Mariella Stella - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

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Mariella Stella - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Casa Netural a Matera. Un modello di coworking rurale
1) Durante il convegno “SHARE.IT - Le pratiche italiane di economia collaborativa”, che si è
tenuto lo scorso 11 maggio a Milano in Università Cattolica con il supporto della Fondazione
Feltrinelli, il progetto “Casa Netural” è stato presentato come modello italiano di coworking
rurale. Qual è la vostra peculiarità e come si differenzia il vostro modello rispetto ai coworking
urbani?
Casa Netural nasce nella città di Matera, una realtà di provincia con un passato agricolo e artigiano,
in cui il tema del coworking non nasce da una necessità economica, ovvero quella di risparmiare
sull’affitto dell’ufficio, e fatica ad essere percepita come una necessità professionale, ovvero
condividere gli spazi di lavoro per poi condividere progetti e visioni, poiché culturalmente non vi è
questo tipo di approccio nei confronti del lavoro. Fin dall’inizio, ci siamo resi conto che avremmo
dovuto innovare il modello del coworking in sé, rendendolo un pretesto di aggregazione, anche
non necessariamente strutturata attorno al tema professionale, e probabilmente sarebbe stato più
efficace creare un luogo di aggregazione di passioni e di sogni più orientato nell’immediato alla
dimensione sociale. Un luogo mancante, perché tendenzialmente nessuno sembra essere
interessato ai tuoi sogni professionali o alla passione che nutri per qualcosa, al sud come al nord,
non è un problema geografico. C’è da dire anche che l’affitto di un ufficio a Matera per un libero
professionista non rappresenta un problema rilevante, i prezzi sono molto ragionevoli e per di più
c’è da fare i conti con un’elevata percentuale di utenti disoccupati, inoccupati o dipendenti di
aziende e PA. Questo significava dover stravolgere l’idea tradizionale di coworking mantenendone
però intatto il senso, ovvero quello di rappresentare una piattaforma unica di relazioni,
opportunità e comunità.
Abbiamo deciso, dunque, che il modello doveva ripensarsi alla luce del contesto e che lo spazio più
adatto per farlo poteva essere proprio una casa. Così la casa di Andrea, co-founder insieme a me di
Casa Netural, è diventata il nostro coworking rurale.
La casa per noi rappresenta lo spazio di tutti, quello in cui viene voglia di lasciarsi andare, di
condividere e di conoscere persone, magari preparandoti un caffè o condividendo un piatto di
spaghetti.
Sempre per favorire una nuova cultura del lavoro condiviso e del networking come occasione di
crescita professionale e sociale, il nostro coworking ha anche costi molto accessibili e alla portata
di tutti, elemento fondamentale per garantire un’ampia accessibilità.
2) La sharing economy è un fenomeno sempre più attuale e addirittura “alla moda”. Diversi
studiosi hanno messo in luce, tra le cause della sua affermazione, il legame con la crisi
economica e finanziaria degli ultimi anni, notando come il passaggio dal possesso all’accesso dei
beni sia dovuto soprattutto ad una penuria dei mezzi piuttosto che ad una svolta sostenibile e
etica negli stili di vita. Le persone condividono oggetti, spazio e tempo perché non si può fare
altrimenti oppure si sta affermando un nuovo modo di vivere che gradualmente scardinerà il
consumismo e l’individualismo?
E che male ci sarebbe se la penuria di mezzi e la crisi avessero portato ad un nuovo modello
economico e sociale? Ho imparato, e lo sperimento ogni giorno anche a Casa Netural, che spesso è
proprio la necessità che ti spinge ad uscire dai confini di quello che ti hanno insegnato o a cui sei
abituato per sperimentare soluzioni nuove, è sopravvivenza. Del resto, di nuovo in questo modello
c’è davvero poco, mi verrebbe da dire.
A Matera, ad esempio, le case dei Sassi erano organizzate attorno a spazi comuni di vita, socialità e
scambio, spesso anche luoghi di conflitti, come è normale che sia con le relazioni, ma insomma
erano improntati ad una forte economia di scambio e condivisione. E in moltissimi altri luoghi
questi modelli erano la norma. Il Sud è ancora intriso di questi modelli, soprattutto nelle relazioni,
insomma preferisco vederla come una riscoperta in chiave contemporanea di modelli molto antichi
di comunità che nella scoperta del nostro secolo.
3) L’economia collaborativa si sta affermando come vero e proprio modello economico
alternativo e c’è addirittura chi, come Jeremin Rifkin, ipotizza la fine del capitalismo, ad opera
del Commons collaborativo, nel 2050. Qual è secondo voi, anche sulla base dell’esperienza
maturata sul campo, la capacità della sharing economy di affermarsi come paradigma economico
dominate e, soprattutto nel futuro, generare occupazione?
Le potenzialità sono enormi ma il rischio che resti un fenomeno riservato a una fetta della realtà
sociale ed economica è altrettanto alto. Perché diventi un paradigma economico è fondamentale
che raggiunga tutti e che possa essere praticata da tutti, su larghissima scala. La collaborazione è
un processo meraviglioso ma complesso, e soprattutto la società è stata disabituata a collaborare.
Colpisce sempre il fatto che nella storia più antica di tutti i popoli c’è un’organizzazione fortemente
collaborativa, quasi fosse parte del DNA umano, ma colpisce altrettanto il gran lavoro di
“rimozione” del modello collaborativo e della condivisione che si è consolidato negli ultimi
decenni. Solo se si parlerà a quel DNA risvegliandone i geni sarà possibile rendere la sharing
economy una rivoluzione, altrimenti resterà un fenomeno passeggero e per pochi.
4) Nell’immaginario comune sharing economy si traduce in servizi come Uber o Airbnb e, non
esistendo una definizione univoca, tale concetto racchiude sotto la stessa terminologia fenomeni
tra loro diversissimi, a partire dal modello di business proposto. Qual è la vostra definizione e
perché coworking e coliving rientrano nel novero di sharing economy?
C’è un modello fortemente “umanistico” alla base della sharing economy, che si nutre dell’energia
delle persone, che si alimenta proprio della migliore energia alternativa ed ecosostenibile, la
comunità, che diventa protagonista di un nuovo modello economico. Sia il coworking che il coliving
che proponiamo partono dagli stessi presupposti. Lavorare in co- porta con sé una serie di valori
che nel lavoro tradizionale non ci sono. Primo fra tutti il mettere in condivisione le idee, i contatti,
le reti di persone. A Casa Netural lavoriamo proprio su questo aspetto. Nessuna gelosia per le
proprie idee e per le proprie competenze, mettere al centro le risorse di ognuno, rafforza i progetti
di tutti e soprattutto ne fa nascere di nuovi. Stesso discorso per il coliving. Vivere con noi comporta
un percorso di condivisione totale che porta sempre ad una crescita di persone e progetti. Chi
viene in coliving arriva con i propri progetti, il proprio know-how e i propri sogni e li mette a
disposizione di chi è sul posto, che a sua volta fa lo stesso con i propri. Il risultato non è mai neutro,
è sempre una crescita reciproca, che si concretizza con la nascita di nuove iniziative, la
rigenerazione dell’energia, il consolidamento della fiducia reciproca.
Mi piace molto raccontare la storia di Sonia e Gino, venuti a Casa Netural per un coliving alla
ricerca di una nuova vita. Dopo due anni oggi Sonia e Gino si stanno trasferendo da Ventimiglia a
Matera, nelle campagne materane, per avviare con un’altra famiglia conosciuta durante il coliving,
un nuovo progetto di vita e di lavoro.
5) Casa Netural realizza diversi progetti rivolti, in particolare, alle mamme e alle famiglie
attraverso Netural Family. Pensate che luoghi come Casa Netural possano, soprattutto in un
momento di carenza di fondi e tagli ai bilanci pubblici, costituire un’alternativa o un’integrazione
al welfare pubblico e quindi generare anche redistribuzione della ricchezza?
Assolutamente sì. Spesso ci rendiamo conto di portare avanti un lavoro importante sul territorio e
sulla comunità locale che fino a ieri era di competenza delle Istituzioni. Le stesse che oggi non ce la
fanno più a gestire davvero il welfare territoriale e non solo per una questione di fondi, spesso,
molto di più, per una questione di competenze. Io credo che realtà come la nostra già operino in
questa direzione, sta solo alle istituzioni rendersene conto e riconoscere loro, una capacità di
impatto sociale straordinario, di cui le Istituzioni non sono più capaci. E la cosa non mi scandalizza,
mi preoccupa molto di più il fatto che spesso non abbiano l’atteggiamento giusto rispetto
all’esistenza di queste forme di welfare parallelo e “autogestito”. Credo che rappresenterebbe un
risparmio enorme, e un investimento importantissimo, abilitare queste realtà a fare il lavoro che
dovrebbe svolgere l’istituzione, supportandone il lavoro e anche, perché no, imparando da
esperienze di questo tipo. A volte, è paradossale, ma l’istituzione sente realtà come la nostra come
competitor, e si affanna a proporre soluzioni simili, purtroppo non rendendosi conto di una cosa
fondamentale: proposte di questo tipo non possono poggiare sulle gambe fragili della burocrazia,
hanno bisogno di ali solide per volare al di sopra di molte rigidità mentali e pratiche presenti nel
nostro sistema istituzionale, mentre la parola d’ordine dovrebbe essere solo una: fiducia.
Se le Istituzioni avranno fiducia nei promotori di queste forme di welfare alternativo e redditizio
per la comunità intera, sarà possibile lavorare in co- per costruire un sistema sicuramente migliore.