Cheratoconguintivita

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Cheratoconguintivita
Cheratocongiuntivite infettiva
a cura di Marco Giacometti, Progetto Cheratocongiuntivite Infettiva, Stampa, Svizzera.
Foto: Progetto Cheratocongiuntivite Infettiva, Stampa, Svizzera.
La cheratocongiuntivite infettiva è una malattia
contagiosa batterica specifica dell’occhio. L’agente
eziologico è Mycoplasma conjunctivae. Colpisce diverse
specie di Caprinae sia domestiche che selvatiche. In
fase di esordio la malattia si manifesta con una
congiuntivite bilaterale che può evolvere sia verso la
guarigione sia verso una cheratocongiuntivite grave.
La cecità nel corso della fase delle complicazioni
incide sempre in modo grave sul comportamento e
sullo stato generale del soggetto.
Storia
Dal 1919, l’anno in cui la malattia è stata descritta
per la prima volta nel camoscio, la
cheratocongiuntivite ha colpito in varie regioni
delle Alpi sia questa specie sia lo stambecco. Per
quanto concerne la situazione italiana, i primi casi
di cheratocongiuntivite sono stati registrati nello
stambecco nel Parco Nazionale Gran Paradiso negli
anni 1943-44. Sono inoltre degne di nota le
epidemie riscontrate nel camoscio negli anni
ottanta e novanta in Piemonte ed in Valle d’Aosta,
ma anche in Lombardia, nel Trentino-Alto Adige e
nelle Alpi Carniche. Nei piccoli ruminanti domestici
invece la cheratocongiuntivite contagiosa è
descritta in vari paesi già dalla fine dell’ottocento.
Femmina di camoscio con evidente
perdita di pelo e scolo oculare.
Eziologia e spettro d’ospite
Lo spettro d’ospite comprende diverse specie dei generi Rupicapra, Capra e Ovis tra i quali il
camoscio alpino, lo stambecco, il muflone, la pecora e la capra. L’infezione da Mycoplasma
conjunctivae non colpisce invece il bovino, il cervo e il capriolo.
Nel camoscio, la causa della malattia è rimasta sconosciuta fino a poco tempo fa malgrado
M.conjunctivae fosse stato identificato in questa specie già nel 1975. Negli stessi anni, la
patogenicità di M.conjunctivae era stata invece chiaramente dimostrata per ovini e caprini
domestici. Oggi il ruolo patogeno di M.conjunctivae è ormai comprovato anche per i Caprini
selvatici come il camoscio, lo stambecco e il muflone. In una prova sperimentale infatti l’infezione
di stambecchi con un ceppo ovino di M.conjunctivae ha indotto i tipici sintomi della
cheratocongiuntivite infettiva.
I micoplasmi, ai quali appartiene l’agente patogeno della cheratocongiuntivite infettiva, sono
minuscoli microrganismi che possono moltiplicarsi - come i batteri, ma a differenza dei virus in modo indipendente tramite scissione cellulare senza diretta partecipazione della cellula
ospite. Essi vivono sulle mucose, dove si attaccano alla superficie delle cellule epiteliali.
Contrariamente ai batteri veri e propri, i micoplasmi non dispongono di una parete cellulare
rigida, motivo per cui sono chiamati Mollicuti (letteralmente: cute molle). È molto difficile
rilevare la presenza di M.conjunctivae perché la loro coltivazione su terreni convenzionali non
è possibile. E questo è il motivo della lunga e complessa storia della loro scoperta.
Lo stambecco e i ruminanti domestici all'alpeggio sono, con il camoscio, le specie più colpite
in ambiente alpino.
Identificazione di infezioni da M.conjunctivae
Il metodo classico utilizzato per la diagnosi dell’infezione da M.conjunctivae è l’isolamento del
microrganismo in coltura su terreni specifici con successiva identificazione con metodi
immunologici. Tale tecnica, per le difficoltà d’esecuzione, richiede materiale freschissimo e una
particolare esperienza da parte del personale del laboratorio. Recentemente è perciò stata
sviluppata una specifica metodica PCR, basata su una sequenza unica del gene rrs (16S rRNA)
di M.conjunctivae, che permette una rapida identificazione del patogeno direttamente dal
materiale clinico. L’identificazione dell’agente è ora talvolta possibile anche su animali trovati
morti con infezione in atto oppure sottoposti ad analisi più giorni dopo il loro abbattimento.
Sono stati inoltre sviluppati e validati nuovi test sierologici (Western Blot, ELISA) per mettere
in evidenza anticorpi verso M.conjunctivae. Con questi metodi ha potuto essere caratterizzata
la dinamica della reazione immunitaria dopo infezioni con M.conjunctivae ed hanno potuto
esserne comprovate retrospettivamente le infezioni con il medesimo. Il test ELISA è ora a
disposizione per studiare, su larga scala, la distribuzione di infezioni da M.conjunctivae tra le
greggi domestiche.
Lesioni
Nel primo stadio evolutivo la malattia si manifesta in una semplice congiuntivite, accompagnata
da profusa essudazione sierosa che più tardi diventa muco-purulenta. La cornea appare
trasparente, mentre la congiuntiva è iperemica e gonfia. I segni più vistosi sono le palpebre
arrossate ed edematose, il secreto oculare e le ciglia appiccicate. A questo livello non si
riscontrano vistose alterazioni comportamentali dei soggetti. Viste le difficoltà della diagnosi,
difficile da eseguire a distanza, la forma più lieve della cheratocongiuntivite infettiva spesso
nei camosci non viene riconosciuta.
In caso di decorso sfavorevole, invece, la cornea si opacizza perché si forma un edema, cioè una
raccolta di essudato nello spazio intercellulare, con neoformazione di vasi sanguigni e infiltrati
cellulari: ciò provoca cecità temporanea. La cornea può presentarsi lattiginosa, biancastra o
grigiastra, con una superficie irregolare. Perfino in questi casi la cornea ha la possibilità di
ricostituirsi completamente, a condizione che gli strati cellulari posteriori siano rimasti intatti.
Talvolta ai margini della cornea si stabilisce un’intensa vascolarizzazione, mentre al centro essa
rimane inalterata. Nel decorso più grave invece si hanno ulcerazione e perforazione della cornea,
con conseguente fuoriuscita dell’umor acqueo. L’iride viene così a posizionarsi lungo la superficie
posteriore della cornea, con la quale possono formarsi delle aderenze. L’occhio ne risulta
danneggiato in modo irreversibile. Il processo conduce alla cicatrizzazione, nelle quali si trovano
talvolta inglobati dei pigmenti di colore nero-brunastro.
Confronto tra cornea sana (sinistra) e una malata (destra)
che presenta cicatrici, adesione all'iride e inclusione di
pigmenti.
Alterazioni del comportamento
Quando la malattia si manifesta in forma di semplice congiuntivite, senza un contemporaneo
offuscamento della cornea, l’osservatore meno esperto non è in grado di riconoscere a distanza
sintomi apparenti. Anche di fronte ad una cecità unilaterale il fenomeno sfugge perché questi
soggetti rimangono nei branchi e sono in grado di superare tutti gli ostacoli del terreno. Per
l’osservatore esperto ciò risulta più semplice. Infatti gli è possibile apprezzare il caratteristico
scolo sulla guancia, in base ai peli appiccicati inferiormente all’angolo interno dell’occhio.
La situazione è completamente diversa quando i camosci e gli stambecchi sono ciechi da
entrambi gli occhi: in questo caso essi si appartano dal resto del branco, che non riescono più
a seguire. Il loro comportamento è anomalo. Essi si riconoscono per la loro estrema insicurezza
e inibizione, in particolare sul terreno sassoso, accidentato o coperto di rami. Alzano i loro arti
con precauzione, portandoli in avanti a tentoni, quasi come fanno i ciechi con il bastone, e
cercano nel contempo di orientarsi con l’olfatto. I camosci che si spostano invece su un terreno
senza particolari difficoltà topografiche si muovono talvolta in modo sorprendentemente
normale. Sui campi di neve e sui prati pianeggianti sono perfino in grado di fuggire. Nella neve
sono talvolta ben visibili le tracce in forme circolari lasciate dagli animali disorientati.
Epidemiologia
La capacità di sopravvivenza di M.conjunctivae al di fuori dell’organismo è molto ridotta. Malgrado
ciò la cheratocongiuntivite è altamente contagiosa. M.conjunctivae può essere da una parte
trasmesso per contatto diretto, dall’altra tramite aerosol, ossia mediante la dispersione nell’aria
di finissime particelle di scolo lacrimale infetto. Inoltre anche le mosche rivestono un ruolo
significativo, particolarmente nell’ambito della trasmissione interspecifica. Recenti studi hanno
permesso di conoscere meglio i meccanismi che possono giocare un ruolo nella trasmissione
interspecifica di M.conjunctivae tra animali domestici e selvatici. Uno studio etologico ha evidenziato
che gli incontri fra pecore, camosci e stambecchi fino ad una distanza ravvicinata (pochi metri)
sono degli avvenimenti comuni durante il periodo estivo. Sono inoltre state identificate, sia nello
stambecco e nel camoscio che nelle pecore, 4 generi di insetti (Hydrotaea, Musca, Morellia e
Polietes) che si posano sugli occhi degli animali e che possono potenzialmente trasmettere
M.conjunctivae.
Per quanto riguarda la frequenza stagionale, le epidemie di cheratocongiuntivite infettiva nel
camoscio si manifestano generalmente durante l’estate e l’autunno. Vengono colpite tutte le
classi di età di ambo i sessi, in proporzione al numero di animali presenti sul territorio. La mortalità
che ne deriva è generalmente bassa, con valori inferiori ai 5-10%. In talune occasioni però, per
motivi non ancora completamente chiariti, un numero relativamente elevato di camosci muore
in seguito alla malattia; la mortalità può allora eccezionalmente raggiungere il 25-30%. Di regola
le epidemie di cheratocongiuntivite nel camoscio e nello stambecco si estinguono dopo essersi
diffuse lungo una catena montuosa ad una velocità di circa un chilometro al mese.
Femmina di camoscio cieca girando su se stessa ha
scavato la sua “tomba” nella neve.
Occhio di camoscio lacerato con visita di una mosca:
possibile vettore meccanico dell'infezione.
Stretto contatto tra uno stambecco e un gregge di
capre domestiche.
Gli animali ciechi si muovono incerti
alzando gli arti con precauzione.
Ruolo degli ovini
La cheratocongiuntivite infettiva non si riscontra soltanto negli stambecchi e camosci, bensì anche
negli ovicaprini domestici. Questa malattia è diffusa in tutto il mondo, ma la prevalenza nei piccoli
ruminanti domestici non è ben conosciuta. Uno studio sierologico svolto recentemente in Svizzera
ha evidenziato come l’infezione da M.conjunctivae sia largamente diffusa e dunque endemica nei
greggi di ovini. Risultati preliminari ottenuti in Valle d’Aosta starebbero a dimostrare che anche
in alcune zone italiane l’infezione è diffusa nei greggi di ovicaprini. La trasmissione dell’agente
patogeno viene evidentemente favorita dalla frequente movimentazione di animali (con
rimescolamento di capi tra le greggi e spostamento di animali). La comparsa esclusivamente
sporadica di epidemie di cheratocongiuntivite infettiva tra gli animali selvatici sembrerebbe
dimostrare come la trasmissione interspecifica di M.conjunctivae dagli ovini ai camosci o agli
stambecchi sia un evento abbastanza raro. Un gregge di pecore contagiato non è di conseguenza
necessariamente fonte di una nuova epidemia tra i selvatici. Tuttavia, visto che ciò può accadere,
dovrebbe essere prestata più attenzione alla malattia degli ovicaprini domestici e pecore o capre
con sintomi clinici non dovrebbero essere ammesse ai pascoli in quota senza prima essere sottoposte
a terapia specifica.
Controllo
Solitamente la maggioranza dei camosci e degli stambecchi colpiti dalla malattia va incontro ad
una guarigione spontanea, spesso anche dopo una temporanea cecità. Pertanto non appare sensato
abbattere tutti i camosci e gli stambecchi che presentano sintomatologia, a prescindere dal fatto
che anche una misura così rigorosa non consentirebbe comunque di evitare la propagazione
dell’epidemia.
L’abbattimento eutanasico di camosci e stambecchi è invece giustificato e indicato in caso di
perforazione della cornea con conseguente danno irreparabile agli occhi. I guardiacaccia professionisti
sono in grado di riconoscere queste situazioni con l’ausilio del cannocchiale. Pure gli animali feriti
in seguito a cadute o estremamente indeboliti vanno abbattuti. I tentativi di terapia applicata a
camosci e stambecchi confinati in recinto sono quasi sempre destinati al fallimento e non meritano
di essere presi seriamente in considerazione.
E’ inoltre particolarmente importante, e qui sono chiamati in causa soprattutto i cacciatori, gli
escursionisti e i frequentatori della montagna, evitare ogni inutile disturbo ai branchi di stambecchi
e di camosci colpiti dalla cheratocongiuntivite infettiva. Gli animali disturbati potrebbero precipitare
dalle pareti rocciose. In tal caso i media possono svolgere un prezioso ruolo informativo.
Per quel che riguarda gli ovicaprini, gli animali affetti da cheratocongiuntivite possono essere
efficacemente curati con pomate oftalmiche a base di tetraciclina. La lotta alla cheratocongiuntivite
a livello di gregge non è tuttavia possibile per il momento, poiché manca un vaccino efficace. Le
accuse agli allevatori di ovicaprini sono dunque fuori luogo. E’ più ragionevole destinare le energie
alla comune ricerca di soluzioni al problema. L’obiettivo è quello di lottare contro la
cheratocongiuntivite infettiva. Ulteriori verifiche sono necessarie per valutare la possibilità di
vaccinare gli ovini in modo da proteggerli dall’infezione da M.conjunctivae. Le direttive valide a
livello internazionale per lo sviluppo e l’esame di vaccini richiedono sperimentazioni relative alla
compatibilità e alla loro efficacia. Questi esperimenti sono attualmente in fase di attuazione, ma
lo sviluppo e la validazione del vaccino sarà un processo abbastanza lungo. Il presidio in questione
dovrebbe proteggere gli ovini dall’infezione da M.conjunctivae e bloccarne la diffusione all’interno
delle greggi, ma anche impedirne la trasmissione alle popolazioni di camosci e stambecchi in
montagna.