Le età dei popoli - Aspen Institute Italia
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128-139 Golini n. 44 10-03-2009 8:22 Pagina 130 Antonio Golini Le età dei popoli A determinare le diverse età dei popoli non sono solo le grandi tendenze demografiche – livelli di fecondità, longevità, e così via. Di cruciale importanza sono anche i tempi e la velocità dei processi, che stanno cambiando gli equilibri demografici, quindi anche economici, politici e strategici. Ci avviamo verso un mondo dagli immensi squilibri in termini di popolazione, con grandi masse di giovani concentrate nei paesi poveri e grandi quantità di anziani concentrate nei paesi ricchi. Così come un individuo ha un ciclo di vita che lo porta dall’età più giovane via via a quella adulta e poi a quella anziana e senile – con tutte le relative implicazioni di ordine biologico, sociale, economico, psicologico, culturale – anche una popolazione ha un ciclo di vita Accademico dei Lincei, Antonio Golini è legato alla sua struttura per età; anche in questo caprofessore di demografia alla Sapienza di so, con tutte le implicazioni del caso sul piano della Roma. È stato presidente della Commissiostruttura normativa, politica, sociale, economica, ne su Popolazione e Sviluppo all’ONU. psicologica, culturale. Tale struttura può essere sintetizzata e descritta tramite l’età mediana, l’indicatore sintetico più usato per indicare l’età media di una popolazione: il che significa che metà della popolazione ha una età minore del valore dell’età mediana e l’altra metà ne ha una maggiore. Così, una popolazione con prevalenza di giovani presenterà evidentemente una bassa età mediana; una popolazione con prevalenza di adulti un’età mediana intermedia, e infine una popolazione con prevalenza di anziani e vecchi un’età mediana piuttosto elevata. Mentre però il ciclo di vita di una persona è legato al suo progressivo, inevitabile e soprattutto irreversibile invecchiamento – in quanto l’età è una variabile unidirezionale, essendo legata al tempo – il ciclo di vita di una popolazione è legato al- 128-139 Golini n. 44 10-03-2009 8:22 Pagina 131 la presenza più o meno larga di persone giovani, contrapposta a quella più o meno larga di persone adulte e a quella di persone anziane e vecchie. Questa presenza differenziale è funzione delle tendenze della mortalità, della fecondità e delle migrazioni del passato (oltre che della struttura per età del passato), ma anche delle loro fluttuazioni di breve periodo; quindi la tendenza all’aumento della popolazione anziana e alla diminuzione di quella giovane che si va registrando in tutte le regioni e nazioni del mondo, con il conseguente aumento dell’età mediana, si può interrompere o anche rovesciare. GLI IMMENSI SQUILIBRI DEMOGRAFICI DI OGGI (E DI DOMANI). Il mondo è giovane: la metà dei circa 6 miliardi e 700 milioni di persone che abitano sulla faccia della terra ha meno di 28 anni, dal momento che proprio 28 è attualmente l’età mediana della popolazione del mondo, forse più bassa di quella che si potrebbe Tabella 1 • Età mediana della popolazione Aree maggiori e regioni Età mediana in anni (a) 2005 2050 Variaz. 2007 Popolazione in milioni 2050 Variaz. Mondo Paesi a sviluppo minimo (a) Paesi meno sviluppati (b) Regioni più sviluppate (c) 28,0 19,0 26,6 38,6 38,1 27,9 39,4 45,7 10,1 8,9 12,8 7,1 6.671 804 4.644 1.223 9.191 1.742 6.204 1.245 2.520 938 1.560 22 Africa Africa subsahariana America Latina-Caraibi Asia Oceania Nord America Europa Europa meridionale 19,0 18,0 26,0 27,6 32,3 36,3 38,9 39,8 28,0 26,7 40,0 40,2 40,0 41,5 47,3 49,3 9,0 8,7 14,0 12,6 7,7 5,2 8,4 9,5 965 807 572 4.030 34 339 731 152 1.998 1 761 769 5.266 49 445 664 146 1.033 954 197 1.236 15 106 - 67 -6 (a) L’età mediana è l’indicatore sintetico più usato per indicare l’età media di una popolazione: sta a significare che metà della popolazione ha età minore del valore dell’età mediana e l’altra metà ne ha una maggiore. (b) I paesi a sviluppo minimo (nella locuzione inglese: least developed countries) comprendono i 50 paesi economicamente più arretrati del mondo: 34 in Africa, 10 in Asia, 5 in Oceania, 1 in America Latina e Caraibi. (c) I paesi meno sviluppati comprendono le regioni meno sviluppate (nella locuzione inglese: less developed regions) meno i paesi a sviluppo minimo. (d) Le regioni più sviluppate comprendono: Europa, Nord America, Australia-Nuova Zelanda, Giappone. Fonte: Elaborazione propria su dati tratti da pubblicazioni varie della Population Division, United Nations, New York, 2007 e 2008 (parzialmente su www.unpopulation.org). 131 128-139 Golini n. 44 10-03-2009 8:22 Pagina 132 immaginare (tabella 1). La variabilità è grandissima: in Africa l’età mediana è pari a 19 anni – e in particolare a 18 nell’Africa subsahariana, l’area più giovane del mondo, che conta ben 807 milioni di abitanti – mentre in Europa sale a 39 anni – e a 40 nell’Europa meridionale, l’area più vecchia del mondo che conta 152 milioni di abitanti, la metà dei quali ha più di 40 anni. Già queste prime cifre mostrano come la demografia si intersechi in un gioco complesso ma del tutto evidente con variabili politiche e socioeconomiche oltre che culturali e psicologiche. I 403 milioni di abitanti dell’Africa subsahariana che hanno meno di 18 anni – per lo più poveri e con ridottissimo capitale umano – si trovano infatti a convivere in questo periodo storico con i 76 milioni di persone dell’Europa meridionale che hanno più di 40 anni: persone abbienti, con elevato capitale umano e dotate di un ricchissimo patrimonio materiale e immateriale. Ci sono principalmente questi enormi squilibri all’origine delle abbondanti, costose, travagliate e spesso tragiche migrazioni che dall’Africa subsahariana si dirigono verso le coste meridionali dell’Europa. Per di più, si prevede che nell’Africa subsahariana entro il 2050 l’età mediana salirà di quasi 9 anni fino a 27 anni, per una popolazione che dovrebbe ac132 crescersi di poco meno di 1 miliardo di persone; dall’altra parte, la previsione per l’Europa meridionale è che l’età mediana salirà di quasi 10 anni fino a 49 anni, per una popolazione che dovrebbe calare di 6 milioni. Sono perciò notevolissimi gli squilibri demografici tra le due aree, tanto che ci si può aspettare che le già forti tensioni migratorie aumentino a dismisura e diventino incontenibili. Seguiranno poi “contaminazioni” economiche e culturali, oltre che psicologiche, ma anche manifestazioni di aggressività e durezza, dal momento che una popolazione assai giovane e numerosa, largamente deprivata di beni materiali di base, può essere spinta ad azioni di forza più di quanto possa esserlo una popolazione anziana, ridotta e con un’assai ampia dotazione di ben materiali e non. Le differenti età dei popoli possono anche generare diverse attitudini alla pace e alla guerra. FECONDITÀ E LONGEVITÀ, DUE VARIABILI FONDAMENTALI. I valori segnati dalle età mediane delle popolazioni sono il frutto della presenza differenziata di giovani, adulti e anziani. Sono strettamente legati al livello di fecondità – che quanto più è alta, tanto più assicura un forte flusso di nascite e quindi di popolazione giovane – e al livello della longevità – che quanto più è alta, tanto più assicura un forte flusso di longevi e quindi di popolazione anziana e vecchia. Nella tabella 2 queste relazioni sono ben evidenti: la proporzione di persone con me- 128-139 Golini n. 44 10-03-2009 8:22 Pagina 133 no di 15 anni va da un massimo del 41%, nelle popolazione dei paesi a sviluppo minimo, dove il numero medio di figli per donna è pari a 4,63, a un minimo del 17% nelle popolazioni del Nord del mondo, dove il numero medio di figli per donna è sceso al livello di 1,60. E il contrario è chiaramente riscontrabile nella relazione fra popolazione anziana e durata della vita: solo il 5% ha 60 anni o più nei paesi a svilup- 133 po minimo dove la durata media della vita raggiunge solo i 54,6 anni, mentre gli anziani o i vecchi sono il 21% della popolazione nelle regioni più sviluppate del mondo, dove la durata media della vita tocca ben 76,5 anni. Le proporzioni di popolazione giovane, adulta e anziana sono quindi legate all’evoluzione della fecondità e della mortalità, variabili che finora sono risultate in linea di massima in discesa dappertutto nel mondo; ma i tempi di insorgenza della discesa e la sua velocità variano moltissimo tra le aree ed è quindi straordinariamente diverso lo stadio demografico in cui si trovano le varie popolazioni. Questo è uno dei punti chiave delle differenze territoriali dello sviluppo demografico: sarebbe tutto molto più semplice nella vita dei popoli e nelle relative analisi politiche ed economico-sociali se le popolazioni dei paesi del mondo seguissero universalmente lo stesso percorso demografico, con gli stessi tempi e la stessa velocità; ma questo è praticamente impossibile, visto che lo sviluppo demografico si lega da un lato a cultura e tradizioni locali e dall’altro allo sviluppo economico e sociale. Il legame chiarissimo fra età mediana, livello di fecondità e di durata della vita si ritrova quasi perfettamente nei vari continenti (sempre tabella 2) e nelle loro sub-regioni. Agli estremi si trovano i valori già citati. Si va dall’età mediana minima regi- 128-139 Golini n. 44 10-03-2009 8:22 Pagina 134 Tabella 2 • Le età dei popoli e i tassi di natalità Aree maggiori e regioni Età mediana al 2005 Percentuale al 2007 Valori medi Età Percentuale al 2050 di popolazione con 2005-10 mediana di popolazione con al 2050 meno 15-59 60 anni figli durata meno 15-59 60 di 15 anni e più per della di 15 anni anni e anni donna vita anni più Mondo 28,0 28 61 11 2,55 67,2 38,1 20 58 22 Paesi a sviluppo minimo Paesi meno sviluppati 19,0 41 54 5 4,63 54,6 27,9 28 62 10 26,6 28 63 9 2,45 67,9 39,4 19 58 23 Regioni più sviluppate 38,6 17 62 21 1,60 76,5 45,7 15 52 33 Africa 19,0 41 54 5 4,67 52,8 28,0 28 62 10 Africa subsahar. 18,0 43 52 5 5,13 50,0 26,7 29 62 9 America Lat.-Car. 26,0 29 62 9 2,37 73,3 40,0 18 58 24 Asia 27,6 27 63 10 2,34 69,0 40,2 17 59 24 134 Oceania 32,3 24 61 15 2,30 75,2 40,0 18 57 25 Nord America 36,3 20 63 17 2,00 78,5 41,5 17 56 27 Europa 38,9 16 63 21 1,45 74,6 47,3 14 51 35 Europa merid. 39,8 15 62 23 1,43 79,4 49,3 14 48 38 Note e Fonte: Si veda Tabella 1. strata nell’Africa subsahariana – 18 anni – cui corrispondono in media 5,13 figli per donna e 50 anni di durata della vita; di conseguenza ben il 43% della popolazione ha meno di 15 anni e soltanto il 5% ne ha 60 o più. All’altro estremo, il valore massimo dell’età mediana si ritrova nell’Europa meridionale con soltanto il 15% di popolazione giovane (un quarto di quella dell’Africa subsahariana) e il 23% di ultrasessantenni (quasi cinque volte la quota africana). Più o meno a metà strada sta l’Asia, con 28 anni di vita mediana, il 27% di popolazione giovane e il 10% di popolazione anziana, una struttura demografica che favorisce grandi – e in parte realizzate – potenzialità di sviluppo economico, nel senso che l’Asia attualmente non ha, come l’Africa, grandi frazioni di popolazione giovane cui destinare ingenti risorse per l’istruzione e la salute, né grandi frazioni di popolazione anziana, come l’Europa, cui destinare ingenti risorse per la salute e la previdenza. 128-139 Golini n. 44 10-03-2009 8:22 Pagina 135 COME CAMBIERÀ LA DISTRIBUZIONE DELLA FORZA LAVORO. Il decremento dei livelli di fecondità e di mortalità – che in varie parti del mondo perdurano su livelli bassissimi – induce ad aspettarsi che la frazione giovane della popolazione continui a diminuire e quella anziana a crescere, e quindi che continui a elevarsi l’età mediana, in particolare di 10 anni entro il 2050. In questo intervallo anche la popolazione in età lavorativa – qui considerata dai 15 ai 60 anni – subirà modificazioni assai profonde che avranno ripercussioni molto intense su tutti gli equilibri economici e geopolitici del mondo. In futuro, infatti, nei paesi a sviluppo minimo le attuali affollatissime leve giovanili scivoleranno nelle fasce di età lavorativa gonfiandole enormemente, mentre nelle regioni più sviluppate le attuali affollate leve di adulti scivoleranno nelle fasce di età anziana. Il risultato previsto è che la popolazione in età lavorativa dovrebbe aumentare nei paesi a sviluppo minimo di 646 milioni (+149%), nei paesi meno sviluppati di 672 milioni (+23%), mentre nelle regioni sviluppate dovrebbe diminuire di 111 milioni (-15%)1. Queste tendenze produrranno due conseguenze di straordinaria importanza. Il nodo più rilevante e difficile sarà quello di riuscire a creare – in primo luogo nei paesi economicamente più arretrati e poi anche in quelli intermedi – uno smisurato nu- 135 mero addizionale di posti di lavoro che siano economicamente “decenti”2. Dal momento che nelle età prese in considerazione il tasso di occupazione è di circa il 70%, ciò significa che a fronte di un aumento della popolazione in età lavorativa di oltre 1 miliardo e 300 milioni, per fronteggiare la sola offerta addizionale di origine demografica gli occupati dovrebbero aumentare di 923 milioni; una cifra che peraltro dovrebbe essere molto più alta se si volesse riassorbire la disoccupazione, il lavoro nero e il lavoro precario di oggi, nonché assorbire la maggiore offerta di lavoro derivante dalla prevista espulsione di occupati dall’agricoltura e dal maggiore inserimento delle donne nel mondo del lavoro. Anche dalla capacità di quei paesi di assorbire, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, una tale massa di offerta dipenderà l’aumento della pressione migratoria dei paesi meno sviluppati nei confronti di quelli più economicamente progrediti, i quali peraltro tenderanno di per sé a esercitare una maggiore attrazione in conseguenza del previsto calo della popolazione in età lavorativa. I PIÙ GIOVANI E I PIÙ VECCHI. Tutte queste dinamiche si ripropongono al livello territoriale più ridotto, quello dei singoli paesi, elencati nella tabella 3 dal più giovane al più anziano. 128-139 Golini n. 44 10-03-2009 8:22 Pagina 136 Il paese che oggi ha la popolazione più giovane è l’Uganda, con un’età mediana di 15,3 anni, il che vuol dire che la metà dei suoi 31 milioni di abitanti ha, per l’appunto, meno di 15,3 anni. Con questa struttura per età – del tutto simile a quella dei sette paesi più giovani del mondo, dove dal 47 al 49% dell’intera popolazione ha meno di 15 anni – è una forma di ipocrisia etica la pretesa dei paesi economicamente più progrediti di eliminare il lavoro minorile: è invece del tutto necessario con una tale elevatissima presenza di ragazzi, così come era necessario, ed è stato praticato, da noi nel corso dell’Ottocento. L’obiettivo per cui ci si può ragionevolmente battere è l’eliminazione del lavoro infantile. Il paese con la popolazione più vecchia è il Giappone dove l’età mediana è pari a 42,9 anni e il 25% della popolazione ha più di 60 anni; questa proporzione è ancora più Tabella 3 • I paesi più giovani e i più vecchi Paesi 136 Età Percentuale al 2007 Valori medi Età Percentuale al 2050 mediana di popolazione con 2005-10 mediana di popolazione con al 2005 meno di 15-59 60 anni figli per durata al 2050 meno di 15-59 60 anni 15 anni anni e più donna della 15 anni anni e più vita I paesi più giovani del mondo Uganda 15,3 49 47 4 6,46 51,5 23,3 33 61 6 Mali 16,0 48 47 5 6,52 54,5 24,6 32 61 7 Niger 16,0 48 47 5 7,19 56,9 21,1 37 57 6 Guinea Bissau 16,2 48 47 5 7,07 46,4 21,5 36 59 5 Rep Dem Congo 16,3 47 49 4 6,70 46,5 22,5 34 60 6 Liberia 16,4 47 49 4 6,77 45,7 21,2 37 58 5 Malawi 16,4 47 48 5 5,59 48,3 24,4 31 62 7 I paesi più vecchi del mondo Lettonia 39,3 14 63 23 1,29 72,7 49,3 13 50 37 Grecia 40,1 14 62 24 1,33 79,5 50,1 13 49 38 Slovenia 40,2 14 65 21 1,28 77,9 52,2 12 47 41 Bulgaria 40,8 14 65 21 1,31 73,0 52,3 12 48 40 Italia 42,0 14 60 26 1,38 80,5 50,4 13 48 39 Germania 42,1 14 61 25 1,36 79,4 49,4 14 49 37 Giappone 42,9 14 61 25 1,27 82,6 54,9 11 45 44 Fonte: Elaborazione propria su dati tratti da pubblicazioni varie della Population Division, United Nations, New York, 2007 e 2008 (parzialmente su www.unpopulation.org). 128-139 Golini n. 44 10-03-2009 8:22 Pagina 137 elevata per l’Italia, che si ritrova al terz’ultimo posto in termini di invecchiamento. La situazione dei paesi più vecchi richiede strategie complesse e complete per gestire i problemi creati dalla dinamica demografica all’interno del paese (soprattutto per quanto riguarda la sostenibilità della spesa pensionistica e della spesa sanitaria) ma anche sulla scena internazionale, tenendo conto che sul piano produttivo un paese vecchio si trova a dover competere con paesi dalla forza lavoro assai più giovane e qualitativamente non meno attrezzata dal punto di vista dell’istruzione e della formazione professionale, com’è il caso, fra gli altri, di Cina e India. Questi problemi sono destinati ad aggravarsi nei prossimi decenni, dal momento che si prevede che l’età mediana possa aumentare di ulteriori 8-12 anni e che le persone con 60 anni o più possano arrivare al 37-44% dell’intera popolazione. QUANDO LA POPOLAZIONE È UN’ARMA STRATEGICA. Le età dei popoli, la loro dimensione, la loro densità possono avere un ruolo di grandissimo rilievo anche nelle zone più calde del pianeta. Basta fare due soli esempi: uno riferito all’area del Medio Oriente, e in particolare alla Palestina, e uno riferito a Russia e Pakistan (tabelle 4a e 4b). La demografia contribuirà a cambiare radicalmente la geopoli- 137 tica delle due aree e dei rapporti fra i popoli. La situazione israelo-palestinese a) L’accrescimento della popolazione è stato assai più intenso per Israele fra il 1950 e il 2005, mentre dovrebbe essere assai più intenso per i palestinesi fra il 2005 e il 2050. b) La proporzione di popolazione giovane è straordinariamente più elevata tra i palestinesi, il 46%, che non per Israele, il 28%, mentre avviene il contrario per la popolazione anziana e vecchia. La popolazione palestinese è quindi molto più “infiammabile” di quella israeliana già solo per questo fattore, senza parlare di altri fattori pure molto importanti, come il grande svantaggio in termini di reddito pro capite e di istruzione. c) L’affollamento, già elevato in Israele, è intollerabilmente alto nei territori palestinesi, dove la densità potrebbe arrivare nel 2050 a ben 1705 abitanti per chilometro quadrato. d) La popolazione diventa così un’arma strategica nelle mani dei palestinesi. Si può ipotizzare che nella recentissima grave crisi Hamas abbia, con grande cinismo, usato la sola bomba in suo possesso, quella demografica, esponendo la sua popolazione a un inevitabile eccidio, nella convinzione che questa fosse la sua arma vincente. Che 128-139 Golini n. 44 10-03-2009 8:22 Pagina 138 Tabella 4a • Situazione demografica comparativa: Israele e Autorità Palestinese Paesi Popolazione (in migliaia) 1950 2005 2050 Popolazione con Popolazione con meno di 15 anni 60 anni o più (% sul totale) (% sul totale) Età mediana (in anni) Densità (ab/kmq) 2005 2050 2005 2050 1950 2005 2050 2005 2050 Israele 1.258 6.692 10.527 28,0 18,4 13,2 24,5 25,5 28,8 39,4 302 475 Autorità Palestinese 1.005 3.762 10.265 45,9 26,6 4,5 10,8 17,2 16,9 28,9 625 1705 Fonte: Elaborazione propria su dati tratti da pubblicazioni varie della Population Division, United Nations, New York, 2007 e 2008 (parzialmente su www.unpopulation.org). abbia voluto, cioè, spingere a una reazione l’opinione pubblica mondiale e i governi più sensibili, in modo da costringere Israele non soltanto ad arrestare l’azione militare, ma magari ad accettare una tregua a condizioni poco o per niente accettabili. La situazione di Russia e Pakistan 138 a) L’accrescimento della popolazione è stato, e con ogni probabilità continuerà a essere, assai più intenso per il Pakistan che non per la Russia, rovesciando completamente i rapporti demografici: nel 1950 il rapporto era di 3 russi per 1 pakistano; adesso sono all’incirca alla pari, mentre nel 2050 potrebbero esserci 3 pakistani per 1 russo. b) La proporzione di popolazione giovane è straordinariamente più elevata per il Pakistan, 37%, che non per la Russia, solo il 15%; il rapporto è invertito per la popolazione anziana e vecchia, che in proporzione è per la Russia quasi tre volte che per il Pakistan. Anche in questo caso, quindi, la popolazione pakistana è, a parità di altre condizioni, molto più “infiammabile” di quella russa. c) Al di là delle armi convenzionali e non convenzionali, anche in questo caso la popolazione diventa per dimensione (soprattutto in prospettiva), per composizione, per età e per densità, una vera e propria arma strategica. LA FORZA DIROMPENTE DELLA DEMOGRAFIA. Un elemento cruciale nella complessiva stabilità geo-politica, economica e sociale del mondo è costituito dalla natura differenziata – per tempo di insorgenza e velocità del processo – degli sviluppi demografici che determinano la diversa età dei popoli, traducendosi in una presenza assai differenziata di giovani, adulti, anziani, vecchi che si trovano a essere spesso rivali tanto all’interno di un singolo paese, quanto, ancora di più, nell’agone 128-139 Golini n. 44 10-03-2009 8:22 Pagina 139 Tabella 4b • Situazione demografica comparativa: Federazione Russa e Pakistan Paesi Popolazione (in migliaia) 1950 2005 Popolazione con Popolazione con meno di 15 anni 60 anni o più (% sul totale) (% sul totale) 2050 Età mediana (in anni) 2005 2050 2005 2050 1950 2005 2050 2005 2050 Russia 102.702 143.953 107.832 15,1 15,0 17,1 32,4 25,0 37,3 45,3 Pakistan 36.944 37,1 21,9 5,9 16,5 21,2 20,3 158.944 292.205 Densità (ab/kmq) 34,1 8 6 199 367 Nota: La Federazione Russa è considerata nei confini attuali. Fonte: Elaborazione propria su dati tratti da pubblicazioni varie della Population Division, United Nations, New York, 2007 e 2008 (parzialmente su www.unpopulation.org). internazionale. Un paese che si trova a uno stadio molto avanzato dello sviluppo demografico – ed è quindi un paese “anziano” – si può trovare a competere con un altro che si trova a mezza strada o con uno che si trova molto indietro ed è quindi un paese “giovane”. Ai fattori demografici si associano poi quelli sociali, economici, etnoculturali, etnoreligiosi e così via. Da qui la diffusa percezione della demografia come di una forza che, specie in prospettiva, può sconvolgere gli equilibri, spesso assai 139 precari, fra i diversi popoli e le diverse aree del mondo, rischiando di mettere in moto una catena di reazioni assai pericolose o addirittura distruttive. Una proposta che potrebbe agire nel senso della stabilizzazione della popolazione e della gestione dei problemi legati alla qualità della vita e quindi alle migrazioni internazionali, è quella di avviare ampi processi di integrazione, con la costituzione di grandi unioni regionali – quattro o cinque unioni a livello mondiale – che riuniscano tutti i popoli della terra, qualunque sia lo stadio demografico, economico e sociale nel quale si trovano. Nessuno Stato, preso singolarmente, può considerarsi una potenza globale, nemmeno gli Stati Uniti, come l’attuale crisi dimostra. Mettere in moto un processo integrativo, anche per cominciare ad arrivare a una moneta unica e alla libera circolazione di beni e persone come accade nell’Unione Europea, potrebbe consentire di superare le antiche e recenti rivalità all’origine di tante tragedie. È molto importante sottolineare che queste cifre sono calcolate tenendo conto di movimenti migratori “normali”, cioè in linea con le tendenze osservate negli ultimi anni. In particolare, esse includono una perdita migratoria media annua di 2-400.000 persone nei paesi a sviluppo minimo e di 1,8-2,5 milioni di persone nei paesi meno sviluppati, e un guadagno migratorio medio annuo di 2,3-2,5 milioni di persone nelle regioni economicamente progredite. 2 Secondo l’ILO possono essere considerati tali i lavori che consentono di guadagnare almeno 2 dollari al giorno. 1