La musica della balena azzurra

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La musica della balena azzurra
La musica della balena azzurra
Il denso libro di riflessioni pubblicato qualche mese fa dal poeta siriano Adonis 1 , dal
titolo suggestivo La musica della balena azzurra 2 , utilizza la tecnica del frammento
lirico in prosa per fare il punto sulla cultura araba, sul mondo islamico più in generale
e sull’Occidente. Solo chi vive al crocevia di culture diverse come Adonis è capace di
muoversi con tanta intensità e penetrante sagacia lungo i sentieri che corrono
sotterranei tra le differenti culture. In virtù di quello che potremmo chiamare una
sorta di cosmopolitismo identitario, Adonis, nato in Siria e residente in Francia, riesce
a parlare dell’uomo in generale, inteso filosoficamente come essere e come abitante
del mondo, e di un uomo in particolare, inteso biograficamente come figlio di una
cultura, di un tempo, di una società. Adonis, infatti, tesse le sue idee senza
dimenticare di innestare sempre, sull’ordito della riflessione cosmopolita, la trama
delle vicende individuali, ponendosi continuamente alla ricerca di quella musica
poetica inaudibile creata dalle relazioni umane. Come le balene azzurre, infatti,
attraverso un impalpabile canto ad ultrasuoni, riescono a collocarsi nelle vastità
dell’oceano e a comunicare tra loro ad elevatissime distanze, così la poesia rende
capaci di nuotare nell’oceano delle parole, consentendo una sintonia quasi
inavvertibile tra le persone, che la consueta comunicazione verbale impedisce.
Per il poeta siriano, ogni questione di natura storica o socio-antropologica deve
nascere da una doppia pessimistica premessa: una di carattere esistenziale, l’altra di
tipo filosofico-linguistico. In primo luogo, infatti, occorre riconoscere una verità: “lo
scenario che predomina nel teatro della nostra vita è la guerra 3 ”, una dinamica bellica
volta più o meno dichiaratamente alla distruzione dell’essere umano ed estesa dal
Tigri all’Atlantico. In secondo luogo, si deve riconoscere che la condizione di
belligeranza universale fa scaturire una scrittura pubblica incapace di emanciparsi
dall’accusa e dal pregiudizio nei confronti di chi la pensa in maniera differente.
All’uomo, sia egli occidentale od orientale, che cerca in modo più o meno
consapevole libertà, viene quindi proposta una nuova forma di schiavitù, le cui catene
sono costituite di parole vincolanti, di tesi azzardate, di falsificazioni continue, volte
a trasformare la scrittura in un genere precettistico e il pensiero in una dottrina rigida.
In questo contesto, “lo scrittore viene trattato come un peccatore, i suoi scritti sono
crimini. Dal Tigri all’Eufrate”4 . Il mondo dei poteri – sembra dire Adonis – pretende
che ci si schieri sempre, da una parte o dall’altra, in modo netto e acritico,
dimenticando ogni propensione all’autonomia di pensiero, alla ricerca critica,
all’individuazione di valori condivisi, primo fra tutti quello insito nello stesso
esistere, nel proprio essere persona e parte integrante di un’unica umanità. Morta alle
ideologie e ai riferimenti valoriali, la politica, dal Tigri all’Eufrate, seppur in forme
diverse, si appropria della fede per creare una sorta di totalitarismo mediatico che
1
ADONIS, La musica della balena azzurra. La cultura araba, l’Islam, l’Occidente, Guanda, Milano 2005
Il poeta Adonis, il cui vero nome è Ali Ahmad Sai’īd Esber, è nato in Siria nel 1930, da una famiglia contadina. In
seguito, si è laureato in filosofia a Damasco, ha vissuto a Beirut e attualmente risiede Parigi. In italiano, l’editore
Guanda ha pubblicato in traduzione le sue più importanti raccolte poetiche: Memoria del vento; Cento poesie d’amore.
3
ADONIS, op. cit., p. 13
4
Ib., p. 15.
2
toglie linfa al pensiero, annichilendolo, e che cerca di sostituirlo con l’arroganza della
prepotenza e della superficialità. Per queste ragioni, Adonis grida che occorre
rifiutare ogni visione del mondo volta a giustificare logiche violente in forza del
proprio Dio, perché ciò finisce con il rendere “cose” sia l’uomo che Dio stesso; per
questo afferma- in una straordinaria sintonia involontaria con R. Panikkar 5 - come sia
necessario rifiutare ogni pensiero che massifichi gli individui in categorie, che renda i
mille volti e le mille storie individuali, un soggetto unico da disprezzare: i milioni di
singoli musulmani diventano, per l’occidente, genericamente i musulmani; i milioni
di occidentali, per l’islam diventano prosaicamente gli occidentali. E se accettare
l’altro risulta una richiesta inaudita per alcuni, almeno si trovi, sottolinea Adonis, un
varco di coscienza in sé, attraversando il quale sia possibile distinguere tra il pensiero
di un individuo e l’individuo stesso.
Tutto ciò comporta un cambiamento radicale di rotta, a livello culturale e
interculturale, in grado di risvegliare quella che suggestivamente Adonis definisce la
capacità di “transcreare”. La transcreazione coincide con l’allenamento al punto di
vista differente e, metodologicamente, con “il rinnovamento continuo dell’approccio
con cui ci accostiamo all’uomo e all’universo” 6 . In questo senso, quindi, l’individuo e
le società devono tentare di emanciparsi dalle tradizioni che intendono soffocare la
predisposizione alla novità propria del pensiero umano, rendendo stanziale ciò che
per sua stessa indole è nomade e irrefrenabile. Transcreare, dunque, significa mettersi
in viaggio nella foresta intricata delle scritture che compongono il mondo, siano esse
quelle che ci parlano in lingue sconosciute di mondi mai avvicinati, siano esse quelle
che ci conducono verso l’insondabile del senso, verso il divino stesso. Ma per
riconquistare questa libertà di azione – continua Adonis - si deve tornare al poetico,
inteso come simbolico, come metaforico, come adattamento, come propulsione verso
l’ignoto, come esplorazione dello sconosciuto. Educarsi alla poesia significa, in
questo senso, concedersi alla trasgressione, etimologicamente intesa come un
procedere oltre se stessi, come la possibilità di varcare le prigioni che una sola lingua,
una sola visione del mondo, una sola verità minuscola creano attorno a ciascuno.
Scegliere la poesia significa optare per la transcreazione, per una riedificazione del
mondo in cui l’attaccamento al passato e alle certezze è visto come uno sterile
ancoraggio o come un naufragare nelle secche del senso; significa trovare il coraggio
di diventare eretici alle proprie piccole certezze, avendo l’ardire di varcare le colonne
d’Ercole della conoscenza. Così facendo, afferma perentoriamente Adonis, “l’essere
umano si trasforma da semplice creatura che vive nel mondo in un essere che crea
perpetuamente il mondo stesso” 7 .
Ma vivere fino in fondo il potere demistificante della poesia, comporta anche il
sapersi mettere sotto accusa culturalmente. E’ per questo motivo che Adonis stesso,
in quanto uomo inserito in una doppia cultura, rivolge un pressante appello sia al
5
R. Panikkar chiama in causa il poeta A. Machado per sostenere che occorre abbandonare sia ogni dualismo che ogni
monismo e affidarsi ad un “a-dualismo” grazie al quale possiamo dire “tutto il mare in ogni goccia/ tutto il pesce in ogni
uovo / tutto nuovo”. Cfr. R. PANIKKAR, Pace e disarmo culturale, Rizzoli, Milano 2003, p. 26.
6
ADONIS, op. cit., p. 101
7
Ib., p. 103
mondo arabo e, più in generale, musulmano, sia al mondo occidentale, affinché siano
disposti a lasciarsi interrogare su loro stessi, abbandonando le rassicuranti certezze
della “scrittura pubblica” e delle litanie ufficiali. Per quanto riguarda la questione
medio-orientale, poi, in primo luogo, in ambito occidentale, occorre emanciparsi
dall’idea di “scontro di civiltà”, dietro la quale, per il poeta, si nasconde solo
un’ennesima forma della vecchia politica di potenza; mentre, in ambito musulmano, è
necessario gridare con fermezza la propria contrarietà al terrorismo, che va
condannato “in tutte le sue forme, quali che siano le idee che lo ispirano e da
qualunque parte provenga: un individuo, un’organizzazione, uno stato” 8 . Da
entrambe le posizioni, poi, va riconosciuto lo stato di malattia delle civiltà, in
qualunque modo esse si chiamino: giudeo-cristiana, islamica, buddhista, induista,
africana, o tutte le cose insieme. Si tratta di una malattia virale che proviene da un
unico ceppo, ma che colpisce in modo differente i popoli e le persone e che – è bene
ribadirlo – per Adonis coincide con la riduzione a cosa dell’essere umano 9 .
L’infermità culturale che attanaglia l’occidente va analizzata all’interno delle società
occidentali stesse, con rigore e forza conoscitiva, a partire da una seria revisione
deontologica e metodologica da parte degli operatori culturali. Più precisamente, per
quanto riguarda le modalità con cui i mezzi di comunicazione di massa e gli studiosi
occidentali leggono il mondo arabo e islamico, occorre riconoscere che non è
sufficiente una prospettiva solamente politico-economica, ma è necessaria anche una
radicale opzione fenomenologica. Tale scelta consiste nel mettersi in ascolto di una
civiltà millenaria altra come quella islamica, che non può sopportare di essere messa
tra parentesi e totalmente trascesa nel dibattito culturale, ma necessita di essere
percepita all’interno della curvatura simbolica che essa stessa disegna 10 .
Al mondo islamico, invece, Adonis chiede di porsi in rapporto con il suo fantasma
interiore, con quell’occidentalizzazione negata e rifiutata che, tuttavia, è ormai parte
integrante degli stessi mondi medio-orientali, perché, tramite la globalizzazione, essa
è penetrata in maniera irreversibile. Ma il poeta siriano diviene ancora più radicale
quando, interpellando gli arabi e i musulmani, ritiene che sia giunto il momento di
denunciare l’emarginazione sociale e culturale in cui ogni dissidenza viene confinata
nella gran parte dei paesi a maggioranza religiosa musulmana. Domanda di
riconoscere che esiste una guerra interaraba, arabo-islamica, interislamica all’interno
di uno stesso stato (Libano, Sudan, Algeria ecc), o tra stati differenti (Iraq-Iran; IraqKuwait, Marocco-Algeria). Spinge a riflettere sui motivi che impediscono di toccare
la tradizione e di rivisitare il proprio passato anche in chiave critica; pone la
questione della mancanza di libertà, di democrazia, di una libera magistratura,
dell’arbitrarietà con cui operano le forze dell’ordine, della disoccupazione, della
povertà, dell’analfabetismo, dell’incremento demografico e dei flussi migratori.
Questa disamina profonda e irrinunciabile è l’unica via per comprendere i motivi che
8
ADONIS, op. cit., p. 51
Questa malattia si può chiamare anche fondamentalismo; per comprenderne le cause si legga: G. A. ALMOND – R. S.
APPLEBY – E. SIVAN, Religioni forti. L’avanzata dei fondamentalismi sulla scena mondiale, Il Mulino, Bologna
2006
10
Per compiere questa operazione di immersione nel mondo islamico, partendo da una testimonianza chiara e semplice
si veda: El HASSAN BIB TALAL – A. ELKANN, Essere musulmano, Bompiani, Milano 2005.
9
hanno portato alla nascita di fenomeni organizzati e, insieme, selvaggi quali quello di
Al Qaeda, che nessuna guerra portata per vendetta dall’esterno sarà davvero in grado
di sconfiggere. “Bin Laden – afferma perentoriamente il poeta – lo si può eliminare
solo dall’interno, partendo dalla società a cui appartiene, dalla sua cultura e dai valori
a cui è stato educato. Bisogna combattere ed estinguere dall’interno le cause che
hanno favorito la nascita del fenomeno Bin Laden, bisogna combattere in nome della
democrazia, della libertà, dei diritti umani e per creare istituzioni che tutelino tali
diritti, e li consolidino” 11 .
Se, per molti versi, le riflessioni di Adonis non sono differenti da quelle di tanti
commentatori liberi e illuminati, va riconosciuta al poeta siriano un’intuizione che gli
appartiene e che lo contraddistingue. Essa consiste nell’aver individuato nella poesia,
nel canto sfumato fino quasi al silenzio della balena azzurra, uno strumento
ineliminabile se si vuole lottare contro la nuova barbarie che, in forme diverse,
attanaglia il mondo. A qualcuno, forse, questo rimedio potrà sembrare inadeguato o
troppo romantico, finanche elitario o reazionario. Personalmente, invece, ritengo che
Adonis abbia voluto sottolineare come il “poetico” sia la vera peculiarità dell’essere
umano, quella particolarità che gli consente di sperare, di vivere, di cogliere la
straordinaria ricchezza che si dischiude in uno sguardo altro rispetto al proprio. Il
poetico non è, allora, una via di fuga, per sottrarsi al mondo e per rinchiudersi in una
sorta di irraggiungibile cittadella delle lettere, ma coincide, al contrario, con l’umano,
con l’essere persona, con la capacità di avvertirsi sempre creature, prima ancora che
differenti, diversi od opposti.
11
ADONIS, op. cit., p. 61