Titoli, abstracts e note biografiche dei relatori

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Titoli, abstracts e note biografiche dei relatori
Gli Antichi alla corte dei Malatesta
Echi, modelli e fortuna della tradizione classica nella Romagna del Quattrocento
Rimini, 9 -11 giugno 2016
Titoli, abstracts e note biografiche dei relatori
Giovanni Assorati
Il re asceta e il re saggio. Alessandro Magno exemplum di moderatio in un manoscritto
quattrocentesco della Gambalunghiana
Il manoscritto miscellaneo Sc-Ms 30 della Biblioteca Gambalunga presenta, quasi in fondo alla serie di
vite esemplari, classiche e cristiane, il dyalogus epistolare tra Alessandro Magno e il rex bragmanorum
Dindimo: questo testo di contenuto filosofico e morale, probabilmente tardoantico, assicura la
presenza del grande condottiero macedone nella raccolta di biografie di cui è costituito il manoscritto.
La scelta di questa collatio epistolare, molto nota nel medioevo, come dimostrato dalle decine di
manoscritti che la tramandano, ben si inserisce nel carattere di una collezione più attenta a fornire
exempla di virtù morali, politiche e religiose piuttosto che guerriere, sostituendo una biografia o uno di
quei avventurosi romanzi antichi o medievali con il Macedone come protagonista. La Collatio fornisce
infatti, col suo contenuto di confronto tra stili di vita, un forte insegnamento per una corretta condotta
dell’uomo di governo: rispetto al rigoroso ascetismo proposto dal re orientale, la proposta finale di
Alessandro Magno è di impostare i propri comportamenti alla sobrietà e alla misura, senza
condannare i piaceri ma anzi affrontandoli con consapevolezza, per raggiungere l’obiettivo di un pieno
e consapevole godimento della vita. La verifica della storia del testo tradito permetterà inoltre di
ampliare le indagini sui rapporti e legami della committenza del manoscritto, aiutando a conoscere il
pensiero e la cultura dell’ambiente aristocratico della Rimini quattrocentesca.
Nota biografica
Giovanni Assorati, nato a Rimini, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Storia Antica presso
l’Università Bologna, e sempre presso lo stesso ateneo attualmente svolge un assegno di ricerca sul
tema della religiosità dell’aristocrazia romana in età altoimperiale e tardoantica.
Franco Bacchelli
Il problema del culto del sole nel circolo di Gemisto Pletone
Nota biografica
Vincitore nell'ottobre 1974 di un posto presso la Classe di lettere e filosofia, sezione di filologia
classica, della Scuola Normale Superiore di Pisa. Laurea in filosofia (1987) presso l'Università di Pisa
con la tesi "Appunti sulle concezioni filosofiche e cosmologiche di Marcello Palingenio Stellato"
discussa con i proff. Eugenio Garin e Nicola Badaloni. Vincitore nel 1990 di una borsa di studio
annuale presso l'Istituto universitario 'Suor Orsola Benincasa' di Napoli e nel novembre del 1991 di
una borsa di studio biennale presso l'Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli. Vincitore nel 1994
di un posto di dottorato in storia della scienza presso il Museo della Scienza di Firenze. Dal 2000 è
docente di Storia della Filosofia presso l'Università di Bologna, dapprima come ricercatore, e
successivamente come professore associato.
Chiara Boldorini
Fonti antiche e classiche dell’iconografia di San Sigismondo nel Tempio Malatestiano:
Piero della Francesca e Agostino di Duccio
A San Sigismondo, primo re cristiano della Gallia e protettore degli uomini d’arme, è dedicata la
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cappella del Tempio Malatestiano che avrebbe dovuto contenere le spoglie mortali del signore di
Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta. Ispirata a fonti antiche e classiche, quali Plotino, Cicerone e
Macrobio, mediate dalla dotta corte malatestiana, la rappresentazione del santo nel Tempio riminese
assurge a strumento celebrativo per Sigismondo e la sua signoria.
Le raffigurazioni di San Sigismondo nell’affresco dipinto da Piero della Francesca e nella scultura
collocata nella nicchia della cappella dedicata al santo sono vicine, per alcuni dettagli, alla
rappresentazione tradizionale dell’imperatore Sigismondo, re d’Ungheria: esse manifestano la
professione di fede imperiale del signore di Rimini, vicario pontificio. Il riferimento alla classicità
emerge con maggior evidenza nella rappresentazione del viaggio del santo scolpita da Agostino di
Duccio su una lastra attualmente conservata nel Museo d’Arte Antica milanese: attraverso le vicende
del santo patrono degli uomini d’arme, Sigismondo Malatesta celebra la propria vita e le proprie
imprese, elevando il Tempio Malatestiano a mausoleo signorile.
Nota biografica
Chiara Boldorini è Dottoranda in Metafisica ed Estetica, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Lorenzo Bonoldi
Le due facce della medaglia: Sigismondo Pandolfo Malatesta fra mestiere delle armi e
rinascita dell'antico
Tema dell'approfondimento sarà il corpus di medaglie celebrative commissionate da Sigismondo
Pandolfo Malatesta a Pisanello e a Matteo de' Pasti. Focalizzando l’attenzione su aspetti legati ai vari
ritratti di Sigirmondo sul recto e alle diverse figurazioni presenti sul verso, l’interevento verterà a
sottolineare come le emissioni sigismondiane si collochino al confine fra una tradizione figurativa
ancora legata ai canoni cortesi dell'arte tardogotica e le prime evidenze del recupero di un linguaggo
classico all'antica.
Nota biografica
Lorenzo Bonoldi, nato a Mantova nel 1978, si è laureato all’Università Ca’ Foscari di Venezia con la
tesi «Equalmente et in ogni parte bella». Isabella d’Este: ritratti e immagini . È tra i fondatori della
rivista “Engramma”. È stato curatore scientifico della mostra Classico Manifesto dedicata alle relazioni
tra arte, tradizione classica e pubblicità (Milano, Triennale 2008). Storico dell’arte, è impegnato da
anni nello studio delle fonti sulla biografia di Isabella d’Este e del contesto artistico e culturale che ha
al centro la Marchesa. È fra i collaboratori della rivista "Art e Dossier" e, dal 2007, lavora alla
catalogazione delle Collezioni Civiche del Comune di Mantova, con particolare riferimento alle raccolte
d'arte antica e rinascimentale.
Giacomo Calandra di Roccolino
Le medaglie malatestiane: confronto iconografico con i modelli numismatici romani
Le medaglie Malatestiane sono, dal punto di vista iconografico, una diretta conseguenza della cultura
antiquaria rinascimentale. Sia i ritratti, sia i motivi scelti da Pisanello e Matteo De’ Pasti per esaltare la
figura del Signore di Rimini sono infatti direttamente derivati da motivi iconografici tratti dalla
numismatica romana repubblicana e della prima età imperiale.
L’intervento, attraverso il confronto tra le medaglie e i loro modelli e basandosi sulle fonti letterarie
coeve, intende dimostrare la conoscenza di tali fonti iconografiche da parte degli artisti attivi a Rimini
nel ’400.
Nota biografica
Nato a Trieste nel 1980, dopo la laurea in architettura è stato borsista del dottorato in composizione
architettonica dell’Università Iuav di Venezia. Da più di vent’anni è membro del Centro Regionale di
Studi Numismatici del Friuli Venezia Giulia occupandosi di numismatica antica. Dal 2006 è membro
della redazione della rivista “Engramma”, per la quale ha scritto numerosi articoli e curato diversi
numeri monografici sui temi dell’iconologia dell’architettura.
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Nel 2010 ha conseguito il dottorato di ricerca con una tesi su Alexanderplatz a Berlino.
Contestualmente come membro del Centro Studi ClassicA dell’Iuav, ha partecipato a progetti di
ricerca di interesse nazionale, occupandosi per esempio della sistemazione urbanistica, architettonica
e museografica dell’Ara Pacis Augustae in Piazza Augusto Imperatore a Roma.
Ha partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali e internazionali, tenuto lezioni e
conferenze e ha pubblicato numerosi articoli scientifici sul rapporto tra architettura e città,
sull’architettura tedesca del dopoguerra, sull’architettura memoriale e sull’iconologia dell’architettura.
Dal 2011 al 2013 è stato coordinatore scientifico del dottorato di ricerca interuniversitario “Kunst und
Technik“ della Technische Universität Hamburg. Dal 2013 insegna progettazione architettonica e
urbana presso la HafenCity Universität di Amburgo.
Marco Campigli
Un donatelliano in trasferta e l’antico: Agostino di Duccio nel Tempio Malatestiano
Vicenda, quella di Agostino di Duccio, dagli imprevedibili risvolti. Formatosi a Firenze, molto
probabilmente nel giro di Donatello, vicende biografiche non comuni lo porteranno a trascorrere
lontano dalla città di origine la prima fase della sua attività artistica: Modena, Venezia, e chissà
dov’altro, fino a che non approderà alla corte riminese di Sigismondo Malatesta poco prima della metà
del Quattrocento. Questo suo pellegrinaggio attraverso l’Italia settentrionale è ancor oggi in gran parte
misterioso ma credo vada inteso soprattutto come un venir meno di certe convenzioni legate ad un
magistero, come quello donatelliano che lui aveva ricevuto, che poteva anche diventare ingombrante.
Tuttavia se da una parte le corde si allentano, dall’altra si rendono disponibili ad annodarsi attorno a
nuove occasioni formali in modo da sviluppare un linguaggio artistico sempre più personale e
autonomo. E questo sarà certamente vero per il soggiorno veneziano di Agostino, ma ancor più
crediamo sia vero per il successivo periodo che trascorre a Rimini, dove a riempire la sua
immaginazione non saranno stati spunti formali, difficili da trovare nella città adriatica, quanto piuttosto
la necessità di dare delle risposte immediate alle complesse richieste della committenza: si trattava
ora di dare forma a figure del mondo religioso e a quelle della mitologia classica, cercando infine di
arrivare ad evocarne il loro significato all’interno di quello che era diventato il programma decorativo
del Tempio Malatestiano. L’ambiente di corte avrà svolto un ruolo fondamentale per la definizione di
quel programma ma per Agostino, al di là degli spunti formali, questo avrà voluto dire soprattutto
confrontarsi con letterati, poeti, filosofi, trattatisti, con quanti insomma erano lì alla corte di
Sigismondo, e far crescere sulle loro indicazioni, talvolta fumose e ambigue, e sulle loro fantasie un
proprio, inedito, universo figurativo.
Nota biografica
Marco Campigli ha studiato alle università di Firenze e di Udine occupandosi principalmente di
scultura del Quattro e del Cinquecento. In seguito alle ricerche avviate nel corso della sua tesi di
laurea, nel 1999 è uscito il volume sull’opera dello scultore Agostino di Duccio, fiorentino di nascita ma
per un decennio attivo nella città di Rimini (Luce e marmo. Agostino di Duccio, Firenze 1999).
Negli anni successivi, dopo essersi dedicato a ricognizioni sul territorio che hanno dato origine a tre
volumi dal titolo Visibile pregare. Arte sacra nella diocesi di San Miniato (Pisa 2000, 2001 e 2013), e
ancora ad argomenti di scultura del Rinascimento (Francesco di Valdambrino, Donatello, Vincenzo
Danti, Silvio Cosini, Michelangelo, Giuliano da Sangallo), è tornato a scrivere su Rimini e su Agostino
di Duccio nel volume delle Mirabilia Italiae curato da Antonio Paolucci, dal titolo Il Tempio
Malatestiano a Rimini (Modena 2010). Recentemente ha scritto sul giovane Pontormo (“La bizzarra
stravaganza di quel cervello di niuna cosa si contentava giammai”: Pontormo e il magistero di
Leonardo, Firenze 2013) e il saggio su Vittorio Cini e la scultura all’interno del catalogo della
Collezione Cini di Venezia di prossima uscita.
È docente a contratto di Istituzioni e gestione dei Beni culturali e di Storia dell’Arte Medievale presso
l’Università per Stranieri di Siena.
Alberto Giorgio Cassani
«la natura [...] più non producea, come né giuganti così né ingegni». Leon Battista Alberti
e il rapporto coi «buoni antiqui»
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Il motto terenziano «Nullum est iam dictum quod non sit dictum prius» (Eun., Prol., 41) ricorre per ben
tre volte nell’opera di Leon Battista Alberti (due nei Profugiorum ab ærumna libri III e una nel
Prohemium del Momus), nell’apparente, disarmante accettazione della superiorità degli Antichi sui
Moderni. Numerosi altri passi dell’Alberti sembrano rimarcare questo convincimento (nel
Commentarium della Philodoxeos fabula, nelle intercenali Anuli e Defunctus, nel De commodis
litterarum atque incommodis, fino all’opus magnum, il De re ædificatoria). Celeberrimo, poi, è l’incipit
del Prologus del De pictura dedicato a Filippo Brunelleschi, in cui l’autore, di fronte alla decadenza
delle «arti e scienzie» del suo tempo, arriva a stimare che «la natura, maestra delle cose, fatta antica
e stracca, più non producea, come né giuganti così né ingegni, quali in que’ suoi quasi giovinili e più
gloriosi tempi produsse amplissimi e maravigliosi». Il ricordo di Esiodo, Agostino, Isidoro e Beda è
ovvio. E non può non venire alla mente anche l’immagine attribuita a Bernardo di Clairvaux,
tramandataci da Giovanni di Salisbury, dei «nani sulle spalle dei giganti» (che tra l’altro risuona nel
«giuganti» albertiano).
Se tutto ciò sembra confermato, una volta di più, anche dalla lettera a Matteo de’ Pasti – «io credo più
a chi fece Therme æ Pantheon æ tutte queste chose maxime che a llui [sc. «el Manetto»,
rappresentante dei “Moderni”] –, in realtà, come sempre, l’Alberti ci spiazza, rovesciando
quest’apparente laudatio temporis acti in una laudatio præsentis. Proprio nel Prologus del De pictura,
parlando della cupola di Firenze, «ampla da coprire con sua ombra tutti e popoli toscani», Leon
Battista afferma che tale straordinario «artificio» di «Pippo architetto» «forse a presso gli antichi fu non
saputo né conosciuto». Alla fine, si scopre che il vero significato del motto terenziano-albertiano non è
quello di riconoscere che «tutto è già stato detto» (anche Terenzio, evidentemente, aveva dei veteres
con cui fare i conti), bensì l’invito ai contemporanei e ai posteri di confrontarsi con le grandi tessere
delle tavole delle buone arti (tema centrale dell’intercenale Fatum et fortuna) giunte fino a noi, per
raccoglierle, sì, conservarle, senz’alcun dubbio, con pietas e venerazione, imitarle («Neque pigeat eas
imitari, quas et summi viri imitati sunt», scrive Leon Battista nella Musca), ma anche, soprattutto, di
aggiungerne di nuove. Senza presunzione, ma anche senza timore reverenziale. In modo da ottenere
qualcosa, come scrive l’Alberti nei Profugia, «da niuno de’ buoni antiqui prima attinta».
Note biografiche
Laureato in Architettura al Politecnico di Milano (1986), dottore di ricerca in Conservazione dei beni
architettonici al PdM (1993), professore a contratto di Teorie e storia del restauro al PdM (1996-2002).
È docente di Ia fascia di ruolo di Elementi di architettura e urbanistica all’Accademia di Belle Arti di
Venezia. A contratto, insegna la stessa materia all’Accademia di Belle Arti di Ravenna dal 1995. È
abilitato come professore universitario di IIa fascia nel settore Restauro e Storia dell’architettura. È
redattore di “Albertiana” e di “Anfione e Zeto”, e curatore dell’”Annuario” dell’Accademia di Venezia;
collabora con “Casabella” e “'”. Già membro del Circolo Gramsci di Ravenna negli anni
Novanta e, più recentemente, della Fondazione “Ravenna Capitale” di cui è stato presidente nel
triennio 2007-2010. Studioso di Leon Battista Alberti, suoi campi d’interesse sono inoltre la storia
dell’architettura moderna e contemporanea, la teoria e storia del restauro, la letteratura sulle città e la
fotografia d’architettura. Tra le sue pubblicazioni: Le Barcellone perdute di Pepe Carvalho,
presentazione di Manuel Vázquez Montalbán, Milano, 2000, 2011 2; La fatica del costruire: Tempo e
materia nel pensiero di Leon Battista Alberti, Milano, 2000, 20042 (con postfazione di Massimo
Cacciari); Figure del ponte: Simbolo e architettura, Bologna 2014; L’occhio alato: Migrazioni di un
simbolo, con uno scritto di Massimo Cacciari, Torino 2014; curatele: Tomaso Buzzi 1900-1981: Il
principe degli architetti, Milano 2008; LEON BATTISTA ALBERTI, La favola di Philodoxus (Philodoxeos
fabula), testo latino a fronte, prefazione di Carlo Angelino, Rapallo, 2013; Guido Cirilli: Architetto
dell’Accademia (con Guido Zucconi), Padova 2014.
Francesca Cenerini
Usi e abusi delle iscrizioni romane nella Rimini di Sigismondo
Partendo da un’analisi combinata della documentazione contenuta nell’Anonimo Rigazziano e nel CIL,
il presente contributo intende offrire un quadro delle iscrizioni visibili nella Rimini dell’epoca di
Sigismondo Pandolfo Malatesta. L’uso e l’abuso delle epigrafi classiche dell’antica Ariminum (ben
documentabile attraverso il rempiego nel Tempio Malatestiano) sono messi in rapporto con la rinascita
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della scrittura capitale latina e con l’importanza della scrittura esposta pubblica, nel quadro
dell’ideologia sigismondea e, più in generale, del recupero della tradizione classica alla sua corte.
Note biografiche
Francesca Cenerini è docente di Storia romana, Epigrafia e Istituzioni romane nell’Università di
Bologna. I suoi interessi di ricerca sono rivolti in particolare all’epigrafia romana della regio VIII e della
Sardegna, nonché alla rappresentazione della condizione femminile di età romana attraverso l'analisi
della documentazione epigrafica. Tra le sue pubblicazioni si ricordano La donna romana. Modelli e
realtà, Bologna 2002, II edizione ampliata 2009, ristampa 2013; Dive e donne. Mogli, madri, figlie e
sorelle degli imperatori romani da Augusto a Commodo, Imola 2009.
Monica Centanni
Fantasmi dell'antico alla corte di Rimini e nel Tempio Malatestiano
I modelli archeologici che ispirarono la costruzione del Tempio Malatestiano; la precoce attività di
recupero della cultura antica, e in particolare della conoscenza della lingua greca e la vitalità nella
cerchia di intellettuali raccolti intorno a Sigismondo; la relazione tra i ‘fantasmi’ dell'antichità pagana,
rievocati dopo secoli di oblio, e le figure allegoriche cristiane nel Tempio Malatestiano: nella prima
metà del Quattrocento la corte di Rimini – all’avanguardia in campo artistico, architettonico, culturale –
produce i primi, straordinari, esperimenti della rivoluzione estetica, filosofica, politica che si compie nel
Rinascimento italiano.
Nota biografica
Monica Centanni è grecista, docente di Fonti greche e latine e Iconologia e tradizione classica presso
l’Università Iuav di Venezia; docente di Drammaturgia antica presso l’Università di Catania.
Filologo classico di formazione, è studiosa di tragedia greca, di cultura tardo antica (in particolare: il
mito di Alessandro; il passaggio tra paganesimo e cristianesimo); di iconologia e dei meccanismi di
trasmissione della tradizione classica nella storia della cultura, artistica e letteraria. Ha pubblicato
diverse monografie e curato l'edizione e la traduzione di testi greci. È direttore del Centro Studi
ClassicA Iuav e dirige la Rivista on line “Engramma. La tradizione classica nella memoria occidentale”
(www.engramma.it)
Anna Gabriella Chisena
Gli Astronomicon libri di Basinio da Parma e la Cappella dei Pianeti: la
rappresentazione del cielo alla corte malatestiana
Gli Astronomicon libri di Basinio da Parma costituiscono un unicum all’interno della produzione poetica
sviluppatasi nell’ambito della corte malatestiana. La poesia astrologica del poema, infatti, non trova
corrispondenti nelle altre opere letterarie ‘malatestiane’, ma sembra avere continuità unicamente con
la descrizione ‘celeste’ scolpita nella Cappella del Pianeti del Tempio Malatestiano. L’affinità tematica
della rappresentazione e le evidenti corrispondenze, hanno autorizzato la tesi, invalsa in molti studiosi,
che il programma scultoreo della Cappella sia stato ispirato dallo stesso Basinio e dalla sua opera.
Nell’intervento si cercherà di analizzare se questa ipotesi può essere autorizzata o se le effettive
corrispondenze sono da attribuirsi genericamente all’influsso della grande autorità della tradizione
iconografica astrologica. L’analisi, per la prima volta, si soffermerà attentamente sul contenuto
letterario del poema di Basinio e sulla tradizione manoscritta che tramanda tale testo. I versi degli
Astronomicon libri e le miniature che ne decorano i codici saranno pertanto messi in relazione con i
rilievi scultorei della Cappella, per comprendere se effettivamente la figura del poeta parmense ha
giocato un ruolo fondamentale nella ideazione della ‘rappresentazione celeste’ del Tempio di
Sigismondo.
Nota biografica
Anna Gabriella Chisena ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Civiltà dell’Umanesimo e del
Rinascimento presso l’Università di Firenze nel febbraio 2016. Sta ultimando la prima edizione critica
e il commento degli Astronomicon libri di Basinio da Parma. Si occupa principalmente della tradizione
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letteraria di argomento astrologico e astronomico in età medievale e umanistica, con particolare
attenzione alla figura di Dante e alla produzione astronomica in lingua latina e greca.
Attualmente è F. A. Yates Fellow presso il Warburg Institute di Londra, con un progetto di ricerca
riguardante la diffusione del trattato astronomico di Cleomede nel XV secolo.
Donatella Coppini
L’epica al servizio di Sigismondo. Greci e latini nell’Hesperis di Basinio da Parma
Impegnato in una nota polemica con Tommaso Seneca da Camerino e Porcelio Pandoni, in cui
sostenne la necessità dello studio del greco, Basinio da Parma in gran parte della sua produzione si
distingue particolarmente, nel panorama della letteratura umanistica, per il ricorso alle fonti greche.
Così Omero, talora letteralmente tradotto, si intreccia in modo tangibile a Virgilio e ad altri modelli,
classici e non solo, nella narrazione encomiastica delle imprese di Sigismondo oggetto del poema
Hesperis, tuttora privo di un’edizione critica, tramandato da un autografo e da un gruppo piuttosto
cospicuo di altri manoscritti, tre dei quali si distinguono per la presenza di illustrazioni realizzate da
Giovanni da Fano.
Nota biografica
Donatella Coppini è professore ordinario di Filologia Medioevale e Umanistica presso il Dipartimento
di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze. Si è occupata e si occupa di poesia latina umanistica,
delle relazioni fra letteratura umanistica e letteratura classica, del rinnovamento umanistico di generi
letterari classici, della questione dell’‘imitazione’, del latino degli umanisti, di edizioni di testi, di
Petrarca. Fra le sue principali pubblicazioni, l’edizione critica dell’Hermaphroditus di Antonio
Panormita e le edizioni, con traduzione italiana, dei Salmi penitenziali di Petrarca e del De Bello italico
di Bernardo Rucellai.
Claudia Daniotti
«Varj geroglifici e piccole figure di basso rilievo, scolpite in marmo»: i portali delle celle
del Tempio Malatestiano fra Virtù, Sibille e Profeti
Stretti tra le grandiose arcate delle cappelle che scandiscono la navata del Tempio Malatestiano, i due
piccoli vani noti come Celle delle Reliquie e dei Caduti restano a tutt’oggi tra gli ambienti meno
indagati fra quanti costituiscono il grande complesso architettonico-decorativo voluto da Sigismondo
Pandolfo Malatesta. Costruite come ambienti gemelli posti uno di fronte all’altro a destra e a sinistra
della navata, tra la prima e la seconda coppia di cappelle, le due celle hanno ingressi segnati da
portali marmorei scolpiti cui la critica ha finora dedicato un’attenzione occasionale e sostanzialmente
superficiale.
Oggetto del mio intervento saranno, in particolare, le piccole figure maschili scolpite sugli stipiti dei
portali: sei, ammantate e stanti, nella Cella delle Reliquie e quattro, nude e plasticamente dinamiche,
nella Cella dei Caduti. Un riesame iconografico e contestuale di questi dieci personaggi, la cui
identificazione resta in qualche caso problematica, potrà contribuire non solo a fare chiarezza sul
programma iconografico che presiede alla decorazione dei due portali, ma anche a comprenderne il
significato alla luce e in dialogo con il più vasto programma decorativo del Tempio. Rimasti al margine
del dibattito critico intorno all’opus mirabile di Sigismondo, i rilievi dei portali delle celle meritano invece
un’indagine attenta e puntuale, che restituisca loro lo status di elaborazioni nate nel solco di una
consolidata tradizione figurativa e, insieme, di espressioni del gusto antiquario e della reinvenzione
dell’antico alla corte malatestiana di Rimini.
Nota biografica
Claudia Daniotti, storica dell’arte, ha conseguito Laurea e Laurea Magistrale presso l’Università Ca’
Foscari di Venezia, specializzandosi in iconografia e storia della tradizione classica. Al Tempio
Malatestiano, e in particolare ai portali delle Celle delle Reliquie e dei Caduti, ha dedicato la tesi di
laurea specialistica. Ha da poco conseguito un dottorato di ricerca presso il Warburg Institute di
Londra, occupandosi della fortuna iconografica di Alessandro il Grande nell’arte italiana tra Quattro e
Cinquecento, a cavallo tra la tradizione leggendaria medievale e la creazione di un ritratto storicovirtuoso in età rinascimentale.
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Sandro De Maria
Usi e riusi dell'antico nella Romagna del Rinascimento
Come per altri centri dell’Italia settentrionale, fra XV e prima metà del XVI secolo anche in diverse sedi
della Romagna si è diffusa una sensibilità antiquaria sfaccettata e a più direzioni. Mancando un polo di
aggregazione d’alta cultura accademica (vedi ad esempio la Bologna dello Studio al tempo degli ultimi
Bentivoglio), i centri di questi interessi si polarizzano piuttosto presso le corti (soprattutto quelle dei
Malatesta fra Rimini e Cesena) o alcune Istituzioni religiose (come la Commenda faentina). Prende
corpo un’antiquaria che da un lato si orienta verso forme erudite e sapienziali, che talora “usano”
l’antico anche a fini politici (emblematica la figura del ravennate Desiderio Spreti), dall’altro sfrutta le
propensioni periegetiche dei loro cultori, sulla scia antica di un Ciriaco d’Ancona o di un Cristoforo
Buondelmonti (si pensi alle figure dei faentini, di nascita o d’adozione, appartenenti a generazioni
diverse, Ambrogio Traversari o Sabba da Castiglione). In alcuni casi l’antichità viene rivissuta e
“riusata” per cerimonie solenni che interessano l’intero paesaggio urbano, travestito all’antica per
acquisirne solennità, come nella Rimini delle entrate trionfali fra 1475 e 1543.
Nota biografica
Sandro De Maria è Professore ordinario di Archeologia Classica, Università di Bologna, e Socio
Corrispondente dell’Istituto Archeologico Germanico, Berlino.
Xavier Espluga
Il codice rigazziano e il suo rapporto con gli altri manoscritti epigrafici del Quattrocento
La Biblioteca Gambalungiana di Rimini conserva un manoscritto fattizio (con l’odierna segnatura Sc.Ms. 3) appartenuto nel sec. XVI al medico ed erudito locale Giovanni Antonio Rigazzi e, dunque, per
questo motivo, noto come ‘codice Rigazziano’. La seconda sezione di questo manoscritto è costituita
da una piccola raccolta antiquario-epigrafica che contiene un elenco di abbreviature latine – che
termina nella lettera C – e una piccola selezione d’iscrizioni romane, in particolare di Roma, di Rimini,
Cesena e Bologna. Dagli editori del CIL (CIL IX, p. 73), il manoscritto rigazziano fu collegato alla prima
tradizione epigrafica di Rimini, così come essa appare anche nella seconda versione della raccolta
antiquario-epigrafica di Giovanni Marcanova, vergata a Bologna nel 1464-1465. Nonostante ciò, il
manoscritto sembra, da una prima analisi, un prodotto più tardo, probabilmente vergato nel corso degli
anni ’70 o ’80, derivato da materiali di ascendenza marcanovana o da elaborazioni dell’antiquario
veronese Felice Feliciano. La presente comunicazione cercherà di analizzare il contenuto di questo
manoscritto, collegandolo all’intensa attività antiquaria della corte di Sigismondo Pandolfo Malatesta,
molto più ricca di quanto tradizionalmente si riconosce.
Nota biografica
Xavier Espluga, Professore Aggregato di Filologia Classica all’Università di Barcellona, è dottore di
ricerca in Filologia Classica presso l’Università di Barcellona e Specializzato in Archeologia Classica
presso l’Università degli Studi di Lecce. È stato anche Visiting Lecturer al Department of Greek and
Latin dell’University College of London e Honorary Research Fellow del Department of Classics di
Royal Holloway University of London. Si è particolarmente interessato allo studio della tradizione
epigrafica e antiquaria di età umanistica, alla trasmissione dei classici, in particolare dell’oratoria
ciceroniana, e agli autori e manoscritti dell’Umanesimo catalano. È ricercatore del gruppo di ricerca
LUDUS (Barcelona Digital Classics) (stel.ub.edu/ludus). Tra le sue ultime pubblicazioni si ricordano
Manoscritti illuminati della biblioteca del cardinale Margarit, in “La Bibliofilia” (2015) e On the
transmission of the Anonymus Magliabechianus, in “Manuscripta” (2015). Una sua monografia sul
codice epigrafico faentino (Faenza, Biblioteca Manfrediana, ms. 7) è in corso di pubblicazione nella
collana Epigrafia e Antichità degli editori Fratelli Lega di Faenza.
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Ferruccio Farina
«Tibi est immortalitatis gloria, Sigismunde». La profezia di Timoteo Maffei e la fama di
Sigismondo Pandolfo Malatesta inuna ricognizione delle medaglie malatestiane nei
principali musei del mondo
La comunicazione illustrerà gli esiti di una ricognizione comparativa delle medaglie malatestiane e di
altri dodici personaggi contemporanei a Sigismondo Pandolfo in quindici prestigiosi musei stranieri e in
tre importanti raccolte numismatiche. Si tratta di una operazione di benchmarking per testare il valore
della profezia «TIBI EST IMMORTALITATIS GLORIA, SIGISMUNDE» che Timoteo Maffei ha
formulato nel 1453 riferendosi al signore di Rimini nel suo appello ai potentati italiani per una crociata
contro i turchi.
Nota biografica
Ferruccio Farina si occupa di storia e sociologia del turismo e di comunicazione per immagini e su
questi temi ha pubblicato oltre venti monografie scientifiche e divulgative e numerosi saggi e articoli su
riviste specializzate.
Docente a contratto di Storia e Sociologia del Turismo alla Facoltà di Sociologia dell’Università degli
Studi di Urbino Carlo BO dal 1998 al 2014. Ha progettato e curato “Balnea.museum, Museo virtuale
dei bagni di mare e del turismo balneare” on-line dal 1997 al 2015.
Tra i suoi più recenti interessi vi è il mito di Francesca da Rimini. Sul tema ha pubblicato la monografia
Francesca da Rimini, sulle tracce di un mito (2006) e numerosi saggi.
E’ coordinatore del CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI FRANCESCA DA RIMINI fondato da UCLA-CMRS,
Center for Medieval and Renaissance Studies, Los Angeles, e dalla rivista “Romagna Arte e Storia”,
Rimini. Dal 2007 organizza le GIORNATE INTERNAZIONALI FRANCESCA DA RIMINI che si tengono
annualmente a Rimini e Los Angeles.
Membro dell’Advisory board di “Rimini Venture 2027” e, fino al marzo 2012, coordinatore del “Piano
Strategico della Cultura della città di Rimini”.
Cofondatore e redattore della rivista “Romagna Arte e Storia”, dove ha pubblicato, da ultimo, Il volto e
la fama. Le medaglie di Pisanello e di Matteo de’ Pasti per Sigismondo Pandolfo Malatesta
nei repertori iconografici tra XVI e XVII secolo, “Romagna Arte e Storia”, n. 103, gennaio-aprile 2015.
Iscritto all’Ordine Nazionale dei Giornalisti al n. 76475, ha collaborato e collabora con argomenti
culturali a Il Resto del Carlino e a Il Messaggero.
Ha partecipato e partecipa, come relatore a invito, a seminari e a convegni in Università italiane e
straniere.
Ha progettato e curato eventi culturali in Italia e all’estero, tra i quali:
2000, Rimini, Museo della città: Il tempio di Sigismondo. Grafica malatestiana fra Rinascimento e
Novecento. Realizzata da Comune di Rimini, insieme a Pier Giorgio Pasini.
2011, Rimini, Museo della Città: Francesca d’Italia. Francesca da Rimini dalla rivoluzione giacobina a
Trieste liberata. Centocinquanta cimeli in mostra per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia.
Realizzata nell'ambito della Va edizione delle GIORNATE INTERNAZIONALI FRANCESCA DA RIMINI.
2012, Roma, Società Dante Alighieri: Francesca e il Risorgimento. Il mito di Francesca da Rimini dalla
rivoluzione giacobina a Trieste liberata, Cimeli in mostra alla Dante Alighieri. Realizzata nell'ambito del
convegno DANTE IN ITALIA E NL MONDO organizzato dall’Università degli Studi La Sapienza, con la
collaborazione di UCLA University of California, Los Angeles.
2012, Los Angeles, Italian Cultural Institute: Passioni d’Italia, Francesca da Rimini nell'immaginario
popolare, Mostra di incisioni e di cimeli e tavole rotonde.
2014, Rimini Museo della Città: Divina Passione, Francesca da Rimini nelle Commedie illustrate tra
XV e XX secolo, da Baccio Baldini a Renato Guttuso. Realizzata nell'ambito DELLE GIORNATE
INTERNAZIONALI FRANCESCA DA RIMINI Ottava edizione.
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Donatella Frioli
Tra classici, Padri e umanisti. Scandagli sparsi sulle biblioteche dei Malatesta e del loro
entourage
Nel rinnovato interesse per la voce dei classici e dei Padri della Chiesa si concretizza un aspetto di
quel recupero dell’antico che è filo conduttore del movimento preumanistico e umanistico.
Grazie al ricorso ad analisi autoptica dei manoscritti e a fonti inventariali librarie, il contributo indaga il
milieu culturale riminese soprattutto in epoca quattrocentesca, con privilegiato riferimento alla corte
malatestiana e ai rappresentanti più significativi dell’entourage funzionariale.
Nota biografica
Laurea in Lettere Classiche (Università degli Studi di Bologna). Diploma di Perfezionamento in
Scienze dell’antichità (Università degli Studi di Urbino). Diploma in Paleografia Archivistica e
Diplomatica (Archivio di Stato di Perugia). Ricercatore di Paleografia latina (e Codicologia) (Università
degli Studi di Padova) Associato poi Ordinario di Paleografia (Università degli Studi di Trento).
Si interessa di problematiche relative alla catalogazione di manoscritti; di storia di singoli codici; di
storia delle biblioteca (istituzionali e privare); di reperti manoscritti sopravvissuti in stato frammentario.
Federicomaria Muccioli
Roberto Valturio, le fonti antiche e la mediazione umanistica
Nel De re militari di Roberto Valturio numerosissime sono le citazioni dirette di autori antichi, sia latini
sia greci (questi ultimi, di norma, noti attraverso la traduzione latina). Valturio, infatti, costruisce il suo
speculum principis attingendo a tutta la letteratura classica a sua disposizione. Evita però con cura di
citare le fonti intermedie, talora fondamentali per la trasmissione della tradizione antica. Un’analisi a
campione di alcuni passi significativi dell’opera evidenzia in particolare l’uso del Petrarca erudito,
autore di riferimento anche nella stagione umanistico-rinascimentale del recupero dei classici, alla
quale Valturio appartiene di diritto.
Nota biografica
Federicomaria Muccioli è professore associato di Storia greca all’Università di Bologna. Si occupa
principalmente di tirannidi antiche e regalità ellenistiche, di culti eroici e divini nel mondo greco, di
Plutarco e della storiografia greca di età romana, nonché di tradizione dell’antico alla corte dei
Malatesta.
Italo Pantani
Giusto, Basinio e la passione amorosa: aspetti di ascendenza virgiliana
Giusto de’ Conti e Basinio da Parma, i più importanti poeti della corte di Sigismondo Malatesta,
dedicarono all’esperienza amorosa opere di grande rilievo nel panorama (volgare e latino) della lirica
quattrocentesca; ma la loro alta qualità letteraria richiede tuttora di essere pienamente riscoperta,
dopo almeno due secoli di pregiudizi negativi. Il canzoniere del primo (noto col titolo di Bella mano) e il
romanzo epistolare elegiaco del secondo (il Liber Isottaeus) sono stati ad esempio appiattiti sotto le
semplicistiche etichette dell’imitazione, rispettivamente, petrarchesca e ovidiana, laddove entrambi
raggiungono una propria identità originale e complessa attraverso il confronto con numerosi modelli,
classici e romanzi. In questa prospettiva, particolare interesse assume il rapporto con le
rappresentazioni che della passione amorosa aveva offerto Virgilio, se è vero che le Bucoliche
costituiscono riferimento importante per Giusto (soprattutto nei ternari che ne concludono il
canzoniere), mentre l’Eneide diviene in Basinio testo depositario di verità rivelate; e se è vero, per
contro, che più volte entrambi i poeti, richiamando Virgilio, ne reinterpretano o perfino rovesciano
messaggio teorico e situazioni poetiche.
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Nota biografica
Italo Pantani (1964) è Professore Associato di Letteratura italiana presso l’Università di Roma, La
Sapienza. L’area di studio a cui ha dedicato la massima parte dei suoi studi è stata finora la tradizione
poetica, in particolar modo di età medievale e rinascimentale: scandagliata attraverso una vasta
bibliografia di edizioni quattro-cinquecentesche (Biblia. Biblioteca del libro italiano antico. Libri di
poesia, Milano 1996); un volume dedicato all’influsso del Canzoniere petrarchesco sulla poesia
ferrarese del XV secolo («La fonte d’ogni eloquenzia», Roma 2002); la monografia L’amoroso messer
Giusto da Valmontone (Roma 2006); la raccolta di saggi «Responsa poetae» (Roma 2012), incentrata
sul genere della corrispondenza in versi, latina e volgare, fra XIV e XVI secolo; e numerosi altri studi,
dedicati ad autori come Ariosto, Della Casa, Carducci, nonché a stagioni (papato di Giulio II) e
questioni (classicismo metrico, poesia e tipografia) di storia letteraria. Ha partecipato inoltre a
numerosi convegni nazionali e internazionali, ed è stato responsabile scientifico dell’opera
multimediale Viaggi nel testo, pubblicata da Internet culturale (2006-2008). Per specifico interesse, ha
partecipato infine alla realizzazione di opere con finalità divulgative, come la storia e antologia della
letteratura italiana diretta da G. Ferroni.
Pier Giorgio Pasini
«Io credo più a chi fece Therme et Pantheon [...] et molto più alla ragion che a
persona» Leon Battista Alberti e il Tempio Malatestiano
Generalmente il Tempio Malatestiano viene guardato con un’ottica di carattere estetico e filosofico; si
propone di considerarne con maggior attenzione la storia e la struttura materiale. Verranno evidenziati
alcuni elementi che permettono di ipotizzare fondatamente la fragilità della vecchia chiesa di San
Francesco, e la temuta possibilità di un suo crollo parziale conseguente ai lavori delle nuove cappelle
malatestiane (1447-48). Da cui: (I) la chiamata di L. B. Alberti e la decisione di ‘rinforzare’ tutta la
struttura portante della chiesa francescana secondo criteri di razionalità ispirati all’architettura antica;
(II) la decisione da parte di Sigismondo di affrontare un’impresa che poi si rivelò al di sopra delle sue
possibilità (appunto come temeva l’Alberti); e infine (III) l’estensione a tutta la chiesa del voto fatto
durante la ‘guerra italica’.
L’approfondimento di questi tre punti permette di precisare meglio l’inizio dell’intervento albertiano e
dell’influenza su tutta la fabbrica del fascinoso architetto-archeologo papale.
Nota biografica
Pier Giorgio Pasini, storico dell’arte, è ideatore e direttore della rivista “Romagna Arte e Storia”.
Compiuti gli studi artistici a Ravenna e quelli storici ai Corsi di Cultura sull’Arte Ravennate e Bizantina
(1956-58), dal 1963 è Ispettore onorario della Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Bologna.
Ha fatto parte del Comitato di Vigilanza degli Istituti culturali del Comune di Rimini (1963-1975) ed è
stato membro del nuovo Comitato di gestione del Museo della Città (1982-1990): fra il 1987 e il 1994
ha collaborato all’allestimento del Museo, prestando la sua consulenza dal 1992 al 1998. Dal 1984 è
referente scientifico del Museo di Stato della Repubblica di San Marino, del quale ha contribuito
all’allestimento (1983-2001) e ha curato il catalogo (2000). Ha fatto parte del Consiglio direttivo della
Società di Studi Romagnoli (1985-1994).
Tra gli studi di Pasini, oltre alla curatela della ristampa anastatica de Il Tempio Malatestiano di C. Ricci
(1974) e della Mostra di pittura del Seicento a Rimini (1982), si ricordano le monografie La Pinacoteca
di Rimini (1983), Arte e Storia della Chiesa Riminese (1999), Il Tempio Malatestiano. Splendore
cortese e classicismo umanistico (2000). Sua è inoltre la curatela dei cataloghi Dal Trecento al
Novecento. Opere d’arte della Fondazione e della Cassa di Risparmio di Rimini (2005) e Novecento
riminese. Opere d’arte della Cassa di Risparmio di Rimini (2006). Pasini ha contribuito inoltre alla
mostra Neri da Rimini. Il Trecento Riminese tra pittura e scrittura (1995), e ha curato Il Tempio di
Sigismondo. Grafica malatestiana (2000).
Esperto della pittura del Seicento, è autore dei cataloghi di mostra Guido Cagnacci: pittore (1986),
Guercino e dintorni (1987) e Guercino ritrovato (con M. Pulini, 2003). Con A. Mazza ha curato la
mostra Seicento Inquieto. Arte e cultura a Rimini tra Cagnacci e Guercino (2004).
Tra le altre pubblicazioni si segnalano I Malatesti e l’arte (1983), La pittura riminese del Trecento
(1990), Cortesia e Geometria. Arte Malatestiana fra Pisanello e Piero della Francesca, (1992),
Francesco Rosaspina, «incisor celebre» (con A.M. Bernucci, 1995), Arte in Valconca (due volumi
1996-97), Medioevo fantastico e cortese. Arte a Rimini fra Comune e Signoria (1998), Arte ritrovata.
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Un anno di restauri in territorio riminese (2002), Aere Civium. Trenta restauri per il Museo di Rimini
(2007), Il tesoro di Sigismondo e le medaglie di Matteo de’ Pasti (2009), Vicende del patrimonio
artistico riminese (ristampa aggiornata, 2010).
Leonardo Quaquarelli
Ciriaco d’Ancona e Rimini
Elisa Tosi Brandi
Abiti antichi e moderni nel Tempio Malatestiano
L’abbigliamento è in grado di rappresentare un dato momento storico attraverso materiali, forme,
innovazioni tecniche utilizzate nella realizzazione degli indumenti. A partire dal XIII secolo in
Occidente la moda contribuisce a segnalare il passare del tempo attraverso novità introdotte sul
mercato adottate da uomini e donne e raffigurate nelle fonti iconografiche. Chi indossa quelle novità è
un uomo o una donna del presente, di quel presente storico.
Le innovazioni in campo tessile e sartoriale databili al basso Medioevo sono di tale importanza rispetto
a quelle avvenute nei secoli precedenti da non spingere i consumatori più raffinati a cercare nel
passato modelli e forme a cui ispirarsi. Alcune tracce del passato d'altronde erano già state rielaborate
ed impiegate divenendo indumenti indispensabili del guardaroba medievale come per esempio le
calze brache.
Antichità e Medioevo - seppure quello tardo - erano impregnate di culture differenti, quella classica e
quella cristiana, che avevano contribuito anche alla nascita di quella o di questa moda.
Volendo sintetizzare: la cultura classica basata sul drappeggio delle vesti e sulla valorizzazione del
corpo, quella medievale e moderna basata sulla sartorialità, sull’assemblaggio complesso dei materiali
e sul quasi annullamento del corpo in funzione dell’abito, mezzo di riconoscimento di genere e di
status.
All’interno del Tempio Malatestiano queste due culture convivono con una rinnovata funzione, ma il
tempo presente è ben rappresentato da segni chiaramente comprensibili ai contemporanei del
committente. Così come tutti i ricorrenti elementi estetizzanti e richiamanti lo sfarzo e il ruolo della
corte, come stemmi, festoni, tessuti, anche gli abiti raffigurati servono per fissare il momento, per
rendere alcuni personaggi effigiati all’interno del monumento, come per esempio Sigismondo Pandolfo
Malatesta e San Sigismondo alias l’imperatore Sigismondo, testimoni del loro tempo. Non è questo, al
contrario, il ruolo dei tanti personaggi scolpiti appartenenti alla mitologia, al repertorio classico, ad un
mondo passato evocato all’interno del Tempio Malatestiano come mezzo per conquistare l’immortalità
di Sigismondo e della sua casata.
Sibille, Profeti, Muse e allegorie delle Virtù e delle Arti Liberali come quelle dei Pianeti e dei Segni
Zodiacali indossano abiti di altri tempi, mai visti dai contemporanei se non attraverso opere d’arte e
descrizioni altrui. Le vesti di questi personaggi sono frutto di raffinate rielaborazioni. Si tratta di
interpretazioni, non prive di contaminazioni reciproche, che tengono conto della distanza tra il mondo
presente e quello passato, della cultura presente e di quella che viene evocata e che prende corpo
attraverso la plasticità data ai personaggi da Agostino di Duccio.
Non era al repertorio del passato nel Rinascimento e nemmeno nelle epoche successive che gli
operatori della moda, sia produttori sia consumatori, guardavano per trarre ispirazione. Eppure nel
Tempio Malatestiano - per noi contemporanei di oggi che abbiamo il privilegio di conoscere le vicende
storiche successive - gli abiti più moderni sono quelli antichi creati dagli umanisti. I tempi non erano
ancora maturi e occorrerà aspettare la fine del XVIII secolo per vedere il primo vero revival nella storia
della moda di ispirazioni classica, il cosiddetto neoclassicismo o moda primo impero. Se gli operatori
della moda di fine Settecento avessero saputo che al Tempio Malatestiano questo revival era già stata
fatto tre secoli prima …
Durante la relazione verranno illustrate le principali tipologie di vesti antiche e moderne raffigurate
all’interno del Tempio Malatestiano.
Nota biografica
Elisa Tosi Brandi, PhD in Storia Medievale, lavora presso l’Università di Bologna. Si occupa di storia
del costume e della moda, in particolare di mestieri e oggetti dal Medioevo ad oggi, archivi storici della
moda. Ha curato l’edizione di documenti malatestiani, tra cui l’inventario post mortem di Sigismondo
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Pandolfo Malatesta, gli Statuti di Longiano (con O. Delucca), le leggi suntuarie di Rimini e Cesena, si
occupa dello studio di vesti antiche, come il corredo funebre di Sigismondo.
Tra le sue pubblicazioni: Abbigliamento e società a Rimini nel XV secolo (Rimini 2000); Castelli e
fortificazioni del Riminese (Bologna 2008); The challenges of Chiara da Rimini: from Deeds to Words,
in From Words to Deeds: The Effectiveness of Preaching in the Late Middle Ages a cura di M.G.
Muzzarelli (Turnhout 2014, pp. 99-116); Vicende di oggetti e di uomini tra corte e città alla fine del
Medioevo, in Moda Arte Storia Società. Omaggio a Grazietta Butazzi, a cura di E. Morini, M.Rizzini, M.
Rosina (Como 2016, pp. 127-134).
Giovanni C.F. Villa
«Zambelin se puoi dir la primavera Del Mondo tuto, in ato de Pitura». Giovanni Bellini o
della classicità senza tempo
Nota biografica
Giovanni Carlo Federico Villa (Torino, 17 novembre 1971) è professore associato di Storia dell'Arte
Moderna e di Museologia e Museografia e direttore del Centro di Ateneo di Arti Visive dell'Università
degli Studi di Bergamo. Dal giugno del 2000 al settembre 2005 è stato conservatore presso la
Direzione Musei e Conservatoria Civici Monumenti di Vicenza, di cui è ora direttore scientifico, e ha
editato, come responsabile e curatore, i primi sette volumi (2001-2015) del catalogo scientifico della
Pinacoteca Civica di Palazzo Chiericati di Vicenza. Studioso di pittura veneta del Rinascimento e
museologo, è specialista di tecnologie non invasive applicate ai Beni Culturali e ha orientato tutta la
sua attività alla tutela delle opere d’arte attraverso la strutturazione di progetti che hanno saputo porre
in dialogo Università, Soprintendenze, Musei, enti pubblici e privati toccando i temi sensibili
dell’avanzamento della ricerca tecnico-scientifica in ambito storico artistico accompagnati ad
un’intensa attività di divulgazione istituzionale, culminata nella curatela di iniziative espositive per le
Scuderie del Quirinale di Roma e il Senato di Francia.
Dal gennaio 2004 al giugno 2013 è stato impegnato presso le Scuderie del Quirinale di Roma dove ha
curato o coordinato scientificamente le mostre Antonello da Messina (2006), Giovanni Bellini (2008),
Lorenzo Lotto (2011), Tintoretto (2012) e Tiziano (2013). Tra le altre ha inoltre curato le esposizioni
Cima da Conegliano, poeta del paesaggio per Palazzo Sarcinelli a Conegliano (2010) e Cima da
Conegliano. Maître de la renaissance vénitienne per il Musée du Luxembourg di Parigi (2012);
Maîtres vénitiens et flamands. Bellini, Titien, Canaletto, Van Eyck, Metsys, Jordaens… per il Palais
des Beaux-Arts di Bruxelles (2011); Scolpire gli Eroi. La scultura al servizio della memoria (2011) per il
Palazzo della Ragione di Padova su incarico della Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito
della programmazione espositiva del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia; Palma il Vecchio, lo
sguardo della Bellezza (2015) per il Comune di Bergamo e l’Accademia Carrara. Iniziative espositive
caratterizzate dall’attenzione alla tutela e divulgazione del patrimonio storico artistico italiano
consentendo, nel caso di Cima, la richiesta di inserimento del paesaggio coneglianese nel patrimonio
mondiale dell’UNESCO e, per Lorenzo Lotto, la strutturazione del progetto “Terre di Lotto” che ha
portato numerosi investimenti privati alle istituzioni e diocesi di Lombardia, Veneto e Marche.
Oltre a un’intensa attività di conferenziere e organizzatore di convegni è autore di oltre duecento
pubblicazioni scientifiche.
Andrea Vitali
I Malatesta e i Tarocchi: un Mondo dorato
I tarocchi, conosciuti nel Quattrocento come Ludus Triumphorum, cioè ‘Gioco dei Trionfi’, erano molto
amati dai Signori di Rimini. Il primo documento fino ad oggi scoperto su questo intrattenimento ludico
è da farsi risalire proprio ai Malatesta, quando nel 1440 il notaio e pubblico ufficiale Giusto Giusti di
Anghiari, che intratteneva amichevoli rapporti con Sigismondo gli portò in regalo carte da trionfi, che
aveva fatto dipingere appositamente a Firenze con le insegne di quella famiglia: «Venerdì a dì 16
settembre donai al magnifico signore messer Gismondo un paio di naibi a trionfi, che io avevo fatto
fare a posta a Fiorenza con l’armi sua, belli, che mi costaro ducati quattro e mezzo». Altri poi sono i
documenti sui trionfi quattrocenteschi che riguardano i Signori di Rimini: uno dell’ottobre del 1452, in
cui si parla di un mazzo di trionfi da far dipingere per Sigismondo Pandolfo, mentre di un ulteriore
mazzo siamo informati da una lettera del novembre dello stesso anno, in cui il Malatesta chiede a
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Bianca Maria Visconti la cortesia di farlo realizzare da artisti cremonesi per proprio uso.
Nota biografica
Andrea Vitali, medievista e storico del simbolismo, ha fondato nel 1985 l’Associazione Culturale Le
Tarot (www.letarot.it), organismo di ricerca storica a cui hanno aderito importanti personalità del
mondo accademico internazionale. A lui si devono i progetti storico-scientifici delle più importanti
esposizioni sull’universo simbolico dei tarocchi oltre ad importanti scoperte in ambito iconologico. Ha
scritto numerosi volumi e oltre 140 saggi fra storici e iconologici (questi ultimi tradotti in sei lingue)
online presso il sito dell’Associazione.
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