LA SALA BIANCA nascita della Moda Italiana
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LA SALA BIANCA nascita della Moda Italiana
Catalogo della mostra LA SALA BIANCA nascita della Moda Italiana Electa L’immagine di una moda creativa Quando, il 22 luglio del 1952, le porte della Sala Bianca di Palazzo Pitti si spalancarono per la prima volta per accogliere compratori e giornalisti venuti ad assistere alle sfilate fiorentine, la moda italiana non era al suo battesimo ufficiale, ma alla sua quarta edizione1. In soli due anni aveva già acquisito agli occhi degli osservatori internazionali, una sua fisionomia e caratteristiche peculiari che la rendevano un prodotto, anzi un insieme di prodotti, quanto mai interessante. La data rimane comunque storica, perchè da allora il luogo di presentazione e le collezioni presentate furono strettamente legati: ancora oggi il nome della Sala Bianca rimane sinonimo dello stile italiano. In questa intuizione geniale fu la chiave del successo: se la moda era soltanto immagine, era fondamentale che questa immagine si costruisse e proponesse in una forma coerente con i valori che essa doveva rappresentare. Dal cuore di Firenze, dalla Sala Bianca, la creatività, l'originalità. La raffinatezza dei nostri modelli, ribadita e rispecchiata nell'organizzazione delle manifestazioni, si divulgarono nel mondo aprendo la strada a un fenomeno dalle proporzioni e dalle conseguenze economiche ben più vaste e importanti: la creazione di un'aura di prestigio che dalla moda si propagò a tutti i prodotti made in Italy, rendendoli noti e desiderati nel mondo. Fu un privato, Giovanni Battista Giorgini, a dare avvio a questa incredibile avventura, riuscendo, con sorprendente capacità e audacia, a organizzare nel febbraio 1951 una presentazione di moda del tutto originale a pochi compratori americani, suoi clienti, cui proponeva allora tutt'altro genere di prodotti2. Non era certo quella la prima volta che le creazioni dei nostri sarti venivano esibite su passerelle più o meno ufficiali; ma fu la prima volta, in assoluto, che una sfilata di modelli, che si proponevano come squisitamente italiani, veniva allestita soltanto per compratori stranieri e giornalisti: pochi ma importantissimi personaggi, il cui giudizio era una sentenza di vita o di morte. Il loro assenso entusiasta spalancò subito le porte di un successo che venne crescendo di anno in anno sotto la guida e la direzione di Giorgini. Niente in questa ascesa travolgente fu lasciato al caso o alla spontaneità: il successo fu costruito, manifestazione dopo manifestazione, con incredibile lucidità nello scopo e nella scelta dei mezzi per raggiungerlo. Il tipo di collezioni, il modo di presentazione, la regia della prima sfilata si rivelarono la formula vincente che le manifestazioni successive, quelle organizzate dallo stesso Giorgini fino alla primavera del 1905. non fecero che perfezionare, la sua idea di partenza, da cui tutte le altre scaturirono, risiede a monte del fenomeno stesso: nella scelta e nella volontà di lanciare e costruire l'immagine di un'Italia moderna, efficiente, creativa. Forse perchè non aveva nella moda il suo interesse primario. Giorgini seppe individuarla come prodotto-immagine e vederne appieno tutte le potenzialità, utilizzandole per fini che ne trascendevano l'ambito specifico. Dal 1923 egli era titolare di un'agenzia a Firenze che si occupava di trovare e proporre a clienti stranieri, in genere grandi magazzini statunitensi, prodotti italiani di pregio e ne curava l'iter di acquisto. Conosceva dunque bene sia la situazione italiana, sia il mercato americano; si scontrava ogni giorno con i pregiudizi dei suoi clienti che vedevano nell'Italia soltanto una terra di souvenir a buon mercato. In realtà esistevano una varietà e una qualità di produzioni artigianali che, se ben indirizzate e fatte conoscere, avrebbero potuto essere facilmente esportate e dare avvio alla ricostruzione economica del paese, devastato dall'ultimo conflitto. In quel tragico dopoguerra l’unico materiale su cui si poteva edificare era la capacità creativa e l’abilità tecnica dei nostri artigiani. Ma per aprire una breccia significativa nel mercato americano—l’unico che la guerra non avesse totalmente sconvolto — occorreva lanciare un prodotto di prestigio, dargli forma con adeguate campagne promozionali; un prodottoimmagine. appunto, che coniugasse l'idea dell’italianità con quelle di creatività, eleganza. tradizione; e che per giunta, fosse trainante di ampi e diversi settori produttivi. Con una sorprendente capacità di capire i tempi, Giorgini intuì che per far diventare l'Italia terra di acquisti e far affluire in essa ricchezza bisognava riuscire a far identificare l’idea di Italia con l'idea di moda. La moda, o meglio l’alta moda- avrebbe costituito il trait d’union ideale fra il mondo commerciale, quello artigianale, quello artistico. Era legata al mondo della ricchezza delle dive cinematografiche, dei sogni. Non c’era giornale che non si occupasse dei grandi sarti, delle loro creazioni, bizzarrie, capricci; dei personaggi in vista che indossavano i loro modelli. Solo la moda, una bella moda, avrebbe avuto la capacità di far parlare di se, di attirare i giornalisti e con essi i compratori di tutto il mondo. Ma la moda era da sempre, per tutti e dovunque. solo e unicamente Parigi. Mettersi in concorrenza con una simile rivale era pura follia: il prodotto di moda italiano andava individuato fra quelli che presentavano caratteristiche diverse e originali e potevano proporsi a nuove e più vaste fasce di mercato. Doveva manifestarsi ai potenziali acquirenti come un affare su cui rischiare e investire. Grazie alla regia nella presentazione e al tipo di modelli che per primi sfilarono in quel mitico 12 febbraio del 1951. l'idea dell'esistenza di una moda italiana nuova e di-versa fu subito chiara ai disincantati e scet-tici spettatori. Poiché pochi erano i sarti e pochi i modelli3, Giorgini pensò di raggrupparlo non per nome del creatore secondo la tradizione, ma per genere d’abbigliamento, in modo che le loro caratteristiche risultassero ribadite ed esaltate dalla vicinanza e dalla immediata successione. E fece sfilare per primi gli abiti della boutique progettati per il tempo libero, lo sport e le occasioni informali: un tipo di collezione che a Parigi non era presentato e che non aveva riscontro nella sofisticata moda francese. I capi erano allegri, imprevisti, giovani; i colori un inaspettato tripudio; la qualità sorprendente; i prezzi, poi, incredibilmente interessanti.4 La boutique rappresentò in questa circostanza la carta vincente, dimostrando a chiara voce resistenza di una moda italiana autonoma e originale: a essa, in tutte le manifestazioni successive, saranno sempre riservati i primi giorni delle sfilate. Aveva venduto allora e avrebbe venduto sempre benissimo; tuttavia il ruolo guida di prodotto-immagine dell'Italia non poteva che es-sere affidato all'alta moda, in cui all'idea di creatività e novità si sposava quella specifica di raffinata eleganza. Le case di moda invitate a partecipare ai fashion shows fiorentini non erano scelte a caso. Ma in funzione delle loro prerogative dell'assoluta indipendenza dalle collezioni francesi5. L'intuizione di quali caratteristiche dovesse avere una moda originale e vincente venne verosimilmente a Giorgini dalla sua conoscenza del mercato americano. L'America era lo specchio del nostro futuro più o meno prossimo: gran parte delle donne lavoravano; erano costrette a vivere dall’alba al tramonto fuori casa, a utilizzare mezzi pubblici, senza che per questo venissero meno le loro esigenze di stile. Occorreva loro — e ben presto alle donne di tutti i paesi - un abbigliamento meno sofisticato di quello proposto dai sarti parigini, adatto a un ritmo di vita più attivo. Era dunque il momento giusto per proporre un'eleganza giocata sulle linee pulite ed essenziali, sul taglio, sui materiali di ottima qualità che mantenessero queste linee perfette nel tempo. Sono queste le caratteristiche che i compratori sono invitati a riscontrare nei modelli italiani già dalla prima manifestazione del febbraio 1951. Nell'agenda loro distribuita da Giorgini si asseriva che le collezioni italiane, per la prima volta portate all'attenzione del mondo, traducevano nella linea, nel taglio, nella vestibilità il retaggio della tradizione artistica rinascimentale. Il messaggio, completo di tutti gli elementi su cui si verrà costruendo con metodo l'immagine della moda italiana, fu pienamente e immediatamente recepito 6 dai compratori e diffuso dalla stampa nel modo desiderato .L'affermazione della moda italiana come frutto della tradizione artistica era tutt’altro che occasionale; il suo ruolo sarà determinante nella costruzione dell'immagine. Non era un dato verificabile. come quelli del taglio e della vestibilità: veniva posta come una verità inconfutabile, un assioma, una categoria a priori, che arricchiva le caratteristiche effettive del prodotto di un significato e di una qualità di diversa natura. L'asserzione costituiva la formula più incisiva ed efficace per accentuare l'idea della creatività come dote peculiare dello spirito italiano. L’arte si era sempre identificata con la capacità di generare il bello, il nuovo. di rivelare l'inaspettato, il non visto. L'abitudine a vivere in città d'arte, a contatto diretto, senza l'intermediazione dei musei con opere di altissimo valore, doveva necessariamente educare a un gusto estetico raffinato: ogni italiano, in particolare il creatore di moda, non poteva che essere un artista. In pratica si suggeriva l'idea che la moda italiana fosse una forma d'arte, e fra queste la più moderna e attuale 7. La creatività costituiva inoltre un messaggio polivalente, valido per tutto il vasto settore dell'abbigliamento, dall'alta moda agli accessori; giustificava una molteplicità infinita di prodotti dalle forme estetiche o funzionali in grado di soddisfare esigenze di mercato del tutto nuove o addirittura latenti. Per l'alta moda veniva indicata nella linea e nel taglio, nella bellezza dei tessuti e nel tipo di decorazione; per il capo meno impegnativo di boutique nella invenzione imprevedibile e continua di uso, di forme, di decorazioni, di materiali. Il gruppo dei primi e più fedeli sarti che Giorgini aveva riunito intorno a se era già ben rappresentativo di una diversa e poliedrica capacità creativa: fresca raffinatezza in Simonetta, spettacolarità in Schuberth, rigorosità formale in Germana Marucelli. Ma il buon gusto, la misura, il senso delle proporzioni — retaggio dell'estetica rinascimentale — erano state presto riconosciute come le caratteristiche salienti proprie dell'alta sartoria italiana. Alla pulizia della linea, proposta come il massimo livello d'eleganza, faceva riscontro la confezione sartoriale accuratissima e il taglio perfetto, ma non eccessivamente complicato. La semplicità della linea tendeva a evidenziare la bellezza del ricamo o del tessuto, spesso riconosciuto come il vero elemento innovativo del modello. La qualità della confezione e la bellezza dei materiali piacevano ai buyers dei magazzini più prestigiosi, che dovevano soddisfare le esigenti richieste della migliore clientela, abituata alle delizie parigine; il taglio essenziale li rendeva interessanti agli occhi di un'altra categoria di acquirenti, quella dei confezionisti, che potevano, una volta acquistato il prototipo, ricopiarne l'idea e divulgarla senza eccessivi problemi8. Ancora più scopertamente che per l'alta moda, gli abiti di boutique e i capi per il tempo libero, che costituivano la vera novità mondiale della passerella fiorentina, giocavano la carta dell’originalità soprattutto sulle associazioni impreviste di idee e sull’uso dei materiali. La varietà delle tipologie proposte dai capi raggruppati sotto il nome di boutique veniva incontro alle più diverse richieste del mercato ed era già, di per sé, dimostrazione di una poliedrica creatività. Un settore, meno appariscente ma molto più importante, doveva il successo alla formula rivoluzionaria del binomio praticità-stile. Risolveva i problemi della donna impegnata attivamente nel lavoro, che aveva bisogno di capi raffinati, ma informali, ingualcibili e perfetti per lunghe ore, che la "rivestissero" con una classe priva di ostentazione; creati per lei erano gli impermeabili in seta di Avolio e la splendida maglieria di Mirsa, che offriva una gamma infinita di possibilità, adatte a tutte le ore e a tutte le occasioni. Le idee dirompenti, che avevano maggior riscontro sulla stampa, venivano comunque da quel settore della boutique creato per il tempo libero, più imprevedibile e quindi più atteso. Il fatto stesso che molti capi erano progettati per momenti di Inibir o di vacanza non poneva limiti alle invenzioni; e il clima postbellico, caratterizzato dal desiderio di divertimento, di affermazione della vitalità, era quanto mai ben disposto ad accettare una moda che si proponeva come un gioco, allegra, giovane, spiritosa, coloratissima. Il crescente benessere economico che avrebbe moltiplicato queste occasioni distribuendole a fasce sociali sempre più ampie, indicava chiaramente, già negli anni Cinquanta, quanto successo questo tipo di abbigliamento avrebbe avuto nell'immediato futuro. Pucci sbalordiva per gli accordi di colori rivoluzionari; Bertoli per le sue costruzioni con nastri, paglie, passamanerie; la Tessitrice dell'isola, Myricae, Valditevere, Scarabocchio, Baldini. Falconetto e altri, con stoffe tessute, dipinte o stampate a mano. Nella tessitura manuale si impiegavano filati o materiali impropri, come fettucce e paglie; nei disegni stampati, in breve famosissimi quelli di Pucci, Roberta di Camerino, Falconetto. Ken Scott, si riscontrava sempre un'altissima qualita', spesso addirittura eccezionale. Nel disegno si ricercavano effetti di trompel’oeil: si utilizzava il repertorio infinito della tradizione folklorica; si proponevano trasposizioni di scala, come particolari botanici enormemente ingranditi, o trasposizioni di senso, come oggetti quotidiani o domestici divenuti forme decorative. I tessuti artigianali, il ricamo o l'applicazione in paglia, pietre dure, conchiglie, rendevano i capi italiani spesso irriproducibili per i confezionisti stranieri9 e li ponevano al di sopra di qualsiasi concorrenza, in uno spazio specifico fra alta moda e confezione in serie. Costituivano inoltre la dimostrazione e l'esaltazione delle nostre raffinatissime capacità artigianali e più si avvicinavano all'idea dell'espressione artistica come gioiosa creatività. Queste caratteristiche peculiari e molteplici della sartoria e della boutique si erano immediatamente imposte come una realtà di fatto dalla passerella fiorentina fin dalle sue prime edizioni; erano perfette per lanciare se stesse, ma non assolvevano lo scopo primario delle manifestazioni, quale Giorgini l'aveva inteso. La somma di un numero variabile, anche se ricco, di singole idee non avrebbe generato automaticamente quella portante e fondamentale di creatività come dote precipua degli italiani, come una loro innata "categoria dello spirito", da cui scaturivano in continuazione molteplici forme di bellezza e di idee. Non avrebbero promosso da sole altri tipi di produzione. Occorreva creare per esse una matrice unica, rimandarle continuamente al comune denominatore dell'italianità, individuato nella tradizione storica e artistica; un compito che andava affidato a intelligenti e costanti azioni promozionali. Occorreva ancora che le sartorie si presentassero sempre e solo come parti vitali di un unico organismo: un compilo che invece spettava ai singoli; ma soprattutto al tipo di presentazione e di organizzazione delle stilate. Tutti i protagonisti della Sala Bianca erano chiamati a collaborare alla costruzione dell'idea di un paese dall'humus ricco e continuamente fertile, dove la capacità di generare bellezza e lo slancio vitale non erano e non sarebbero mai stati un fenomeno occasionale. I,a cornice e le manifestazioni collaterali che ruotavano intorno al fashion show ricordavano e sottolineavano sempre l'ideale continuità artistica fra le produzioni di ieri e quelle del presente. Le fotografie dei modelli distribuite alla stampa per la pubblicazione, le riprese filmate erano sempre storicamente ambientate. Dietro la mannequin si vedevano scorci panoramici, statue e monumenti di Firenze, del giardino di Boboli, o interni di secolari palazzi. Il fatto stesso che le presentazioni avessero luogo nella più bella sala di una reggia famosa. la Sala Bianca, con le sue imponenti ma equilibrate proporzioni, le sue fini decorazioni a stucco, creavano un'atmosfera che impressionava gli intervenuti, faceva nascere in loro un'aspettativa e induceva tacitamente al collegamento fra eleganza del passato ed eleganza del presente. Tutta la città del resto si prestava a ribadire il concetto che l'arte era per gli italiani come l'aria che respiravano e il latte di cui si erano sempre nutriti: Firenze era per questo la cornice ideale. Balli che chiudevano le rassegne di moda furono spesso organizzati da Giorgini in luoghi di suggestiva bellezza ma poco noti agli ospiti stranieri, come il giardino di Boboli, la Torre del Gallo ad Arcetri, il Forte Belvedere. Dal 1953 si era aggiunto un secondo polo storico, oltre Palazzo Pitti, intorno al quale ruotavano le manifestazioni della moda: la sede delle contrattazioni fra sartorie e acquirenti era divenuto Palazzo Struzzi. Noti antiquari fiorentini ammobiliavano per l'occasione i suoi saloni con oggetti preziosi, creando per ogni sartoria un ufficio-salotto m cui si trattavano gli affari con i clienti facendoli sentire come ospiti di una nobile e raffinatissima dimora privata: qui essi potevano toccare con mano la qualità dei materiali, vedere abiti che non avevano stilato, accordarsi sui prezzi e i tempi di consegna. Una serie di manifestazioni di carattere storico-promozionale fu ideata nei primi anni per sostenere l’idea di una moda italiana che affondava radici in uno splendido passato: ricordiamo la cerimonia evocativa delle nozze di Eleonora de' Medici con Francesco Gonzaga, principe di Mantova, rappresentata nel gennaio del 1953 da veri aristocratici; la mostra di abiti e figurini antichi tenutasi a Palazzo Strozzi nel gennaio del 1956; la grande sfilata di costumi storici che precedette la presentazione della moda italiana al Festival of Italy di Philadelphia del marzo 1961.10 L’alto lignaggio era una caratteristica esclusiva e fortemente caratterizzante della nostra moda, e quanto mai affascinante per un popolo giovane come quello americano. Nobile era Giorgini stesso, e nobili erano, molti sarti che si erano dedicati alla moda, generalmente per hobby: Emilio Pucci, Simonetta Colonna di Cesarò, Lola Giovanelli Sciarra, Giovanna Caracciolo, Olga de Gresv, Irene Galitzine. Grazie ai loro nomi, l'immagine della moda italiana nasceva subito con l'impronta dello stile, non come prodotto dell'applicazione e dello studio di professionisti. Sottolinearlo, lungi dall'essere semplicemente, come si potrebbe a tutta prima pensare, un'ostentazione snobistica, rafforzava enormemente l'idea di creatività e di diversità, su cui poggiava tutta la costruzione dell'immagine della moda italiana. Che essa fosse, in buona parte, ideata da personaggi dell'aristocrazia era inoltre una curiosità giornalistica che i periodici di moda amavano riportare: era un argomento di enorme portata pubblicitaria, che Giorgini sfruttò sempre al massimo delle possibilità11. In meno di un decennio la moda italiana aveva costruito, da queste idee, un immagine di se stessa che l'aveva affiancata con prepotenza a quella parigina. I francesi erano costretti ad ammettere, con grande rincrescimento, che era nata a Firenze una nuova capitale della moda12. Ma con essa l'immagine di prestigio diffusa dalle creazioni sartoriali era dilagata e aveva contagiato tutti i prodotti italiani, passando dalla creazione artigianale a quella del design industriale, dalla moda a tutto ciò che in Italia veniva creato e fabbricato13. Le caratteristiche dei tessuti italiani, esaltate dai nostri modelli, avevano costituito l'anello di raccordo che aveva reso possibile il passaggio: il sarto artigiano costruiva manualmente i suoi capolavori grazie a una materia prima, la stoffa, che era invece un prodotto dall'industria. Le sete, le lane, i cotoni italiani, definiti subito i più belli del mondo 14 e fatti conoscere attraverso specifiche azioni promozionali, avevano le stesse caratteristiche di qualità estetica, di novità, di originalità, che si riscontravano nei tipi italiani di abbigliamento proposti al mercato estero. Erano spesso prodotti merceologici nuovi per mischie, colori, fissaggi; sapevano essere, a seconda del tipo di modello e di mercato, raffinatissimi. divertenti. pratici; costituivano la più eloquente testimonianza di una conoscenza tecnologica e di una capacità imprenditoriale moderne. nutrite dalla stessa feconda matrice di cultura da cui erano state ed erano generate le antiche e le nuove opere d'arte. Attraverso il richiamo alla tradizione artistica e storica, attraverso la creatività dei nostri sarti abbinata a quella degli industriali tessili. Giorgini aveva sostituito all'immagine dell'Italia del folclore e dei buoni sentimenti quella del popolo e delle persone che tutti desideravano essere. Aveva identificato l'Italia come la terra di un popolo brillante e creativo, giovane e saggio insieme sempre, comunque e malgrado tutto, innamorato della bellezza e della vita; padrone del suo passato, ma impegnato soprattutto nella costruzione del futuro; capace di generosità, di allegria. di risorse intellettuali inaspettate e inesauribili. Era riuscito a rendere i modelli italiani la rappresentazione di tutto questo. Più che moda. Giorgini aveva venduto l’unione sorprendente di raffinatezza, intelligenza e gioia di vivere; aveva venduto un modo di essere e uno stile di vita. La novità della forma organizzativa La creatività dei sarti e le azioni promozionali non avrebbero raggiunto da sole obiettivi così alti e così insperati se Giorgini stosso, vero e unico regista della Sala Bianca fino al 1965, non avesse incarnato e dimostrato con la sua personalità, le sue idee, le sue capacità pratiche, di essere l'incarnazione di questo nuovo spirito italiano15. L'organizzazione delle sfilate, prima di tutto, la sua formula innovativa avevano lo scopo di esemplificare concretamente tutti gli argomenti e tutti i pregi inerenti alla moda italiana. Il primo, basilare argomento era la comune matrice della creatività, l'idea che tutti i sarti, ciascuno con il proprio carattere distintivo, traevano alimento dalla stessa sublime tradizione artistica. Simbolo ne era la pedana unica della Sala Bianca. Il primo show del 12 febbraio 1951 aveva riunito su un'unica passerella diverse case di moda che avevano presentato le loro collezioni a un pubblico, esiguo ma selezionato, di compratori. La sfilata comune, che in quell'occasione poteva configurarsi come una necessità richiesta dalle eccezionali circostanze, divenne la formula organizzativa vincente delle manifestazioni fiorentine 16 . Ben conoscendo le esigenze pratiche dei buyers, per i quali ogni minuto era prezioso. Giorgini capì che riunire diverse sartorie in un Unica sede avrebbe risparmiato loro fatica e danaro, disponendoli quanto mai positivamente verso la moda italiana. Se novità, praticità e sveltezza erano caratteristiche della nostra produzione, queste dovevano trovare riscontro anche nel tipo di presentazione. In pochi giorni di soggiorno a Firenze. i buyers potevano passare in rassegna il meglio delle collezioni delle sartorie di diverse città, senza l'onere di spostamenti faticosi; trovavano un’accoglienza calorosa e personalizzata, oltre a feste e intrattenimenti per loro organizzati che rompevano il ritmo pesante del lavoro. Fra una formula innovativa per il mercato mondiale, accolta immediatamente da entusiastici consensi. A Parigi, da cui del resto non sarebbero mai potuti mancare, i compratori erano costretti a serrati tours de force sempre in corsa concitata da un atelier all'altro per seguire tutte le presentazioni, con un dispendio di energie e tempo che solo collezioni di altissimo livello, non sempre possibili, potevano far dimenticare. I.a passerella fiorentina, invece, per il fatto di essere comune, era necessariamente selettiva: soltanto i migliori fra i migliori di quelli che non subivano l’influenza francese erano invitati; e delle loro collezioni soltanto un numero limitato di capi era ammesso al giudizio del pubblico». Le case di alta moda non presentavano più di sessanta modelli; quelle di boutique, molto più numerose, dai quindici ai venti. Ai sarti queste cure sembravano esigue — specialmente in paragone alle sfilate parigine e a quelle che consideravano le loro capacità creative ma per i giornalisti erano ancora troppo alte: essi rilevavano che in una collezione le idee innovatrici erano generalmente poche e che il susseguirsi di molti modelli di una stessa casa rischiava soltanto di ripeterle e renderle noiose Strozzi, sede delle contrattazioni, ogni sartoria 17 . Del resto a Palazzo poteva presentare ai compratori interessati tutte le possibili varianti che desiderava, senza togliere agilità a tutta la manifestazione. La pedana della Sala Bianca, emblema di un'unica moda italiana, non doveva servire, nelle intenzioni di Giorgini, per il lancio di pochi, ma per l’interesse generale di tutte le sartorie, che avrebbero avuto ugualmente spazio, occasione e modo di diversificarsi fra loro e farsi adeguatamente apprezzare 18 . Purtroppo non tutte le case di moda compresero fino in fondo la novità e l’importanza di mantenere unito il fronte unico. La storia della Sala Bianca sarà segnata fin dai primissimi anni da tradimenti e defezioni, fughe e 19 pentimenti . La pedana comune non solo non soddisfaceva il desiderio di protagonismo di alcuni singoli sarti, ma costringeva tutti a un confronto durissimo e crudele, d'altronde fortemente stimolante. Una collezione mediocre non poteva reggere all'elegante atmosfera e agli spazi superbi della Sala Bianca; rischiava inoltre di essere schiacciata - e quindi di non vendere se prima o dopo avevano sfilato modelli riusciti di altri. Essere primi o ultimi comportava svantaggi evidenti, specialmente per gli ultimi, quando i compratori avevano già molto comprato dai concorrenti; buona regola sembrò quindi quella di ruotare gli abbinamenti e l'avvicendarsi delle case a ogni rassegna. Favoriti erano inoltre i sarti che presentavano le loro collezioni secondo un’abile messinscena, come uno spettacolo; in tal senso le più attese erano le uscite di Pucci e della Veneziani, che si diceva, per paradosso, studiasse la regia prima di pensare ai modelli20. I veterani della Sala Bianca ormai sapevano e si aspettavano che dopo la prima uscita necessariamente d'effetto, dopo i tailleur e i mantelli, la sarta milanese avrebbe sorpreso con "qualcosa" a metà sfilata, per poi salire in un crescendo verso un finale vertiginoso. Tenere desta l'attenzione dei compratori che dovevano vedere migliaia di modelli era un'impresa non semplice; la formula della presentazione collettiva comportava necessariamente che la pedana della Sala Bianca si tramutasse in una scena teatrale. Come a teatro, ognuno aveva il suo posto assegnato, nel settore specifico a lui destinato. Il pubblico generico, i curiosi e le clienti private dei sarti non erano assolutamente ammessi. A differenza delle sfilate di Parigi, notava Dino Buzzati, inviato del "Corriere della Sera" nella rassegna del luglio 1963, qui non si fa ressa e non si corre, "qui si celebra un rito"21. Gli attori di questa sacra rappresentazione, i couturiers, venivano a volte acclamati a scena aperta, con ovazioni che si manifestavano nel ritmato batter di piedi sulle pedane di legno finché il sarto, talvolta quasi a braccia, era portato sulla pedana a ricevere i meritati applausi22. Anche l'organizzazione globale della manifestazione, che durava in media quattro giorni e si apriva con le sfilate della modisteria italiana23, era sempre orchestrata in un crescendo, come uno spettacolo nel suo complesso. Ogni particolare e ogni momento era curato perché tutto scorresse leggermente sui binari della raffinatezza, della classe, dell'efficienza. Nessuna rassegna poteva permettersi di essere una ripetizione della precedente; ognuna doveva invece stupire o comunque far parlare per personaggi, iniziative, idee inaspettate. I compratori dovevano sempre scoprire novità da acquistare e i giornalisti dovevano poter scrivere: "Parigi lancia le linee, Firenze le idee"24. La presentazione di nuove giovani firme era un tema obbligato e uno dei fattori che creavano maggiore attesa. Il più illustre sarto scoperto da Giorgini 25 . Molte sartorie, in alcuni casi è sicuramente. Capucci, ma non certo l'unico già avviate, devono il loro salto decisivo di qualità, la conquista di nuovi mercati, al fatto di essere state invitate a sfilare in Sala Bianca. Sarli, Enzo, Centinaro. Baratta, De Luca, De Barentzen, Mingolini-Guggenheim, Galitzine, Lancetti, Forquet, Balestra, Valentino, Mila Schettino altri ancora ebbero da 26 Firenze il loro decisivo lancio internazionale . Le nuove firme venivano presentate a volte con formule particolari, con formule particolari, in un abbinamento giovani-veterani della Sala Bianca, oppure con una giornata a loro espressamente dedicata. Tra le molteplici iniziative che venivano inserite nel calendario del fashion show, una cura particolare era dedicata a quelle che proponevano agli intervenuti settori di produzione italiana che essi non conoscevano ancora. Molti prodotti pubblicizzati in questo modo divennero così importanti da richiedere dopo pochi anni manifestazioni e compratori specializzati, con un proprio calendario e una propria sede per le presentazioni. E’ il caso dei tessuti, della pelletteria, della calzatura, della maglieria, della moda maschile e di quella infantile. Dalla pedana della Sala Bianca (fecero il loro ingresso sui mercati internazionali i tessuti e la moda maschile nel 1952, la moda infantile nel 1954 insieme ai modelli di Antonelli Sport; la pellicceria nel 1955; la confezione in serie nel 1956; la moda per teenagers nel 1962 con le creazioni romantiche di Wanda Roveda, la biancheria femminile del 1964 disegnata da Irene Galitzine. Insieme alle linee nuove, come la linea pannocchia della Marucelli, quella a palloncino di Simonetta, o di nuove formule di capi eleganti, come il pigiama-palazzo della Galitzine, la presentazione continua di nuovi settori produttivi serviva a rafforzare l’idea della moda italiana come perpetua sorgente creativa. In contemporanea alle sfilate di Palazzo Pitti veniva allestita nei saloni del GrandHotel di Firenze una esposizione della nostra migliore produzione di accessori, bijoux, scarpe, borse. Perchè la mostra non rimanesse un’iniziativa di secondaria importanza, in margine alle manifestazioni, la sua inaugurazione era un avvenimento previsto dal programma ufficiale, con un tocco di mondanità. In pratica era una tappa obbligata per i compratori e per la stampa, guidati in tal modo verso piacevoli "scoperte", che si traducevano in acquisti significativi o articoli sui giornali di tutto il mondo. La genialità di queste idee, tese a estendere a macchia d'olio il prestigio che l'immagine via via più definita della moda italiana si era conquistato, può essere verifìcata dalle cifre delle nostre esportazioni. Esse si impennarono vertiginosamente nel giro ili pochissimi anni, registrando fra le voci anche prodotti che prima non avevano avuto alcun peso significativo, come i bottoni o i guanti 27 . Per il settore specifico della moda, la presentazione simultanea di tutti i componenti dell'abbigliamento incrementava inoltre le vendite globali e faceva risparmiare tempo ai compratori, ma era contemporaneamente un modo per i produttori di tenersi costantemente aggiornati e in linea con le ultime tendenze. La compresenza garantiva un look italiano unitario e armonico. Ma il lancio più importante, anche nelle intenzioni di Giorgini che considerava l’industria tessile come lo sponsor naturale per le manifestazioni di moda, fu ovviamente quello dei tessuti italiani. Essi furono oggetto di iniziative promozionali dalla formula originale, che prevedeva l’abbinamento di alcune case di moda con nomi importanti dell'industria tessile: i più noti setifici comaschi, la Rivetti Lini e Lane, i cotonifici Val di Susa e Legler, la Rhodiatoce e altri. Dal 1952 al 1954 ogni manifestazione ebbe come tema specifico il lancio di un particolare genere di tessuto italiano. 28 C’era infine una categoria di imprenditori importante, oltre agli industriali tessili, che Giorgini voleva interessare a ciò che succedeva nella Sala Bianca: i confezionisti. Insieme agli industriali tessili, essi erano costantemente invitati alle sfilate fiorentine. Anche se la carta su cui aveva puntato all’inizio per la creazione dell’immagine era l'alta moda, Giorgini aveva sempre saputo che il futuro era della confezione in serie. L’alta moda doveva solo aprire la strada, ma aveva chiaramente i giorni contati. Il miglioramento della qualità del design, del taglio e dei materiali usati nella confezione era vitale per lo sviluppo di questo settore industriale e, di conseguenza, per quello del tessile, che non viveva certo sulle vendite effettuate alle grandi sartorie. La confezione era chiaramente il prodotto-moda che bisognava potenziare e qualificare battendo sul tempo i francesi29. Da quando Giorgini nel 1965, stanco e amareggiato da molti contrasti, abbandonò la direzione delle sfilate fiorentine -che continuarono poi fino al 1982 — le nuove tendenze della produzione erano già chiaramente delineate. L’atmosfera magica della Sala Bianca venne da allora gradatamente offuscandosi. Non cosi l’immagine della"grande moda italiana da lui creata, che con-tinuò a percorrere la strada del successo forte e sicura, senza più bisogno di un padre o di un tutore. I,e sfilate assunsero nuovi ritmi, nuove formule; i prodotti nuovi nomi: sì chiamarono alta moda pronta e pret-aporter. Su tutti e per tutti coloro che avevano a che fare con la moda. da produttori, compratori. spettatori, la Sala Bianca rimase comunque un mito: sfilare sulla sua pedana un premio e una promozione. Il suo nome rimane giustamente legato a quello dell'inventore della moda italiana e del made in Italy, vero protagonista dei primi eroici anni: Giovanni Battista Giorgini. Egli fu il centro vitale, il polo catalizzatore di innumerevoli forze e fermenti nuovi, che seppe riconoscere e indirizzare in un unico flusso verso un'identica meta. La sua genialità si manifestò nel sapere dare a essi un volto e un nome, facendo delle manifestazioni fiorentine un grande evento creativo e della Sala Bianca l'emblema di uno stile. -NOTEDesidero ringraziare per la sua gentilezza e aiuto prezioso Matilde Giorgini, che ha messo a disposizione l’archivio della famiglia. Per una storia dettagliata della Sala Bianca, v. Guido Vergani in La Sala Bianca, Nascita della Moda Italiana, Milano, 1992. Per un’analisi delle caratteristiche della moda italiana, v. Aurora Fiorentini, Stefania Ricci, Le carte vincenti della moda italiana, nella stessa pubblicazione. 1. La prima del 12-14 febbraio 1951 si tenne in casa Giorgini; la seconda, del luglio 1951, e la terza del gennaio successivo, al Grand Hotel di Firenze. 2. Erano i compratori di B. Altman & Co. , Bergdorf Goodman, Leto Cohn Lo Balbo di New York; I. Magnin di San Francisco ed Henry Morgan di Montreal. 3. Le case di moda che avevano allora aderito all’iniziativa di Giorgini erano: Carosa, sorelle Fontana, Schuberth, Simonetta, Fagiani, Noberasco, Marucelli, Veneziani, Vann, per l’alta moda; Mirsa, Pucci, Bertoli, la Tessitrice dell’Isola per gli abiti di boutique. 4. Il 50% in meno dei modelli francesi. Elisa Massai, Si sviluppa su basi sempre più solide l’esportazione dei modelli italiani oltre oceano, in “24 Ore”, il 29 luglio 1952. 5. Era la condizione primaria sempre richiesta da Giorgini e sempre sottolineata con ogni mezzo e in ogni occasione. 6. Per esempio: Carmel Snow, Italy Artistry Lends Enchantment To Fashion World, in “New York Journal American” del 27 agosto 1951. 7. È scritto nel taccuino distribuito ai compratori nel febbraio 1951 a proposito dell’attività dei nostri sarti: “…The most modern application of heritage of art which has found its zenith in the design, cut practicability of Italian High Fashion” 8. Hannah Troy, per esempio, titolare dell’omonima ditta, non mancò nessuna delle manifestazioni fiorentine. 9. Giancarlo Fusco, Dietro tante donne c’è quest’uomo, in “L’Europeo, 5 febbraio 1953. 10. In quest’anno Giorgini realizzò un’idea che aveva già proposto a Nagel, direttore del Brooklin Museum nel settembre 1950, quando cercava di organizzare a New York una presentazione della moda italiana. 11. La più brillante campagna promozionale ideata in tal senso fu senza dubbio la crociera delle otto contesse del 1956, durante la quale otto nobildonne presentarono in programmi televisivi americani i nostri modelli. Il viaggio fu seguito giorno per giorno dalla stampa internazionale. 12. Da un articolo di Jacques Heim, presidente della camera sindacale della moda parigina, pubblicata da “Enterprise” 10 ottobre 1959. 13. Nel New York Times del 4 gennaio 1956 si legge: “A product of Italy is a product of quality!” E’ ancora: “The fine Italian hands which made Italy famous for its masterpieces of art are still busy at work”. 14. Così li definisce Fey Hammond, giornalista del “Los Angeles Times” in una lettera a Giorgini del 7 agosto 1957; l’aveva sostenuto Tex tiles unsurpassed, Los Angeles Times, 4 agosto 1953. Dello stesso avviso era anche Carmen Snow: Italian Designers Grand Entrance the Smart Set, in “New York Journal – America”, 26 agosto 1951 e Rich Materials Enhance Styles, in New York Journal – America, 16 febbraio 1953. 15. Lo riconosce “Women’s Wear Daily” del 30 giugno 1958. 16. La sua importanza è sottolineata nella relazione sull’VIII presentazione della moda italiana del luglio 1954 redatta a cura del centro di Firenze per la Moda Italiana. L’organizzazione fiorentina era riconosciuta come la migliore nel mondo anche dal rappresentante della Camera Sindacale della Moda francese, Gorin, presente allo show del luglio 1960. 17. Marina Cecchi, Si è ispirata al passato la moda presentata a Palazzo Pitti, in “Giornale del Mattino”, 26 luglio 1964. 18. Il concetto è sottolineato da Giorgini in tutti i suoi scritti pubblicati su periodici: Unità di intenti per la Moda, in “ Costume” Agosto 1957; I salon di Parigi ebbero paura quando a Pitti cominciò a sfilare la moda, in “La Nazione” numero speciale del centenario, 19 luglio 1959; le funzioni di Palazzo Pitti sul piano dell’economia nazionale, in “Luci Toscane” settembre 1959; è meglio chiarire certe cose, in “ Rotosei” 30 luglio 1962 19. Le prime defezioni sono del 1952; le più clamorose furono quelle di Cappucci del 1961, di Simonetta e Fagiani nel 1962. 20. Anna Pressi, Arie di Firenze, in “Bellezza”, giugno 1964; Irene Brin, L’invasione dei Beatles, in “ Corriere di Informazione”, 22 gennaio 1964. 21. Dino Buzzati, Le eleganze dell’anno venturo si stanno rivelando a Firenze, in “ Corriere della Sera” 15 luglio 1963. Giorgini stesso afferma più volte di aver voluto creare questa atmosfera descritta dai giornalisti: “We came here for the fabrics, the colours, the atmospheres…it is something you get at the Pitti Palace and nowhere else”: Jean Soward, Standing room only in Florence, in “News Chronicle”, 28 gennaio 1959. 22. Irene Brin, Il taccuino, in “Settimana Incom Illustrata”, 2 febbraio 1961. 23. La ressegan della modisteria italiana apriva le sfilate dal gennaio del 1953. 24. Basil Wardman, The maker- up, settembre 1960. 25. Capucci fu presentato per la prima volta ai compratori da Giorgini durante il ballo in casa sua del luglio 1951. 26. Furono presentati nella Sala Bianca: Sarli nel gennaio 1956; Enzo e Centinaro nel gennaio 1957; Baratta e De Luca nel luglio 1958; De Barentzen, MingoliniGuggenheim, Galitzine nel luglio 1960; Lancetti nel luglio 1961; Forquet nel gennaio 1962; Balestra e Valentino nel 1962; Mila Schon nel 1965. 27. Elisa Massai è sempre attenta nel riportare le cifre delle nostre esportazioni; ad esempio Elisa V. Massai, Giovan Battista Giorgini, in “Costume”, gennaio 1958 in cui riporta le tabelle del valore delle nostre esportazioni per tessuti e articoli da abbigliamento. 28. Furono promossi i cotoni italiani (luglio 1952); i tessuti artificiali (luglio 1952 e luglio 1954); le sete comasche (gennaio 1954); i velluti (1954). 29. Queste idee sono già chiare nella mente di Giorgini sin dalle prime sfilate; le manifesta organicamente per bocca dell’addetto dell’ufficio commerciale del Consolato a New York, Marcello Egidi, in una relazione dell’ottobre 1951. Sono compresse dalla stampa più attenta: Elisa Massai, Alta moda: una risorsa, in “Il sole”, 31 gennaio 1954. La promozione del ready-to-wear del gennaio 1956 in Sala Bianca (Roslein, Conber, Karmatex, Saba) intendeva essere anche promozione dei tessuti. Sull’importanza dell’accordo industria tessile, sartoria, confezione, v. Vera Vaerini, La moda italiana respinge l’aiuto del governo, in “La patria” 2 marzo 1953, e la relazione del centro di Firenze per la Moda Italiana del gennaio 1960.