6a Cromatografia-elettroforesi
Transcript
6a Cromatografia-elettroforesi
Il latte, una fonte di nutrimento per tutti i mammiferi, contiene numerose proteine. Centrifugazione differenziale Le cellule vengono distrutte in un omogenizzatore e la miscela che ne deriva (omogenato), viene frazionata per centrifugazioni successive a velocità crescenti. Il materiale più denso formerà un sedimento a forze centrifughe minori. Isolamento della proteina A. Selezione di una fonte da cui estrarre la proteina Spesso si adoperano tessuti ottenuti da animali (polli, mucche, maiali, ratti o topi). Spesso vengono utilizzati microorganismi come il lievito e E. coli. Le tecniche del clonaggio molecolare hanno reso di routine l’isolamento dagli organismi di origine dei geni che codificano per le proteine. I geni possono essere modificati e poi espressi in un organismo facile da crescere come E. coli. Questo tipo di approccio può essere così di successo che la proteina clonata può costituire sino al 40% delle proteine totali della cellula overesprimente. B. Metodi di Solubilizazione Una proteina deve essere liberata dalla cellula che la contiene, ma bisogna porre attenzione a che non sia danneggiata. 1. Lisi osmotica (funziona solo con le cellule animali) 2. Distruzione meccanica high-speed blender (mescolatore) French press sonicazione 3. Lisi chimica detergenti (SDS, NP-40) l’enzima lisozima (taglia I componenti della parete batterica) solventi organici come l’acetone o il toluene C. Stabilizzazione delle proteine Una volta che le cellule sono rotte, la miscela viene detta estratto crudo. Una centrifugata a bassa velocità viene eseguita per rimuovere i detriti cellulari come i frammenti della membrana, etc. Da questo punto in poi bisogna fare attenzione che la vostra proteina non si denaturi in modo irreversibile. Alte temperature Mantenere il lisato vicino agli 0 0C. pH Essere certi che la soluzione sia tamponata ad un pH al quale la vostra proteina sia solubile proteasi Usare un cocktail di inibitori di proteasi D. Saggio delle Proteine Per purificare qualsiasi sostanza, bisogna trovare un modo per determinarne in modo quantitativo la presenza. Bisogna pertando mettere a punto un saggio che sia specifico per la proteina che si sta purificando e che sia molto sensibile per valutarne la presenza. Il saggio deve essere anche conveninìente da eseguire perchè può accadere che debba essere ripetuto molte volte durante la purificazione Enzimi Alcuni enzimi catalizzano reazioni i cui prodotti sono facilmente misurabili. Per esempio i prodotti possono avere un assorbimento caratteristico o una fluorescenza che possono essere monitorati. Se il prodotto non è facilmente osservabile, può essere necessario un saggio enzimatico associato. In questo caso il prodotto dell’enzima che stiamo testando viene convertito, da un enzima che viene aggiunto, in una sostanza misurabile. Proteine che non sono enzimi Le proteine che non sono enzimi spesso vengono purificate valutando la loro capacità di legare sostanze specifiche o mediante l’osservazione dei loro effetti biologici. Per poter purificare una proteina è necessario disporre di un sistema di dosaggio che permetta di identificare e quantificare quella proteina in mezzo a molte altre, ad ogni stadio di purificazione. Esempio: Assorbe la luce 340 nm Strategie generali per la purificazione delle proteine Characteristic Charge: Procedure 1. Ion exchange chromatography 2. Electrophoresis 3. Isoelectric focusing Polarity: 1. Adsorption chromatography 2. Paper chromatography 3. Reverse-phase chromatography 4. Hydrophobic interaction chromatography Size: 1. Dialysis and ultrafiltration 2. Gel electrophoresis 3. Gel filtration chromatography 4. Ultracentrifugation Specificity: 1. Affinity chromatography Le proteine si possono purificare sfruttando solubilità, dimensione, carica e affinità di legame differenti La cromatografia è un processo usato per separare molecole in base ad una proprietà chimica come la massa molecolare, la carica, la solubilità. Fase stazionaria Il processo usa: Fase mobile (liquida o gassosa) Molecole con proprietà chimico-fisiche differenti si ripartiscono in modo differente tra la fase mobile e quella stazionaria e quindi si separano. Molecole che sono attratte dalla fase stazionaria saranno ritardate e trattenute rispetto a molecole che sono attratte fortemente dalla fase mobile. Gli stessi principi di separazione, basati su attazione differenziale alla fase stazionaria e a quella mobile, si applicano a diverse forme di cromatografia. Nella cromatografia su carta la fase stazionaria consiste semplicemente di un foglio di carta da filtro e la fase mobile viaggia attraverso la carta da filtro asciutta per azione capillare. Nella cromatografia su strato sottile la fase stazionaria è un sottile strato di gel di silice, cellulosa o altro materiale inerte. Cromatografia su strato sottile L’azione capillare aspira il solvente verso l’alto e separa i vari componenti della miscela. Cromatografia su colonna Principi della cromatografia su colonna Componenti tipici di un sistema cromatografico su colonna a bassa pressione con eluizione mediante gradiente Le bottiglie di solvente (A) contengono i componenti del solvente, che sono combinati nella camera di mescolamento (B) per dare un rapporto stabilito variabile dei due solventi. Una pompa (C) spinge l’eluente nella colonna (D) dove avviene la separazione. Un rivelatore (E) controlla l’eluente e il registratore (F) produce una registrazione dei campioni che passano diretti al collettore di frazioni (G). Il rivelatore può essere un fotometro, un monitor di indice di rifrazione o un altro dispositivo adatto. La cromatografia a scambio ionico separa le molecole in base ai loro gruppi carichi, che fanno interagire elettrostaticamente le molecole con cariche opposte sulla matrice della fase stazionaria La fase stazionaria porta gruppi funzionali ionizzabili accoppiati ad una matrice inerte. Per i principi della elettroneutralità, queste cariche immobilizzate sono associate elettrostaticamente con controioni scambiati dalla soluzione. La cromatografia a scambio ionico prende il nome dal controione scambiabile: - Quando la fase stazionaria porta una carica positiva e lo ione scambiabile è un anione, il processo è chiamato cromatografia a scambio anionico - Quando la fase stazionaria porta una carica negativa e lo ione scambiabile è un catione, il processo è chiamato cromatografia a scambio cationico Le proteine cariche positivamente si legano a granuli carichi negativamente La cromatografia a scambio ionico separa le proteine principalmente in base alla loro carica Le proteine cariche negativamente passano attraverso la colonna Effetto del pH del tampone nella cromatografia a scambio ionico Le proteine consistono di molti amminoacidi diversi e la carica totale è dovuta all’effetto composto di molti gruppi ionizzabili diversi. Il pH a cui una proteina non ha carica netta si chiama pH isoelettrico ed è detto pI. Quando il pH della cromatografia è sotto il pI, la molecola sarà carica positivamente e si deve usare una resina a scambio cationico. Quando il pH della cromatografia è sopra il pI, la molecola sarà carica negativamente e si deve usare una resina a scambio anionico. I processi di scambio ionico che avvengono quando proteine cariche negativamente sono separate su di una colonna a scambio ionico L’eluizione ad una concentrazione fissa di controione si chiama eluizione isocratica. Se si ha una variazione continua della concentrazione dei controioni durante il processo di eluizione si parla di eluizione a gradiente. Se la concentrazione dei controioni durante il processo di eluizione viene alterata a gradini si parla di eluizione a gradini. Filtrazione su gel La filtrazione su gel è una forma di cromatografia su colonna in cui le molecole sono separate in base alla loro massa molecolare o più esattamente, in base al loro raggio di Stokes. Il raggio di Stokes è il raggio effettivo che una molecola ha se gira rapidamente su se stessa in soluzione La fase stazionaria nella filtrazione su gel consiste di piccoli granuli che contengono pori di dimensioni controllate. Lo spazio tra i granuli viene definito spazio vuoto o vuoti esterni = V0 Lo spazio all’interno dei granuli viene definito Vi La fase mobile riempie tutto lo spazio fra i granuli (V0) e all’interno dei granuli (Vi). V0 + Vi = Vt Il volume di eluizione è detto Ve Ve − Vo Il coefficiente di partizione Kav = Vt − Vo Ogni molecola ha un determinato coeficiente di ripartizione che dipende dal suo peso molecolare. Molecole più grandi hanno coefficienti di ripartizione più piccoli. Vt Ve . Vo Volume Per le molecole completamente incluse ( ) Ve = Vt = Vo+Vi Cromatografia per esclusione molecolare Le proteine vengono separate in base alle dimensioni La dipendenza di Kav dal logaritmo della massa lolecolare. Un coefficiente di partizione, detto Kav, può essere calcolato con l’equazione: Kav Kav Ve − V0 K av = Vt − V0 Due esempi di separazione di proteine di massa differente su due colonne diverse Usi comuni della cromatografia per filtrazione su gel La filtrazione su gel può essere utilizzata per: - scambiare rapidamente il solvente in cui sono sciolte grosse molecole Bisogna scegliere una fase stazionaria che esclude completamente le molecole grosse (cioè le molecole grosse vengono tutte eluite in Vo), e equilibrare la colonna nel nuovo solvente desiderato. Le grosse molecole nel solvente non voluto vengono quindi caricate sulla colonna e eluite con il nuovo solvente, Le molecole grosse sono eluite prima del solvente originale e escono dalla colonna nel volume vuoto (V0) nel nuovo solvente desiderato. Questo metodo può essere utili per rimuovere i sali da un campione di proteina. - determinare la massa molecolare approssimativa di un composto. Per questo uso è necessario calibrare la colonna per determinare i volumi di eluizione di proteine con massa molecolare nota. Cromatografia per affinità Esempi di applicazioni: 1) Approcci di fusione genica 2) Cromatografia con chelanti di metalli 3) Cromatografia di immunoaffinità 4) Cromatografia mediante poli-(U) 5) Cromatografia di affinità su DNA 6) Cromatografia con RNA polimerasi Sono disponibili una varietà di granuli di destrano “attivati” per permettere tipi diversi di accoppiamenti chimici per sintetizzare mezzi per la cromatografia per affinità. La chimica usata per accoppiare covalentemente la molecola scelta al materiale inerte dipenderà dalla natura della molecola da accoppiare A) AH-Sepharose B) CH-Sepharose 4B C) CH-Sepharose 4B attivato D) Sepharose 6B epossi-attivato Come matrice nella comatografia per affinità si utilizza spesso l’Agarosio perchè è chimicamente inerte, ha una alta porosità e ha un grande numero di gruppi funzionali capaci di formare legami covalenti con i ligandi. Esempi di vari tipi di gruppi nucleofili che possono essere legati covalentemente all’agarosio epossi-attivato grazie alla reazione con con i suoi gruppi epossidi. Cromatografia per affinità Esempi di applicazioni: 1) Approcci di fusione genica 2) Cromatografia con chelanti di metalli 3) Cromatografia di immunoaffinità 4) Cromatografia mediante poli-(U) 5) Cromatografia di affinità su DNA 6) Cromatografia con RNA polimerasi Cromatografia per affinità Esempi di applicazioni: 1) Approcci di fusione genica 2) Cromatografia con chelanti di metalli L’approccio più usato trae vantaggio dal fatto che tratti di istidine si legano con forza a metalli come il nickel. Il gene di interesse viene manipolato geneticamente in modo che codifichi un’etichetta di poliistidina (6-8 residui) all’estremità N- o C-terminale della proteina. La proteina viene passata attraverso una colonna che contiene nickel immobilizzato a cui aderisce e viene eluita con imidazolo, che compete con l’istidina per il nickel immobilizzato. Cromatografia per affinità Esempi di applicazioni: 1) Approcci di fusione genica 2) Cromatografia con chelanti di metalli 3) Cromatografia di immunoaffinità 4) Cromatografia mediante poli-(U) 5) Cromatografia di affinità su DNA 6) Cromatografia con RNA polimerasi Cromatografia per interazioni idrofobiche L’assorbimento di una proteina su una matrice per cromatografia per interazioni idrofobiche è indotto da un incremento della concentrazione del sale High-pressure liquid chromatography (HPLC) La cromatografia liquida ad alta performance utilizza pompe ad alta pressione che spingono la fase mobile attraverso le colonne, riempite con materiale con elevate qualità cromatografiche. Con questa tecnica si ha una forte riduzione del tempo di percorrenza della colonna con una diffusione minima delle bande proteiche e un grande miglioramento della risoluzione dei campioni. Quantificazione della concentrazione delle proteine E’ spesso importante conoscere la concentrazione di proteine in un campione. Es.: Durante la purificazione di un enzima il processo di purificazione può essere seguito confrontando la quantità totale dell’attività enzimatica desiderata con la quantità totale di proteine dopo ogni passaggio di frazionamento. Se la purificazione sta procedendo bene come l’enzima diventa più puro, la quantità di attività enzimatica relativa alla concentrazione totale delle proteine aumenterà. Il rapporto fra attività enzimatica e quantità totale di proteine in un campione è noto come attività specifica. 1 unità di attività enzimatica viene definita come la quantità di enzima necessaria per trasformare 1 μM si substrato al minuto a 25 oC in condizioni di dosaggio ottimali. Attività = unità totali di enzima nella soluzione Attività specifica = numero di unità di enzima per milligrammo di proteina L’attività specifica è una misura della purezza dell’enzima. Aumenta durante la purificazione di un enzima e diventa massima e costante quando l’enzima è puro. Metodi per la quantizzazione delle proteine Assorbimento della luce da parte delle molecole: Un gran numero di biomolecole assorbono la luce a una catteristica lunghezza d’onda. La misura dell’assorbimento della luce con uno spettrofotometro è utilizzata per identificare le molecole e per valutare la loro concentrazione in soluzione. La frazione della luce incidente che viene assorbita da una soluzione a una data lunghezza d’onda è proporzionale allo spessore della soluzione (cammino ottico) e alla concentrazione della specie chimica che assorbe la luce. La legge di Lambert-Beer. Io log = εcl I Io = Intensità della luce incidente I = Intensità della luce trasmessa ε = coefficiente di estinsione molare (in unità di litro per moli-centimetro) c = concentrazione della specie che assorbe la luce (in moli per litro) l = lunghezza del cammino ottico (spessore del campione che assorbe la luce; in centimetri) L’espressione log (Io/I) viene detta assorbanza e indicata con A. L’assorbanza A è direttamente proporzionale alla concentrazione del soluto che sta assorbendo la luce. I principali componenti di uno spettrofotometro Io, Intensità della luce incidente Lampada: Luce emessa con una vasta gamma di lunghezze d’onda Monocromatore: Sceglie e trasmette una luce ad una particolare lunghezza d’onda I, Intensità della luce trasmessa Cuvetta Contenente c moli/litro della specie molecolare che assorbe la luce Registratore Metodi colorimetrici per la quantificazione delle proteine: Assorbanza a 280 e 260 nm (a) La concentrazione delle proteine può essere stimata misurando l’assorbanza di soluzioni che contengono proteine a 280 nm (UV). Questo metodo è comunemente usato perché non distrugge il campione ed è molto rapido. L’assorbanza a 280 nm dell’eluato delle colonne cromatografiche viene spesso monitorato in continuo per determinare quando le proteine vengono eluite dalla colonna. Lo strumento richiesto è uno spettrofotometro capace di misurare nella regione UV dello spettro e cuvette di quarzo (le cuvette di vetro non trasmettono la luce a 280 nm) La maggior parte delle proteine ha un massimo di assorbimento a 280 nm per la presenza di triptofano (W), tirosina (Y) e fenilalanina (F). Il triptofano e la tirosina, e in misura minore la fenilalanina, assorbono la luce ultravioletta. Questo spiega perché la maggior parte delle proteine possiedono un caratteristico assorbimento della luce a una lunghezza d’onda di 280 nm. Questa proprietà delle proteine è utilizzata dai ricercatori per idividuarle e quantificarle Metodi colorimetrici per la quantificazione delle proteine: Assorbanza a 280 e 260 nm (b) Proteine che non contengono W, Y e F non avranno un massimo di assorbimento a 280 nm, mentre proteine che contengono molti residui di questo tipo avranno alti assorbimenti molari, con il massimo di assorbimento a 280 nm. Il metodo non è quindi molto accurato a meno che la proteina sia pura e ne sia noto l’assorbimento molare, per esempio per calibrazione con un campione a concentrazione nota. Gli acidi nucleici sono particolarmente fastidiosi perché gli anelli purinici e pirimidinici hanno massimi di assorbimento vicini a 260 nm con un assorbimento considerevole che si estende fino a 280 nm. Se gli acidi nucleici sono gli unici contaminanti, la concentrazione della proteina può essere stimata usando la formula : Proteina (mg/mL) = 1,55 A280 - 0,76 A260 che corregge raggionevolmente bene per il contenuto in acidi nucleici (Groves et al., 1968). Metodi comuni per la quantizzazione delle proteine I metodi più comunemente utilizzati per la quantizzazione delle proteine utilizzano test cromogeni In questi metodi si utilizza un test cromogeno per costruire una curva standard da campioni contenenti quantità note di una proteina purificata, l’albumina di siero bovino (BSA); si determina quindi la quantità di proteine in campioni sconosciuti con gli stessi test confrontando i risultati ottenuti con quelli delle curve standard ottenute con la BSA. Considerando che le reazioni cromogene possono essere influenzate dalla composizione delle proteine o dalle altre sostanze presenti (es.: derivati sulfidrilici, detergenti, carboidrati, derivati aminici, acidi nucleici, lipidi, Sali ecc.) i risultati ottenuti con questi metodi possono essere considerati una stima della vera concentrazione proteica. Nonostante ciò, questi metodi sono usati comunemente perché sono riproducibili, semplici da eseguire e poco costosi e le risposte che danno sono utili. Metodi colorimetrici per la quantificazione delle proteine: Metodo di legame con coloranti (Metodo di Bradford) per la determinazione delle proteine Il legame del colorante Coomassie Brillinat Blue G-250 alle proteine provoca uno spostamento del massimo di assorbimento del colorante da 465 nm (rosso) a 595 nm (blu) in soluzioni acide (Bradford, 1976) Metodo di legame con coloranti (Metodo di Bradford) per la determinazione delle proteine Il colorante Coomassie Brillinat Blue G-250 forma forti complessi non covalenti con le proteine tramite interazioni elettrostatiche con gruppi aminici e carbossilici e tramite forze di van der Waals Poiché l’intensità della colorazione è non lineare in una vasta gamma di concentrazioni di proteine, è necessario preparare una curva standard per ogni test. Il colorante viene preparato come soluzione stock in acido fosforico Il metodo è un semplice procedimento costituito da un unico passaggio in cui il colorante viene aggiunto ai campioni e si determina l’assorbanza a 595 nm Il metodo è molto sensibile ed accurato ed è compatibile con la maggior parte dei tamponi comuni (incluso guanidina HCl 6 M e urea 8 M). Alte concentrazioni di detergenti possono interferire con questo test. Un metodo attendibile: l’analisi degli amminoacidi della proteina Un metodo più attendibile per determinare la concentrazione di una proteina pura è quello di condurre un’analisi degli amminoacidi della proteina. Ciò si fa in genere mediante idrolisi acida della proteina seguita da separazione degli amminoacidi e determinazione della loro quantità Certi amminoacidi come il triptofano e la cisteina sono parzialmente distrutti dall’idrolisi acida e l’idrolisi acida converte asparagina e glutamina in aspartato e glutammato Le concentazioni degli altri amminoacidi costituiranno quindi la base per stabilire la concentrazione della proteina. Non é necessario conoscere la sequenza degli amminoacidi della proteina perché questo metodo sia utile ma è importante che la proteina sia pura. E’ necessario un equipaggiamento speciale e pertanto una analisi degli amminoacidi viene in genere eseguita in centri specializzati Tabella di purificazione di una proteina ipotetica Procedimento o tappa Volume totale (ml) Proteine totali (mg) Attività (unità) Attività specifica (unità/mg) 1. Estratto grezzo 1400 10.000 100.000 10 2. Precipitazione 280 3.000 96.000 32 3. Cromatografia a scambio ionico 90 400 80.000 200 4. Cromatografia per esclusione molecolare 80 100 60.000 600 5. Cromatografia per affinità 6 3 45.000 15.000 Una molecola provvista di una carica netta si muove in un campo elettrico. Questo fenomeno, detto elettroforesi, offre uno strumento molto adatto per poter separare le proteine, così come le altre macromolecole, come il DNA e l’RNA. La velocità di migrazione (v) di una proteina (o di qualunque molecola) in un campo elettrico dipende dalla forza del campo elettrico (E), dalla carica netta della proteina (z) e dal coefficiente frizionale (f) Ez v= f Il coefficiente frizionale f dipende dalla massa e dalla forma della molecola che migra e dalla viscosità del mezzo. Le proteine possono essere separate e caratterizzate mediante elettroforesi Le proteine, molecole cariche, possono essere separate in base alla loro migrazione in un campo elettrico, un processo chiamato elettroforesi. Questa procedura non viene utilizzata per purificare grandi quantità di proteina (esistono metodi più efficaci e spesso le proteine vengono inattivate dall’elettroforesi). L’elettroforesi viene utilizzata soprattutto come metodo analitico (permette di separare le proteine e allo stesso tempo di visualizzarle). Le separazioni elettroforetiche vengono quasi sempre fatte in gel. I gel di poliacrilamide sono i mezzi di supporto più usati per l’elettroforesi delle proteine perché sono chimicamente inerti. I gel di poliacrilamide si formano per la copolimerizzazione di acrilamide e di un agente che forma legami trasversali (generalmente N,N’-metilene bisacrilamide) a formare un reticolo tridimensionale. L’acrilamide, se polimerizzata in assenza di un agente che forma legami trasversali, forma polimeri lineari dando soluzioni acquose viscose ma non gel. La reazione di polimerizzazione avviene per un meccanismo a catena di radicali liberi. I radicali liberi vengono generati con ammonio persolfato e tetrametiletilendiamina (TEMED). L’ammonio persolfato è l’estere disolfato dell’acqua ossigenata (-O3S-O-O-SO3-) e omolisa rapidamente a radicali instabili ·SO4-. Il TEMED è un’amina terziaria (CH3)2N-CH2- CH2 -N(CH3)2 che reagisce con i radicali liberi formati dall’ammonio persolfato a formare radicali liberi TEMED che a loro volta reagiscono con l’acrilamide a indurre la polimerizzazione. Polimerizzazione di acrilamide e bisacrilamide. Le dimensioni medie dei pori in un gel di poliacrilamide possono essere controllate variando la quantità di monomero usato (concentrazione di acrilamide) o aumentando il grado di legami trasversali (aumentando la concentrazione di N,N’-metilene bisacrilamide) per ottenere pori più stretti. Apparati da elettroforesi Elettroforesi su gel di poliacrilamide - lo stacking gel Per ottenere una buona separazione di proteine diverse in una miscela, così come nella filtrazione su gel, è essenziale che le proteine siano applicate al gel in volumi molto piccoli. Poiché non è spesso pratico caricare volumi molto piccoli del campione su di un gel da elettroforesi, si versa un tipo speciale di gel, detto stacking gel direttamente sopra il gel di risoluzione. Tale gel ha proprietà che fanno concentrare le proteine del campione in una zona sottile sopra il gel di risoluzione, permettendo una separazione delle proteine più efficiente. Elettroforesi su gel di poliacrilamide - i principi della compressione Lo stacking gel viene polimerizzato con una piccola percentuale di acrilamide e di bisacrilamide per assicurare un’alta porosità ed è tamponato con tampone Tris-HCl a pH 6,8, mentre il gel di risoluzione contiene una percentuale più alta di acrilamide e contiene Tris-HCl a pH più alto (8,8). I recipienti per il tampone (tampone di corsa) superiori e inferiori usati nel processo di elettroforesi contengono Tris a pH 8,3 con glicina come controione. Sodio dodecil solfato (SDS) Il sodio dodecil solfato si lega alla maggior parte delle proteine (probabilmente mediante interazioni idrofobiche), in quantità proporzionali alla massa molecolare della proteina (circa una molecola ogni 2 residui amminoacidici) L’SDS legato conferisce a tutte le proteine una cartica netta negativa, rendendo insignificante la loro carica intrinseca. Le proteine legate all’SDS perdono la loro conformazione nativa e vengono tutte ad assumere una forma simile. Elettroforesi su gel di poliacrilamide con SDS (SDS PAGE) Per vedere questa immagine occorre QuickTime™ e un decompressore Cinepak. In condizioni denaturanti le proteine vengono separate in base alla loro massa La mobilità della gran parte delle proteine in un gel di poliacrilamideSDS è inversamente proporzionale al logaritmo della loro massa molecolare. Dopo l’elettroforesi le proteine possono essere visualizzate trattando il gel con un colorante come il blu di Coomassie (Coomassie Brilliant Blue R-250), che si lega alle proteine ma non al gel (è un colorante correlato a quello usato nel test di Bradford per determinare la concentrazione proteica di un campione). Colorazione con blu di Comassie delle proteine dopo elettroforesi su gel di poliacrilamide con SDS. Analisi elettroforetica di una purificazione proteica L’analisi SD-PAGE può essere utilizzata per valutare l’efficacia di una procedura di purificazione Elettroforesi su gel semplice (non denaturante, nativa) SDS-PAGE comporta la denaturazione delle proteine. Un metodo alternativo è l’elettroforesi su gel nativa o non denaturante, in cui non si usa detergente e le proteine mantengono la struttura (anche se costituita da più subunità) e attività nativa. La migrazione delle proteine nei gel non denaturanti è dovuta sia alla carica netta che alle dimensioni. Per il tampone da utilizzare si sceglie un pH di 8-9 a seconda della proteina da visualizzare. Focalizzazione isoelettrica L’isoelettrofocalizzazione è una tecnica usata per determinare il punto isoelettrico (pI) di una proteina. Innanzitutto viene creato un gradiente di pH consentendo a una miscela di acidi e di basi organiche con una piccola massa molecolare (anfoliti) di distribuirsi in un campo elettrico generato attraverso il gel. Quando una miscela di proteine viene fatta migrare in queste condizioni, ogni componente della miscela migrerà fino a raggiungere il pH corrispondente al suo punto isoelettrico. Le proteine con punti isoelettrici diversi si distribuiranno in punti diversi nel gel. Il principio della focalizzazione isoelettrica Isoelettrofocalizzazione o focalizzazione isoelettrica Viene incorporata nel gel una soluzione di anfoliti Le proteine vengono separate in base al loro contenuto relativo di residui acidi e basici Elettroforesi bidimensionale Si può combinare l’isoelettrofocalizzazione con l’elettroforesi su gel di poliacrillamide + SDS. Con questa tecnica è possibile separare le oltre 1000 proteine presenti nella cellula di E. coli Elettroforesi bidimensionale Elettroforesi bidimensionale Il gel in alto è delle proteine citoplasmatiche totali di un mutante di E. coli privo della proteina regolatrice di risposta alla leucina (LRP) Il gel in basso è delle proteine citoplasmatiche totali di un E. coli normale. Le differenze nei due profili rivelano quali proteine sono regolate (per l’espressione) da LRP.