Presentazione tematica

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Presentazione tematica
Presentazione tematica dell’area storico-artistico-filosofico-teologica
UN PONTE TRA LE CULTURE: DALLA PÓLIS ALLA CIVITAS
Tempo, spazio e luce: intrecci tra arte, architettura e teologia
L’essenza del costruire è il “far abitare”. Il tratto essenziale del
costruire è l’edificare luoghi mediante il disporre i loro spazi.
Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire
M. Heidegger
L’alto grido che si alza dalle nostre città industrializzate, più
alto dell’urlo delle loro fornaci, è in definitiva soltanto questo:
noi costruiamo ogni cosa, eccetto l’uomo
J. Ruskin
Premessa
Da quella particolare natura che contraddistingue l’uomo sin dalle sue antiche origini, ovvero il suo
essere sociale, discende la perpetua disposizione a costituire gruppi, aggregazioni, collettività, le
quali, dal momento in cui sorge il bisogno di passare da una vita nomade ad una vita sedentaria,
assumono il volto delle città che conosciamo. Anche le Sacre Scritture sono concordi
nell’attestarlo: in quelle cristiane, ad esempio, si narra del sorgere di città sin dagli albori della
storia, sotto il segno di una fragilità che le rende suscettibili di deviare nell’orgoglio e nella
smisuratezza, come nel noto caso di Babele. Quasi tutta la storia biblica è storia di conquista, di
costruzione, di difesa, di perdita e di ripresa della città. L’uomo biblico è essenzialmente cittadino 1.
Storicamente vi sono state diverse tipologie di città: quelle del mondo antico, quelle
rinascimentali, dell’epoca moderna e quelle dell’attuale mondo post-moderno. Oggi stiamo
vivendo un passaggio dalla città alla metropoli (e anche alla post-metropoli), intesa questa come
territorio metropolitano. Si tratta di aree dagli incerti confini, segnate da perdita di identità e
sicurezza: si fa strada un vivere anonimo, privo di valori simbolici, dove la distinzione tra centro e
periferia tende a dissolversi del tutto. Un tale fenomeno urbano tende inoltre ad assumere
dimensioni mai viste in precedenza, sia per ampiezza che per universalità.
Dalla suggestiva riflessione del grande filosofo tedesco riportata in testa, possiamo ricavare il dato
essenziale che non è più possibile oggi progettare, edificare, senza prima aver chiaro il senso
dell’abitare e il soggetto uomo chiamato a vivere consapevolmente nel tempo e nello spazio. Non
è più possibile, ancora, edificare senza prendere sul serio le istanze critiche dell’uomo
contemporaneo che abita il cyber-spazio e una realtà sempre più complessa e globale. È
necessario pertanto che tanto il politico, quanto l’ingegnere o l’architetto interroghino il filosofo e
il teologo circa la domanda di senso, il fondamento originario e il fine a cui tendere, onde evitare
1
Si potrebbe far notare come anche nel Nuovo Testamento si utilizza il termine città per indicare differenti
agglomerati, enumerati di continuo, a prescindere dalla loro dimensione. Lo stesso cristianesimo prende vita da
Gerusalemme, città santa anche per ebrei e musulmani. L’Apocalisse chiude la rivelazione con la discesa della
Gerusalemme celeste. Ciò mostra quanto sia ricco il simbolismo della città e meritevole di studi approfonditi.
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di soccombere sotto il dominio di una industria e di una tecnologia che hanno usurpato l’autorità a
tutti quei simboli - religiosi, aristocratici e popolari – i quali, per interi millenni, hanno dato
un’éthos all’Occidente e alle sue storiche città; industria e tecnologia, infine, che imprigionano
nelle secche di un dio-mercato a cui sacrificare quotidianamente milioni di vittime all’insegna del
consumo, del benessere e, in definitiva, del più terribile edonismo di massa.
Nella consapevolezza della difficoltà di una tale sfida, si è voluto dar vita a Ragusa ad un Workshop
internazionale di architettura, con il fine di ripensare il centro storico della città, alla luce di un
autentico senso dell’abitare capace di restituire all’uomo la sua dignità di essere integrale (corpo,
anima e spirito), un uomo la cui meta non consiste in un mero coabitare, ma nell’accogliere e far
crescere nella pace le diversità di ogni natura con le quali si incontra.
Il senso dell’abitare dell’homo religiosus
Raccogliendo la provocazione di Martin Heidegger, proviamo a spingere più a fondo la domanda di
senso dell’abitare umano. Già, il senso: in un’epoca contrassegnata da nichilismo e relativismo,
appare difficile poter costruire e progettare a partire dal senso. L’esigenza oggi avvertita è quella di
un significativo orientamento, parola la cui etimologia rimanda ad un “guardare ad oriente”,
preludendo con ciò al respiro interculturale che il pensiero occidentale oggi dovrebbe possedere,
ferma restando l’intenzione di costruire ponti e non barriere tra i popoli. Se si vuole uscire dalla
palude di un asettico razionalismo e dalle sabbie mobili di una assenza di fondamento, occorre
allora proprio ripartire dalla domanda di senso. Qui torna ancora una volta utile raccogliere l’invito
del nostro filosofo:
«Pensiamo per un momento a una casa contadina della Foresta Nera, che due secoli fa un abitare
rustico ancora costruiva. Qui, ciò che ha edificato la casa è stata la persistente capacità di far entrare
nelle cose terra e cielo, i divini e i mortali nella loro semplicità. Essa ha posto la casa sul versante
riparato dal vento, volto a mezzogiorno, tra i prati e nella vicinanza della sorgente. Essa gli ha dato il
suo tetto di legno che sporge a grondaia per un largo tratto, inclinato in modo conveniente per reggere
il peso della neve, e che scendendo molto in basso protegge le stanze contro le tempeste delle lunghe
notti invernali. Essa non ha dimenticato l’angolo del Signore dietro la tavola comune, ha fatto posto
nelle stanze ai luoghi sacri del letto del parto e dell’“albero dei morti”, come si chiama là la bara,
prefigurando così alle varie età della vita sotto un unico tetto l’impronta del loro cammino attraverso il
tempo. Ciò che ha costruito questa dimora è un mestiere che, nato esso stesso dall’abitare, usa ancora
dei suoi strumenti e delle sue impalcature come di cose. Solo se abbiamo la capacità di abitare,
possiamo costruire. Il richiamo alla casa contadina della Foresta Nera non vuol dire affatto che noi
dovremmo e potremmo tornare a costruire case come quella, ma intende illustrare, con l’esempio di un
abitare del passato, in che senso esso fosse capace di costruire»2.
Ecco dunque un primo spunto per comprendere il senso dell’abitare: far entrare nelle cose terra e
cielo, i divini e i mortali nella loro semplicità. Il riferimento è chiaro: non si può ridurre la realtà
delle cose al loro semplice aspetto materiale o funzionale, ma occorre lasciar che in esse traspaia
la realtà meta-fisica che le trascende e fonda al tempo stesso. Questo, però, implicherebbe una
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M. HEIDEGGER, “Costruire abitare pensare”, in Saggi e discorsi, ediz. ital. a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, pp.
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cucitura di quello strappo che il razionalismo della modernità ha portato nell’anima dell’uomo,
confinandolo in un dualismo pericoloso e comunque riduttivo della sua dignità.
In tal senso, una grossa mano di aiuto è arrivata dal notevole e ormai imprescindibile contributo di
quegli storici delle religioni, etnologi e antropologi i quali, facendo capo alla scuola rumena (uno
tra tutti Mircea Eliade), hanno formulato una prospettiva antropologica certamente più
corrispondente all’identità profonda dell’essere umano, quella cioè dell’homo religiosus. Prima
ancora che essere faber, sapiens, oeconomicus o, come oggi si usa dire, videns, l’uomo è infatti
essenzialmente un essere religioso, ovvero aperto naturaliter a una dimensione trascendente a
partire dalla quale orientare l’intera esistenza. Per un uomo siffatto, la realtà è simbolica,
pregnante di improvvise e gratuite ierofanie (“manifestazioni del Sacro”), manifestazioni di quella
luce invisibile che interiormente lo nutre e che esteriormente lo rafforza nelle relazioni con le altre
creature, teofanie (“manifestazioni di Dio”) esse stesse. È una chiave di lettura fondamentale per
comprendere la fenomenologia delle tradizioni culturali e religiose, sia in maniera sincronica che
diacronica, dunque senza alcuna distinzione di latitudine o età: secondo Platone, ad esempio, «è
contrario alla natura delle arti ricercare nelle cose soltanto l’utile trascurandone lo scopo» 3; e san
Tommaso ha scritto che «l’artigiano è portato naturalmente dalla giustizia a compiere il suo lavoro
fedelmente»4; ma gli esempi potrebbero ancora moltiplicarsi.
Le implicazioni sono notevolissime: i luoghi, i tempi e la stessa luce abitati dall’uomo assumono
una chiara connotazione qualitativa, ovvero un significato alto e altro rispetto a quello
immediatamente tangibile. L’homo religiosus sa di abitare uno spazio anzitutto cosmico, di cui non
è padrone incontrastato, con dei ritmi e delle armonie precisi, ove il tutto comprende ogni più
piccola parte: le costellazioni tessono nessi con le stesse coltivazioni, geometrie astronomiche si
riflettono in edifici architettonici, e tutto diviene rito. Nella dimensione rituale, occultamente
ancora presente in tantissimi atteggiamenti dell’uomo contemporaneo (de-sacralizzato), lo spazio
si unisce al tempo e questo assume una qualità liturgica: le stesse età della vita, le tappe
fondamentali di essa, entrano sacramentalmente in un ordine eterno ove scorre solo il presente,
grondante di pienezza e bellezza. L’homo religiosus sa che ogni atto che compie è ricondotto
all’illud tempus, ove la divinità prende l’iniziativa, forgia il modello e offre, nel sacrificio di sé,
l’esempio. Il rito diviene così un atto di comunicazione tra terra e cielo, creatura e divinità e tutta
la vita si colora di senso, anzi conferisce all’uomo una partecipazione diretta ai grandi misteri
divini.
Oggi bisogna fare purtroppo i conti prima di tutto con una società “secolarizzata”, che ha espunto
il “sacro” da ogni ambito, relegandolo nel privato; poi, e di conseguenza, con uno spazio indefinito,
omogeneo, vissuto sempre più in modo virtuale da un uomo in perpetuo transito, senza alcuna
possibilità di sosta; il tempo, da parte sua, assume sempre più i caratteri di un divoratore, dal
3
PLATONE, Repubblica, 342b, 346a.
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I-II, 57, 3 e 2. È bene sottolineare come il termine “giustizia” ha in Tommaso
lo stesso senso della dikaiosune di Platone (cfr. Repubblica, 433a) e dell’evangelista Matteo (cfr. Mt 6,33);
l’equivalente nella tradizione indù è dharma. Sarebbe pertanto riduttivo tradurlo con “rettitudine”, eliminandone il
senso cosmico.
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quale fuggire terrorizzati come da un vuoto opprimente. È l’età della mobilità, dello
“sradicamento”, che paradossalmente si scontra con edifici di cemento sempre più pesanti e
ingombranti: «il “luogo” è dove sostiamo, è pausa: è analogo al silenzio in partitura. Il territorio
post-metropolitano ignora il silenzio; non ci permette di sostare, di “raccoglierci” nell’abitare»5.
Il progettista dovrà pertanto tenere conto della conflittualità latente nell’uomo urbano del Terzo
millennio: da un lato la dissoluzione dello spazio, il prevalere di non-luoghi, di condomini ridotti
ormai a dormitoi, dall’altro la naturale tendenza ad abitare, a vivere consapevolmente uno spazio
simbolico, ridondante di senso e di bellezza; da una parte una continua tensione verso la mobilità,
l’atomizzazione del tempo, il consumo istantaneo dell’esistenza, dall’altra l’insopprimibile tensione
verso la dimensione gratuita di un tempo ridonato, dell’otium, ossia la dimensione contemplativa
della vita. Afferma Mircea Eliade:
«l’uomo più schiettamente areligioso è soggetto tuttora, nel più profondo del suo essere, a un
comportamento orientato religiosamente. Ma le “mitologie” private dell’uomo moderno, i suoi
pensieri, i suoi sogni, i suoi fantasmi, etc., non riescono ad elevarsi fino al regime ontologico dei miti,
non essendo vissuto dall’uomo totale, e non trasformano una situazione particolare in una situazione
esemplare. Allo stesso modo che le angosce dell’uomo moderno, le sue esperienze oniriche o
immaginarie, anche se “religiose” da un punto di vista formale, non si integrano in una
Weltanshauung, come avviene per l’homo religiosus, e non costituiscono la base di un
comportamento»6.
In centri storici ove vige solo la dittatura delle rigide e fredde leggi commerciali, senza sopprimere
ovviamente la componente fondamentale del commercio, il progettista è sollecitato a concepire
spazi pubblici nei quali favorire l’incontro autentico tra le persone, la sosta, il contatto con la
natura e il cosmo, lo slancio verso l’alto, il tutto in una rinnovata ritualità che sappia tenere conto
delle componenti qualitative di luce, spazio e tempo.
Dalla pólis alla civitas: radici e orizzonti dell’abitare europeo
Una domanda importante ai fini del presente Workshop consiste nel chiedersi a quale modello di
città guardare. Probabilmente non esiste un unico modello, trattandosi di tanti modelli quante
forse sono le città nel mondo! Tuttavia potrebbero essere rintracciate nella storia dell’Occidente
delle costanti di carattere generale utili per comprendere le nostre radici, ma anche per guardare
con maggiore consapevolezza al futuro e progettare di conseguenza.
Le odierne città europee hanno la loro radice culturale e storica non nella pólis greca, come si
potrebbe essere indotti a credere o a desiderare, ma nella civitas romana. Si tratta di due modelli
differenti di città che storicamente hanno assunto dei tratti ben marcati, su cui vale la pena in
breve riflettere, seguendo qui la lucida sintesi del filosofo Cacciari7.
Nella pólis greca emerge un tratto etnico religioso fondamentale, un éthos comune che dà la
radice ad una gente (génos). L’appartenenza si esprime attraverso un radicamento di stirpe e di
genere, la cui conseguenza è l’isolamento tra le diverse poleis. Ciò che dunque mette insieme i
5
5
M. CACCIARI, La città, Pazzini Editore, Villa Verucchio (RN) 2012 , p. 36.
M. ELIADE, Il sacro e il profano, Boringhieri, Milano 1967, p. 165.
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Facciamo riferimento, qui come altrove, ad una sua conferenza pubblicata nel sopracitato volume.
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cittadini greci è un’idea fondativa, un’origine comune. Diversa concezione assume la civitas
romana: essa è il confluire di diversi cives, diversi per religione, cultura, etnia, etc., per darsi
medesime leggi, espresse attraverso il mito della Concordia romana, che ritroviamo poi,
opportunamente riformulata, in scrittori cristiani quali Ambrogio di Milano o Agostino d’Ippona8.
Contrariamente a quanto accadeva nelle poleis greche, nella civitas romana il diverso viene
assorbito e integrato, costituito cittadino sotto la stessa legge dell’Impero, che diviene così il fine
comune. La conseguenza di ciò è che la città è “mobile” (Roma mobilis) e sempre crescente (civitas
augescens), avendo come fine l’espansione dell’Impero (imperium sine fine). Secondo Cacciari,
«esso non è altro che la “globalizzazione”: fare dell’orbis una urbs, affinché il cerchio magico che
nelle poleis rinserrava e imprigionava dentro i confini della città coincida con il cerchio del mondo,
in tutta la sua dimensione spaziale e temporale. Questa è la grande idea romana ormai entrata nel
DNA dell’Occidente, del tutto inestirpabile»9.
È importante tenere conto di questa radice romana, nel complesso di popoli e culture che oggi
abitano le città: «Quale riferimento scegliamo: l’origine o il fine, il legame di stirpe o la legge?
Questo è il dilemma: la comunità si forma attraverso semplici patti tra diversi interessi, attraverso
armistizi, tregue, compromessi precari?»10.
La sfida deve essere non tanto quella del raggiungimento di una semplice coabitazione, con ciò
rimanendo fermi a quel che i sociologi indicano come “multiculturalismo”, ma della tensione verso
un incontro autentico che sappia tenere conto dell’identità dell’altro (“interculturalità”), fino ad
assumere, integrandoli, valori condivisibili che lo caratterizzano (“intraculturalità”)11. Nel far ciò,
non ci si può esimere dalla difficile sfida etica, ove convergono almeno tre visioni: 1) tradizionale,
sostanzialmente legata alle forme concettuali delle tradizioni religiose; 2) laicista, con la sua fede
nei progressi della scienza ufficiale che supera e svaluta le convinzioni di radice religiosa; 3) postmetafisica, consapevole dei limiti dell’uomo e diffidente nei confronti delle due precedenti visioni.
Secondo il noto filosofo Jürgen Habermas, critico, ma aperto, nei confronti del pensiero postmetafisico, «sarebbe irragionevole emarginare quelle tradizioni “forti”, quasi fossero un residuo
arcaico, invece di illuminare la connessione interna che le collega alle forme moderne di pensiero.
Le tradizioni religiose provvedono ancora oggi all’articolazione della coscienza di ciò che manca»12.
Risulta indispensabile, in conclusione, la conoscenza del patrimonio culturale, artistico e
architettonico della città nella sua evoluzione storica, senza la quale ogni progettualità
risulterebbe quanto mai slegata dal contesto, con il rischio di creare delle discontinuità o fratture
nell’identità dei cittadini. Per il centro storico in particolare, ove ancora permangono più o meno
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«Non solo il diritto europeo, anche quella grande istituzione occidentale che è la Chiesa è tutta dominata da
quest’idea. Sia la città dell’uomo che la città di Dio non sono in alcun modo interpretate sulla base di parametri di tipo
etnico. La Chiesa, dice Agostino, nel suo pellegrinaggio accoglie in sé, senza fare alcun conto delle differenze etniche,
di lingua e costume» (M. CACCIARI, La città, cit., p. 21).
9
M. CACCIARI, La città, cit., p. 15.
10
Ibid., p. 22.
11
Qui l’integrazione è da intendersi come capacità di sintesi, di comunione sui principi aldilà delle differenze di
“forma”; è invece da escludersi ogni tentativo di “inclusivismo”, in realtà per nulla rispettoso dell’identità altrui. Si
comprende facilmente come sia la strada più difficile – nei fatti la più bistrattata – ma forse l’unica e necessaria.
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J. HABERMAS, Tra scienza e fede, Laterza, Bari 2008, p. XI.
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integre le simboliche tradizionali, ciò non vuol dire perpetrare una certa mentalità conservatrice
che spesso fa dei centri urbani dei musei senza vitalità; piuttosto “vivere” la memoria come una
forma immaginativa e ri-creativa.
Piste di ricerca proposte
I docenti dell’area storico-artistico-filosofico-teologica approfondiranno le suddette tematiche, nel
tentativo di offrire possibili piste di ricerca proficue per i progettisti. In particolare:
1) Poiché la città con la sua struttura urbanistica, le sue piazze, i suoi edifici pubblici e privati:
- conserva la memoria delle generazioni che ci hanno preceduto;
- costituisce il patrimonio storico, architettonico, artistico e religioso degli abitanti;
- ha un ruolo fondamentale nella formazione dei cittadini come “luogo dell’identità
condivisa”, nel quale ognuno può identificarsi;
gli spazi urbani assumono una dimensione educativa per gli abitanti e per i visitatori. Tale
dimensione oggi è ancora più importante se si considera che l’uomo del nostro tempo vive
spesso non solo lo sradicamento del luogo d’origine, ma anche un sentimento di estraneità
nei confronti del luogo di accoglienza. Pertanto, conoscere e far conoscere le vicende e le
modalità attraverso le quali la città si è sviluppata, ha conservato e valorizzato i propri
luoghi significativi, consente di offrire una preziosa occasione di arricchimento a tutti i
cittadini in quanto abitanti di un territorio ed appartenenti alla medesima comunità. Da qui
l’auspicio per i progettisti che ogni intervento di recupero e valorizzazione all’interno di un
centro storico si inserisca armonicamente nel contesto storico e monumentale, il quale è
dovere morale e materiale conservare e trasmettere alle prossime generazioni.
2) Si prenderanno le mosse dalla domanda: verso quale umanesimo stiamo andando? Più che
la rivendicazione di spazi sacri, la fede sostiene:
•
che la dimensione religiosa appartiene alla dignità della vita umana
•
che l’interiorità del credente deve aprirsi ad un umanesimo integrale
•
che il dialogo può realizzare una mutua fecondazione tra credenti e non.
Dunque si porrà attenzione a come contribuire alla pienezza dell’umano e quale impegno
sostenere per il difficile cammino della libertà personale. Si tenterà la proposta di una
visione di insieme in grado di sostenere una progettualità sociale. La sfida delle odierne
megalopoli è chiara: occorre ripensare un’area metropolitana anonima, marcata dal
pluralismo e segnata da paure, senza più centro e periferie, dove la vita è regolata dai
criteri di produzione/commercio/consumismo mentre le persone vivono secondo interessi
di benessere psicosociale da perseguire attraverso una frenetica mobilità di carattere
consumistico ed edonistico. Dobbiamo allora rassegnarci alla metropoli/condominio,
cercando di controllare una crescente conflittualità di cui la vita condominiale è chiaro
esempio, o possiamo ancora sognare di ritrovare una capacità di dialogo e di
partecipazione, di ricostituire una unità nella diversità? È questa la sfida che oggi abbiamo
di fronte.
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3) Si tenterà in sintesi di approfondire il misterioso intreccio dell’eternità con il tempo,
possibilmente attraverso le diverse tradizioni religiose, sì da mettere in risalto qualche
elemento metafisico e antropologico comune. A partire da tale relazione, si dovrebbe
delineare meglio la dimensione qualitativa del tempo, così difficilmente accolta da una
società occidentale tutta sbilanciata sul quantitativo e sulla corsa frenetica e affannosa. Nel
corso della storia, la tradizione dell’otium (contrario di nec-otium, sul quale gira il mondo
globale odierno) ha attraversato religioni e culture, aprendo l’uomo a una dimensione
apparentemente lontana o difficile, in realtà connaturata ad esso stesso: la dimensione
contemplativa. Quali possibili orizzonti aprirebbe nel contesto urbano e sociale odierno il
recupero di una tale dimensione? Come potrebbe unire persone di culture e religioni
differenti? Che tipo di relazioni o di comunicazioni potrebbero sprigionarsi?
4) A partire dalla rivelazione biblica, che presenta la luce come primo atto creativo, si
svilupperà quindi il tema della creazione e della materia come segno della bontà di Dio per
l’uomo. La forza del bene, infatti, è nella manifestazione o rivelazione. Il bene per sua
natura si diffonde. La forza del male, invece, è nell’oscurità o nel nascondimento. Le forme
della vita e del mondo diventano un segno della forza creativa dell’uomo e del bene. In
questo percorso biblico, teologico e liturgico, l’arte e la bellezza costituiscono lo splendore
della verità, del Tutto che si concede nelle forme del mondo, ossia nei frammenti stessi
delle opere creatrici. Perché la materia, per sua stessa forma, è diafanica: riceve e
trasmette luce…
5) Si tenterà di delineare alcune componenti antropologiche fondamentali, connesse in
particolare alla sfera “rituale” dell’uomo, e di rintracciare nell’odierno spazio “profano”
urbano possibili luoghi in cui esprimerle, consentendo a persone di estrazione culturale
diversa di incontrarsi attraverso spazi, tempi, relazioni che lo ricollegherebbero alla sua
natura originaria di “homo religiosus”.
Alcune suggestive immagini poetiche
Meditare i versi poetici di coloro che più di altri vivono di otium, pur all’interno delle postmetropoli, crediamo possa aiutare non poco a cogliere i sentimenti, le paure, le angosce e le
speranze degli odierni uomini urbani. Come quei versi del poeta ecuadoriano Jorge Carrera
Andrade, la cui storia perseguitata e sofferta ha attraversato il Novecento. Nonostante l’esilio, non
ha mai smarrito l’impegno morale per costituire una comunità autenticamente umana, ed
approda così alla visione di una luce quale bene supremo, quale simbolo di una perpetua vittoria,
alla visione di un uomo che è parte del sole. Ma il realismo del poeta non cessa di tornare nei
panni di un “forestiero perduto nel pianeta”, prigioniero della città:
Senza conoscere il mio numero.
Circondato di muraglie e di limiti.
Con una luna da forzato,
e legata alla mia caviglia un’ombra perpetua.
[di prigioniero anonimo?]
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Frontiere vive si levano
a un passo dai miei passi.
[forse gli altri uomini? forse i diversi per cultura?...]
Né nord né sud esiste, est né ovest:
solo esiste la solitudine moltiplicata,
la solitudine divisa per una cifra d’uomini.
La corsa del tempo nel circo dell’orologio,
l’ombelico luminoso dei tram,
le campane dalle spalle atletiche,
i muti che compitano due o tre parole colorate,
son fatti di una materia solitaria.
[perdita di orientamento, della qualità dello spazio]
[uomini ridotti a numero, a mera quantità]
[tempo ridotto ad attimi, tragicamente comici]
[forse perché priva di quella luce che la in-forma?]
Immagine della solitudine:
il muratore canta su un’impalcatura,
chiatta immobile del cielo.
Immagini della solitudine:
il viaggiatore che s’immerge in un giornale,
il cameriere che nasconde un ritratto in seno.
[forse la denuncia di forme di alienazione che pur non riescono a
sopprimere del tutto la vitalità dell’homo religiosus?]
La città ha un aspetto minerale.
[non è il simbolo metafisico della solidificazione del mondo? del
suo progressivo e finale volgersi alla materia?]
La geometria urbana è meno bella
di quella che apprendemmo a scuola.
Un triangolo, un uovo, un cubetto di zucchero
c’iniziarono alla festa delle forme.
[un’urbanistica senza anima ruba la gioiosa e creativa vitalità
del bambino o, se si vuole, dell’homo religiosus]
Solo più tardi venne la circonferenza:
la prima donna e la prima luna.
[nell’esperienza dell’homo religiosus la realtà è simbolica e
pregnante di significati. La forma circolare sembra il preludio
alla stadio edenico iniziale del primo uomo che viveva in un
giardino circolare, contrappunto alla città di pianta quadrata che
contrassegnerà invece il suo stadio finale sulla terra]
Dove sei stata, solitudine,
che fino ai vent’anni non t’ho conosciuta?
Nei treni, negli specchi e nelle fotografie
sei sempre al mio fianco.
Son meno soli i contadini
perché fanno un tutt’uno con la terra.
[il poeta contrappone alla sua la vita dei campi]
[totalità dell’uomo cosmico]
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gli alberi son loro figli,
osservano nella propria carne il mutare del tempo [ecco il tempo personalizzato, interiorizzato]
e gli serve d’esempio la lezione degli animaletti.
[le leggi segrete della natura parlano al cuore dell’uomo]
La solitudine è nutrita di libri,
di passeggiate, di pianoforti e di pezzi di moltitudine,
di città e di cieli conquistati dalla macchina,
di pieghi di schiuma
che si svolgono fino al confine del mare.
[non possono essere questi i nuovi “luoghi”?]
Tutto è stato inventato.
Ma nulla v’è che possa liberarci dalla solitudine.
[straordinaria capacità della tecnica]
[straordinaria superiorità dell’anima sulla tecnica!]
Le carte da gioco custodiscono il segreto delle soffitte.
I singhiozzi son fatti per essere fumati nella pipa.
S’è cercato di sotterrare la solitudine in una chitarra.
Si sa che gira per gli appartamenti sfitti,
che commercia coi vestiti dei suicidi
e che impiglia i messaggi nei fili telegrafici13.
[che sia oggi l’etere telematico un altro “luogo” di frontiera?]
Finché dalla rinnovata esperienza di solitudine scaturirà l’“Hombre planetario”, l’Uomo planetario,
il poema cioè dell’uomo storico sul cui cuore tutti i popoli firmano un patto di pace.
13
J. C. ANDRADE, Uomo planetario. Antologia lirica, Accademia, Milano 1970, pp. 57-58. Il commento a lato è nostro.
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