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OGGETTO: “Temi di interesse – In breve (a cura dell
Comunicazioni Assofiduciaria
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Comunicazioni Assofiduciaria
venerdì 5 agosto 2016 09:37
APPROFONDIMENTI_COM_2016_147: “Temi di interesse – In breve"
A tutte le Associate
- Loro Sedi -
OGGETTO: “Temi di interesse – In breve (a cura dell’Avv. Giuseppe Giangrande)”
Si segnalano alle Associate i seguenti temi di interesse:
Distrazione all'interno del gruppo societario
Non c’è condanna per l’amministratore per il reato di bancarotta quando la distrazione, di fatto, genera
vantaggi all’impresa nel gruppo societario cui appartiene. In tema di reati fallimentari, la previsione di cui
all’art. 2634 c.c., esclude dall’atto depauperatorio in presenza dei cd. vantaggi compensativi dei quali la
società apparentemente danneggiata abbia fruito o sia in grado di fruire in regione della sua appartenenza ad
un più ampio gruppo di società ovvero del suo collegamento con altra società, conferisce valenza normativa
a principi, già derivanti dal sistema, in punto di necessaria considerazione della reale offensività, applicabili
anche alle condotte sanzionate dalle norme fallimentari e, segnatamente, a fatti di disposizioni patrimoniali
contestati come distrattivi o dissipativi. La Corte di Cassazione, con la sentenza 23 marzo 2016, n. 12399, ha
accolto con rinvio il ricorso dell’amministratore unico di un’azienda dichiarata fallita; i giudici di legittimità
hanno sostanzialmente negato la condanna per bancarotta quando la distrazione, di fatto, genera vantaggi alle
imprese nel gruppo societario cui appartiene.
Fonte: Federico Gavioli, Distrazione all’interno del gruppo societario, in Il Sole 24Ore, 20 luglio 2016.
Fusioni con concambio errato: al socio spetta il risarcimento
Se in un’operazione di fusione il rapporto di cambio si riveli incongruo, perché non sia veritiera (per
sottovalutazione) la situazione patrimoniale di una delle società che partecipano all’operazione, spetta il
risarcimento del danno al socio che subisca il concambio sfavorevole. Il risarcimento è pari al valore delle
azioni ottenute in concambio rispetto al valore delle azioni che il socio avrebbe ottenuto se il concambio fosse
stato congruo. È quanto deciso dalla Cassazione nella sentenza n. 15025 del 21 luglio 2016. Rilevando che
del rapporto di cambio la legge richiede la «congruità», la Cassazione argomenta che il legislatore non
pretende l’assoluta esattezza matematica del concambio; in sostanza, secondo la Suprema Corte, non esiste
un unico rapporto di cambio, ma una pluralità di opzioni all’interno di una ragionevole «banda di
oscillazione», cosicché il rapporto di cambio si rende incongruo solo nelle ipotesi in cui la scelta dell’organo
amministrativo cada su un valore esterno alla accettabile banda di oscillazione della valutazione delle società
partecipanti all’operazione di fusione, con la conseguenza di provocare, in tal modo, un danno per i soci. Si
pone dunque il tema del risarcimento del danno, in quanto, per scelta del legislatore, quando l’atto di fusione
è iscritto nel Registro imprese non si può più far luogo a una sua impugnazione, ma occorre trasferire sul
piano risarcitorio le pretese di chi lamenti che nel procedimento di fusione sono stati tenuti comportamenti
illegittimi. Nel caso del rapporto di cambio incongruo (nella fattispecie, per sottovalutazione del patrimonio
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della società incorporata), si deve aver riguardo al minor valore della partecipazione ottenuta nella società
incorporante dal socio della società incorporata. Si deve raffrontare – secondo la Cassazione – non la posizione
del socio a seguito della fusione rispetto a quella che egli avrebbe avuto qualora la fusione non fosse avvenuta,
ma la situazione conseguente all’applicazione del rapporto di cambio incongruo e quella corrispondente al
rapporto stesso quando siano accertati gli errori tecnici che hanno condotto a detta incongruità.
Fonte: Angelo Busani, Fusioni con concambio errato: al socio spetta il risarcimento, in Il Sole 24Ore, 26 luglio 2016.
Il nuovo rendiconto «sorveglia» la capacità di affrontare gli impegni finanziari
Il rendiconto finanziario, per volere del legislatore, entra nei documenti che compongono il bilancio delle
società che lo redigono in forma ordinaria, ovvero completa. Infatti, l’articolo 2423, comma 1, include ora nel
bilancio anche il rendiconto finanziario che, pertanto, è parte integrante dello stesso al pari di stato
patrimoniale, conto economico e nota integrativa. E il nuovo articolo 2425-ter del codice civile prescrive che
dal rendiconto finanziario devono risultare, per l’esercizio a cui è riferito il bilancio e per quello precedente,
l’ammontare e la composizione delle disponibilità liquide, all’inizio e alla fine dell’esercizio, e i flussi
finanziari derivanti dalle attività operativa, di investimento, di finanziamento, ivi comprese le operazioni con
i soci. L’Organismo italiano di contabilità ha aggiornato il principio contabile Oic 10 precisando che, in
precedenza, il documento si limitava a raccomandarne la redazione nell’ambito della nota integrativa, mentre
a partire dai bilanci 2016 il rendiconto si aggiunge ai documenti che compongono il bilancio e non è più
incluso nella nota integrativa, essendo un documento a sé stante. Il rendiconto finanziario fornisce
informazioni di natura finanziaria non ottenibili dallo stato patrimoniale e dal conto economico perché
presenta le variazioni, positive e negative, delle disponibilità liquide e, pertanto, fornisce indicazioni utili per
valutare la situazione finanziaria della società o del gruppo.
Fonte: Franco Roscini Vitali, Il nuovo rendiconto «sorveglia» la capacità di affrontare gli impegni finanziari, in Il Sole 24Ore, 28
luglio 2016.
Per i trust operativi nella Ue cade il segreto sui titolari effettivi
Il Senato ha approvato definitivamente la legge di delegazione europea 2015 (disegno di legge n. 2345), che
conferisce al Governo la delega per il recepimento di alcune direttive europee e l’attuazione di altri atti
dell’Unione Europea. Tra le principali disposizioni contenute nella legge in questione spiccano le novità in
materia di antiriciclaggio, che dovranno essere introdotte nell’ordinamento italiano sia per il recepimento
della direttiva 2015/849/Ue (IV direttiva antiriciclaggio), che per l’attuazione del regolamento 2015/847/UE,
relativo ai dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi. Tra i destinatari delle nuove misure in
materia di antiriciclaggio ci sono anche i trust. I prestatori di servizi relativi a società o trust, e i loro titolari
effettivi, dovranno essere provvisti di adeguati requisiti di professionalità ed onorabilità. I trustee di trust
espressi, disciplinati ai sensi della convenzione dell’Aja, avranno invece l’obbligo di:
dichiarare di agire in tale veste, nel caso in cui instaurino rapporti professionali, anche occasionali,
con i soggetti destinatari degli obblighi di adeguata verifica della clientela;
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rendere le informazioni in materia di titolarità effettiva del trust alle autorità competenti.
Inoltre, le informazioni relative ai titolari effettivi dei trust produttivi di effetti giuridici rilevanti, a fini fiscali,
per l’ordinamento nazionale, dovranno essere registrate in un’apposita sezione del registro delle imprese e
rese accessibili, senza alcuna restrizione, non solo alle autorità competenti, ma anche ai i soggetti destinatari
degli obblighi di adeguata verifica della clientela.
Fonte: Valentino Tamburro, Per i trust operativi nella Ue cade il segreto sui titolari effettivi, in Il Sole 24Ore, 29 luglio 2016.
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L’acquisto di azioni proprie riduce il patrimonio
Acquisto di azioni proprie da meditare con attenzione a seguito delle novità introdotte dal D.lgs. n. 139/15. Il
decreto, le cui novità si applicano ai bilanci redatti a partire dall’1 gennaio 2016, prevede l’iscrizione nello
stato patrimoniale delle azioni proprie a diretta riduzione del patrimonio netto, in una riserva negativa, ai sensi
di quanto dispone l’articolo 2357-ter che detta medesima previsione. Tale norma precisa che l’acquisto di
azioni proprie comporta una riduzione del patrimonio netto di eguale importo, tramite l’iscrizione nel passivo
del bilancio di una specifica voce, con segno negativo. Di conseguenza, è stato integrato lo schema di stato
patrimoniale, di cui all’articolo 2424 del codice civile, con la previsione della voce “Riserva negativa per
azioni proprie in portafoglio”. L’effetto è il divieto di iscrivere le azioni proprie nell’attivo dello stato
patrimoniale, che riguarda anche quelle non destinate a permanere durevolmente nel patrimonio della società:
pertanto, dai bilanci 2016, le azioni proprie non sono più iscritte nell’attivo immobilizzato o circolante, ma
sono rilevate in una riserva che “riduce” il patrimonio netto.
Fonte: Franco Roscini Vitali, L’acquisto di azioni proprie riduce il patrimonio, in Il Sole 24Ore, 2 agosto 2016
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