lo Squaderno - professionaldreamers
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Nel mondo della segnaletica. L’ecologia grafica dei corridoi del metro / Jérôme Denis e David Pontille ISBN 978-88-904295-5-2 published under CreativeCommons licence 3.0 by professionaldreamers, 2011 Edizione originale : Petite sociologie de la signalétique. Les coulisses des panneaux du métro, © Presses des Mines, Paris, 2010. Un ringraziamento particolare a Silvia Dekorsy per aver facilitato il processo di acquisizione dei diritti di traduzione. Traduzione | Andrea Mubi Brighenti Revisione | Giovanna Sonda Immagini | Jérôme Denis e David Pontille professionaldreamers is a small, independent publisher that collects and promotes essays on space and society. It aims to publish high quality, original books from a variety of disciplines, including sociology, anthropology, geography, urban studies, architecture, landscape design, cultural studies, criminology, literary studies and philosophy. professionaldreamers has an international advisory board. All received manuscripts are anonymously peerreviewed by at least two external reviewers. www.professionaldreamers.net Jérôme Denis e David Pontille Nel mondo della segnaletica L’ecologia grafica degli spazi del metrò prefazione di Madeleine Akrich indice prefazione, di Madeleine Akrich introduzione Tutti i sostegni di un mondo mobile Metti un giorno un pannello... Ecologia e pragmatica delle scritte esposte Due etnografi nel metrò 17 20 22 Capitolo 1 Un dispositivo grafico per i servizi di trasporto La trasformazione grafica dell’informazione ai viaggiatori Le innovazioni della segnaletica Informazioni ai viaggiatori e scritte esposte L’utente preso in considerazione: il servizio pubblico e la segnaletica Conclusione: intelligibilità ed ecologia grafica 25 30 32 33 36 Capitolo 2 Il lavoro della segnaletica L’organizzazione formale delle attività Un lavoro interstiziale Conclusione: l’altra faccia dell’ecologia grafica 40 43 54 Capitolo 3 Equipaggiare i viaggiatori Script e posture: dalla concezione all’uso L’informazione La pianificazione La risoluzione dei problemi La reazione Conclusione: spazi pubblici, accessibilità e diversità 60 81 83 86 88 90 Capitolo 4 Il posizionamento delle scritte Dal posto al posizionamento Misurare i luoghi Mettere alla prova gli artefatti grafici 96 99 103 5 Esplorare l’ecologia grafica Conclusione: il posizionamento e le sue prospettive 106 111 Capitolo 5 La manutenzione dell’ambiente Sulla scia dei pannelli Artigiani dello scritto I trucchi del mestiere Dalla manutenzione alla “mantenibilità” Conclusione: manutenzione e materialità 117 119 121 123 124 Conclusione S egnaletica, azione e spazi pubblici La materia delle scritte esposte Segnaletica e politica dell’attenzione Ordine grafico e polifonia dei luoghi pubblici bibliografia 6 128 129 132 7 prefazione di Madeleine Akrich Lo ammetto, amo le “piccole” sociologie1. Ed è con vero piacere che mi sono immersa nella lettura di quest’opera di Jérôme Denis e David Pontille. Il famoso detto “il diavolo è nei dettagli” significa in effetti che anche quegli elementi che possono apparirci come insignificanti in realtà “tengono insieme” il mondo che ci circonda non meno di ciò che siamo soliti considerare importante – o, detto altrimenti, che il “piccolo” e il “grande” esistono sempre in un rapporto di reciprocità e d’interdipendenza. Che sarebbe infatti il metrò di Parigi senza gli innumerevoli supporti che indicano i nomi delle stazioni, le posizionano su carte o su tracciati, orientano i viaggiatori verso le altre linee e li dirigono verso le uscite? E senza un lavoro “dietro le quinte” che consiste nella realizzazione dei cartelli, nel loro posizionamento e nel controllo del buon funzionamento della segnaletica? Queste sono, in primo luogo, le questioni che i due autori ci invitano ad affrontare. Nel rispondervi, essi ci mostrano che tutte queste operazioni implicano non soltanto una competenza tecnica – pure, come vedremo, cruciale – ma altresì traducono e rendono attiva una visione dell’impresa RATP2 nelle sue relazioni con gli utenti. Così, dietro la scelta di uniformare i supporti di metrò, autobus e tram, si è trattato di portare la multimodalità al cuore dell’organizzazione: quest’ultima non si pensa più semplicemente come gestionaria di un parco veicoli, ma come “operatore di servizio a sostegno della persona mobile”. L’espressione può far sorridere, ma essa segna nondimeno una riconcettualizzazione radicale delle finalità della RATP, di cui la “piccola” segnaletica si fa strumento. Parallelamente, centrando la propria azione sull’utente, la RATP è spinta a cambiare il modo stesso di concepire la sicurezza e di conseguenza anche i vincoli che pesano sulla segnaletica. Fin dall’inizio infatti la segnaletica era implicata nella gestione della sicurezza, ma quest’ultima era intesa essenzialmente come la capacità di evacuare rapidamente le persone in caso 1 Il titolo originale dell’opera presente è, per l’appunto, Petite sociologie de la signalétique. (N.d.T.) 2 Régie Autonome des Transports Parisiens, la società che gestisce gran parte di trasporti pubblici a Paris e nell’Île-de-France. (N.d.T.) 9 di pericolo. Nel metrò di oggi, invece, la sicurezza diviene una sensazione dell’utente che va preservata in ogni circostanza. In questa nuova politica, la gestione dello spazio diviene un elemento centrale: l’omogeneità, la leggibilità, la capacità di fluidificare la circolazione dei viaggiatori attraverso informazioni affidabili e percepibili in modo quasi istantaneo, l’attenzione a limitare o eliminare incertezze e inquietudini sono tutti elementi che, contribuendo al lavoro di securitizzazione, risultano cruciali nella concezione della segnaletica attuale. In modo originale, poi, gli autori attirano la nostra attenzione sul fatto che la segnaletica diviene una posta in gioco anche per tutto un insieme di attori esterni alla RATP. Le relazioni che lo spazio del metrò intrattiene con lo spazio della città sono state enfatizzate già dalla fine degli anni Sessanta, quando decine di stazioni sono state arredate specificamente in riferimento a un ambiente museale (Louvre, Arts-et-Métiers, Varenne per il museo Rodin, Pont Neuf per la Zecca di Paris…) o storico (Concorde, Cluny-La Sorbonne, Bastille, Saint Germain des Près, Pasteur, Carrefour Pleyel). L’attenzione per la “persona mobile”, che la RATP si propone di accompagnare nei suoi spostamenti, ha condotto a rafforzare questo tessuto di relazioni, soprattutto attraverso l’enfatizzazione dei punti di interesse. Allo stesso tempo, però, si è posta la questione della definizione di tali punti di interesse, suscitando naturalmente una forte competizione: una moltitudine di partiti presi ha cercato di far valere il proprio punto di vista su ciò che conta. Per contenere la minaccia di un’esplosione che fa pesare sulla segnaletica l’espressione di così tanti interessi, la RATP ha dovuto dotarsi di una sorta di norma, una “guida delle denominazioni” che enuncia i principi generali rispetto ai quali ogni domanda sarà accolta o, come nella stragrande maggior parte dei casi, rifiutata. Uno dei meriti del lavoro di Jérôme Denis e David Pontille è proprio di mostrarci fino a che punto la questione della segnaletica sia indissociabile da simili poste in gioco di tipo politico, in senso ampio del termine, e come la forma stessa che la segnaletica ha preso in questi ultimi anni vada compresa in relazione a tali sfide. In modo forse ancor più originale, combinando gli apporti analitici dell’analisi degli spazi pubblici, della sociologia urbana della Scuola di Chicago, della sociologia delle tecniche e dell’analisi dell’azione situata, il libro ci mostra la complessità delle operazioni che consentono alla segnaletica di fare e di far fare: in questo senso, la loro non è soltanto una “piccola” sociologia quanto sopratutto una sociologia delle “piccole” cose – dei semplici pannelli metallici – e delle “piccole” persone – degli agenti di manutenzione quasi invisibili nella enorme macchina aziendale della RATP – che li eleva a dignità restituendo loro spessore e complessità. La nozione di ecologia grafica occupa uno spazio centrale nell’interpretazione proposta dagli autori, in quanto essa consente di illuminare le dinamiche di competizione/collaborazione nelle quali la segnaletica si trova presa: competizione esterna, con elementi quali la pubblicità e altri elementi grafico-semiotici che compongono – nel senso forte del termine 10 |prefazione| – lo spazio del metrò; ma anche competizione interna, come abbiamo visto nel caso della questione di selezionare gli oggetti degni di venire segnalati, e che si estende alla considerazione di una pluralità di utenti differenti. Un’analisi rigorosa consente poi agli autori di mettere in evidenza quattro figure di utenti ai quali la segnaletica si indirizza: un utente informato, che vuole essere perfettamente autonomo nei propri spostamenti, un utente pianificatore, un utente incerto che occorre rassicurare, un utente reattivo. Il confronto con il metrò di New York mette tuttavia in evidenza la particolarità della scelta parigina di limitare le forme possibili di specificazione degli utenti: mentre la rete di New York considera il multiculturalismo al punto da far variare la lingua dominante in funzione del quartiere, il metrò parigino opta per un modello fortemente universalista. Di nuovo, ci troviamo di fronte alla dimensione politica della segnaletica, relativa a quanto essa sia in grado di assorbire definizioni concorrenti dello spazio urbano e di considerare la molteplicità delle identità. L’ecologia grafica è dunque la sede di un intenso lavoro collaborativo, ed è questo il punto su cui il contributo di questo libro si rivela appassionante. C’è anzitutto una forma di collaborazione tra tutti gli elementi che compongono la segnaletica: attraverso il loro contenuto, il loro stile grafico, la loro configurazione materiale, la scelta del colore, del posizionamento, i diversi pannelli si rispondono – possiamo dire che “collaborano” tra loro e con il loro ambiente. Si ha così l’impressione che lo spazio del metrò palpiti, vibri, tanto esso appare vivificato dalle molteplici corrispondenze tra gli elementi. Ma, per mantenere in vita questo sistema, gli agenti di manutenzione devono svolgere un’attività considerevole e di grande precisione: certo, prima di loro, chi ha concepito l’apparato di normalizzazione ha creato le condizioni minime per tale comunicazione, una sorta di lingua comune. Ma ciò non basta. Un pannello, anche se creato a regola d’arte, non esiste in quanto elemento della segnaletica se la sua inscrizione nello spazio graficosemiotico non è pensata meticolosamente: ed è a questo punto che gli agenti di manutenzione intervengono con le loro competenze specifiche. Si tratta di un lavoro che coinvolge il corpo al fine di declinare l’una dopo l’altra le diverse proprietà dei supporti segnaletici, consentendo di articolare la segnaletica come gestione dello spazio e come equipaggiamento delle persone: questi agenti si situano all’interfaccia tra i pannelli e i loro destinatari, ponendosi come esperti-utenti incaricati di rendere operativi i programmi d’azione previsti. Il lavoro etnografico condotto da Jérôme Denis e David Pontille mette in evidenza tre elementi importanti che illustrano la “performatività” in funzione: • Così come esiste collaborazione dei dispositivi tra loro, allo stesso modo esiste collaborazione degli utenti con i pannelli: l’utente infatti deve riuscire a tradurre il proprio spostamento in modi che trovino rispondenza negli appigli semiotici disponibili, poiché questi gli consentono di concepire e realizzare i propri spostamenti. Consentitemi di fare al proposito un esempio che deriva dall’esperienza personale: leggendo questo libro mi sono resa conto di aver inte- 11 riorizzato solo recentemente i numeri delle linee del metrò, cosa invece assolutamente naturale per la generazione dei miei figli. Prima della riforma della segnaletica descritta dagli autori, le linee del metrò, anche se numerate, venivano indicate soprattutto attraverso i nomi dei loro terminal. Il cambiamento di nominazione ha perciò profondamente trasformato il modo in cui ci si orienta e ci si rappresenta i propri spostamenti. Come si vede, tanto l’azione quanto la cognizione vengono distribuite tra i dispositivi specifici e gli attori. Potremmo quasi parlare di una forma di reciprocità: nel momento in cui l’utente si appoggia sui dispositivi grafici per spostarsi dove vuole andare, i dispositivi si appoggiano sull’utente per mantenere la costante fluidità della circolazione. • La segnaletica offre ben più che un testo da decodificare: nella politica di attenzione messa in gioco, percepire contorni e colori assume un ruolo altrettanto importante che la lettura. • Su queste basi, gli autori elaborano una concezione “ricca” della performatività dei dispositivi, che supera la pragmatica normale del testo scritto andando ad integrare le diverse dimensioni della segnaletica – sia quelle proprie dei pannelli, sia quelle che riguardano la relazione tra un pannello e il suo ambiente. In un certo senso, gli agenti di manutenzione sono incaricati di controllare che un insieme di condizioni di felicità siano riunite affinché il pannello faccia il suo lavoro di informatore, orientatore e regolatore. L’utente ha la sua parte in questo processo, anche se di tutto è stato fatto per adattarsi alla possibile varietà delle sue competenze, a partire dallo stile di carattere, accuratamente concepito per produrre forme riconoscibili anche da viaggiatori abituati a sistemi di trascrizione diversi, fino all’abbinamento cromatico, passando per la numerazione delle linee e per i pittogrammi. Bisogna dire che il dispositivo pare funzionare: nonostante i 27 milioni di visitatori che Parigi attira ogni anno, è raro vedere persone che si fermano a lungo davanti alla segnaletica creando intralcio alla circolazione. Potremmo persino ipotizzare che la cooperazione tra utenti e segnaletica sia più efficace di quella tra sistema di segnalizzazione e conduttori. Questo significa forse che la segnaletica si presenta come un dispositivo “disciplinare”? Gli autori rifiutano una simile interpretazione e promuovono invece una visione attiva dell’utente, tanto più attiva, per la precisione, quanto più si sviluppano i sistemi d’informazione, soprattutto orari, che estendono la capacità di valutazione e pianificazione di cui l’utente stesso dispone. Da questo punto di vista, il libro di Jérôme Denis e David Pontille partecipa a un movimento più ampio nella teoria sociale, che sottolinea le competenze degli utenti: se infatti gli autori hanno scelto di analizzare la segnaletica dal punto di vista dei designer e degli esercenti, ciò non significa affatto che l’utente sia assente. Esso è invece ben presente sia nelle rappresentazioni che i progettisti se ne fanno, sia nel modo in cui essi costruiscono un utente implicito nel proprio sistema. Gli autori del libro ci forniscono così delle 12 |prefazione| chiavi di lettura che ci consentono di analizzare al tempo stesso i dispositivi e le pratiche, con due risultati importanti. Innanzitutto essi “reincantano” per così dire la nostra esperienza quotidiana: l’esperienza dello spostamento urbano diviene più intrigante perché si arricchisce di una forma di riflessività; la comparazione tra i diversi sistemi può risultare persino divertente, poiché – il libro lo mostra molto bene attraverso l’esempio newyorkese – la segnaletica dei trasporti è un ambito in cui si esprimono marcatamente delle differenze che potremmo anche chiamare “culturali” ma che in realtà rinviano a delle scelte politiche in senso lato; si tratta di differenze tanto più comprensibili in quanto si riferiscono ad una base comune definita al tempo stesso da saperi professionali sulla segnaletica e da obiettivi comparabili a un certo grado di generalità. Questa è tra l’altro la ragione per la quale, a Parigi come a Roma, a Bruxelles come a Mosca o a Londra, il libro rimane assolutamente pertinente e chiarificatore. In secondo luogo, l’analisi sviluppata ci fornisce degli strumenti intellettuali che ci consentono di sviluppare una capacità di discussione più ricca e più argomentata, articolando scelte tecniche e scelte politiche, utili infine anche per i progettisti e i manutentori del dispositivo. In tal senso, il libro è un contributo all’esercizio della democrazia tecnica: questo è precisamente l’aspetto che trovo più importante nelle “piccole” sociologie: la loro attenzione verso i dettagli dei concatenamenti della nostra vita quotidiana ci consente di mettere a punto una molteplicità di strategie pratiche per cercare di divenire degli attori sempre più illuminati. 13 introduzione Tutti i sostegni di un mondo mobile L’ipermobilità che caratterizza il capitalismo contemporaneo ha profondamente trasformato gli spazi urbani e gli scambi che vi si svolgono. Rispetto a tali trasformazioni, non è più possibile oggi pretendere di analizzare i luoghi pubblici e le loro forme di socialità dando per scontato la loro dimensione strutturata e preordinata, come è stato per lungo tempo. Dal momento che il flusso di beni e di persone diviene sempre più intenso, numerosi ricercatori riconoscono che i territori non debbono più essere studiati a partire dalle loro caratteristiche fisiche statiche, ma come il risultato di pratiche e di scambi sempre più fluidi1. Un simile cambiamento di prospettiva ha radicalmente trasformato le ricerche urbane, sia in geografia che in sociologia: le città e i luoghi pubblici appaiono come forme mai completamente fisse, disegnate da una molteplicità di reti fisiche e numeriche, umane e tecniche (Kellerman, 2006; Urry, 2007). Questo punto di vista, oggi ampiamente condiviso, ha permesso di rinnovare in profondità gli approcci di ricerca basati su oggetti rigidi, quali ad esempio le comunità e le frontiere. Tuttavia, come hanno sottolineato Amin e Thrift (2002), esso presenta anche il rischio di non farci vedere nella città che un flusso di entità indeterminate, circolanti senza alcun impedimento e soprattutto senza mezzi materiali che assicurino le condizioni stesse di mobilità. Ora, affinché la fluidità possa realizzarsi, sono in realtà necessari degli ancoraggi, dei punti di attacco, degli appoggi. In altri termini, per comprendere questo “paesaggio del movimento” (Amin e Thrift, 2002, p. 99) e per afferrare le condizioni concrete della liquidità delle reti socio-tecniche è importante studiare da vicino i micro-dispositivi che ne costituiscono la forza trainante. Nei luoghi pubblici esiste una quantità di tali oggetti che sono al tempo stesso materiali e informazionali (Latour e Hermant, 1998). Come ha mostrato Simmel (1989), la città è “intellettuale”: essa è popolata tanto di segni e inscrizioni, quanto di “scritte esposte” (Petrucci, 1993) che risalgono a molto prima della comparsa delle tecnologie digitali dell’informazione e della co1 Per esempio Castells, 1989; Kopooma, 2000; Graham e Marvin, 2001; Kaplan e Marzloff, 2009. 15 municazione. Le affissioni, i pannelli, le targhe delle strade, i semafori, i cippi, o ancora le iscrizioni sugli edifici e persino sulla strada sono tutte componenti essenziali per la trama della città, che partecipano a una sua organizzazione complessiva, allo stesso titolo della forma degli edifici e dei tracciati viari. Essi infatti delimitano dei luoghi, identificano delle zone e organizzano la circolazione delle diverse entità che attraversano lo spazio della città. Fra questi innumerevoli tipi di iscrizioni urbane, la segnaletica riveste un ruolo molto particolare nell’organizzazione dello spazio e produce un ambiente ibrido in cui “la distinzione tra l’edificio e i suoi segni, tra il testo e il territorio, diviene fluido” (Fuller 2002, p. 236). In città, per le strade, nei sistemi di trasporto pubblico urbano, la segnaletica è divenuta un oggetto indispensabile. Anche nell’èra della cosiddetta società dell’informazione, questa tecnologia antica resta il supporto indispensabile della mobilità ordinaria. La segnaletica è infatti uno degli strumenti principali della funzione del servizio di trasporto pubblico e partecipa attivamente alla produzione di spazi pubblici accessibili. Ma come studiarla? Esistono diverse possibilità, tra le quali alcune sono state già ampiamente esplorate. Si può ad esempio studiare la segnaletica attraverso la semiotica, ossia come sistema di segni. Da questo punto di vista, essa compone un dispositivo di cui cerchiamo di misurare, per ciascuno dei suoi elementi, le qualità estetiche o funzionali: questo font di carattere è giudicato più leggibile di un altro, tale colore è associato a una data tonalità emotiva, o ancora tale dimensione della scritta risulta più adatta a certo tipo d’azione prevista. Accanto a tale posizione strettamente valutativa, la prospettiva semiotica può anche connotarsi come critica socio-politica. La sovrabbondanza di segni che popolano gli spazi pubblici viene allora presentata come il sintomo di un mondo freddo, in cui le relazioni sono svuotate del loro substrato sociale e i territori perdono il loro spessore simbolico, diventando dei “non-luoghi” (Augé, 1992). Uno sguardo differente consiste nel produrre una critica più raffinata, ispirata alla filosofia foucaultiana. In questo caso, più che un operatore di de-socializzazione, gli oggetti che compongono la segnaletica vengono elevati al rango di dispositivi di governo. La segnaletica viene allora studiata come quell’insieme di elementi prodotti dalle diverse autorità incaricate della gestione dei luoghi (Kellerman, 2008), e ogni suo modulo (pittogrammi, frecce…) appare come uno strumento di disciplina che organizza in un medesimo tempo lo spazio e i suoi abitanti (Fuller, 2002). Tutt’altro punto di vista è quello di prendere in esame gli usi che ne vengono fatti. L’obiettivo allora non è più studiare i segni isolati, ma investigare le relazioni che le persone intrattengono con essi (Sharrock e Anderson, 1979). Questo tipo di ricerca sottolinea generalmente i numerosi aggiustamenti che ogni utilizzatore compie in una specifica situazione. Lo studio delle traiettorie reali, ad esempio, mostra chiaramente il carattere improvvisato dell’attività di orientamento (Lévy, 2001) e il lavoro di bricolage che serve a creare una serie di agganci informazionali eterogenei (Lacoste, 1997). Si tratta ora di controbilanciare la critica foucaultiana: insistendo sui 16 | introduzione | modi in cui gli utenti sbrogliano, articolano e contestualizzano le istruzioni messe a loro disposizione, questi lavori mostrano con precisione che gli utenti non sono poi così disciplinati come farebbero presumere le analisi focalizzate solamente sui dispositivi grafici. Infine, una terza opzione consiste nel recarsi nei corridoi del metrò per osservare il lavoro quotidiano di coloro che concepiscono, organizzano e fabbricano di giorno in giorno la segnaletica, mobilitandosi per così dire in suo nome. Apparentemente meno nobile della prima prospettiva, che si concentrava sulle qualità estetiche e sulle conseguenze politiche di un dispositivo grafico, questa opzione è anche meno gratificante della seconda, aperta a riconoscere l’ingegnosità degli utenti e degli utilizzatori dei luoghi pubblici. Da questo punto di vista, la segnaletica si guadagna un posto nella lista dei soggetti di ricerca senza qualità, “noiosi”, tanto cari a certi sociologi (Star, 2002). Infatti i lavoratori che operano in questo settore rimangono invisibili, come tutti coloro che stanno nella fabbrica delle infrastrutture; e la segnaletica stessa diventa una presenza scontata quanto più essa si integra nei nostri percorsi quotidiani. Ma è proprio per questo che in questo libro, consacrato in particolare al caso del metrò di Parigi, vorremmo scegliere tale opzione e tuffarci nel “dietro le quinte” della segnaletica. La nostra è, in altre parole, una scommessa sull’idea che vi sia molto da apprendere sul mondo in gran parte invisibile che si trova dietro le cartine, i pannelli, i nomi delle stazioni e i numeri delle linee che popolano i corridoi della RATP2. Ora, se molto è già stato detto sul design di tale segnaletica e sugli usi che i viaggiatori ne fanno, non sappiamo praticamente nulla della sua storia, dei principi che hanno guidato la sua concezione, o delle attività ordinarie di manutenzione che assicurano la sua esistenza e il suo funzionamento quotidiano. Metti un giorno un pannello... Per entrare nel vivo del soggetto e per presentare l’organizzazione di questo libro proponiamo di partire da una situazione in cui ci siamo trovati nel corso della nostra ricerca. Anche se di carattere aneddotico, ci sembra che essa metta perfettamente in luce le diverse poste in gioco legate alla presenza della segnaletica negli spazi del metrò. Nel settembre 2007, nei corridoi della stazione di Nation a Parigi, si poteva trovare questa iscrizione sul muro di una delle scale che si dipartono da un ampio corridoio centrale per portare alle banchine dei treni (Figura 1). Questa epigrafe rappresenta un vero enigma per più di una ragione. Ognuna delle domande che essa solleva punta in una direzione d’analisi diversa, e per comprendere il funzionamento della segnaletica è necessario seguirle tutte. Soffermiamoci in primo luogo sulla forma. Da un punto di vista strettamente funzionalista, la composizione delle parole e del disegno stupisce. In 2 Régie Autonome des Transports Parisiens, la Società che gestisce la metropolitana di Parigi e una parte dei treni di banlieue. (N.d.T.) 17 fondo, se si trattasse di comunicare solo che bisogna seguire questa scala per raggiungere la banchina della linea 1 in direzione La Défense, una semplice freccia sarebbe stata sufficiente. Possiamo anche spingere un po’ oltre il ragionamento e immaginare che un agente presente in loco possa venire incaricato di guidare verbalmente le persone che si smarriscono a questo incrocio; d’altra parte esiste del personale assunto il cui lavoro quotidiano consiste nella produzione di informazioni per i viaggiatori. Da un punto di vista informazionale, il messaggio sarebbe identico; tuttavia, qui l’iscrizione è di tipo grafico, l’informazione è scritta. Di più, questo scritto viene sottoposto a una messa in forma specifica: la freccia non è del tutto anodina e sia la lettera “M” quanto l’“1” sono contornati da un cerchio. Queste forme fanno pensare che le informazioni grafiche messe a disposizione dei viaggiatori per orientarsi nei corridoi del metrò non siano concepite unicamente come informazioni. Esse sono infatti collocate in un quadro generale che ne definisce i formati di esposizione. Esistono degli standard a cui questa iscrizione cerca di avvicinarsi e ogni pannello segnaletico non può essere compreso che come un elemento di un dispositivo grafico più ampio i cui fondamenti vanno analizzati (capitolo 1). Ma proseguiamo. La cosa più stupefacente forse non è tanto l’aver creato questa indicazione quanto il fatto che un impiegato della RATP si sia messo a produrla. Come si integra questo tipo di attività singolare rispetto alle normali azioni degli agenti della compagnia di trasporto? La stessa cosa avrebbe potuto esser fatta su un pannello pubblicitario? E, più in generale, in che senso la messa a disposizione di diversi supporti per l’orientamento dei viaggiatori fa parte dei compiti di una compagnia il cui core business rimane, ricordiamolo, lo spostamento fisico delle persone da un punto all’altro della città? Detto altrimenti, di che quadro professionale e organizzativo è manifestazione questa iscrizione? Se scartiamo l’ipotesi di un’azione isolata effettuata da una persona atipica all’interno dell’azienda, la stessa presenza di una scritta del genere presuppone un lavoro di sensibilizzazione all’importanza non solo delle informazioni da esporre nei luoghi di trasporto, ma anche della loro forma. Questa iscrizione testimonia allo stesso tempo di una dinamica organizzativa che assicura al dispositivo della segnaletica un certo luogo all’interno delle finalità dell’azienda attraverso diverse forme di allineamento delle persone che sono invitate a prenderne nota (capitolo 2). Torniamo alla scritta. Certo, essa potrebbe anche non esserci; ma cosa accadrebbe in questo caso? Senza dubbio una parte dei viaggiatori che passano di lì tutti i giorni non se ne accorgerebbe. Ma che dire di tutti gli altri? Questa semplice iscrizione mostra la forza dell’intero sistema del dispositivo segnaletico, che equipaggia gli spazi con un gran numero di aiuti all’orientamento. Grazie alla segnaletica i viaggiatori dispongono di un ambiente grafico sul quale possono contare e servendosi del quale devono poter compiere i loro spostamenti anche senza essere degli habitué della rete o senza aver appreso a memoria la mappa prima di avventurarsi nei corridoi. Tale offerta informativa non ha nulla di neutro: essa presuppone 18 | introduzione | infatti un numero di operazioni da parte degli utenti che includono, a livello minimo, una precisa sensibilità a “forme” che indirizzano i viaggiatori. La concezione della segnaletica prevede dei tipi di utilizzo che si traducono di caso in caso in differenti modi di relazionarsi con l’ambiente grafico nel quale i viaggiatori si muovono (capitolo 3). D’altra parte, per assicurare il proprio ruolo guida, questa iscrizione non è stata posta su un muro a caso. La freccia non sarebbe stata utilizzabile se essa non avesse puntato in una direzione praticabile, creando uno spazio che conduce verso la banchina dove si fermano i treni che partono in direzione de La Défense. La cosa è evidente ma, ancora una volta, una prospettiva strettamente informazionale non sarebbe in grado di renderne conto. Il dispositivo della segnaletica presuppone che ogni elemento che la compone venga disposto in modo adatto, vale a dire che si trovi nel luogo adeguato. Il processo di istallazione dei pannelli nelle stazioni è il momento in cui tale questione diviene particolarmente saliente. E la questione va risolta pragmaticamente. Essa comporta insomma un vero e proprio lavoro di collocazione che implica delle valutazioni difficili e dei saperi situati, essenziali a rendere operativi dei principi e delle regole che definiscono la segnaletica (capitolo 4). Infine, rispetto all’assenza dell’iscrizione ufficiale, in questo caso si evidenzia chiaramente un’altra assenza, quella del pannello stesso. La sua sostituzione con una scritta ci invita a ritornare sul lavoro del suo autore. Un tale lavoro presuppone due azioni successive: in primo luogo una sorveglianza di routine della rete, che permette di diagnosticare la scomparsa del pannello e, in secondo luogo, il disegno di una scritta sostitutiva. Nell’azienda, la persona che svolge questi compiti riveste un ruolo primario per la manutenzione del dispositivo segnaletico, anche se molto meno riconosciuto di quello di designer e teorici. Se è vero che la segnaletica è fatta di artefatti grafici, ben più stabili degli annunci vocali che devono essere ripetuti costantemente per assicurarsi che non vadano perduti, a ben vedere essa non è meno fragile. Un pannello, per quanto sia solido, non è mai installato una volta per tutte. Se consideriamo l’intera rete della RATP e le sue oltre trecento stazioni, la cosa non può essere data per scontata. Di giorno in giorno, la segnaletica deve funzionare come dispositivo grafico completo che equipaggia lo spazio attraversato dai viaggiatori, nonostante i possibili furti, alterazioni del tempo o incidenti. L’iscrizione di tipo provvisorio ne è un chiaro esempio: la segnaletica deve la propria presenza permanente, nei corridoi e sulle banchine, a una serie di operazioni materiali di riparazione e manutenzione che richiede delle iniziative e delle competenze poco documentate nel caso delle scritte (capitolo 5). Ecco dunque in breve le piste principali lungo le quali si sviluppa il presente libro. Si tratta di piste strettamente legate agli elementi empirici che abbiamo raccolto durante la nostra ricerca – come sottolinea la nostra scelta di prendere un’iscrizione come punto di partenza – ma che entrano anche in risonanza con un certo numero di discussioni teoriche a cui vorremmo contribuire. 19 Ecologia e pragmatica delle scritte esposte Prima di entrare nel vivo dell’argomento, possiamo cercare di mettere a fuoco tre dimensioni che definiscono chiaramente il nostro oggetto di ricerca. La segnaletica costituisce anzitutto un insieme di scritte. Esse ci forniscono dunque l’occasione per interrogare le condizioni di messa in atto e di manutenzione degli artefatti grafici destinati a venire esposti in un luogo pubblico. E, se qui si tratta in particolare dei corridoi del metrò, non dimentichiamo che il nostro quotidiano è popolato di scritte affisse su cui possiamo contare in qualsiasi momento per orientare la nostra azione. Esse rappresentano una posta in gioco politica di primaria importanza in un mondo che ci si presenta trasformato tanto dal punto di vista delle pratiche della mobilità quanto dal punto di vista dell’equipaggiamento informazionale che lo compone. Ci avvicineremo a questo tipo di scritte da una prospettiva ecologica, ovvero saremo particolarmente sensibili alla loro dimensione ambientale. Anzitutto perché, come abbiamo già iniziato a osservare, le diverse componenti della segnaletica producono un ambiente messo a disposizione dei viaggiatori. Ma, più in generale, anche perché la segnaletica non è che un dispositivo grafico tra gli altri presenti nei luoghi pubblici. La sua messa in atto presuppone delle forme di cooperazione e di competizione tra tipi di scritte che cercheremo di specificare. Da ultimo, il nostro accostamento è di tipo pragmatista: cercheremo di comprendere le modalità d’agire con e attraverso le scritte. Tale prospettiva ci separa chiaramente dalle problematiche della semiotica, che di solito esamina i dispositivi “a riposo” per così dire, cercando di estrarne le dimensioni intrinseche. Ma ci separa anche alla moltitudine di analisi che si focalizzano sugli utenti, vale a dire sulle condizioni di ricezione o di utilizzo delle scritte intese come risorse tra le altre, anche molto diverse, che sono presenti nel corso dell’azione. La nostra ricerca si concentra piuttosto sugli ideatori, così come, più generalmente, su tutti coloro che cercano di delegare a dei dispositivi grafici delle forme d’azione. Questa pragmatica della scritta esposta ci invita d’altronde anche a fare attenzione alla riflessività degli attori che studiamo e, in particolare, ai loro modi di prendere in considerazione i punti di forza e quelli di debolezza delle scritte stesse. Rispetto a questi attori noi intendiamo adottare una posizione molto modesta, in quanto non pretendiamo di contrapporre alle loro teorie sulla scrittura delle altre che ci paiono più giuste o più fondate. Al contrario, il nostro fine è di comprendere come e a che titolo la scrittura possa essere intesa come strumento d’ azione. Adottando tale obiettivo, la nostra ambizione è dunque quella di sviluppare un accostamento ecologico all’agire scritturale. Questo programma di ricerca ci condurrà ad incrociare autori appartenenti a diverse correnti. Tra di essi, alcuni ci forniranno l’impalcatura teorica per le nostre analisi, e con essi torneremo a più riprese a discutere durante il nostro percorso, confrontando le loro asserzioni teoriche con i nostri risultati di ricerca. Un primo asse si articola intorno alla questione degli spazi pubblici. In generale, il nostro studio della segnaletica si inscrive in un linea di ricerca che esamina le trasformazioni dei luoghi pubblici (Lash e Urry, 1994) e delle 20 | introduzione | forme di mobilità (Urry, 2007). In particolar modo questo filone intende la questione dello spazio pubblico in termini di accessibilità, di cui Joseph, che resterà un punto di riferimento per tutto il nostro percorso di analisi, ha ben mostrato l’importanza (Joseph, 2007). Per affrontare questo genere di questioni utilizzeremo anche le analisi di Petrucci (1993) a proposito delle scritte esposte. Esse ci saranno particolarmente utili per afferrare le dimensioni strategiche e politiche della segnaletica. In quanto forme di scrittura esposta, i moduli della segnaletica non possono venire ridotti alle loro semplici dimensioni funzionali più visibili. Infatti la loro installazione implica un inquadramento dei luoghi e dei loro abitanti che rinvia a un programma di organizzazione grafica dello spazio. Il secondo asse teorico che seguiremo si rivolge in modo prioritario alla problematica dell’azione, o più esattamente della agency, e della sua composizione socio-tecnica. Faremo così regolarmente ricorso alle analisi di Latour nei suoi aspetti più foucaultiani, così come in senso più lato ai lavori dell’antropologia della scienza e della tecnica (Akrich, 2006; Latour, 1993a; 1994). Tutti questi lavori hanno insistito, tra l’altro, sulla dimensione politica delle innovazioni tecniche e degli artefatti, mostrando come essi siano sempre portatori di prescrizioni rivolte agli utenti – prescrizioni che, pur nella loro flessibilità, partecipano attivamente alla definizione dei luoghi e dei formati d’azione accettabili. Questa corrente di ricerca si rivela particolarmente utile in quanto analizza specificamente i dispositivi grafici. Latour e Akrich hanno utilizzato le nozioni di iscrizione e di script. In tal senso, le loro riflessioni possono essere proficuamente messe a confronto con le recenti evoluzioni dell’antropologia della scrittura, ambito in cui Fraenkel (2006; 2007) ha iniziato una riflessione approfondita sulla performatività del testo scritto. Unendo questi due punti di vista, potremo specificare le forme d’azione della segnaletica, applicando così le riflessioni dell’antropologia delle scienze e delle tecniche al caso delle scritture esposte e focalizzando gli interessi dell’antropologia della scrittura sui processi ordinari di governo e di organizzazione grafica. Questo doppio movimento si avvicina alla prospettiva sviluppata da Artières (2007), il quale sostiene l’utilità di osservare il funzionamento dei micro-dispositivi delle pratiche di scrittura. Infine, questa ricerca ci fornisce un caso di studio a partire dal quale provare a sviluppare il concetto di ecologia grafica. Attraverso tale nozione, entriamo gradualmente in relazione con due grandi correnti di ricerca che propongono, ciascuna a proprio modo, una prospettiva ecologica nelle scienze sociali. La prima è costitutiva di un’intera scuola sociologica: si tratta dei numerosi lavori prodotti nell’ambito della scuola di Chicago, che hanno sviluppato uno sguardo sulla città e sulle sue istituzioni sociali come laboratorio naturale della condizione umana (Hughes, 1936; Park, 1936). Poiché la segnaletica non è mai l’unico tipo di scrittura depositata in un ambiente, queste considerazioni ci saranno utili per osservare le forme della competizione territoriale che si possono sviluppare tra i diversi dispositivi grafici e per comprendere le poste in gioco che essi sollevano in termini di regolazione. 21 La seconda prospettiva si focalizza sull’ecologia delle attività, insistendo sulla dimensione situata ed eterogenea delle stesse (Suchman, 1987; Lave, 1988; Hutchins, 1995). Contrariamente alla precedente ecologia, quest’ultima è di tipo essenzialmente cooperativo: le operazioni della vita quotidiana, dalle più ordinarie alle più complesse, si basano sempre su una distribuzione più o meno cosciente di una o più persone e oggetti disponibili nell’ambiente. Da questo punto di vista la segnaletica è doppiamente interessante: anzitutto, essa è esplicitamente concepita come uno strumento di distribuzione dell’azione, su cui i viaggiatori sono invitati a basarsi per effettuare i loro spostamenti. Essa si fonda cioè sulla messa in cooperazione di più moduli grafici pensati nel loro rapporto reciproco. In secondo luogo, essa costituisce un oggetto di ricerca strategico per rimettere in discussione lo sguardo sugli artefatti, soprattutto gli artefatti grafici, che di solito caratterizza questa corrente di studi. Più che osservare le forme di adattamento a degli spazi pre-strutturati, come quelli che Lave (1988) ha chiamato le “arene”, vorremmo mettere in luce i processi che fondano la gestione materiale e politica di tali spazi. La segnaletica, ci sembra, offre l’occasione per far lavorare in modo simultaneo su questi due versanti della nozione di ecologia: versante competitivo e versante cooperativo. Nel corso dell’analisi cercheremo pertanto di mostrare l’interesse che tale articolazione riveste. Due etnografi nel metrò Per afferrare l’oggetto proteiforme della segnaletica abbiamo cercato di raccogliere una varietà di materiali, andando a cercare tanto nei retroscena (l’invenzione della segnaletica, la sua produzione, la sua manutenzione…) quanto nelle stazioni stesse del metrò. Il nostro obiettivo era quello di documentare le numerose forme di organizzazione che la compongono e le diverse scene della sua esposizione. Le nostre ricerche si sono concentrate principalmente sulle diverse attività dei dipartimenti della RATP. Inoltre, durante la ricerca, abbiamo fatto un détour verso la rete del New York City Transit (NYCT) della Metropolitan Transportation Authority (MTA) dello Stato di New York. In tal modo, abbiamo cercato di prendere sul serio i discorsi di coloro che alla RATP citavano il caso newyorkese come contro-esempio del modello segnaletico che essi vorrebbero promuovere. Dall’altro lato, il confronto con New York ci ha permesso di rompere con la nostra eccessiva familiarità nei confronti del metrò parigino. La nostra ricerca si inscrive nel genere della ricerca etnografica e si appoggia a metodi relativamente classici: metodi, oltretutto, quelli dell’intervista e dell’osservazione partecipante, utilizzati insieme. Abbiamo anzitutto condotto una ventina di interviste in profondità con impiegati della RATP e della MTA. Le interviste erano finalizzate a comprendere il ruolo della segnaletica negli ambienti del metrò di osservare l’organizzazione dei dipartimenti aziendali che se ne occupano e l’attività di coloro che vi lavorano. Ciò ci ha consentito di produrre due tipi di informazione: da una parte, dei 22 | introduzione | discorsi elaborati come testimonianze di momenti chiave nella storia del dispositivo, dall’altra delle descrizioni della divisione del lavoro e dei tipi di attività collegate alla segnaletica. Abbiamo anche effettuato una raccolta sistematica di documenti interni negli archivi della compagnia (resoconti dei consigli di amministrazione, documenti programmatici, comunicazioni e stampa interna…) oltre che tra le pratiche ancora in corso (presentazioni, mappe, guide della rete metropolitana, rapporti sul livello di soddisfazione dei viaggiatori e sulla qualità del servizio…) nei dipartimenti interessati. Simili documenti ci sono serviti per ricostruire la dimensione strategica della segnaletica e per identificare le modalità specifiche della sua messa in atto. Abbiamo poi condotto un lavoro di osservazione sistematica accompagnando gli addetti della RATP nelle loro attività quotidiane. Inizialmente ci siamo concentrati sui dipartimenti che seguono il mantenimento della segnaletica. Abbiamo seguito gli agenti per diversi giorni durante le loro uscite per riparare, sostituire e rinnovare i pannelli della rete. Abbiamo anche realizzato delle osservazioni etnografiche nello stabilimento in cui viene materialmente prodotta buona parte dei moduli segnaletici e da cui partono gli ordini alle ditte in subappalto specializzate nella produzione dei laminati catarifrangenti. In un secondo tempo la nostra attenzione si è focalizzata sulle attività degli agenti responsabili delle stazioni, che diagnosticano quotidianamente lo stato della segnaletica e rilevano le anomalie segnalandole ai dipartimenti competenti. Attraverso note di campo, fotografie e registrazioni audio abbiamo cercato di comprendere il più finemente possibile l’ecologia di questi diversi interventi: le loro sequenze di lavoro, i gesti e gli strumenti che sono necessari, tanto quanto le esitazioni e le discussioni degli attori in situazioni specifiche. Infine, la ricerca ci ha fornito l’opportunità di praticare anche un metodo più sperimentale. Per comprendere l’uso della segnaletica, è necessario mettere a fuoco una via d’accesso più specifica di quella dell’utente generico, il quale, come sappiamo, durante i propri percorsi può mettere in gioco risorse eterogenee (Lacoste, 1997; Ingold, 2000). A tal fine abbiamo elaborato una sperimentazione, effettuando una serie di percorsi, anzitutto sulla rete newyorkese e quindi anche a Parigi3. Il nostro obiettivo era quello di mostrare da un punto di vista fenomenologico i modi in cui la segnaletica guida gli spostamenti nello spazio del metrò. Per riuscire nei nostri tragitti, ovvero per spostarci da un punto all’altro della città, dobbiamo seguire unicamente gli elementi della segnaletica, senza preparare il nostro viaggio a priori e senza domandare aiuto sul posto. Queste forme artificiali di percorso avevano per fine quello di isolare il dispositivo dal resto dei mezzi che guidano gli spostamenti degli utenti ordinari, oggi ben noti. Per documentare questa esperienza abbiamo utilizzato la fotografia. Ogni percorso si è sviluppato secondo uno script di “presa di visione” (Suchar, 2007): abbiamo sistematicamente fotografato gli elementi grafici che ab3 Dato che sono stati effettuati in un ambiente che non conoscevamo, i tragitti a New York ci hanno consentito di stabilire un metodo che abbiamo in seguito riprodotto nella rete parigina. 23 biamo utilizzato durante i nostri spostamenti e ogni pannello, ogni insegna o adesivo che abbiamo preso in considerazione per raggiungere la nostra destinazione sono stati oggetto di commenti in un diario di bordo comune. D’altra parte, la significazione stessa di questi elementi, il modo di utilizzarli, sono stati regolarmente oggetto di discussione tra noi. In questi casi abbiamo confrontato sistematicamente le nostre interpretazioni per prendere una decisione: una validazione comune del senso di un pannello era condizione indispensabile per proseguire. Anche questi dibattiti sono stati registrati nel diario di bordo. Un simile tipo di esperimento a due presenta un doppio vantaggio. In primo luogo, l’uso della fotografia si rivela particolarmente prezioso per mettere in atto un’analisi approfondita dei materiali visuali (Wagner 2006). Nel caso della segnaletica, è un modo efficace per mettere sullo stesso livello tutti gli elementi utilizzati in un tragitto e costringersi, in qualità di ricercatori, ad esaminarli uno ad uno. In secondo luogo, il fatto di annotare i nostri commenti e di riunire tutti questi diversi elementi (fotografie, dibattiti e processi di validazione dei dati) in un unico diario di campo condiviso ci ha permesso di esplicitare il processo di interpretazione che sarebbe rimasto implicito qualora l’esperimento fosse stato condotto da una sola persona. Tutto questo materiale eterogeneo verrà utilizzato nel corso del libro, lungo il filo di un’esplorazione dei cinque assi che abbiamo delineato sopra. Nel primo capitolo, riassumeremo le condizioni che segnano la nascita della segnaletica come esiste oggi nei corridoi del metrò di Parigi. Il secondo capitolo sarà consacrato all’organizzazione del lavoro su cui si fonda il dispositivo. In questi due primi capitoli, ci baseremo fondamentalmente su brani di interviste e sui documenti interni. Il terzo capitolo affronterà i principi che stanno al cuore della segnaletica. L’analisi intreccerà dunque strettamente la descrizione delle interviste e dei testi con i risultati dei nostri esperimenti nelle reti di New York e Parigi. Gli ultimi due capitoli si nutriranno soprattutto delle osservazioni dirette effettuate con gli agenti della compagnia, cercando così di mettere in luce le delicate operazioni sulle quali si basano l’installazione e la collocazione dei pannelli segnaletici, per insistere quindi sul ruolo centrale delle attività di riparazione e manutenzione che assicurano ai dispositivi la loro stabilità. 24