uranio impoverito - Osservatorio Militare
Transcript
uranio impoverito - Osservatorio Militare
MARTEDÌ 30 SETTEMBRE 2003 dossier uranio impoverito Non potevano non sapere Salvatore Vacca, Giuseppe Pintus, Corrado di Giacobbe, Andrea Antonaci, Luigi D’Alessio, Marco Mantovano, maresciallo Martino Cinelli, Giuseppe Benetti, Filippo Pilia, Rinaldo Colombo, Fabio Cappellaro, Marco Riccardi, Antonio Milano, il pilota dell’aviazione Meloni, maresciallo Martiello, P.T., M.D., Umberto Picciamiglio, Valerio Campagna, Andrea Muscella, Fabio Porru, Salvatore Carbonaro, Sergio D’Angelo. Sono tutti soldati italiani, morti di una particolare forma di cancro, il linfoma, dopo la missione nei Balcani. Altri 200 ragazzi sono tutt’oggi malati. In Francia ne sono morti trenta. Altri trenta fra Gran Bretagna, Stati Uniti e Australia. Ciò che li accomuna è che nei Balcani sono stati a contatto con l’uranio impoverito. Le autorità politiche e militari hanno sempre negato la tossicità dell’uranio impoverito, e hanno sempre negato l’esistenza di protocolli di attenzione diramati dai vertici Nato, evitando di adottare le fondamentali misure di sicurezza pure prescritte nei documenti ufficiali. Non esistono prove che a uccidere questi soldati siano state le radiazioni dell’uranio impoverito. Ma è stato più volte dimostrato che le particelle di questo metallo pesante, un volta inalate, possono provocare il cancro. Una straordinaria coincidenza. I vertici politici e militari hanno sempre saputo della tossicità chimica dell’uranio impoverito e della necessità di adottare dispositivi di sicurezza. E lo dimostrano i documenti, alcuni pubblicati in Gazzetta Ufficiale, firmati da quegli stessi politici e militari che negano. Metro racconta questa storia. di STEFANIA DIVERTITO nel mondo Le tre campagne militari Gli Stati Uniti con maggiore impiego e la Sindrome del Golfo del “metallo del disonore” Smentite e conferme In Inghilterra la prima causa vinta da un reduce malato ebbene la marina statunitense e il corpo i calcola che circa novantamila veterani dei Marines abbiano sparato migliaia di statunitensi si siano ammalati dopo la S S colpi all’uranio impoverito in battaglia, è prima guerra del Golfo. La cifra non è haun Rusling è il primo militare renta militari morti e una giornalista a britannico ad aver ottenuto un capo della crociata francese per ottenere S T risarcimento per riconosciuta Sindrome del il riconoscimento della malattia da uranio l’aeronautica ad averne lanciato il maggior numero nel corso della prima guerra in Iraq. Durante i combattimenti gli A-10 hanno scaricato circa 940 mila colpi da 30 mm, secondo i dati forniti dalla Casa Bianca. Facendo rapidi calcoli gli A-10 hanno scaricato approssimativamente 256 tonnellate di uranio impoverito. In Bosnia, nel 1994-95, la Nato ha invece sparato 10.800 proiettili di uranio impoverito (è possibile vedere le mappe su www.peacelink.it/tematiche/disarmo/u238/index.s html). Durante la campagna in Kosovo sono stati sparati invece 31 mila proiettili all’uranio impoverito. il fatto MARTEDÌ 30 SETTEMBRE 2003 Così uccide l’uranio impoverito in italia II impoverito è un metallo pesante, L’uranio risultato di scarto delle reazioni nucleari. Per utilizzare l’uranio (naturale) nei reattori nucleari, come carburante, o nelle industrie fabbricanti armi nucleari, vengono instaurati due processi di arricchimento, grazie all’apporto degli isotopi fissili U234, U235. Il sottoprodotto derivato, l’uranio impoverito, è il materiale di scarto tossico e radioattivo che possiede una percentuale ridotta dallo 0,7% allo 0,2% di U235, composto per il 99% di U238. Ma l’uranio impoverito si può ricavare anche dal riprocessamento delle scorie dei reattori nucleari. Queste scorie contengono tracce di U236, plutonio, americio e tecnezio 99, particolarmente cancerogeni per l’uomo e l’ambiente. L’uranio così formatosi è particolarmente efficace in azioni belliche grazie alla sua durezza e capacità penetrante. Gli aerei A-10 e i carri armati Abrams possiedono questo tipo di armamento. Come molte ricerche internazionali (e studi militari) hanno testimoniato, l’uranio impoverito è chimicamente tossico se inalato e ingerito. Quando un proiettile contenente uranio esplode, a una temperatura di oltre 2.000 gradi, libera nell’aria nanoparticelle. È questa polvere (aerosol) a contenere ossidi d’uranio, tendenzialmente insolubili. Un rapporto dell’esercito Usa del 1994 sostiene che «quando un penetratore di UI colpisce un carro armato può trasformarsi in aerosol anche per una proporzione del 70%». confermata dal governo americano che parla invece di 18 mila tra malati e morti. Fatto sta che dopo di allora i militari americani e quelli di altri contingenti vestono tute, mascherine e guanti speciali. Però, nonostante ciò, proprio quest’anno il governo statunitense ha dichiarato che «la Sindrome del Golfo non esiste». Comunque proprio negli Stati Uniti ci sono stati i primi studi che hanno affermato la pericolosità dell’uranio. Nel 1977 è partita la prima indagine. «Se inalato, l’uranio è tossico e cancerogeno» si dice nel rapporto finale. Nel 1984 gli statunitensi avvisarono gli italiani e gli altri contingenti: «Attenzione alla tossicità chimica dell’uranio impoverito». È solo la prima di una serie di segnalazioni. Golfo. La corte britannica gli ha dato ragione il 23 maggio 2002: la battaglia legale è durata nove anni. Durante la prima guerra del Golfo Rusling è stato medico dell’esercito per il reggimento dei paracadutisti, di stanza in Iraq, al confine con l’Arabia. «Ero un uomo fisicamente forte ma dopo la missione racconta - divenni irascibile e aggressivo. Soffrivo la fatica, dormivo anche per 24 ore al giorno e un medico mi diagnosticò la Sindrome del Golfo». Ma dalla diagnosi al riconoscimento di una pensione di guerra la strada è stata lunga: «Ne ho passate di tutti i colori e ancora oggi non sto bene - racconta - è stato frustrante sentirsi ripetere molte volte che la Sindrome del Golfo non esiste». La Francia è il Paese che ha pagato di più Trenta militari morti impoverito. I militari francesi si trovavano con il contingente degli italiani in Bosnia durante una bonifica di armamenti, subito dopo la guerra del 1992-95. Alcune immagini mostrate da un video di Rainews24 mostrano i soldati, a mani nude e senza mascherina, presidiare il territorio di bonifica e assistere allo scoppio controllato delle armi ritrovate. Nel filmato si vede la nube alzarsi, e i soldati rimanere lì, inermi. Oggi gran parte di quei soldati, sia italiani ma soprattutto francesi, sono malati di cancro e alcuni di loro sono morti. Trenta, quelli d’Oltralpe. I francesi, come si diceva, hanno pagato il prezzo più elevato in termini di vite umane. Soldati australiani usati come cavie umane Una commissione indaga L’allarme dell’Onu per l’ambiente nei Balcani Le indicazioni per la salute pubblicate dall’Oms l governo australiano ha confermato che l 15 gennaio 2001 l’Unep, il programma ultimo documento prodotto nei dodici esperimenti nucleari condotti Onu per la protezione ambientale, dall’Organizzazione mondiale della Idalla Ipubblicò L’ Gran Bretagna nel sud del Paese venne i risultati di un’indagine effettuata Sanità sull’uranio impoverito è datato usato uranio impoverito. I test furono portati a termine negli anni ‘50 e per sperimentare le tute antiradiazioni migliaia di soldati, molti dei quali australiani, vennero fatti marciare attraverso le zone interessate dalle esplosioni, venendo utilizzati, secondo l’agenzia di stampa Ap il 28 maggio, come vere e proprie cavie umane. Il governo australiano ha deciso di avviare un’indagine sulle condizioni di salute (e sulle cause di eventuali decessi) di tutti i militari coinvolti, i quali potranno richiedere un indennizzo. Inoltre anche tra i reduci australiani della guerra del Golfo, ci sarebbero i sintomi della Sindrome che ha colpito i militari statunitensi. in Kosovo. I tecnici del programma di protezione hanno rilevato sul terreno e nell’acqua l’isotopo 236 dell’uranio. «Segnale - si legge sul rapporto (www.unep.org) - che parte dell’uranio può provenire dal riprocessamento delle scorie dei reattori nucleari. In questo caso infatti insieme a questi isotopi dell’uranio impoverito potrebbe essere stato liberato anche del plutonio, elemento molto più radioattivo e pericoloso dell’uranio stesso». Lo stesso organismo internazionale aveva chiesto inoltre un supplemento d’indagine per «salvaguardare le popolazioni locali, costrette a vivere e a nutrirsi di alimenti che hanno assorbito gli isotopi dell’uranio». gennaio 2003. Lo si può scaricare dal sito: www.who.int/mediacentre/factsheets/fs257/en/print.h tml. Tra l’altro si legge: «Chi vive o lavora in aree contaminate (dall’uranio impoverito, ndr) è costretto a ingerire o inalare cibo contaminato. I bambini giocando all’aria aperta potrebbero inalare particelle di uranio impoverito. Circa il 98% dell’uranio entra nel corpo attraverso l’ingestione e non viene assorbito, ma eliminato dalle feci. L’uranio assorbito attraverso il cibo e l’acqua è per il 2% solubile e per lo 0,2% insolubile. L’uranio assorbito nel sangue deriva per la maggior parte dall’inalazione. Per alcune forme solubili, circa il 20% del materiale inalato viene assorbito dal sangue». Un’inchiesta sanitaria dell’università di Belgrado è un aumento dei casi di cancro dell’apparato gastro-intestinale e delle C’ vie respiratorie tra i serbi della Repubblica Srpska che supera del 263,9% i casi conclamati cinque anni fa. Il dato emerge da un’indagine dell’istituto di Scienze nucleari Vinca di Belgrado. L’oncologa responsabile del progetto di ricerca, Snezana Pavlovic, ha confrontato i malati di linfomi di Hodgkin e di cancro attuali con i dati relativi al 1995, prima cioè che avvenisse il bombardamento della Nato con proiettili all’uranio impoverito. Secondo l’università serba la diffusione del cancro, totalmente, è aumentata del 268%. Più colpite sono le donne (un vero e proprio boom di cancri al seno) e i bambini, soprattutto negli apparati respiratorio e digestivo. Tutte le carte che accusano l’uranio Leggi italiane, direttive europee, relazioni inviate dai comandi Nato, rapporti interni agli Stati maggiori: ecco perché i politici non possono non sapere cosa uccide i nostri soldati uando la mamma di Salvatore Vacca urlò ai funerali del figlio che qualcuno era responsabile per quella morte, e che il responsabile l’avrebbe dovuta pagare, molti pensavano si trattasse semplicemente del dolore di una madre. Il ventiquattrenne caporalmaggiore di Nuxis si era ammalato di leucemia ed era morto. Il tutto in pochi mesi. Subito dopo essere tornato dalla missione nei Balcani. Era il novembre 1999. Da allora sull’uranio impoverito, sui 23 ragazzi morti di cancro e sui 200 malati si è detto tanto. Ma mentre i politici negavano, con forza, con dichiarazioni pubbliche, conferenze stampa, risposte a interrogazioni parlamentari, quegli stessi politici avevano nei cassetti leggi e decreti e recepimenti di direttive europee e raccomandazioni dei comandi Nato che dicevano senza mezze misure: l’uranio impoverito sganciato prima in Iraq nel 1991, poi nei Balcani, nel 1995 e nel 1999, quindi ancora a Baghdad quest’anno, è pericoloso. Doppiamente pericoloso. Sia per l’emissione di radiazioni, sia per la sua tossicità chimica. Basta una ricerca d’archivio a svelare il doppio comportamento. Q UN DECRETO ministeriale del 6 giugno 1968 (Gazzetta Ufficiale 220 del 1968) fissa, “ai fini della protezione sanitaria dai pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti dei lavoratori”, le concentrazioni massime ammissibili in aria e in acqua dell’uranio. Nel decreto ministeriale del 17 dicembre 1977 (Gazzetta del gennaio 1978) “Classificazione e disciplina dell’imballaggio e della etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi, in attuazione delle direttive emanate dal consiglio e dalla commissione della comunità economica europea”, (ministro per l’interno Cossiga, per il lavoro Anselmi, per la sanità Dal Falco) l’uranio e i suoi composti vengono definiti: “altamente tossici per inalazione, per ingestione, pericolosi per gli effetti cumulativi”. UN TESCHIO è il simbolo che accompagna l’uranio nella tabella di classificazione. E lo stesso teschio, raffigurante la tossicità, compare anche nell’adeguamento del 1993, ma questa volta la T di tossico viene sostituita da T+, molto tossico. Ma siamo solo agli inizi. Il supplemento alla Gazzetta Ufficiale n°136 del 13 giugno 1995 determina le condizioni di applicazioni del decreto per le materie radioattive. Qui ogni radionuclide viene scisso in isotopi, e questi ultimi analizzati. Ecco come sono classificati quelli dell’uranio impoverito (isotopi U234, 235, 236 e 238). Nel primo gruppo (radiotossicità molto elevata) compare l’U234. Nel secondo (radiotossicità elevata) c’è l’isotopo U236, nel terzo gruppo (radiotossicità moderata) c’è il torio 234 e proattinio 234, “figli” del processo di decadimento dell’uranio impoverito, il 235 e il 238 infine sono nell’ultimo gruppo, radiotossicità debole. È pur vero che l’uranio quando è impoverito è composto per la maggior parte da U238. Ma quanto U234 si troverà in un posto dove sono stati sganciati 41.800 proiettili di uranio impoverito, come è accaduto nelle due campagne Nato nei Balcani? sopra, accanto al solito teschio compare un altro simbolo: l’uranio e i suoi composti vengono riconosciuti come “molto dannosi per l’ambiente”: «può procurare a lungo termine effetti per l’ambiente acquatico e terrestre», è un elemento «da conservare sotto chiave, non mangiare e non fumare durante l’impiego, in caso di malessere consultare il medico, e non liberare nell’ambiente». TUTTE QUESTE informazioni, i politici non possono non saperle. E non solo per queste leggi, tutte regolarmente pubblicate. Ma perché gli stessi Stati Uniti ci avevano avvisato in più di un’occasione. Una su tutte, nel 1984, con un fax trasmesso ai Paesi della Nato. «L’uranio impoverito - scriveva il 20 dicembre 1984 l’allora segretario NELLA DIRETTIVA EUROPEA del 15 dicembre 1998, recante il venticinquesimo aggiornamento della classificazione dei materiali tossico-nocivi di cui generale Nato Robin Beard presenta bassi livelli di radiazioni ma se penetra nell’organismo allora diventa molto pericoloso». Non solo: nell’aprile 2000 la scuola interforze per la difesa nucleare biologica e chimica di Rieti, su incarico degli Stati Maggiori, ha configurato gli elementi del rischio dell’u- ranio impoverito. Oltre a spiegare come ci si può ammalare («per inalazione o ingestione», c’è scritto nel rapporto) passa in rassegna la strumentazione in dotazione al nostro esercito impegnato nella bonifica degli armamenti in territorio balcanico (il nostro contingente è stato impiegato in 50 dei 112 si- ti bombardati da proiettili di uranio impoverito, più di tutti gli altri contingenti). Esistono due tipi di strumentazioni: una permette di rilevare l’uranio a una distanza di 50 centimetri. Uno a una distanza di 15 centimetri. I nostri soldati, in base alla strumentazione in possesso, per trovare tracce di uranio dovevano posizionarsi a meno di 10 centimetri. A una distanza tale, cioè, che anche le «deboli emissioni» di particelle radioattive sono pericolose. Ancora: il 27 marzo 2000 lo Stato Maggiore della Difesa trasmetteva (prot. 142/678) a tutti i comandi una relazione in cui si evidenziavano i pericoli dell’ina- Parla il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi “Ci si ammala di più passeggiando per Roma” Carlo Giovanardi è il ministro per i rapporti con il parlamento. Più d’una volta è intervenuto sull’uranio impoverito rispondendo a interrogazioni parlamentari. Secondo il portavoce del ministro della Difesa è lui la voce ufficiale del governo. Ministro Giovanardi, lei a luglio è intervenuto alla Camera sostenendo che l’uranio impoverito non è pericoloso… Non lo sostengo io, lo sostiene la commissione Mandelli. Il professore ha studiato le malattie e non ha trovato nessun nesso causa effetto. Ma la commissione Mandelli ha svolto un’indagine di tipo epidemiologico, non ha esaminato il problema tossicologico e chimico. Io conosco la professionalità di Mandelli e se non ha ritenuto di stabilire un nesso tra le malattie dei soldati e l’uranio, ho di che fidarmi. Ministro, lo sa che il professore ha studiato su dati numerici errati? In che senso? I soldati partiti in missione all’epoca dei lavori della commissione non erano 40 mila… Con numeri diversi le statistiche cambiano. Senta, c’è sempre chi dirà che questa cosa non è stata fatta bene e quell’altra è sbagliata. Stiamo parlando di numeri non di opinioni. È uguale. Quindi lei ritiene l’argomento chiuso? Il governo non chiederà un supplemento d’indagine? E perché dovremmo? Lo sa che l’uranio impoverito si trova anche nelle racchette da tennis? Forse è vero, però le racchette non esplodono mentre sembra che i problemi nascano quando le nanoparticelle sono inalate o ingerite dopo l’esplosione dei proiettili. Su quest’argomento gli stessi scienziati non sono concordi tra di loro. Appunto, come fa ad essere sicuro che hanno ragione quelli che dicono che non c’è il nesso causa-effetto? Non confondiamo la scienza con le leggende metropolitane. Lei lo sa che c’è tutta una produzione scientifica che getta allarme sull’elettrosmog? Invece andai a un convegno e gli scienzia- ti ridevano dicendo che non c’è nessuna documentazione che lo prova. Come mai lo Stato italiano ha emanato ben 25 adeguamenti alle direttive europee e dell’euratom che definiscono l’uranio e i suoi sottoprodotti come elementi tossici? Anche alcuni rapporti del nostro esercito definiscono l’uranio elemento pericoloso… La scienza ammette che per certi tipi di tumori c’era un’incidenza maggiore rispetto alla media. Ma non c’è prova che quest’incidenza derivi dall’uranio. I ragazzi pulivano le armi con il benzene. Potrebbe essere quella la causa. O le vaccinazioni… Non tutti i militari ammalati usavano il benzene mentre tutti invece erano stati senza protezioni nelle zone dove i proiettili all’uranio impoverito erano scoppiati. Sì ma quanto tempo prima? Le nanoparticelle emesse restano nell’aria… Mi ha assicurato Zichichi che se ho uranio impoverito a Torino e sto a Roma, non potrò mai respirarlo. Ministro, lei conosce le ricerche della dottoressa Gatti di Modena? Sì, ha fatto delle ricerche avan- zate e inquietanti. Ha trovato nei tessuti bioptici dei ragazzi malati o deceduti metalli pesanti, la causa dei cancri. Non ha trovato l’uranio. No, ma la forma di queste nanoparticelle, tondeggiante, è segnale che sono state prodotte da una temperatura superiore ai duemila gradi. E solo l’uranio brucia a questa temperatura. Il discorso della dottoressa Gatti è più ampio. Lo sa quanto ci ammaliamo a passeggiare per il centro di Roma? Ora si è scoperto che l’amianto fa male. Ebbene l’abbiamo usato per tanti anni. Certo, ma ora è vietato. Sì. Le dico una cosa. Io sono grato al Ddt. Ma ha provocato tante morti… Sì ma se non lo avessimo usato avremmo ancora la malaria. Ministro, lei saprà che le famiglie delle vittime hanno chiesto il riconoscimento della causa di servizio e che l’anno scorso era stato promesso un indennizzo che non è mai arrivato… Se le forze armate avessero largheggiato nel riconoscimento delle cause di servizio avremmo avuto meno avvocati che si attaccavano a queste tesi, funzionali a ottenere i soldi delle cause di servizio. Novembre 1999 Dicembre 2000 Gennaio 2001 Prima relazione Risultati Lo studio senese Mobilitazione Marzo 2003 Sono Salvatore Vacca e Giuseppe Pintus i primi militari morti. Si tratta di due ragazzi sardi. Nel giro di pochi mesi i malati per linfoma di Hodgkin saranno una decina. Nasce il caso “uranio impoverito”. Il governo nega che sia stato utilizzato questo materiale nei Balcani, poi è costretto a smentirsi, dopo l’ammissione della stessa Nato. In una conferenza stampa, dopo qualche mese, il professor Mandelli illustra i risultati del suo studio. Non c’è un eccesso statisticamente rilevante di linfomi. Ma viene chiesto un supplemento di indagini. Intanto viene definito il cosiddetto “protocollo Mandelli”: una serie di analisi cliniche alle quali sottoporre i militari prima e dopo la partenza. Nel 2002 il professor Mandelli considera concluso il suo studio: dall’indagine epidemiologica emerge un «eccesso statisticamente rilevante di linfomi» ma non riconnette le cause all’uso dell’uranio impoverito. La vicenda viene considerata conclusa dai responsabili dei vari dicasteri e dai vertici militari. Intanto ci sono ancora vittime. Il professor Franco Nobile, oncologo senese e presidente della legatumori toscana, in un libro realizzato in collaborazione con la Brigata Folgore, sostiene che «i ragazzi potrebbero essersi ammalati per varie cause, tra le quali il fumo e lo stress». Il maresciallo Domenico Leggiero dell’Osservatorio per la tutela dei militari aggiorna il numero delle vittime. Diciotto. L’ammiraglio Falco Accame, dell’associazione per la tutela dei militari e delle vittime civili e il maresciallo Leggiero dell’Osservatorio promuovono iniziative per tenere desta l’attenzione. Osservatorio per la tutela dei militari: www.osservatoriomilitare.it tel. 06-4061731 fax. 06-40802267 Ccp: n°19654391 La dottoressa Antonietta Gatti, fisica e chimica di Modena, utilizzando un microscopio a scansione elettronica, unico nel suo genere, scopre per la prima volta un nesso “fisico” tra l’impiego dei proiettili a uranio impoverito e le malattie dei militari. Nei tessuti bioptici dei soldati trova infatti nanoparticelle sferiche di metalli pesanti quali zinco, stronzio. L’allora ministro della Difesa Sergio Mattarella riferisce alla Camera l’esistenza di un “caso uranio”. Mostra le mappe dei bombardamenti all’uranio in Bosnia e in Kosovo. Anche se le mappe fornite dalla Nato erano e sono incomplete, si può facilmente notare che i contingenti italiani si trovavano in più di 50 dei siti bombardati. Vengono adottate misure precauzionali. Viene istituita dal governo una commissione medicoscientifica guidata dal professor Franco Mandelli, con compiti di “verificare in tutta libertà un eccesso statisticamente rilevante di linfomi tra i militari e accertarne un nesso causaeffetto con l’impiego di uranio impoverito». Intanto continuano le segnalazioni di ragazzi malati o morti. lazione dell’uranio. Simile contenuto, ma focalizzato sui comportamenti cautelativi, si legge nel documento prodotto dal comando brigata paracadutisti “Folgore” (8 maggio 2000, firmato dal tenente colonnello Ferdinando Guarnieri); sempre la Difesa, a giugno dello stesso anno, trasmetteva agli Stati Maggiori un documento sugli “effetti e precauzioni dell’uranio impoverito” e anche il ministero dell’ambiente si è adoperato per diffondere notizie circa la «pericolosità delle particelle di uranio impoverito radioattive e chimicamente tossiche per inalazione e ingestione». GLI STESSI SOLDATI in missione nei Balcani erano stati informati circa la pericolosità della situazione. Solo dal 2000 però cominciarono ad arrivare le SONO ANCORA i documenti che aiutano a far capire l’at- mosfera di fine secolo tra i soldati nei Balcani: il 26 novembre 1999 alla base Aves di Petrovec, in Kosovo, arrivava un’informativa Usa sulla contaminazione da uranio impoverito. Il comandante del 49° gruppo tattico “Capricorno”, Domenico Barbagallo, raccomandava: «Questa nota deve essere commentata a tutto il personale. Data la particolare importanza dell’argomento, di tali istruzioni deve rimanere traccia scritta». Ma il 15 dicembre 1999 il tenente Armando Cantori dichiarava per iscritto al comandante del reggimento: «sono stato impiegato in zona di operazioni in Kosovo in qualità di pilota di elicottero. Alla fine di novembre venivo informato che durante il bombardamento Nato erano state impiegate munizioni all’uranio impoverito. Il sottoscritto, non essendo stato informato dall’organizzazione sia della presenza che del pericolo e non avendo avuto a disposizione i dispositivi di sicurezza, potrebbe essere stato contaminato. A tutt’oggi non risultano attuati quell’insieme di provvedimenti atti a prevenire la diffusione delle malattie derivanti dalla contaminazione da radiazioni». Il tenente lavora a Viterbo, dove Metro l’ha raggiunto telefonicamente: «Sto bene, fortunatamente dice - in seguito a quella lettera fui sottoposto al protocollo Mandelli che prevede una serie di analisi cliniche da svolgere periodicamente. Noi non avevamo protezioni ma io ero elicotterista e quindi il problema non ci riguardava come per gli altri colleghi che facevano ricognizioni sui posti bombardati. Anche loro senza protezione. Cosa ne penso di questa vicenda? Che qualcuno la coscienza sporca deve averla, altrimenti non continuerebbe a negare anche l’evidenza». Giugno 2003 Luglio 2003 I figli dei reduci In una conferenza stampa alla Camera l’onorevole Edouard Ballaman della Lega Nord presenta i risultati dell’equipe modenese e annuncia interrogazioni parlamentari. Un mese dopo il ministro Giovanardi, rispondendo al Parlamento, dice che «l’uranio non fa male, è contenuto anche nei manici delle racchette e lo smog è sicuramente più pericoloso». L’avvocato Angelo Tartaglia presenta denunce penali nelle varie procure di competenza territoriale. Un giudice del tribunale di Cagliari emette la prima sentenza di rinvio a giudizio contro ignoti per omicidio colposo: la vicenda di riferimento è legata alla morte di Salvatore Vacca. Ma nessuno ha ancora riconosciuto l’esistenza delle cause di servizio. In un servizio di Rainews24 un reduce dai Balcani racconta delle malformazioni con le quali è nato il figlio. Nel corso del servizio si apprende che sarebbero undici i militari italiani con figli malformati. Secondo uno studio statunitense del 1977 l’uranio, ingerito o inalato, può essere causa di malformazioni genetiche ed essere trasmesso da padre a figlio. prime mascherine e le tute, anche se le missioni erano cominciate nel 1995. Nel 2000 Il ministro della Difesa era Sergio Mattarella: «Cosa penso della vicenda uranio? - dice a Metro - non ho certezze oggi come non ne avevo allora. Proprio per questo quando la vicenda venne alla luce, nel dicembre 2000, feci tutto quanto era in mio potere per affrontarla correttamente. Mi accertai che ci fossero precauzioni per i soldati e costituii una commissione scientifica presieduta dal professor Franco Mandelli». Però avete detto al professor Mandelli che i soldati impiegati all’estero erano 40 mila, invece secondo il libro bianco della Difesa, pubblicato in Internet sul sito del ministero, erano trentamila. Con numeri diversi cambia l’incidenza dei casi di linfoma riscontrati su quelli attesi. «Questo non glielo so dire perché la questione tecnica era affidata a esperti. In ogni caso io dico che l’unica verità è quella scientifica. E non dimentichiamo che noi chiedemmo anche il bando dell’uranio e su tutta la vicenda c’è ancora tanta incertezza». IN QUEL PERIODO, a cavallo tra il 1999 non mancò certo la confusione. «Alla sanità militare - racconta l’onorevole Massimo Ostillio, all’epoca sottosegretario alla Difesa - prima di Tricarico c’era un ammiraglio medico che andò in pensione nelle more del caso uranio. A me sembrava strano che non si facesse neanche un esame del sangue ai nostri militari. Lui mi rispose che gli Stati Maggiori avocarono il problema ai loro ispettorati sanitari. L’Udeur chiederà una commissione d’inchiesta in Parlamento». Queste nanoparticelle hanno una forma sferica. Una forma che si può ottenere solo in presenza di temperature al di sopra dei 2.000 gradi. L’unico elemento che brucia a quelle temperature è l’uranio. La dottoressa ha esaminato anche lo sperma di un ragazzo che lo aveva congelato per avere un bambino dopo le chemioterapie. Il ragazzo è morto, ma nel suo liquido seminale è stata trovata traccia del passaggio dell’uranio. L’indagine del team di Mandelli er tre volte la commissione medica P presieduta dall’ematologo Franco Mandelli ha studiato numeri e cartelle cliniche. Per tre volte ha assolto l’uranio impoverito. La terza relazione però ha ammesso l’esistenza di un “eccesso statisticamente rilevante di linfomi di Hodgkin rispetto ai casi attesi”. Secondo molti scienziati il lavoro della commissione è limitato proprio perché si è concentrato sul profilo epidemiologico, tralasciando l’aspetto tossicologico che avrebbe dimostrato quanto i laboratori Usa affermano: le particelle di uranio, ingerite o inalate, provocano il cancro. A marzo la dottoressa Gatti, fisica e chimica, grazie a un telescopio a scansione elettronica ha trovato una relazione tra l’uranio e le malattie dei soldati. Nei tessuti bioptici dei ragazzi ci sono nanoparticelle di metalli pesanti. Queste particelle hanno forma sferica. Segnale, questo, che hanno subito una temperatura superiore ai 2000 gradi. Solo l’uranio brucia a tali temperature. «Per questo l’uranio impoverito, se non può essere definito il killer dei nostri soldati, è certamente il mandante dice la dottoressa - il veicolo con il quale queste nanoparticelle sono ingestite e inalate». III la giustizia MARTEDÌ 30 SETTEMBRE 2003 la testimonianza le storie IV L’avvocato Tartaglia: “In lotta per la verità e contro la burocrazia” el suo studio romano i faldoni sul caso uranio si susseguono numerosi sugli N scaffali. Archivia tutto. Storie, nomi, telefoni, interviste, rassegne stampa e soprattutto cartelle cliniche. L’avvocato Angelo Fiore Tartaglia rappresenta una ventina di ragazzi, o famiglie di ragazzi deceduti, e in tutti questi mesi, dice, non ha perso mai l’ottimismo. «A luglio abbiamo ottenuto la prima vera buona notizia. Un giudice di Cagliari ha formulato il primo rinvio a giudizio per omicidio colposo contro ignoti. Si tratta del caso di Salvatore Vacca, il primo ragazzo morto per l’uranio. Inoltre la decisione del giudice è arrivata dopo aver esaminato la documentazione fornita, cioè gli studi della dottoressa Gatti di Modena. Potrebbe essere un precedente interessante. Per questo forse potrebbero essere spostati a Cagliari tutti i procedimenti aperti». Quanti sono i procedimenti? «Riguardano tutti i ragazzi che stiamo seguendo, una ventina. Abbiamo presentato le denunce penali nelle procure di competenza territoriale». E le cause civili? «Il Tar ha accordato le cause di servizio. Ma il passaggio successivo è il parere obbligatorio della commissione medica ospedaliera, formata da personale militare. Ma intanto è cambiata la legge. Ora c’è una nuova commissione, sempre composta da personale militare, che dovrà decidere su tutte le questioni. Insomma abbiamo cominciato daccapo». Avvocato, perché è ottimista? «Perché le prove ormai sono talmente evidenti che non si può ancora a lungo negare l’evidenza». Il ministro Giovanardi ha detto che se gli Stati Maggiori avessero largheggiato nel riconoscimento delle cause di servizio, avremmo avuto meno avvocati attaccati alla tesi dell’uranio. «Il ministro Giovanardi rischia una denuncia per diffamazione non solo da me ma dall’ordine degli avvocati». Un osservatorio per sostenere i militari e le famiglie osservatorio per i diritti dei militari non è solo un’associazione di categoria. È una L’ banca dati. Il maresciallo Domenico Leggiero è l’anima dell’osservatorio. Lei è un militare. Come mai in molti casi i comandi sapevano della pericolosità dell’uranio ma non hanno adottato le precauzioni? «Ciò accade quando ci sono vertici militari che dalla vita operativa vanno a giocare a Risiko nelle stanze dei bottoni. Non dobbiamo dimenticare che chi è oggi al governo qualche anno fa gridava al caso uranio». C’è stata una commissione scientifica che ha discolpato l’uranio. «A Mandelli i numeri glieli hanno dati. Non mi sento di dubitare della buona fede del professore». Il ministro Giovanardi dice che ci si ammala di più a passeggiare per un centro di una grande città… «Se Giovanardi fosse stato nonno di uno dei ragazzi morti non l’avrebbe detto». Qual è stato il momento più difficile di questi tre anni? «Ogni volta che mi trovo al capezzale dell’ennesimo ragazzo morto. Mi chiedo: per Telekom Serbia la commissione d’inchiesta è nata in 4 giorni. Per l’uranio non nasce neanche dopo 23 morti». Qualcuno ha accusato l’Osservatorio di lucrare sul caso uranio. «I bilanci sono pubblici. Abbiamo 14.000 euro per tremila iscritti. Le nostre spese sono ricevute mediche, corone da morto e viaggi per portare i ragazzi negli ospedali». State analizzando la situazione in Bosnia con la dottoressa Gatti… «In modo molto falso è stata presentata la Bosnia con una superficie coperta di mine e con l’aria impestata. Noi crediamo che se in Italia abbiamo avuto 23 morti, in Bosnia c’è un’ecatombe». Se l’uranio è il colpevole, si profilerebbe un crimine di guerra… «Questo non lo so. Sicuramente si profila un crimine contro i nostri soldati. E di questa carneficina dobbiamo trovare i mandanti». Una vita da soldato Il racconto del caporalmaggiore Luca Sepe, 27 anni, colpito dal linfoma di Hodgkin ono Sepe Luca, ventisette anni, caporalmaggiore esperto in telecomunicazioni». Si presenta così, Luca, come se fosse ancora in caserma. Perché, dentro di sé, Luca lo è ancora, un soldato. «Sì sono un soldato, anche se da tre anni combatto con ogni tipo di malattia. La mia cartella clinica è talmente complicata che i medici non sanno da che parte cominciare». Ci scherza su, Luca, ma un attimo dopo diventa serio: «Certo che mi viene lo sconforto, ma sono fortunato. Altri al posto mio non possono raccontarlo. Io invece, anche se malato, anche se trascorro più tempo in un reparto ospedaliero che a casa, io sono ancora qui a combattere». Luca abita a Cardito, un paesino della provincia di Napoli dove, spiega, a parte l’affetto della famiglia e dei sui amici, non c’è niente. Di Napoli ha l’accento forte e anche quell’autoironia che gli fa dire: «Sono mezzo acciaccato, praticamente non lavoro da tre anni ma per abbattermi ci vuole ben altro». «S LUCA, ALTO e magrissimo, ma con un viso sempre pronto al sorriso, partì per il Kosovo, in missione con il suo reggimento, nell’ottobre 1999. È esperto in telecomunicazioni, quindi con i suoi colleghi ha girato praticamente tutta la zona bombardata dalla Nato nella campagna del marzo ‘99. L’elenco dei luoghi è lo stesso che compare sulle mappe della Nato. Lì in primavera erano piombati, secondo fonti ufficiali, 30.800 ordigni all’uranio impoverito. Il lavoro di Luca e dei suoi colleghi consisteva nel rimuovere le antenne distrutte e sostituirle con le nuove. Ma non solo le antenne. «Rimuovevo i pezzi frantumati, anche di case, perché poi dovevamo installare un nuovo ponte di comunicazione. Insomma facevamo rimozione e Parla Salvatore papà di Andrea «Ogni giorno vado da mio figlio per dirgli buongiorno. Pensando a lui mi sveglio e ricordando lui mi addormento. Scoprire la verità su chi l’ha ucciso, perché non accada ad altri ragazzi, è l’unica cosa che mi tiene in vita». Striscia il suo accento pugliese, Salvatore Antonaci. Suo figlio Andrea è morto il 12 dicembre 2000. installazione». Ricorda tutto, Luca, con una precisione tale da fare di lui un testimone prezioso dell’intera vicenda uranio. Usa termini tecnici e si capisce che per forza di cose è diventato esperto anche di terminologia sanitaria. «NON AVEVAMO alcun tipo di protezioni. Nessuna mascherina, né guanti, né tute speciali. Sulla carta questi dispositivi di sicurezza dovevano esserci forniti come equipaggiamento di base ma di fatto non li indossavamo e nessuno ci obbligava a farlo. In ogni caso si trattava degli stessi indumenti che avremmo adoperato in Italia, non come quelli che avevano altri contingenti, come ad esempio gli americani». Una differenza che Luca nota e fa notare al suo comandante, il quale però gli risponde: «Lasciali perdere gli americani, quelli sono soltanto dei fanatici. Sono tutte americanate, non lo vedi come vanno conciati quelli là?». «Feci rapporto e misi per iscritto le mie osservazioni. Lo feci soprattutto perché le mascherine e le tute indossate dagli statunitensi non le avevo mai viste. Non riuscivo a identificarle tra i dispositivi di sicurezza a nostra disposizione». A FINE DICEMBRE Luca tornò a casa. Contemporaneamente, cominciò la sua odissea. «Mi sentivo male. Debole, e poi avevo costantemente una forte tosse e il mal di gola. Andai all’infermeria della caserma militare di Milano e mi diagnosticarono una faringite. Girai per diverse infermerie perché il mal di gola non andava via. Ma la diagnosi era sempre la stessa. Faringite». Una storia simile a quella di altri ragazzi malati. Anche in quei casi le caserme militari, almeno in primo momento, sbagliarono diagnosi. «Continuai a fare il giro dei medici fino a marzo. Chi diceva che si trattava di una bronchite, chi di una faringite. Ma Andrea dalla caserma Tito Barracks di Sarajevo, la caserma dove si trovava anche Salvatore Vacca, Andrea era inviato in giro per sopralluoghi. «È come se avessero ucciso un’altra volta mio figlio quando abbiamo sentito in un’intervista un giornalista che accusava noi genitori delle vittime dell’uranio di voler lucrare su queste morti». Ha lo sguardo basso questo padre. Andrea è rimasto in Bosnia dall’1 non ne ero convinto. Intanto era sopraggiunta anche la febbre alta. Quindi presi un permesso non retribuito e di mia iniziativa andai all’ospedale Borromeo di Milano. Lì notarono subito che avevo qualcosa di anomalo al polmone destro. Come una palla, mi dissero. Insomma una macchia scura. Mi spaventai. Telefonai a mio padre che mi disse di tornare a Napoli. Ero impaurito, i medici mi avevano detto di restare lì quella notte e che la faccenda era seria e andava approfondita. Ero da solo, quindi decisi di tornare a Napoli». LA PRIMA TAPPA è il Monaldi, il nosocomio partenopeo specializzato in oncologia. «Vi restai per mesi. I medici dissero che si trattava di un ascesso polmonare. Avevo sempre la febbre altissima, al di sopra dei quaranta gradi. Dimagrivo a vista d’occhio. Ricordo che era agosto e dormivo con quattro coperte di lana addosso. Pensavamo si trattasse di una di quelle malattie misteriose che possono essere contratte all’estero. Io non sapevo che pensare, mi sentivo morire, sentivo che la vita se ne stava andando. Solo pochi mesi prima ero un soldato nel pieno delle forze e ora stavo in un letto, in una specie di coma, incapace di muovermi». Ma cosa avevi? «Linfoma di Hodgkin. Ero definito quarto stadio B. Significa insomma che stavo morendo. I capelli mi cadevano a ciuffi ed ero diventato giallo. Pesavo trentotto chili. Poi cambiammo ospedale. Posso dire che mio padre, con la sua caparbietà, mi ha salvato. Lui infatti insistette per andare al Cardarelli. Fu lì che mi asportarono la milza e mi diagnosticarono il linfoma. Se sono vivo lo devo a lui, a mio padre». Antonio, il padre di Luca, è una specie di medico autodidatta per forza. «Da anni Luca - dice - non lotta soltanto contro la malattia che devasta il fisico e mina la mente ma anche con l’indifferenza dei settembre ‘98 al 31 marzo ‘99. «Mentre moriva Andrea ci ha chiesto di essere testimoni e raccontare che anche lui come altri ragazzi non indossava protezioni di nessun tipo. A noi non servono i soldi perché io e mia moglie non avremo mai serenità. Il ministro della Difesa ci chiese di essere a disposizione del professor Mandelli. Ma non siamo mai stati convocati dalla commissione». governi che si sono succeduti e con l’inefficienza del sistema sanitario. Almeno però mio figlio è ancora vivo, altri colleghi non ci sono più, io ho il dovere e il diritto di lottare per la vita di Luca e degli altri che potrebbero trovarsi nella stessa situazione». È STATA UNA trasfusione ricevuta in ospedale che ha sommato al linfoma di Hodgkin anche l’epatite C. «Già. La mattina mi guardo allo specchio e non ci credo di essere ancora qui». Parla velocemente, Luca. E al telefono la sua voce trema. «Mi faccio dare i pizzicotti dai miei cugini per essere sicuro di non sognare. In ospedale, alla fine del 2000 ero in uno stato vegetativo. Tecnicamente si dice in precoma. Non lo auguro neanche al mio peggior nemico. Pensavo che la carriera militare fosse tutt’altro». Prima di partire, Luca era in perfetta forma. Basta guardare le sue “pagelle”. In caserma aveva 20/20 alle prove fisiche. «Ora mi sento come se stessi punito». La voce gli s’incrina ricordando questi ultimi mesi. «Non sto certo ancora bene. Sono ancora in malattia. Devo fare il monitoraggio per il cancro e le terapie per l’epatite. Non posso lavorare, tutto il mio tempo lo impiego per cercare di guarire, non posso permettermi una vita come qualsiasi altro ventenne. Fortunatamente ho una famiglia che non mi ha mai abbandonato. Ogni tanto esco con i miei cugini ma mi stanco presto». È magro, Luca, e ha la ferita dell’operazione che in nessun caso riuscirebbe a fargli dimenticare la sua odissea. «Un vero tatuaggio scherza - una cicatrice a forma di L dall’ombelico in giù. Ma mi sento comunque fortunato». Non come Antonio Milani. «Già, io e Antonio eravamo stati in missione insieme. Ci siamo anche ammalati, dello stesso male, nello stesso periodo. Antonio però è morto l’anno scorso. Quella stessa sera la moglie partorì il loro bambino. Io penso ad Antonio e mi dico che devo sfruttare ogni singolo minuto della mia vita per cercare di capire e raccontare quello che ci sta succedendo. Però su una cosa non potrò mai cambiare mai idea. Io ho perso fiducia nello Stato e niente e nessuno potrà mai ridarmela». Solo una volta lo “Stato” si è fatto vedere a casa di Luca. «Sì, tre anni fa. Era il periodo peggiore. Ero in ospedale, stavo morendo. A casa arrivarono due uomini dell’esercito con un maresciallo dei carabinieri di Crispano, un paesino confinante con il mio. In casa c’era mio fratello, gli chiesero di consegnare loro la mia divisa. Perché, dissero, dovevano bruciarla. Ma mio fratello Alessandro è un chimico e pensò che non era il caso di consegnarla. Che sulla mia divisa poteva esserci qualcosa che volevano cancellare, e che comunque quella procedura era inusuale. Per questo li mandò via». E ORA LA divisa dov’è? «La faremo analizzare dalla dottoressa Gatti di Modena. Se ci sono molecole strane lei le rileverà». Cosa dovrebbe esserci sulla divisa? «Io non lo so di preciso ma ricordo un episodio. Quando tornammo dal Kosovo andai in banca. Indossavo la mimetica e il rilevatore del sistema di sicurezza mi diceva di riporre gli oggetti metallici. Ma io non avevo niente in tasca. Né orologio, neanche la chiave della cassetta di sicurezza. Alla fine in banca non ci entrai». Com’è la tua vita oggi? «È una vita diversa rispetto a un ragazzo di 24 anni. Una vita divisa tra l’epatologo e l’oncologo. Le terapie, i controlli, i monitoraggi, le analisi, gli ospedali». Cosa ti aspetti per il futuro? «Io vivo ogni momento per quello che è. Non so neanche se ci sarà il futuro. Io so che gli aiuti giunti dall’esterno sono pochi. Sono cambiati i governi ma in realtà non è cambiato nulla. Sa cosa hanno risposto i miei comandi alle richieste di cause di servizio? “Lei attenda finché noi non decidiamo”. Io sto ancora aspettando». La mamma di Salvatore La moglie Il padre del maresciallo dell’alpino «Mio figlio - dice Giuseppina Vacca - è stato il primo giovane a morire, il 9 settembre 1999 tra l’indifferenza dello Stato e il muro di gomma dei vertici militari. Mentirono anche sulla diagnosi, ma non capirono che una madre a cui uccidono il figlio non si ferma neanche davanti all’indifferenza della politica». «Non so quanti colleghi di mio marito - dice Giovanna Soria, vedova del maresciallo dei carabinieri Cinelli - sono deceduti. Il carabiniere non può parlare, la moglie sì! Si sono commessi errori che hanno ucciso uomini che credevano nella propria missione. Solo la giustizia potrà placare la rabbia che c’è in me». «Se la vita di Corrado servisse a salvare la vita di altri - dice da Vico del Gargano Guido Di Giacobbe, padre dell’alpino Corrado - forse troverebbe un senso il dolore acutissimo che la sua scomparsa ha lasciato in noi. È come se mio figlio fosse ucciso ogni giorno dalla noncuranza e dall’indifferenza».