’Università in generale. Alla fine, perché non siano disattese le aspettative degli studenti che in numero sempre maggiore si orientano verso la scelta di un corso di studi in BB. CC.. Stefano MAGGI, Università di Pavia, Dipartimento di Scienze dell’Antichità