8 Pasqua 2C - Centro Pastorale Familiare
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8 Pasqua 2C - Centro Pastorale Familiare
Centro Diocesano di Pastorale Familiare Il cammino della Pasqua Seconda Domenica di Pasqua a cura di don Francesco Pilloni "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto" (Gv 20,2) La Pasqua porta il tempo dell'eternità dentro il nostro tempo. Questa creazione è segnata dal ritmo lunare, ritmo della vita e della fecondità. La vita e l'esistenza di Gesù aprono un nuovo tempo, una nuova creazione. Il sesto giorno (giovedì santo) Gesù dona se stesso nel mistero eucaristico, che anticipa il settimo giorno e il dono di amore della morte in croce (venerdì santo). Infine: Tutto è compiuto (Gv 19, 30.). Il settimo giorno (sabato santo) è il riposo e il Signore scende agli inferi liberando i progenitori, la storia, il cosmo, dalla schiavitù della morte. Da questo momento il ritmo della creazione è superato dalla nuova creazione, da Gesù che ritorna al Padre suo e Padre nostro, Dio suo e Dio nostro (cfr. Gv 20, 17). La sua risurrezione inaugura il giorno ottavo, che eccede questa creazione e inaugura quella eterna. È il primo giorno, il giorno senza tramonto, il giorno che unisce questa creazione a Dio, nella nuova creazione. San Gregorio di Nazianzo lo definisce il "giorno uno". Per questo la Pasqua è un unico giorno celebrato in otto giorni (ottava di Pasqua) e si distende nel tempo a compiersi: è il giorno in cui il tempo eterno si distende nel nostro tempo e questo nostro tempo è come assorbito dal giorno eterno. La Liturgia della Chiesa ci guida nel cammino più autentico della vita cristiana. "Se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù" (Col 3,1). Il credente, il discepolo, vive ogni realtà nella luce del nuovo giorno della Pasqua e della Vita, giorno di Cristo, che è il Vivente (Ap 1, 17-18). La Pasqua è così un giorno unico, un'unica domenica che si distende nel tempo fino alla Pentecoste. Per questo si dice seconda domenica di Pasqua e non dopo Pasqua. La Pasqua è il presente! Dopo avere ascoltato e accolto i numerosi racconti di risurrezione presenti nei Vangeli sinottici e in Giovanni, al compimento dell'ottava di Pasqua ci è proposto il Vangelo di Tommaso (Gv 20, 24-29). Gesù si era rivelato ai discepoli riuniti e con la sua presenza e manifestazione li ha costituiti come Chiesa, donando loro lo Spirito Santo (Gv 20,22) ma Tommaso non era presente. Gesù costituisce la Chiesa e nello stesso tempo si dona e si rivela proprio nella Chiesa. San Bernardo, commentando questo vangelo, si sofferma con accento particolare proprio sull'isolamento di Tommaso dalla comunità e lo ammonisce, quasi a dirgli che si sbaglia, se pensa di poter "vedere il Signore" fuori dalla comunità de discepoli. Il Corpo risorto di Cristo raccoglie tutti i discepoli e li raduna in unità, unendoli a sé. Il credente diviene una cosa sola con il Signore risorto e vive unito a Lui la sua stessa vita. Proprio questo è credere: acconsentire che il mistero di Cristo viva in noi e che la nostra vita sia viva in Lui e di Lui. Proprio questo è il battesimo, in cui l'uomo vecchio (ognuno di noi, separato da Cristo e nella morte) muoia e il nuovo (Cristo in noi, speranza della gloria) risorga. Nel battesimo noi facciamo una cosa sola con il Figlio di Dio risorto: "Non più io vivo, ma Cristo vive in me". Il medesimo Cristo risorto vive in tutti noi e fa di noi un solo Corpo, il suo Corpo. Noi diveniamo Lui e Lui noi e forniamo così una unità. Questa unità è un unico popolo, un'unica Sposa di Cristo. Essa vive, in se stessa e in ognuno di coloro che la costituiscono, nell'unzione dello Spirito e nella unione di tutti donata nella Eucaristia. Non si scopre, non si sperimenta, non si vive Gesù nell'individualità soltanto, perché il progetto di Dio è l'amore che unisce. Uniti nel Figlio e in Lui resi figli, formiamo una sola cosa con Lui tutti insieme. Dio ha creato la persona umana nella sua originalità ed individualità, un realtà che è "quanto di più perfetto la natura porta in sé" (San Tommaso). Ma questa individualità esiste per l'amore e la comunione (communio personarum, Giovanni Paolo II): la persona è un progetto sponsale, che compie la perfezione della propria individualità nella comunione di amore. Il credente "uno" con Cristo è "uno" anche con gli altri. Gesù si dona nella Chiesa e la costituisce. Ecco allora che Gesù ritorna e inserisce Tommaso nella comunione mediante la fede e dona pienezza di umanità a questa fede mediante la comunione. Questo ci apre a divenire più consapevoli della dimensione del sacramento del matrimonio. Con l'essere "due in uno" nell'amore nuziale gli sposi portano in sé, nella loro umanità, il progetto che Dio compie in Cristo risorto. L'uomo e la donna sono, fin dalla creazione, il linguaggio di Dio, la sua vita inscritta nella cane mediante la tensione all'amore, il desiderio di unità. Cristo compie questo progetto per ogni uomo e per tutti gli uomini, donando agli sposi di esprimere questo amore nuziale di Dio per l'umanità, unendo ognuno a sé nella fede e nell'amore (due in uno) e unendo tutti in unità con sé (molti in uno). Ne sgorga la bellezza del matrimonio cristiano che esprime nella individualità di un singolo amore, di ogni singolo amore vissuto in Cristo, la bellezza di tutto l'amore. Così la coppia cristiana è sacramento perché partecipa in modo vivo e reale di questo amore, se ne nutre, lo partecipa, lo rende vivo e presente nel mondo non in templi di pietra, ma nel tempio di carne dell'umanità. Così la famiglia partecipa della vita e dell'essere della Chiesa, Chiesa costituita nella carne per la grazia del sacramento. Così l'umanità non è chiamata alla vita di Dio fuori di se stessa, ma al di dentro della propria umanità, esistenzialmente vissuta. Nella grazia del sacramento del matrimonio l'umanità diviene Chiesa nella Chiesa, Corpo e Sposa di Cristo. E come famiglia è investita della grazia della partecipazione al mistero di Cristo, nel suo insieme e in ogni singolo membro. La Chiesa dona alla famiglia di essere Chiesa e la famiglia mostra il volto umano dell'essere Chiesa: umanità di amore vissuta nello Spirito. E questo perché c'è un amore più grande: l'amore di Dio che nella morte di Cristo ci libera e nella sua risurrezione ci dona vita. Il Risorto porta i segni di questo amore: le piaghe della sua croce, nelle quali siamo stati guariti. Forse Tommaso non comprende come queste ferite di violenza e di peccato, possano vivere nella gloria di Dio. Ma il risorto le porta con sé, gloriose. Queste ferite sono il "dare la vita per coloro che si ama" (cfr Gv 15,13), sono le ferite del dono, sostanza della carne umana apertasi sull'amore di Dio. Ogni ferita dell'amore negli sposi, nelle famiglie, nella comunità, diviene, una volta unita alla morte e risurrezione di Cristo attraverso un cammino che accoglie e trasfigura i dolori dell'amore che si dona, ferita di gloria. Cristo unisce a sé anche i nostri dolori, i nostri fallimenti, la nostre violenze, i nostri modi così disorientati di vivere e ci apre ad un amore più grande. E se essi sono uniti a Gesù risorto, sono uniti anche alla Chiesa, suo Corpo e sua Sposa. La Pasqua ci apre così alla luce prima dell'amore, per ogni uomo, per gli sposi, per la famiglia, per la Comunità. E in questa comunità originaria che porta in sé il tessuto di ogni comunione, la famiglia, ci è dato entrare in questa luce di grazia e vedere redento e risorto l'amore umano, reso capace, per la grazia dello Spirito Santo, di vivere "non più per se stesso, ma per Lui che è morto e risorto per noi" (Prece eucaristica IV). E così la famiglia diviene nella Chiesa e per la Chiesa "scuola di amore" (schola caritatis, San Benedetto). "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto" (Gv 20,2). La famiglia è il luogo in cui si vede senza vedere, sperimentando la presenza del risorto nella novità dell'amore, in un amore reso nuovo dalla Pasqua: un amore che porta in sé e ogni giorno rivela l'Amore più grande del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che abita per la grazia dello Spirito le nostre persone nella risurrezione di Cristo.