uranio impoverito - Osservatorio Militare

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uranio impoverito - Osservatorio Militare
MARTEDÌ 30 SETTEMBRE 2003
dossier
uranio impoverito
Non potevano non sapere
Salvatore Vacca, Giuseppe Pintus, Corrado di Giacobbe,
Andrea Antonaci, Luigi D’Alessio, Marco Mantovano,
maresciallo Martino Cinelli, Giuseppe Benetti, Filippo Pilia, Rinaldo
Colombo, Fabio Cappellaro, Marco Riccardi, Antonio Milano, il pilota
dell’aviazione Meloni, maresciallo Martiello, P.T., M.D., Umberto
Picciamiglio, Valerio Campagna, Andrea Muscella, Fabio Porru,
Salvatore Carbonaro, Sergio D’Angelo.
Sono tutti soldati italiani, morti di una particolare forma di cancro, il
linfoma, dopo la missione nei Balcani.
Altri 200 ragazzi sono tutt’oggi malati.
In Francia ne sono morti trenta.
Altri trenta fra Gran Bretagna, Stati Uniti e Australia.
Ciò che li accomuna è che nei Balcani
sono stati a contatto con l’uranio impoverito.
Le autorità politiche e militari hanno sempre negato la tossicità
dell’uranio impoverito, e hanno sempre negato l’esistenza di protocolli di
attenzione diramati dai vertici Nato,
evitando di adottare le fondamentali misure di sicurezza
pure prescritte nei documenti ufficiali.
Non esistono prove che a uccidere questi soldati
siano state le radiazioni dell’uranio impoverito.
Ma è stato più volte dimostrato che le particelle di questo metallo
pesante, un volta inalate, possono provocare il cancro.
Una straordinaria coincidenza.
I vertici politici e militari hanno sempre saputo
della tossicità chimica dell’uranio impoverito
e della necessità di adottare dispositivi di sicurezza.
E lo dimostrano i documenti, alcuni pubblicati in Gazzetta Ufficiale,
firmati da quegli stessi politici e militari che negano.
Metro racconta questa storia.
di STEFANIA DIVERTITO
nel mondo
Le tre campagne militari Gli Stati Uniti
con maggiore impiego
e la Sindrome del Golfo
del “metallo del disonore” Smentite e conferme
In Inghilterra
la prima causa vinta
da un reduce malato
ebbene la marina statunitense e il corpo
i calcola che circa novantamila veterani
dei Marines abbiano sparato migliaia di
statunitensi si siano ammalati dopo la
S
S
colpi all’uranio impoverito in battaglia, è
prima guerra del Golfo. La cifra non è
haun Rusling è il primo militare
renta militari morti e una giornalista a
britannico ad aver ottenuto un
capo della crociata francese per ottenere
S
T
risarcimento per riconosciuta Sindrome del
il riconoscimento della malattia da uranio
l’aeronautica ad averne lanciato il maggior
numero nel corso della prima guerra in Iraq.
Durante i combattimenti gli A-10 hanno
scaricato circa 940 mila colpi da 30 mm,
secondo i dati forniti dalla Casa Bianca.
Facendo rapidi calcoli gli A-10 hanno
scaricato approssimativamente 256
tonnellate di uranio impoverito.
In Bosnia, nel 1994-95, la Nato ha invece
sparato 10.800 proiettili di uranio impoverito
(è possibile vedere le mappe su
www.peacelink.it/tematiche/disarmo/u238/index.s
html).
Durante la campagna in Kosovo sono stati
sparati invece 31 mila proiettili all’uranio
impoverito.
il fatto
MARTEDÌ 30 SETTEMBRE 2003
Così uccide
l’uranio
impoverito
in italia
II
impoverito è un
metallo pesante,
L’uranio
risultato di scarto delle
reazioni nucleari. Per
utilizzare l’uranio (naturale)
nei reattori nucleari, come
carburante, o nelle
industrie fabbricanti armi
nucleari, vengono instaurati
due processi di
arricchimento, grazie
all’apporto degli isotopi
fissili U234, U235. Il
sottoprodotto derivato,
l’uranio impoverito, è il
materiale di scarto tossico
e radioattivo che possiede
una percentuale ridotta
dallo 0,7% allo 0,2% di
U235, composto per il
99% di U238. Ma l’uranio
impoverito si può ricavare
anche dal riprocessamento
delle scorie dei reattori
nucleari. Queste scorie
contengono tracce di
U236, plutonio, americio e
tecnezio 99,
particolarmente
cancerogeni per l’uomo e
l’ambiente. L’uranio così
formatosi è particolarmente
efficace in azioni belliche
grazie alla sua durezza e
capacità penetrante. Gli
aerei A-10 e i carri armati
Abrams possiedono questo
tipo di armamento. Come
molte ricerche
internazionali (e studi
militari) hanno
testimoniato, l’uranio
impoverito è chimicamente
tossico se inalato e ingerito.
Quando un proiettile
contenente uranio esplode,
a una temperatura di oltre
2.000 gradi, libera nell’aria
nanoparticelle. È questa
polvere (aerosol) a
contenere ossidi d’uranio,
tendenzialmente insolubili.
Un rapporto dell’esercito
Usa del 1994 sostiene che
«quando un penetratore di
UI colpisce un carro armato
può trasformarsi in aerosol
anche per una proporzione
del 70%».
confermata dal governo americano che parla
invece di 18 mila tra malati e morti. Fatto sta
che dopo di allora i militari americani e quelli
di altri contingenti vestono tute, mascherine
e guanti speciali. Però, nonostante ciò,
proprio quest’anno il governo statunitense ha
dichiarato che «la Sindrome del Golfo non
esiste». Comunque proprio negli Stati Uniti ci
sono stati i primi studi che hanno affermato
la pericolosità dell’uranio. Nel 1977 è partita
la prima indagine. «Se inalato, l’uranio è
tossico e cancerogeno» si dice nel rapporto
finale. Nel 1984 gli statunitensi avvisarono gli
italiani e gli altri contingenti: «Attenzione alla
tossicità chimica dell’uranio impoverito».
È solo la prima di una serie di segnalazioni.
Golfo. La corte britannica gli ha dato ragione
il 23 maggio 2002: la battaglia legale è durata
nove anni. Durante la prima guerra del Golfo
Rusling è stato medico dell’esercito per il
reggimento dei paracadutisti, di stanza in
Iraq, al confine con l’Arabia. «Ero un uomo
fisicamente forte ma dopo la missione racconta - divenni irascibile e aggressivo.
Soffrivo la fatica, dormivo anche per 24 ore al
giorno e un medico mi diagnosticò la
Sindrome del Golfo». Ma dalla diagnosi al
riconoscimento di una pensione di guerra la
strada è stata lunga: «Ne ho passate di tutti i
colori e ancora oggi non sto bene - racconta - è
stato frustrante sentirsi ripetere molte volte
che la Sindrome del Golfo non esiste».
La Francia è il Paese
che ha pagato di più
Trenta militari morti
impoverito.
I militari francesi si trovavano con il
contingente degli italiani in Bosnia durante
una bonifica di armamenti, subito dopo la
guerra del 1992-95. Alcune immagini
mostrate da un video di Rainews24 mostrano
i soldati, a mani nude e senza mascherina,
presidiare il territorio di bonifica e assistere
allo scoppio controllato delle armi ritrovate.
Nel filmato si vede la nube alzarsi, e i soldati
rimanere lì, inermi. Oggi gran parte di quei
soldati, sia italiani ma soprattutto francesi,
sono malati di cancro e alcuni di loro sono
morti. Trenta, quelli d’Oltralpe.
I francesi, come si diceva, hanno pagato il
prezzo più elevato in termini di vite umane.
Soldati australiani
usati come cavie umane
Una commissione indaga
L’allarme dell’Onu
per l’ambiente
nei Balcani
Le indicazioni
per la salute
pubblicate dall’Oms
l governo australiano ha confermato che
l 15 gennaio 2001 l’Unep, il programma
ultimo documento prodotto
nei dodici esperimenti nucleari condotti
Onu per la protezione ambientale,
dall’Organizzazione mondiale della
Idalla
Ipubblicò
L’
Gran Bretagna nel sud del Paese venne
i risultati di un’indagine effettuata
Sanità sull’uranio impoverito è datato
usato uranio impoverito. I test furono portati
a termine negli anni ‘50 e per sperimentare
le tute antiradiazioni migliaia di soldati,
molti dei quali australiani, vennero fatti
marciare attraverso le zone interessate dalle
esplosioni, venendo utilizzati, secondo
l’agenzia di stampa Ap il 28 maggio, come
vere e proprie cavie umane. Il governo
australiano ha deciso di avviare un’indagine
sulle condizioni di salute (e sulle cause di
eventuali decessi) di tutti i militari coinvolti,
i quali potranno richiedere un indennizzo.
Inoltre anche tra i reduci australiani della
guerra del Golfo, ci sarebbero i sintomi della
Sindrome che ha colpito i militari
statunitensi.
in Kosovo. I tecnici del programma di
protezione hanno rilevato sul terreno e
nell’acqua l’isotopo 236 dell’uranio. «Segnale
- si legge sul rapporto (www.unep.org) - che
parte dell’uranio può provenire dal
riprocessamento delle scorie dei reattori
nucleari. In questo caso infatti insieme a
questi isotopi dell’uranio impoverito
potrebbe essere stato liberato anche del
plutonio, elemento molto più radioattivo e
pericoloso dell’uranio stesso». Lo stesso
organismo internazionale aveva chiesto
inoltre un supplemento d’indagine per
«salvaguardare le popolazioni locali, costrette
a vivere e a nutrirsi di alimenti che hanno
assorbito gli isotopi dell’uranio».
gennaio 2003. Lo si può scaricare dal sito:
www.who.int/mediacentre/factsheets/fs257/en/print.h
tml. Tra l’altro si legge: «Chi vive o lavora in
aree contaminate (dall’uranio impoverito,
ndr) è costretto a ingerire o inalare cibo
contaminato. I bambini giocando all’aria
aperta potrebbero inalare particelle di uranio
impoverito. Circa il 98% dell’uranio entra nel
corpo attraverso l’ingestione e non viene
assorbito, ma eliminato dalle feci. L’uranio
assorbito attraverso il cibo e l’acqua è per il
2% solubile e per lo 0,2% insolubile. L’uranio
assorbito nel sangue deriva per la maggior
parte dall’inalazione. Per alcune forme
solubili, circa il 20% del materiale inalato
viene assorbito dal sangue».
Un’inchiesta sanitaria
dell’università
di Belgrado
è un aumento dei casi di cancro
dell’apparato gastro-intestinale e delle
C’
vie respiratorie tra i serbi della Repubblica
Srpska che supera del 263,9% i casi
conclamati cinque anni fa. Il dato emerge da
un’indagine dell’istituto di Scienze nucleari
Vinca di Belgrado. L’oncologa responsabile
del progetto di ricerca, Snezana Pavlovic, ha
confrontato i malati di linfomi di Hodgkin e
di cancro attuali con i dati relativi al 1995,
prima cioè che avvenisse il bombardamento
della Nato con proiettili all’uranio
impoverito.
Secondo l’università serba la diffusione del
cancro, totalmente, è aumentata del 268%.
Più colpite sono le donne (un vero e proprio
boom di cancri al seno) e i bambini,
soprattutto negli apparati respiratorio e
digestivo.
Tutte le carte che accusano l’uranio
Leggi italiane, direttive europee, relazioni inviate dai comandi Nato, rapporti interni agli Stati maggiori: ecco perché i politici non possono non sapere cosa uccide i nostri soldati
uando la mamma
di Salvatore Vacca
urlò ai funerali del
figlio che qualcuno
era responsabile
per
quella morte, e
che il responsabile l’avrebbe dovuta pagare, molti pensavano si
trattasse semplicemente del dolore di una madre. Il ventiquattrenne caporalmaggiore di
Nuxis si era ammalato di leucemia ed era morto. Il tutto in pochi mesi. Subito dopo essere tornato dalla missione nei Balcani.
Era il novembre 1999.
Da allora sull’uranio impoverito, sui 23 ragazzi morti di
cancro e sui 200 malati si è detto tanto.
Ma mentre i politici negavano, con forza, con dichiarazioni pubbliche, conferenze stampa, risposte a interrogazioni
parlamentari, quegli stessi politici avevano nei cassetti leggi
e decreti e recepimenti di direttive europee e raccomandazioni dei comandi Nato che dicevano senza mezze misure:
l’uranio impoverito sganciato
prima in Iraq nel 1991, poi nei
Balcani, nel 1995 e nel 1999,
quindi ancora a Baghdad quest’anno, è pericoloso. Doppiamente pericoloso. Sia per l’emissione di radiazioni, sia per
la sua tossicità chimica. Basta
una ricerca d’archivio a svelare
il doppio comportamento.
Q
UN DECRETO ministeriale del
6 giugno 1968 (Gazzetta Ufficiale 220 del 1968) fissa, “ai fini
della protezione sanitaria dai
pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti dei lavoratori”,
le concentrazioni massime ammissibili in aria e in acqua dell’uranio. Nel decreto ministeriale del 17 dicembre 1977 (Gazzetta del gennaio 1978) “Classificazione e disciplina dell’imballaggio e della etichettatura
delle sostanze e dei preparati
pericolosi, in attuazione delle
direttive emanate dal consiglio
e dalla commissione della comunità economica europea”,
(ministro per l’interno Cossiga,
per il lavoro Anselmi, per la sanità Dal Falco) l’uranio e i suoi
composti vengono definiti: “altamente tossici per inalazione,
per ingestione, pericolosi per
gli effetti cumulativi”.
UN TESCHIO è il simbolo che
accompagna l’uranio nella tabella di classificazione. E lo stesso teschio, raffigurante la tossicità, compare anche nell’adeguamento del 1993, ma questa
volta la T di tossico viene sostituita da T+, molto tossico. Ma
siamo solo agli inizi. Il supplemento alla Gazzetta Ufficiale
n°136 del 13 giugno 1995 determina le condizioni di applicazioni del decreto per le materie radioattive. Qui ogni radionuclide viene scisso in isotopi, e questi ultimi analizzati.
Ecco come sono classificati
quelli dell’uranio impoverito (isotopi U234, 235, 236 e 238).
Nel primo gruppo (radiotossicità molto elevata) compare
l’U234. Nel secondo (radiotossicità elevata) c’è l’isotopo U236,
nel terzo gruppo (radiotossicità
moderata) c’è il torio 234 e
proattinio 234, “figli” del processo di decadimento dell’uranio impoverito, il 235 e il 238
infine sono nell’ultimo gruppo, radiotossicità debole. È pur
vero che l’uranio quando è impoverito è composto per la
maggior parte da U238. Ma
quanto U234 si troverà in un
posto dove sono stati sganciati
41.800 proiettili di uranio impoverito, come è accaduto nelle due campagne Nato nei Balcani?
sopra, accanto al solito teschio
compare un altro simbolo: l’uranio e i suoi composti vengono riconosciuti come “molto
dannosi per l’ambiente”: «può
procurare a lungo termine effetti per l’ambiente acquatico e
terrestre», è un elemento «da
conservare sotto chiave, non
mangiare e non fumare durante l’impiego, in caso di malessere consultare il medico, e
non liberare nell’ambiente».
TUTTE QUESTE informazioni,
i politici non possono non saperle. E non solo per queste leggi, tutte regolarmente pubblicate. Ma perché gli stessi Stati
Uniti ci avevano avvisato in più
di un’occasione. Una su tutte,
nel 1984, con un fax trasmesso
ai Paesi della Nato. «L’uranio
impoverito - scriveva il 20 dicembre 1984 l’allora segretario
NELLA DIRETTIVA EUROPEA
del 15 dicembre 1998, recante
il venticinquesimo aggiornamento della classificazione dei
materiali tossico-nocivi di cui
generale Nato Robin Beard presenta bassi livelli di radiazioni ma se penetra nell’organismo allora diventa molto pericoloso». Non solo: nell’aprile
2000 la scuola interforze per la
difesa nucleare biologica e chimica di Rieti, su incarico degli
Stati Maggiori, ha configurato
gli elementi del rischio dell’u-
ranio impoverito. Oltre a spiegare come ci si può ammalare
(«per inalazione o ingestione»,
c’è scritto nel rapporto) passa
in rassegna la strumentazione
in dotazione al nostro esercito
impegnato nella bonifica degli
armamenti in territorio balcanico (il nostro contingente è
stato impiegato in 50 dei 112 si-
ti bombardati da proiettili di uranio impoverito, più di tutti
gli altri contingenti). Esistono
due tipi di strumentazioni: una permette di rilevare l’uranio
a una distanza di 50 centimetri. Uno a una distanza di 15
centimetri. I nostri soldati, in
base alla strumentazione in
possesso, per trovare tracce di
uranio dovevano posizionarsi a
meno di 10 centimetri. A una
distanza tale, cioè, che anche le
«deboli emissioni» di particelle
radioattive sono pericolose. Ancora: il 27 marzo 2000 lo Stato
Maggiore della Difesa trasmetteva (prot. 142/678) a tutti i comandi una relazione in cui si evidenziavano i pericoli dell’ina-
Parla il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi
“Ci si ammala di più passeggiando per Roma”
Carlo Giovanardi è il ministro
per i rapporti con il parlamento.
Più d’una volta è intervenuto sull’uranio impoverito rispondendo a interrogazioni parlamentari. Secondo il portavoce del ministro della Difesa è lui la voce ufficiale del
governo.
Ministro Giovanardi, lei a
luglio è intervenuto alla
Camera sostenendo che l’uranio impoverito non è pericoloso…
Non lo sostengo io, lo sostiene la
commissione Mandelli. Il professore ha studiato le malattie e
non ha trovato nessun nesso
causa effetto.
Ma la commissione Mandelli
ha svolto un’indagine di tipo epidemiologico, non ha esaminato il problema tossicologico
e chimico.
Io conosco la professionalità di
Mandelli e se non ha ritenuto di
stabilire un nesso tra le malattie
dei soldati e l’uranio, ho di che fidarmi.
Ministro, lo sa che il professore
ha studiato su dati numerici errati?
In che senso?
I soldati partiti in missione all’epoca dei lavori della commissione non erano 40 mila… Con
numeri diversi le statistiche
cambiano.
Senta, c’è sempre chi dirà che
questa cosa non è stata fatta bene e quell’altra è sbagliata.
Stiamo parlando di numeri
non di opinioni.
È uguale.
Quindi lei ritiene l’argomento
chiuso? Il governo non chiederà un supplemento d’indagine?
E perché dovremmo? Lo sa che
l’uranio impoverito si trova anche nelle racchette da tennis?
Forse è vero, però le racchette
non esplodono mentre sembra
che i problemi nascano quando le nanoparticelle sono inalate o ingerite dopo l’esplosione dei proiettili.
Su quest’argomento gli stessi
scienziati non sono concordi tra
di loro.
Appunto, come fa ad essere sicuro che hanno ragione quelli
che dicono che non c’è il nesso
causa-effetto?
Non confondiamo la scienza
con le leggende metropolitane.
Lei lo sa che c’è tutta una produzione scientifica che getta allarme sull’elettrosmog? Invece andai a un convegno e gli scienzia-
ti ridevano dicendo che non c’è
nessuna documentazione che lo
prova.
Come mai lo Stato italiano ha emanato ben 25 adeguamenti alle direttive europee e dell’euratom che definiscono l’uranio e
i suoi sottoprodotti come elementi tossici? Anche alcuni
rapporti del nostro esercito definiscono l’uranio elemento pericoloso…
La scienza ammette che per certi tipi di tumori c’era un’incidenza maggiore rispetto alla
media. Ma non c’è prova che quest’incidenza derivi dall’uranio. I
ragazzi pulivano le armi con il
benzene. Potrebbe essere quella
la causa. O le vaccinazioni…
Non tutti i militari ammalati usavano il benzene mentre tutti
invece erano stati senza protezioni nelle zone dove i proiettili all’uranio impoverito erano
scoppiati.
Sì ma quanto tempo prima?
Le nanoparticelle emesse restano nell’aria…
Mi ha assicurato Zichichi che se
ho uranio impoverito a Torino e
sto a Roma, non potrò mai respirarlo.
Ministro, lei conosce le ricerche
della dottoressa Gatti di Modena?
Sì, ha fatto delle ricerche avan-
zate e inquietanti.
Ha trovato nei tessuti bioptici
dei ragazzi malati o deceduti
metalli pesanti, la causa dei
cancri.
Non ha trovato l’uranio.
No, ma la forma di queste nanoparticelle, tondeggiante, è segnale che sono state prodotte
da una temperatura superiore
ai duemila gradi. E solo l’uranio
brucia a questa temperatura.
Il discorso della dottoressa Gatti
è più ampio. Lo sa quanto ci ammaliamo a passeggiare per il
centro di Roma? Ora si è scoperto che l’amianto fa male. Ebbene
l’abbiamo usato per tanti anni.
Certo, ma ora è vietato.
Sì. Le dico una cosa. Io sono grato
al Ddt.
Ma ha provocato tante morti…
Sì ma se non lo avessimo usato avremmo ancora la malaria.
Ministro, lei saprà che le famiglie delle vittime hanno chiesto
il riconoscimento della causa
di servizio e che l’anno scorso era stato promesso un indennizzo che non è mai arrivato…
Se le forze armate avessero largheggiato nel riconoscimento
delle cause di servizio avremmo
avuto meno avvocati che si attaccavano a queste tesi, funzionali a ottenere i soldi delle cause
di servizio.
Novembre 1999 Dicembre 2000 Gennaio 2001
Prima relazione
Risultati
Lo studio senese
Mobilitazione
Marzo 2003
Sono Salvatore Vacca e
Giuseppe Pintus i primi militari
morti. Si tratta di due ragazzi
sardi. Nel giro di pochi mesi i
malati per linfoma di Hodgkin
saranno una decina.
Nasce il caso “uranio
impoverito”. Il governo nega
che sia stato utilizzato questo
materiale nei Balcani, poi è
costretto a smentirsi, dopo
l’ammissione della stessa
Nato.
In una conferenza stampa,
dopo qualche mese, il
professor Mandelli illustra i
risultati del suo studio. Non c’è
un eccesso statisticamente
rilevante di linfomi. Ma viene
chiesto un supplemento di
indagini. Intanto viene definito
il cosiddetto “protocollo
Mandelli”: una serie di analisi
cliniche alle quali sottoporre i
militari prima e dopo la
partenza.
Nel 2002 il professor Mandelli
considera concluso il suo
studio: dall’indagine
epidemiologica emerge un
«eccesso statisticamente
rilevante di linfomi» ma non
riconnette le cause all’uso
dell’uranio impoverito. La
vicenda viene considerata
conclusa dai responsabili dei
vari dicasteri e dai vertici
militari. Intanto ci sono ancora
vittime.
Il professor Franco Nobile,
oncologo senese e presidente
della legatumori toscana, in un
libro realizzato in
collaborazione con la Brigata
Folgore, sostiene che «i ragazzi
potrebbero essersi ammalati
per varie cause, tra le quali il
fumo e lo stress». Il
maresciallo Domenico
Leggiero dell’Osservatorio per
la tutela dei militari aggiorna il
numero delle vittime. Diciotto.
L’ammiraglio Falco Accame,
dell’associazione per la tutela dei
militari e delle vittime civili e il
maresciallo Leggiero
dell’Osservatorio promuovono
iniziative per tenere desta
l’attenzione.
Osservatorio per la tutela dei
militari:
www.osservatoriomilitare.it
tel. 06-4061731
fax. 06-40802267
Ccp: n°19654391
La dottoressa Antonietta Gatti,
fisica e chimica di Modena,
utilizzando un microscopio a
scansione elettronica, unico
nel suo genere, scopre per la
prima volta un nesso “fisico”
tra l’impiego dei proiettili a
uranio impoverito e le malattie
dei militari. Nei tessuti bioptici
dei soldati trova infatti
nanoparticelle sferiche di
metalli pesanti quali zinco,
stronzio.
L’allora ministro della Difesa
Sergio Mattarella riferisce alla
Camera l’esistenza di un “caso
uranio”. Mostra le mappe dei
bombardamenti all’uranio in
Bosnia e in Kosovo. Anche se
le mappe fornite dalla Nato
erano e sono incomplete, si
può facilmente notare che i
contingenti italiani si trovavano
in più di 50 dei siti
bombardati. Vengono adottate
misure precauzionali.
Viene istituita dal governo una
commissione medicoscientifica guidata dal
professor Franco Mandelli, con
compiti di “verificare in tutta
libertà un eccesso
statisticamente rilevante di
linfomi tra i militari e
accertarne un nesso causaeffetto con l’impiego di uranio
impoverito». Intanto
continuano le segnalazioni di
ragazzi malati o morti.
lazione dell’uranio. Simile contenuto, ma focalizzato sui comportamenti cautelativi, si legge
nel documento prodotto dal comando brigata paracadutisti
“Folgore” (8 maggio 2000, firmato dal tenente colonnello
Ferdinando Guarnieri); sempre
la Difesa, a giugno dello stesso
anno, trasmetteva agli Stati
Maggiori un documento sugli
“effetti e precauzioni dell’uranio impoverito” e anche il ministero dell’ambiente si è adoperato per diffondere notizie circa
la «pericolosità delle particelle
di uranio impoverito radioattive
e chimicamente tossiche per inalazione e ingestione».
GLI STESSI SOLDATI in missione nei Balcani erano stati informati circa la pericolosità della
situazione. Solo dal 2000 però
cominciarono ad arrivare le
SONO ANCORA i documenti
che aiutano a far capire l’at-
mosfera di fine secolo tra i soldati nei Balcani: il 26 novembre
1999 alla base Aves di Petrovec,
in Kosovo, arrivava un’informativa Usa sulla contaminazione da uranio impoverito. Il
comandante del 49° gruppo
tattico “Capricorno”, Domenico Barbagallo, raccomandava:
«Questa nota deve essere commentata a tutto il personale.
Data la particolare importanza
dell’argomento, di tali istruzioni deve rimanere traccia
scritta». Ma il 15 dicembre 1999
il tenente Armando Cantori dichiarava per iscritto al comandante del reggimento: «sono
stato impiegato in zona di operazioni in Kosovo in qualità di
pilota di elicottero. Alla fine di
novembre venivo informato
che durante il bombardamento Nato erano state impiegate
munizioni all’uranio impoverito. Il sottoscritto, non essendo
stato informato dall’organizzazione sia della presenza che del
pericolo e non avendo avuto a
disposizione i dispositivi di sicurezza, potrebbe essere stato
contaminato. A tutt’oggi non
risultano attuati quell’insieme
di provvedimenti atti a prevenire la diffusione delle malattie derivanti dalla contaminazione da radiazioni». Il tenente
lavora a Viterbo, dove Metro
l’ha raggiunto telefonicamente: «Sto bene, fortunatamente dice - in seguito a quella lettera
fui sottoposto al protocollo
Mandelli che prevede una serie
di analisi cliniche da svolgere
periodicamente. Noi non avevamo protezioni ma io ero elicotterista e quindi il problema
non ci riguardava come per gli
altri colleghi che facevano ricognizioni sui posti bombardati. Anche loro senza protezione. Cosa ne penso di questa vicenda? Che qualcuno la coscienza sporca deve averla, altrimenti non continuerebbe a
negare anche l’evidenza».
Giugno 2003
Luglio 2003
I figli dei reduci
In una conferenza stampa alla
Camera l’onorevole Edouard
Ballaman della Lega Nord
presenta i risultati dell’equipe
modenese e annuncia
interrogazioni parlamentari. Un
mese dopo il ministro
Giovanardi, rispondendo al
Parlamento, dice che «l’uranio
non fa male, è contenuto
anche nei manici delle
racchette e lo smog è
sicuramente più pericoloso».
L’avvocato Angelo Tartaglia
presenta denunce penali nelle
varie procure di competenza
territoriale. Un giudice del
tribunale di Cagliari emette la
prima sentenza di rinvio a
giudizio contro ignoti per
omicidio colposo: la vicenda di
riferimento è legata alla morte
di Salvatore Vacca. Ma
nessuno ha ancora
riconosciuto l’esistenza delle
cause di servizio.
In un servizio di Rainews24 un
reduce dai Balcani racconta
delle malformazioni con le
quali è nato il figlio. Nel corso
del servizio si apprende che
sarebbero undici i militari
italiani con figli malformati.
Secondo uno studio
statunitense del 1977 l’uranio,
ingerito o inalato, può essere
causa di malformazioni
genetiche ed essere
trasmesso da padre a figlio.
prime mascherine e le tute, anche se le missioni erano cominciate nel 1995. Nel 2000 Il
ministro della Difesa era Sergio Mattarella: «Cosa penso
della vicenda uranio? - dice a
Metro - non ho certezze oggi come non ne avevo allora. Proprio per questo quando la vicenda venne alla luce, nel dicembre 2000, feci tutto quanto
era in mio potere per affrontarla correttamente. Mi accertai che ci fossero precauzioni
per i soldati e costituii una
commissione scientifica presieduta dal professor Franco
Mandelli». Però avete detto al
professor Mandelli che i soldati impiegati all’estero erano 40
mila, invece secondo il libro
bianco della Difesa, pubblicato
in Internet sul sito del ministero, erano trentamila. Con numeri diversi cambia l’incidenza dei casi di linfoma riscontrati su quelli attesi. «Questo
non glielo so dire perché la questione tecnica era affidata a esperti. In ogni caso io dico che
l’unica verità è quella scientifica. E non dimentichiamo che
noi chiedemmo anche il bando
dell’uranio e su tutta la vicenda c’è ancora tanta incertezza».
IN QUEL PERIODO, a cavallo
tra il 1999 non mancò certo la
confusione. «Alla sanità militare - racconta l’onorevole Massimo Ostillio, all’epoca sottosegretario alla Difesa - prima di
Tricarico c’era un ammiraglio
medico che andò in pensione
nelle more del caso uranio. A
me sembrava strano che non si
facesse neanche un esame del
sangue ai nostri militari. Lui
mi rispose che gli Stati Maggiori avocarono il problema ai loro ispettorati sanitari. L’Udeur
chiederà una commissione
d’inchiesta in Parlamento».
Queste nanoparticelle hanno
una forma sferica. Una forma
che si può ottenere solo in
presenza di temperature al di
sopra dei 2.000 gradi. L’unico
elemento che brucia a quelle
temperature è l’uranio. La
dottoressa ha esaminato
anche lo sperma di un ragazzo
che lo aveva congelato per
avere un bambino dopo le
chemioterapie. Il ragazzo è
morto, ma nel suo liquido
seminale è stata trovata traccia
del passaggio dell’uranio.
L’indagine
del team
di Mandelli
er tre volte la
commissione medica
P
presieduta dall’ematologo
Franco Mandelli ha
studiato numeri e cartelle
cliniche. Per tre volte ha
assolto l’uranio impoverito.
La terza relazione però ha
ammesso l’esistenza di un
“eccesso statisticamente
rilevante di linfomi di
Hodgkin rispetto ai casi
attesi”. Secondo molti
scienziati il lavoro della
commissione è limitato
proprio perché si è
concentrato sul profilo
epidemiologico,
tralasciando l’aspetto
tossicologico che avrebbe
dimostrato quanto i
laboratori Usa affermano:
le particelle di uranio,
ingerite o inalate,
provocano il cancro. A
marzo la dottoressa Gatti,
fisica e chimica, grazie a
un telescopio a scansione
elettronica ha trovato una
relazione tra l’uranio e le
malattie dei soldati. Nei
tessuti bioptici dei ragazzi
ci sono nanoparticelle di
metalli pesanti. Queste
particelle hanno forma
sferica. Segnale, questo,
che hanno subito una
temperatura superiore ai
2000 gradi. Solo l’uranio
brucia a tali temperature.
«Per questo l’uranio
impoverito, se non può
essere definito il killer dei
nostri soldati, è
certamente il mandante dice la dottoressa - il
veicolo con il quale queste
nanoparticelle sono
ingestite e inalate».
III
la giustizia
MARTEDÌ 30 SETTEMBRE 2003
la testimonianza
le storie
IV
L’avvocato Tartaglia:
“In lotta per la verità
e contro la burocrazia”
el suo studio romano i faldoni sul caso
uranio si susseguono numerosi sugli
N
scaffali. Archivia tutto. Storie, nomi, telefoni,
interviste, rassegne stampa e soprattutto
cartelle cliniche. L’avvocato Angelo Fiore
Tartaglia rappresenta una ventina di ragazzi,
o famiglie di ragazzi deceduti, e in tutti
questi mesi, dice, non ha perso mai
l’ottimismo. «A luglio abbiamo ottenuto la
prima vera buona notizia. Un giudice di
Cagliari ha formulato il primo rinvio a
giudizio per omicidio colposo contro ignoti.
Si tratta del caso di Salvatore Vacca, il primo
ragazzo morto per l’uranio. Inoltre la
decisione del giudice è arrivata dopo aver
esaminato la documentazione fornita, cioè
gli studi della dottoressa Gatti di Modena.
Potrebbe essere un precedente interessante.
Per questo forse potrebbero essere spostati a
Cagliari tutti i procedimenti aperti». Quanti
sono i procedimenti? «Riguardano tutti i
ragazzi che stiamo seguendo, una ventina.
Abbiamo presentato le denunce penali nelle
procure di competenza territoriale». E le
cause civili? «Il Tar ha accordato le cause di
servizio. Ma il passaggio successivo è il
parere obbligatorio della commissione
medica ospedaliera, formata da personale
militare. Ma intanto è cambiata la legge. Ora
c’è una nuova commissione, sempre
composta da personale militare, che dovrà
decidere su tutte le questioni. Insomma
abbiamo cominciato daccapo». Avvocato,
perché è ottimista? «Perché le prove ormai
sono talmente evidenti che non si può
ancora a lungo negare l’evidenza». Il
ministro Giovanardi ha detto che se gli
Stati Maggiori avessero largheggiato nel
riconoscimento delle cause di servizio,
avremmo avuto meno avvocati attaccati
alla tesi dell’uranio. «Il ministro Giovanardi
rischia una denuncia per diffamazione non
solo da me ma dall’ordine degli avvocati».
Un osservatorio
per sostenere
i militari e le famiglie
osservatorio per i diritti dei militari non è
solo un’associazione di categoria. È una
L’
banca dati. Il maresciallo Domenico Leggiero
è l’anima dell’osservatorio. Lei è un militare.
Come mai in molti casi i comandi sapevano
della pericolosità dell’uranio ma non
hanno adottato le precauzioni? «Ciò accade
quando ci sono vertici militari che dalla vita
operativa vanno a giocare a Risiko nelle
stanze dei bottoni. Non dobbiamo
dimenticare che chi è oggi al governo
qualche anno fa gridava al caso uranio». C’è
stata una commissione scientifica che ha
discolpato l’uranio. «A Mandelli i numeri
glieli hanno dati. Non mi sento di dubitare
della buona fede del professore». Il ministro
Giovanardi dice che ci si ammala di più a
passeggiare per un centro di una grande
città… «Se Giovanardi fosse stato nonno di
uno dei ragazzi morti non l’avrebbe detto».
Qual è stato il momento più difficile di
questi tre anni? «Ogni volta che mi trovo al
capezzale dell’ennesimo ragazzo morto. Mi
chiedo: per Telekom Serbia la commissione
d’inchiesta è nata in 4 giorni. Per l’uranio
non nasce neanche dopo 23 morti».
Qualcuno ha accusato l’Osservatorio di
lucrare sul caso uranio. «I bilanci sono
pubblici. Abbiamo 14.000 euro per tremila
iscritti. Le nostre spese sono ricevute
mediche, corone da morto e viaggi per
portare i ragazzi negli ospedali». State
analizzando la situazione in Bosnia con la
dottoressa Gatti… «In modo molto falso è
stata presentata la Bosnia con una superficie
coperta di mine e con l’aria impestata. Noi
crediamo che se in Italia abbiamo avuto 23
morti, in Bosnia c’è un’ecatombe». Se
l’uranio è il colpevole, si profilerebbe un
crimine di guerra… «Questo non lo so.
Sicuramente si profila un crimine contro i
nostri soldati. E di questa carneficina
dobbiamo trovare i mandanti».
Una vita da soldato
Il racconto del caporalmaggiore Luca Sepe, 27 anni, colpito dal linfoma di Hodgkin
ono Sepe Luca,
ventisette anni,
caporalmaggiore
esperto in
telecomunicazioni». Si
presenta così, Luca, come se fosse
ancora in caserma. Perché, dentro
di sé, Luca lo è ancora, un soldato.
«Sì sono un soldato, anche se da tre
anni combatto con ogni tipo di
malattia. La mia cartella clinica è
talmente complicata che i medici
non sanno da che parte
cominciare». Ci scherza su, Luca,
ma un attimo dopo diventa serio:
«Certo che mi viene lo sconforto,
ma sono fortunato. Altri al posto
mio non possono raccontarlo. Io
invece, anche se malato, anche se
trascorro più tempo in un reparto
ospedaliero che a casa, io sono
ancora qui a combattere». Luca
abita a Cardito, un paesino della
provincia di Napoli dove, spiega, a
parte l’affetto della famiglia e dei
sui amici, non c’è niente.
Di Napoli ha l’accento forte e anche
quell’autoironia che gli fa dire:
«Sono mezzo acciaccato,
praticamente non lavoro da tre
anni ma per abbattermi ci vuole
ben altro».
«S
LUCA, ALTO e magrissimo, ma con
un viso sempre pronto al sorriso,
partì per il Kosovo, in missione con
il suo reggimento, nell’ottobre
1999. È esperto in
telecomunicazioni, quindi con i
suoi colleghi ha girato
praticamente tutta la zona
bombardata dalla Nato nella
campagna del marzo ‘99. L’elenco
dei luoghi è lo stesso che compare
sulle mappe della Nato. Lì in
primavera erano piombati, secondo
fonti ufficiali, 30.800 ordigni
all’uranio impoverito. Il lavoro di
Luca e dei suoi colleghi consisteva
nel rimuovere le antenne distrutte
e sostituirle con le nuove. Ma non
solo le antenne. «Rimuovevo i pezzi
frantumati, anche di case, perché
poi dovevamo installare un nuovo
ponte di comunicazione. Insomma
facevamo rimozione e
Parla Salvatore
papà di Andrea
«Ogni giorno vado da mio figlio
per dirgli buongiorno.
Pensando a lui mi sveglio e
ricordando lui mi addormento.
Scoprire la verità su chi l’ha
ucciso, perché non accada ad
altri ragazzi, è l’unica cosa che
mi tiene in vita». Striscia il suo
accento pugliese, Salvatore
Antonaci. Suo figlio Andrea è
morto il 12 dicembre 2000.
installazione».
Ricorda tutto, Luca, con una
precisione tale da fare di lui un
testimone prezioso dell’intera
vicenda uranio. Usa termini tecnici
e si capisce che per forza di cose è
diventato esperto anche di
terminologia sanitaria.
«NON AVEVAMO alcun tipo di
protezioni. Nessuna mascherina,
né guanti, né tute speciali. Sulla
carta questi dispositivi di sicurezza
dovevano esserci forniti come
equipaggiamento di base ma di
fatto non li indossavamo e nessuno
ci obbligava a farlo. In ogni caso si
trattava degli stessi indumenti che
avremmo adoperato in Italia, non
come quelli che avevano altri
contingenti, come ad esempio gli
americani».
Una differenza che Luca nota e fa
notare al suo comandante, il quale
però gli risponde: «Lasciali perdere
gli americani, quelli sono soltanto
dei fanatici. Sono tutte
americanate, non lo vedi come
vanno conciati quelli là?».
«Feci rapporto e misi per iscritto le
mie osservazioni. Lo feci
soprattutto perché le mascherine e
le tute indossate dagli statunitensi
non le avevo mai viste. Non riuscivo
a identificarle tra i dispositivi di
sicurezza a nostra disposizione».
A FINE DICEMBRE Luca tornò a
casa. Contemporaneamente,
cominciò la sua odissea. «Mi sentivo
male. Debole, e poi avevo
costantemente una forte tosse e il
mal di gola. Andai all’infermeria
della caserma militare di Milano e
mi diagnosticarono una faringite.
Girai per diverse infermerie perché
il mal di gola non andava via. Ma la
diagnosi era sempre la stessa.
Faringite». Una storia simile a
quella di altri ragazzi malati. Anche
in quei casi le caserme militari,
almeno in primo momento,
sbagliarono diagnosi. «Continuai a
fare il giro dei medici fino a marzo.
Chi diceva che si trattava di una
bronchite, chi di una faringite. Ma
Andrea dalla caserma Tito
Barracks di Sarajevo, la
caserma dove si trovava
anche Salvatore Vacca,
Andrea era inviato in giro per
sopralluoghi. «È come se
avessero ucciso un’altra volta
mio figlio quando abbiamo
sentito in un’intervista un
giornalista che accusava noi
genitori delle vittime
dell’uranio di voler lucrare su
queste morti». Ha lo sguardo
basso questo padre. Andrea è
rimasto in Bosnia dall’1
non ne ero convinto. Intanto era
sopraggiunta anche la febbre alta.
Quindi presi un permesso non
retribuito e di mia iniziativa andai
all’ospedale Borromeo di Milano. Lì
notarono subito che avevo qualcosa
di anomalo al polmone destro.
Come una palla, mi dissero.
Insomma una macchia scura. Mi
spaventai. Telefonai a mio padre
che mi disse di tornare a Napoli.
Ero impaurito, i medici mi avevano
detto di restare lì quella notte e che
la faccenda era seria e andava
approfondita. Ero da solo, quindi
decisi di tornare a Napoli».
LA PRIMA TAPPA è il Monaldi, il
nosocomio partenopeo
specializzato in oncologia. «Vi restai
per mesi. I medici dissero che si
trattava di un ascesso polmonare.
Avevo sempre la febbre altissima, al
di sopra dei quaranta gradi.
Dimagrivo a vista d’occhio. Ricordo
che era agosto e dormivo con
quattro coperte di lana addosso.
Pensavamo si trattasse di una di
quelle malattie misteriose che
possono essere contratte all’estero.
Io non sapevo che pensare, mi
sentivo morire, sentivo che la vita
se ne stava andando. Solo pochi
mesi prima ero un soldato nel
pieno delle forze e ora stavo in un
letto, in una specie di coma,
incapace di muovermi».
Ma cosa avevi? «Linfoma di
Hodgkin. Ero definito quarto stadio
B. Significa insomma che stavo
morendo. I capelli mi cadevano a
ciuffi ed ero diventato giallo. Pesavo
trentotto chili. Poi cambiammo
ospedale. Posso dire che mio padre,
con la sua caparbietà, mi ha salvato.
Lui infatti insistette per andare al
Cardarelli. Fu lì che mi asportarono
la milza e mi diagnosticarono il
linfoma. Se sono vivo lo devo a lui, a
mio padre».
Antonio, il padre di Luca, è una
specie di medico autodidatta per
forza. «Da anni Luca - dice - non
lotta soltanto contro la malattia
che devasta il fisico e mina la mente
ma anche con l’indifferenza dei
settembre ‘98 al 31 marzo
‘99. «Mentre moriva Andrea ci
ha chiesto di essere testimoni
e raccontare che anche lui
come altri ragazzi non
indossava protezioni di
nessun tipo. A noi non
servono i soldi perché io e mia
moglie non avremo mai
serenità. Il ministro della
Difesa ci chiese di essere a
disposizione del professor
Mandelli. Ma non siamo mai
stati convocati dalla
commissione».
governi che si sono succeduti e con
l’inefficienza del sistema sanitario.
Almeno però mio figlio è ancora
vivo, altri colleghi non ci sono più,
io ho il dovere e il diritto di lottare
per la vita di Luca e degli altri che
potrebbero trovarsi nella stessa
situazione».
È STATA UNA trasfusione ricevuta
in ospedale che ha sommato al
linfoma di Hodgkin anche l’epatite
C. «Già. La mattina mi guardo allo
specchio e non ci credo di essere
ancora qui». Parla velocemente,
Luca. E al telefono la sua voce
trema. «Mi faccio dare i pizzicotti
dai miei cugini per essere sicuro di
non sognare. In ospedale, alla fine
del 2000 ero in uno stato vegetativo.
Tecnicamente si dice in precoma.
Non lo auguro neanche al mio
peggior nemico. Pensavo che la
carriera militare fosse tutt’altro».
Prima di partire, Luca era in
perfetta forma. Basta guardare le
sue “pagelle”. In caserma aveva
20/20 alle prove fisiche. «Ora mi
sento come se stessi punito».
La voce gli s’incrina ricordando
questi ultimi mesi. «Non sto certo
ancora bene. Sono ancora in
malattia. Devo fare il monitoraggio
per il cancro e le terapie per
l’epatite. Non posso lavorare, tutto
il mio tempo lo impiego per cercare
di guarire, non posso permettermi
una vita come qualsiasi altro
ventenne. Fortunatamente ho una
famiglia che non mi ha mai
abbandonato. Ogni tanto esco con i
miei cugini ma mi stanco presto».
È magro, Luca, e ha la ferita
dell’operazione che in nessun caso
riuscirebbe a fargli dimenticare la
sua odissea. «Un vero tatuaggio scherza - una cicatrice a forma di L
dall’ombelico in giù. Ma mi sento
comunque fortunato».
Non come Antonio Milani. «Già, io e
Antonio eravamo stati in missione
insieme. Ci siamo anche ammalati,
dello stesso male, nello stesso
periodo. Antonio però è morto
l’anno scorso. Quella stessa sera la
moglie partorì il loro bambino. Io
penso ad Antonio e mi dico che
devo sfruttare ogni singolo minuto
della mia vita per cercare di capire
e raccontare quello che ci sta
succedendo. Però su una cosa non
potrò mai cambiare mai idea. Io ho
perso fiducia nello Stato e niente e
nessuno potrà mai ridarmela».
Solo una volta lo “Stato” si è fatto
vedere a casa di Luca. «Sì, tre anni fa.
Era il periodo peggiore. Ero in
ospedale, stavo morendo. A casa
arrivarono due uomini dell’esercito
con un maresciallo dei carabinieri
di Crispano, un paesino confinante
con il mio. In casa c’era mio fratello,
gli chiesero di consegnare loro la
mia divisa. Perché, dissero,
dovevano bruciarla. Ma mio fratello
Alessandro è un chimico e pensò
che non era il caso di consegnarla.
Che sulla mia divisa poteva esserci
qualcosa che volevano cancellare, e
che comunque quella procedura era
inusuale. Per questo li mandò via».
E ORA LA divisa dov’è? «La faremo
analizzare dalla dottoressa Gatti di
Modena. Se ci sono molecole strane
lei le rileverà». Cosa dovrebbe esserci
sulla divisa? «Io non lo so di preciso
ma ricordo un episodio. Quando
tornammo dal Kosovo andai in
banca. Indossavo la mimetica e il
rilevatore del sistema di sicurezza
mi diceva di riporre gli oggetti
metallici. Ma io non avevo niente in
tasca. Né orologio, neanche la
chiave della cassetta di sicurezza.
Alla fine in banca non ci entrai».
Com’è la tua vita oggi? «È una vita
diversa rispetto a un ragazzo di 24
anni. Una vita divisa tra l’epatologo
e l’oncologo. Le terapie, i controlli, i
monitoraggi, le analisi, gli
ospedali». Cosa ti aspetti per il
futuro? «Io vivo ogni momento per
quello che è. Non so neanche se ci
sarà il futuro. Io so che gli aiuti
giunti dall’esterno sono pochi.
Sono cambiati i governi ma in
realtà non è cambiato nulla. Sa cosa
hanno risposto i miei comandi alle
richieste di cause di servizio? “Lei
attenda finché noi non decidiamo”.
Io sto ancora aspettando».
La mamma
di Salvatore
La moglie
Il padre
del maresciallo dell’alpino
«Mio figlio - dice Giuseppina
Vacca - è stato il primo giovane
a morire, il 9 settembre 1999
tra l’indifferenza dello Stato e il
muro di gomma dei vertici
militari. Mentirono anche sulla
diagnosi, ma non capirono che
una madre a cui uccidono il
figlio non si ferma neanche
davanti all’indifferenza della
politica».
«Non so quanti colleghi di mio
marito - dice Giovanna Soria,
vedova del maresciallo dei
carabinieri Cinelli - sono
deceduti. Il carabiniere non può
parlare, la moglie sì! Si sono
commessi errori che hanno
ucciso uomini che credevano
nella propria missione. Solo la
giustizia potrà placare la rabbia
che c’è in me».
«Se la vita di Corrado servisse
a salvare la vita di altri - dice
da Vico del Gargano Guido Di
Giacobbe, padre dell’alpino
Corrado - forse troverebbe un
senso il dolore acutissimo che
la sua scomparsa ha lasciato
in noi. È come se mio figlio
fosse ucciso ogni giorno dalla
noncuranza e
dall’indifferenza».