ATTIVITA` FISICA E SINDROME METABOLICA. L`allenamento come

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ATTIVITA` FISICA E SINDROME METABOLICA. L`allenamento come
Università La Sapienza di Roma
CORSO DI FORMAZIONE
“BENESSERE E STILI DI VITA”
TITOLO
ATTIVITA’ FISICA E SINDROME METABOLICA
L’allenamento come prevenzione e cura
Autore:
Davide Montagna
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LA SINDROME METABOLICA
Con il termine “Sindrome Metabolica” si intende, in ambito medico, una situazione clinica ad alto
rischio cardiovascolare che comprende una serie di fattori di rischio e di sintomi che si manifestano
contemporaneamente nell'individuo. Questi sono spesso correlati allo stile di vita della persona (peso
eccessivo, vita sedentaria) o a situazioni patologiche preesistenti (obesità, ipercolesterolemia - presenza
di un elevato tasso di colesterolo nel sangue - ecc.). Colpisce un'elevata percentuale della popolazione a
livello mondiale, principalmente d'età avanzata. È detta anche sindrome X, sindrome da insulinoresistenza, CHAOS o sindrome di Reaven. In un dizionario famoso di medicina la sindrome è definita
come un aggregato di sintomi e segni associati con un unico processo morboso che costituiscono
insieme il disegno della malattia. Valutando questa definizione, la sindrome metabolica non dovrebbe
rientrare nella classificazione tipica della parola “sindrome”, per questo viene ultimamente definita
sindrome plurimetabolica anche se più correttamente si dovrebbe chiamare plurisindrome metabolica.
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Gli studi svolti confermano che gli individui colpiti dalla sindrome metabolica, che non cambiano
drasticamente il proprio stile di vita, hanno un elevato tasso di mortalità legato a problemi
cardiovascolari.[1] Il termine sindrome metabolica sembra risalire agli anni cinquanta, ma è divenuto di
uso comune a partire dal 1970; tuttavia già nei primi anni venti erano stati constatati i legami presenti
tra i fattori di rischio e il diabete.[2][3] Il medico marsigliese Jean Vague, nel 1947, aveva fatto
un'interessante scoperta sulle persone affette da obesità: aveva notato che esse erano predisposte a
diabete, aterosclerosi, gozzo (ingrossamento della tiroide) e calcolosi urinaria.[4] Nella seconda metà
degli anni sessanta Avogaro e Crepaldi con i loro collaboratori descrissero sei pazienti che
presentavano moderati segni di obesità, ipercolesterolemia e una marcata ipertriglicemia; tali segni
migliorarono con una dieta ipocalorica povera di carboidrati.[5] Nel 1977 Haller usò il termine
"sindrome metabolica" per intendere un'associazione di obesità, diabete mellito e steatosi epatica,
descrivendo in aggiunta i fattori di rischio dell'arterosclerosi.[6] Nello stesso anno Singer usò il termine
per indicare una concomitanza di sintomi quali obesità, gozzo, diabete mellito e ipertensione
arteriosa.[7] Nel 1977-78 Gerald B. Phillips mise in discussione la tesi secondo cui i fattori di rischio
all'origine dell'infarto del miocardio concorrano a formare una «costellazione di anormalità» e che
questi non solo erano associate a malattie del cuore ma anche con obesità e altri fattori clinici, la cui
identificazione avrebbe potuto prevenire le malattie cardiovascolari. Phillips ipotizzava che tale fattore
avesse strette correlazioni con gli ormoni sessuali [8][9] Nel 1988 Gerald M. Reaven ha definito
sindrome X la manifestazione simultanea di insulino-resistenza, iperinsulinemia, stati pre-diabetici o
diabete mellito di tipo 2 conclamato, dislipidemia, obesità centrale, iperuricemia (una concentrazione
alta di acido urico nel sangue), e ipertensione arteriosa, considerandola una condizione clinica che
precede lo sviluppo di complicanze vascolari. Ad essa si associa un'aumentata incidenza di cardiopatia
ischemica, disfunzioni del ventricolo sinistro e scompenso cardiaco. Tutto ciò comporta un forte
incremento del rischio di mortalità per cause cardiovascolari. Tale sindrome era conosciuta anche con il
nome di Sindrome di Reaven, in suo onore. Le stesse patologie cardiovascolari inducono, a loro volta,
insulino-resistenza e aumentano la probabilità che si sviluppi nel tempo un diabete mellito di tipo 2. La
sindrome X è stata definita anche sindrome da insulino-resistenza e successivamente sindrome
metabolica cardiovascolare. Attualmente la sindrome è stata rinominata plurimetabolica e comprende
l'associazione di insulino-resistenza, iperinsulinemia, obesità centrale, intolleranza glucidica o diabete
mellito di tipo 2, iperuricemia, dislipidemia e ipertensione arteriosa. Su quasi tutti i testi è ancora
comune trovare la dicitura di sindrome metabolica, mentre in Australia tale sindrome è conosciuta con
il nome di CHAOS. Nel 2005 l' International Diabetes Federation ha rivisto i criteri diagnostici,
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proponendo come metodo per identificare la patologia la presenza nello stesso paziente di 2 dei
seguenti disordini:
- Glicemia a digiuno: oltre 100 mg/dl stadio IGF
- Ipertensione arteriosa: oltre i 130/85 mm Hg o terapia ipotensivante
- Ipertrigliceridemia: oltre i 150 mg/dl
- Ridotto colesterolo HDL: 40 mg/dl nei maschi, 50 mg/dl nelle femmine o terapia ipolipemizzante,
associati a una circonferenza vita oltre i 94 cm nei maschi, 80 cm nelle femmine per i pazienti
di etnia Europide (i parametri variano in base al gruppo etnico di appartenenza).
A questi si aggiunge un importante fattore di rischio, l'età, che è determinante a partire dai 45 anni
negli uomini e dai 55 nelle donne.
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Secondo le ultime analisi l'insulino-resistenza riveste un ruolo centrale nella genesi della sindrome.
L'iperinsulinemia, suo derivato, è risultata un fattore di rischio indipendente per la cardiopatia
ischemica; contribuisce all'esordio precoce del diabete, nonché alla sua progressione, e concorre alla
comparsa delle numerose altre condizioni patologiche associate che si traducono in fattori di rischio
cardiovascolare.[10] Per insulino-resistenza si intende una condizione nella quale le quantità
fisiologiche di insulina producono una risposta biologica ridotta, cioè una riduzione dell'azione precoce
dell'insulina sul controllo glucidico dopo il pasto; ad esso è associata un'inadeguata soppressione
insulinica durante il digiuno notturno, in presenza di una sintesi conservata. Ne segue un'alternanza tra
insulino-resistenza e iperinsulinemia, verificabile con il riscontro di elevate concentrazioni insuliniche
a digiuno e dopo i pasti. Una ridotta soppressione dell'insulina durante il digiuno notturno si verifica
anche in caso di iperinsulinemia e non è necessariamente associata a insulino-resistenza. L'insulinoresistenza, peraltro, non è sempre associata all'iperglicemia e non è dunque prerogativa esclusiva dei
pazienti diabetici[10]. La dimostrazione del ruolo fondamentale dell'insulino-resistenza e
dell'iperinsulinemia nel determinare le patologie cardiovascolari è documentata dagli studi clinici.
Nello studio di Despres[11] sono stati valutati alcuni parametri dalle analisi del sangue relativi al
profilo lipidico (colesterolo totale, colesterolo HDL, trigliceridi, valori plasmatici di apolipoproteina B)
e glucidico (valori ematici di insulina a digiuno) di 2103 soggetti di sesso maschile, di età compresa fra
45 e 76 anni, presi a campione della popolazione del Québec. L'analisi fu eseguita a partire dal 1973,
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lungo un periodo di cinque anni, per determinare l'associazione tra fattori di rischio cardiovascolare e
cardiopatia ischemica nel corso di una lunga indagine. Durante lo studio è stata osservata
un'insulinemia a digiuno decisamente più elevata (p < 0,001) nei pazienti in cui sono stati registrati
eventi ischemici. L'associazione iperinsulinemia-cardiopatia aterosclerotica ha mantenuto questo tasso
elevato anche dopo una correzione dei livelli di trigliceridi, apolipoproteina B, colesterolo LDL e
colesterolo HDL. Perciò le elevate concentrazioni plasmatiche di insulina in soggetti non diabetici, e
quindi classificabili come "insulino-resistenti", erano associate a un incremento della cardiopatia
ischemica indipendentemente dal profilo lipidico (benché un'alterazione di quest'ultimo in senso proaterogeno abbia un effetto sinergico l'iperinsulinemia). Altri autori, fra cui Lehto et al.[12], hanno
valutato l'associazione tra i valori di insulinemia a digiuno, l'eventuale presenza contemporanea di altri
fattori di rischio cardiovascolare e il rischio di morte per cardiopatia ischemica in 510 pazienti affetti da
diabete di tipo 2 (253 uomini e 257 donne). Nei soggetti di sesso maschile si è riscontrato un aumento
significativo in termini statistici della mortalità per cause cardiovascolari se i valori di insulinemia
erano superiori ai 140 pmol/l (p = 0,006); la stessa associazione non ha evidenziato però alcuna
rilevanza statistica nelle donne (p = 0,090). Il valore predittivo dell'iperinsulinemia riguardo alla morte
per cardiopatia ischemica è risultato indipendente dai convenzionali fattori di rischio cardiovascolare,
ma non da quei fattori di rischio legati alla condizione patologica di insulino-resistenza/iperinsulinemia
(obesità centrale, ipertrigliceridemia, ipocolesterolemia HDL), che sembrano piuttosto potenziarlo.
Oltre al ruolo svolto nel metabolismo glucidico, l'insulina contribuisce alla regolazione del
metabolismo lipidico e proteico e della pressione arteriosa, interferendo con la funzione piastrinica e
con l'equilibrio tra fattori protrombotici e modulatori della fibrinolisi endogena. Regola inoltre gli
stimoli proliferativi sulle cellule muscolari lisce della parete vascolare e influenza la funzione
endoteliale: tutto ciò spiega il possibile ruolo che l'insulino-resistenza esercita nel determinismo della
sindrome metabolica. Non sono ancora noti né i meccanismi con cui si instaura l'insulino-resistenza né
i siti di interazione insulina-superficie cellulare-comparto intracellulare, nei quali la catena di segnali
prodotti dall'ormone si interrompe, impedendo un adeguato utilizzo del glucosio circolante. L'insulinoresistenza si sviluppa quasi sicuramente molto prima della sindrome metabolica e di altre patologie
cliniche più avanzate, come lo stesso diabete mellito di tipo 2 e l'arterosclerosi, apparendo in tutti i
contesti come una realtà multifattoriale sia in merito alla genesi che ai danni potenziali.[10][13] Gli
stati pre-diabetici e il diabete mellito di tipo 2 conclamato sono essi stessi fattori di rischio
cardiovascolare annoverati nell'ambito della sindrome metabolica. I pazienti con alterata tolleranza
glucidica o con iperglicemia a digiuno mostrano le caratteristiche cliniche della sindrome da insulino 6
resistenza, con un rischio relativo di sviluppare complicanze macrovascolari (e in particolare
cardiopatia ischemica) di due-tre volte superiore a quello di soggetti sani di pari età. Nei pazienti
diabetici la patologia cardiovascolare e cerebrovascolare è responsabile del 65% dei decessi e di questo
65%, il 40% è imputabile a cardiopatia ischemica, il 15% ad altre forme di cardiopatia e il 10% ad
eventi cerebrovascolari[14].
ATTIVITA’ FISICA
Il modo migliore per curare la sindrome metabolica, oltre che una corretta alimentazione, è aumentare
il proprio livello di attività fisica e ridurre il peso corporeo.
Alcuni benefici dell'esercizio fisico applicato alla cura della sindrome metabolica:
- aumenta la sensibilità all'insulina
- previene le malattie cardiovascolari
- induce un profilo lipidico meno aterogeno
- riduce i livelli di trigliceridi VLDL
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- aumenta il colesterolo "buono" HDL
- riduce il colesterolo "cattivo" LDL
- riduce i livelli di pressione arteriosa in modo rilevante nei pazienti con
iperinsulinemia
- favorisce la perdita di peso
- aiuta a prevenire il diabete di tipo 2 migliorando la sensibilità all’insulina e il controllo
glicemico grazie a:
•
aumentato flusso ematico ai tessuti insulino sensibili
•
maggiore proporzione di fibre muscolari di tipo I (più sensibili all'azione dell'insulina rispetto
alle fibre di tipo II)
•
riduzione del grasso totale ed in particolare di quello addominale "insulino-resistente"
•
aumento dell'azione postrecettoriale dell'insulina (aumento di glut-4 nel muscolo e della sua
traslocazione alla superficie cellulare)
- aiuta a ritrovare il peso forma, fattore fondamentale per tenere alla larga la sindrome metabolica e
tutte le sue spiacevoli conseguenze
Le strategie per il trattamento e la prevenzione della Sindrome x variano in base alle caratteristiche di
ciascun individuo, ma quasi tutti gli esperti concordano sul fatto che i sintomi migliorano molto
riducendo il peso corporeo, anche solo del 10% e aumentando l’attività fisica. Il movimento è un
fattore essenziale perché il muscolo è il tessuto più abbondante del corpo (il 30-40% della massa
corporea è costituita da muscoli) ed è il luogo di maggior consumo di glucosio. E’ importante svolgere
una moderata attività fisica per almeno 30 minuti al giorno, quasi tutti i giorni. Queste indicazioni, per
essere efficaci, devono diventare parte integrante della vita quotidiana ed integrarsi a livello sociale.
Per quanto riguarda la tipologia di allenamento da seguire è opinione largamente diffusa che
l’esercizio aerobico sia quello che dà maggiori benefici a livello cardiovascolare e per il dimagrimento,
ma anche l’allenamento coi pesi o contro resistenza, influenza favorevolmente la sindrome metabolica
in quanto la massa muscolare è responsabile per il 70-80% della rimozione del glucosio stimolata
dall’insulina. Come l’attività aerobica l’allenamento coi pesi influenza favorevolmente molti dei fattori
di rischio della sindrome metabolica. L’allenamento coi pesi riduce il grasso corporeo e aumenta
8
l’HDL, riduce la pressione ematica e favorisce il controllo glicemico. Uno studio recente ha dimostrato
che gli uomini più forti avevano il rischio di sviluppare la sindrome metabolica del 34% più basso
rispetto agli uomini deboli. La prescrizione dell’esercizio fisico in caso di sindrome metabolica,
associata ad un’obesità addominale senza specifiche patologie cardiovascolari o presenza di diabete
mellito, dovrebbe comprendere un’attività aerobica con una frequenza di 5-7 sedute alla settimana,
massimo, ad una intensità tra il 40-70% della frequenza cardiaca massima per circa 40-60 minuti ed un
allenamento coi pesi per la forza 2-3 volte alla settimana usando l’80-90% del peso massimale (peso
che si riesce a sollevare solo per una ripetizione) eseguendo da 2 a 5 ripetizioni in forma corretta per un
esercizio per ogni singolo gruppo muscolare. L’allenamento per la forza è fondamentale per mantenere
o aumentare la massa magra e per ridurre il rischio di infortuni. Spesso si raccomanda alle persone
molto sovrappeso di usare carichi leggeri ad alte ripetizioni ma è un errore: il dimagrimento si ottiene
con la dieta e l’attività aerobica; i pesi pesanti servono a migliorare la massa magra e ad aumentare cosi
il metabolismo.[15]
Prima di iniziare un programma motorio dobbiamo considerare il fatto che l’obiettivo dell’esercizio
fisico è quello di prevenire e trattare le comuni patologie metaboliche attraverso l’esercizio fisico,
studiato in termini di Tipo, Intensità, Frequenza e Durata. Il rispetto di questi parametri consente lo
sviluppo di effetti positivi determinati dalla pratica di un Esercizio Fisico Costante e Regolare.
L’attività fisica motoria per essere utile da un punto di vista metabolico dovrebbe essere sia di Tipo
Aerobico che Isotonica : ideali sono le attività a circuito (circuit training), dove l’attività aerobica è
associata ad un allenamento contro resistenza. Per attività aerobica si intende un’attività fisica
pianificata, ripetitiva, che a livello muscolare si svolge in presenza di ossigeno , ad una intensità submassimale ed ha come obiettivo il miglioramento della forma fisica. L’intensità di lavoro è pari al
60%-75% della propria frequenza cardiaca massima (f.c.m.= 220-età esempio: 220 – 30 anni =
190
190 x 60%= 114
190 x 75%= 142). Il tempo da dedicare ogni volta all’attività fisica deve
essere di 30-60 minuti, per una frequenza settimanale di 3-5 volte. Questi parametri possono essere
adattati a particolari situazioni: diabete associato all’obesità o diabete associato a malattie
cardiovascolari. Nel primo caso l’attività aerobica viene svolta ad una intensità bassa ( 60-70% della
f.c.m.), per consentire una lunga durata dell’esercizio ( 45-60 minuti) al fine di ottenere una prevalenza
di substrati lipidici nella produzione dell’energia. La frequenza settimanale è di 3-5 volte. Nel secondo
caso l’attività fisica viene esercitata ad una intensità molto bassa ( 50-60% della f.c.m.), la durata è di
30-60 minuti per ogni allenamento, per almeno 4-5 volte la settimana.
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Di seguito, sono proposti, due programmi motori, uno per utenti diabetici ed obesi adulti, e l’altro per
soggetti con complicazioni cardiovascolari.
Il primo programma motorio lo possiamo suddividere in due fasi:
1.
Fase: Ricondizionamento generale
2.
Fase: Attività fisica ad impegno prevalentemente aerobico
1. La fase di ricondizionamento generale comprende: esercizi di respirazione, esercizi di mobilità
articolare(arti superiori, arti inferiori, colonna vertebrale) , esercizi di tonificazione muscolare (addome,
glutei, schiena, arti superiori, arti inferiori).
Considerando che il più delle volte la persona diabetica ed obesa è una persona sedentaria lo scopo del
ricondizionamento generale è quello di indurre adattamenti a carico dei vari organi ed apparati, tali da
permettere al soggetto di affrontare esercizi fisici più impegnativi.
Proposte motorie:
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a) Esercizio di respirazione diaframmatica:distendersi in posizione supina con gli arti inferiori
piegati, piedi in appoggio sul pavimento, le mani sopra l’addome, occhi chiusi, si esegue
una inspirazione lenta e profonda. Si percepisce con le mani che l’addome si gonfia mentre
l’aria entra e si sgonfia quando l’aria esce durante l’espirazione e le mani si abbassano
passivamente.
Esercizio di respirazione toracica alta: distendersi in posizione supina con gli arti inferiori
piegati, piedi in appoggio sul pavimento, le mani sono appoggiate sulla parte alta del torace e
sullo sterno, si inspira profondamente e lentamente in modo che le mani si alzano
passivamente quando l’aria entra e sia abbassano quando l’aria esce durante l’espirazione.
Utilizzare entrambi gli esercizi di respirazione per cinque o sei volte fino a quando il respiro
prosegue da solo.
b) Esercizio per mobilizzare la schiena. Posizione di partenza: distendersi in posizione supina
con gli arti inferiori piegati, piedi in appoggio sul pavimento, con gli arti superiori flessi ed
extraruotati ai lati delle spalle (posizione a candeliere). Eseguire la retroversione del bacino,
mantenerla distendendo in alto lentamente gli arti superiori, cercando di mantenere i contatti
delle mani, dei polsi e dei gomiti sul pavimento, ritornare nella posizione di partenza (10
ripetizioni per 5 volte).
c) Esercizio per mobilizzare gli arti superiori e inferiori. In posizione eretta, gambe distese e
moderatamente divaricate, braccia in avanti. Effettuare una pronosupinazione (ruotare le mani
di 180°) delle mani (10 rip. x 5 volte), flettere gli avambracci sulle braccia fino a toccare con le
mani le spalle (10 rip. x 5 volte), con le mani appoggiate sopra le spalle ruotate le braccia
intorno alle spalle (10 rip x 5 volte in senso orario e 10 rip. x 5 volte in senso antiorario).
In posizione supina, si sollevano uno alla volta gli arti inferiori distesi e ritorno , poi uno alla
volta si flettono al petto e ritorno. L’arto controlaterale è piegato e appoggiato sul pavimento
(10 rip. x 5 volte).
d) Esercizio per tonificare i muscoli addominali: Ci si distende in posizione di decubito supino,
mani alla nuca, gomiti aperti, gambe flesse, piedi in appoggio sul pavimento, si chiudono i
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gomiti, si espira e si flette il busto in avanti fino a 30° (arrotolamento del capo sul collo, del
collo sulle spalle, delle spalle sul tronco, del tronco sul ventre) e ritorno (20 rip. x 3 volte).
e) Esercizio per tonificare gli arti inferiori ed i glutei: in stazione eretta, schiena appoggiata alla
parete, gambe divaricate (larghezza corrispondente al bacino), mani ai fianchi. Piegare gli arti
inferiori fino a quando le ginocchia non oltrepassano la punta dei piedi e ritorno in stazione
eretta (20 rip. x 3 volte).
2. L’attività fisica di tipo aerobico o gli sport di tipo aerobico comprendono: camminata a passo
svelto, corsa lenta, jogging, bici, cyclette, ballo, danza, ciclismo, nuoto, sci di fondo.
( L’attività aerobica deve durare 30’/ 60’ ,escluso il tempo di riscaldamento e defaticamento di 8’
ognuno, per 4-5 volte alla settimana)
Il secondo programma motorio lo possiamo suddividere in due fasi:
1.
Fase: Rieducazione motoria
2.
Fase: attività fisica ad impegno prevalentemente aerobico
1. Un ciclo di rieducazione motoria comprende: esercizi di rilassamento, respirazione, allungamento
muscolare, trofismo muscolare, esercizi di chinesiterapia libera.
E’ consigliato l’uso di piccoli attrezzi come palline di spugna, bastoni, elastici…
Proposte motorie:
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a) Posizione Supina: Distendersi con le braccia lungo i fianchi, palmi delle mani rivolte verso il
basso, mantenere una respirazione naturale ed eseguire delle circonduzioni dei piedi (10 rip. x 5
volte in senso orario e 10 rip. per 5 volte in senso antiorario); flettere ed estendere
contemporaneamente i piedi (10 rip. x 5 volte); piegare la gamba destra facendo scivolare il
tallone sul pavimento e ritorno (10 rip. x 5 volte), ripetere con la gamba sinistra; portare il
ginocchio destro al petto e mantenere la posizione 2-3 secondi e ritorno, ripetere con l’arto
sinistro (10 rip. x 5 volte).
b) Posizione Seduta: con gambe e braccia distese in avanti, flettere il busto in avanti fino alla
propria massima distensione e senza forzare (mantenere la posizione per 1 minuto, ripetere 5
volte). Ripetere l’esercizio divaricando le gambe (1 minuto per 5 volte).
c) In piedi: gambe distese e leggermente divaricate, braccia in avanti. Impugnare il bastone con
entrambe le mani alla stessa larghezza delle spalle, i pollici delle mani rivolti verso
l’interno.Con braccia distese, portare il bastone verso l’alto e ritorno (10 rip. x 5 volte).
N.B. Gli esercizi proposti sono solo un piccolo esempio di come strutturare una seduta.
2. L’attività fisica aerobica favorisce la resistenza cardiovascolare, un parametro fondamentale nella
prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari.
Si consiglia durante l’attività fisica l’uso del cardiofrequenzimetro o in alternativa il controllo della
frequenza cardiaca con il polso. Le proposte motorie nell’ambito di questa fase sono: camminata a
passo svelto, corsa lenta, jogging, bici, cyclette, ballo, danza, ciclismo, nuoto, sci di fondo.[16]
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Oltre le sedute aerobiche, è necessario svolgere una tipologia di allenamento contro resistenza, con
l’ausilio di pesi, macchinari ed elastici, in base alle specifiche del soggetto trattato. L’allenamento deve
essere personalizzato, programmato e finalizzato al mantenimento o miglioramento della buona salute.
Premesso che non esiste “il metodo”, attraverso studi e sperimentazioni si giunge a definire gli obiettivi
che si vogliono raggiungere ed i mezzi più idonei a provocare meno danni e maggiori incrementi.
Prima di procedere all’adattamento muscolare, vanno presi in considerazione i parametri ventilatori e
cardio vascolari. Si ritiene inutile lavorare il muscolo, se il soggetto lavora male col sistema nervoso e
quest’ultimo può essere stimolato attraverso sistemi di Proprio ed Esterocettività. Essendo allenamenti
con sovraccarichi, va inoltre curato dapprima un periodo di addestramento all’uso corretto degli attrezzi
ed un’adeguata educazione posturale, sia durante l’esercizio che nelle fasi di recupero, per una migliore
sensibilizzazione “isolamento muscolare” e per evitare tecnopatie da uso scorretto del proprio corpo.
Gli esercizi si possono dividere in:
_Semplici, Composti e Combinati
_Isometrici, Isocinetici, Isotonici, a prevalente contrazione: concentrica o eccentrica o in isotensione
Il sistema neuro-muscolare agisce in forma:
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•
“Piramidale” il cui stimolo parte dalla Corteccia Cerebrale, dall’area 4 PreRolandica,
attraversa il Midollo Spinale e giunge al muscolo ottimizzando l’isolamento muscolare, per
quanto possibile
•
“Extrapiramidale” che invece è SubCorticale, attraverso l’Arco Riflesso e nel Cervelletto,
dove albergano gli automatismi, che coordina le sinergie delle catene muscolari, ottimizzando il
gesto e la prestazione.
Avendo come obiettivo il potenziamento delle facoltà che riceviamo nel patrimonio genetico:
•
numero di fibre bianche (veloci), rosse (lente) ed intermedie
•
capacità di reclutamento
•
tempo di accoppiamento
Nella Biomeccanica nell’esercizio contro resistenza, possiamo avvalerci di diverse modalità di varianti:
_ Corpo libero
_ Piccoli e grandi attrezzi
_ Pesistica
_ Body building
Tutte le tipologie di allenamento contro resistenza, implicano l’utilizzo di una Forza. In generale, per
forza, si intende la capacità che hanno i muscoli di sviluppare tensioni per vincere od opporsi a
resistenze esterne. L'intensità di queste tensioni e, quindi, il livello di forza dipende da due fattori:
1) dal diametro della sezione trasversale del muscolo (intesa come totalità delle fibre muscolari che lo
compongono);
2) dalla frequenza di impulsi che i neuroni motori trasmettono ai muscoli.
Esistono però diversi modi e tempi per vincere una resistenza, per cui ci sono diversi tipi di forza:
_ FORZA ASSOLUTA o MASSIMALE: misurata in Newton, col dinamometro; si allena attraverso
resistenze massimali (90-100% della Massima Contrazione Volontaria “M.C.V.: 4-1 ripetizioni) e con
esercizi isometrici
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_ FORZA MASSIMA DINAMICA: il carico più alto che si riesce a spostare senza limitazione di
tempo; si allena con carichi sub-massimali (70-80% M.C.V.:8- 4 rip)ed esercizi isometrici(30-50%)
_ FORZA ESPLOSIVA: massima contrazione nel minor tempo; calcolata in Watt; si allena con
carichi sub-massimali (70-80%) e le ripetizioni sono condizionate dalla velocità che deve essere
massima nella fase concentrica e controllata (6”- 8”) in quella eccentrica; aumenta così la capacità di
reclutamento; a questa fase deve necessariamente seguire un lavoro di sviluppo in velocità, anche
esercizi pliometrici, in completo scarico
_ FORZA ELASTICA e REATTIVA: segue l’allenamento precedente, con una maggiore
componente legata alla tecnica dello sport praticato; migliora la destrezza
_ FORZA RESISTENTE: capacità di resistere ad un certo carico in un lasso di tempo (resistenza alla
fatica)
L’aumento di volume (massa magra), con conseguente aumento del metabolismo basale, si otterrà
attraverso due strade: per Ipertrofia (“trofismo” = nutrizione), la cellula muscolare riceve un maggiore
nutrimento e per questo aumenta nella sezione trasversale della fibra; ma quello che, secondo alcune
sperimentazioni, darebbe veramente un incremento nella misura e nell’evidenziazione è l’Iperplasia
(“plasia” = formazione), la neoformazione di cellule, realmente esistenti, ma non ben definite “stem
cell” o “cellule satelliti” che, attraverso un gene, la “miogenina”, crescono e si differenziano,
divenendo fibre muscolari mature e funzionali. L’allenamento per quest’ultima ricerca eviterebbe
assolutamente l’utilizzo del sistema ExtraPiramidale o SubCorticale, evitando così l’automatismo
anche perché favorirebbe il risparmio energetico; utilizzerebbe unicamente il sistema Piramidale alla
ricerca di un veloce esaurimento di A.T.P. (“break point” massimo in 8 ripetizioni), che realizzerebbe,
a livello dell’ipotalamo, la secrezione di GH (ormone della crescita); questo a sua volta attiverebbe il
fegato a produrre IGF (insuline like growt factors), che si trovano immagazzinati nella membrana che
avvolge le fibre muscolari. Quando questa membrana si lacera, per trazione dei “ponti” dell’actina sulla
miosina, dopo aver raggiunto il break point, fuoriuscirebbero operando la trasformazione delle cellule
satelliti. Resta comunque importante conoscere bene i concetti base dei vari allenamenti, anche se
questi non si possono ritenere unici ed infallibili. Bisogna credere nella ricerca e sulla razionalità di ciò
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che viene proposto, ma essere anche pronti a rimettere in discussione i propri “credo”, quando la realtà
dei risultati non conferma la teoria. La LEGGE DI WOLF afferma che le strutture ossee si
dispongono morfologicamente e quotidianamente in modo da resistere al meglio alle forze estrinseche
(cioè, forma e volume sono in relazione alla funzione) Il benessere fisico di un individuo viene stabilito
in base al grado di risposta fisiologica e alle capacità di adattamento ai vari gradi di stress
(allenamento).
In conclusione, possiamo dire che, nell’Allenamento Razionale, tutte queste indicazioni vogliono
sensibilizzare alla necessità di stimolare chiunque, ad eseguire in modo corretto gli esercizi, al fine di
diminuire gli agenti stressanti e quindi degenerativi e favorire gli stimoli adeguati ad affrontare con
maggiore facoltà ciò che la natura ci riserva durante il nostro percorso di vita. Non tutte le
modificazioni legate all’ambiente del lavoro ed all’invecchiamento sono inevitabili, l’attività fisica
permette di rimanere in forma più a lungo e aiuta a vivere meglio e più felici.[17]
Buon allenamento.
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Bibliografia
1 H.M. Lakka (2002). The metabolic syndrome and total and cardiovascular disease mortality in middle-aged men.
2 E. P. Joslin (1921). The prevention of diabetes mellitus.
3 E. Kylin (1923). Studien ueber das hypertonie-hyperglykemie-hyperurikämiesyndrome. Zentralb
4 J. Vague (1947). La différenciation sexuelle, facteur déterminant des formes de l'obésité
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14 J. R. White, S. N. Davis, R. Cooppan, et al (2003). Clarifying the role of insulin in type 2 diabetes management.
15 "Attività fisica e sindrome metabolica" articolo dell'Accademia del Fitness, autore il Dott. Massimo Spattini
16 Prof. Ario Federici*, Prof. Manuela Valentini*, Dott. Laura Antonelli**, Prof. Ivano Testa***
*Istituto di Ricerca sull'Attività Motoria Facoltà di Scienze Motorie Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo"
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**Dottore in Scienze Motorie presso l'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo"
***Professore Ordinario di Clinica Medica, Università degli Studi dell'Aquila e Direttore Unità Operativa di Diabetologia e Malattie del
Ricambio I.N.R.C.A. Ancona
17 Prof. Ciro di Cristino corso di formazione “Benessere e Stili di Vita”
Facoltà di Farmacia e Medicina Univestità degli studi di Roma “La Sapienza”
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