Sentenza 9 marzo 2007, Cass. Pen. Sez. Unite, n. 10251
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Sentenza 9 marzo 2007, Cass. Pen. Sez. Unite, n. 10251
Sentenza 9 marzo 2007, Cass. Pen. Sez. Unite, n. 10251 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LUPO Ernesto - Presidente Dott. PETTI Ciro - Consigliere Dott. MARINI Luigi - Consigliere Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere Dott. MULLIRI Guicla I. - Consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da: Procuratore generale presso la corte d'appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano; difensore dell'imputato R.T., nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della corte d'appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, del 3 aprile del 2008; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. PETTI Ciro; sentito il procuratore generale nella persona del Dott. IZZO Gioacchino, il quale ha concluso per l'annullamento con rinvio della decisione impugnata; udito il difensore avv. CAMPANELLI Giuseppe, quale sostituto processuale dell'avv. CANESTRINI Alessandro, il quale ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi; letti il ricorso e la sentenza denunciata osserva quanto segue. Fatto Diritto P.Q.M. Svolgimento del processo Con sentenza del 3 aprile del 2008, la corte d'appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, confermava quella resa dal tribunale della medesima città, con cui R.T. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, quale responsabile dei reati di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 600 ter c.p., comma 3, per avere memorizzato nel proprio computer n. 6 filmati nonchè immagini pedopornografiche, create mediante lo sfruttamento sessuale di minori e per averli resi disponibili per l'uso di terzi tramite internet. Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nelle sentenze dei giudici del merito, nel 2001, a seguito di esplicita delega della Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino, B. P., in servizio presso la Polizia Postale del Piemonte, inseritosi in una rete internazionale chiamata (OMISSIS), aveva trovato un utente, il quale reclamizzava il suo server mediante l'offerta di immagini vietate di meravigliose giovani ragazzine in atteggiamenti sessuali. Il nickname di questo utente era " (OMISSIS)" soprannome che evocava un contenuto illegale in quanto le tre "X" nel mondo della Chat lines richiamano immagini vietate. Il B. aveva avuto la possibilità di accertare personalmente che alcune delle immagini offerte avevano un contenuto pedopornograrico. L'utente anzidetto venne identificato nella persona dell'attuale ricorrente. Effettuate alcune perquisizioni domiciliari a carico del R., nell'abitazione della di lui madre, gli inquirenti rinvennero e sequestarono un computer, utilizzato dal prevenuto, il quale risultò contenere immagini pedopornografiche. Al dibattimento, a seguito di eccezione della difesa, - il verbale di sequestro venne dichiarato nullo per il mancato uso della lingua tedesca scelta dall'indagato. A titolo cautelativo il tribunale dispose nuovamente il sequestro dei medesimi oggetti prelevati dalla polizia allo scopo di espletare una perizia sul contenuto dei CD e dell'hard disk. Il perito accertò che sul computer usato dall'imputato vi erano circa 11000 files dei quali 100 o 200 raffiguravano minorenni in atteggiamenti sessuali. Questi files erano ordinati alfabeticamente e salvati con i nomi che indicavano l'età delle persone ed erano stati messi a disposizione di altri utenti. Il perito precisò che l'imputato aveva creato tale indice affinchè gli altri utenti potessero scaricare dal PC analizzato soltanto i files ai quali erano interessati. Sulla base della testimonianza del B., delle risultanze della perizia e delle immagini scaricate dal consulente del pubblico ministero, il tribunale ha ritenuto provata la responsabilità dell'indagato per il delitto di cui all'art. 600 ter c.p., per avere consapevolmente messo a disposizione di altri utenti immagini pornografiche relative a minori. La corte distrettuale, adita su impugnazione del prevenuto, ha confermato la decisione impugnata. Relativamente all'acquisizione delle prove ha osservato che la dichiarazione di invalidità della relazione del consulente del pubblico ministero per la mancata redazione nella lingua scelta dall'imputato, non impediva l'utilizzazione delle immagini recuperate dal computer del prevenuto, trattandosi di Sentenza 9 marzo 2007, Cass. Pen. Sez. Unite, n. 10251 operazione materiale confermata sotto il vincolo del giuramento dal consulente. Ricorrono per cassazione sia il procuratore generale presso la corte d'appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, che il difensore dell'imputato. Il primo, con l'unico articolato motivo di gravame che in realtà contiene diverse censure, deduce anzitutto che il prevenuto era stato condannato per una condotta omissiva mentre gli era stata contestata una condotta commissiva. Sostiene poi che mancherebbe la prova del dolo di un reato commissivo e che il giudice di primo grado aveva escluso l'applicabilità dell'art. 600 quater c.p., la cui condotta era stata fatta rientrare tra quelle previste dall'art. 600 ter c.p. ed aveva omesso di considerare che alcuni fatti si erano già prescritti alla data della decisione, trattandosi di attività criminosa che sarebbe stata commessa a partire dal (OMISSIS). Deduce altresì la nullità della perizia nella parte in cui il perito ha riferito sulla natura pedopornografica delle immagini, in quanto non aveva la competenza tecnica per stabilire se le persone raffigurate fossero effettivamente minori degli anni 18. Le stesse testimonianze e la consulenza del T., il cui contenuto si riferiva a conoscenze acquisite tra il primo ed il secondo sequestro, dovevano essere considerate mille perchè la nullità del sequestro per il mancato uso della lingua tedesca travolgeva le stesse operazioni compiute dagli inquirenti. Quindi il consulente del pubblico ministero aveva esaminato materiale non legalmente acquisito. Illogicità e contraddittoria della motivazione sulla consapevolezza di detenere materiale pedopornografico. Omessa motivazione sulla richiesta avanzata alla corte d'appello in sede d'udienza di disporre una perizia sul materiale sequestrato. Il secondo deduce: la nullità della sentenza per la violazione del diritto di difesa, in quanto non si è consentito al consulente di parte di visionare ed estrarre copia del materiale in sequestro con riferimento al disco fisso del computer, previa istruzione diretta ad evitare la dispersione dei dati; l'inutilizzabilità delle dichiarazioni dei testi B. e T. nonchè la nullità della perizia I.: relativamente al teste B. assume che non erano stati acquisiti i decreti autorizzativi dell'attività di contrasto di cui alla L. n. 269 del 1998, art. 14; in ordine alla perizia evidenzia che il perito non è stato in grado di fare funzionare il computer, ma ha ricostruito il suo contenuto a posteriori con la conseguente impossibilità di determinare il suo stato originario e verificare l'effettivo contenuto del cestino; inoltre la consulenza disposta dal pubblico ministero è stata dichiarata nulla per il mancato rispetto della normativa che regola l'uso della lingua ed il suo contenuto è stato illegittimamente recuperato tramite la testimonianza del consulente; violazione della norma incriminatrice per l'insussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi del reato contestato, in quanto il prevenuto si era limitato a mettere a disposizione un sistema che è stato utilizzato anche per fini illeciti. Motivi della decisione Entrambe le impugnazioni sono infondate. Preliminarmente va esaminata l'eccezione d'inutilizzabilità del materiale sequestrato dalla polizia per la violazione del D.P.R. n. 574 del 1988, artt. 14 e 18, formulata dal Procuratore generale nonchè quella dedotta dal difensore, per la violazione delle medesime norme, con riferimento alla testimonianza del consulente del pubblico ministero. Secondo entrambi i ricorrenti le valutazioni del consulente del pubblico ministero effettuate sul materiale acquisito dalla polizia erano inutilizzabili. Inoltre, avendo i giudici dichiarato la nullità della relazione del consulente del pubblico ministero per il mancato uso della lingua tedesca, non avrebbero potuto recuperare tale relazione mediante l'escussione del consulente ancorchè ritualmente chiesta dal pubblico ministero. Le eccezioni vanno disattese. Giova premettere che il pubblico ministero, avendo il compito di vigilare sull'esatta osservanza della legge ai sensi dell'art. 73, comma 1 Ordinamento giudiziario(Cass 18 agosto 1998, La Torre), ha certamente interesse ad impugnare anche una sentenza di condanna per contrastare l'ingiustizia del provvedimento, sia nell'interesse dello Stato sia a garanzia della persona dell'imputato o della parte offesa, a condizione però che l'impugnazione sia diretta a raggiungere un risultato concreto eventualmente anche a favore dell'imputato. Nella fattispecie il procuratore generale assume in sostanza che la sentenza sarebbe ingiusta, sia perchè il reato contestato non è configurabile, sia perchè le prove utilizzate dai giudici del merito non erano utilizzabili per varie ragioni; sia infine perchè alcuni fatti si sarebbero prescritti già al momento della decisione. Ciò premesso, per quanto riguarda l'eccezione relativa alla violazione del D.P.R. n. 574 del 1988, art. 14 e seg., come modificati dal D.Lgs. n. 283 del 2001, si osserva che il cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta, ha senza dubbio il diritto di Sentenza 9 marzo 2007, Cass. Pen. Sez. Unite, n. 10251 essere interrogato o esaminato nella lingua madre e di ottenere nella medesima lingua la traduzione degli atti del processo a partire però dal momento in cui, all'uopo interpellato, manifesti oralmente o per iscritto la propria scelta. Nella fattispecie il primo atto compiuto nei confronti dell'imputato è costituito dal sequestro operato dalla polizia giudiziaria. Non essendo stato allegato al fascicolo il relativo verbale non è possibile stabilire se in quell'occasione l'imputato sia stato o no interpellato sull'uso della lingua ed abbia formulato la propria scelta proprio nell'immediatezza del sequestro. Il Procuratore generale, che pure ha fondato la propria eccezione sull'invalidità di quell'atto, non si è premurato di allegarlo al ricorso, posto che non era inserito nel fascicolo per il dibattimento. Inoltre si deve sottolineare che nonostante siano state eccepite invalidità processuali, gli atti del fascicolo non sono stati tradotti in lingua italiana e segnatamente non sono stati tradotti in lingua italiana i documenti relativi alle dedotte invalidità. Invece, allorchè il processo esce dalla sede territoriale ove vige il bilinguismo, deve essere integralmente tradotto in lingua italiana (cfr Cass n. 3828 del 2002). Questa corte ha dovuto richiedere ex officio la traduzione della sentenza di primo grado e l'ordinanza del tribunale oggetto dell'eccezione del difensore. Non ha ritenuto opportuno chiedere anche l'acquisizione del verbale di sequestro redatto dalla polizia perchè quel verbale è stato comunque annullato dal tribunale, il quale ha autonomamente sequestrato gli stessi oggetti già requisiti dalla polizia giudiziaria. D'altra parte era onere dei ricorrenti indicare l'atto sul quale si reggevano le eccezioni di inutilizzabilità ed allegarlo tradotto in lingua italiana al ricorso se non inserito nel fascicolo. Supponendo che l'opzione per la lingua tedesca sia stata espressa dal prevenuto già al momento del sequestro, si deve comunque rilevare che l'invalidità del sequestro effettuato dalla polizia (rectius del verbale di sequestro redatto dalla polizia in una lingua diversa da quella scelta dall'indagato) nonchè l'invalidità della relazione scritta del consulente nominato dal pubblico ministero, dichiarate dal tribunale, non impedivano l'esame in dibattimento, nel contraddittorio delle parti e nella lingua scelta dall'indagato, del consulente del pubblico ministero su quanto personalmente constatato esaminando il computer, perchè nella fattispecie non era illegittima l'apprensione materiale del computer da parte della polizia ma solo l'uso nei documenti formati dalla polizia o dal consulente di una lingua diversa da quella scelta dall'indagato. La materiale apprensione del computer per essere comprensibile all'indagato non richiedeva alcuna traduzione. In definitiva il mancato uso della lingua scelta dall'imputato precludeva l'utilizzazione dei documenti formati in una lingua diversa da quella scelta, ma non impediva al giudice di esaminare, su richiesta di parte, il consulente dello stesso pubblico ministero su quanto personalmente constatato ispezionando il computer. In ogni caso va rilevato che la prova della responsabilità del prevenuto si fonda essenzialmente sulla perizia disposta dal tribunale sul materiale da esso stesso sequestrato e sulla testimonianza resa in dibattimento dall'agente postale che aveva compiuto le indagini e solo marginalmente sulle dichiarazioni del consulente del pubblico ministero, le quali, come risulta dalla sentenza di primo grado, sono state utilizzate a conferma della testimonianza del B. e dell'accertamento peritale. Per quanto concerne le altre eccezioni sollevate dal procuratore generale si osserva che la responsabilità dell'imputato non è stata affermata per una condotta omissiva, ma per una condotta attiva nei termini in cui era stata contestata ossia per avere memorizzato nel proprio computer immagini pedopornografiche e per averle rese disponibili via internet a tutti gli utenti. La frase della motivazione "non poteva ignorare che mettendo in tal guisa il computer a disposizione di un numero indeterminato di utenti aventi libero accesso alle cartelle" richiamata dal procuratore generale per sostenere la propria tesi, è stata utilizzata dalla corte, non per affermare la responsabilità per una condotta omissiva, ma per fornire la riprova del dolo commissivo ossia la consapevolezza da parte dell'imputato di avere divulgato immagini pedopornografiche. Per quanto concerne la dedotta prescrizione dei fatti più risalenti nel tempo si osserva che, anche se nella contestazione si è fatto riferimento alla continuazione, ed alla pluralità di azioni, l'affermazione di responsabilità è stata comunque pronunciata per un reato unico, senza alcun aumento di pena per la contestata continuazione. In ogni caso, quand'anche fosse stata ritenuta la contestata continuazione, non si sarebbe ugualmente verificata la prescrizione per i fatti più risalenti nel tempo, in quanto nella fattispecie, trattandosi di fatti commessi prima della novella n. 251 del 2005 per i quali la sentenza di primo grado è stata pronunciata il 10 ottobre del 2005 ossia prima dell'entrata in vigore della novella, era applicabile la disciplina previgente in base alla quale per il reato continuato la prescrizione decorreva dalla cessazione della continuazione. Invero, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa corte (cfr: Cass nn. 3709 del 2009, 40796; 38836; 38696; 31702; 1574 del 2008), che ormai può considerarsi consolidata, a seguito della sentenza della corte costituzionale n. 393 del 2006, che ha reso applicabile ai processi in corso la L. n. 251 del Sentenza 9 marzo 2007, Cass. Pen. Sez. Unite, n. 10251 2005, se più favorevole, a condizione che non sia stata pronunciata sentenza di primo grado, il momento a partire dal quale la nuova disciplina non è più applicabile è costituito dalla lettura del dispositivo e ciò perchè è con la pronuncia della sentenza, coincidente con la lettura del dispositivo, che si conclude il giudizio di primo grado, in quanto è in tale il momento che si accerta la responsabilità o l'innocenza del prevenuto, ed è a partire da tale momento che la statuizione non può più essere modificata dallo stesso giudice che l'ha pronunciata neppure se nelle more tra la lettura del dispositivo e la pubblicazione della motivazione dovessero intervenire norme più favorevoli al reo. Per quanto concerne la dedotta nullità della perizia perchè il perito non aveva la competenza tecnica per stabilire che trattavasi effettivamente di minori, si rileva che le incertezze potevano sorgere per soggetti non ancora maggiorenni ma prossimi al compimento della maggiore età, ma non per soggetti impuberi. I giudici del merito hanno accertato e ritenuto, richiamando anche le foto acquisite agli atti e le dichiarazioni del teste B., che alcune immagini si riferivano inequivocabilmente a soggetti minori anche impuberi. L'istanza avanzata in appello dal P.G., diretta ad ottenere una nuova perizia, è stata, sia pure implicitamente, respinta dalla corte territoriale allorchè si è dato adeguatamente conto della completezza del materiale probatorio. D'altra parte, sia in primo grado che in appello, dopo che le parti hanno consumato il loro diritto alla prova, la discussione può essere interrotta e l'istruzione probatoria riaperta solo se la nuova prova abbia un valore dimostrativo determinante. Nella fattispecie era stata già disposta una perizia che aveva confermato quanto già accertato dagli investigatori, per cui non appariva determinante e neppure genericamente utile l'espletamento di un nuovo accertamento peritale. Anche tutte le censure formulate dal difensore vanno respinte. Con riferimento alla prima, si osserva che a norma dell'art. 466 c.p.p., durante i termini per comparire, le parti ed i loro difensori hanno la facoltà di prendere visione, nel luogo in cui si trovano, delle cose sequestrate; di esaminare in cancelleria gli atti ed i documenti raccolti nel fascicolo per il dibattimento e di estrarne copia. La norma distingue l'esame del fascicolo del dibattimento, che va effettuato in cancelleria e dal quale le parti possono estrarre le copie che ritengono utili, dalla visione delle cose sequestrate. La custodia delle cose sequestrate è affidata al cancelliere o al segretario del pubblico ministero. Esse quindi vanno ispezionate alla presenza del cancelliere o del segretario previa autorizzazione del giudice. Questi deve intervenire personalmente quando l'esame presuppone la rimozione e la riapposizione dei sigilli (art. 261). Se però l'esame dell'oggetto sequestrato implichi accertamenti ed interventi di persone qualificate e l'utilizzo di appositi strumenti, come nella fattispecie in cui si è chiesto di esaminare l'hard - disk del computer e di estrarne copia, si è fuori della semplice visione della cosa sequestrata che può essere effettuata fuori del contraddittorio alla sola presenza del custode, e si versa in un'attività che deve essere necessariamente espletata nel dibattimento nel contraddittorio delle parti e sotto la direzione del giudice. Orbene, il tribunale non ha negato al difensore il diritto di esaminare l'hard disk del computer, ma ha solo puntualizzato che quell'esame doveva essere effettuato in dibattimento nel contraddittorio delle parti. Sul computer sequestrato il tribunale ha poi disposto una perizia alla quale le parti hanno partecipato o avuto la possibilità di partecipare e di esaminare l'hard - disk del computer. Quindi non si è avuta alcuna violazione del diritto di difesa perchè all'imputato nel dibattimento è stata offerta la possibilità di esaminare il computer. Del pari infondata è l'eccezione d'inutilizzabilità della testimonianza del B. per la mancata allegazione dei decreti con cui sarebbe stata autorizzata l'attività di contrasto di cui alla L. n. 269 del 1998, art. 14. Senza dubbio, se nei confronti di un determinato imputato si produce come elemento di prova il risultato dell'attività di contrasto di cui alla citata norma, il pubblico ministero deve allegare i decreti che hanno autorizzato quell'attività, poichè il difensore ha il diritto di controllare se la prova addotta dall'accusa sia stata acquisita legalmente. Nella fattispecie però il difensore parte da premesse fattuali errate e giunge perciò a conclusioni che non possono essere recepite. Invero, parte dalla premessa che quella svolta dal B. fosse un'attività di contrasto rientrante tra quelle che richiedono esplicita autorizzazione. Invece trattasi di una normale attività di polizia giudiziaria che è stata esercitata dal teste su delega della Procura a norma del comma terzo dell'art. 348 c.p.p.. L'attività compiuta dal B. non è pertanto riconducibile a nessuna delle due fattispecie previste dalla norma citata dal ricorrente (L. n. 269 del 1998, art. 14) la quale, al comma 1, si riferisce all'acquisto simulato, scambio di materiale pedopornografico, attività d'intermediazione, in una parola a quella particolare attività di provocazione prevista dal legislatore per meglio contrastare quella fenomenologia delinquenziale; mentre, al comma secondo, si riferisce all'eccezionale attività di p.g. demandata ad uno speciale organismo istituito presso il Ministero dell'interno, al fine di contrastare, anche con iniziative strumentali, la stessa tipologia criminosa. Sentenza 9 marzo 2007, Cass. Pen. Sez. Unite, n. 10251 Nella fattispecie, l'attività d'indagine era consistita nell'accesso a files condivisi da fruitori di un determinato programma, e non già in una di quelle specifiche attività strumentali di provocazione e di intromissione nella sfera del traffico illecito previste dal legislatore, di guisa che è da ritenere ultroneo ed inconferente ogni richiamo alla disciplina anzidetta. Non si trattava, neppure, di quella specifica attività prevista dal comma secondo per la quale occorre la richiesta motivata dell'autorità giudiziaria. Si è trattato, in definitiva, di una particolare metodologia di approccio, che, attraverso un determinato programma, da chiunque utilizzabile mediante un data parola chiave, da accesso a particolari files di condivisione, cioè a files nei quali ciascun utente mette liberamente a disposizione della rete particolari prodotti (in questo caso materiale pedopornografico, ma può anche trattarsi di musica, films e quant'altro), nel quale ognuno può attingere e, a sua volta, immettere, anche se non necessariamente, identico prodotto a sua disposizione. Non vi è, quindi, alcuna particolare attività stimolatrice o provocatoria, che si sostanzi nella strumentale intrusione nel mondo dell'illecito al fine di agevolare la scoperta dei suoi protagonisti, ma, semplicemente, dell'accesso ad un contesto telematico a disposizione di tutti, o meglio di tutti coloro che si avvalgono di un determinato programma. L'utente, immettendo nei files immagini che chiunque può liberamente scaricare nel suo computer nella prospettiva di poter anch'egli disporre, alla bisogna, di materiale siffatto, pone in essere una sorta di offerta al pubblico, per la quale sarebbe assai singolare - se non addirittura paradossale - che l'adesione consentita a chicchessia debba intendersi inibita o subordinata ad apposita autorizzazione proprio ad un agente di polizia giudiziaria, e cioè a chi non agisce sotto l'impulso di insane voglie, ma al solo fine di arginare, nell'interesse pubblico, la diffusione illecita di turpi traffici. Nei termini anzidetti questa corte si è già pronunciata avendo statuito che non costituisce "attività di contrasto" soggetta ad autorizzazione dell'autorità giudiziaria, ai sensi della L. 3 agosto 1998, n. 269, art. 14 (recante norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori quali nuove forme di riduzione in schiavitù), quella che consista soltanto nell'accesso a fini investigativi, da parte di personale di polizia giudiziaria, mediante uso di una determinata parola chiave, a "files" condivisi, senza che tale attività sia accompagnata da quella di acquisto simulato o di intermediazione nell'acquisto dei prodotti esistenti in detti "files". (Cass n. 21778 del 2004). In ogni caso, quand'anche l'attività investigativa svolta nel processo radicato a (OMISSIS), dal quale questo è stato stralciato, fosse stata riconducibile a quella di cui all'art. 14 citato, non sarebbe stata necessaria l'acquisizione in questo processo dei decreti che avevano autorizzato quell'attività, in quanto essa in questo processo è stata utilizzata non come elemento di prova a carico dell'imputato, ma solo ai fini dell'acquisizione della notizia criminis che ha giustificato il sequestro. La prova in questo processo è costituita dal sequestro del computer e dagli accertamenti peritali sullo stesso compiuti. Per quanto concerne la dedotta nullità della perizia perchè il perito non sarebbe riuscito a fare funzionare il computer e segnatamente ad accedere al cestino, si osserva che, come risulta dalla sentenza di primo grado, è vero che il cestino non si apriva più direttamente a causa dei problemi del sistema di avviamento di Windows, ma il perito è riuscito ugualmente ad aprirlo via Explorer ed ha potuto visionare sia pure brevemente i files in esso contenuti accertando che v'erano comunque immagini di contenuto pedopornografico. In ogni caso va sottolineato che il perito, come risulta dalla sentenza di primo grado, ha comunque potuto rispondere ai quesiti che gli erano stati posti. Passando infine ad esaminare la censura con cui si contesta, sia da parte del procuratore generale che del difensore, la configurabilità del reato ritenuto in sentenza ossia l'ipotesi di cui all'art. 600 ter c.p., comma 3, si osserva che la norma anzidetta punisce la distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, del materiale pornografico di cui al comma 1 (e cioè di materiale pornografico minorile). Il dettato normativo richiede, per tutte le ipotesi enunciate nel citato comma 3, la concreta possibilità di diffusione del materiale pornografico. Occorre, cioè, che l'agente ponga in essere le condizioni che consentano la propagazione del materiale interessando un numero indeterminato di persone. Nel caso in esame, il reato è integrato dall'immissione in rete del materiale pedopornografico perchè l'hard disk conteneva software di condivisione idoneo a diffondere, cedere e propagandare i files presenti nel PC contenenti filmati ritraenti anche minori di anni 18 e infraquattordicenni. Ciò consentiva a chiunque si collegasse la condivisione di tale materiale. Secondo l'orientamento espresso da questa corte (cfr. Cassazione Sezione 3^ n. 25232/2005; RV. 231814) "Il reato di cui all'art. 600 ter c.p., comma 3, (pornografia minorile commessa per via telematica) si consuma nel momento in cui i dati pedopornografici vengono immessi nella rete, atteso che tale immissione, pur collocandosi in un momento antecedente all'effettiva diffusione tra il pubblico del materiale vietato, è sufficiente ad integrare il reato, con natura di reato di pericolo concreto, stante la possibilità di accesso ai dati ad un numero indeterminato di soggetti". Sentenza 9 marzo 2007, Cass. Pen. Sez. Unite, n. 10251 La consapevolezza dell'illecita divulgazione è stata desunta dai giudici del merito dalla regolare manutenzione del computer effettuata dal prevenuto, dalla catalogazione dei files anche secondo l'età dei protagonisti nonchè dal contenuto dell'annuncio con cui l'imputato presentava il suo Server nella rete (OMISSIS). L'annuncio formulato in lingua inglese era del seguente tenore: "Offering tons of teen XXX pictures an movies (beautiful teens fuching ad posing)". Il cestino, come prima precisato, è stato, sia pure parzialmente, visionato dal peritoci quale ha potuto comunque stabilire che in esso era stato cestinato anche materiale pedopornografico, della cui esistenza il prevenuto era a conoscenza, confermando in tal modo quanto constatato dal consulente del pubblico ministero. In definitiva la motivazione dei giudici del merito sulla configurabilità del reato ascritto all'imputato non presenta alcun errore giuridico o incoerenza e, perciò, non è censurabile in questa sede. P.Q.M. La Corte letto l'art. 616 c.p.p. rigetta i ricorsi e condanna l'imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali. Così deciso in Roma, il 9 giugno 2009. Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2009