Cap 15 - PoliCom

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Cap 15 - PoliCom
15. La propagazione in spazio libero
Scopo della comunicazioni ottiche è quello di trasmettere informazione
da un trasmettitore ad un ricevitore. Per fare questo utilizzando la
portante ottica due condizioni pratiche debbono essere verificate:
• una variabile del fascio ottico trasmesso deve essere modulata;
• la potenza trasmessa deve rimanere abbastanza confinata durante
la propagazione e potere essere agevolmente indirizzata al
ricevitore posto a qualsiasi distanza.
La prima condizione è necessaria per trasmettere informazione, una
grandezza che richiede sempre che si abbia una modulazione di un
segnale. La luce mette a disposizione solo le seguenti osservabili (cioè
variabili definibili anche nella teoria quantistica della luce) suscettibili di
modulazione: energia del fotone h" , numero di fotoni n, momento
lineare hk e momento angolare hl . Inoltre si può dimostrare che in
presenza di un campo fotonico sostenuto (come quello ad esempio
generato da una sorgente laser)
è possibile definire anche l’accessibilità
!
!alle grandezze di campo non
! rigorosamente definibile ottica quantistica e
cioè, l’ampiezza e la fase [Loudon ‘82]. Indurre variazioni di momento
lineare è possibile ad esempio con i deflettori elettro-ottici od acustoottici ma presenta ancora notevoli problemi di banda. Altrettanto
possibile è indurre variazioni di momento angolare ma la tecnica appare
complessa da applicare in mezzi non perfettamente isotropi. Le due
variabili più pratiche rimangono la modifica dell’energia dei fotoni
trasmessi, ovvero la modulazione della frequenza della luce ed ancora di
più la modulazione del numero di fotoni. Quest’ultima tecnica è quella
oggi comunemente impiegata e dà luogo alle trasmissioni cosidette OnOff-Keying, in cui cioè l’informazione è trasmessa come variazioni di 1
(presenza di un certo numero di fotoni nella slot temporale assegnata) e 0
(assenza o quasi assenza di fotoni). La tecnica di modulazione di
frequenza è più complessa da realizzare in ottica perché è più complesso
cambiare velocemente il colore dei fotoni emessi da una sorgente: anche
in questo caso comunque un “pacchetto” di fotoni deve essere trasmesso
dal trasmettitore al ricevitore. Recentemente inoltre si stanno esplorando
tecniche che utilizzano le proprietà di campo della luce per sviluppare
trasmissioni “multilivello”, in analogia con il campo radio classico. In
questi sviluppi, il simbolo trasmesso (e quindi sempre una intensità) porta
codificate informazioni di fase ed ampiezza. In sintesi, qualsiasi tecnica
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di modulazione si consideri rimane la necessità di inviare un certo
“numero di fotoni” nella slot temporale assegnata. Come già ricordato,
questo pacchetto di fotoni (che durante la rivelazione manifesta appieno
la sua quantizzazione) può essere visto in buona approssimazione,
(quando essi siano in un numero significativo indistinguibili, ovvero
“coerenti”) come una onda elettromagnetica in propagazione.
La seconda condizione che debbo ottemperare per realizzare un sistema
di comunicazioni ottico realistico è di trasportare il pacchetto di fotoni da
un luogo ad un altro in modo abbastanza confinato. La trasportabilità per
distanze ragionevolmente grandi (ed oggi il trasporto è garantito su
distanze pari a circonferenze terrestri...) di un certo numero di fotoni
richiede di trovare una tecnica per “confinare” perfettamente il campo
ottico: il successo delle comunicazioni ottiche è legata a questa capacità,
rappresentata in massimo grado dallo sviluppo della propagazione
monomodale in fibra ottica. La teoria sottostante alla propagazione in
fibra ottica è un continuum con la teoria che fornisce gli strumenti per
gestire la propagazione di un campo ottico, cioè la teoria della
diffrazione. La propagazione in fibra ottica rappresenta uno dei più grandi
successi tecnologici della seconda metà del secolo scorso ed è, anche dal
punto di vista teorico, una singolarità di non facile comprensione, niente
affatto intuitiva: al netto del fenomeno attenuativo, il campo ottico
propagante nelle fibre ottiche monomodali comunemente installate nelle
tratte terrestri e marine si mantiene confinato quasi perfettamente. E’
difficile stimare per quanta distanza il campo ottico possa rimanere
invariato durante la propagazione. La piena comprensione di questa
tecnologia e la singolarità della condizione propagativa nelle fibre ottiche
per telecomunicazioni si può raggiungere solo con un percorso che la
inquadri nella teoria sottostante la teoria della propagazione, cioè la teoria
della diffrazione della luce e la teoria della propagazione in uno spazio
libero. In altri termini, non si può avere una piena comprensione del
fenomeno propagativo in fibra ottica senza avere una piena comprensione
del fenomeno propagativi non-in fibra ottica.
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Premessa
In generale le Equazioni di Maxwell sono scritte come
"#H =
$D
$t
"#E =%
$B
$t
D = &E
B = µH
in cui ε è la permettività elettrica e µ la permeabilità magnetica,
D il vettore spostamento elettrico
B il vettore flusso magnetico
!
ed è
" = "r # "0 = costante dielettrica relativa # costante dielettrica del vuoto
µ = µr " µ0 = costante magnetica relativa " costante magnetica del vuoto
!
Applicando successivamente le relazioni di Maxwell ottengo che
!
" # (" # E ) = $µ
%
(" # H )
%t
ma essendo
!
"#H =$
%E
%t
ottengo
!
" # (" # E ) = $µ%
&2E
&t 2
dalla proprietà
!
" # (" # E ) = " $ ("E ) % " 2 E
ottengo che
!
$ "# '
*2E
" 2 E + "& E
) = #µ 2
% # (
*t
$
%
e se "& E
!
!
"# '
)= 0
# (
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" 2 E = #µ
$2E
$t 2
equazione delle onde
la stessa relazione la posso scrivere anche per il campo magnetico
!
" 2 H = #µ
$ 2H
$t 2
equazione delle onde
per quanto prima definito
!
"µ = ("r # "0 )(µr # µ0 )
ed è in generale per il vuoto εr=µr=1, mentre
!
"0 = 8,854 #10$12
µ0 = 4 % #10$7
Ampere # secondi
Volt # metri
Volt # secondi
Ampere # metri
per cui
!
"µ = ("0 )(µ0 ) = 8,854 #10$12 4 % #10$7 = 1112,6 #10$20
secondi 2
metri 2
Chiamo
!
!
1
1
1
=
=
= 3#10 8 m /s = c
$10
$20
33,3557 #10
" 0µ 0
1112,6 #10
velocità della luce nel vuoto
In generale, in un mezzo dotato di indice di rifrazione n, la velocità della
luce diminuisce e diventa
v=
1
1
=
"µ
"0µ0
1
1
1
=c
=c
n
" r µr
" r µr
dove l’indice di rifrazione n è quindi definito come
!
n = " r µr =
" µ
indice di rifrazione
" 0 µ0
spesso per i mezzi trasparenti µ0 rimane 1 e quindi
!
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n = "r =
!
!
"
"0
Può ora succedere che per alcune regioni spettrali o in alcune situazioni
create artificialmente operando sui materiali a livello nanometrico
(metamateriali) sia ε negativo o µ negativo od entrambi siano negativi.
In questo caso si ha
n=
"#
#
=i
= in mezzo
#0
#0
n ==
"$ µ'
& # ) = in mezzo
" 0 % µ0 (
n mezzo
!
$ " '$ µ '
n = "rµr = &# )& # )
% "0 (% µ0 (
# n mezzo materiale con indice negativo
!
si creano cioè dei materiali artificiali in cui le comuni leggi dell’ottica
sono modificate: in particolare il vettore di Pointing , che indica la
direzione del flusso di energia elettromagnetica ed è definito come
S = E "H
!
avrà direzione opposta al vettore d’onda k: questi materiali si chiamano
left materials.
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15.1 L’equazione delle onde in forma ridotta ed il
concetto di modo
L’opportuna combinazione delle 4 equazioni di Maxwell
"#H =
!
$D
$t
"#E =%
$B
$t
D = &E
B = µH
(in cui ε è la permettività elettrica e µ la permeabilità magnetica) in un
ambiente privo di cariche e correnti, omogeneo ed isotropo, per un
generico campo E (x,y,z,t) conduce ad una espressione nella sola
variabile E del tipo
$ "# '
*2E
" 2 E + "& E
=
#µ
)
% # (
*t 2
!
Se E è un campo sinusoidale nel tempo con pulsazione ω (come sono tutti
i campi ottici)
E = E ( x, y,z) " e i#t
il secondo termine diventa
!
"µ
!
#2E
%2
2
=
$
%
"µ
E
=
$
E = $k 2 E
2
2
#t
v
dove v2 è la velocità della luce nel mezzo, cioè c/n (essendo n l’indice di
rifrazione) e k2 è il quadrato del vettore d’onda di propagazione nel
mezzo, cioè
$ 2" ' 2 2
k = k n =& ) n
% #(
2
!
2
0
2
L’espressione di Maxwell assume una forma semplificata se la costante
dielettrica del materiale è costante o la sua variazione nello spazio è
piccola. In questo caso infatti il secondo termine del membro a sinistra
dell’espressione è zero o trascurabile. Affinché sia trascurabile ad
esempio rispetto al termine al secondo membro deve essere che
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2
$ "# '
* 2 E $ 2+ ' 2
"& E
) << #µ 2 = & ) n E
% # (
% ,(
*t
!
Il primo termine di questa espressione, scegliendo per fissare le idee una
andamento di ε solo verso una coordinata, x ad esempio, può essere
approssimato come
$ d 2# 1 ' d
$ "# ' d
$ d# 1 '
$ d# 1 '
$ d# 1 ' 2, $ d# 1 '
"& E
E *&
E *&
E&
)=
) + E&
) = kE &
)=
)
)+
% # ( dx
% dx # (
% dx # (
% dx # ( - % dx # (
% dx # ( dx
e quindi la relazione precedente sarà verificata per
!
2
2" % d$ 1 ( % 2" ( 2
E'
* << ' * n E
# & dx $ ) & # )
cioè per
!
!
$ "1 # "2 1 ' $ 2* ' 2
&
) << & )n
% x1 # x 2 " ( % + (
Se supponiamo che la variazione di costante dielettrica avvenga in uno
spazio dell’ordine di grandezza di una lunghezza d’onda della luce,
questo significa imporre che
"# << 2$# 2
!
Per le strutture come le fibre ottiche di telecomunicazione, dove i salti
d’indice che delimitano la zona di interfaccia core-cladding sono
dell’ordine di qualche percento (e spesso l’interfaccia core cladding è un
continuo), questa relazione è sempre verificata. E’ quindi possibile
semplificare l’espressione di Maxwell nella seguente equazione delle
onde in forma ridotta (si usa questo termine perché viene omessa la
derivazione rispetto al tempo, che è data implicita) o equazione di
Helmholtz
"2E + k2E = 0
!
Questa è in generale una equazione “vettoriale” nel senso che vale per
campo vettoriale E(x,y,z). Se vale la condizione sopra riportata di una
propagazione in uno spazio omogeneo o in cui la costante dielettrica sia
debolmente variabile, le componenti ψ del vettore campo (componenti
cartesiane, sferiche o cilindriche a seconda del sistema di riferimento
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scelto) non si “miscelano” fra di loro e l’equazione delle onde si può
risolvere a “variabili separate”: le singole componenti danno quindi luogo
a tante equazioni di Helmholtz scalari del tipo
" 2# + k 2# = 0
!
L’equazione di Helmoltz (sia vettoriale che scalare) è una equazione agli
autovalori, una tipologia di equazioni di grande importanza nella fisica.
Essa esprime in forma matematica il concetto secondo il quale
l’operazione matematica condotta sulla funzione ψ nel membro a sinistra
dell’uguale (un operatore è, matematicamente parlando, una “legge” che
trasforma una funzione in un’ altra appartenente alla stessa “classe”: il
Laplaciano " 2 che emerge dalle equazioni di Maxwell è un classico
esempio di operatore che opera sulle funzioni appartenenti alla classe
delle funzioni derivabili) non modifica la funzione stessa a meno di una
costante
(rappresentata in questo caso da k2). Solo alcune funzioni o
!
famiglie di funzioni godono di questa proprietà e sono per questo
chiamate autofunzioni: il corrispondente valore di k viene chiamato
autovalore. Seguendo la rappresentazione data da [P.A.M.Dirac’30]
possiamo immaginare la funzione sia rappresentata da un vettore e
l’operatore rappresentato da una matrice.
Si può dimostrare che affinché l’equazione agli autovalori sia verificata è
necessario che la matrice sia del tipo diagonale: questo significa scegliere
un opportuno sistema di riferimento per l’equazione stessa, cioè scegliere
una opportuna “base” su cui proiettare sia l’operatore e la autosoluzione.
L’equazione agli autovalori così rappresentata indica che l’operazione
condotta sul vettore ψ nella corretta base di riferimento (chiamata anche
base della rappresentazione) non modifica la “direzione” del vettore ma
solo, eventualmente, il suo modulo (tramite i valori assunti da k).
Siccome definisco “operazione di simmetria” proprio quella operazione
che lascia invariato l’oggetto sulla quale l’operazione è avvenuta, posso
interpretare l’equazione agli autovalori come “operazione di simmetria”
(descritta dall’operatore nella base di riferimento scelta) e la ricerca della
sua soluzione come la ricerca di un particolare vettore che risulti
simmetrico all’operazione stessa, in altri termini che possieda tutti i gradi
di simmetria dell’operazione che sto conducendo. Ad esempio,
l’operazione di simmetria “specchio” è eseguibile su di un vettore
“parallelo” ma non su di un vettore “ortogonale”: in questo caso il primo
vettore è autosoluzione o autovettore dell’equazione agli autovalori
“specchio”.
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Risolvere l’equazione di Helmholtz significa quindi trovare quelle
funzioni-autosoluzioni che, nel particolare sistema di riferimento scelto,
possiedano le simmetrie dell’operatore stesso ovvero non cambino
quando questo agisce su di esse. Queste autosoluzioni debbono inoltre
essere compatibili con le condizioni al contorno poste dal problema, in
generale delle condizioni fisiche che limitano la scelta delle possibili
autosoluzioni. Queste particolari autosoluzioni, soluzioni dell’equazione
agli autovalori e compatibili con le condizioni al contorno sono i modi
della struttura in esame. Il concetto di “modo” trascende lo specifico
problema qui affrontato ed è trasversale in tutta la fisica e l’ingegneria.
Esso è un concetto molto potente che coniuga saperi interdisciplinari
trasferendo le proprietà da una disciplina all’altra.
Nel seguito, siccome avremo a che fare con spazi omogenei o con lo
spazio cilindrico della fibra ottica di telecomunicazioni che presenta un
“debole” salto d’indice fra core e cladding, useremo spesso l’equazione di
Helmoltz nella sua formulazione “scalare” e lavoreremo sempre con una
funzione di campo che genericamente chiameremo y, scomponibile
secondo le componenti proprie del sistema di riferimento usato.
Vedremo innanzitutto quali sono le autosoluzioni nello spazio cartesiano
e sferico ed approfondiremp il problema per lo spazio caratteristico della
propagazione in comunicazioni ottiche, cioè lo spazio “cilindrico”.
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15. 2 Autosoluzioni dell’equazione di Helmholtz in uno
spazio cartesiano e sferico omogeneo
Consideriamo uno spazio cartesiano x,y,z omogeneo ed isotropo.
Esplicitando l’operatore Laplaciano in questo spazio, l’equazione di
Hemholtz
" 2# + k 2# = 0
diventerà
!
!
" d2
d2
d2 %
+
+
( + k 2( = 0
$ 2
2
2'
dy
dz &
# dx
La soluzione più semplice che soddisfa questa equazione è una soluzione
di campo conosciuta come onda piana con ampiezza costante (ad
esempio unitaria) e propagazione secondo un asse principale (ad esempio
z) e quindi con fase che varia sinusoidalmente in funzione della
coordinata di propagazione secondo la legge
" (z) = 1# e$ikz
dove k viene definito “vettore d’onda”
!
k=
!
"
n
v
che ha modulo secondo la definizione già data in precedenza e direzione
normale al fronte d’onda dell’onda piana, secondo n . E’ allora
d2
" + k 2" = #k 2" + k 2" = 0
2
dz
!
!
Fisicamente la soluzione “onda piana” possiede la stessa simmetria dello
spazio omogeneo e cartesiano (x,y,z) ed è quindi una buona autosoluzione
del problema.
Consideriamo ora uno spazio sferico (r,θ,φ) omogeneo ed isotropo.
Esplicitando l’operatore Laplaciano in questo spazio otteniamo una
equazione di Helmholtz vettoriale del tipo
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+ "2 2 "
1 % 1 "2
"2
" (.
2
+ 2' 2
+
+
cot
#
- 2+
*01 + k 1 = 0
2
2
"
r
r
"
r
r
sin
#
"$
"#
"#
&
)/
,
!
Una possibile soluzione che soddisfa questa equazione è una soluzione di
campo isotropa negli angoli θ e φ e quindi funzione inversa di r nel
campo ed ancora funzione sinusoidale, sempre di r, nella fase. Questa
soluzione, molto importante in tutta la fisica ottica, è conosciuta come
onda sferica, perché rappresenta un fronte d’onda sferico che si propaga
nello spazio ed è descritta da una espressione di campo del tipo:
" (r) = 1#
!
e$ikr
r
L’equazione agli autovalori per questa soluzione diventerà quindi
l’equazione scalare del tipo
# "2 2 "
&
+ k 2 () = 0
% 2+
r "r
$"r
'
ed infatti ottengo
!
!
$ "2 2 "
' #ikr $2ik 2
- 2 ' e#ikr
2 *1
2 e
2
#k )
=&
+ 2 # k # , + ik / + k )
=0
& 2+
.
r "r
r
r+r
% r
( r
%"r
( r
Fisicamente la soluzione “onda sferica” possiede la stessa simmetria dello
spazio sferico (r,θ,φ) ed è quindi una buona autosoluzione del problema
(nello specifico, si può dimostrare che essa è anche una buona soluzione
per lo spazio cartesiano in quanto una “sfera” è simmetrica anche in uno
spazio cartesiano).
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15.3 Autosoluzioni dell’equazione di Helmholtz in uno
spazio cilindrico: autosoluzioni di Bessel
Lo spazio cilindrico è il più importante per le comunicazioni ottiche
perché le fibre ottiche possiedono una geometria cilindrica, le lenti
possiedono una geometria cilindrica, e molti altri componenti
optoelettronici (fotodiodi, filtri, alcune sorgenti laser, ecc.) possiedono
una simmetrica cilindrica.
Vediamo quindi come si trasforma l’equazione agli autovalori di
helmholtz nel caso di uno spazio cilindrico di coordinate (r,θ, z).
Sostituendo il Laplaciano in coordinate cilindriche ottengo l’equazione di
Helmholtz vettoriale
$ "2 1 "
1 "2
"2 '
+ 2 2 + 2 )* + k 2* = 0
& 2+
r "r r "#
"z (
%"r
!
che può risultare conveniente scrivere introducendo il Laplaciano
traverso " T2 definito come
#2 1 # 1 #2
" T2 = 2 +
+
#r
r #r r 2 #$ 2
!
per cui risulta
!
!
$ 2 #2 '
2
&" T + 2 )* + k * = 0
#
z
%
(
Operando in regime di separazione delle variabili l’autosoluzione " sarà
esprimibile come prodotto di tre funzioni
" = R(r)#($ )Z(z)
!!
!
Sostituendo questa funzione prodotto nella equazione di Helmholtz e
dividendo per la funzione stessa ottengo
1 " 2 R 1 1 " R 1 1 " 2# 1 " 2 Z
+
+ 2
+
+ k2 = 0
2
2
2
R "r
R r "r r # "$
Z "z
ovvero
!
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1 2
1 % 2Z
# T R" = $k 2 $
R"
Z %z 2
!
Siccome le tre variabili della equazione sono indipendenti i due membri
saranno separatamente uguali alla stessa costante che chiamo "# 2 .
Considero ora l’equazione agli autovalori al secondo membro, in Z
1 $ 2Z
"# = "k "
Z $z 2
2
!
2
da cui
!
!
" 2Z
= Z (# 2 $ k 2 )
2
"z
Per la autofunzione Z cerco una soluzione che sia invariante rispetto alla
coordinata z, ad esempio una soluzione che produca solo un ritardo di
fase del tipo
Z = e"i#z
!
dove ho introdotto la costante di propagazione β. sostituendo questa
soluzione nella equazione precedente ottengo l’autovalore di Z
"2 = k2 #$2
Considero ora l’equazione al primo membro che pure eguaglio a "# 2
!
!
1 2
# T R" = $% 2
R"
!
Anche questa equazione è separabile in due equazioni differenziali
ognuna delle quali eguagliabili ad una costante che chiamo µ 2 . Sarà
quindi:
µ2 = "
1 1 $ 2#
r 2 # $% 2
!
da cui
!
"
!
1 # 2$
= µ 2$
2
2
r #%
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cerco per l’autofunzione Θ una soluzione che sia simmetrica rispetto alla
rotazione, ad esempio una funzione del tipo
"(# ) = e il#
!
in cui il parametro l potrà assumere solo valori interi che soddisfano
l’equazione
l" = 2#
!
Sostituendo questa soluzione nella equazione precedente ottengo per
l’autovalore l il valore
l2
= µ2
r2
Considero ora l’ultima equazione rimasta, quella in R
!
1 " 2 R 1 1 "R
l2
2
+
+
#
=
R "r 2 R r "r
r2
ovvero
!
+ " 2 1 " % 2 l 2 (.
+ '# $ 2 *0R( r) = 0
- 2+
r "r &
r )/
,"r
Questa equazione è conosciuta come Bessel differential equation.
!
Si può dimostrare che questa equazione possiede almeno 6 famiglie di
autosoluzioni, tutte appartenenti alle funzioni di Bessel e chiamate
rispettivamente funzioni di Bessel del primo tipo o J e secondo tipo o Y;
funzioni di Bessel di terzo tipo o Hankel di prima specie H (1) e Hankel di
seconda specie H ( 2) ; funzioni di Bessel di argomento immaginario o
Bessel I e Bessel K.
!
!
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Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
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Se consideriamo le soluzioni più semplici, le funzioni di Bessel del primo
tipo J, le autosoluzioni cercate sono rappresentate dalla funzione J l ("r) di
argomento κr ed ordine l definite come
k
%
(#1) $ ("r /2)
J l ("r) = &
k!( l + k )!
k= 0
!
n +2k
!
Sostituendo la funzione di Bessel nella equazione precedente, si può
dimostrare che essa viene verificata. Infatti, se consideriamo per
semplicità il caso di κ = 1, chiamiamo U(R) l’equazione differenziale, ed
introduciamo la notazione compatta
k
(#1)
" k = n +2k
2
k!( l + k )!
otteniamo che
!
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#
#
U(R) = $ [( l + 2k )( l + 2k "1) + ( l + 2k ) " l ]% k r
2
k= 0
#
l +2k"2
+ $% k r l +2k =
k= 0
#
= $ 4% k k ( l + k )r l +2k"2 + $% k r l +2k =
k=1
k= 0
#
= $ [ 4% k +1 ( k + 1)( l + k + 1) + % k ]r l +2k
k= 0
!
Siccome la parentesi quadra è identicamente zero, l’equazione è
dimostrata.
La funzione di Bessel del primo tipo J0 di ordine 0 è illustrata in figura
in funzione del raggio. Come si vede, essa è una funzione infinitamente
estesa formata da un lobo centrale circondato da una serie infinita di
anelli: per dimensioni del raggio molto grandi, il campo in questi anelli
tende ad avere un andamento sinusoidale in κr. La funzione J assume
però valori finiti per argomento che tende a zero (e quindi al centro del
fascio) ed in particolare valore zero per ogni l diverso da zero ( l =1,2,3,
ecc.). Essa è quindi una funzione “confinata” al centro del fascio e per
questo fisicamente interessante.
E’ importante considerare anche le altre soluzione dell’equazione in R. Si
definisce funzione di Bessel del secondo tipo Y la funzione
Yl ("r) =
!
J l ("r) cos l# $ J$l ("r)
sin l#
Si può dimostrare che questa funzione soddisfa pure la Bessel
Differential Equation. Essa però per valori “interi” di l tende a divergere e
non è più confinata. Per questo motivo essa non viene utilizzata per
rappresentazione di grandezze fisiche. E’ più interessante la terza
famiglia di soluzioni, chiamate funzioni di Hankel di prima e seconda
specie. Esse sono definite come (vedi figura)
H l(1) ("r) = J l ("r) + iYl ("r)
e
H l( 2) ("r) = J l ("r) # iYl ("r)
!
Queste soluzioni sono pure divergenti per valori interi di l , ma si può
dimostrare che per argomento molto grande, al limite infinito, producono
una soluzione esponenziale, positivo la H l(1) e negativo la H l( 2) . Rimane
quindi fisicamente interessante solo la soluzione di Hankel del secondo
!
!
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tipo. Una altra coppia di funzioni sono soluzione dell’equazione di Bessel
con argomenti immaginari, che solitamente sono indicati come γr. Esse
sono definite come (vedi figura):
Il ("r) = e#il$ / 2 J l (%re i$ / 2 )
K l ("r) = #
!
i$ #il$ / 2 (2)
e
H l (%re#i$ / 2 )
2
di queste due funzioni, la prima è riconducibile alle funzioni Bessel Jl,
mentre la seconda, conosciuta anche come funzione di Hankel del
secondo tipo modificata o Bessel K o Bessel iperbolica, appare
interessante perchè è connessa alla funzione di Hankel del secondo tipo
con il vantaggio di prevedere un argomento immaginario: essa può essere
utilmente impiegata (come vedremo successivamente) ad esempio in
presenza di campi di tipo evanescente (che presentano un vettore d’onda
immaginario).
In sintesi, due funzioni appaiono fisicamente interessanti nella
descrizione del campo propagante: la Bessel J in quanto è finita anche
per r che tende a zero, e la Bessel K in quanto decade esponenzialmente
ed è dotata di argomento immaginario.
L’andamento asintotico per kr grande delle due autosoluzioni di Bessel
considerate è
J l ("r) =
!
!
K l (i"r) #
&
2
1
1 )
# cos("r $ l% $ % + # bounded terms
'
"r
2
4 *
$ %"r
e
2"r
mentre per piccoli argomenti, la funzione di Bessel K si può approssimare
come
2
K 0 ("r) # log
"r
!
% "r ($l
1
K l ("r) # ( l $1)!' *
&2)
2
In sintesi le autosoluzioni dell’equazione di Helmholtz in uno spazio
cilindrico che sembrano fisicamente appropriate sono :
nell’intorno dell’asse z (κr piccoli e reali)
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
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" ( r,#,z,t ) = J l ($r) % e il# % e&i'z % e i(t
(in figura è illustrato questo campo per l=0)
!
per grandi valori di κr immaginari
" ( r,#,z,t ) = K l ($r) % e il# % e&i'z % e i(t
(in figura è illustrato nelle vicinanze di r=0 dove diverge)
!
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
20
E’ abbastanza curioso che solo molti anni dopo la formulazione delle
soluzioni di propagazione per i fasci laser e per le fibre ottiche, sia stata
attirata l’attenzione su queste funzioni come possibile soluzione al
problema della propagazione in ottica. Nel 1987 (Durnin ’87, ‘88)
propose di considerare una funzione di Bessel J come autosoluzione
dell’equazione delle onde in propagazione libera.
Veniva fatto osservare che se si generava questa autosoluzione e si faceva
propagare (ad esempio come funzione del tipo J0) la potenza confinata
nel lobo centrale rimaneva costante: in questo modo si sarebbero prodotti
dei fasci che, differentemente dai fasci laser allora conosciuti (che erano
sostanzialmente tutti di tipo “Gaussiano” come vedremo nei paragrafi
successivi) sarebbero stati “diffraction free”, non avrebbero cioè subito
l’allargamento inevitabile dei fasci laser. In realtà, la soluzione venne
sperimentalmente prodotta anche in modo semplice (vedi figura) ma
subito ci si accorse che via via che la propagazione si sviluppava la
soluzione “perdeva” gli anelli esterni della funzione di Bessel (vedi
figura).
In effetti, ogni anello della funzione di Bessel contiene all’incirca tanta
potenza quanta ne contiene l’anello centrale e per generare una soluzione
“stabile” occorrerebbe quindi una potenza infinita: disponendo
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
21
inevitabilmente di un generatore di una funzione di Bessel troncata ad un
certo numero di anelli, la diffrazione fa “perdere” gli anelli più esterni e
dopo un certo cammino il lobo centrale decade grosso modo come una
gaussiana (essendo descritto da una funzione molto simile). E’
interessante osservare che in questa soluzione gli anelli esterni
“proteggono” dalla diffrazione gli anelli più interni, conservando la
propagazione diffraction free per tutta la zona interna di anelli.
Ritroveremo al capitolo delle fibre ottiche le soluzioni di Bessel
(storicamente formulate molti anni prima della proposta di Durnin, nel
’60 da Snitzer ed ancora prima, nel ’48 da un italiano Abele) che allora
sembravano caratteristiche delle fibre ottiche ed in generale della
propagazione guidata. Anche nelle fibre ottiche vengono “protette” le
zone degli anelli interni della Bessel J ma con una strategia duratura,
mediante il raccordo con una soluzione di Bessel che decade
esponenzialmente, cioè con la soluzione Bessel K (o Bessel H ( 2) ).
!
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
22
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
23
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
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15.4 Parametri di propagazione e fase di Gouy
Il parametro κ ha le dimensioni di “frequenza spaziale” ed è un
parametro che incontreremo ogni volta che avremo a che fare con
autosoluzioni di campo non-elementari (onde piane o sferiche) in cui il
campo presenta una variabilità traversa. Il parametro κ risulta poi
diverso da zero solo per una propagazione il cui vettore d’onda, che
abbiamo indicato con β , sia è minore di k, il vettore d’onda proprio della
propagazione ad onda piana o sferica, è cioè
k2 = "2 + #2
!
Questa scrittura ci porta ad identificare β come “componente di k nella
direzione dello scorrimento di fase della autosoluzione” ovvero nella
direzione di propagazione dell’autosoluzione stessa (nel nostro caso
l’asse “z”) e κ come un vettore d’onda traverso che “chiude” un triangolo
pitagorico virtuale avente k come ipotenusa (vedi disegno). Occorre
chiarire esplicitamente che il triangolo pitagorico dei vettori d’onda di
propagazione è solo una rappresentazione matematica in quanto
fisicamente β è allineato con k.
Il fatto che l’autosoluzione con forma complessa come le funzioni di
Bessel propaghi con un vettore d’onda minore di quello che aspetterebbe
ad una autosoluzione semplice significa che queste forme d’onda
“avanzano in fase” rispetto ad esempio alle onde piane. La ragione di
questo avanzamento di fase è riportabile alla variabilità trasversa del
campo stesso e si osserva ogni qualvolta un campo ottico viene costretto
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
25
in una regione di spazio confrontabile con la lunghezza d’onda della luce,
ad esempio una zona focale di una lente o un campo propagante in modo
guidato (come il modo di una fibra ottica). Esso è chiamato anomalia di
fase di Gouy o più semplicemente fase di Gouy ΦG dal nome del fisico
francese C.R. Gouy che per primo, nel 1890, notò che la luce che
riemergeva da una focalizzazione accumulava un anticipo di fase pari a
π/2 (traccia di questo anticipo lo ritrova nella formulazione classica
dell’integrale di Huygens-Fresnel ed è il fattore i che compare a
moltiplicare l’integrale, come suggerito da [Siegman ‘86] da cui sono
tratte anche le figure seguenti (che si riferiscono però ad uno spazio
cartesiano in cui il salto di fase è il doppio dello spazio cilindrico).
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
26
Riconsideriamo l’equazione di
identificazione del parametro κ2
Helmholtz
che
ha
portato
alla
1 2
# T R" = $% 2
R"
!
possiamo vedere questa equazione come equazione agli autovalori di cui
κ2 è autovalore
" T2 R# = $% 2 R#
da cui
% T2 R&
R&
!
"2 = k2 # $2 = #
!
cioè il vettore d’onda traverso κ (e di consequenza anche il β) nasce in
conseguenza dell’esistenza di una funzione trasversa del campo
propagante R(r) (la funzione " contribuisce solo con la costante l2) che
presenta una variabilità, cioè una forma per cui la sua derivata seconda
!
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
27
!
non si annulli. Ad esempio se considerassimo una onda piana per essa
" T2 Rondapiana sarebbe identicamente zero e quindi non avrei la nascita del
vettore κ. L’operatore Laplaciano è solitamente connesso ad un
fenomeno diffusivo in atto: fenomeno che sorge per la luce quando
tentiamo di confinarla in uno spazio ristretto (esso è infatti
matematicamente la divergenza di un gradiente e regola l’equazione della
diffusione che è pure chiamata equazione di Helmholtz). Questa
definizione è in accordo con quanto anche recentemente dimostrato da [S.
Feng and G. Winful ‘01] che giustamente addebitano l’insorgenza della
fase di Gouy al fatto che per i fasci confinati nasce uno spread in
direzione traversa che, per il principo di indeterminazione , non può che
accorciare il valore di aspettazione del vettore d’onda di propagazione. La
Fase di Gouy ΦG si può quindi definire come l’accumulo di fase nella
direzione di propagazione dovuta alla nascita della componente traversa
del vettore d’onda.
Dalla espressione precedente possiamo stimare il valore di β e quindi
anche il valore della Fase di Gouy . E’ infatti
" 2 = k 2 # $ 2 = ( k # $ )( k + $ ) % 2k ( k # $ )
da cui
!
" #k$
!
%2
2k
ed il secondo termine di questa espressione è il contributo della fase di
Gouy all’accorciamento del vettore k
d"G
$2
=#
dz
2k
!
L’espressione di β sopra ricavata è corretta per valori di κ sensibilmente
più piccoli dei valori di k: vedremo più avanti che questa condizione è
uno dei risultati dell’approssimazione parassiale, una condizione di
propagazione tipica delle comunicazioni ottiche e dei fasci laser in
propagazione. In effetti, l’espressione precedente è un caso particolare
della espressione della fase di Gouy ricavabile rigorosamente nel caso
parassiale come (vedi Appendice):
2
d"G
1 ' Re[$ *%& T$ ] *
,
= # ))
2
,
dz
2k (
$
+ r= 0
!
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
28
dove ψ è la funzione parassiale di campo ed Re indica “parte reale”.
Utilizzando per le soluzioni di Bessel l’espressione approssimata
precedente possiamo dire che la fase di Gouy per il fascio di Bessel è
stimabile nell’ordine di
"G = #
!
Per valutare l’entità di questa fase nel caso dei fasci di Bessel
consideriamo una generica soluzione di Bessel J ad esempio di ordine
zero. Essa si annulla per argomento κr0 pari a 2.41, dove r0 rappresenta il
raggio che confina il lobo che contiene la massima intensità della
soluzione (vedi figura). Allora la fase di Gouy sarà dell’ordine di
"G Bessel
!
1 $2
z
2 k
2
1 &% 2 )
1 & 2,41)
, - 5,81
,
z
# $ ( +z = $ (
+ z=$
2 z = $1,45
2 z = $1,45
2' k *
2k ' r0 *
ze
2 - 2. - r0
.r0
dove è stato introdotto il parametro distanza efficace ze in analogia a
quanto viene fatto per campi Gaussiani (dove si parlerà di distanza di
Rayleight). Come si osserva, la fase di Gouy è in questo caso
inversamente proporzionale alla dimensione del lobo principale della
Bessel J0: quando questa si contrae per ragioni di scala o perché aumenta
il valore dell’autovalore κ, la fase di Gouy aumenta e viceversa. Dalla
relazione precedente avremo poi che
"=k#
d$G
dz
da cui
!
" = k #1,45
!
1
ze
Il parametro β è uno dei parametri principali della propagazione
specialmente guidata. Come è stato già ricordato esso nasce in un campo
che possiede derivata trasversa seconda non nulla: è quindi un parametro
sensibile alla forma del campo e se durante la propagazione la
descrizione del campo varia, troviamo “traccia” di questa variazione in β.
La sua dipendenza dalle dimensioni e dalla forma del fascio propagante
ne fanno il parametro elettivo nello studio della propagazione guidata
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
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dove spesso si ha a che fare con situazione di confinamento che variano
di dimensione. Si usa quindi costruire un diagramma importante
(chiamato diagramma di dispersione) dove la pulsazione ω è
rappresentata in funzione del parametro β: questo viene chiamato
diagramma di dispersione (vedi figura).
Nel diagramma di dispersione si è usi a indicare una curva luogo dei
punti delle velocità di fase conosciuta come curva di dispersione.nel caso
di propagazione in spazio libero o in un mezzo omogeneo di indice n, la
curva caratteristica si presenta come una retta di pendenza c o in un
mezzo di indice di rifrazione n, c/n. Fissata una certa pulsazione ad essa
corrisponde un certo valore di k (il vettore d’onda pertinente alla
propagazione di una onda piana) individuato sul diagramma di
dispersione a partire dalla intersezione di ω con la curva caratteristica.
Se il fascio che propaga è un fascio di Bessel o, come vedremo più
avanti, un fascio Gaussiano, la pulsazione ω individua un altro punto
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
30
appartenente alla retta vBessel a cui corrisponde un valore di vettore d’onda
pari a β sempre più piccolo di k, (si ricordi il diagramma cartesiano che
esso forma con k e κ). Il rapporto fra ω e β è la velocità di fase nel mezzo
v phase =
!
e quindi la velocità di fase delle soluzioni che presentano una “variabilità
trasversa” (cioè dei fasci tipo Bessel o. come vedremo, di tipo Gauss o
dei fasci che propagano in una fibra ottica) è sempre maggiore della
velocità di fase pertinente alla propagazione di onda piana.
La derivata prima di β rispetto a ω
v group =
!
"
#
d"
d#
rappresenta la velocità di gruppo nel mezzo (che corrisponde ala velocità
con cui viene trasmessa l’energia ovvero con cui si scambia
l’informazione), che in entrambi i casi (sia per l’onda piana che per il
fascio di Bessel ) rimane identica. Infatti, dalla espressione precedente del
β nel caso Bessel J,
"n
1
= # + 1,45
c
ze
abbiamo che
!
v group Bessel =
!
d" c
=
d# n
Nel diagramma di dispersione il luogo dei punti le curve caratteristiche
per le soluzioni di Bessel si presentano quindi come rette parallele alla
velocità della luce nel mezzo, con valori di β che si riducono via via che
aumenta il valore del parametro traverso κ (vedi figura).
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
31
La zona di propagazione in spazio libero nel diagramma di dispersione
corrisponde quindi alla zona delimitata inferiormente dalla retta “velocità
della luce nel mezzo”. E’ penetrabile la zona sotto questa retta? Siccome
si può scrivere (vedi relazione pitagorica) che
" = k cos#
e quindi
!
2" 2"
=
#$ # k
da cui
!
!
"# $ " k
dove α è l’angolo compreso fra i due vettori, ipotizzare una possibilità di
propagazione nella zona sottostante la retta c/n significherebbe ipotizzare
l’esistenza di un β più grande di k e quindi di un angolo α immaginario
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
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ovvero di una lunghezza d’onda associata al nuovo β più piccola della
lunghezza d’onda pertinente alla velocità di fase dell’onda piana nel
mezzo. Questo campo non si può propagare autonomamente e si chiama
campo evanescente. Esso si manifesta in ottica in diverse situazioni:
come campo che si genera durante la propagazione in un mezzo di
cariche libere (plasmoni eccitati da luce in metalli) ; come campo che si
genera in alcune zone del diagramma di dispersione dei materali che
presentano un band-gap artifciale; come campo residuo dopo un
processo di riflessione interna totale. Per il campo evanescente la
relazione pitagorica fra k e β necessariamente si inverte (vedi figura
precedente con le relazioni pitagoriche) ed il cateto di chiusura della
stessa si usa chiamare γ. E’ cioè
k2 = "2 # $ 2
!
Il campo evanescente ha una estensione trasversa (cioè radiale) che
decade esponenzialmente con r e quindi γ più che rappresentare un
vettore d’onda vero e proprio rappresenta il tasso di decadimento
esponenziale in direzione radiale: per questo motivo esso si rappresenta
con un valore immaginario del tipo iγ. Utilizzando questa notazione, γr
può quindi diventare il naturale argomento delle soluzioni di campo
cilindriche del tipo Bessel K, che come abbiamo visto, sono autosoluzioni
che prevedono un argomento immaginario. Il campo evanescente sarà
quindi rappresentato in simmetria cilindrica mediante una autosoluzione
di Bessel del tipo
" ( r,#,z,t ) = K l ($r) % e il# % e&i'z % e i(t
!
Comunicazioni Ottiche, Capitolo 15, Edizione Ottobre 2007
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