Le età dei popoli - Aspen Institute Italia

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Le età dei popoli - Aspen Institute Italia
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Antonio Golini
Le età dei popoli
A determinare le diverse età dei popoli non sono solo le grandi tendenze
demografiche – livelli di fecondità, longevità, e così via. Di cruciale importanza sono anche i tempi e la velocità dei processi, che stanno cambiando gli equilibri demografici, quindi anche economici, politici e strategici. Ci avviamo verso un mondo dagli immensi squilibri in termini di
popolazione, con grandi masse di giovani concentrate nei paesi poveri e
grandi quantità di anziani concentrate nei paesi ricchi.
Così come un individuo ha un ciclo di vita che lo porta dall’età più giovane via via a
quella adulta e poi a quella anziana e senile – con tutte le relative implicazioni di ordine biologico, sociale, economico, psicologico, culturale – anche una popolazione ha un ciclo di vita
Accademico dei Lincei, Antonio Golini è
legato alla sua struttura per età; anche in questo caprofessore di demografia alla Sapienza di
so, con tutte le implicazioni del caso sul piano della
Roma. È stato presidente della Commissiostruttura normativa, politica, sociale, economica,
ne su Popolazione e Sviluppo all’ONU.
psicologica, culturale. Tale struttura può essere sintetizzata e descritta tramite l’età mediana, l’indicatore sintetico più usato per indicare l’età media di una popolazione: il che significa che metà della popolazione ha una
età minore del valore dell’età mediana e l’altra metà ne ha una maggiore.
Così, una popolazione con prevalenza di giovani presenterà evidentemente una bassa
età mediana; una popolazione con prevalenza di adulti un’età mediana intermedia, e
infine una popolazione con prevalenza di anziani e vecchi un’età mediana piuttosto
elevata. Mentre però il ciclo di vita di una persona è legato al suo progressivo, inevitabile e soprattutto irreversibile invecchiamento – in quanto l’età è una variabile unidirezionale, essendo legata al tempo – il ciclo di vita di una popolazione è legato al-
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la presenza più o meno larga di persone giovani, contrapposta a quella più o meno larga di persone adulte e a quella di persone anziane e vecchie. Questa presenza differenziale è funzione delle tendenze della mortalità, della fecondità e delle migrazioni
del passato (oltre che della struttura per età del passato), ma anche delle loro fluttuazioni di breve periodo; quindi la tendenza all’aumento della popolazione anziana
e alla diminuzione di quella giovane che si va registrando in tutte le regioni e nazioni del mondo, con il conseguente aumento dell’età mediana, si può interrompere o anche rovesciare.
GLI IMMENSI SQUILIBRI DEMOGRAFICI DI OGGI (E DI DOMANI). Il
mondo è giovane: la metà dei circa 6 miliardi e 700 milioni di persone che abitano
sulla faccia della terra ha meno di 28 anni, dal momento che proprio 28 è attualmente
l’età mediana della popolazione del mondo, forse più bassa di quella che si potrebbe
Tabella 1 • Età mediana della popolazione
Aree maggiori e regioni
Età mediana in anni (a)
2005
2050
Variaz.
2007
Popolazione in milioni
2050
Variaz.
Mondo
Paesi a sviluppo minimo (a)
Paesi meno sviluppati (b)
Regioni più sviluppate (c)
28,0
19,0
26,6
38,6
38,1
27,9
39,4
45,7
10,1
8,9
12,8
7,1
6.671
804
4.644
1.223
9.191
1.742
6.204
1.245
2.520
938
1.560
22
Africa
Africa subsahariana
America Latina-Caraibi
Asia
Oceania
Nord America
Europa
Europa meridionale
19,0
18,0
26,0
27,6
32,3
36,3
38,9
39,8
28,0
26,7
40,0
40,2
40,0
41,5
47,3
49,3
9,0
8,7
14,0
12,6
7,7
5,2
8,4
9,5
965
807
572
4.030
34
339
731
152
1.998
1 761
769
5.266
49
445
664
146
1.033
954
197
1.236
15
106
- 67
-6
(a) L’età mediana è l’indicatore sintetico più usato per indicare l’età media di una popolazione: sta a significare che metà della popolazione ha età
minore del valore dell’età mediana e l’altra metà ne ha una maggiore.
(b) I paesi a sviluppo minimo (nella locuzione inglese: least developed countries) comprendono i 50 paesi economicamente più arretrati del mondo:
34 in Africa, 10 in Asia, 5 in Oceania, 1 in America Latina e Caraibi.
(c) I paesi meno sviluppati comprendono le regioni meno sviluppate (nella locuzione inglese: less developed regions) meno i paesi a sviluppo minimo.
(d) Le regioni più sviluppate comprendono: Europa, Nord America, Australia-Nuova Zelanda, Giappone.
Fonte: Elaborazione propria su dati tratti da pubblicazioni varie della Population Division, United Nations, New York, 2007 e 2008
(parzialmente su www.unpopulation.org).
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immaginare (tabella 1). La variabilità è grandissima: in Africa l’età mediana è pari a
19 anni – e in particolare a 18 nell’Africa subsahariana, l’area più giovane del mondo, che conta ben 807 milioni di abitanti – mentre in Europa sale a 39 anni – e a 40
nell’Europa meridionale, l’area più vecchia del mondo che conta 152 milioni di abitanti, la metà dei quali ha più di 40 anni.
Già queste prime cifre mostrano come la demografia si intersechi in un gioco complesso ma del tutto evidente con variabili politiche e socioeconomiche oltre che culturali e psicologiche. I 403 milioni di abitanti dell’Africa subsahariana che hanno meno di 18 anni – per lo più poveri e con ridottissimo capitale umano – si trovano infatti a convivere in questo periodo storico con i 76 milioni di persone dell’Europa meridionale che hanno più di 40 anni: persone abbienti, con elevato capitale umano e
dotate di un ricchissimo patrimonio materiale e immateriale. Ci sono principalmente
questi enormi squilibri all’origine delle abbondanti, costose, travagliate e spesso tragiche migrazioni che dall’Africa subsahariana si dirigono verso le coste meridionali
dell’Europa. Per di più, si prevede che nell’Africa subsahariana entro il 2050 l’età
mediana salirà di quasi 9 anni fino a 27 anni, per una popolazione che dovrebbe ac132 crescersi di poco meno di 1 miliardo di persone; dall’altra parte, la previsione per
l’Europa meridionale è che l’età mediana salirà di quasi 10 anni fino a 49 anni, per
una popolazione che dovrebbe calare di 6 milioni. Sono perciò notevolissimi gli squilibri demografici tra le due aree, tanto che ci si può aspettare che le già forti tensioni migratorie aumentino a dismisura e diventino incontenibili. Seguiranno poi “contaminazioni” economiche e culturali, oltre che psicologiche, ma anche manifestazioni di aggressività e durezza, dal momento che una popolazione assai giovane e numerosa, largamente deprivata di beni materiali di base, può essere spinta ad azioni di
forza più di quanto possa esserlo una popolazione anziana, ridotta e con un’assai ampia dotazione di ben materiali e non. Le differenti età dei popoli possono anche generare diverse attitudini alla pace e alla guerra.
FECONDITÀ E LONGEVITÀ, DUE VARIABILI FONDAMENTALI. I valori
segnati dalle età mediane delle popolazioni sono il frutto della presenza differenziata di giovani, adulti e anziani. Sono strettamente legati al livello di fecondità –
che quanto più è alta, tanto più assicura un forte flusso di nascite e quindi di popolazione giovane – e al livello della longevità – che quanto più è alta, tanto più assicura un forte flusso di longevi e quindi di popolazione anziana e vecchia.
Nella tabella 2 queste relazioni sono ben evidenti: la proporzione di persone con me-
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no di 15 anni va da un massimo del 41%, nelle popolazione dei paesi a sviluppo minimo, dove il numero medio di figli per donna è pari a 4,63, a un minimo del 17%
nelle popolazioni del Nord del mondo, dove il numero medio di figli per donna è sceso al livello di 1,60. E il contrario è chiaramente riscontrabile nella relazione fra popolazione anziana e durata della vita: solo il 5% ha 60 anni o più nei paesi a svilup-
133
po minimo dove la durata media della vita raggiunge solo i 54,6 anni, mentre gli anziani o i vecchi sono il 21% della popolazione nelle regioni più sviluppate del mondo, dove la durata media della vita tocca ben 76,5 anni.
Le proporzioni di popolazione giovane, adulta e anziana sono quindi legate all’evoluzione della fecondità e della mortalità, variabili che finora sono risultate in linea di
massima in discesa dappertutto nel mondo; ma i tempi di insorgenza della discesa e
la sua velocità variano moltissimo tra le aree ed è quindi straordinariamente diverso
lo stadio demografico in cui si trovano le varie popolazioni. Questo è uno dei punti
chiave delle differenze territoriali dello sviluppo demografico: sarebbe tutto molto più
semplice nella vita dei popoli e nelle relative analisi politiche ed economico-sociali
se le popolazioni dei paesi del mondo seguissero universalmente lo stesso percorso
demografico, con gli stessi tempi e la stessa velocità; ma questo è praticamente impossibile, visto che lo sviluppo demografico si lega da un lato a cultura e tradizioni
locali e dall’altro allo sviluppo economico e sociale.
Il legame chiarissimo fra età mediana, livello di fecondità e di durata della vita si ritrova quasi perfettamente nei vari continenti (sempre tabella 2) e nelle loro sub-regioni. Agli estremi si trovano i valori già citati. Si va dall’età mediana minima regi-
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Tabella 2 • Le età dei popoli e i tassi di natalità
Aree maggiori
e regioni
Età
mediana
al 2005
Percentuale al 2007
Valori medi
Età
Percentuale al 2050
di popolazione con
2005-10
mediana
di popolazione con
al
2050
meno 15-59 60 anni figli durata
meno 15-59
60
di 15
anni
e più
per
della
di 15
anni anni e
anni
donna vita
anni
più
Mondo
28,0
28
61
11
2,55
67,2
38,1
20
58
22
Paesi a sviluppo
minimo
Paesi meno
sviluppati
19,0
41
54
5
4,63
54,6
27,9
28
62
10
26,6
28
63
9
2,45
67,9
39,4
19
58
23
Regioni più
sviluppate
38,6
17
62
21
1,60
76,5
45,7
15
52
33
Africa
19,0
41
54
5
4,67
52,8
28,0
28
62
10
Africa subsahar.
18,0
43
52
5
5,13
50,0
26,7
29
62
9
America Lat.-Car.
26,0
29
62
9
2,37
73,3
40,0
18
58
24
Asia
27,6
27
63
10
2,34
69,0
40,2
17
59
24
134 Oceania
32,3
24
61
15
2,30
75,2
40,0
18
57
25
Nord America
36,3
20
63
17
2,00
78,5
41,5
17
56
27
Europa
38,9
16
63
21
1,45
74,6
47,3
14
51
35
Europa merid.
39,8
15
62
23
1,43
79,4
49,3
14
48
38
Note e Fonte: Si veda Tabella 1.
strata nell’Africa subsahariana – 18 anni – cui corrispondono in media 5,13 figli per
donna e 50 anni di durata della vita; di conseguenza ben il 43% della popolazione ha
meno di 15 anni e soltanto il 5% ne ha 60 o più. All’altro estremo, il valore massimo
dell’età mediana si ritrova nell’Europa meridionale con soltanto il 15% di popolazione giovane (un quarto di quella dell’Africa subsahariana) e il 23% di ultrasessantenni (quasi cinque volte la quota africana). Più o meno a metà strada sta l’Asia, con 28
anni di vita mediana, il 27% di popolazione giovane e il 10% di popolazione anziana, una struttura demografica che favorisce grandi – e in parte realizzate – potenzialità di sviluppo economico, nel senso che l’Asia attualmente non ha, come l’Africa,
grandi frazioni di popolazione giovane cui destinare ingenti risorse per l’istruzione e
la salute, né grandi frazioni di popolazione anziana, come l’Europa, cui destinare ingenti risorse per la salute e la previdenza.
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COME CAMBIERÀ LA DISTRIBUZIONE DELLA FORZA LAVORO. Il decremento dei livelli di fecondità e di mortalità – che in varie parti del mondo perdurano su livelli bassissimi – induce ad aspettarsi che la frazione giovane della popolazione continui a diminuire e quella anziana a crescere, e quindi che continui a elevarsi l’età mediana, in particolare di 10 anni entro il 2050. In questo intervallo anche
la popolazione in età lavorativa – qui considerata dai 15 ai 60 anni – subirà modificazioni assai profonde che avranno ripercussioni molto intense su tutti gli equilibri
economici e geopolitici del mondo. In futuro, infatti, nei paesi a sviluppo minimo le
attuali affollatissime leve giovanili scivoleranno nelle fasce di età lavorativa gonfiandole enormemente, mentre nelle regioni più sviluppate le attuali affollate leve di
adulti scivoleranno nelle fasce di età anziana. Il risultato previsto è che la popolazione in età lavorativa dovrebbe aumentare nei paesi a sviluppo minimo di 646 milioni
(+149%), nei paesi meno sviluppati di 672 milioni (+23%), mentre nelle regioni sviluppate dovrebbe diminuire di 111 milioni (-15%)1.
Queste tendenze produrranno due conseguenze di straordinaria importanza. Il nodo
più rilevante e difficile sarà quello di riuscire a creare – in primo luogo nei paesi
economicamente più arretrati e poi anche in quelli intermedi – uno smisurato nu- 135
mero addizionale di posti di lavoro che siano economicamente “decenti”2. Dal momento che nelle età prese in considerazione il tasso di occupazione è di circa il
70%, ciò significa che a fronte di un aumento della popolazione in età lavorativa di
oltre 1 miliardo e 300 milioni, per fronteggiare la sola offerta addizionale di origine demografica gli occupati dovrebbero aumentare di 923 milioni; una cifra che peraltro dovrebbe essere molto più alta se si volesse riassorbire la disoccupazione, il
lavoro nero e il lavoro precario di oggi, nonché assorbire la maggiore offerta di lavoro derivante dalla prevista espulsione di occupati dall’agricoltura e dal maggiore
inserimento delle donne nel mondo del lavoro. Anche dalla capacità di quei paesi
di assorbire, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, una tale massa di offerta
dipenderà l’aumento della pressione migratoria dei paesi meno sviluppati nei confronti di quelli più economicamente progrediti, i quali peraltro tenderanno di per sé
a esercitare una maggiore attrazione in conseguenza del previsto calo della popolazione in età lavorativa.
I PIÙ GIOVANI E I PIÙ VECCHI. Tutte queste dinamiche si ripropongono al livello territoriale più ridotto, quello dei singoli paesi, elencati nella tabella 3 dal più
giovane al più anziano.
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Il paese che oggi ha la popolazione più giovane è l’Uganda, con un’età mediana di
15,3 anni, il che vuol dire che la metà dei suoi 31 milioni di abitanti ha, per l’appunto, meno di 15,3 anni. Con questa struttura per età – del tutto simile a quella dei
sette paesi più giovani del mondo, dove dal 47 al 49% dell’intera popolazione ha meno di 15 anni – è una forma di ipocrisia etica la pretesa dei paesi economicamente
più progrediti di eliminare il lavoro minorile: è invece del tutto necessario con una tale elevatissima presenza di ragazzi, così come era necessario, ed è stato praticato, da
noi nel corso dell’Ottocento. L’obiettivo per cui ci si può ragionevolmente battere è
l’eliminazione del lavoro infantile.
Il paese con la popolazione più vecchia è il Giappone dove l’età mediana è pari a 42,9
anni e il 25% della popolazione ha più di 60 anni; questa proporzione è ancora più
Tabella 3 • I paesi più giovani e i più vecchi
Paesi
136
Età
Percentuale al 2007
Valori medi
Età
Percentuale al 2050
mediana
di popolazione con
2005-10
mediana
di popolazione con
al 2005 meno di 15-59 60 anni figli per durata al 2050 meno di 15-59 60 anni
15 anni anni
e più donna della
15 anni anni
e più
vita
I paesi più giovani del mondo
Uganda
15,3
49
47
4
6,46
51,5
23,3
33
61
6
Mali
16,0
48
47
5
6,52
54,5
24,6
32
61
7
Niger
16,0
48
47
5
7,19
56,9
21,1
37
57
6
Guinea Bissau
16,2
48
47
5
7,07
46,4
21,5
36
59
5
Rep Dem Congo
16,3
47
49
4
6,70
46,5
22,5
34
60
6
Liberia
16,4
47
49
4
6,77
45,7
21,2
37
58
5
Malawi
16,4
47
48
5
5,59
48,3
24,4
31
62
7
I paesi più vecchi del mondo
Lettonia
39,3
14
63
23
1,29
72,7
49,3
13
50
37
Grecia
40,1
14
62
24
1,33
79,5
50,1
13
49
38
Slovenia
40,2
14
65
21
1,28
77,9
52,2
12
47
41
Bulgaria
40,8
14
65
21
1,31
73,0
52,3
12
48
40
Italia
42,0
14
60
26
1,38
80,5
50,4
13
48
39
Germania
42,1
14
61
25
1,36
79,4
49,4
14
49
37
Giappone
42,9
14
61
25
1,27
82,6
54,9
11
45
44
Fonte: Elaborazione propria su dati tratti da pubblicazioni varie della Population Division, United Nations, New York, 2007 e 2008
(parzialmente su www.unpopulation.org).
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elevata per l’Italia, che si ritrova al terz’ultimo posto in termini di invecchiamento. La
situazione dei paesi più vecchi richiede strategie complesse e complete per gestire i
problemi creati dalla dinamica demografica all’interno del paese (soprattutto per
quanto riguarda la sostenibilità della spesa pensionistica e della spesa sanitaria) ma
anche sulla scena internazionale, tenendo conto che sul piano produttivo un paese
vecchio si trova a dover competere con paesi dalla forza lavoro assai più giovane e
qualitativamente non meno attrezzata dal punto di vista dell’istruzione e della formazione professionale, com’è il caso, fra gli altri, di Cina e India. Questi problemi sono
destinati ad aggravarsi nei prossimi decenni, dal momento che si prevede che l’età
mediana possa aumentare di ulteriori 8-12 anni e che le persone con 60 anni o più
possano arrivare al 37-44% dell’intera popolazione.
QUANDO LA POPOLAZIONE È UN’ARMA STRATEGICA. Le età dei popoli, la loro dimensione, la loro densità possono avere un ruolo di grandissimo rilievo
anche nelle zone più calde del pianeta. Basta fare due soli esempi: uno riferito all’area del Medio Oriente, e in particolare alla Palestina, e uno riferito a Russia e Pakistan (tabelle 4a e 4b). La demografia contribuirà a cambiare radicalmente la geopoli- 137
tica delle due aree e dei rapporti fra i popoli.
La situazione israelo-palestinese
a) L’accrescimento della popolazione è stato assai più intenso per Israele fra il 1950 e
il 2005, mentre dovrebbe essere assai più intenso per i palestinesi fra il 2005 e il 2050.
b) La proporzione di popolazione giovane è straordinariamente più elevata tra i palestinesi, il 46%, che non per Israele, il 28%, mentre avviene il contrario per la popolazione anziana e vecchia. La popolazione palestinese è quindi molto più “infiammabile” di quella israeliana già solo per questo fattore, senza parlare di altri fattori pure molto importanti, come il grande svantaggio in termini di reddito pro capite e di
istruzione.
c) L’affollamento, già elevato in Israele, è intollerabilmente alto nei territori palestinesi, dove la densità potrebbe arrivare nel 2050 a ben 1705 abitanti per chilometro
quadrato.
d) La popolazione diventa così un’arma strategica nelle mani dei palestinesi. Si può
ipotizzare che nella recentissima grave crisi Hamas abbia, con grande cinismo, usato la sola bomba in suo possesso, quella demografica, esponendo la sua popolazione
a un inevitabile eccidio, nella convinzione che questa fosse la sua arma vincente. Che
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Tabella 4a • Situazione demografica comparativa: Israele e Autorità Palestinese
Paesi
Popolazione
(in migliaia)
1950
2005
2050
Popolazione con Popolazione con
meno di 15 anni 60 anni o più
(% sul totale)
(% sul totale)
Età mediana
(in anni)
Densità
(ab/kmq)
2005
2050
2005
2050
1950
2005 2050 2005 2050
Israele
1.258 6.692 10.527
28,0
18,4
13,2
24,5
25,5
28,8 39,4
302
475
Autorità
Palestinese
1.005 3.762 10.265
45,9
26,6
4,5
10,8
17,2
16,9 28,9
625
1705
Fonte: Elaborazione propria su dati tratti da pubblicazioni varie della Population Division, United Nations, New York, 2007 e 2008
(parzialmente su www.unpopulation.org).
abbia voluto, cioè, spingere a una reazione l’opinione pubblica mondiale e i governi
più sensibili, in modo da costringere Israele non soltanto ad arrestare l’azione militare, ma magari ad accettare una tregua a condizioni poco o per niente accettabili.
La situazione di Russia e Pakistan
138 a) L’accrescimento della popolazione è stato, e con ogni probabilità continuerà a essere, assai più intenso per il Pakistan che non per la Russia, rovesciando completamente i rapporti demografici: nel 1950 il rapporto era di 3 russi per 1 pakistano; adesso sono all’incirca alla pari, mentre nel 2050 potrebbero esserci 3 pakistani per 1 russo.
b) La proporzione di popolazione giovane è straordinariamente più elevata per il Pakistan, 37%, che non per la Russia, solo il 15%; il rapporto è invertito per la popolazione anziana e vecchia, che in proporzione è per la Russia quasi tre volte che per il
Pakistan. Anche in questo caso, quindi, la popolazione pakistana è, a parità di altre
condizioni, molto più “infiammabile” di quella russa.
c) Al di là delle armi convenzionali e non convenzionali, anche in questo caso la popolazione diventa per dimensione (soprattutto in prospettiva), per composizione, per
età e per densità, una vera e propria arma strategica.
LA FORZA DIROMPENTE DELLA DEMOGRAFIA. Un elemento cruciale
nella complessiva stabilità geo-politica, economica e sociale del mondo è costituito
dalla natura differenziata – per tempo di insorgenza e velocità del processo – degli
sviluppi demografici che determinano la diversa età dei popoli, traducendosi in una
presenza assai differenziata di giovani, adulti, anziani, vecchi che si trovano a essere
spesso rivali tanto all’interno di un singolo paese, quanto, ancora di più, nell’agone
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Tabella 4b • Situazione demografica comparativa: Federazione Russa e Pakistan
Paesi
Popolazione
(in migliaia)
1950
2005
Popolazione con Popolazione con
meno di 15 anni 60 anni o più
(% sul totale)
(% sul totale)
2050
Età mediana
(in anni)
2005
2050
2005
2050
1950 2005 2050 2005 2050
Russia
102.702 143.953 107.832
15,1
15,0
17,1
32,4
25,0
37,3 45,3
Pakistan
36.944
37,1
21,9
5,9
16,5
21,2
20,3
158.944 292.205
Densità
(ab/kmq)
34,1
8
6
199
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Nota: La Federazione Russa è considerata nei confini attuali.
Fonte: Elaborazione propria su dati tratti da pubblicazioni varie della Population Division, United Nations, New York, 2007 e 2008
(parzialmente su www.unpopulation.org).
internazionale. Un paese che si trova a uno stadio molto avanzato dello sviluppo demografico – ed è quindi un paese “anziano” – si può trovare a competere con un altro che si trova a mezza strada o con uno che si trova molto indietro ed è quindi un
paese “giovane”. Ai fattori demografici si associano poi quelli sociali, economici, etnoculturali, etnoreligiosi e così via. Da qui la diffusa percezione della demografia come di una forza che, specie in prospettiva, può sconvolgere gli equilibri, spesso assai 139
precari, fra i diversi popoli e le diverse aree del mondo, rischiando di mettere in moto una catena di reazioni assai pericolose o addirittura distruttive.
Una proposta che potrebbe agire nel senso della stabilizzazione della popolazione e
della gestione dei problemi legati alla qualità della vita e quindi alle migrazioni internazionali, è quella di avviare ampi processi di integrazione, con la costituzione di
grandi unioni regionali – quattro o cinque unioni a livello mondiale – che riuniscano
tutti i popoli della terra, qualunque sia lo stadio demografico, economico e sociale nel
quale si trovano. Nessuno Stato, preso singolarmente, può considerarsi una potenza
globale, nemmeno gli Stati Uniti, come l’attuale crisi dimostra. Mettere in moto un
processo integrativo, anche per cominciare ad arrivare a una moneta unica e alla libera circolazione di beni e persone come accade nell’Unione Europea, potrebbe consentire di superare le antiche e recenti rivalità all’origine di tante tragedie.
È molto importante sottolineare che queste cifre sono calcolate tenendo conto di movimenti migratori
“normali”, cioè in linea con le tendenze osservate negli ultimi anni. In particolare, esse includono una
perdita migratoria media annua di 2-400.000 persone nei paesi a sviluppo minimo e di 1,8-2,5 milioni
di persone nei paesi meno sviluppati, e un guadagno migratorio medio annuo di 2,3-2,5 milioni di persone nelle regioni economicamente progredite.
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Secondo l’ILO possono essere considerati tali i lavori che consentono di guadagnare almeno 2 dollari al
giorno.
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