Caruso, genio del desnudo

Transcript

Caruso, genio del desnudo
Spettacoli&Cultura
IL TIRRENO
Domenica
16 Novembre 2008
23
SCATTI D’ARTE SENZA VELI
Caruso, genio del desnudo
Erotismo e magia: ecco le “Muse” del fotografo di San Miniato
di Andrea Lanini
A
lice, tacchi a spillo e slip neri, è racchiusa da pareti grigie e guarda verso
il cielo. Camilla, autoreggenti rosse e
occhi chiusi, sembra dorma per incantesimo. Cristiana è sul fondo di una piscina, e il
canapo che la avvinghia forse la imprigiona
o forse la delizia.
Larisa ci offre invece la sua
nudità intrigante eppure discreta da un letto di rocce.
Donne. E muse. Le muse di
Francesco Caruso, giovane ma
già famoso maestro d’immagini, il fotografo di San Miniato
che il “Maxim” spagnolo, in
uno speciale che gli ha dedicato, ha definito il “Genio del desnudo”. Il suo primo libro, edito da Alsaba
Edizioni, 96
pagine di raffinato erotismo e misteriosa magia
(la stessa che
il giornalista
e critico José
L. Corral ha descritto come “la
scintilla di perfezione che ha il
corpo femminino”), è tutto per
loro.
Il volume, da oggi disponibile in libreria e sul sito dell’autore, www.francescocaruso.com,
è protagonista di un ciclo di
mostre temporanee che, a partire da Milano, faranno tappa
in sette città italiane, presso gli
spazi messi a disposizione dal-
Corpi di donna ma anche
tutta la bellezza della natura
e dei paesaggi italiani
la catena alberghiera Una Hotels & Resorts (dall’11 al 21 dicembre le immagini di Caruso
saranno presentate all’Una Hotel “Vittoria” di Firenze). Con
la curiosità che gli ambienti
che ospitano le esposizioni sono stati anche usati come location per molte foto del libro.
Bellissime, avvolgenti, sfuggenti; anche loro, come le muse dei poeti, simbolo prezioso
d’ispirazione e creatività. Nessun voyeurismo, in quei corpi
senza veli; nessuna concessione al pruriginoso appeal di certi calendari “hot”, nessuna
strizzata d’occhio al glamour
delle fatali spogliate e basta.
«È una sensualità discreta
quella espressa da Caruso, ma
allo stesso modo curiosa, ammiccante e mai urlata — scrive Elia Mannucci nella sua prefazione -. Un nudo che trascende se stesso, smarrendosi nella
dolcezza di un gesto, nella tensione emotiva di un volto, nella percezione di un movimento, nell’espressività di uno
sguardo che dà voce al soggetto, lo racconta, lo identifica, af-
francandolo per sempre dalla
banalità».
Sono le pose e le luci, a fare
la differenza. La morbidezza di
Venere che incontra le solitudini della pittura metafisica. Loro sono così, vicine e inaccessibili, come le muse inquietanti
di De Chirico. Noi le guardiamo, ma sono loro a interrogarci: sul significato da dare a
quei movimenti, alle palpebre
socchiuse, alle schiene inarcate, al senso di attesa che galleggia sulle vibrazioni dei toni.
Ogni atmosfera è cristallizzata
in un attimo di perfezione allucinata che spiazza.
Ma poi si capisce che il significato di ogni scatto è corale,
anche se il corpo-icona è sempre da solo. Che a parlare sono
anche quelle pietre, e il design
di certi interni, e le varie densità dei materiali. Allora tutto
raggiunge un nuovo equilibrio.
Caruso chiama questo primo photo-book «la mia creatura». In qualche modo nata dal
suo lavoro per riviste come
“Fox”, “Max”, “Panorama”,
“Fhm”. E cresciuta per «raccontare tutto ciò che sentivo di
dover dire attraverso le immagini. Ho usato foto edite ed inedite tratte dall’archivio dei lavori fatti negli ultimi cinque
anni. Alcuni scatti invece li ho
fatti espressamente per il libro. Un grande riassunto del
modo in cui oggi vivo il mio
mestiere». Le location sono
rigorosamente italiane: «Una
scelta doverosa, soprattutto
nei confronti dei paesaggi che
abbiamo. Devo molto alle loro
luci, armonie, forme. Diciamo
che con “Muse” ho iniziato a
restituendo ai nostri luoghi tutti gli input che le loro bellezze,
lentamente, costantemente, generosamente, mi hanno trasmesso nel tempo».
LUCCA
Digital Photo
Fest: mostre
e workshop
Costruiamo la storia d’Europa
PISA. Il luogo poco si addice all’arduo
compito. La nuova storia dell’Europa — o
meglio — la prima vera narrazione unitaria del passato del Vecchio continente, nasce in una stanzetta piena zeppa di libri, al
primo piano del dipartimento di Storia dell’università di Pisa. Fra le pile di volumi
accatastati si scorgono alcune scrivanie.
Una di queste appartiene alla professoressa Ann Katherine Isaacs, ideatrice e coordinatrice del progetto Cliohres, un ne«Il fatto che il ministero dell’Istruzione francese abbia individuato nel nostro lavoro il
cuore dell’iniziativa — spiega
la professoressa Isaacs — dimostra che le scienze umanistiche sono importanti quanto
quelle scientifico-tecnologiche.
A noi spetta il compito di dimostrarlo».
Americana d’origine ma europeista per vocazione, la professoressa Isaacs è nata nell’Oregon. È arrivata In Italia nel
1959 e da allora non se n’è più
andata. Oggi è impegnata in
numerosi progetti della comunità europea, la maggior parte
dei quali riguarda proprio la
“riscrittura” degli eventi del
passato.
«Cliohres è un network di
grandi dimensioni — racconta
la docente — Conta 180 ricerca-
twork d’eccellenza finanziato dalla Comunità europea che punta a diffondere un
nuovo modo di fare historia, capace di fondere in un quadro condiviso le memorie
parziali delle singole nazioni.
Questo fine settimana il progetto che
prende il nome da Clio, la musa della Storia, è a Parigi, alla “Città europea della
scienza”, il più importante appuntamento
per quanto riguarda la Ricerca in ambito
comunitario.
tori, appartenenti a 45 università di 31
paesi diversi.
Una nuova generazione di
storici si sta
formando all’interno di questo progetto:
circa la metà dei ricercatori impegnati, infatti, sono giovani
dottorandi».
Dopo aver creato una comunità economica europea, una
moneta unica e uno spazio di libera circolazione ora i vertici
di Bruxelles si preoccupano
del passo successivo: costruire
l’identità storica e culturale
dei cittadini di Eurolandia. Per
riuscire nell’impresa è necessario organizzare una rappresentazione condivisa degli accadimenti del passato. «La storia
Dopo la moneta unica, obiettivo
è scrivere la prima narrazione
unitaria del Vecchio Continente
non è una cosa semplice come
può apparire a prima vista —
spiega la professoressa Isaacs
— È una disciplina concepita e
praticata in maniera diversa
da paese a paese. Ciascuno Stato ha un suo modo di raccontare il passato: si sceglie di ricordare, e soprattutto di dimenticare, cose diverse. Non solo:
quel che si ricorda può essere
interpretato in modi diversi».
Gli esempi non mancano. Basta prestare l’orecchio alle discussioni che ogni anno si ripresentano in Italia per il 25
FOTO: TOMS GRflNBERGS
È all’università di Pisa il cuore del progetto Cliohres
La professoressa Ann Katherine Isaacs, anima del progetto
aprile, festa della Liberazione.
Allargando il quadro le difficoltà si amplificano: mettere insieme punti di vista spesso divergenti su guerre, personaggi, e avvenimenti che nel corso
dei secoli hanno segnato il Vecchio continente, è un compito
quanto mai improbo. Basta attraversare un confine e subito
variano le periodizzazioni, differiscono le priorità e talvolta
si creano vere e proprie amnesie collettive nel racconto del
passato di una nazione. È il caso, tanto per fare un esempio,
della storiografia irlandese,
che ha rimosso l’Inghilterra
dai suoi libri di Storia.
«Si conoscono poco le vicende dei paesi confinanti, figuriamoci quella degli stati più lontani — racconta la professoressa Isaacs — I lettoni, ad esem-
pio, sanno pochissimo del Portogallo e i portoghesi della Lettonia. E questo riguarda non
solo il grande pubblico ma,
con le dovute eccezioni, anche
gli ambienti accademici».
L’idea di Cliohres, dunque, è
quella di riunire storici di diversa provenienza in una rete
in cui sia possibile confrontarsi su alcune tematiche, fondamentali per la costruzione di
una carta d’identità europea:
la religione, la società, il lavoro, il genere, le migrazioni,
ecc. Questo enorme lavoro di
ricerca, iniziato nel 2005, ha
già prodotto decine di volumi e
centinaia di saggi, materiale
che costituirà la base per i manuali di storia che saranno utilizzati nelle scuole dalle prossime generazioni.
Gianni Parrini
LUCCA. Per il quarto anno consecutivo il Lucca Digital Photo Fest (da ieri all’8 dicembre) trasforma
Lucca in una grande kermesse fotografica. Il Festival propone quest’anno 18
mostre di alto spessore,
tra le quali spicca una produzione esclusiva del LuccaDigitalPhoto Fest e della Fondazione Ragghianti
di Lucca, la grande collettiva “FACES. Ritratti nella
fotografia del XXº secolo”.
Si tratta di una mostra
straordinaria (che si protrarrà anche dopo la chiusura del Festival, fino al
31 gennaio 2009) che per la
prima volta in Italia intende ripercorrere la storia
del ritratto ambientato nella fotografia del XX secolo, attraverso circa 140
opere di 17 artisti. Fra le
mostre in programma quest’anno, si conferma l’ appuntamento ormai consueto con il World Press Photo, il più grande concorso
di fotogiornalismo del
mondo; oltre a questo 17
mostre di grandi autori internazionali, workshops
fotografici e tecnici, letture portfolio, dibattiti e
proiezioni, incontri con gli
autori, premiazioni.
Alex Webb sarà lo special guest di quest’anno
con una sua retrospettiva
dal titolo “Fotografie” in
anteprima assoluta per l’Italia.
IL PAPIRO DI ARTEMIDORO
ROMA. Il Papiro di Artemidoro «non è un falso». Dopo le
polemiche con Luciano Canfora, convinto dalla prima ora
che si tratti del lavoro di un calligrafo greco della metà dell’Ottocento, ma soprattutto dopo
la pubblicazione della corposa
Edizione del testo, Salvatore
Settis affida ad un nuovo libro
le sue considerazioni sulla autenticità del reperto acquistato
nel 2004 per 2,7 milioni di euro
dalla Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo e
poi affidato al Museo Egizio di
Torino. In libreria dalla prossima settimana, “Artemidoro.
Un papiro dal I secolo al XXI”
(Einaudi, pp. 124, euro 26) è in
realtà, con qualche ampliamento e ritocco, il testo della conferenza che il direttore della Normale tenne a marzo del 2008 a
Berlino in apertura della mostra dedicata al Papiro, al centro da mesi di una animata
querelle tra gli studiosi.
Settis contro Canfora: «Non è un falso»
Il direttore della Normale nel suo nuovo libro spiega i perché dell’autenticità
All’epoca della conferenza,
sottolinea Settis, era stata appena pubblicata l’Edizione del
Papiro, firmata da lui insieme
con Claudio Gallazzi e Barbel
Kramer. E proprio questo lavoro ha permesso di trarre alcune conclusioni. A sostegno della autenticità del Papiro, lo studioso riporta prima di tutto le
analisi chimiche e fisiche del
documento, che circoscrivono
all’ambito di un secolo, il I dopo Cristo la vita «attiva» del Papiro. In particolare, il test al
carbonio 14 colloca con una approssimazione del 95,4% tra il
40 avanti Cristo ed il 130 dopo
Cristo la fabbricazione del papiro bianco. Ma anche gli inchiostri vegetali usati per il testo scritto e per i disegni risul-
Salvatore
Settis
e un
frammento
del papiro di
Artemidoro
tano di età greco-romana e l’analisi fisica del papiro, così come le indagini al microscopio,
dimostrano secondo Settis che
tutto quello che c’è sopra, quindi il testo ma anche i disegni e
le mappe (la straordinarietà
del Papiro di Artemidoro è legata per molti versi proprio alla presenza di quella che potrebbe essere la carta geografica più antica del mondo classi-
co) è circoscrivibile nell’ambito del I secolo dopo Cristo. Per
confutare l’attribuzione fatta
da Canfora al falsario ottocentesco Costantino Simonidis,
Settis sottolinea tra l’altro la citazione della città di Ipsa, che,
spiega, non è citata da nessuna
fonte letteraria antica e si ritrova invece per la prima volta su
alcune monete del I sec. d.C.,
scoperte in Portogallo nel 1986,
molto dopo quindi la morte di
Simonidis. Ma questo è solo un
esempio, perché nella lunga relazione, Settis confuta una per
una le obiezioni mosse dal grecista Canfora (che definisce
«impaziente», per sottolineare
il fatto che abbia parlato prima
che venisse pubblicata l’Edizione del testo).
Approntato al principio del I
secolo, secondo l’ipotesi di Settis, il Papiro ebbe almeno tre
vite. Nella prima (inizio del I
sec) venne scritto il testo, copiandolo dall’opera del geografo Artemidoro. Poi, attraverso
varie fasi, nel 100 d.C, il papiro, che ormai era diventato carta da macero, venne riusato, insieme ad altri 25, forse per imbottire una piccola mummia.
Il libro finisce con una elencazione dei problemi e dei temi
aperti. «Pubblicare un papiro
di tanto interesse e tanta complessità non è stata e non poteva essere un’impresa facile»,
sottolinea Settis. Che conclude: «la nostra speranza, nel licenziare l’editio princeps non
è che essa “chiuda” i problemi,
ma al contrario che apra una
discussione scientifica basata
sui dati». Il riferimento a Canfora, molto citato anche nel post scriptum, sembra chiaro.
S.L.