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DE VERO, STRATEGIA NON OGM PER LA SELEZIONE DI CEPPI DI LIEVITO NON PRODUCENTI SOLFITI E SOLFURI, PAG. 1
STRATEGIA NON OGM PER LA SELEZIONE DI CEPPI DI LIEVITO NON
PRODUCENTI SOLFITI E SOLFURI
Luciana DE VERO
Dipartimento di Scienze Agrarie e degli Alimenti. Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, via
Amendola, 2 (Padiglione Besta), 42100 Reggio Emilia (RE).
Lavoro presentato alla 7^ edizione di Enoforum, Arezzo, 3-5 maggio 2011
L'anidride solforosa è utilizzata in enologia per le sue molteplici azioni, tra cui le più importanti
sono quelle antiossidanti e antisettiche. Nonostante questi effetti positivi sul vino, il suo impiego
deve essere comunque limitato per gli effetti negativi sulla salute. Sebbene l’origine dei solfiti nei
vini sia prevalentemente esogena, può essere significativamente influenzata dai lieviti che operano
la fermentazione alcolica. Infatti, è noto che i lieviti sono in grado di ridurre i solfati a solfiti e solfuri
per la biosintesi degli amminoacidi solforati. Alcuni ceppi di lievito, con una solfito reduttasi meno
attiva, sono in grado di produrre livelli particolarmente elevati di solfiti. Anche per questo motivo è
opportuno selezionare lieviti non producenti solfiti e solfuri, assicurando così un migliore processo
di fermentazione e limitando la produzione di elementi negativi tali da compromettere la qualità
sensoriale e la stabilità del vino.
Nella popolazione naturale, sono stati frequentemente isolati dei ceppi di lievito selvaggi di
Saccharomyces cerevisiae con una solfito reduttasi alterata o inattiva e quindi non producenti
idrogeno solforato (H2S) (Zambonelli et al., 1984), ma mai, allo stato attuale delle nostre
conoscenze, ceppi non producenti solfiti e solfuri contemporaneamente. In generale, la non
produzione di solfuri è accompagnata ad un alto accumulo di solfiti (Zambonelli et al., 1984;
Hansen e Kielland-Brandt, 1996). Ne consegue che con la selezione clonale è improbabile isolare
ceppi con ambedue le caratteristiche desiderate, non produzione di solfiti e solfuri, per cui è
necessario applicare strategie di miglioramento genetico.
Il metabolismo dei solfati nei lieviti
A differenza della SO2 esogena che permea direttamente attraverso la membrana cellulare dei
lieviti, i solfati sono attivamente trasportati, da specifiche permeasi, all’interno della cellula dove
vengono attivati. In particolare, l’attivazione avviene attraverso due reazioni sequenziali: la prima
consiste nella fosforilazione dei solfati con formazione di adenosina-5’-fosfosolfato (APS), la
seconda in un’ulteriore fosforilazione con formazione di 3’-fosfoadenosina-5’-fosfosolfato (PAPS).
Gli enzimi che catalizzano queste due reazioni sono la ATP solforilase e la APS chinasi
rispettivamente. I solfiti derivati dalla riduzione della PAPS, successivamente, vengono ridotti a
solfuri, dall’enzima solfito reduttasi, ed infine, lo zolfo ridotto viene utilizzato per la biosintesi degli
amminoacidi solforati cisteina e metionina (Thomas e Surdin-Kerjan, 1997). D’altra parte, il
processo di degradazione della cisteina e metionina comporta la formazione di composti solforati
volatili e tiolici tra cui H2S e glutatione. L’idrogeno solforato è una molecola fortemente ridotta, con
proprietà sensoriali negative e può essere un buon indicatore dell’attività dei lieviti sui composti
solforati. Invece, il glutatione è un tiolo, costituito da cisteina, glicina e acido glutammico, che
svolge un’importante azione antiossidante ed è in grado, inoltre, di chelare i metalli pesanti
formando complessi che vengono trasferiti attivamente nel vacuolo tramite trasportatori presenti
nella membrana del vacuolo stesso (Mendoza-Cózatl et al. 2005). Nel vacuolo i complessi metalloglutatione vengono degradati dagli enzimi litici e gli amminoacidi e i metalli liberati vengono
immagazzinati in questo organello per poi essere riutilizzati o eliminati dalla cellula. Diversi autori
hanno evidenziato che una risposta frequente allo stress da metalli pesanti nei lieviti è l'aumento
del tasso di assimilazione dello zolfo e della biosintesi di cisteina, nonché una maggior produzione
di glutatione, attraverso l'attivazione degli enzimi coinvolti in tali pathways e l'up-regolazione dei
geni coinvolti. In particolare, l'esposizione ai metalli pesanti comporta un aumento sia dei livelli
trascrizionali dei geni SUL1 e SUL2 codificanti la solfato permeasi HAST della membrana
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cellulare, sia del livello trascrizionale del gene MET3 codificante l'ATP solforilase coinvolta
nell'attivazione del solfato assorbito dalla cellula (Vido et al., 2001; Momose e Iwahashi, 2003).
Questo aspetto risulta particolarmente interessante in quanto la selezione di ceppi resistenti ai
metalli pesanti o ad analoghi tossici del solfato può risultare utile per la messa a punto di una
strategia di miglioramento e selezione di ceppi non assimilanti i solfati e caratterizzati pertanto da
un metabolismo alterato relativamente alla produzione di solfiti e solfuri.
Miglioramento dei lieviti per uso enologico: mimica dell’evoluzione adattativa
Le strategie di miglioramento genetico dei lieviti sono numerose e spesso complementari tra loro.
La scelta della migliore strategia si basa fondamentalmente su tre fattori: la natura genetica del
carattere d'interesse (qualitativo o quantitativo), la conoscenza o meno dei geni coinvolti e lo scopo
finale (Giudici et al. 2005). Linee ottimizzate di lievito possono essere sviluppate utilizzando, ad
esempio, i metodi di “ibridazione” e di “ingegneria genetica”. La tecnica del DNA ricombinante,
sebbene risulti precisa ed efficace, non sembra particolarmente apprezzata dai consumatori, oltre
ad essere soggetta a specifiche normative. Un approccio alternativo non ancora usato
ampiamente nel miglioramento dei lieviti ad uso industriale è quello basato sulla mimica
dell’evoluzione adattativa. Attraverso questa strategia, un organismo è soggetto a una coltura
seriale o continua per diverse generazioni ed è sottoposto a condizioni non ottimali di crescita
(Brown et al., 1998; Ferea et al. 1999).
L'evoluzione adattativa definisce un set di mutazioni che accorrono in risposta a particolari
condizioni di stress e che risultano vantaggiose per la cellula sottoposta a tali condizioni (Foster,
1999). Le mutazioni, per definizione, determinano la formazione di nuovi alleli nella popolazione e
forniscono la variabilità genetica su cui agisce la selezione. Pertanto, l’evoluzione adattativa
determina l'aumento delle varianti che più si adattano all'ambiente caratterizzato dalla pressione
selettiva. Un esempio di cambiamenti benefici che vengono fissati durante l’evoluzione di certe
popolazioni di lieviti vinari sono dati dalla traslocazione del gene SSU1 che conferisce la solfitoresistenza (Goto-Yamamoto et al., 1998; Perez-Ortin et al., 2002). Analogamente l’alcol tolleranza
o la capacità di sviluppare in presenza di elevate pressioni osmotiche sono anch’esse legate a
ricombinanti facilmente “selezionabili” in quanto solo i ceppi “adattati” alle specifiche pressioni
selettive applicate potranno svilupparsi. In sintesi, l’evoluzione adattativa è il risultato della
selezione di nuovi fenotipi selezionabili, cioè sensibili alla pressione selettiva esercitata dal mezzo
e dalle condizioni di crescita. Ne deriva che il processo di selezione e di evoluzione adattativa non
è efficace su variazioni e ricombinazioni genetiche che non esprimono fenotipi selezionabili. In
generale, con le strategie di miglioramento genetico non è tanto difficile indurre delle mutazioni o
delle ricombinazioni, quanto piuttosto è cruciale individuare e selezionare i ceppi che portano i geni
di interesse.
Nelle tecniche OGM, frequentemente, vengono associati, ai geni di interesse, dei marcatori, la cui
presenza in forma attiva possa essere verificata attraverso un fenotipo facilmente individuabile
come, ad esempio, la resistenza ad un antibiotico. La strategia di miglioramento, messa a punto e
proposta nel presente lavoro, non prevede l’impiego di tecniche OGM, ma sfrutta semplicemente
la formazione di ricombinanti attraverso la riproduzione sessuale e, successivamente, i
ricombinanti di interesse vengono individuati attraverso uno screening rapido e altamente selettivo.
In particolare, in S. cerevisiae, è stato evidenziato che il trasporto nella cellula dei solfati e dei
metalli pesanti avviene attraverso le stesse specifiche permeasi di membrana (HAST e LAST);
questo ci consente di ipotizzare e testare una strategia selettiva dei ricombinanti e/o mutanti nel
trasporto dei solfati. Infatti, uno dei possibili meccanismi di resistenza ai metalli pesanti potrebbe
essere legato a mutazioni nel gene che codifica per la metallo-permeasi presente nella membrana
cellulare. La permeasi mutata, presentando una minore affinità col suo ligando, sfavorirebbe
l'ingresso del metallo all'interno della cellula. Pertanto, la selezione di ceppi resistenti ai metalli
pesanti risulta utile, per la strategia proposta, consentendo l’individuazione di ceppi caratterizzati
da un metabolismo alterato dei solfati e, con buona probabilità, non producenti solfiti e solfuri.
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Strategia di selezione di ceppi di Saccharomyces cerevisiae resistenti ai metalli pesanti
Nella presente ricerca lo sviluppo di nuovi ceppi è stato realizzato in laboratorio mediante un
approccio che imita il processo di evoluzione adattativa. La strategia non OGM utilizzata include 4
principali fasi relative ai seguenti processi: sporificazione, coniugazione delle spore, esposizione a
stressori e selezione dei ceppi resistenti (Figura 1).
Figura 1: Fasi della strategia di selezione di ceppi resistenti ai metalli pesanti
I FASE:
induzione della sporificazione
in acetato-agar
Digestione degli aschi in
provetta e osservazione
delle spore al microscopio
ottico
II FASE:
Verifica della coniugazione
delle spore al microscopio
Recupero delle spore e
risospensione in YPD
III FASE:
Esposizione ai metalli
pesanti mediante
inoculo in provette
Provette con YPD+cromato
Provetta con YPD+molibdato
IV FASE:
Selezione delle
provette positive e
semina in piastre
Piastre con YPDA+molibdato
Piastre con YPDA+cromato
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I ceppi parentali (3002, 4003, 16003, 20001) utilizzati per l’ottenimento dei ceppi resistenti alle
pressioni selettive applicate, derivano da un precedente lavoro di isolamento da mosti in
fermentazione, selezione clonare e caratterizzazione fenotipica e molecolare. Tali ceppi sono stati
scelti sulla base delle loro ottime attitudini tecnologiche e per l’elevato livello di conversione delle
cellule in aschi, anche oltre il 90% (Giudici et al., 1997).
Nella I fase della strategia, la sporificazione dei ceppi parentali è indotta mediante semina in
piastra con acetato-agar (2% agar e 0.5% acetato di sodio). Infatti, la carenza di nutrienti innesca
la meiosi nelle cellule di lievito, con conseguente segregazione dei loro genomi. Le spore sono
liberate dagli aschi mediante digestione con zimoliasi e l’avanzamento della lisi degli aschi è
seguita mediante osservazione al microscopio ottico. Successivamente, le spore sono recuperate
mediante centrifugazione, risospese in 1 ml di YPD (1% di estratto di lievito, 2% di peptone, 2% di
glucosio) ed incubate a temperatura ambiente. In questa II fase, le spore ripristinano lo stato
diploide mediante coniugazione, dando origine ad un elevato numero di cellule ricombinanti
successivamente sottoposte a selezione mediante esposizione ai metalli pesanti (III fase). La
selezione, in particolare, è effettuata suddividendo la sospensione iniziale in un totale di 100
provette contenenti terreno YPD addizionato di molibdato di ammonio (0,5 mM) o cromato di
potassio (0,25 mM).
L’osservazione al microscopio ottico durante la II fase, è fondamentale in quanto è necessario
effettuare il frazionamento in provetta quando il numero di coniugazioni è molto elevato e prima
dell’inizio della moltiplicazione cellulare ossia prima della moltiplicazione dei nuovi discendenti
diploidi, in modo che nessuna provetta riceva cellule “sorelle” ovvero discendenti dalla stessa
cellula madre. Ne consegue che le provette risultanti positive per lo sviluppo cellulare, contengono
con certezza ceppi diversi. Infatti, in aggiunta ai processi di ricombinazione, le mutazioni possono
insorgere in qualunque momento della suddivisione cellulare, indipendentemente dall’esposizione
all’agente selettivo, per cui il numero di mutanti varierà moltissimo da una coltura all’altra, poiché
dipende dalla dimensione del clone derivato da un unico mutante, così come dimostrato da Luria e
Delbruck nel lontano 1941, con il “test di fluttuazione” per l’individuazione e la stima delle
mutazioni.
Successivamente, da ogni provetta positiva si effettua una semina in piastra contenente il
corrispettivo terreno agarizzato e da ogni piastra, una sola colonia è reisolata e purificata. Con la
strategia descritta, sono stati ottenuti 44 ceppi resistenti alla pressione selettiva applicata. Nello
specifico, 18 ceppi (ceppi Cr) derivati dal ceppo genitore 3002 sono risultati resistenti al cromato
dando su YPDA-cromato colonie bianche; 26 ceppi (ceppi Mo) derivati dai ceppi genitori 16003,
20001 e 3002 sono cresciuti su YPDA-molibdato, formando colonie blu o bianche, alcune delle
quali col tempo tendevano ad assumere una colorazione blu. I meccanismi di resistenza coinvolti
potrebbero essere diversi nei diversi ceppi ma ciò che risulta importante, ai nostri fini, è la
possibilità di utilizzare una strategia valida per uno screening rapido di ceppi ricombinanti
riconoscibili attraverso l’espressione di un fenotipo selezionabile.
Valutazione dei ceppi di lievito sull’attività fermentativa e sulla produzione di solfiti e solfuri
Tutti i ceppi ottenuti, sono stati testati in prove di fermentazione condotte in simil-mosto o mosto
d’uva, in assenza o presenza di SO2 aggiunta ed in condizioni limitanti di azoto al fine di
selezionare quelli incapaci di produrre solfiti e solfuri. A tal scopo, colture di 24 ore (5 ml) dei
singoli ceppi, preparate con i diversi mosti, sono state utilizzate per inoculare aliquote (90 ml) dei
corrispondenti mosti, addizionati con 5 ml di olio di paraffina, in contenitori da 125 ml, chiusi con
tappo di cotone, precedentemente pastorizzati. Gli inoculi sono stati effettuati in triplice replica.
L’andamento della fermentazione è stato valutato con pesate ad intervalli regolari, osservando il
calo in peso (grammi CO2 per 100 ml di mosto) per un periodo di circa 20 giorni.
La stima di idrogeno solforato prodotto nel mosto è stata effettuata sulla base dell’annerimento di
una striscia di carta da filtro imbevuta con una soluzione al 5% di acetato di piombo, sospesa alla
bocca dei contenitori delle prove di fermentazione.
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A fine fermentazione i campioni sono stati conservati a + 4°C per le successive determinazioni
analitiche: pH, acidità titolabile, zuccheri riduttori e anidride solforosa totale.
In generale è stato osservato un alto grado di variabilità per tutte le variabili dipendenti
considerate, in parte dovuto all’inadeguata capacità nutrizionale del simil-mosto e all’elevata
pressione selettiva del contenuto zuccherino dei mosti rispetto all’azoto disponibile (dati non
mostrati). L’ipotesi è supportata dal fatto che si assiste ad una differenza consistente tra le
fermentazioni avvenute in simil-mosto e quelle in mosto. Inoltre, la presenza di solfiti aggiunti
influenza sensibilmente l’andamento fermentativo nel suo complesso ed in modo specifico sia
l’energia fermentativa che il potere alcoligeno.
Le principali caratteristiche specifiche dei ceppi considerati di maggiore interesse nel presente
lavoro sono riportate nella tabella 1.
Tabella 1 – Ceppi di Saccharomyces cerevisiae selezionati
Ceppi
Origine
Caratteristiche specifiche
Mo163-1
Discendente del ceppo
16003
Resistenza al molibdato,
Alto potere alcoligeno
Bassa capacità acidificante
Bassa produzione di solfiti
Bassa produzione di H2S
Mo163-9
Resistenza al molibdato
Alta resistenza all’SO2
Bassa produzione di solfiti
Bassa produzione di H2S
Mo21-3
Discendente del ceppo
20001
Resistenza al molibdato
Alto potere alcoligeno
Alta capacità acidificante
Bassa produzione di H2S
Cr32-3
Discendente del ceppo
3002
Resistenza al cromato
Alto potere alcoligeno
Alta capacità acidificante
Bassa produzione di H2S
Cr32-12
Resistenza al cromato
Alta resistenza all’SO2
Cr32-19
Resistenza al cromato
Alta resistenza all’SO2
In particolare, i ceppi Mo163-1, Mo163-9 e Mo21-3 sono quelli che hanno mostrato le performance
migliori, con la minor quantità di zuccheri residui ed il più alto potere alcoligeno. Inoltre i mosti
fermentati con il ceppo Mo163-9, sia in presenza che in assenza di solfiti aggiunti, hanno mostrato
un elevato valore di pH e una bassa acidità titolabile.
I dati, elaborati statisticamente, relativi alla quantità di solfiti finali prodotti dai ceppi, hanno messo
in evidenza delle differenze significative sia tra i ceppi che tra i mosti impiegati (fig. 2). In
particolare, il ceppo Mo163-9 mostra bassi solfiti finali (SO2 < 10 mg/L) sia in presenza che in
assenza di solfiti aggiunti, libera una grande quantità di solfuri in presenza di solfiti aggiunti,
mentre non libera solfuri in assenza di solfiti aggiunti. Questo tipo di comportamento fa ipotizzare
un’incapacità a ridurre i solfati a solfiti e una buona attività della solfito reduttasi. Un
comportamento simile al ceppo Mo163-9 è dato dai ceppi Mo163-1 e Mo21-3.
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Fig. 2 (a e b) - Statistica descrittiva: confronto tra le medie dei valori di anidride solforosa finale per i ceppi
testati in tre diverse tipologie di mosto con (a) e senza SO2 aggiunta (b).
a
b
Legenda:
Media
Media±SE
Media±1.96*SE
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Riassumendo
La strategia non OGM applicata, nella presente ricerca, consente la realizzazione di linee
migliorate di lievito con le caratteristiche desiderate, grazie alla selezione che la pressione
selettiva, nello specifico la presenza di cromato e molibdato, esercita sulla ricombinazione di alleli
più adatta alle determinate condizioni di crescita. La selezione di ceppi resistenti ai metalli pesanti
o ad analoghi tossici del solfato può risultare utile al fine di individuare i ceppi mutanti non
assimilanti i solfati e caratterizzati pertanto da un metabolismo alterato relativamente alla
produzione di solfiti e solfuri.
In generale, tale strategia è caratterizzata da un elevato grado di casualità e risulta idonea per
l’espressione di fenotipi complessi, difficilmente selezionabili.
All’interno della specie S. cerevisiae vi è molta variabilità tra i ceppi relativamente alle performance
fermentative e ai prodotti minoritari della fermentazione. Sono proprio le differenze osservate tra i
ceppi che consentono di impostare programmi di selezione e miglioramento genetico finalizzate
all’ottenimento dei vini desiderati. I diversi ceppi di lievito ottenuti con la strategia descritta, sono
stati valutati sulla base del comportamento durante la fermentazione alcolica e della produzione di
solfiti e solfuri. I risultati hanno chiaramente messo in evidenza che esistono delle differenze
significative tra i ceppi, differenze sempre evincibili nonostante la forte influenza determinata dal
mezzo di crescita.
L’ottenimento di vini senza solforosa è un obiettivo difficile da raggiungere per l’importante ruolo
svolto da questo additivo nell’industria enologica, e richiede l’individuazione di nuove tecnologie e
la messa a punto di procedure di vinificazione e conservazione dei vini senza solfiti. Tuttavia,
come è noto, il contenuto di solfiti in un vino può essere alto anche in assenza di solfiti aggiunti per
via della riduzione dei solfati da parte dei lieviti, per cui produrre vini senza solfiti è possibile
soltanto con l’impiego di lieviti non produttori di tali composti. Nel presente lavoro sono stati
migliorati e selezionati tre ceppi di lievito, Mo163-1, Mo163-9 e Mo21-3, in possesso di buone
attitudini tecnologiche, con riduzione dei solfati scarsa o nulla, ed in grado di dare vini con un
contenuto in solfiti inferiore ai 10 mg/L.
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