Nel Bazar del ifalsow globale un business da 461

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Un tizio dall’aria untuosa vi avvicina al bar e vi mormora in un orecchio che il rimorchio di un camion pieno di occhiali Ray Ban si è staccato, è rimasto incustodito e, insomma,
se volete venire a dare un’occhiata... Ridete a piena gola e vi
allontanate a passo svelto, convinti di aver dribblato l’ennesima truffa. E, invece, probabilmente era tutto vero. Nessuno,
ormai, smercia falsi alla vecchia maniera. L’industria della
contraffazione è globale, agile,
tecnologicamente aggiornata,
logisticamente ramificata nel
mondo, saldamente installata
sul web, dotata di un catalogo
merci pressoché inesauribile.
Soprattutto, è tutto meno che
un business di nicchia: su 40 dollari di commercio mondiale,
uno è servito a pagare un falso.
L’Ocse calcola, infatti, che i beni contraffatti o piratati abbiano generato, nel 2013, scambi
fino a 461 miliardi di dollari.
Più o meno quanto valevano,
nello stesso anno, le esportazioni (legali) di un Paese di prima
fila nel commercio mondiale,
come l’Italia. O il prodotto interno lordo di un Paese di media
grandezza: i falsi valgono quanto tutto quello che in un anno
produce l’economia austriaca,
dalle vacanze sugli sci in Tirolo
al festival di Salisburgo. E, mentre l’economia globale stenta e
ristagna, quella del falso tira alla grande: in cinque anni, dal
2008 al 2013, ha più che raddoppiato il suo giro d’affari, stima l’Ocse sulla base dei sequestri operati alle dogane.
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Il problema è che i sequestri
sembrano tanti: gli economisti
dell’Ocse e della Ue che hanno
redatto lo studio ne hanno analizzati oltre 100 mila l’anno. Ma
il giro d’affari ormai è molto più
ampio. Meno di un articolo falso su dieci arriva alla dogana
nel cassone di un camion. Il 60
per cento viene elegantemente
recapitato per posta o per corriere, in un piccolo pacchetto
dedicato, nella ragionevole convinzione che i doganieri non
possano aprire tutti i piccoli
pacchetti sospetti, confusi tra i
milioni che l’e-commerce distribuisce nel mondo. Anche per
conto, infatti, dell’industria della contraffazione che, ormai,
opera quasi esclusivamente via
web. E via web vi vende scarpe
Nike, occhiali Ray Ban, borse
Louis Vuitton, orologi Rolex, i
quattro prodotti che sono le
star del falso. Con un’accorta
strategia di marketing. Perché,
come le aziende più sofisticate,
i falsari distinguono i mercati e
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adeguano i prezzi. C’è un mercato primario, in cui il falso viene presentato come il prodotto
vero e il prezzo si avvicina, con
la sola differenza di uno sconto
appetibile, ma credibile. E c’è
un secondario, in cui nessuno
bara, tutti sanno che stiamo
trattando roba che sembra vera, ma non lo è, e il prezzo precipita di conseguenza. Lo si capisce dal valore dichiarato alla dogana per la merce sequestrata.
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Lo stesso paio di Nike, infatti, può costare - a seconda che il
falso sia confessato o no - dai 5
ai 200 dollari. I Ray Ban da 5 a
150. Una borsa Louis Vuitton
da 5 a 1.500 dollari. Da 5 a 20
mila dollari un orologio Rolex.
Ma questi prodotti sono solo la
punta dell’iceberg. I falsari
smerciano di tutto. A scorrere
la lista dei sequestri, soprattutto scarpe, abbigliamento e pelletteria. C’è, però, anche un fiorente mercato di falsi business-to-business. Ovvero, aziende che comprano macchinari,
prodotti chimici, strumenti ottici ed elettronici, parti di ricambio contraffatte. Qualche volta
sapendolo e risparmiando sul
prodotto. Qualche volta, no. E tirano anche i prodotti di ogni
giorno: giocattoli, medicine, cosmetici, profumi. Ci sono anche
merci del tutto insospettabili.
Sotto sequestro, dicono i registri, finiscono spesso anche fragole, banane, olio di cocco. In
questi casi, le fragole sono vere.
Ad essere falsa è la provenienza.
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Nella sostanza, dovunque ci
sia un brevetto c’è il rischio della contraffazione. Il Paese i cui
prodotti vengono più spesso falsificati sono gli Stati Uniti, a cui
fa riferimento il 20 per cento
dei sequestri. Ma una sorta di
premio alla qualità e all’unicità
tocca all’Italia che viene subito
dopo, con il 14,6 per cento dei
sequestri. Prima della Francia
(12,1 per cento). Ma, nella sua
ascesa al rango di economia moderna, anche la Cina conquista
un posto nella classifica dei piratati e contraffatti, con l’1,3 per
cento dei sequestri.
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Di solito, orologi, scarpe e pelletteria vengono dalla Cina o da
Hong Kong. Profumi e abbigliamento dalla Turchia. Ma un posto di riguardo tocca all’isola di
Tokelau, nel mezzo dell’Oceano Pacifico, 10 chilometri quadrati e 1.400 abitanti. Il suo segreto è il commercio via web.
Occhio dunque alla roba che arriva dai siti “.tk”.
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