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samizdat
ex Oriente Libertates
Adriatica
Albaruthenia
Baltica
Bohemia
Croazia
Spalato, Gay Pride e spettro dei Balcani
Bielorussia
La lunga notte polare di Minsk
Lettonia
Nel cuore della mafia russa
Repubblica Ceca
L’editoria ceca minacciata
Dacia et Moldavia
Romania
Hungaria
Ungheria
Polonia
Russia
Ruthenia
Il Memoriale di Sighet
Costituzione, la sfida ungherese alle UE
Polonia
La poesia per sopravivvere nel Gulag
Sei mesi di presidenza polacca alla UE
Russia
Il fantasma del terzo Stalin
Il caso Arcangelo
Ucraina
Il fenomeno migratorio come specchio di una società
45
nuova serie
dicembre 2011
Comitati per le Libertà
Freedom Committees
Comitatus pro Libertatibus
samizdat
Ex Oriente Libertates
N. 45 - dicembre 2011
nuova serie
Il nome di questa rivista, Samizdat, discende dalle gloriose pubblicazioni clandestine che ai
tempi dell’Unione Sovietica contribuirono a tenere vivo lo spirito dell’indipendenza intellettuale e dell’opposizione politica alla dittatura. Significa letteralmente, in lingua russa, “autoedizione”, perché nessuna casa editrice ufficiale poteva assumersi la responsabilità di diffonderla. Così i “Samizdat” circolavano in segreto di mano in mano, di casa in casa, letti e battuti a macchina durante la notte per sfuggire ai controlli della polizia sovietica. Da allora,
dovunque a Oriente fosse schiacciata la libertà sotto lo stivale dell’autoritarismo, la parola
“Samizdat” ha significato rifiuto della violenza totalitaria e resistenza all’ingiustizia. Riprendendo quel nome glorioso, “Samizdat” si rivolge da sempre a tutte le donne e agli uomini liberi, contrari al conformismo. Al tempo stesso, incoraggia e promuove ogni forma di rinascita spirituale, culturale, politica ed economica del Centro e dell’Est Europa, considerandola esempio e monito per l’Occidente.
Samizdat intende essere punto di riferimento per chiunque sia interessato all’attualità politica, alla storia e alla cultura dei paesi centro ed est europei, e più in generale di quelli che
hanno sperimentato, o ancora patiscono, regimi dittatoriali. Si ispira alla cultura delle libertà, senza escludere filoni culturali diversi. Ogni sua sezione nazionale comprende da uno a tre
articoli, in particolare temi di attualità e rivolti al futuro; di essi almeno uno in italiano, gli
altri (prevalentemente in italiano e in inglese) accompagnati da sintesi in una di queste due
lingue.
The name of this review, “Samizdat”, is inspired by the glorious clandestine publications,
which at the time of Soviet Union kept alive the spirit of intellectual independence and political opposition to dictatorship. Since then, “Samizdat” means refuse of the totalitarian violence and resistance to unjustice. Taking again this name, we address free women and men, who
oppose conformism. We promote the spiritual, cultural, political and economic renaissance
of every nation in Middle and East Europe.
COMITATO EDITORIALE
Vladimir Bukovskij Presidente Generale dei Comitati per le Libertà
Dino Cofrancesco Presidente del Comitato Esecutivo Comitati per le Libertà
Angelo Gazzaniga Portavoce dei Comitati per le Libertà
Editore: Comitati per le Libertà, 20122 Milano, via Daverio 7
Provider-distributore: Aruba.it SpA (www.aruba.it) - piazza Garibaldi 8 / 52010 Soci (AR) - Anno VII Copyright © 2003
Realizzazione Tipolitografia Angelo Gazzaniga, 20154 Milano, via Piero della Francesca 38
La rivista è gratuita e liberamente scaricabile in formato pdf.
Gli articoli possono essere riprodotti anche in maniera parziale solo su autorizzazione dell’autore.
Il sito libertates.com è pubblicato sotto Licenza Creative Commons (CC BY-NC-ND 2.5).
Per informazioni: [email protected]
La rivista è realizzata interamente con fondi dei Comitati per le Libertà
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samizdat
Heri dicebamus
A
nni fa sospendemmo le pubblicazioni. Le riprendiamo oggi, come se fosse stato ieri, con
entusiasmo immutato e facendo tesoro dell’esperienza trascorsa.
Dalle ceneri di Samizdat, la rivista che aveva sostenuto le ragioni della democrazia liberale e il
rifiuto di ogni forma d’autoritarismo, riparte la “nova series”, con il numero 45. Taglio e finalità sono precisi: informare, valutare e accompagnare ogni forma di libertà presente nella grande area, non solo geografica, chiamata Centro ed Est Europa. Cioè tutti i Paesi, dalla Croazia
ai Baltici, dall’Albania all’Ucraina e alla Russia, liberatisi fra lagrime e sangue dalle dittature
comuniste e fasciste del secolo scorso.
“Ex Oriente Libertates”, il motto che compare sotto la testata, significa questo: apertura a popoli che, proprio per avere subito il morso delle dittature, ora sanno meglio di altri quanto vale il
liberalismo. E che, nonostante le immense difficoltà seguite al crollo dell’Urss e dei suoi satelliti – come pure dei regimi jugoslavo, albanese, romeno – vogliono avviarsi verso un futuro più
pieno e umano.
Ci sentiamo vicini a tutte le forme di rinascita nazionale, così a lungo represse durante il secolo scorso sotto la cappa ideologica, e ipocrita, dell’internazionalismo socialista. Pur coscienti
dei rischi sempre presenti nei nazionalismi, riconosciamo infatti il pieno diritto all’indipendenza di ognuno, fondato sul principio dell’autodeterminazione. E sappiamo che, sottobraccio all’indipendenza, va di solito il pieno sviluppo culturale di una nazione.
Allo stesso tempo, identifichiamo nella Mitteleuropa e nell’area sud-orientale del continente una
comunanza di storia, cultura, costumi e interessi geopolitici. Di più: sentiamo tutto ciò come un
valore. Pur aperti, da liberali, alla globalizzazione, ci sentiamo solidali, da conservatori, con le
grandi tradizioni religiose e civili di cui questi popoli sono portatori. E ci poniamo un interrogativo cruciale: può venire da essi una lezione valida anche per l’Occidente, sempre più smarrito e dimentico delle proprie radici?
Intendiamo pubblicare articoli in tutte le lingue, nessuna esclusa, utilizzando prevalentemente
italiano e inglese per la comunicazione. Quanto agli argomenti, essi saranno politici, storici, economici, culturali, di costume, il più possibile rivolti all’attualità. Chi ci invierà articoli, segnalazioni, notizie, potrà contare sulla nostra attenta valutazione e simpatia: la cadenza delle uscite prevista è di tre o quattro numeri l’anno. Ogni numero di Samizdat sarà accessibile nell’archivio di Libertates, e la rivista sarà inviata gratuitamente per newsletter agli scritti. In occasione di manifestazioni o altri eventi, sarà possibile stampare un numero programmato di copie on
demand.
Samizdat, edito dai Comitati per le Libertà – Freedom Committees - Comitatus pro Libertatibus,
non ha scopo di lucro, pubblica soltanto articoli originali e punta a raggiungere ogni angolo del
continente. Conta sulla pubblicità online per raggiungere l’autosufficienza economica, avvalendosi anche del prestigio del Comité de Patronage internazionale.
La rivista è per tutti: meno che per i nemici della libertà, che ancora minacciano e soffocano tanti
dei nostri Paesi centro ed est-europei. Per tutti, meno i sostenitori del “politically correct” conformista. Per tutti, meno i realisti del “fait accompli”, sempre alleati di poteri non democratici.
Per tutti, meno i sostenitori degli imperialismi, eredi delle tragiche utopie comunista e fascista.
Agli altri invece rivolgiamo il nostro vecchio motto: ET LIBERTATES IGITUR!
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samizdat
HERI DICEBAMUS
It seems as if it was just yesterday – perhaps it was a year ago; but it doesn’t really matter how long –we
suspended publication of Samizdat.
We are now taking up where we left off, with unwavering enthusiasm, determined to make the most of
our past experience. This “nova series” of ours starts all over again, from the ashes of our Samizdat, a
magazine which for years, and for 44 issues, has supported the cause of liberal democracy and motivated
the rejection of all forms of authoritarianism.
We are resuming publication with Number 45, keeping in mind our very specific purposes and policies,
i.e. to inform, evaluate and accompany freedom in whatever shape or form is presents itself, in the vast
area known as Central and Eastern Europe. By this we mean not just a geographic expression, but all the
countries which were liberated, amid blood and tears, from under the yoke of XX century Communist
and Fascist dictatorships: from Croatia to the Baltic countries, from Albania to the Ukraine and to Russia.
The magazine’s motto, “Ex Oriente Libertates”, to be found underneath the heading, means above all the
wish to embrace and enhance the message of people and cultures which, having felt the sting of dictatorship etched deep into their very skin, are now in a position to appreciate the value of liberalism more than
anyone else. They are people and cultures who, despite the immense difficulties engendered by the collapse of the USSR and its satellites – as well as of the Yugoslavian, Albanian and Rumanian regimes –
are taking decisive steps towards a fuller and more humane future.
We therefore sympathize with all the National Renaissance causes, which were repressed for such a long
time during the last century under the ideological and hypocritical mantle of Socialist Internationalism.
Although we realize that nationalism includes ever present risks, we recognize the full right of all people
to independence, based on the principle of self-determination.
We also know that each country’s full cultural development can only come hand in hand with independence. Even so, we identify in Mittel-Europa and in the South-Eastern area of the continent a communality of history, culture, customs and geopolitical interests not to be underestimated. In fact, we feel this
is a value to be preserved. Being freedom-loving, we are open to globalization, but being conservative we
favor the high religious and civil traditions of these people. And we ponder a crucial issue: since the West
seems to be more and more bewildered and mindless of its roots, might it not also be that these people
carry a political and moral message that is valid for the West as well?
Hence it is our intention to publish articles in all the languages of these countries, bar none, while maintaining Italian and English as the prevailing tools of communication, s they are accessible to a majority
of readers. Our themes will be political, historical, economical and cultural. They will deal with customs
and address each country’s contemporary issues and future prospects.
All are welcome to send us articles, tips, news: we will try to publish them, within the limits of our prospective three / four issues per year. Each of them will always be able to be accessed by means of the
Libertates archives, but those who register (for free) on our website can receive and download them at
regular intervals, through our newsletters.
Further, when there are demonstrations or event of some kind, it will be possible to print a certain number of copies on demand.
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samizdat
Russia
Il fantasma del Terzo Stalin
Vittorio Strada
N
el mondo occidentale i due “grandi dittatori” che
nella prima metà del secolo si affermarono sulle macerie
delle più deboli democrazie europee di allora, Mussolini
e Hitler, da tempo non sono più presenze politiche attive,
se non per un trascurabile numero di “nostalgici” più
curiosi che pericolosi, e sopravvivono soltanto nella
memoria storica, dove sono oggetto di studi diversi per
metodo e tendenza, come è regola per ogni ricerca intellettuale autentica, cioè libera e critica. Anzi, se la biografia dei due suddetti dittatori suscita interesse a livello storico, oltre che a quello “popolare”, sono soprattutto i
movimenti politici da loro creati, fascismo e nazionalsocialismo, a richiamare l’attenzione degli storici. Movimenti che, falliti e sconfitti, sono archiviati in un passato
senza ritorno, mentre il concetto di “antifascismo” ha dimostrato una artificiale longevità, superiore al suo antonimo, fortunatamente sepolto, il fascismo “storico”, e viene
usato impropriamente contro un presunto fascismo “eterno” che di volta in volta assume la forma di un avversario (al tempo della guerra fredda tale furono anche le “democrazie liberali”!) di chi professa questo “antifascismo”, per mentalità simile al fascismo storicamente esistito e ad ogni altro totalitarismo che si crea un nemico
assoluto da annientare.
Un’altra sfera di studio nella storiografia e politologia
democratico-liberale è il concetto di totalitarismo, fenomeno novecentesco, diverso dagli assolutismi e dispotismi tradizionali, di cui le ideologie e i regimi di Mussolini
e soprattutto di Hitler sono esempi.
Perché questa riflessione? Per il fatto che, se volgiamo lo sguardo verso Oriente, verso l’Oriente europeo,
cioè la Russia, e l’Oriente vero e proprio, quello asiatico,
nella fattispecie la Cina, osserviamo uno spettacolo del
tutto diverso. Là due “grandi dittatori”, Stalin e Mao ZeDong (lascio da parte Lenin che richiede un discorso a
sé), certamente più “grandi” dei due dittatori europeooccidentali sopra citati non fosse che per il fatto di aver
riportato un trionfo almeno nel loro paese, sono tuttora
celebrati, anzi nel caso cinese, fiorente è il sistema ideopolitico di cui Mao è stato artefice.
Si dirà che questo è vero per la Cina, la quale pure ha
conosciuto trasformazioni profonde nonostante la sopravvivenza almeno formale e ufficiale del mito di Mao, ma
non per la Russia, dove (per essere precisi nell’Unione
Sovietica) già pochi anni dopo la morte di Stalin il suo
mito venne sottoposto a una distruttiva denuncia da parte
dei suoi stessi eredi, col famoso discorso segreto di Nikita
Chrusciov al XX congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica nel 1956. Effettivamente allora, nella
lotta per la successione al “grande dittatore” sovietico e la
conquista del potere vacante, Stalin fu sottoposto a una
critica strumentale e parziale, ma non per questo meno distruttiva, da quel suo stretto collaboratore che era stato
Chrusciov, suo complice nei delitti ora attribuibili unicamente a Stalin. Più che di Stalin, allora si parlò di “stalinismo”, creando uno pseudoconcetto, quasi Stalin non
fosse stato la quintessenza del comunismo, suo sommo
capo mondiale venerato in tutto il movimento comunista
internazionale: con lo pseudoconcetto di “stalinismo” si
cercò di scagionare il comunismo (il marxismo e il leninismo ne erano l’anima) di ogni colpa, attribuendo i suoi
misfatti alla “personalità” malefica di Stalin. Operazione
mistificatoria che, grazie a una potente e collaudata macchina propagandistica, ebbe successo; e “antistalinisti”
divennero i dirigenti comunisti anche occidentali, da Thorez a Togliatti, che del “grande dittatore” sovietico erano
stati i fedelissimi.
Ancora una volta, perché questa riflessione? Per il
fatto che nella Russia d’oggi, a vent’anni dal crollo dell’Unione Sovietica e a più di cinquanta dalla relazione se-
Russia
Il fantasma del Terzo Stalin
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razione, sia poi nella sua conduzione e infine nel dopoguerra. Nell’ideologia brezhneviana si creava un’immagine “politicamente corretta”, ma storicamente falsificata
di tale guerra, facendola diventare il sostegno della rinnovata ideologia marxista-leninista che ormai faceva acqua
da tutte le parti e minacciava di naufragare (come di fatto
avvenne pochi anni più tardi, quando finì la bonaccia e i
marosi assalirono il vascello).
Quando, finito il lungo interregno brezhneviano-andropoviano-cernenkiano, il timone fu preso dal baldanzoso Gorbaciov, l’antistalinismo riprese forza nella convinzione che, liberatasi dalla zavorra staliniana, l’Unione Sovietica e il movimento comunista mondiale avrebbero ripreso la loro navigazione verso lidi non ben precisati, ma
greta chruscioviana, il mito di Stalin è rinato e il suo fanindubbiamente “rivoluzionari”. Come andarono le cose è
tasma vaga nella mente di molti. Si dirà che tale mito non
noto. L’antistalinismo, ormai diventato
era mai morto e che il colpo infertogli
antileninismo, conobbe una nuova staufficialmente da Chrusciov lo aveva
gione sotto l’egida dell’ex comunista disoltanto tramortito, tanto più che, una
The growing myth of Stalin in
ventato anticomunista (ma pur sempre
volta defenestrato il velleitario dissacratore di Stalin, i suoi successori, a Russia is due to the corrupted “figlio” del suo tempo e del suo ambiente) Boris Eltsin: ormai, dopo che la cenpartire da Brezhnev, congelarono quel
heritage of the soviet era.
sura
era venuto meno e gli archivi si emito, avendo capito che la sua distruWhat the country needs,
rano (in parte) aperti, l’antistalinismo
zione, tentata da Chrusciov, era stata unowadays, is a third
chruscioviano sembrava un balbettio inna mossa avventata che metteva in pedestalinization (after
fantile: tutto il sistema nato nell’ottobre
ricolo tutto 1’Olimpo comunista. La
Chrushev’s and Gorbaciov’s).
1917, la sua storia e la sua stessa preisto“stagnazione” brezhneviana non fece
tornare il cadavere di Stalin nel Mau- But who will carry out such an ria marxiana, venne travolto da una documentata critica radicale (per un approsoleo sulla Piazza rossa, accanto alla
achievement?
fondimento di questi temi, come di altri
mummia di Lenin, da dove lo aveva
collegati, non posso che rimandare al
sloggiato Chrusciov, ma restaurò parmio libro “Lenin, Stalin, Putin. Studi su
zialmente la sua immagine nell’ambito
co
munismo
e
postcomunismo”,
edito da Rubbettino).
di quella esaltazione della Grande guerra patriottica che
Le cose cambiarono quando Eltsin, a causa del suo
con Brezhnev divenne un fulcro dell’ideologia ufficiale:
stato di salute e di una reputazione ormai traballante, decome Condottiero di quella guerra Stalin non poteva non
cise di autogiubilarsi. Commise allora quello che alcuni
risuscitare dall’oblio, anzi dall’obbrobrio. Si dirà che la
considerano il suo secondo maggior errore (l’altro era staGrande guerra patriottica, alias Seconda guerra mondiale,
to la guerra cecena, non solo persa, ma anche avventata):
è stata tutt’altro che un mito e che tale non è stata la vitscegliersi come successore un ex collaboratore dei servitoria sovietica sull’invasore nazista sotto la guida di Stazi segreti, Vladimir Putin, in passato collaboratore dell’ex
lin. Ovvia osservazione, che però ignora la complessità e
sindaco democratico di San Pietroburgo Anatolij Sobl’ambiguità di tale guerra e il ruolo che in essa svolse Staciak. Anche chi considera quella designazione un errore,
lin sia negli anni che la precedettero, sia nella sua prepa-
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deve riconoscere che l’allora semisconosciuto Vladimir
Putin, una volta giunto al vertice del potere, cambiò rispetto a quello che sembrava, del che fece a tempo a dolersi lo stesso Eltsin, e divenne il Putin autocratico che conosciamo.
L’ideologia del nuovo Presidente non era quella di una impossibile “restaurazione” sovietica, ma quella di una continuità con tutta la storia precedente russa, presovietica e sovietica, in nome di una nuova Russia dal potere fortemente centralizzato, da Putin stesso impersonato,
capace di risollevarsi dalla “catastrofe” del 1991 e di riacquistare un posto, se non più di superpotenza, di potenza
più o meno grande sulla scena internazionale. Simbolica
fu la sua scelta del nuovo inno nazionale russo, che nella
musica (con un testo ovviamente aggiornato) era quello
sovietico voluto da Stalin e che prima era stato l’inno del
Partito comunista (bolscevico): era un segno della “continuità” ininterrotta con la storia sovietica, un segno che
provocò la protesta dei democratici russi che si battevano
per un distacco dal passato comunista. Non che Putin fosse “comunista”, ma era rimasto, per così dire, “sovietico”
nello spirito di un nazionalismo russo che non era disposto a sacrificare la grandezza del periodo staliniano, anche se non ne ignorava gli aspetti più criminosi, anzi ne
denunciava i più clamorosi, come nel caso del massacro
di Katyn.
Un altro importante momento della nuova ideologia
putiniana fu la ripresa, anzi l’accentuazione del mito della
Grande guerra patriottica, del mito, non della sua realtà
complessa e tragica, un mito che serviva e rinvigoriva il
patriottismo neorusso in funzione antioccidentale, in contrasto con gli storici che con la loro libera ricerca, senza
affatto sminuire l’eroismo dei combattenti sovietici, mettevano in luce l’altra faccia di questa guerra, quella oscura e criminosa staliniana, e così smascheravano l’”antifascismo” ufficiale comunista di cui il Gulag era un simbolo, un “antifascismo” totalitario simile al fascismo cui si
opponeva (il grande romanzo di Vasilij Grossman Vita e
destino è un forte smascheramento di questa ideologia).
È comprensibile che in questa atmosfera il mito o, se
si vuole il fantasma di Stalin tornasse in terra russa con
rinnovato vigore, ma in una veste diversa rispetto allo
Stalin “storico”, capo riconosciuto e venerato dal comunismo mondiale. Si tratta di uno Stalin “russo”, dittatore
potente, instauratore dell’ordine, condottiero trionfante,
“manager” geniale, come è stato di recente definito, che
ha fatto della Russia, identificata dai nazionalisti con
1’Urss, una superpotenza (per di più nucleare) temuta e
rispettata nel mondo intero: mai la Russia era giunta a una
tale sommità di forza e prestigio. Per di più, rispetto all’attuale stratificazione sociale così divaricata tra superricchi e superpoveri, il livellamento del periodo staliniano, per quanto vicino a un pauperismo di massa con una
relativamente ristretta élite privilegiata, sembra una
forma di giustizia, oltre che di ordine, a chi dimentica o
ignora di quanto sangue grondasse quel “paradiso” e
soprattutto su quali basi instabili e, come poi divenne evidente, putride si fondasse quella tronfia stabilità.
La nuova ideologia non crea esplicitamente, ma favorisce questa mentalità e non c’è da stupirsi se, entrando in
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una grande libreria di Mosca, si trovano decine e decine
di volumi di tendenza filostaliniana e in una recente trasmissione televisiva, che faceva del suo vasto pubblico la
giuria di un concorso per nominare il personaggio storico
russo più rappresentativo e popolare, al secondo posto fu
proclamato Stalin; ma si dice che i votanti a Stalin avessero assegnato il primo posto, spaventando gli organizzatori della trasmissione che lo retrocessero al secondo, Vittorio Strada
dando il primato al Principe Aleksandr Nato a Milano nel 1929. Slavista, profesNevskij, che molti ricorderanno per il sore ordinario di Lingua e letteratura
russa all’Università Ca’ Foscari di
film di Sergej Eisenstein che lo celebrò
Venezia, è uno dei più autorevoli studioin chiave nazionalistico-sovietico-stasi ed esperti del pianeta Federazione
liniana.
Russa-Paesi della C.S.I. Ha diretto per
Questo ritorno di Stalin ha preoc- anni l’Istituto Italiano di Cultura a Mosca.
cupato una parte del gruppo dirigente Ha ideato la Storia della letteratura russa
russo. Nel febbraio di quest’anno una in sette volumi edita parzialmente da
commissione per i problemi storici Einaudi e integralmente, in Francia, da corruzione il fulcro della vita collettiva?
presso la Presidenza della Federazione Fayard e fondato la rivista di studi stori- Stalin, mitico dittatore ora non più corussa ha proposto al presidente Med- co-culturali “Rossija/Russia”, ora pubbli- munista, ma russo, che personifica la
vedev un documento intitolato “Sulla cata a Mosca.
Vittoria, la Patria salvata dal nemico eperpetuazione della memoria delle vitsterno e interno, il Capo di stato che ha
time del regime totalitario e sulla congarantito l’ordine e la potenza, l’Uomo
ciliazione nazionale”, documento che ha assunto la denoche ha dato al popolo un ideale luminoso di giustizia e al
minazione non ufficiale di “Programma di destalinizzamondo una prospettiva radiosa di unità, ha fatto pagare il
zione”. In effetti, se Medvedev di recente ha fatto della
suo trionfo con un’ecatombe senza uguali, ma, come dice
modernizzazione non solo tecnologica della Russia la paun proverbio russo usato in chiave staliniana, “quando si
rola d’ordine della sua politica, la conservazione, anzi la
taglia il bosco, volano le schegge”, che equivale al più
resurrezione del mito di Stalin come modello di una Rusprosaico proverbio: “non si può fare la frittata senza romsia ordinata e forte costituisce un anacronismo assurdo e
pere le uova”. Quante “uova” sono state rotte è persino
pericoloso. Ma come si può attuare questa nuova “destaimpossibile calcolarlo, a differenza della cifra dei sei milinizzazione”, paradossale a tanta distanza delle precelioni di ebrei massacrati dall’altro “grande dittatore” rivadenti (chruscioviana e gorbacioviana), quando l’ombra di
le di Stalin, Hitler: si parla di decine di milioni di vittime,
Stalin ha una presenza così forte nel neonazionalismo sia
milione più, milione meno.
comunista sia anticomunista, nell’antioccidentalismo e
Ma il fatto è che la frittata, nonostante tanto dispendio
antiamericanismo ampiamente diffusi, nel risentimento
di uova, non è riuscita e il comunismo ha subito una maverso i “traditori” (tra cui è messo persino Gorbaciov!)
dornale bancarotta, da ultimo fraudolenta. La stalinomache hanno tramato il crollo dell’Urss, nell’assenza di una
nia russa d’oggi non è che una delle conseguenze di quementalità liberale, nella ripresa di un clericalismo che fa
sta bancarotta, poiché il comunismo non ha distrutto solda sostegno allo statalismo (e viceversa), nel marasma
tanto milioni di corpi, ma ha corrotto ancora più anime,
morale di una società spietata che fa del danaro e della
menti, coscienze. E non in Russia soltanto.
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Russia
Il caso degli storici di Arcangelo
e i suoi riflessi sulla ricerca in Russia
D
Marco Clementi
a quando, il 18 ottobre 1991, il parlamento dell’ancora Federazione Russa Sovietica emanò la legge sulla
riabilitazione, i parenti delle vittime delle repressioni eseguite durante gli anni del comunismo hanno il diritto di
consultare gli archivi riservati del ministero degli Interni
per cercare la documentazione che riguarda direttamente
Nadeïda Ǐalygina, cominciò a vagliare il materiale.
le loro famiglie. Si tratta degli atti contenenti le misure reQuando, verso la fine dell’estate 2009, la prima parte
pressive, le autobiografie delle persone arrestate, fotogradel libro era quasi terminata, la Procura della regione di
fie e materiale filmato.
Archangel’sk iscrisse Dudarev e Suprun nel registro degli
Con la dissoluzione dell’Unione, alla fine di quello
indagati: il primo fu accusato di aver violato l’articolo
stesso anno, in Russia e in altre ex Repubbliche Sovieti286 del Codice penale russo, ossia di aver svolto mansioche sia lo Stato, sia organizzazioni non governative, dopo
ni che esulavano le proprie competenze, recando con ciò
attente ricerche hanno prodotto una grande quantità dei
danno allo Stato e alla società. Il secondo, di aver violato
cosiddetti Libri della memoria, in modo da agevolare la
l’articolo 137 per aver raccolto informazioni riservate su
ricerca dei parenti delle vittime. Si tratta di testi riguarpersone private, senza il loro consenso. L’intero archivio
danti una specifica regione del paese e, a volte, differenti
di Suprun venne sequestrato, compresa la documentaziocategorie di persone represse (vittime del grande terrore,
ne proveniente da istituzioni straniere, in particolare stapopolazioni deportate per motivi etnici, kulaki). Soltanto
tunitensi.
per la regione di Arkangel’sk, a Nord-Ovest di San PieLa Procura non agì spontaneamente, ma sulla base di
troburgo, ne sono già stati pubblicati
una denuncia di parenti di cittadini somolti, di cui sette sui cittadini sovietici
vietici di origine tedesca, a suo tempo
The difficulties to examinate
di etnia polacca.
repressi e poi riabilitati. Non si sa quali
Il centro di documentazione più the archives, and the problem motivi abbiano spinto queste persone,
importante per lo studio delle repres- of free access to former soviet tutte appartenenti a una stessa famiglia,
sioni avvenute nella regione di Ara rivolgersi ai giudici, ma il fatto ebbe
institutions, illustrates the
kangel’sk è l’archivio locale della Digrande eco tanto in Russia quanto alincreasing doubts about the
rezione del ministero degli Interni
l’estero, per le sue chiare implicazioni.
future
devolopements
of
the
(UVD), diretto fino al 2007 dal colonFu interpretato, infatti, come un preciso
“guided democracy”
nello Aleksandr Vasil’evic Dudarev.
attacco alla libertà di ricerca e un segnaProprio quell’anno lo storico Michail
le per quanti, sia nelle Università, sia
(according to Putin’s
Nikolaevic Suprun, direttore del Diparnelle Organizzazioni non Governative,
definition)
timento di Storia della Russia presso
si stavano occupando di repressioni stal’Università Statale “Pomorskij”, si riliniane.
volse al Centro di documentazione riservato dell’UVD
La maggiore Ong russa che svolge ricerche sul periocon la proposta di redigere un Libro della memoria sui
do più cruento del regime comunista sovietico, Memorial,
cittadini sovietici d’origine tedesca (i cosiddetti “etnici”),
si occupò immediatamente della questione. Fu, in particodeportati in quella zona tra il 1945 e il 1956. La ricerca
lare, la sede di San Pietroburgo a sostenere che se il proera finanziata dalla Croce Rossa tedesca, che aveva firfessor Dudarev aveva commesso un reato penale pubblimato un accordo di collaborazione con l’Università. Ducando dati personali di vittime dello stalinismo, Memodarev offrì piena collaborazione e una dottoranda,
rial, impegnato da due decenni in tale attività, reiterava lo
Russia
Il caso degli storici di Arcangelo
e i suoi riflessi sulla ricerca in Russia
stesso reato sistematicamente. Inoltre, in un documento
diffuso in difesa dei due indagati, si faceva notare come
l’articolo 18 della legge sulla riabilitazione sostenesse
proprio che le liste delle persone riabilitate, con i dati biografici e l’accusa per la quale erano state arrestate, dovevano essere pubblicate periodicamente dagli organi di
informazione.
Mentre il maggiore giornale di opposizione, la “Novaja Gazeta”, foglio per il quale scriveva Anna Politkovskaja, intervenne con alcuni articoli a sostegno di questa tesi, giornali locali filo-governativi elogiarono l’azione della Procura, ponendo al centro della propria riflessione il danno eventuale che sarebbe potuto venire alla Russia dalla diffusione, all’estero, di dati sulle repressioni. La mobilitazione interna e internazionale fece pressione agli inquirenti di Archangel’sk e l’intero caso fu trasferito per competenza al Tribunale della Circoscrizione
del Nord-Ovest, con sede a San Pietroburgo. La speranza
che sulle rive della Neva il caso fosse rapidamente chiuso fu presto delusa; le indagini proseguirono e la loro conclusione subì diversi rinvii, fino al 13 febbraio 2011. Il 18
febbraio 2011, quindi, il Tribunale di Pietroburgo ha respinto l’istanza dei due indagati, con la quale si chiedeva
di riconoscere illegali le indagini nei loro confronti.
La situazione al momento si trova in una fase di stallo e i segnali legati alla vicenda sono contraddittori. Da una parte, infatti, il 30 ottobre 2009, in occasione del giorno della memoria delle vittime del terrore, il Presidente
russo Dmitrij Medvedev dichiarò che la ricerca storica
doveva andare avanti, elogiando le organizzazioni impegnate; alla fine del 2010, poi, lo stesso ha lanciato una
campagna per la “destalinizzazione” del paese, trovando
sostegno da parte dell’opinone pubblica (la “Novaja Gazeta” del 23 maggio 2011 ha pubblicato un dettagliato
sondaggio al riguardo). Dall’altra, però, non ha mai pronunciato una parola specifica sul caso di Archangel’sk, né
risposto all’appello in favore di Dudarev e Suprun dell’allora responsabile nazionale degli archivi della Stasi, Marianne Birthler (2010), mentre la ricerca sugli anni dello
stalinismo ha subito dei contraccolpi.
È il caso dello storico Ivan Džucha, che per anni si è
occupato del destino della popolazione di origine greca
10
samizdat
repressa tra il 1930 e il 1950. Dal 2004 egli coordina un
progetto di ricerca dell’Associazione delle unioni sociali
greche della Russia, dal 2007 affiancato dal Consiglio
mondiale dei greci all’estero. Džucha è autore di quattro
libri sui greci repressi dal 1930 al 1950 (dekulakizzati,
arrestati o uccisi durante il grande terrore, deportati negli
anni Quaranta): il primo si intitola “Operazione greca” e
riguarda il 1937-1938, quando furono arrestati 17.000
greci, di cui il 90% fucilati; il secondo “Convogli speciali vanno all’Est”, sulla deportazione in Kazachistan,
Uzbekistan, Siberia e Urali di 63.000 persone nel corso
degli anni Quaranta; il terzo, “Scrivo con parole mie”, riguarda le lettere dei greci dai lager e l’ultimo, “Via dal
Partenone verso Magadan”, il destino dei prigionieri di
Kolyma. Nel corso della sua attività, accanto alla documentazione riservata, Džucha ha rinvenuto materiale
fotografico e cinematografico, e si è occupato della ricerca dei luoghi in cui presumibilmente furono fucilate e sepolte le vittime. Il canale televisivo greco “Mega” ha girato un documentario sulla base del primo libro, documentario trasmesso in patria con successo. Il tema, dimenticato ad Atene, ha suscitato molto stupore.
La lunga ricerca ha prodotto un corposo archivio,
decine di migliaia di documenti, che Džucha ha stipato
nella propria abitazione; egli ha anche messo in rete un
sito, www.greek-martirolog.ru, molto visitato dai parenti
delle persone uccise in quegli anni.
Nel marzo 2010, però, per la prima volta dopo anni di
lavoro, egli si è visto negare l’accesso alla documentazione conservata presso l’archivio del ministero degli Interni
di Magadan riguardante i greci detenuti alla Kolyma.
A questo punto, mentre la vicenda degli storici di
Archangel’sk è ancora aperta, è possibile allargare il discorso sullo stato degli archivi in Russia e fare alcune
riflessioni sulla ricerca nel paese.
Dopo la rivoluzione archivistica del 1991, quando u-
Russia
Il caso degli storici di Arcangelo
e i suoi riflessi sulla ricerca in Russia
11
samizdat
na grandissima quantità di materiale segreto venne messo
a disposizione dei ricercatori, una serie di progressive restrizioni ha condizionato l’accesso degli storici agli archivi. In particolare, una commissione governativa si riunisce ogni sei mesi per aprire, o chiudere, interi fondi.
Difficile è comprendere la logica con la quale lavora questa commissione. Può, infatti, accadere che fondi tenuti aperti per anni siano improvvisamente chiusi, e viceversa.
Ciò non significa che non esista la possibilità di accesso o di ricerca: sia l’arMarco Clementi
dizione per ora irrisolvibile: da un lato,
chivio storico di Stato, sia quello dello
nato a Roma il 25 agosto 1965, è
infatti, è ben presente negli insegnanti la
Stato maggiore dell’esercito, per esemuno storico e ricercatore italiano,
coscienza dei danni prodotti al paese
pio, sono in genere molto accessibili.
specializzato in storia dell’Europa
dalla politica repressiva, ma dall’altro i
Più problematico è, invece, l’approccio
Orientale.
risultati dell’industrializzazione e, soche si ha nell’ex archivio del Partito
È membro della ONG russa “Memoprattutto, la vittoria nella Seconda guerComunista e in quello del Comintern,
rial” di San Pietroburgo, per la quale
ra mondiale condizionano la lettura di
così come può accadere di trovare diffiha svolto attività di ricerca e archiviquegli anni.
coltà di consultazione in archivi regiostica e di “Memorial Italia”.
Migliore è la situazione nelle uninali o locali. Altro è il discorso per
Dal 2006 è ricercatore di Storia delversità,
dove da tempo il tema dello staquanto riguarda i cosiddetti “archivi di
l’Europa Orientale presso la Facoltà
linismo non è più considerato un tabù.
servizio”, come quello degli Esteri o
di Scienze Politiche dell’Università
Nel 1991 vennero sciolti ovunque i didella Presidenza della Repubblica. Il
della Calabria.
partimenti di Storia del Pcus e da allora
contatto avviene in forma scritta e l’actesi di laurea e di dottorato dedicate a
cesso è condizionato dal tema della riquesto argomento sono aumentate in modo sensibile.
cerca e dalla documentazione eventualmente disponibile
In conclusione si può affermare che oggi in Russia la
per i ricercatori.
ricerca storica non è in crisi, ma sta attraversando un moL’associazione Memorial, con le sue sedi sparse per la
mento di passaggio che potrebbe essere legato ai mutaRussia, e il Centro Sacharov a Mosca suppliscono in qualmenti in corso nel Paese (le vicende sopra tracciate hanno
che modo alle difficoltà che si possono incontrare negli
inevitabili riflessi internazionali e questo può aver influiarchivi statali grazie ai propri, che sono ricchissimi di
to sulla loro dinamica). La figura di Putin, fautore della
documentazione riguardante gli anni dello stalinismo, il
cosiddetta “democrazia sovrana”, ossia guidata, è sempre
disgelo, il dissenso, la guerra in Afganistan e quella in Cemolto popolare, ma altrettanto è quella di Medvedev, che
cenia. In rete, inoltre, è possibile consultare in russo, insembra volersi distinguere dal suo Primo ministro per una
glese e tedesco il “Museo virtuale del GULag”, che raccovisione più moderna dello Stato. Nel marzo del prossimo
glie in forma elettronica le esposizioni degli archivi locali.
anno si terranno le elezioni presidenziali. Allora il destiPassando dalla ricerca alla sua applicazione nel paese,
no del paese sarà più chiaro per tutti.
alcune parole vanno spese sui libri di testo per le scuole e
sulla situazione nelle università. A differenza di quanto accadeva in Unione Sovietica, non esiste oggi in Russia un
testo unico di storia. Ogni scuola sceglie liberamente il
proprio manuale di riferimento. Uno dei nodi è l’interpretazione del periodo staliniano, che è foriera di una contrad-
12
samizdat
Croazia
Spalato, dopo il gay pride
incombe lo spettro dei Balcani
S
Dario Saftich
e il buon giorno si vede dal mattino, c’è di che essere
preoccupati. Il giorno dopo il via libera della Commissione europea alla conclusione dei negoziati di adesione e
quindi all’ingresso della Croazia in Europa e a una settimana dalla visita di Papa Benedetto XVI a Zagabria, tutti
i fiumi di retorica sparsi a piene mani sui valori della tolleranza, sull’ecumenismo, sull’apertura agli Altri, sono
ve per secoli si sono fronteggiate le grandi religioni, cattostati spazzati via da un’ondata gelida di realtà. Proprio
lica, ortodossa e islamica. Altri analisti non si sono spinti
mentre Roma accoglieva molte centinaia di migliaia di
così “in profondità”: hanno evidenziato semmai il carattepartecipanti all’Europride, a Spalato la prima edizione del
re “municipale” di quell’ondata di violenze, un carattere
Gay Pride è stata contrassegnata da un’esplosione di viotipicamente medievale, dove ai vecchi scontri tra “contralenze contro i partecipanti alla manifestazione dell’orgode” ne sono succeduti di nuovi. In altre parole non sarebglio omosessuale. Il capoluogo della Dalmazia ha messo
be importante chi sia il bersaglio di cotanta ira popolare,
in mostra una faccia diversa della Croazia rispetto a quelquello che conta è che ci sia un bersaglio, un Altro contro
la ufficiale, sicuramente minoritaria, ma non per questo
cui sfogare le proprie frustrazioni. Eh sì, perché secondo
meno preoccupante sia per i croati che per il resto delquesta chiave di lettura proprio di frustrazioni si tratterebl’Europa.
be, di quelle dei giovani senza prospettive, che vivono
Le spiegazioni si sono sprecate. Le
negli appartamenti dei loro genitori
prime valutazioni a livello internaziocostruiti alla periferia di Spalato all’enale di quell’improvvisa esplosione di
poca del comunismo, e che ora faticano
intolleranza, dopo le tante belle e vane
a ritrovarsi nella società capitalistica. Il
Violence committed against
parole dei giorni precedenti, sono state
giornalista Jurica Paviãiç, spalatino, ha
the recent Gay Pride in Split
piuttosto scontate, nel segno dei luoghi
scritto: “Spalato è sicuramente già da un
proves the existence of anticomuni. Si è parlato della Croazia condecennio e mezzo la Dresda croata o una
democratic forces in Croatia
servatrice, di una società baluardo del
variante dell’Inghilterra del Nord degli
cattolicesimo. I buoni conoscitori della
and social uneasiness.
anni Ottanta: una Città, nella quale la
realtà dalmata non si sono lasciati insubcultura fascista è uscita dalle rovine
fluenzare troppo da questi giudizi afdella classe industriale, operaia”…
frettati. Hanno fatto presente che il catMa vi è un’ennesima possibile spietolicesimo dei croati è più che altro formale, un cattolicegazione: quella dello “spirito d’emulazione” balcanico.
simo di frontiera dove la religione è un segno di identità,
Un anno fa il Gay Pride a Belgrado è stato caratterizzato
un modo per differenziarsi dagli Altri, di fede diversa.
pure da violenze, da scontri tra dimostranti antigay e poliHanno semmai sottolineato che nel capoluogo della Dalzia. E in un ambiente che sarebbe segnato ancora dal
mazia dopo la Seconda guerra mondiale c’è stato un forte
“machismo” balcanico, gli spalatini non avrebbero voluinurbamento, per cui la città è diventata la “capitale”, un
to essere secondi a nessuno, men che meno agli… aborricentro di attrazione e di immigrazione da un entroterra
ti belgradesi.
molto vasto che raggiunge a tratti l’Erzegovina e la BoI politici, dopo questo “bagno di realtà”, hanno cercasnia centrale. Pertanto ai valori della tolleranza tipici delto di salvare il salvabile agli occhi dell’Unione europea:
l’area mediterranea si sarebbero sovrapposti i caratteri
le condanne si sono sprecate. Dura è stata subito la reasanguigni delle genti delle montagne, di un retroterra dozione del capo dello Stato Ivo Josipoviç. Si è detto con-
Croazia
Spalato, dopo il gay pride
incombe lo spettro dei Balcani
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samizdat
vinto che questa non è la vera faccia della Croazia. Anche
la premier Kosor ha condannato qualsiasi violenza contro
qualsiasi persona. Le vicende di Spalato, ha detto, hanno
dimostrato fino a che punto si può arrivare con le violenze e l’odio e questo in Croazia non si può tollerare. La
premier ha ricordato i valori costituzionali che vietano ogni forma di discriminazione. La direttrice di Amnesty International per l’Europa e Asia centrale, Nicola Duckworth, ha dichiarato che “è vergognoso che la polizia abbia fallito nel proteggere in modo adeguato i partecipanti
della manifestazione”. L’associazione dei giornalisti si è
detta scioccata per le violenze a Spalato e ritiene che ne
sia responsabile la polizia. Tra le persone ferite, raggiunto da una grande pietra lanciatagli in testa, è stato il cameraman della televisione RTL di Spalato, ma sono stati feriti meno gravemente anche giornalisti dell’agenzia di
stampa croata Hina e fotografi dell’agenzia Pixsell.
Tornando al presidente Ivo Josipoviç, c’è da dire che
egli ha posto una domanda rimasta ancora senza risposta:
“Bisognerà chiarire come mai è esistito un raduno parallelo, senza essere annunciato. Si dovrà rispondere su come
mai un tasso così alto di organizzazione sia stato raggiunto senza che nessuno degli organi statali competenti sapesche continua a ribollire nell’entroterra di Spalato.
se di questa organizzazione e che cosa succedeva”.
I gay e le lesbiche null’altro sono stati se non dei capri
Eh sì, perché contro i 200 partecipanti alla sfilata del
espiatori,
prima di loro e dopo di loro c’erano e potrebbeGay Pride hanno manifestato cinquemila giovani, piazzaro
essercene
altri. Non per niente l’ambasciatore olandeti in punti strategici, con un “folclore” tipico dei raduni
se in Croazia, Stella Ronner-Grubaãiç, commentando le
nel segno dell’etnocentrismo degli anni Novanta. Una
vicende del gay pride a Spalato ha rilevato l’esigenza di
contromanifestazione, dunque, che sembrava bene orgaun monitoraggio dei processi delle riforme in Croazia
nizzata e che non può non essere letta anche in chiave eanche dopo la conclusione dei negoziati fino al momento
lettorale, se consideriamo che le elezioni politiche dodell’ingresso della Croazia nella Ue. Ha sottolineato che
vrebbero svolgersi entro la fine dell’anno.
le vicende come quella di Spalato dimostrano che il
Qualcuno ha anche parlato di prove generali di orgamonitoraggio sia necessario, affinché si possa essere certi
nizzazione di formazioni paramilitari. Di fenomeni già
che le riforme iniziate dal governo croato siano sostenibivisti in giro per l’Europa nel passato, anche quello preceli e senza via di ritorno. E la richiesta di Stella Ronnerdente alla Seconda guerra mondiale. Di tutte le possibili
Grubaãiç ha fatto breccia in parecchi ambienti europei,
spiegazioni del fenomeno date più sopra, probabilmente,
per cui le scene di guerriglia urbana spalatine avranno
nessuna basta da sola a spiegare quanto è successo. C’è
ricadute anche internazionali per la Croazia.
un pizzico di verità in tutte. Il disagio
sociale è presente, le animosità etniche
non sono sparite, la contrapposizione poDario Saftich
litica rimane forte, e – quel che più congiornalista e redattore
ta – non sono stati spenti definitivamente
della “Voce del Popolo di
i focolai di instabilità nell’Europa sudoFiume”.
rientale, a iniziare dal calderone bosniaco
14
samizdat
Bielorussia
Dopo la lunga notte polare russa le
braci della rinascita si sono riaccese
Valerij Bujval
D
opo il crollo dell’impero sovietico, avvenuto nel
1991, il mondo ha assisitito all’affermazione di un quadro
statale assolutamente nuovo, al posto del colosso chiamato Urss. Anche lasciando da parte gli stati indipendenti
apparsi nell’Asia Centrale e nel Caucaso, si deve constatare che la maggior parte degli osservatori europei sono
rimasti sorpresi dall’apparizione dei quasi “esotici” Stati,
collocati propriamente nel centro dell’Europa.
Certo, le repubbliche baltiche erano conosciute da molti
già prima del collasso sovietico, ma due altri nuovi membri della famiglia europea parevano essere “caduti dal
cielo”, improvvisamente e inaspettatamente. L’Ucraina –
il nuovo gigante del continente – era quasi totalmente
sconosciuta al mondo esterno. La Bielorussia, già nel
nome suonava esotica agli europei. Poche persone
all’estero conoscono qualcosa della vita politica, culturale e della storia di queste “nuove nazioni”. Oppressi dall’impero russo durante centinaia d’anni, di fatto queste
nazioni erano scomparse dall’orizzonte dell’umanità.
Eppure durante l’occupazione russa hanno continuato –
nonostante tutto – a vivere, ad agire, a creare, a resistere
sotto il pesante giogo dell’impero, e così è stato possibile, per loro, riuscire a sopravvivere e tornare a far parte
della grande famiglia delle nazioni europee.
Si potrebbe comparare l’apparizione delle “nuove
nazioni” nell’Europa dell’Est con la valanga della decolonizzazione nell’Africa degli anni ’60. Però sussiste una
differenza importante tra questi due processi nella creazione dei nuovi Stati. Tutti gli stati post-sovietici sono
stati fondati da nazioni cosiddette storiche, che avevano
già svolto un ruolo importante nella storia e nella cultura
dell’umanità. Dunque hanno rappresentato un livello
notevolmente più alto di civiltà storica rispetto alle varie
tribù africane (tranne alcune eccezioni). L’unica coincidenza con i nuovi paesi africani postcoloniali era questa:
i colonialisti russi (in molti casi Lenin e Stalin personalmente) tracciavano i confini delle provincie (delle repubbliche) sovietiche senza rispettare i confini storici delle
etnie e degli stati nazionali. In questo modo gli occupanti hanno provocato innumerevoli conflitti ed ingiustizie.
Che cosa sapevano il mondo e l’Europa dei bielorussi prima del 1991? Tranne pochi specialisti di etnologia e di linguistica, nessuno ha mai sentito pronunciare
il nome del nostro paese e del nostro popolo. Per l’Europa
tutte le nazioni post-sovietiche erano per definizione
“russe”. Eppure si deve sottolineare che la nostra cultura
è più antica e ricca (persino nel senso classico) della cultura degli occupanti russi del nostro paese. In tutti i periodi della storia l’impero ha fatto di tutto per annientare la
nostra cultura e la nostra lingua (nello stesso tempo approfittando delle ricchezze della nostra civiltà). Nel XIX
secolo gli occupanti erano così sicuri del loro dominio
che hanno deciso di vibrare il colpo di grazia alla nostra
nazione europea. Nel 1840 lo zar russo ha vietato persino
di usare il nome del nostro pese, “Belarus”, nonché di
parlare in bielorusso e stampare i libri in bielorusso. Le
élites nazionali sono state annientate ed esiliate dopo le
sconfitte nelle guerre napoleoniche e dopo due insurrezioni nazionali (1830-31, 1863-64). La lingua russa ha
dominato nelle città, per cui il bielorusso esisteva come la
lingua dei contadini, “del popolo semplice”.
Però già nel 1891 il fondatore della letteratura bielorussa moderna, Franciscak Bahuscevic (1840-1900) ha
lanciato il suo appello appassionato perché “non si abbandonasse la nostra lingua bielorussa, per non morire”. Da
questo appello è iniziata la rinascita della cultura e della
lingua bielorusse, il cammino verso la liberazione della
nostra nazione. Precisamente 100 anni dopo, nel 1991, la
Bielorussia è riapparsa definitivamente come stato indipendente. Durante l’occupazione i colonialisti russi
hanno cercato di presentare i bielorussi come parte inte-
Bielorussia
Dopo la lunga notte polare russa le
braci della rinascita si sono riaccese
15
samizdat
Turau è stato una delle persone più intelligenti e colte di
grante della “grande etnia russa”, priva di una propria
quell’epoca, conosceva la letteratura antica e la lingua
lingua e di una propria cultura. C’erano periodi nei quali
greca. È diventato vescovo ortodosso a Turau. Chiryla è
sembrava che gli occupanti fossero riusciti ad assimilastato anche il primo poeta bielorusso ed i suoi testi relire e a far tacere il nostro popolo (negli anni 1900 e negli
giosi rappresentano un autentico classico della nostra letanni 1970-80). Invece ci siamo rialzati per ricostruire la
teratura ortodossa. I vescovi ortodossi della Belarus erano
nostra casa nazionale.
subordinati al metropolita di Kiev, il quale a sua volta era
E ora? Si sta chiudendo un importante ciclo storico:
subordinato al patriarca di Costantinopoli. Come vedial’impero russo sta andando verso la sua disastrosa fine.
mo, “la Grande Russia” non aveva niente in comune con
Invece, la Bielorussia sta diventando parte della civiltà
questi processi culturali e religiosi in Bielorussia e
europea.
Ucraina.
La storia bielorussa può vantare undici secoli di civilAll’inizio dell’XI secolo, la Chiesa occidentale ha
tà cristiana. Il paese è stato l’arena d’incontro della civilfondato il primo vescovato nella Belarus. Tra il 1008 e il
tà occidentale e di quella orientale. I missionari della
1013, il principe di Turau Sviatapolk ha sposato la figlia
Chiesa romana arrivarono in Bielorussia già nel IX secodel re polacco Boleslav Hrobry. Il vescovo tedesco
lo. Il più famoso di loro era Thorvald il Viaggiatore, un
Reinbern era arrivato a Turau insieme con la principessa
missionario islandese che aveva fondato il monastero a
polacca e iniziato l’attività missionaria. Per molti secoli la
Polatsk nel X secolo. Sull’altro versante, i missionari
Bielorussia è stato il paese dove coesistevano (e coesistogreci hanno diffuso la tradizione bizantina. Orientandosi
no ancora!) “la Fede greca” (così i bielorussi chiamarono
a Costantinopoli (chiamato dagli slavi Zargrad - la Città
la tradizione ortodossa) e “la Fede latina” (la tradizione
dello Zar) i cristiani bielorussi hanno voluto continuare la
cattolica). Eppure non ha conosciuto le guerre di religiotradizione bizantina. I primi vescovi della Bielorussia erane, l’odio tra diverse confessioni, la persecuzione da parte
no i greci, mandati nel nostro paese dal patriarca di Codell’Inquisizione. I bielorussi sono rimasti aperti al monstantinopoli. La celeberrima cattedrale di Santa Sofia
do e al confronto delle diverse idee e culture, e questo è
(della Saggezza Divina), costruita nel VI secolo a Corimasto il fattore principale della nostra
stantinopoli, servì da modello per i
ricchezza spirituale e culturale.
nuovi centri principali della cultura criDagli inizi del XIV secolo in poi
stiana. Nell’XI secolo, l’una dopo l’alThe russian occupation of
i
principi
di Mosca hanno iniziato ad
tra, sono state costruite le tre cattedrali
Whiteruthenia through many
avanzare la pretesa di essere “i protettodi Santa Sofia a Kiev (1037), Novgocenturies, reviewed as a long
ri di tutte le persone di fede ortodossa”
rod (1050) e Polatsk (1044-66). Le
polar night
nel Grande Principato Lituano (come si
grandissime cattedrali con le cupole,
chiamava lo Stato bielorusso fino al
gli affreschi e i mosaici bizantini simXIX secolo; la lingua bielorussa era la
boleggiarono la vittoria della Croce e la
lingua statale e la lingua della cultura nel Grande
creazione dei fondamenti dei tre organismi statali che
Principato). Questo argomento “artificiale” era già stato
diventeranno nel futuro le basi delle tre grande nazioni
usato molte volte nel corso dei secoli per giustificare le
moderne: l’Ucraina, la Russia e la Bielorussia.
occupazioni della nostra terra da parte degli invasori moLe due stelle più splendenti nel cielo bieloruteno del
scoviti. Perfino in senso formale i russi non avevano nesMedio Evo sono stati i grandi istruttori della nazione:
sun diritto ecclesiastico su cui poggiare simili pretese. Il
santa Efrasinnia di Polatsk (c. 1101-1167) e san Chiryla
vero centro religioso della Chiesa ortodossa era Costantidi Turau (c. 1113-c. 1190). Per molti decenni santa Enopoli. Il Grande Principe Hedymin ha fondato una mefrasinnia ha tradotto dal greco in bielorusso antico e
tropoli bielorussa della Chiesa ortodossa a Navahradak
riscritto i libri ecclesiastici; ha fondato monasteri, scrittònel 1317 per garantire la sovranità religiosa del Grande
rii, botteghe di icone e scuole. Santa Efrasinnia è veneraPrincipato.
ta dai cristiani ortodossi e cattolici bielorussi. Chiryla di
Bielorussia
Dopo la lunga notte polare russa le
braci della rinascita si sono riaccese
“La frontiera tra il Grande Principato Lituano e il
Principato di Mosca rappresentava al tempo stesso la
frontiera tra due diversi sistemi politici, diverse civiltà e
diversi mondi, il mondo europeo della cultura e della
democrazia e il mondo orientale dispotico e tirannico”.
Così formulò il senso di questo conflitto il moderno politico e storico bielorusso Zianon Pazniak. Le élites del
Grande Principato avevano ampi diritti ed erano protette
dalle leggi. I Grandi Principi erano eletti dagli aristocratici, che costituirono fino al 12-13% della popolazione (l’aristocrazia era così numerosa solo nei regni della penisola Iberica). Le città bielorusse adottavano il diritto di
Magdeburgo (esistevano anche i “diritti bielorussi” delle
città). Mosca, invece, ha totalmente assimilato il sistema
politico dell’Orda tartara, che controllava i principati russi fino al 1480. Il principe (e dopo lo zar della Russia) era
l’unica autorità politica nel paese. Tutti i sudditi del principe erano chiamati “gli schiavi del monarca”. Gli aristocratici più potenti si rivolgevano al principe (allo zar),
chiamando se stessi “io, lo schiavo della Sua Maestà...”.
La volontà del despota non era soggetta a limitazioni da
parte di nessuno e di nessuna legge. Il prezzo della vita umana in Russia è sempre stato insignificante. L’Asia
dispotica, propriamente, ha sempre compreso la Russia di
Mosca.
La cultura bielorussa si è sviluppata invece secondo le
tendenze della grande cultura europea. La ricchissima e
internazionale cultura dell’Europa cattolica aveva ampi e
precisi confini. L’Irlanda nell’occidente, Spagna e Portogallo nel sud-ovest; dalla parte opposta la Bielorussia, a
costituire l’avamposto orientale della cultura europea. Per
i russi dunque la Bielorussia era da considerare un paese
occidentale e di natura completamente diversa. Del resto
in Russia non esistono monumenti di stile romanico e gotico, e neppure del Rinascimento. Solo negli ultimi anni
del XVII secolo gli architetti bielorussi hanno introdotto
le forme e i principi del barocco nel territorio della Russia
(il cosiddetto “barocco di Narysckin”, così denominato
da una potente famiglia aristocratica russa che ha introdotto “la moda occidentale” nell’impero esotico). Solo
nel XVIII secolo, ovvero dopo le riforme di Pietro I, la
cultura russa si è riorientata verso i modelli della cultura
europea, ma prima di quell’epoca l’architettura e la pittura russa si erano sempre basate sull’ideale bizantino.
L’influenza della tradizione bizantina nell’arte bielorussa era divenuta invece via via più debole già dal XIV
secolo. Ancora nei secoli XV-XVI i pittori delle icone
bielorusse dipingevano le loro opere secondo la maniera
greca ma, al tempo stesso, nella pittura bielorussa si sviluppava uno stile propriamente bielorusso, con gli ele-
16
samizdat
menti del realismo e una maggiore espressività. La
maniera rinascimentale dominò le opere dei pittori bielorussi nel XVI secolo, che si orientarono verso le tendenze della pittura italiana e tedesca, mentre Mosca ha continuato a trattare con diffidenza e astio tutte le manifestazioni della cultura e della tradizione ortodossa nella
Belarus.
Durante le ripetute invasioni, gli occupanti russi bruciarono migliaia di libri nelle librerie dei conventi ortodossi bielorussi, solo perché “questi libri scismatici” erano
scritti in bieloruteno. Gli occupanti hanno saccheggiato,
bruciato e distrutto le chiese ortodosse; torturato e ucciso
la popolazione di fede ortodossa. La tattica russa della
“terra bruciata”, insomma, è stata usata in tutto il territorio
della Bielorussia, senza rispettare “la fratellanza religiosa”.
Gli architetti bielorussi hanno elaborato un proprio
stile nella costruzione delle chiese ortodosse e cattoliche.
Non sono state costruite cupole in forma di “cipolla”, di
“casco militare” o “a calotta”, tipiche dell’architettura
ecclesiastica russa. Il tipo della chiesa-fortezza rappresenta il fenomeno più brillante dell’architettura medievale
bielorussa. La facciata gotica, i contrafforti, i soffitti gotici con pregevoli nervature determinano l’immagine di
questi edifici. La chiesa cattolica di S. Anna rappresenta
Bielorussia
Dopo la lunga notte polare russa le
braci della rinascita si sono riaccese
17
samizdat
ficate le leggi. Tre redazioni dello Statuto del Grande
il periodo tardo del cosiddetto “gotico fiammeggiante”,
Principato (1529, 1566 e 1588) rappresentarono una rivocaratterizzato da forme fini e fragili, molti effetti decoraluzione costituzionale senza precedenti nell’Europa di
tivi ed un grande dinamismo della composizione.
quel tempo. La maggior parte degli stati europei non aNapoleone Bonaparte, che visitò la chiesa durante l’invaveva ancora un codice di questo genere. Lo Statuto è un
sione nel 1812, disse: “Vorrei prendere questo gioiello sul
monumento non solo della giurisprudenza, ma anche delpalmo della mano e portarlo a Parigi”. In generale, la culla lingua bielorussa, nella quale è stato stampato. Il potetura bielorussa rappresenta la frontiera orientale della
re è stato diviso in legislativo, esecutivo e giudiziario. Il
grande, multinazionale cultura europea del Medio Evo,
potere del monarca era limitato dal Parlamento e dalla
del Rinascimento e dell’era moderna.
legge. Tutte le persone erano uguali davanti alla legge. Il
La figura più importante del Rinascimento bielopopolo bielorusso era chiamato dai contemporanei “la narusso è stato Frantsysk Skaryna (c. 1490-c. 1552). Questo
zione politica”.
grande bielorusso era nato a Polatsk dalla famiglia di un
Le idee della Riforma iniziarono a diffondersi in
mercante cattolico, e si era laureato all’università polacca
Bielorussia dalla metà del XVI secolo, grazie agli studendi Cracovia. Nel 1512 è stato proclamato dottore in mediti che tornarono dalle università europee e i coloni tedecina nell’università di Bologna. Il pittore Giacomo Forna
schi che abitavano nel Grande Principato. Negli anni
ha dipinto il ritratto del genio bielorusso tra le altre, famo1550-60, le comunità calviniste esistevano già nella magse personalità nel Palazzo del Bo dell’università (1942),
gior parte delle città bielorusse, per cui la maggior parte
allegando al dipinto l’iscrizione “Francesco Skoryna de
delle élites bielorusse divennero calviniste. Dopo il ConPoloczko. Ruteno. 1512”. Nella città ceca di Praga Skarycilio di Trento, la Controriforma iniziò anche nel Grande
na si è occupato di un’altra attività creativa (restando lonPrincipato. Il sinodo nella città polacca di Piotrkow accettano dalla patria, perché in quel periodo la Bielorussia era
tò i principi del Concilio di Trento per la
teatro di guerra durante l’invasione
Chiesa cattolica nella Polonia e nel
russa): ha tradotto la Bibbia in bieloruValerj Bujval
Grande Principato (1577), però già nel
teno e imparato l’arte del tipografo.
nato nel 1955, è professore di
1569 i gesuiti avevano iniziato la loro
Nel 1517 ha iniziato a stampare i 23
Storia dell’arte con specializzazione
missione nella Rutenia Bianca. Sotto la
libri della Bibbia in lingua bielorussa,
nella Storia dell’arte scandinava.
pressione della Controriforma, la magcon i suoi commenti. Erano i primi
Dissidente sin dai tempi dell’Unione
gior parte dei magnati e degli aristocratilibri stampati nella storia della cultura
Sovietica, più volte arrestato e conci si riconvertirono infine al cattolicesibielorussa. Le xilografie della Bibbia
dannato, è ancora dissidente sotto
mo, abbandonando il calvinismo. Nella
di Frantsysk Skaryna erano del resto
il regime di Lukashenko in BieloRussia non esistettero processi e cambiainfluenzate dalle opere grafiche del
russia. Membro di spicco del
menti simili a quelli avvenuti
famoso tedesco Albrecht Dürer. Si
Partito Conservatore Cristiano –
nell’Europa e in Belarus.
deve anche aggiungere che il primo
Fronte Popolare Bielorusso, da
Ancora, negli anni 1580-90 si
libro stampato in Russia è opera del
sempre all’opposizione è stato proverificarono
circostanze molto importanbielorusso Ivan Fedorov (Ian Fetagonista del boicottaggio elettorati per l’orientamento europeo della Biedarovic) e Piotr Mstsislavets a Mosca
le ai tempi del referendum voluto da
lorussia. Il patriarca di Costantinopoli
nel 1563-64. Le prime traduzioni della
Lukashenko per legittimare il suo
Geremia II (Bisanzio era occupato dai
terzo mandato presidenziale.
Bibbia in lingua russa erano state esePresidente sin dalla fondazione del
turchi ottomani) andò a Mosca e, sotto
guite solo nel XIX secolo.
Comitato
per
le
Libertà
“Alba
Ru
minaccia da parte delle élites russe, sancì
Nelle università europee stuthenia” è membro del Comitè de
praticamente la fondazione del patriarcadiarono migliaia di studenti bielorussi.
Patronage dei Comitati per le Lito ortodosso di Mosca (1589). Questa
In patria inoltre i giovani ricevettero
bertà. Vive a Minsk.
manovra rappresentò una tremenda viol’istruzione nelle scuole religiose, nei
lazione del diritto canonico, perché per la
collegi e nelle accademie. Il re e il
fondazione di un nuovo patriarcato era
Grande Principe Stefano Batory hanno
necessario l’accordo degli altri tre patriarchi ortodossi - di
consegnato al collegio di Vilnia i diritti dell’università nel
Alessandria, di Antiochia e di Gerusalemme. Perciò, si
1579 secondo la bolla di Papa Gregorio XIII: è nata allora
può dire che ancora oggi l’esistenza del patriarcato di
la prima università nell’Europa Orientale (la prima uniMosca rimane illegale secondo la legge ecclesiastica. I
versità in Russia è stata fondata solo nel 1755 a Mosca).
vescovi bielorussi e ucraini hanno colto il rischio della
Nel 1529, ancora, in Bielorussia sono state codi-
Bielorussia
Dopo la lunga notte polare russa le
braci della rinascita si sono riaccese
loro sottomissione al patriarcato di Mosca ed alcuni
vescovi ortodossi hanno firmato un accordo segreto sull’unione con Roma già nel 1590. Nel 1596, l’Unione
delle Chiese cattolica e ortodossa è stata proclamata nella
città bielorussa di Brest. Secondo l’accordo ufficiale, i
gerarchi ortodossi hanno riconosciuto l’autorità suprema
del Papa (questo patto ha così permesso di rifiutare le pretese di Mosca di “proteggere tutti gli ortodossi del Grande
Principato”). Il rito greco-bizantino rimaneva intatto.
Nella Bielorussia, durante il XVII secolo, la maggior
parte degli ortodossi ha accettato la sovranità della Chiesa
unita (greco-latina) che diventò una vera Chiesa nazionale del popolo bielorusso. Proprio nella Chiesa unita la lingua bielorussa era stata usata sempre in tutti i riti e nelle
prediche, tutti i libri ecclesiastici erano stampati in lingua
bielorutena. Questa Chiesa ha resistito alla polonizzazione (che dominò nella Chiesa cattolica) e alla russificazione (che col tempo iniziò a dominare nella Chiesa ortodossa) fino alla metà del XIX secolo.
Negli anni 1772-95, la Russia, la Prussia e l’Austria
hanno diviso tra di loro il territorio della Rech Paspalitaia
(la federazione del Regno di Polonia e del Grande
Principato) dopo la sconfitta militare degli indipendentisti. L’intera Bielorussia è stata annessa dagli occupanti
russi. La storia del Grande Principato è finita.
Non è casuale che, rovesciando la resistenza nazionale e distruggendo la cultura bielorussa, gli occupanti russi
abbiano abolito la Chiesa unita (indipendente da Mosca)
nel 1840, perché costituiva un vero baluardo dell’identità
nazionale e della lingua del nostro popolo. L’80% dei
contadini bielorussi (90% della popolazione della Bielorussia) era greco-cattolica. Tutti costoro sono stati a forza “reintegrati” nell’ortodossia russa. Il trionfo dell’occupazione è stato effettuato sotto l’antico slogan (ancora
attuale in Russia): “Assolutismo, ortodossia e carattere
popolare”.
Ma a quello slogan i bielorussi ne contrapposero un
altro, nel XIX secolo. Il capo del sollevamento contro
l’occupazione russa negli anni 1863-64, Kastus
Kalinouski (1838-64) lanciò l’appello alla nazione in una
delle sue lettere scritte in carcere (Le lettere scritte sotto
18
samizdat
la forca): “Mai sarà libero il nostro popolo finché il
moscovita governa nel nostro paese...”.
I risultati dell’occupazione russa sono stati tragici per
la nostra nazione. Gli occupanti hanno intensificato il
processo della russificazione del popolo bielorusso; il
regime russo ha iniziato la politica della creazione delle
nuove “élites” nel paese conquistato: sacerdoti ortodossi,
proprietari terrieri, amministratori e maestri russi inondarono la Belarus. Le multe e le contribuzioni pagate dalle
vittime delle rappresaglie sono state usate dagli occupanti per la costruzione di chiese ortodosse russe in tutto il
paese. Queste chiese sono state costruite secondo i progetti primitivi elaborati nella Russia, ovvero non tenendo
conto delle tradizioni europee dell’architettura bielorussa.
Pacificazione e processo di russificazione erano diretti
dal generale russo Mihail Muraviov, denominato dalla
popolazione “il maestro di forca”. Ancora oggi, gli edifici delle chiese costruite nel XIX secolo in stile freddo e
burocratico sono chiamate “le case di Muraviov”. “Il
maestro di forca” Muraviov è stato anzi l’autore di un’altra famosa sentenza che caratterizza fino adesso la politica di russificazione nel nostro paese: “Ciò in cui non era
riuscita la baionetta russa, riuscirà invece la scuola russa”.
Durante molti decenni l’istruzione in lingua bielorussa
esisteva solo nelle scuole clandestine dirette dagli intellettuali bielorussi.
La notte polare dell’occupazione russa durò durante
quasi 200 anni. Nella storia moderna della Rutenia
Bianca ci sono stati molti tentativi di Rinascita nazionale:
il cosiddetto “Periodo d’argento” della cultura bielorussa
negli anni 1900-20, la rivoluzione democratica nel 1905,
la proclamazione della Repubblica Popolare Bielorussa
indipendente il 25 marzo 1918 e la resistenza contro le
orde moscovite nel 1917-20. Ma i tentativi purtroppo
crollarono sotto i colpi dell’impero russo. Il Fronte Popolare della Bielorussia sotto la dirigenza di Zianon Pazniak
ha iniziato nel 1988 una nuova rivoluzione bielorussa e,
nel 1991, i patrioti sono riusciti a ristabilire la Repubblica
Bielorussa indipendente.
Dal 1994 il nostro popolo continua la resistenza contro il regime di occupazione interna di A. Lukascenko.
Esso è diretto da Mosca per realizzare lo stesso programma: annientamento della cultura e della lingua bielorussa,
russificazione e sottomissione del popolo all’impero
dispotico del Cremlino. Per la nuova generazione bielorussa questa resistenza significa lotta per il ritorno alle
basi della civiltà europea, nella famiglia delle nazioni
europee.
19
samizdat
Ucraina
Il fenomeno migratorio
come specchio di una società
N
Olena Ponomareva
egli anni Novanta, quando studiavo le relazioni internazionali in Francia, ci veniva insegnata un’esplicita differenza tra ‘paesi in via di sviluppo’ e ‘paesi in via di transizione’: i primi includevano gli Stati del terzo mondo,
mentre gli altri erano una conseguenza della sparizione
del ‘secondo mondo’ dopo la disgregazione del blocco
socialista. Il termine ‘transizione’ indicava lo stato di passaggio dal sistema di tipo totalitario e e dell’economia di
stato alle altre forme di organizzazione politica, economica e sociale.
Il percorso di transizione si è rivelato molto diverso
Stato efficiente, allo scarso rinnovamento della classe diper i ventidue paesi sorti in seguito al
rigente durante il periodo dell’indipencrollo del Muro di Berlino. Alcuni di lodenza. Di fatto, la nomenklatura soviero (in particolare, la Polonia, l’Ungheria,
tica si è tramutata in establishment oliThe transition of ukrainian
la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la
garchico, i cui interessi politici sono
Slovenia) sono riusciti a compiere la
strettamente limitati agli affari econopost-totalitarian society has
transizione, raggiungendo sostanzialmici dei propri clan. Il problema è che
not reached its goal: the old
mente gli standard economici e sociali
dove non c’è uno Stato al servizio dei
communist patterns prevent
del ‘primo mondo’ e aderendo alle sue
cittadini, non c’è sviluppo. In questo
democratic evolution. This
strutture, quali l’Ue, la Nato, l’Osce in
modo la condizione di sottosviluppo
also explains the peculiar
primis. Altri paesi (come la Romania o
diventa inevitabile per un paese, indicharacters of emigration to
la Bulgaria), dove la transizione non è
pendentemente dalle sue risorse natuwest european countries,
stata compiuta, continuano a subire rirali ed economiche e a prescindere da
percussioni negative, nonostante la loro
capitali miliardari accumulati dai dirimainly feminine, and its
formale partecipazione all’Unione eurogenti ‘oligarchi’.
special attraction to Italy.
pea, avvenuta principalmente per motivi
Uno dei sintomi di sottosviluppo è
di contingenza politica interna dell’Ue.
una massiccia emigrazione dal paese
I paesi del terzo gruppo (rappresenalla ricerca di opportunità lavorative e,
tato prevalentemente dalle ex repubbliche sovietiche) non
di conseguenza, un forte scompenso sociale che riduce
solo non sono riusciti a compiere la transizione, per cui
ulteriormente le possibilità di una transizione riuscita. Le
non sono stati ammessi nell’Ue, ma hanno perfino vissustatistiche dell’Eurostat degli ultimi anni vedono l’Uto un continuo abbassamento degli standard economici e
craina al primo posto tra i paesi europei per numero di
sociali, raggiungendo livelli da ‘terzo mondo’. È il caso
emigrati. Tra i paesi dell’Ue, è l’Italia ad accogliere il
dell’Ucraina, un paese con potenzialità promettenti nei
maggior numero di ucraini. Secondo i dati del Ministero
primi anni Novanta, che nelle attuali classifiche dell’Ocse
dell’Interno, gli ucraini sono al quinto posto nella graduaviene sempre più spesso definito come ‘Stato in via di
toria delle comunità straniere con 174.129 residenti regosviluppo’.
lari1. Queste statistiche però non rispecchiano la dimenL’Ucraina non è un paese povero dal punto di vista
sione reale della presenza ucraina in Italia. Secondo le
delle risorse economiche e sociali. La sua ‘povertà’ è dostime degli esperti ucraini, il numero dei connazionali
vuta a una cattiva gestione politica, all’assenza di uno
emigrati in Italia potrebbe ammontare da 400 a 600 mila2.
Ucraina
Il fenomeno migratorio
come specchio di una società
Le discrepanze tra le statistiche ufficiali italiane e le presenze reali rilevate dagli esperti ucraini evidenziano il
carattere prevalentemente illegale dell’immigrazione
ucraina, dovuto al tipo di attività svolto dagli ucraini in
Italia. Si tratta di un profilo lavorativo ben circoscritto di
assistenza agli anziani e collaborazione domestica: la
comunità ucraina è al primo posto nella graduatoria
nazionale per numero di occupati nel settore dei servizi
alle famiglie.
Il contesto lavorativo del settore domestico al riparo
dall’osservazione delle fonti ufficiali e al di fuori del controllo dello Stato incide sulla condizione di clandestinità
degli immigrati ucraini. Nello stesso tempo, l’impiego nel
settore domestico determina una presenza strutturalmente femminile. Di fatto, la comunità ucraina in Italia detiene il primato assoluto con la più alta incidenza di donne,
circa l’80% sul totale.
Nell’ottica italiana, la natura del fenomeno ‘badanti’
sembra piuttosto chiara: l’invecchiamento della popolazione, la carenza nel sistema assistenziale e sociale, nonché l’assenza di strumenti legislativi adeguati che regolino l’immigrazione determinano una ‘domanda’ alla quale
risponde perfettamente un’‘offerta’ ucraina: le donne assai competitive sul mercato privato delle famiglie in
quanto disponibili ad accettare le condizioni di lavoro più
dure (a partire dall’irregolarità) e le retribuzioni più basse
rispetto a quelle di loro colleghe italiane e straniere.
Nell’ottica ucraina, invece, la problematica delle migranti diventa assai più complessa. Perché proprio le donne si ritrovano nella condizione di dover provvedere alle
necessità economiche delle loro famiglie e perché la migrazione economica esterna è diventata non solo un fenomeno di massa, ma quasi una norma sociale? Per rispondere a queste domande non bastano i soli riferimenti di
tipo storico-culturale (per esempio, una diffusa convinzione che il matriarcato sia piuttosto tipico della cultura
slava); oppure i ragionamenti di carattere socio-economico nella logica della globalizzazione (della quale le migrazioni dalle regioni più povere del mondo verso i paesi
più ricchi sono una parte intrinseca). Alcuni studiosi di
cultura ucraini tendono a interpretare questa problematica persino in chiave psicoanalitica: la femminilizzazione
del corpo sociale nel contesto (post)totalitario e (post)coloniale dove la mascolinità non può essere propria di un
individuo, anche se di sesso maschile, ma viene soppressa al livello personale per essere ‘incarnata’ unicamente
20
samizdat
negli organi del potere oppressivo3. Per questo motivo
anche la migrazione economica in Ucraina spesso ha un
volto femminile.
Se si dovesse riassumere il fenomeno migratorio femminile ucraino in un’unica parola, la più appropriata sarebbe l’abnegazione. Nella storia est-europea esiste un
forte riferimento simbolico legato all’abnegazione femminile. Circa duecento anni fa le mogli dei decabristi4,
donne nobili, colte e delicate, abbandonarono gli sfarzosi
salotti di San Pietroburgo per raggiungere i loro mariti
condannati all’esilio in Siberia. Oggi l’abnegazione ucraina ha il volto più umile delle donne del popolo che
nella situazione di tracollo generale nel loro paese vedono nella migrazione un’unica possibilità di garantire un
futuro ai propri figli. Il fatto curioso è che la stragrande
maggioranza di queste migranti viene proprio in Italia per
fare le ‘badanti’. Le motivazioni delle ucraine sono non
meno alte e nobili di quelle delle donne decabriste, ma la
loro immagine è tutt’altro che gloriosa. In pratica le ‘badanti’ rimangono invisibili, sia nel contesto italiano (dove
vivono all’interno delle famiglie italiane, ma non si sentono affatto integrate); che in quello ucraino (dove a volte
vengono persino diffamate e incolpate di ‘tradimento della patria’). L’insensibilità politica dei dirigenti ucraini di
fronte ai problemi dell’emigrazione è davvero esemplare.
Nel caso specifico, nonostante i numeri elevati e la dinamica evolutiva della presenza ucraina in Italia, non esiste
alcun accordo bilaterale in materia di migrazione e di pre-
Ucraina
Il fenomeno migratorio
come specchio di una società
21
samizdat
videnza sociale. Un accordo sulla regolamentazione e la
gestione dei flussi migratori in materia di lavoro (che solitamente predispone un sistema di gestione regolata dei
flussi migratori in conformità con le esigenze del lavoro
italiano) permetterebbe, in particolare, di attuare il meccanismo della migrazione circolare, il più auspicato da
parte degli esperti per questo tipo di migrazione. È stato
elaborato per garantire ai migranti una maggiore libertà
(ovvero, un movimento più libero fra il paese di origine e
il paese di destinazione), legalità, rispetto dei loro diritti,
e che rispecchiano, sostanzialmente, i loro valori di base,
nonché il soddisfacimento, da un lato, delle reali esigenanche se fortemente alterati. Sono fenomeni che rivelano
ze del mercato del lavoro, d’altro lato, degli interessi del
problematiche storico-culturali assai complesse, le cui
lavoratore straniero, la cui migrazione avrebbe un progetcause profonde risiedono nel passato coloniale e totalitato e un quadro temporale più definiti. Il meccanismo cirrio dell’Ucraina.
colare non è una panacea che risolve definitivamente le
Questa griglia di lettura risulta essere assai utile per
problematiche della migrazione, tanto difficili quanto deun’interpretazione
più adeguata dei fenomeni sociali,
licate, ma comunque permette di mitigare alcuni aspetti
spesso
controversi e sconvolgenti, che
più negativi. L’assenza di una base giucaratterizzano il contesto ucraino conridica tra l’Ucraina e l’Italia determina,
temporaneo, in particolare, per quello
in molti casi, l’assenza di un qualsiasi Olena Ponomareva
che riguarda una massiccia emigrazioDocente
di
Ucrainistica,
Università
degli
progetto migratorio. Per la maggior
ne dal paese. Forse, le ‘badanti’ ucraiStudi
di
Roma,
La
Sapienza.
parte degli ucraini la permanenza in
ne, come il loro celebre compatriota, il
Italia, inizialmente prevista come temgrande migrante Gogol, vedono
poranea, si prolunga a tempo indefinito.
nell’Italia
un’Ucraina
ideale, con una cultura affine alla
Ciò avviene principalmente per motivi oggettivi, a
loro,
con
una
lingua
altrettanto
melodiosa, con un melos
cominciare dalla precarietà della situazione politica ed
incredibilmente colorito e infinitamente ricco nel quale
economica in patria accompagnata dalle difficoltà effettirisplendono mille sfaccettature dell’anima e della tradive di trovare un lavoro e, di conseguenza, la ricerca delle
zione popolare, e, nello stesso tempo, una civiltà più
opportunità alternative all’estero. Tuttavia, esistono dei
umana, a differenza della loro patria dove l’oppressione
motivi più impliciti e profondi che potrebbero fornire una
coloniale e totalitaria ha lasciato ferite psicologiche, culchiave di lettura più accurata del fenomeno migratorio
turali e sociali troppo profonde.
contemporaneo. Molte persone parlano di una specie di
La migrazione è una scelta particolarmente gravosa
attrazione esercitata dall’Italia che non le fa lasciare il Bel
per
le
donne perché comporta la disgregazione della strutPaese. È un fatto veramente curioso che molte ‘badanti’
tura familiare. Da questo punto di vista la dimensione del
decidano di tornare in Patria, ma poi vengano di nuovo in
fenomeno ucraino è tale da destare l’attenzione dei Centri
Italia, spesso non sapendo spiegare fino in fondo la natudi analisi statistiche italiani. Come riporta il VII Rapporto
ra di questo richiamo. Probabilmente si tratta non soltandel Cnel5, la collettività ucraina è caratterizzata dalla più
to delle possibilità di guadagno economico, ma anche
alta incidenza di famiglie unipersonali, ovvero composta
della questione dei valori: del ritrovarsi in una società a
da sole donne immigrate, il 49,7 % del totale; l’età media
misura d’uomo con la centralità dell’uomo, della persona
delle ucraine è di 45 anni, il 53,1% delle donne è coniue della dignità umana che gli ucraini sentono qui, in Italia,
Ucraina
Il fenomeno migratorio
come specchio di una società
gato, ma sono pochissime ad avere i figli con sé; i minori presenti nella collettività ucraina non superano il 10%.
Allo stesso tempo, è assai diffuso il fenomeno della maternità a distanza, giacché nella maggior parte dei casi le
donne preferiscono lasciare i figli in patria. Secondo le
fonti ufficiali ucraine, ci sono nel paese circa 200 mila
minori con genitori all’estero. Si tratta, tuttavia, di dati incompleti, poiché non esiste ancora una banca dati nazionale che permetterebbe di effettuare un monitoraggio più
sistemico del fenomeno. Considerata la portata e la dinamica evolutiva dell’immigrazione femminile ucraina in Italia, il fenomeno dei figli lasciati in patria assume un’importanza sociale considerevole, e non solo per il contesto
ucraino. Di recente, la problematica dei minori ucraini
rimasti senza genitori-emigranti è stata sollevata nell’ambito dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni
che nel 2010 ha avviato il progetto pilota “Intervento di
Capacity Building in favore delle istituzioni locali ucraine per il rafforzamento delle politiche migratorie e socioeducative rivolte ai bambini, alle donne e alle comunità
locali”6. Il nome tecnico del progetto è Children left
behind la cui la doppia lettura in inglese è davvero emblematica per il fenomeno ucraino: figli lasciati in Patria e figli lasciati indietro...
Nella raccolta Figli di emigrati parlano di sé, pubblicata recentemente in Ucraina, ho trovato una poesia che
potrebbe sostituire un trattato di sociologia sulle cause e
conseguenze della migrazione femminile e sul correlato
fenomeno dei figli lasciati in patria. Due strofe nella poesia, scritta da un ragazzo di 14 anni con il nome ‘cosacco’ Taras (e intitolata “Alla mamma in Italia”), sono particolarmente sconvolgenti:
22
samizdat
I soldi volano verso l’Ucraina
Come se fosse un buco nero.
I ragazzi non vogliono più le loro mamme,
Perché il denaro è più prezioso della persona umana.
Vedo che nel mondo dell’inganno
Stiamo diventando indifferenti come le farfalle
Il narcisismo ci fa incatenare noi stessi
Imprigionando le anime nelle gabbie d’oro.
È un’analisi fenomenale delle società contemporanee
sin troppo ‘liquide’, con valori basati sull’economicismo:
evoca il concetto sociologico di ‘gabbia d’acciaio’ di Max
Weber (di cui è molto improbabile il quattordicenne Taras
fosse a conoscenza): la gabbia d’acciaio sarebbe un’autocondanna dell’homo oeconomicus moderno per il quale
lo spazio, che per un verso amplia gli orizzonti e le possibilità, per altro sfugge al suo controllo, lo costringe alla
mobilità, all’‘esserci’, all’‘essere altro’, all’‘essere altrove’, senza riuscire a prendere in mano il proprio destino.
Tuttavia, la ‘cultura del presente’ e l’economicismo nei
paesi dell’est Europa sono sostanzialmente diversi rispetto alle realtà occidentali: le società post-totalitarie si sono
rivelate ancora più vulnerabili nel mondo globalizzato
Ucraina
Il fenomeno migratorio
come specchio di una società
perché impreparate alle sfide della modernità, con le economie e le istituzioni non adeguate e difficili da riformare, con un crollo di valori fondamentali e, di conseguenza, con un maggior appiattimento della persona umana e
della sua dignità. Perché sembra poco umana la società
dove le separazioni delle madri dai propri figli per ‘motivi economici’ assumono carattere di massa e vengono
accettate quasi come una norma sociale.
In Ucraina non c’è povertà di pane, c’è povertà di
qualcos’altro.
23
samizdat
CARITAS/MIGRANTES, Dossier Statistico Immigrazione 2010, Roma, IDOS,
2010, p. 13.
2
At the Crossroads, A Complex Research on Ukrainian Labour Migration
processes (EU countries and Russian Federation), edited by Markov and
others, Lviv, Caritas/Ukraine, 2009, p. 31.
3
O. ZABUZHKO, Notre Dame d’Ukraine, Kiev, 2007, p.58
4
Partecipanti al movimento rivoluzionario di nobili russi sfociato nell’insurrezione del dicembre 1825; il fatto meno noto è che molti tra i decabristi
appartenevano alla nobiltà ucraina e polacca ritrovatesi nel contesto
dell’Impero russo dopo le spartizioni della Polonia della fine del Settecento
(N.d.a.)
5
Indici di integrazione degli immigrati in Italia, Roma, 2010.
6
www.italy.iom.int
1
24
samizdat
Repubblica Ceca
L’editoria ceca minacciata
dalla riforma del Governo
L
Giovanni Catelli
a Repubblica Ceca è agitata nelle ultime settimane da
un forte vento di protesta, che proviene da vari strati della
società, e l’avvolge globalmente, mentre si avvicina l’ora,
da parte del governo di centro-destra, di attuare riforme
molto dolorose in campo economico e sociale, che andranno a incidere fortemente sul senso di sicurezza dei
cittadini, oltre che sulle loro tasche, dato che le riforme
saranno indirizzate al sistema pensionistico e alla sanità.
ne di quasi seimila volumi, e determinando la perdita di
Per quanto riguarda la cultura, poi, che aveva goduto
almeno duemila posti di lavoro.
negli anni passati di un sostegno sensibile dal parte dello
Si tratterebbe di un contro-investimento terribile per il
Stato, si attendono misure pesanti, come l’aumento delfuturo del Paese, in un’epoca in cui la formazione e l’il’imposta sul valore aggiunto per i libri, dall’attuale dieci
struzione di alto livello possono fare la differenza nello
per cento al diciassette virgola cinque per cento: un ausviluppo di una nazione. L’Ocse ha già criticato il Paese
mento brutale, che può avere conseguenze gravissime per
per il diminuito livello di capacità di lettura dei suoi scol’intero settore dell’editoria, vanto di un paese che poteva
lari, e le manovre in programma non vanno sicuramente
permettersi, sino ad ora, politiche editoriali di respiro e
nella direzione auspicata dall’Organizzazione.
qualità ben più ampie rispetto a molti
La tassa prevista porterebbe la
paesi dell’Europa occidentale, i cui
Repubblica Ceca nella ristretta cerchia
maggiori editori sono da anni caduti in
dei paesi con le più alte tasse sui libri,
The growing taxation system
una spirale di pura ricerca del profitto,
superata solo da Bulgaria e Danimarca
is threatening the future of
con sempre minor attenzione verso la
dove l’IVA è al venti per cento, presto
culture, and in particular of
qualità letteraria delle opere.
raggiunte da Albania, Bielorussia e Upublishing houses, in the
Finora centosessantamila cechi (il
craina. L’imposta media dei paesi euroCzech
Republic.
During
the
più alto numero dal 1988) hanno firmapei oscilla tra il cinque e il sei per cento,
to una petizione che chiede l’abolizione last months the opposition has mentre in Irlanda e Regno Unito è pari
di tale aumento; mercoledi 15 giugno
a zero; certo, la civiltà e lo sviluppo soorganized meetings all over
più di mille dimostranti hanno pacificano dalla parte di basse pressioni fiscali
the country against the new
mente invaso Piazza della Città Vecchia
sulla cultura e sui libri.
politics of the center-right
di Praga, protestando in difesa del libro
Il problema per i partiti politici, angovernement
portando striscioni con le scritte “Con
che per quelli che sarebbero favorevoli
Kalousek (Ministro delle Finanze) vera un’abolizione dell’aumento, in un peso la barbarie” e “La cultura è l’oppio
riodo in cui si progetta un aumento gedel popolo”, mischiandosi ai turisti, hanno chiesto ai
neralizzato dell’Iva, è quello di non saper giustificare, di
membri del Parlamento di guidare una rivolta contro la
fronte ad altre categorie interessate, l’esenzione dall’auproposta del Governo.
mento per la sola editoria, fatto che potrebbe scatenare
L’associazione degli editori, consapevole della catagiustificate proteste e ulteriori richieste di esenzione da
strofe che tali misure comporterebbero, stima che la tassa
parte di altri settori dell’economia.
porterà al Ministero delle Finanze solo duecento milioni
Le case editrici temono realmente queste misure: aldi corone in più all’anno, mentre la produzione editoriale
cuni editors parlano preoccupati di rischio fallimento per
crollerebbe di un terzo, causando la mancata pubblicazioimportanti e storici marchi, in un settore in cui, secondo
Repubblica Ceca
L’editoria ceca minacciata
dalla riforma del Governo
le auree norme dell’editoria di un tempo, i profitti perseguiti non sono alti come per gli editori industriali dell’Europa occidentale, ma si mantengono più bassi, in vista di un maggiore orientamento alla tradizionale qualità.
L’attenzione verso la poesia, la letteratura, la saggistica di qualità è una scelta che paga in termini culturali, ma
non può certo garantire i profitti di un’editoria da bestseller: la Repubblica Ceca è stata sino ad ora in questo senso
un’isola felice, ma si prospettano per la sua cultura tempi
dolorosi.
Lo Stato, negli ultimi anni, ha poi sostenuto la pubblicazione di numerose e ricche riviste culturali, che con il
nuovo corso rischiano di sparire: dunque, le politiche di
rigore del centro-destra ceco giungono a colpire la cultura, tradizionale bersaglio dei governi populisti, che da
sempre la considerano un inutile optional, un’attività improduttiva, incapace di produrre profitti.
Colpire al cuore un settore di tale importanza, e, soprattutto, l’avvenire intellettuale di un’intera nazione, pare davvero una ben miope scelta, di fronte all’esiguità del
ritorno economico di una simile decisione.
Il sedici giugno, il Paese è stato paralizzato da uno
sciopero dei trasporti pubblici, comprese le ferrovie e la
metropolitana praghese: da tempo immemorabile non avveniva un blocco simile, in particolare per la metropolitana, e i cittadini si sono resi conto in modo ancor più evidente dei tempi difficili che stanno per arrivare.
Lo sciopero è stato promosso dalle maggiori organizzazioni sindacali per protestare contro le politiche economiche e sociali del governo.
La progettata riforma delle pensioni mira ad elevare
l’età pensionabile a partire dalla generazione del 1965 per
gli uomini e da quella del 1955 per le donne. L’età della
pensione sarà unificata per entrambi i sessi a partire dal
2041. Chi ha quarant’anni ora, andrà in pensione a sessantasei anni, i nati nel 1977 andranno in pensione a sessantasette anni. Chi ha ora dieci anni andrà in pensione a
settantuno anni, e chi nascerà il prossimo anno andrà in
pensione a settantatre anni, ovverosia nel 2085.
Tra il governo e i sindacati la tensione è elevata: il
Ministro delle Finanze Kalousek ha letto ai giornalisti un
poemetto (abbastanza volgare, a detta degli stessi giornalisti) riguardante i leader del sindacato e la loro presunta
incompetenza; inoltre, la parte dei media controllata dalla
25
samizdat
Giovanni Catelli
nato a Cremona, è scrittore, poeta e
viaggiatore dell’Est. Collabora come
giornalista con numerose testate italiane.
destra sostiene le tesi consuete, ovvero che le richieste dei
sindacati rallentino l’economia, e proteggano soltanto coloro che non si adattano alle condizioni di lavoro attuali,
cercando tutele antiquate. Il problema dei sindacati è
quello di non rappresentare quasi più l’intera forza-lavoro del paese, ma una percentuale molto inferiore al passato: quindici anni fa rappresentavano due milioni di lavoratori, ora ne rappresentano soltanto cinquecentomila, ovvero un quinto della forza-lavoro. La mancanza di leader
carismatici non aiuta, così come la frammentazione delle
rappresentanze, e, oltre a togliere potere contrattuale,
consente di prestare il fianco ai lazzi del governo e delle
destre.
C’è da considerare però che, nonostante il diffuso
scetticismo verso l’opposizione e i sindacati, il settanta
per cento della popolazione è stato favorevole allo sciopero (secondo alcuni sondaggi): il governo dovrebbe dunque riflettere sul fatto che le vittorie elettorali in Repubblica Ceca sono sempre di stretta misura, e l’arroganza mostrata nel voler adottare misure economiche draconiane potrebbe non essere propizia in un prossimo futuro
e in occasione di prossime elezioni.
26
samizdat
Romania
Il Memoriale di Sighet
e i suoi protagonisti: Ana Blandiana,
Romulus Rusan, Stéphane Courtois,
Vladimir Bukovskij
Notizie raccolte, tradotte ed
elaborate da Elena Fedri
I
l Memoriale delle vittime del comunismo e della resistenza di Sighet, cittadina romena dove vide la luce il premio Nobel per la pace Elie Wiesel, è dal 1995 sotto l’egida del Consiglio d’Europa che lo considera una delle principali istituzioni dedicate alla conservazione della storia
europea del XX secolo, accanto al Memoriale di Auschwitz e al Memoriale della Pace in Francia. Svolgendo
il ruolo di risuscitare la memoria collettiva, il Memoriale
è allo stesso tempo istituto di ricerca, di museografia e di
insegnamento.
Il Memoriale fu creato dalla Fondazione Accademia
Civica, organizzazione della società civile con sede a Bucarest, su un progetto del 1993 degli scrittori Ana Blandiana e Romulus Rusan. Nel 1995 la Fondazione Accademia Civica s’incaricò di ristrutturare le rovine dell’excarcere di Sighet e di trasformarle – nel quadro del Memoriale – in un museo delle vittime del comunismo.
La parte scientifica e di ricerca del Memoriale Sighet
è coperta dal Centro Internazionale di Studi sul Comunismo (CISAC, con sede a Bucarest e diretto da Romulus
Rusan), che possiede un importante archivio: 6000 ore di
registrazioni di storia orale con sopravvissuti dei Gulag;
quasi 100.000 schede di detenzione; più di 10.000 certificati di decesso nelle prigioni e nei lager, migliaia di fotografie e oggetti. Il Centro conta più di 1500 collaboratori
occasionali, partecipanti ai simposi, ai laboratori e ai corsi
della Scuola Estiva. I contributi dei collaboratori (circa
35.000 pagine) sono stati in gran parte pubblicati dalla
Fondazione Accademia Civica.
Nel 1993 il Centro Studi aveva già iniziato la creazione di una banca dati per un museo raccogliendo foto, atti,
oggetti, lettere, registrazioni audio, giornali, libri, manuali.
Il museo di Sighet ha più di 50 sale, situate nel palazzo di una vecchia prigione del Nord (a Sighetul Marmaţiei, località più conosciuta come Sighet) dove è stata
sterminata negli anni ’50 l’élite politica, religiosa, accademica e militare della Romania. Il percorso della mostra segue in ordine cronologico e tematico la storia della Roma-
nia dopo l’instaurazione forzata del comunismo: la presa
del potere da parte dell’Armata Rossa; le elezioni truccate dopo la Conferenza di Yalta; la messa al bando dei partiti politici, la creazione del partito unico (comunista); la
creazione della Securitatea (Departamentul Securităţii
Statului ovvero la polizia segreta) come organo repressivo; la nazionalizzazione dell’industria; la collettivizzazione forzata dell’agricoltura; la repressione dei culti,
delle arti, della letteratura, delle chiese; la resistenza al
comunismo nelle montagne; le rivolte contadine; le deportazioni; la dittatura “soft” del periodo di apertura al
mondo (Ceauşescu); il culto della personalità; la creazione dell’«uomo nuovo». La Romania ha avuto circa 2 milioni di vittime dirette del comunismo. Nel cortile del Memoriale e nel Cimitero degli Eroi sono incisi più di
25.000 nomi di morti nei Gulag.
Il gruppo statuario «Il Cortile dei Sacrificati» (bronzo, 1998) rappresenta profili umani che camminano verso
un Muro.
Al Memoriale di Sighet si aggiunge il Cimitero dei
Poveri, situato a circa due chilometri di distanza dal Museo. In quel posto sono stati seppelliti in segreto i detenuti morti nella prigione politica di Sighet.
Durante la sua Visita Apostolica in Romania (1999),
papa Giovanni Paolo II menzionava la necessità di ricordare i martiri del XX secolo, invocando anche i vescovi
della Chiesa Greco-Cattolica Romena unita con Roma
che versarono il loro sangue per Cristo e per il suo gregge al tempo del regime comunista. Alcuni vescovi morirono nel carcere di Sighet, dopo aver sofferto fame, freddo e torture.
La Scuola Estiva del Memoriale fu ideata dalla Fondazione Accademia Civica, in collaborazione con la Fondazione Konrad Adenauer, e avviata nel 1998 come scuola di formazione del cittadino, con l’obiettivo di facilitare
l’avvicinamento degli adolescenti alla storia recente del-
Romania
Il Memoriale di Sighet
27
samizdat
l’Europa e del mondo. Ogni anno, abitualmente nel mese
di luglio, viene organizzato un convegno internazionale. La
selezione dei giovani partecipanti ai dibattiti del simposio
è fatta attraverso un concorso simile, nei principi, al Concorso nazionale della Resistenza francese, con la differenza che quello della Romania verte sulla Resistenza al comunismo. I giovani (dai quindici ai diciotto anni) provengono dalla Romania e dalla Repubblica Moldova. I relatori partecipanti al convegno sono storici, studiosi, scrittori, medici, giornalisti, cineasti, artisti di tutto il mondo
interessati ad approfondire temi della storia recente, in particolare quelli legati alla repressione durante i regimi comunisti e ai totalitarismi del mondo contemporaneo.
Per la maggior parte delle edizioni il rettore della
Scuola Estiva è stato Stéphane Courtois. Il suo profondo
legame con il Memoriale traspare dal suo libro la Sighet
(Bucarest, 2003). Tra i consueti conferenzieri ricordiamo
Dennis Deletant (Londra), rettore della Scuola Estiva nel
2000, Thierry Walton (Parigi), Leon Volovici (Gerusalemme), Al. Zub (Iaşi), Hans Bergel (München), Marius
Oprea (Braşov). Vladimir Bukovskij fu per quattro volte
ospite del Memoriale e del suo Centro Studi. Dalla partecipazione di Bukovskij alla Scuola Estiva nel 2002 è nato
il libro Bukovski la Sighet (Bucarest, 2002). Ai dibattiti
della Scuola Estiva intervengono anche vittime del comunismo e parenti dei martiri. Negli ultimi anni è molto significativa la partecipazione attiva da parte degli insegnanti di storia. Un obiettivo degli insegnanti e degli studenti è quello di deliberare insieme i corsi riguardanti la
repressione comunista da inserire nel programma scolastico nazionale. Gli interventi dei relatori e le migliori ricerche degli adolescenti vengono pubblicate nelle collane
del Centro Studi del Memoriale.
Vladimir Bukovskij ha definito la Scuola Estiva di
Sighet come un posto unico che propone agli adolescenti
una visione viva e senza pregiudizi sulla storia recente,
fuori dai dogmi e dai rigori scolastici.
Ana Blandana. Nota e apprezzata poetessa romena,
figlia di un prete cristiano imprigionato dal regime comunista come «nemico del popolo», accusato di «complotto
contro lo stato» perché nelle sue messe «ignorava il materialismo dialettico». La giovane figlia poetessa ne subì le
conseguenze, essendole vietato per diversi anni di sostenere l’esame di ammissione all’università e di pubblicare
le sue prime creazioni letterarie.
Ha pubblicato poesie e racconti fantastici. Significative sono anche le opere di saggistica tra cui La
qualità di testimone [Calitatea de martor, 1970], Essere
o guardare [A fi sau a privi, 2001], Paura della letteratura [Spaima de literatura, 2004].
Ana Blandiana e i suoi libri furono messi al bando
nella Romania comunista degli ultimi anni del governo
Ceauşescu. Diverse poesie con allusione al potere (alcune concepite per bambini) circolavano tra lettori trascritte a mano, clandestinamente. Era quindi diventata autrice
di letteratura Samizdat…
Alla caduta del regime comunista, nel dicembre
1989, ha fatto parte del Consiglio Provvisorio del Fronte
di Salvezza Nazionale da cui ha dato le dimissioni per
protesta contro la confisca della rivoluzione da parte delle
forze antidemocratiche, ex collaborazionisti del regime
comunista che hanno usato la rivolta popolare per creare
un partito (FSN) e mettere le mani sul potere.
Ideatrice della Fondazione Accademia Civica (con
sede legale a Bucarest) di cui è presidente e che guida
accanto al marito, lo scrittore Romulus Rusan; Presidente
onorario del PEN Club Romeno; Membro dell’Accademia di poesia Stéphane Mallarmé; Membro dell’Accademia Europea di Poesia; Membro dell’Accademia
Mondiale di Poesia (UNESCO).
Ha tenuto conferenze in diverse università della
Germania, Francia e Italia (Roma, Firenze, Padova). Ha
partecipato a festival di poesia in Finlandia, Francia, Ungheria, Inghilterra, Stati Uniti d’America, Germania, Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Slovenia.
Ha vinto svariati premi letterari nazionali e internazionali tra cui il Premio Herder (Vienna, 1982).
In Italia è stata premiata ai concorsi letterari di Acerbi
(2003), Camaiore (2005), Aquila (2007) e le sue opere
sono state pubblicate a Roma [Un tempo gli alberi avevano occhi, Donzelli , 2004] e a Milano [Progetti per il passato e altri racconti, Anfora, 2008]. Sempre in Italia sono
in corso di pubblicazione altri due volumi.
I suoi scritti sono stati tradotti in 23 lingue.
Romania
Il Memoriale di Sighet
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samizdat
(Parigi, Robert Laffont 2002), volume pubblicato in Italia
con il titolo Il libro nero del comunismo europeo (Milano,
Mondadori, 2006).
Le sue opere sono state tradotte in inglese, francese,
tedesco, italiano.
Romulus Rusan. Scrittore e saggista romeno nato in
Transilvania.
Dopo il 1989 si dedica all’impegno civico, soprattutto nel campo educativo e degli studi sulla storia recente
della Romania. È vicepresidente della Fondazione Accademia Civica dalla quale è nato il movimento politicoculturale «Alleanza Civica» che ha condotto alla prima
vittoria elettorale di una coalizione democratica di opposizione alla politica degli ex comunisti (1996).
Ideatore e fondatore – insieme con la poetessa Ana
Blandiana, sua moglie – del Memoriale delle Vittime del
Comunismo e della Resistenza nella cui cornice svolge le
seguenti attività: direttore del Centro Internazionale di
Studi sul Comunismo (CISAC) che prepara la banca dati
del Memoriale; ideatore e coordinatore del programma di
Storia Orale del CISAC; organizzatore del Simposio internazionale annuale della Scuola Estiva; curatore delle
collane di documenti e studi del Memoriale [«Analele Sighet», «Biblioteca Sighet», «Documente», «Istorie Orală», «Interval», «Ora de istorie»].
Ha partecipato a dibattiti culturali in Germania,
Francia, Italia, Grecia, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia.
Tra i lavori pubblicati ricordiamo: Viaggio verso il
mare interiore [O călătorie spre marea interioară,
Bucarest, 1986-1990]; Cronologia e geografia della
repressione comunista in Romania [Cronologia şi
Geografia Represiunii Comuniste în România, Bucarest,
2007]; Il censimento della popolazione concentrazionaria (1945-1989) [Recensământul Populaţiei Concentraţionare:1945-1989, Bucarest, 2007]; La Romania durante la guerra fredda [România în timpul războiului rece,
Bucarest, 2008]; Coordinatore dell’Addenda romena a Il
libro nero del Comunismo di Stéphane Courtois [Cartea
neagră a comunismului, Bucarest, Humanitas – Accademia Civica,1998]; Coordinatore del capitolo sulla Romania nella raccolta di studi Du passé faisons table rase!
Stéphane Courtois. Rettore della Scuola Estiva del
Memoriale Sighet:
«Non bisogna dimenticare mai che la democrazia è
una pianta fragile che va coltivata con grande attenzione.
Sia la storia che la memoria sono eccellenti ingredienti
per far prosperare la democrazia, la libertà di pensiero, di
espressione, di circolazione.» [Dal Saluto ai partecipanti
della Scuola Estiva, 2009].
«Negli otto giorni della Scuola Estiva cercheremo di
riflettere sulla storia contemporanea, quella del comunismo e della democrazia. La conoscenza della storia è essenziale per la nostra formazione come cittadini. Senza
conoscere la storia dell’Europa e del mondo non saprete
chi siete, dove siete e cosa avete da fare. Insisto sull’importanza della conoscenza della storia.
Da circa 20 anni in Francia abbiamo un problema con
la classe politica. Quasi tutti i politici francesi hanno seguito la Scuola Superiore di Amministrazione. Pochi mesi fa dicevo a un deputato, anche lui formato in questa
Scuola, che i politici hanno perso il senso della storia, e
lui mi ha risposto molto tranquillamente: “Amico, ma
non lo sapevi che in questa Scuola non si studia più la storia?”. Sono rimasto stupefatto perché almeno fino a 20
anni fa i politici francesi sapevano bene la storia. Il generale De Gaulle conosceva molto bene la storia della Francia, dell’Europa, del mondo. E questo l’ha aiutato a salvare più volte la Francia.
Dobbiamo sottolineare che nel sistema comunista la
storia è stata sistematicamente falsificata. Quando ho
scritto Il libro nero del comunismo ho portato alla luce
fatti reali che i comunisti hanno nascosto e anche negato.
Il negazionismo ha portato a quello che è successo nel
1989 nell’Europa orientale. Quello che dobbiamo fare qui
è imparare e riflettere per capire il senso delle cose successe. Bisogna capire meglio la storia della Romania, la
storia dell’Europa. Oggi il mondo ha quasi dimenticato
che prima del 1917 l’Europa era un insieme culturalmente unitario. Nel 1917 Lenin ha rimosso la Russia dall’Europa. Nel 1940 la Polonia è stata staccata dall’Europa. Lo stesso è successo con la Bessarabia, con i paesi
baltici. Nel 1945 tutta l’Europa orientale è stata tagliata
fuori dall’Europa».
«Nell’Europa occidentale, in Francia, in Gran Bre-
Romania
Il Memoriale di Sighet
29
samizdat
tagna, la gente vive da cinquant’anni tranquilla, godendo
di prosperità economica, pace sociale, partiti politici, serenità della politica estera, e non si pone il problema di
come mai gli europei orientali non abbiano avuto nulla di
tutto ciò. Prima del 1917, prima del 1940, anche l’Europa
orientale aveva tali cose. Se noi abbiamo avuto tutto questo, è stato perché alla fine della seconda guerra mondiale gli occidentali responsabili dei negoziati hanno abbandonato l’Europa orientale nelle mani di Stalin. Certo, si
potrebbe dire che non si sarebbe potuto fare diversamente, che Stalin era troppo forte…».
«L’Europa si deve riunificare, ma non solo per soldi,
non esclusivamente sotto gli auspici della tecnocrazia
europea. La riunificazione sarà possibile quando gli europei, tanto quelli dell’Oriente quanto quelli dell’Occidente, avranno il senso dell’appartenenza alla stessa area
culturale».
[Dall’intervento di Stéphane Courtois a Sighet
(Scuola Estiva, 2001), pubblicato nel libro Stephane
Courtois la Sighet, Bucarest, Accademia Civica, 2003].
Internazionale degli Psichiatri ha condannato il governo
sovietico e nel 1983, se non vado errato, ha escluso i sovietici dall’associazione. In realtà sono usciti da soli, rendendosi conto che avrebbero perso con la votazione».
«In Russia si ricordano dello scambio [con Louis
Corvalan] e del fatto che sono stato il primo a organizzare – nel 1965, in Piazza Puškin – una manifestazione politica per la difesa degli scrittori arrestati. Questa è diventata tradizione. Ora a Mosca, persone molto diverse tra
loro si radunano ogni anno in quel posto in cui allora si è
parlato della libertà di parola».
L’arrivo in Occidente:
«In quegli anni nel blocco sovietico si facevano ampie campagne per la difesa di Louis Corvalan, mentre in
Occidente c’era una campagna per difendere me. E allora Sacharov ha proposto ufficialmente lo scambio…».
«Le mie prime impressioni in Occidente erano molto
confuse. Non avevo tempo nemmeno per respirare. I sovietici erano ingenui all’epoca, non capivano nulla di publicity, facevano uno scambio senza precedenti nella storia, sotto gli occhi di tutto il mondo e proprio alla vigilia
Vladimir Bukovskij. Ospite d’onore al Memoriale
di Natale. E in quei momenti in cui la stampa era alla riSighet.
cerca di una bella storia a lieto fine, il mio caso arrivava
Bukovskij si presenta:
come un dono di Dio. Nelle prime due settimane rilascia«Sono stato uno dei primi fondatori del movimento
vo ogni giorno 7, 8, anche 10 interviste per la televisione.
per i diritti umani che si era creato nell’Unione Sovietica
Senza parlare dei giornali, le riviste e altro. Ho avuto due
a metà degli anni ’60. Questa sarebbe forse la più sempliconferenze stampa. Non mi ricordo più niente di quelle
ce presentazione di me stesso. In
due settimane. Ero appena uscito dal carceOccidente sono conosciuto per la campare. Pesavo 59 chili. I sovietici non avevano
gna che avevo iniziato contro l’uso della
esperienza. Dopo la mia vicenda hanno
psichiatria a scopo repressivo. Ma è suc- Elena Fedri
imparato la lezione: prima di espellere uno
cesso abbastanza tardi, negli anni ’70, da anni dedica il suo lavoro di in Occidente lo mettevano a ingrassare».
dopo un’altra uscita dal lager. Fra i nostri ricerca allo studio della cultura
L’Occidente di fronte alle rivelazioni di
amici, molti erano chiusi in ospedali psi- in relazione alla storia e in parti- Bukovskij:
colare ai rapporti tra cultura euchiatrici».
«Alcuni capivano, altri no. C’erano
«Stranamente, la nostra campagna si è ropea orientale e occidentale.
reazioni molto politicizzate. Quelli di sinidimostrata molto efficace. Io vi sono stato
stra ci guardavano senza alcun piacere. Noi
rinchiuso, mi hanno dato 12 anni. Ma la
non condividevamo i loro ideali, eravamo
campagna è andata avanti in Occidente e si
arrivati e raccontavamo che cos’era il socialismo reale,
è estesa. In ogni paese c’era un gruppo di persone che la
ma loro non lo volevano sapere. Per questo la stampa di
continuava; includeva psichiatri del posto, giuristi, dottosinistra scriveva di noi senza grande entusiasmo. Certo,
ri, artisti, scrittori. Ha avuto grande popolarità fra gli
non ci potevano ignorare, eravamo un evento da prima
intellettuali occidentali. Sembra che la disperazione delpagina. Dal loro punto di vista noi eravamo un po’ troppo
l’uomo sano chiuso in un manicomio influenzi l’imdi destra. I conservatori erano più disponibili, ma l’attegmaginazione delle persone. Tom Stoppard ha scritto angiamento cambiava decisamente da paese a paese. In
che una pièce sull’argomento. Aveva la prima a Londra
Francia, ad esempio, la situazione era al contrario. C’era
proprio quando mi hanno liberato e così sono arrivato in
Giscard d’Estaing al potere: era di centro-destra ma molto
tempo. Questo si è dimostrato un tema straordinariamenpro-sovietico. Di conseguenza, gli intellettuali di sinistra
te popolare e noi abbiamo vinto. Nel 1978 l’Associazione
erano dalla nostra parte in Francia. Tutto dipendeva dai
Romania
Il Memoriale di Sighet
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samizdat
Il Memoriale di Sighet visto da...
loro giochi interni. In Inghilterra al potere erano i laburisti, eppure ho fatto amicizia con Margaret Thatcher, leader dell’opposizione. Mentre in Germania sono stato vicino a Helmut Kohl. Da questa situazione sono nati in
seguito i miei comportamenti di fronte alla politica.
Quindi le prese di posizione in Occidente erano varie. In
America c’è stata una forte reazione, ma ciò ha giovato al
presidente. La difesa dei diritti umani era un principio di
base della politica di Carter. Mi ha ricevuto volentieri, ma
mi sono accorto che aveva molta paura della reazione
sovietica. E mi ha accolto prima di tutto perché il suo predecessore, Ford, aveva perso le elezioni per non aver
accolto Solženicyn. Carter era molto sensibile all’opinione pubblica. Quindi, ogni paese ha reagito a suo
modo. Non posso dire che tutti mi capivano. Ognuno cercava di usare la mia apparizione per il suo programma
politico».
Promotore del Processo al Comunismo:
«Il Comunismo non è mai stato condannato, mentre
il nazismo sì e in Germania c’è stato un processo di denazificazione. Così, dopo 50 anni il nazismo non è più una
minaccia».
«L’Occidente non ha mai chiesto alla Russia di condannare il comunismo, anzi. Io sono stato tra i pochi che,
nel 1991, hanno provato a intentare un processo al comunismo. Avevo parlato con i membri del governo russo e li
avevo convinti. Ma l’Occidente è stato contrario: ha capito che aprire gli archivi sarebbe stato un male tanto per se
stesso quanto per i membri dell’ex Apparato Politico. Gli
affari segreti promossi con Mosca non avrebbero giovato
alla reputazione dell’Occidente. […] L’Occidente ha fatto
pressioni sulla Russia per non aprire gli archivi».
[Dall’intervista accordata da Vladimir Bukovskij ad
Armand Goşu (Sighet, 2002), pubblicata nel libro
Bukovski la Sighet, Bucarest, Accademia Civica, 2002].
Giovanni Paolo II
«...che gli incontri in questo posto eminente della
Memoria onorino le vittime delle persecuzioni, che i
dibattiti permettano una migliore conoscenza dei meccanismi che hanno portato a questa tragedia e che mettano
in rilievo le energie che hanno contribuito alla sua sconfitta, in modo tale che l’umanità possa imparare dalle
lezioni della storia!».
Vladimir Bukovskij
«Quello che è unico a Sighet sono i corsi estivi (la Scuola
Estiva). Cose del genere si fanno anche in altri posti, ma
da questo punto di vista il Memoriale Sighet resta unico».
Dennis Deletant
«Per me il Memoriale di Sighet costituisce la più emozionante e importante restituzione alla memoria dei drammi provocati dal comunismo in Europa».
Stéphane Courtois
«Memoriale mondiale dedicato alla lotta contro il comunismo, quello di Sighet resta un progetto pilota del Consiglio d’Europa sul tema della memoria del XX secolo».
Thomas S. Blanton
«Il Memoriale Sighet è un monumento unico che elogia
la lotta contro il potere, contro l’oblio; è la lotta delle vittime contro gli oppressori. Non esiste niente al mondo
che gli assomigli».
Lech Walesa
«Vi auguro che attraverso il simposio riunito a Sighet –
città simbolica per la memoria del comunismo e della
nostra comune storia recente – arriviate a una valutazione
corretta del vecchio sistema e delle conseguenze che questa lezione di storia potrebbe avere sul futuro».
Jardar Seim
«Sighet non è una prigione ma una ‘sprigione’ tramite la
quale la storia di una metà dell’Europa si svincola e va
verso la libertà della verità».
31
samizdat
Polonia
La poesia per sopravvivere nel gulag
Marta Herling
A sessant’anni dalla pubblicazione di
“Un mondo a parte” di Gustaw Herling: testimonianze d’archivio
Dal campo di prigionia di Ercevo, Governatorato di
Archangel’sk, Gustaw Herling a Ostap Ortwin, lettera
senza data (timbro illeggibile), 1940 – 1941:
Gentile Signore, mi ero ripromesso dopo la mia partenza per Grodno di scriverle. Non solo perché desideravo ringraziarla vivamente per tutto quello che ha fatto per
me a Leopoli, ma anche per continuare a parlare con lei
della poesia. So quanto queste conversazioni ci fanno apprezzare la poesia d’amore. Nulla di strano dunque che il
desiderio fosse grande. Purtroppo il destino ha deciso diversamente. Nei primi giorni di aprile sono stato arrestato. Dalla prigione non potevo scrivere. Solo adesso che
mi sono rialzato dal peso della condanna e mi trovo in un
campo di prigionia, posso di tanto in tanto, dopo il duro
lavoro, scrivere agli amici e concedermi l’illusione di un
contatto con alcune persone. È uno dei vizi concessi dal
campo ed anche io vi ho ceduto. E la prego di non meravigliarsi se ancora adesso, in condizioni un po’ eccezionali, sento il bisogno di evadere dai molti terribili problemi e uomini che mi circondano, conversando e meditando sulla poesia. Non so se potrà sembrarle strano, lo faccio timidamente e esitando – e Le propongo uno scambio
di idee sulle varie questioni toccate nel suo articolo sulla
poesia e sui valori lirici. Se solo lei potesse inviarmi un estratto di quell’articolo! Sarebbe per me una immensa
gioia. È questo oramai l’unico modo di preservare o difendere dentro me stesso tutto ciò che nel campo viene
quotidianamente minacciato e si può difendere sempre
più disperatamente. La prego di aiutarmi in questa difficile intrapresa.
La saluto cordialmente e le esprimo la mia stima profonda.
Gustaw Herling Grudziński
Dedico questo saggio a mia madre Lidia Croce nel ricordo della sua traduzione italiana di Un mondo a parte dall’edizione inglese del 1951.
La lettera, conservata in copia nell’archivio di Gustaw Herling, gli fu inviata il 4 dicembre 1990, da una
studiosa che l’aveva trovata nel fondo Ostap Ortwin della
Biblioteca Ossolineum di Leopoli. Un documento eccezionale e non unico della corrispondenza che il prigioniero Herling nel campo di Ercevo riuscì a scrivere dal gulag sovietico, per “concedersi l’illusione di un contatto”
al di là del “mondo a parte” in cui era stato recluso. È la
testimonianza dello sforzo estremo “di preservare o difendere dentro me stesso tutto ciò che nel campo viene
quotidianamente minacciato e si può difendere sempre
più disperatamente”: attraverso la scrittura e il filo di una meditazione che non si era spezzata sulla poesia, sulla
letteratura. Questo filo impercettibile, mantenuto vivo
nella sua coscienza e nella sua mente, espresso nella missiva inviata a Ortwin, noto critico letterario polacco1, ci
riporta – nella biografia di Gustaw Herling - agli anni
Polonia
32
La poesia per sopravvivere nel gulag
samizdat
precedenti la seconda guerra mondiale, dei suoi studi ed
esordi di polonista, e – dopo la duplice invasione nazista
e sovietica della Polonia – alla esperienza nella resistenza e alla breve parentesi del soggiorno a Leopoli e Grodno, prima dell’arresto da parte del NKVD2.
Herling, che nel 1937 iniziò gli studi di polonistica all’Università di Varsavia, fu allievo di Ludwik Fryde:
ris causa all’Università di Lublino nel 1997:
Negli anni degli studi universitari, debuttò come critico letterario e fu redattore di due importanti periodici
della “Gioventù democratica polacca”. Si interessò e ne
scrisse in alcuni saggi, dedicati alla letteratura di argomento popolare-contadino. Vicino alle idee del socialismo che congiungeva i valori liberali con le istanze
sociali, lesse Silone (Fontamara) alla cui sensibilità
sociale si sentì già allora particolarmente vicino. Studiò
le opere di Croce e tradusse in polacco un suo saggio su
Kleist, il cui manoscritto inedito si conserva nell’archivio. Tutto questo accadeva mentre “la guerra era nell’aria” – e una premonizione del cataclisma che si sarebbe abbattuto sull’Europa era presente negli animi di quei
giovani studenti dell’Università di Varsavia; Herling così
ricorda quel periodo nel suo discorso per la laurea hono-
Con lo scoppio della guerra, Herling lasciò Varsavia,
per intraprendere il tragitto da nord verso occidente per
conto della PLAN (Azione popolare polacca per l’indipendenza): una delle prime organizzazioni militari della
resistenza in Polonia che egli aveva contribuito a costituire5. Fra la fine del 1939 e il marzo del 1940, soggiornò a Bialystok, a Leopoli e Grodno, dove fu testimone
della sovietizzazione dei territori polacchi occupati dall’esercito sovietico.
Quando è scoppiata la guerra, avevo vent’anni e due
anni di studi polonistici all’Università di Varsavia. Avevo
anche sul conto aperto della vita “riempito d’inchiostro la
carta” con alcuni piccoli contributi di critica letteraria:
può essere un certo motivo di orgoglio che da studente
diciannovenne avessi scritto con ammirazione su Gombrowicz,
Schulz e Miłosz, e avessi analizzato a fondo i
L’insegnante al quale devo di più nella mia formaziovolumi
di
racconti di Maria Dąmbrowska, con grande
ne, l’ho conosciuto all’Università di Varsavia: era Ludwik
soddisfazione dell’autrice. Tutto sembrava indicare che aFryde, illustre critico letterario. Aveva creato intorno a sé
vrei seguito le orme del mio maestro Ludwik Fryde, uno
un piccolo gruppo di esordienti critici, che veniva chiadei più interessanti critici letterari, insieme a Kazimierz
mato “la scuola di Fryde”. Ci recavamo da lui in un riWyka, della generazione degli anni Trenta; e che forse mi
stretto numero di persone e discutevasarei lasciato tentare dalla cosiddetta
mo insieme diversi libri: ci ha insegnacarriera accademica nel campo della
to l’esercizio della critica letteraria. In
Gustaw
Herling’s
unpublished
polonistica. La guerra ha deciso per me,
una parola, è stato il mio maestro e
così come è accaduto a tutti quei giovaletters from the gulag, edited
anche amico. Durante la guerra fu fucini che avevano concepito progetti di
lato dai tedeschi vicino a Vilna. Ancora
by his daughter Marta and
vita per il loro futuro. Nel mio caso parnel settembre 1939, prima che io stesso
recovered from his archive.
ticolare ha deciso l’Nkvd, troncando
abbandonassi la Polonia, l’ho visto nei
Herling experienced the
brutalmente i miei primi passi nell’eserdintorni di Kocka, che fuggiva in
invasion of Poland by Nazis
cito clandestino. Per due anni – tanto
mezzo a una folla di profughi.
and Soviets, was arrested by
quanto durarono i miei studi polonistici
Purtroppo non ci è stato possibile parlaa Varsavia – il posto di una scrivania
communist
Nkdv
and
re: lui andava in una direzione, e io nelingombra di libri fu sostituito dalle
l’altra. È stata l’ultima volta che ho
imprisoned.
grate delle prigioni di Grodno, Vitebsk
potuto vedere il mio caro maestro,
e Leningrado, e dal filo spinato di un
Ludwiczek3.
campo di lavoro sul mar Bianco4.
Nell’autunno del 1939 mi trovavo a Leopoli: fui profondamente colpito dalla sua straordinaria bellezza, dal
suo fascino, dalla splendida architettura dei suoi edifici,
anche se vi sono rimasto troppo poco, sicché le mie impressioni sono superficiali e un po’ sentimentali. Leopoli
Polonia
La poesia per sopravvivere nel gulag
33
samizdat
era allora sprofondata nell’incubo dell’occupazione
sovietica, mentre io ero completamente assorbito dall’attività clandestina e vivevo in continua tensione poiché
trasportavo armi, documenti, lettere e altro. Soggiornavo
nella cosiddetta Gabrielówka, nella casa dei tranvieri, dal
mio amico Jan Lech, che abitava lì con sua madre. Il soggiorno a Leopoli fu per me molto importante poiché ho
potuto vedere con i miei occhi il poligono degli esperimenti che vi furono condotti di sovietizzazione dell’intelligencjia polacca. Osservavo con molta attenzione i comportamenti dell’ambiente intellettuale, del quale non facevo parte, essendo ancora uno studente: mi ponevo dunque come un osservatore esterno, che non era personalmente e direttamente coinvolto. Ma ricordo con gratitudine l’aiuto che mi diedero Maria Dąbrowska6 e Juliusz
Kleiner7, grazie alla cui mediazione fui accolto nell’Unione degli scrittori, che allora era presieduta da Ortwin8.
Questo fatto mi facilitò la vita, e fu un salvacondotto nei
confronti delle autorità sovietiche, fino a quando scoprirono che l’Unione a cui appartenevo non era la loro, e
cioè quella sovietica, diretta da un commissario politico
di Kiev, certo signor Pancz. Me ne andai da Leopoli con
la piena consapevolezza di come possono comportarsi gli
scrittori polacchi sottoposti alla pressione ideologica del
potere sovietico: questa verità amara l’ho portata dentro
di me per tutta la vita. Da Leopoli mi trasferii a Grodno:
una città che mi è piaciuta molto. Ciò si deve certamente
al fatto che mi inserii benissimo nel gruppo del teatrino di
marionette diretto da Jarema9, nel quale trovai lavoro e
dove, nonostante i tempi terribili, dominava un’atmosfera cameratesca. Nella primavera del 1940 fui arrestato. Le
tappe del mio percorso attraverso l’Unione Sovietica furono Vitebsk, Vologda, Leningrado, Ercevo e altre ancora. Ma questi luoghi del mio “soggiorno”, o meglio della
mia prigionia e martirio, non voglio ricordarli: di essi si
può leggere ciò che ho scritto in Un mondo a parte10.
Quei mesi Herling li ha rievocati in uno scritto inedito conservato nel suo archivio: My Personal Experiences
in Poland and Russia 1939 – 1942, testo di una conferenza tenuta in Birmania nel 195211 . In queste pagine autobiografiche la ricostruzione delle vicende storico-politiche e degli eventi drammatici di quegli anni, si intreccia
con le esperienze vissute. Herling descrive la sovietizzazione dei territori polacchi annessi all’Unione Sovietica,
come “l’esperimento” a cui assistette prima di essere arrestato e deportato nel gulag: il cosiddetto referendum
popolare, manipolato per ottenere il 99% di adesioni a
favore dell’incorporazione di quei territori della Polonia
orientale nella “libera famiglia” della Repubblica Socialista Sovietica; i primi arresti in massa di tutte le categorie della popolazione: membri del governo e dell’esercito, leader politici dei partiti non comunisti (in particolare i socialisti, considerati dalla polizia segreta sovietica
come i nemici numero uno), preti, intellettuali, membri
delle cooperative, ex poliziotti, contadini ricchi (i cosiddetti “kulaki”), negozianti, commercianti, industriali e
proprietari terrieri. Segue poi il tragico destino di quei
comunisti che, non avendo dato la piena e leale adesione
al potere sovietico e alle direttive di Stalin, pagarono le
loro riserve con condanne a dieci anni di prigionia nei
campi di lavoro forzato. Si sofferma su “una delle più tipiche caratteristiche del potere sovietico: la pratica
abominevole di denunciarsi l’un l’altro alla polizia, poiché un buon membro del partito che ha fornito informazioni sul suo amico più vicino diventerà, dopo poco
tempo, una persona sospetta lui stesso”. E conclude
questa prima parte della sua testimonianza con un commento su quanto accaduto durante quei venti mesi del
primo governo sovietico in Polonia: “fra il settembre
1939 e il giugno 1941, i Russi hanno arrestato e deportato nelle regioni più remote del loro paese circa un milione e mezzo di Polacchi, Ebrei, Ucraini e Bielorussi,
che prima dello scoppio della guerra vivevano nei territori orientali della Polonia”12.
Quel momento di sospensione e di passaggio – testimoniato in questo scritto - dal paese della sua infanzia e
giovinezza, dei suoi studi ed esordi di polonista e di cri-
Polonia
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samizdat
tico letterario, al “mondo a parte” del gulag, ha in seguito ispirato le pagine altamente evocative del racconto:
Godzina cieni13 scritto nel 1963 e che si può considerare
come il proemio a Un mondo a parte14.
Nel suo celebre libro edito a Londra nel 1951, la volontà della testimonianza perché “il mondo libero sappia” nasce dalla forza di sopravvivenza del prigioniero
Herling. È questo il messaggio che egli è riuscito, sopravvivendo, a portare al secolo dominato dalle ideologie totalitarie.
Mi chiedo – si legge nel discorso di Lublino del 1997
– se sulle brande delle prigioni e dei campi di lavoro, o
durante il cosiddetto “lavoro correttivo” nel gulag sovietico, mi accadesse di avere fuggevoli lampi di pensieri
sulle mie aspirazioni letterarie. Non è escluso, poiché anche nei momenti più duri in cui si veniva sottoposti a una
sofferenza fisica mortale, mi sforzavo – e lo ricordo bene – di mantenere sempre viva la mia capacità di osservazione, rivolgendola sia verso ciò che mi circondava sia
dentro me stesso. E questo sarebbe la prova del fatto che
inconsapevolmente procedevo come uno scrittore che
“raccoglie materiali” per l’opera che un giorno avrei scritto, se il destino mi avesse consentito di sopravvivere. In
tal modo si era nascosto in me, in una forma molto rudimentale, l’istinto letterario, ma era distante ormai dai miei
interessi degli anni precedenti la guerra. In breve, in qualche luogo profondo della mia coscienza ho lentamente
maturato la mia vocazione di scrittore, abbandonando gli
antichi progetti e propositi15.
La lettera conservata nel suo archivio è una testimonianza – a sessant’anni dalla pubblicazione di Un mondo
a parte – di quei “fuggevoli lampi di pensieri sulle mie
aspirazioni letterarie” e dello sforzo “anche nei momenti più duri in cui si veniva sottoposti a una sofferenza fisica mortale” di “mantenere sempre vivo” il filo di una vocazione che si era espressa negli anni della sua formazione universitaria e della frequentazione dei circoli letterari e delle riviste che avevano caratterizzato la vita culturale di Varsavia. Una vocazione per la letteratura che
corrispondeva alla fede nella sua forza di rappresentazione, di identità e di testimonianza. Lo scrittore che procedeva “inconsapevolmente ‘raccogliendo materiali’ per
l’opera che un giorno avrei scritto, se il destino mi aves-
Foto segnaletica di Gustaw Herling scattata dal NKVD nel 1940
se consentito di sopravvivere”, liberato dal campo nel
marzo 1942 in seguito all’amnistia per i prigionieri polacchi con l’accordo fra Sikorski e Maiskij, tradusse in
scrittura su un piccolo taccuino acquistato fortuitamente
nel cammino che iniziò per raggiungere l’esercito polacco costituito nei territori dell’Unione Sovietica, quegli
appunti segnati a mente, e che a posteriori rappresentano ‘l’embrione’ del suo Mondo a parte, anch’essi oggi
custoditi e ritrovati nel suo archivio.
Della corrispondenza che egli riuscì a intrecciare dal
campo di lavoro di Ercevo è sopravvissuta fino a noi una
busta di lettere che gli furono inviate. Sono lettere di familiari e amici che chiedevano disperatamente notizie di
lui. Per me la scoperta di questa busta ha un valore eccezionale: probabilmente fu consegnata a mio padre insieme ai suoi oggetti personali al momento della liberazione dal campo. Egli l’ha custodita accanto al piccolo taccuino nella sua lunga odissea di soldato e di “pellegrino
della libertà” nell’esercito di Anders e negli anni successivi dell’esilio. Un’altra busta contiene una serie di fotografie scattate da mio padre nei paesi del Medio Oriente,
nei due anni di addestramento militare nel II Corpo dell’esercito polacco costituito dal generale Anders sotto il
comando inglese: sono foto di paesaggi, ritratti di civili e
di soldati, immagini della vita militare dei reduci dalla
prigionia sovietica.
Eravamo – si legge nel discorso di Lublino – un esercito di prigionieri esausti, che si sono curati nel fisico e
nella psiche al sole dell’Iran, dell’Iraq, della Palestina e
dell’Egitto, con la mente rivolta alle prossime battaglie.
L’atteggiamento allora più diffuso fra i soldati, liberati
Polonia
La poesia per sopravvivere nel gulag
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samizdat
Nel suo ultimo scritto, la prolusione tenuta il 12 maggio 2000 per il conferimento della laurea honoris causa
all’Università Jagellonica di Cracovia, due mesi prima
della sua scomparsa, e che si può considerare il suo ‘testamento spirituale’, Herling ritorna sul percorso compiuto nella sua “duplice vita di scrittore”:
dalle prigioni e dai lager in seguito alla cosiddetta “amnistia sovietica”, era il silenzio. Era un modo di guarire digerendo le esperienze che si erano vissute. Il mio silenzio
corrispondeva a un lavoro di rielaborazione mentale sul
futuro libro16.
Si ricompongono così, come i tasselli di un mosaico,
i frammenti della scrittura epistolare e letteraria che Gustaw Herling riuscì a tener viva dentro di sé durante la
prigionia e il successivo pellegrinaggio di “soldato della
libertà” dal gulag agli accampamenti militari in Medio
Oriente, allo sbarco a Taranto, alla permanenza per tifo
in un ospedale inglese di Nocera, alla breve parentesi
della convalescenza trascorsa a Sorrento dove conobbe
Croce e la sua famiglia, fino alla battaglia di Montecassino cui prese parte e fu decorato con l’ordine “Virtuti
Militari”. Con la scelta dell’esilio dapprima a Roma, ancora in uniforme di soldato, e poi a Londra, quei frammenti si tradussero nel ritorno all’attività di pubblicista e
di saggista, e nel suo esordio di scrittore con Un mondo
a parte:
Quando finalmente, dopo la guerra, le circostanze mi
hanno consentito in Inghilterra di sedermi a un tavolo per
scrivere, mi è bastato appena un anno per Un mondo a
parte, scritto quasi senza correzioni. Mantenendo ovviamente ogni debita proporzione, potrei paragonare il mio
caso alla stesura del Gattopardo del principe Tomasi di
Lampedusa; uno straordinario romanzo maturato nella
gravida immaginazione del suo autore per vent’anni,
scritto in una bella copia dalla grafia perfetta nel corso di
neanche un anno. In ogni caso mai più mi è accaduto di
avere questa eccezionale facilità di scrittura. Appartengo
a quegli scrittori che furono chiamati galeotti dal Galeotto
Supremo, Gustave Flaubert17.
Tralasciando i miei primordi letterari all’epoca degli
studi polonistici all’Università di Varsavia, omettendo le
minuzie sparpagliate nella stampa del II Corpo, scritte
sotto le tende dei campi militari nel deserto iracheno o al
fronte nel corso della campagna d’Italia, come scrittore
sul serio sono nato nel campo di prigionia sovietico, e ho
cominciato a realizzarmi dopo la guerra. Subito dopo la
guerra si sono aperti due spiragli per me fondamentali,
che mi hanno condotto nel cuore della letteratura. A Roma, con Jerzy Giedroyc, ho fondato “Kultura”. Poi, mi
sono dedicato alla rapida stesura di Un mondo a parte:
pensato a lungo – o meglio, scritto nella mente – dal momento in cui ho lasciato la Russia fino alla smobilitazione. Su Un mondo a parte dico solo: sono riuscito a congiungere in esso l’atto di condanna dell’oppressione totalitaria con la letteratura. Sono riuscito cioè a realizzare
quel genere di scrittura che ci è stato offerto dai due capolavori di Orwell18.
Sul percorso sintetizzato in questo scritto, dai “primordi letterari” all’Università di Varsavia, alle esperienze vissute, osservate e scolpite nella mente, nei territori
della Polonia occupati dai Sovietici e nel campo di Ercevo, “le minuzie sparpagliate nella stampa del II Corpo”
negli accampamenti militari dall’Irak alla Palestina o al
fronte da Montecassino alla “Linea dei Goti”, fino agli esordi di scrittore in esilio e alla stesura di Un mondo a
parte, altri e inediti documenti si trovano nell’Archivio di
Gustaw Herling, emersi da un primo riordinamento, da
me curato, per il decennio 1942-1951. Ne presenterò una
scelta, che illustra la ricchezza dell’archivio e offre testimonianze nuove sulla sua vita e la sua prima opera di
scrittore.
Il documento più antico, relativo agli anni 1939 –
1944, ci è stato inviato in copia dalla Hoover Institution
della Stanford University ed appartiene al fondo “Wladislaw Anders” della “European Collection”. Si tratta
Polonia
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del documento n. 9945/8: Liberazione del prigioniero
G.H.G. dal campo correttivo di lavoro di Jercewo (Arcangelo-Kargopol) - Reparto n. 2. È datato: 19 gennaio
1942 con protocollo nr. D/127/58 - Amnistia. Ad esso è
allegato il testo manoscritto di Gustaw Herling dal titolo: Risposta all’inchiesta condotta sui prigionieri polacchi
confluiti nell’esercito di Anders, che si riferisce al periodo in cui, fra la fine del 1939 e il marzo del 1940, a Białystok, e poi a Leopoli e Grodno, fu testimone della sovietizzazione dei territori polacchi. Ne citiamo alcuni brani:
Nel mio testo voglio affrontare due questioni meno
note e che meritano una maggiore attenzione. Ritengo
infatti che questa inchiesta si prefigga non solo di confermare i dati sulla politica sovietica nei confronti della Polonia e dei Polacchi, ma anche di arricchirli con particolari nuovi. La prima riguarda le elezioni che si sono svolte il 24 marzo 1940 sui territori polacchi occupati dall’esercito sovietico. All’estero queste elezioni hanno rappresentato un plebiscito spontaneo; per gli abitanti delle
terre orientali hanno rappresentato una scelta formale a
favore dell’Unione Sovietica. Gli elettori che sono stati
condotti alle urne con la forza (è sufficiente dire che a
questa azione hanno preso parte i reparti dell’Armata
Rossa) e che qualora si fossero rifiutati di votare sarebbero stati sottoposti a pene severissime, ricevettero nei seggi
elettorali dei formulari prestampati. Questi formulari,
introdotti nell’urna nella loro forma integra significavano
“a favore di”, mentre se erano segnati o depennati, significavano “contro”. Poiché il voto doveva essere “segreto”, nei seggi furono collocate delle cabine, nelle quali gli
elettori potevano dare la risposta più opportuna al questionario. Poiché già dalle prime ore del mattino si diceva che nelle urne vi era una grande quantità di schede sottolineate, cancellate, o addirittura recanti le scritte:
“Niech żyje Polska” o “Precz z sowieckimi okupantami”,
sono stati adottati i seguenti “democratici” mezzi di prevenzione: a Białystok intorno alle 10.00 del mattino le
“cabine segrete” sono state eliminate; e altrettanto è successo a Grodno verso le 10.30. In questo modo si sono
svolte le elezioni sulle quali il mondo ha appreso – dai comunicati sovietici – che “la popolazione dell’Ucraina e
Bielorussia occidentale” si è pronunziata per il 97% e in
alcuni casi al 99%, a favore dell’Unione Sovietica”; e che
essenzialmente hanno seguito il copione di una squallida
e cinica commedia, che non ha eguali nella storia della
procedura elettorale.
La seconda questione su cui si sofferma riguarda
l’attuazione dell’accordo polacco-sovietico del 1941 e il
modo in cui le autorità sovietiche applicarono l’amnistia
per i prigionieri polacchi.
Sulla sua collaborazione all’attività editoriale del II
Corpo, sono conservati nell’Archivio alcuni articoli che
ora fanno parte dell’ edizione critica della pubblicistica
di Gustaw Herling, degli anni 1935-1946, a cura di Włodzimierz Bolecki per Wydawnictwo Literackie di Cracovia19. Fra gli altri, un profilo biografico di Benedetto Croce (filosofo, studioso di estetica e di storia, scrittore e
politico) che pubblicò su “Orzeł Biały” (1944) e l’estratto di: Guida essenziale della Polonia per i buoni Europei
apparso su “Iridion. Quaderni di cultura polacca” nel
maggio 194520. L’estratto dell’ articolo di Gustaw Herling insieme con quello di Lidia Croce, Mazzini e la Polonia pubblicati in “Iridion” del 1945, sono conservati
nell’archivio in una lettera di Włodzimierz Sznarbachowski, e ci rinviano per una singolare associazione
dei documenti al destino dei loro autori. Alcuni anni dopo
sarà proprio Sznarbachowski, frequentatore abituale della casa di Pollone, in Piemonte, dove Croce trascorreva
le estati con la sua famiglia, a indirizzare Lidia sulle tracce di Gustaw Herling, che dal 1952 si era stabilito a Monaco, dopo la morte della prima moglie Krystyna Stojanowska, e collaborava con Radio Wolna Europa. Di lì a
poco Herling e Lidia Croce si sposarono e da Monaco si
trasferirono a Napoli.
Per gli anni del dopoguerra, i documenti e le testimonianze del soggiorno di mio padre a Roma fra il 1945 e il
1947 sono scarsi, e probabilmente molto è andato disperso; la parte più consistente riguarda invece il periodo di
Londra (1947-1952) e si è conservata nella sua interezza
nella casa di Adam e Lidia Ciołkosz. Dopo la morte di mio
padre essa è stata trasferita a Napoli, consentendoci di
ricomporre nella sua unità l’archivio della sua vita e dei
suoi manoscritti, ora depositato a Palazzo Filomarino.
Del periodo di Londra, accanto alla ricchissima corrispondenza, alla raccolta degli articoli su „Wiadomośći”21, va segnalato il dossier riguardante la prima
edizione di A World Apart, pubblicato da Heinemann nel
1951 con la prefazione di Bertrand Russel e tradotto dal
polacco da Andrzej Ciołkosz. I materiali contenuti in questo dossier sono stati raccolti da mio padre. Ne fanno
parte un corpus di lettere che egli ricevette in occasione
dell’edizione di A World Apart nel 1951, fra le quali: due
lettere del 29 maggio e 25 settembre di Bertrand Russel
(nella prima scrive: “Ho ricevuto il suo libro e ne sono
stato profondamente colpito. Le accludo una breve prefa-
Polonia
La poesia per sopravvivere nel gulag
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samizdat
zione con la quale mi auguro di poter contribuire alla sua
diffusione. Ciò che penso del libro l’ho detto in questa
prefazione. L’ho letto tutto con vivissimo interesse. Dubito che una persona che non ha mai sofferto la tortura
possa leggerlo con una piena compartecipazione psicologica, ma ho fatto del mio meglio”; nella seconda lo ringrazia per la copia del libro appena uscito e aggiunge:
“Dò il mio pieno accordo a far tradurre la mia prefazione e a ristamparla ovunque lei vorrà”); una lettera di
Graham Greene del 21 settembre, scritta appena ricevuto il libro, dalla cui lettura era stato profondamente colpito; una lettera del 22 settembre di Isak Deutscher, che
lo ringrazia del libro: “un’opera di estremo interesse tramanoscritti letterari, la corrispondenza, i materiali biodotta in un inglese eccellente”; una lettera del 26 settemgrafici, autobiografici e di lavoro nonché le registrazioni
bre di Manès Sperber, che ha “letto il libro d’un sol fiato”
audio-visive, le fotografie, gli articoli e i ritagli dei giore come lettore “di tutte le opere fino ad allora edite sui
nali, verranno ordinati e descritti in un data-base. Verrà
campi di lavoro in Russia”, giudica A World Apart “non
realizzata la loro riproduzione digitale finalizzata alla defisolo il libro più esauriente, ma quello scritto meglio”;
nitiva conservazione dell’archivio e
una lettera del 7 ottobre di Artur Koeall’utilizzo in opere editoriali, scientifiche
stler, che lo ringrazia del libro “che ho
e pubblicazioni. Il progetto sarà interapotuto leggere con grande interesse”. Marta Herling
mente finanziato dal Ministero della
Nata a Napoli, si è laureata in Lettere
Queste lettere, insieme alle altre che
Cultura e del Patrimonio Nazionale della
moderne all’Università di Napoli e ha
compongono il prezioso corpus epistoRepubblica di Polonia nell’ambito del
conseguito il titolo di Dottore di ricerca in
lare su Un mondo a parte, arricchiran- “Storia della società europea” con una Programma “Cultura polacca all’eno l’edizione critica del libro, in pro- tesi su: “Storiografia e questione nazio- stero” (priorità:“Tutela del patrimonio
gramma nelle “Opere complete” di nale in Polonia negli ultimi decenni del- culturale all’estero”) e con i fondi della
Herling presso Wydawnictwo Litera- l’Ottocento”; è autrice di saggi e tradu- Biblioteca Nazionale di Varsavia.
ckie di Cracovia.
zioni sulla storia della storiografia e della
Nella Polonia comunista le opere di
Il dossier su Un mondo a parte rac- cultura in Polonia fra Otto e Novecento.
Gustaw Herling, uno dei più eminenti
coglie infine le recensioni e i ritagli di Dal 1988 è Segretario generale dell’Istitu- scrittori polacchi del Novecento, non
stampa sulla prima edizione in inglese to Italiano per gli Studi Storici fondato da poterono esser pubblicate e furono condel 1951, sulla prima edizione polacca Benedetto Croce, con sede a Napoli nel dannate dalla censura a non esistere,
pubblicata a Londra nel 1953, e sulle Palazzo Filomarino; è responsabile dei accessibili solo grazie alla rivista “Kulsuccessive edizioni e traduzioni del programmi di informatizzazione dell’ar- tura” (edita a Roma, poi a Parigi ed elibro. È una mappa della ramificazio- chivio di Benedetto Croce e degli archivi spressione della cultura polacca in esine e diffusione di quest’opera, e del dell’Istituto; coordina l’edizione dei “Car- lio), di cui fu uno dei fondatori e princisuccesso a livello mondiale di Gustaw teggi di Benedetto Croce”. Cura l’archi- pali collaboratori, alle collane editoriaHerling: lo “scrittore testimone del se- vio di Gustaw Herling e le edizioni delle li dell’Instytut Literacki e successivacolo”, come lo definì Andrzej Litwor- sue opere.
mente alle edizioni del circuito clandenia ricordandolo nella sede dell’Acca- Si occupa di organizzazione e promozio- stino. Ricevendo nel 1991 la laurea
demia polacca delle scienze di Roma ne della cultura e di istituzioni culturali, in honoris causa dall’Università di Pozambito cittadino e nazionale, collaborannell’ottobre dell’anno 2000.
nań, Herling affermò con profonda comdo con enti e organismi europei.
* * *
mozione: “Ho cessato di essere uno
L’archivio di Gustaw Herling
scrittore in esilio e sono diventato uno
(Kielce 20 maggio 1919- Napoli 4
scrittore polacco che vive a Napoli.” Il progetto avviato
luglio 2000) è in corso di ordinamento e verrà redatto
con la Biblioteca Nazionale di Varsavia insieme alle
l’inventario informatico ad opera del personale speciaonorificenze che sono state date a Gustaw Herling col
lizzato della Biblioteca Nazionale di Varsavia, in base a
suo ritorno in Polonia dopo cinquant’anni di esilio, le
un accordo di collaborazione per il progetto. I preziosi
lauree honoris causa delle Università di Poznań, Lublino
Polonia
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samizdat
e Cracovia, il conferimento dell’ordine dell’Aquila
Bianca, gli incontri con i lettori, i dibattiti pubblici e i
convegni con gli studiosi della sua opera, le interviste su
quotidiani, riviste e reti televisive, la pubblicazione della
sua opera – testimonia la sua viva presenza nella vita culturale, civile e politica della Polonia e offre la possibilità
di continuare ad arricchire la conoscenza e il dialogo con
lo scrittore.
Herling ha lasciato un patrimonio letterario che comprende non solo le memorie dei due anni di prigionia nel
gulag, il suo celebre Inny ś wiat. Zapiski sowieckie;
un’ampia produzione di saggi critici e pubblicistici, i racconti e il Dziennik pisany nocą (Diario scritto di notte),
ma anche un archivio privato di grande rilevanza, che
conta allo stato attuale dell’ordinamento 20 metri lineari. Gran parte di esso è costituita dalla corrispondenza
che raccoglie tra l’altro le lettere di Lidia e Adam Ciołkosz, Mieczysław Grydzewski, Czeslaw Milosz, Kazimierz Wierzyński, Sławomir Mrożek, Roman Palester,
Jerzy Stempowski, Jozef Wittlin, Aleksander Wat e naturalmente del gruppo della rivista “Kultura”: da Jerzy
Giedroyć a Zofia e Zygmunt Herz, Konstanty Jelenski,
Józef Czapski. Si è conservata una parte significativa dei
manoscritti e dattiloscritti letterari, in particolare degli
anni ’50 e dalla fine degli anni ’70 al 2000. Completano
l’archivio le fotografie, i materiali di lavoro, gli articoli
pubblicati su giornali e riviste, la collezione di ritagli di
stampa e recensioni delle opere, in un arco cronologico
che va dal 1942 al 2000. A partire da questa data viene
aggiornato il settore della bibliografia delle nuove edizioni, delle ristampe e delle recensioni degli scritti di
Herling, in Polonia e in altri paesi.
Con l’intervento del Ministero della Cultura della
Repubblica di Polonia, questo patrimonio di testi letterari e di documenti che appartengono alla storia della
Polonia, dell’Italia e dell’Europa fra gli anni Trenta del
Novecento e il 2000, con propaggini che si estendono
all’ex-Unione Sovietica, alla Russia e agli Stati Uniti,
verrà reso disponibile alla comunità scientifica e contribuirà alla costruzione di quella coscienza comune dell’Europa e dei suoi valori liberali e democratici risorti
dopo l’89. Le pagine italiane dell’archivio, con testimonianze di scrittori e intellettuali, da Silone a Chiaromonte, Flaiano, Cristina Campo, Traversi, Bettiza, di esponenti politici, da Saragat a Carlo Ripa di Meana, Francesco Compagna, Giovanni Spadolini, illuminano il percorso e le voci del dissenso e della critica ai regimi totalitari dell’est-europeo, nei loro intrecci ancora inediti, con
la resistenza operante in quei paesi e con la diaspora dell’emigrazione polacca dopo Yalta, e aprono prospettive
di studio e di ricerca ancora da esplorare.
1) Cfr. infra n. 7.
2) L’Nkvd: Narodnyj komissariat vnutrennych del (Commissariato del popolo per gli affari interni).
3) G. HERLING, Breve racconto di me stesso, a cura di M. Herling, Napoli, l’ancora del
mediterraneo, 2001, pp. 14-15.
4) G. HERLING, Essere e scrivere, in: Il pellegrino della libertà, a c. di M. HERLING, Napoli,
l’ancora del mediterraneo, 2006, pp. 123- 24.
5) Herling, autore del nome di questa cellula della resistenza, fu capo del suo stato maggiore e collaborò alla stesura del programma e alla redazione dei primi due numeri del
giornale clandestino “Biuletyn Polski”, che veniva stampato in ciclostile e diffuso a
mano “per combattere con la penna per la nostra perduta indipendenza nazionale”.
6) Maria Dąbrowska (1889-1965), scrittrice, si affermò con la raccolta di novelle e racconti Ludzie stamtąd (1925, ed. it., Erbe selvatiche. Gente di là, Milano, Feltrinelli, 1961),
dedicata alla vita e alle sofferenze del proletariato delle campagne; e poi con il romanzo
in quattro volumi, Noce i dnie (Le notti e i giorni, 1923-24), saga di due generazioni di
una famiglia polacca negli anni bui dal 1880 al 1914.
7) Juliusz Kleiner (1886-1957), storico e teorico della letteratura, è autore di saggi fondamentali sulla letteratura polacca del romanticismo. Dal 1916 al 1920 ha insegnato all’Università di Varsavia, e dal 1920 al 1941 ha tenuto la cattedra di storia della letteratura polacca all’Università di Leopoli.
8) Ostap Ortwin (1876-1942), critico letterario e teatrale, fu tra le due guerre uno dei più
attivi organizzatori della vita culturale a Leopoli, dal 1922 membro del consiglio e dal
1934 presidente dell’Unione degli scrittori polacchi di questa città. Con lo scoppio della
guerra rimase a Leopoli: arrestato dai Tedeschi morì in circostanze ignote.
9) Władisław Jarema (1896-1976), regista di teatro e attore, nel 1939-41 diresse il Teatro
polacco di marionette a Grodno, dove Herling trovò lavoro (ritagliava dai fogli di compensato i pezzi per costruire le marionette), cosa che “gli consentì di essere legittimato
nei confronti delle autorità sovietiche e di ricevere i buoni per un pasto caldo”.
10) G. HERLING, Breve racconto, cit., pp. 29-30.
11) Si tratta di una delle “conferenze sulla Russia e il comunismo”, che mio padre ha tenuto durante il suo viaggio in Birmania (13 maggio-4 giugno 1952) su invito del Congresso per la libertà della cultura di Parigi e del giornale “Bama Khit”: cfr. G. HERLING,
Podróz do Burmy. Dziennik (“Wiadomości”, 1952-53), London, Puls, 1983. La trad.
it.: Le esperienze che ho vissuto in Polonia e in Russia è in G. HERLING, Il pellegrino
della libertà. Saggi e racconti, a c. di M. HERLING, Napoli, l’ancora del mediterraneo,
2006, pp. 27-37.
12) Ibid., p. 28.
13) G. HERLING, Godzina cieni (1963), trad. it. L’ora d’ombra, in: Il pellegrino della libertà, cit., pp.15-26.
14) G. HERLING, A World Apart: a Memoir of the Gulag, London, Heinemann, 1951; Ia ed.
polacca: Inny ś wiat. Zapiski sowieckie, London, Gryf Publications LTD, 1953. Per
l’edizione italiana cfr: Un mondo a parte, Milano, Feltrinelli, 1994, 2010.
15) G. HERLING, Essere e scrivere, cit. p. 124.
16) Ivi, p. 125.
17) Ibid.
18) G. HERLING,, La mia “duplice vita di scrittore”, in: Il pellegrino della libertà, cit., pp.
135-36.
19) G. HERLING-GRUDZINSKI, Dzieła zebrane, tom 1: Recenzje, szkice, rozprawy literackie
1935-1946, Kraków, Wydawnictwo Literackie, 2009, pp. 752.
20) Già pubblicato nel febbraio 1944 in “Aretusa” la rivista diretta da Elena Croce e da
Francesco Flora: è il suo primo scritto edito in Italia, ora in: Tre scritti di Gustaw
Herling, a c. di M. Herling, “Annali del Centro Pannunzio”, XXXII, 2001, pp. 49-54.
Cfr. per le discussioni che suscitò fra i frequentatori di Villa Tritone a Sorrento e l’attenzione che gli rivolse Croce dopo “l’uscita del numero della rivista”: G. HERLING,
Villa Tritone. Interludio bellico in Italia (“Wiadomości”, 1951) in Il pellegrino della libertà, cit., pp. 39-53, e la sua testimonianza in Elena Croce e il suo mondo. Ricordi e
testimonianze, Napoli, CUEN, 1999, p. 125.
21) Ora in G. HERLING-GRUDZINSKI, Dzieła zebrane, tom 2: Recenzje, szkice, rozprawy
literackie 1947-1956, Kraków, Wydawnictwo Literackie, 2010, pp. 666.
39
samizdat
Polonia
Sei mesi di presidenza polacca
all’Unione Europea
Wojciech Ponikiewski
Ambasciatore della Repubblica di Polonia
presso la Repubblica Italiana,
la Repubblica di San Marino e
la Repubblica di Malta
I
l primo luglio 2011 la Polonia ha assunto la presidenza
del Consiglio dell’UE; è il quarto paese tra i nuovi stati
membri ad avere l’onore di detenere la Presidenza
dell’UE. In realtà, siamo entrati a far parte dell’Unione
Europea sette anni fa, non siamo quindi più così “nuovi”
come suggerisce l’opinione comune; continuiamo, tuttavia, a essere pieni di entusiasmo e di volontà di attuare
cambiamenti rimanendo consapevoli che quelli più radicali sono di regola difficili da realizzare e che l’Unione di
27 paesi è un meccanismo che diventa sempre più complesso. Prendiamo in considerazione il contesto, cioè i
cambiamenti istituzionali apportati dal Trattato di
Lisbona che ha cambiato il ruolo delle presidenza e le
diverse crisi che stanno minacciando il nostro continente.
Nel 2010 sono comparsi sulla scena nuovi attori: il
Presidente del Consiglio Europeo e l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune
(PESC). La presidenza di turno non presiede più né il
Consiglio Europeo, né il Consiglio degli Affari Esteri
(FAC). Malgrado ciò, la presidenza ha un ruolo importante, in quanto si concentra sul Consiglio per gli Affari
Generali e sui consigli settoriali che danno il loro contributo alle conclusioni del Consiglio Europeo. Essa deve
inoltre svolgere il ruolo di mediatore tra gli stati membri
e le istituzioni dell’UE e fare da guardiano dell’equilibrio
istituzionale. Il primo ministro del paese che detiene la
presidenza svolge un ruolo rilevante nei rapporti con il
Presidente del Parlamento Europeo e con il Presidente del
Consiglio Europeo, influendo sulla programmazione dell’agenda europea; ed è proprio lui il principale attore, in
quanto dirige i lavori del Consiglio dell’UE e coordina il
lavoro dei ministri, i quali, a loro volta, presiedono i consigli settoriali.
Gli stati membri, in particolare la presidenza, dovrebbero partecipare attivamente al processo della formazione delle posizione comune anche nell’ambito della PESC1
Ovviamente la baronessa Ashton non può trovarsi nello
stesso momento in luoghi diversi, è quindi naturale che il
ministro del paese che detiene la presidenza le sia di supporto.
La presidenza della Polonia ha inizio nel momento in
cui l’Ue starà ancora fronteggiando le conseguenze della
crisi finanziaria internazionale che ha indebolito lo stato
delle finanze pubbliche di alcuni paesi europei e, di conseguenza, anche la valuta europea. Dobbiamo ovviamente
far fronte anche ad altre crisi che sorgono all’improvviso,
come quella nella sponda Sud del Mediterraneo. Tutto ciò
non deve tuttavia indebolire la volontà di portare avanti il
processo del rafforzamento del ruolo dell’UE nel mondo.
Vogliamo che l’UE diventi un vero protagonista globale,
conformemente al suo potenziale economico e demografico e al volume degli aiuti allo sviluppo che destina ai paesi
terzi. Nei confronti delle crisi di natura diversa la presidenza polacca vuole concentrarsi su tre punti fondamentali: l’integrazione europea come fonte di crescita economica, un’Europa più sicura e il vicinato stabile.
Il Consiglio Europeo del 24 marzo ha approvato i
cambiamenti del trattato che permetteranno l’introduzione del Meccanismo Europeo di Stabilizzazione il quale,
sin da giugno 2013, sostituirà gli attuali strumenti e meccanismi di stabilità finanziaria, nonché l’introduzione di
un meccanismo permanente di salvataggio per i paesi con
deboli condizioni finanziarie. La prospettiva delle ratifiche è buona: ci rende ottimisti il fatto che i paesi membri
abbiano scelto la procedura semplificata per introdurre i
cambiamenti al trattato. Lo stesso vertice ha inoltre ap-
Polonia
Sei mesi di presidenza polacca alla UE
40
samizdat
provato il cosiddetto Patto per l’euro che mira a rafforzare e risanare la situazione finanziaria dei paesi europei
tramite il coordinamento delle politiche fiscali e pensionistiche, delle misure per promuovere l’innovazione e di
quelle per diminuire il debito pubblico. In vista del suo
futuro ingresso nella zona euro, la Polonia ha deciso di
aderire al Patto. Riteniamo che il nuovo Patto possa dare
una spinta verso una ancora più approfondita integrazione economica; auspichiamo, però, che non vengano esclusi dal processo decisionale i paesi membri che non
hanno ancora adottato la moneta unica.
Se l’Europa vuole comunque risultare competitiva su
la Polonia potrà svolgere soltanto il ruolo di moderatore
scala globale, non può rimanere concentrata unicamente
che cerca un compromesso e un’accelerazione dei lavori.
su come risparmiare e ripianare i debiti. Siamo convinti
L’elemento principale della politica degli investimenti
che sia arrivato il momento di passare alla prossima tappa
dell’UE è, e dovrebbe rimanere, la politica di coesione
e elaborare un nuovo modello di crescita. Il rafforzamenche serve alla realizzazione della strategia Europa 2020.
to della crescita dovrebbe avvenire tramite lo sviluppo del
Non è un mistero che la Polonia dia molta importanza al
mercato interno, l’utilizzo mirato del
mantenimento di un livello adeguato
budget dell’UE, nonché tramite la ricerdella politica di coesione. Grazie alla
The polish ambassador in
ca e la creazione di nuovi mercati di
membership nell’UE la Polonia ha avuItaly, San Marino and Malta
sbocco per l’UE, anche attraverso
to la possibilità di usufruire di ingenti
describes
the
main
goals
of
negoziati commerciali nell’ambito del
mezzi finanziari provenienti dai fondi
WTO.
his country as President of UE: europei che hanno agevolato un dinaLa presidenza polacca chiederà il
mico sviluppo delle infrastrutture straeuropean integration as
rafforzamento del mercato interno UE,
dali, incluse quelle necessarie per ospisource of economic growth,
che contiene in sé un potenziale inutitare il campionato di calcio Euro 2012.
security policy and
lizzato per la crescita. Attendiamo lo
Non si potrà crescere economicapartnership with all
sviluppo del cosiddetto Single Market
mente senza garantire la sicurezza. Ci rimediterrenean countries.
Act, cioè del pacchetto di direttive da
feriamo soprattutto alla sicurezza enerBesides,
market
integration
parte della Commissione relative al rafgetica, al rafforzamento della Politica di
forzamento del mercato unico. RibaSicurezza e Difesa Comune (PSDC) e
and financial liberalizations.
diamo la necessità di un ulteriore svialla gestione più attenta delle frontiere.
luppo dei servizi telematici. A tale fine
La posizione dell’UE nei confronti dei
intraprenderemo gli sforzi per abolire le barriere nel comprincipali esportatori delle risorse energetiche e dei paesi
mercio elettronico, come, ad esempio, gli ostacoli alle
di transito potrebbe essere decisamente più ferma. Dal
transazioni on-line transfrontaliere e le alte tariffe di roanostro punto di vista il rafforzamento della politica enerming. Ci concentreremo, inoltre, sull’avvio di un dibattigetica estera riveste un’importanza fondamentale. Le
to su una più profonda liberalizzazione dei servizi e sui
conclusioni del Consiglio Europeo del 4 febbraio 2011
regolamenti nel settore finanziario.
hanno posto le basi per un quadro giuridico relativo alle
A giugno è stato pubblicato il comunicato della
concorrenza e alla non discriminazione delle imprese che
Commissione sul Quadro Finanziario Pluriennale per gli
operano nel settore dell’energia. Tali indicazioni costituianni 2014-2020 che darà vita a un intenso dibattito sul
scono la base dei lavori del Consiglio TTE, nell’ambito
futuro bilancio dell’UE. In tempi di crisi esso dovrebbe
del quale vorremmo analizzare lo stato della politica ediventare uno strumento d’investimento al fine di contriunergetica estera dell’UE, nonché accelerare i lavori sulla
buire allo sviluppo economico dell’UE. È chiaro che nel
nuova strategia energetica per il prossimo decennio. Auperiodo della nostra presidenza nei negoziati sul bilancio
spichiamo che nell’ambito del dibattito si possa arrivare a
Polonia
Sei mesi di presidenza polacca alla UE
41
samizdat
dei meccanismi che garantiscano una solidale e competitiva politica energetica esterna. Speriamo di rafforzarla in
modo concreto, sia sotto forma di pacchetti legislativi che
realizzando progetti infrastrutturali.
La Polonia dà molta importanza allo sviluppo della
Politica Comune di Sicurezza e Difesa. Insieme all’Alto
Rappresentante, mireremo ad aumentare l’efficienza
dell’UE nell’ambito della gestione delle crisi e della collaborazione tra gli stati membri nel settore della difesa,
nonché a rafforzare i rapporti UE-NATO. Sono questi i
temi su cui verteva la lettera congiunta dei ministri degli
esteri della Polonia, Francia e Germania firmata nel dicembre 2010.
Il 4 maggio è stato pubblicato il comunicato della
Commissione sulla gestione delle frontiere e dei flussi
migratori. Il documento ci chiede di fare un ulteriore sforzo nei lavori del Consiglio GAI. Se non fossero ancora
terminati, la presidenza polacca cercherà di portare a conclusione i lavori sulla modifica del regolamento sull’Agenzia Frontex al fine di consolidare e rafforzare le sua
capacità di reagire e di dare sostegno ai paesi membri in
situazioni di crisi, come quelle di cui siamo testimoni
nell’Africa del Nord.
Non possiamo garantire la sicurezza allo spazio europeo dimenticando i nostri vicini. Il benessere delle società dell’UE dipende non solo dalla situazione interna, ma
anche dai rapporti con i paesi terzi e dalla situazione fuori
dall’UE. Siamo chiaramente preoccupati dalla crisi libica.
Ci auguriamo che il processo di transizione democratica
in Egitto e in Tunisia venga avviato con successo e prosegua senza interruzioni. L’UE deve sostenere i cambiamenti positivi nel vicinato meridionale, adottando una
strategia per la sponda Sud del Mediterraneo. L’Italia è un
paese che vanta una significativa esperienza in materia
pertanto vorremmo invitare gli esperti italiani a contribuire più attivamente al dibattito sull’Africa settentrionale e
sul Vicino Oriente. Per dicembre 2011 è prevista a Varsavia una conferenza dedicata al sostegno dei processi di
trasformazione nei paesi del Nord Africa. Grazie alle proprie esperienze nella trasformazione politica e economica, la Polonia può dare un importante contributo al dibattito e essere di supporto ai nuovi governi africani. Dobbiamo comunque evitare la situazione in cui paesi arabi
possano pensare a una nuova ingerenza dell’Europa nelle
loro questioni interne. Riteniamo che debba essere instaurato un dialogo solamente con i governi che rispettano i
diritti fondamentali e le libertà democratiche.
Dobbiamo quindi dialogare con i nostri partner meridionali, evitando allo stesso tempo di ridurre il sostegno
europeo per la dimensione orientale della nostra politica
del vicinato. La Polonia in concerto con l’Alto Rappresentante promuoverà il Partenariato Orientale2 . Nel corso
della nostra presidenza vorremmo porre l’attenzione sull’avanzamento delle attività nei confronti di Armenia,
Azerbaigian, Belarus, Georgia, Moldova e Ucraina, che
fanno parte del Partenariato. Nelle relazioni con i vicini
orientali perseguiremo l’obiettivo di raggiungere nuovi
accordi associativi e di progredire nella liberalizzazione
dei visti. Per quando concerne l’Ucraina mireremo a un
rafforzamento della collaborazione economica attraverso
la cosidetta deep and comprehensive free trade area,
mentre per quanto riguarda il Belarus seguiremo con attenzione lo sviluppo della situazione, compresa la repressione dell’opposizione politica3 , cercando di sostenere la
società civile in questo paese.
La Polonia tiene molto alla continuazione del processo di allargamento. Ė una questione che interessa anche
l’Italia. Vogliamo che quest’anno si arrivi a firmare il trat-
Polonia
Sei mesi di presidenza polacca alla UE
42
samizdat
tato di adesione con la Croazia. I rimanenti paesi balcanici si trovano in diverse fasi del processo di allargamento:
nei loro confronti consideriamo opportuno mantenere la
prospettiva europea. Speriamo inoltre che si arrivi a un
visibile progresso dei negoziati con l’Islanda. Per mantenere la credibilità dell’Unione, crediamo sia giusto mantenere una buona dinamica dei negoziati con la Turchia.
Un tema importante con cui dovremmo misurarci è la
questione della rappresentanza dell’UE nel mondo. L’UE
non è ancora vista dai paesi extraeuropei come un soggetto nelle relazioni internazionali. Comunque l’azione di
lobbying svolta da mesi a New York ha portato un grande
successo: l’Assemblea Generale ha approvato la risoluzione sullo status dell’UE nell’ONU. L’entrata in vigore della
risoluzione conicinde con la 66esima sessione dell’Assemblea Generale, cioè durante la presidenza polacca.
Avremo quindi l’opportunità di sottolineare la soggettività dell’UE nell’ambito della comunità internazionale.
Gli intensi preparativi per la presidenza sono in atto
già dall’inizio del 2009. Da quel momento siamo riusciti
a formare oltre mille funzionari del cosiddetto Corpo per
la presidenza, a preparare il calendario degli incontri e a
delineare le priorità politiche. L’assunzione della presidenza rappresenta inoltre una sfida in termini di logistica
e di organizzazione. Alcune riunioni informali di ministri,
gruppi e comitati di lavoro saranno organizzate in Polonia. Ne sono previste circa 150 e si svolgeranno sia nella
capitale sia in altre città come Cracovia, Poznań, Breslavia e Sopot.
Una modifica rilevante introdotta dal Trattato di Lisbona, relativa alla presidenza nel Consiglio UE, riguarda la pianificazione e la realizzazione dei compiti in cicli
di diciotto mesi. Tale sistema permette una maggiore sinergia tra i programmi semestrali e impone una definizione razionale delle priorità. Pertanto la Polonia si trova a
condividere la responsabilità per l’agenda europea nel
corso non solo di sei, ma dei successivi diciotto mesi,
quando la presidenza sarà tenuta dai paesi con cui condividiamo i compiti, cioè dalla Danimarca e da Cipro.
1) Un esempio di atteggiamento attivo può essere l’intervento dei ministri
degli affari esteri di Polonia, Italia, Ungheria e Francia grazie al quale la
questione del rispetto della libertà religiosa è stata introdotta all’inizio di
quest’anno nell’agenda del FAC. Anche se le conclusioni adottate a tale
proposito sono state più modeste rispetto alle aspettative, questo ci è servito per ricordare che non dovremmo lasciare tutta la responsabilità all’Alto Rappresentante.
2) Originariamente proposto nel 2008 dai ministri Radosław Sikorski e Carl
Bildt.
3) La conferenza “La Solidarietà con il Belarus” del 2 febbraio 2011 ha portato risultati positivi: i partecipanti hanno stanziato 87 milioni di euro per
sostenere e incoraggiare la società civile di questo paese.
43
samizdat
Lettonia
Lettonia, nel cuore della mafia russa
L
Andrea Colombo
a Lettonia, considerata per molti anni la tigre del
Baltico, non graffia più da tempo. A una prima impressione, passeggiando per la splendida Riga rimessa a nuovo,
una delle più belle capitali del Nord Europa, sembrerebbe proprio che il miracolo non si sia fermato. Le strade
sono sempre pulite, i bar aperti e pieni di turisti e locali
soggiogati dai Cavalieri Teutonici, passarono in maggiovestiti all’ultima moda, la bellezza delle ragazze non
ranza al credo riformato di Lutero, anche se resiste un’enpassa inosservata, quella dei palazzi antichi e riverniciati
clave cattolica nella regione, poverissima, ex distretto indi recente neanche. Eppure, osservando con più attenziodustriale, del Latgale, ai confini con la Bielorussia.
ne, si nota più di una crepa nel Paese che, fra gli anni NoLa Lettonia poi deve scontare la presenza nel suo tervanta e gli inizi del Duemila, aveva rappresentato la rinaritorio di una consistente minoranza russofona (più del
scita dei piccoli Stati satellite del colosso sovietico.
30% che in alcuni centri urbani maggiori arriva a sfioraDa un punto di vista geopolitico i tre Stati baltici,
re il 50%). Con l’indipendenza i padroni di ieri si sono ridopo il collasso dell’Urss, hanno seguito destini diversi.
trovati, dall’oggi al domani, cittadini di serie B. Costretti
La Lettonia è subita entrata nella sfera
a imparare la difficile lingua lettone,
di influenza svedese, come la Lituavisti con sospetto, relegati nelle perinia. Stoccolma è uno dei principali inferie, condannati alla povertà e alla
The russian mafia is quickly
vestitori, insieme alla Germania. Ma il
disoccupazione, molti russofoni handeveloping throughout the
passaggio dall’economia pianificata a
no trovato in attività criminali, collecountry, and menacing the
quella di mercato in Lettonia è avvegate con la madrepatria d’origine, la
nuto in modo molto più traumatico Latvian democracy itself. A travel loro possibilità di uscire dal ghetto e
inside the underground world ot
rispetto alla Lituania, creando non podi riscatto. Non è difficile vedere girachi scompensi a livello sociale. L’Ethe Slavic minority, dealing with
re per il centro di Riga macchinoni
stonia invece è riuscita a crescere cocon i vetri oscurati e i tipici elementi
prostitution in night clubs and
stantemente e a svilupparsi sorprenda mafia russa circolare fra i club e i
many financial activities.
dentemente (soprattutto nel settore
bardi lusso, spesso gestiti dal crimine
In the meantime, the economic
high tech) grazie al consistente suporganizzato. Nei night e strip tease
global crisis is eroding the basis
porto finlandese. Gli estoni d’altronde
club è facile incappare in truffe a danof the “Latvian miracle”, and
sono per etnia, lingua e cultura relini di ignari turisti, attratti dalle bellezprepares an age of wide spread
giosa molto simili ai finlandesi. Non
ze femminili del posto: non si contacosì i lituani e lettoni, gli unici due
insecurity.
no casi di clonazioni di carte di credipiccoli popoli del mondo che apparto e soprattutto di richieste di conti al
tengono al ceppo linguistico indoeudi là del bene e del male, con relative
ropeo baltico. I lituani furono l’ultima “tribù” europea a
minacce del personale addetto alla sicurezza se si rifiuta
convertirsi al cristianesimo, e ancora oggi mantengono
di sborsare cifre pazzesche anche per un semplice cockmolti elementi di paganesimo nella loro religiosità, che
tail. Le ambasciate hanno diramato vari comunicati su
pur formalmente è cattolica romana. I lettoni, a lungo
questa situazione, le strade del centro storico sono costan-
Lettonia
Lettonia, nel cuore della mafia russa
44
samizdat
temente pattugliate dalla polizia che protegge i turisti da
borseggi e ubriaconi, ma la piaga della truffa nei night
club continua a gettare una luce sinistra sulla città. Gran
parte di queste attività notturne, ottime per riciclare denaro sporco, sono ovviamente gestite dalla mafia locale di
lingua russa, così come tutte le ragazze coinvolte nei giri
di prostituzione provengono da quell’ambiente. Non troverete quasi mai una vera lettone in questi circoli ambigui.
I nomi più importanti del crimine organizzato locale, le
famiglie Lavent e Leskov, erano strettamente legati al pavissuto, dai lettoni, come un’interminabile occupazione
drino russo Vyacheslav Ivankov, meglio conosciuto con il
russa, con i gerarchi del regime che utilizzavano le belle
soprannome di Yaponchik, assassinato nel 2009. Atspiagge di Jurmala sul Baltico per le loro vacanze dorate,
tivissimi nelle attività finanziarie, nel 1995 i Lavent fondamentre il popolo si arrabattava fra le ristrettezze e i conrono la Banka Baltiya. Intanto Leskov investiva neltrolli polizieschi.
l’istituto di credito rivale Olympia. Tra i nomi più attivi
Oggi i controlli polizieschi “sovietici” ovviamente
della mafia locale, tutti russi, Ivan Hartinov e Bosri
non esistono più, sono un ricordo del passato. Ma rimanRaigorodski. Entrambi gestori di palestre di boxe, da cui
gono le ristrettezze. Dopo gli anni del boom, il Paese è
reclutavano gli uomini della sicurezza addetti ai lavori
precipitato in una recessione senza precedenti. Con sti“sporchi”, si sono specializzati in attività quali il mercato
pendi che, per gli impiegati di alto livello, vanno dai 500
della droga e soprattutto il riciclaggio di denaro sporco, una
ai 600 euro al mese, uno Stato sociale smantellato, molte
piaga che dilaga nel Paese, tanto da essere “attenzionato”
banche fallite e il caro vita che avanza, molti lettoni si
in tal senso dagli organismi internazionali e dal diparsono ritrovati, improvvisamente, in una condizione di potimento di Stato statunitense. I mafiosi russofoni sono riuvertà. Il Pil è sceso drammaticamente negli ultimi anni,
sciti non solo ad inserirsi nel settore bancario, ma anche
da 27 milioni di dollari nel 2007 ai 25 milioni di dollari
nelle istituzioni del Paese, che sono caratdel 2010. In una situazione vicina al
terizzate da un alto tasso di corruzione
default, per abbassare le spese per i saAndrea Colombo
che, anche se non paragonabile a quello
lari, il governo ha ridotto del 15% gli
giornalista di “Libero”; conoscitore
della “madrepatria” moscovita, tuttavia
stipendi degli impiegati con un reddito
dei Paesi del Nord ed Est Europa, è
rendono la Lettonia particolarmente a
lordo superiore ai 480 euro al mese e
autore del saggio “Il Dio di Ezra
rischio per gli investitori stranieri.
soppresso le indennità. Il tasso di diPound” (ed Ares).
In questo contesto non deve stupire
soccupazione è schizzato al 23%.
quindi il sentimento antirusso che serAncora una volta può essere la
peggia fra gran parte della popolazione
Scandinavia, e in particolare la Svezia,
lettone. Come è stato riportato, non senza sconcerto, da
l’ancora di salvataggio della Lettonia. In una recente visivari organi di stampa internazionali, a Riga ogni anno sfita il premier di Stoccolma, Fredrik Reinfeldt, ha detto:
lano i veterani ancora sopravvissuti delle Waffen Ss letto“La Lettonia è un partner affidabile”. L’ombrello della
ni, considerati dei patrioti e degli eroi che hanno combatSvezia e della Ue per ora tiene, ma ancora per quanto?
tuto contro il mostro sovietico. Per non dimenticare gli
orrori del comunismo, che per i lettoni è sinonimo di russificazione forzata, nella periferia di Riga, l’ex carcere del
Kgb è diventato un suggestivo museo, il Karostas Cietums, dove il visitatore può anche dormire la notte, in una
delle celle che venivano usate per gli oppositori politici.
Tanto per gustare il brivido di trovarsi ancora nelle mani
degli aguzzini sovietici. Il lungo periodo sovietico è stato
45
samizdat
Ungheria
Costituzione,
la sfida ungherese alla Ue
Pubblichiamo di seguito il preambolo alla nuova
Costituzione d’Ungheria, che tante polemiche sta provocando in ambienti intellettuali europei, dove viene accusata di spirito illiberale, oscurantistico e nazionalistico.
Ma è realmente così? La traduzione italiana è di Federigo Argentieri, che la commenterà nel prossimo numero della rivista. A seguire, il testo completo in inglese
della Carta Fondamentale.
È interessante notare come la fonte d’ispirazione ungherese sia molto lontana dalla vulgata progressista europea, là dove cita espressamente il cristianesimo come valore fondante della nazione; o dove equipara le tragedie
storiche del nazionalsocialismo e del comunismo. Il
matrimonio (fra uomo e donna) non contempla altre
varianti; il divieto di ogni discriminazione in base alla
razza, al sesso eccetera, non menziona l’orientamento
sessuale. Si dichiara che la vita inizia nel grembo materno e viene protetta fin da allora.
Preambolo (Professione di fede) della costituzione
(legge fondamentale) ungherese.
Noi, membri della nazione ungherese, all’inizio del
nuovo millennio, con responsabilità verso ogni ungherese, dichiariamo quanto segue:
Siamo fieri che mille anni fa il nostro re Santo
Stefano abbia posto lo stato ungherese su basi solide e
reso la nostra patria parte dell’Europa cristiana.
Siamo fieri dei nostri antenati combattenti per la
sopravvivenza, la libertà e l’indipendenza del nostro
paese.
Siamo fieri delle magnifiche creazioni intellettuali
degli ungheresi.
Siamo fieri che il nostro popolo nelle sue lotte attraverso i secoli abbia difeso l’Europa e con la sua capacità
e assiduità ne abbia accresciuto gli interessi comuni.
Riconosciamo il ruolo svolto dal cristianesimo nel
conservare la nazione. Apprezziamo le diverse tradizioni
religiose del nostro paese.
Promettiamo di custodire l’unità intellettuale e spirituale della nostra nazione, fatta a pezzi dalle tempeste del
secolo trascorso. Le nazionalità che vivono con noi sono
Ferenc M.
parti della comunità politica ungherese e fattori costitutivi dello stato.
Ci impegniamo a curare e proteggere il nostro retaggio, la nostra lingua a sé stante, la cultura ungherese, la
lingua e la cultura delle nazionalità d’Ungheria, i valori
dati dalla natura e creati dagli uomini nel bacino dei
Carpazi. Abbiamo delle responsabilità nei confronti dei
posteri, perciò difendiamo le condizioni di vita delle
generazioni successive con l’uso ponderato delle nostre
sorgenti materiali, intellettuali e naturali.
Crediamo che la nostra cultura nazionale rappresenti
un ricco contributo all’unità multicolore dell’Europa.
Rispettiamo la libertà e la cultura degli altri popoli,
aspiriamo alla collaborazione con tutte le nazioni del
mondo.
Dichiariamo che la dignità umana è la base dell’esistenza.
Dichiariamo che la libertà individuale può svilupparsi solo collaborando con gli altri.
Dichiariamo che i contesti più importanti della nostra
coesistenza sono la famiglia e la nazione, i valori fondanti della nostra solidarietà sono la lealtà, la fede e l’amore.
Dichiariamo che il lavoro, il rendimento dello spirito
umano sono la forza della comunità e la base della reputazione di ogni persona.
Dichiariamo l’obbligo di aiutare gli emarginati e i poveri.
Dichiariamo che lo scopo comune del cittadino e
dello stato è il conseguimento del benessere, della sicurezza, dell’ordine, della verità, della libertà.
Dichiariamo che il potere popolare esiste solo laddove lo stato serve i suoi cittadini, amministra equamente,
Ungheria
Costituzione, la sfida ungherese alla Ue
46
samizdat
senza abusi o parzialità.
Nutriamo rispetto per le conquiste della nostra costituzione storica e per la Santa Corona, che incarna la continuità dello stato costituzionale d’Ungheria e l’unità della nazione.
Non riconosciamo la sospensione della nostra costituzione storica conseguente alle occupazioni straniere.
Contestiamo la prescrizione dei crimini inumani commessi sotto il dominio delle dittature nazionalsocialista e
comunista contro la nazione e i cittadini ungheresi.
Non riconosciamo la costituzione comunista dell’anno 1949, perché base di un potere tirannico, perciò ne
proclamiamo l’invalidità.
Concordiamo con i rappresentanti della prima Assemblea nazionale libera, che nella loro prima risoluzione dichiararono che la nostra libertà odierna è germogliata dalla nostra rivoluzione del 1956.
Consideriamo avvenuto il ripristino dell’autodeterminazione statale, perduta dalla nostra patria il diciannove
marzo 1944, a partire dal 2 maggio 1990, dall’inaugura-
zione della prima rappresentanza popolare liberamente
eletta. Consideriamo questo giorno l’inizio della nuova
democrazia e del nuovo ordine costituzionale della nostra patria.
Dichiariamo che, dopo i decenni del ventesimo
secolo che hanno provocato una scossa morale, sentiamo il bisogno indispensabile di un rinnovamento spirituale e morale.
Confidiamo nel futuro costruito congiuntamente,
nella vocazione delle nuove generazioni. Crediamo che i
nostri figli e nipoti con le loro capacità, la loro tenacia e
la forza d’animo faranno di nuovo grande l’Ungheria.
La nostra legge fondamentale è la base del nostro ordine giuridico: è un contratto fra gli ungheresi del passato,
del presente e del futuro. È un quadro vivo, che esprime la
volontà nazionale, la forma in cui vorremmo vivere.
Noi, cittadini d’Ungheria, siamo pronti a fondare il
regime del nostro paese sulla collaborazione della nazione.
I Comitati per le Libertà credono nella capacità dei cittadini di auto-organizzarsi per difendere i propri ideali e interessi. Al centro dei loro principi c’è la cultura delle libertà, cioè l’adesione ai valori liberali e la volontà di partecipazione alle scelte politiche. Più in particolare, gli aderenti
sostengono il libero mercato, la diffusione universale dei principi di
democrazia, il federalismo e la sussidiarietà come metodi organizzativi,
lo sviluppo di ogni forma – globale e locale – di democrazia diretta.
Fondati nel 1998, i Comitati hanno come organi statutari un comité de
Patronage internazionale, presieduto da Vladimir Bukovskij; un comitato di Presidenza rappresentativo della cultura liberale; un Esecutivo che a sua volta elegge un Presidente e un
Portavoce. Attorno a questi organi, una rete di Comitati locali responsabili dell’attività sul territorio, per la diffusione e l’affermazione della cultura delle libertà. Chiunque può chiedere di
aderire alla federazione e farne parte, dopo la ratifica dell’Esecutivo.
L’atttività dei Comitati per le Libertà si può conoscere attraverso: - il sito internazionale
www.Libertates.com; - le news settimanali “Libertates” - le riviste digitali; - la casa editrice
Bibliotheca Albatros; - eventi e incontri organizzati durante l’anno..
Fra gli eventi più importanti, la celebrazione ogni 7 novembre del Memento Gulag, la giornata della memoria per le vittime del comunismo e di tutti i totalitarismi, che si svolge in diverse città europee.
Ma led et t a p r op or zion a le
Saggio di Dario Fertilio sulla
legge elettorale
con giudizi di Hannah
Ahrendt e Karl Popper;
interviste a Willer Bordon,
Giuseppe Calderisi, Daniele
Capezzone, Benedetto Della
Vedova, Paolo Guzzanti,
Giovanni Guzzetta, Angelo
Panebianco, Gianfranco
Pasquino, Mario Segni, Marco
Taradash, Adriano Teso,
Guido Roberto Vitale
Con t r o gli s t a t os a u r i
Volume di Stefano Magni che
raccoglie saggi di studiosi del
federalismo e interviste a personalità che si occupano di questo
tema anche nell’ottica politica
ed economica.
Una serie di valutazioni e proposte per un federalismo autentico, moderno, realistico e vantaggioso per tutti.
Il t er zo s t r a p o t er e
Saggio di Antonio Martino e
Fabio Florindi sulla magistratura
con interviste a
Piero Alberto Capotosti
Paolo Guzzanti
Mario Cattaneo
Benedetto Della Vedova
Stefano d’Ambruoso
Mario Cervi
Se vuoi far l’americano, come si
entra in politica negli USA e come
la si fa: una lezione per gli italiani – Saggio in cui Ennio Caretto,
scrittore e giornalista, corrispondente da Washington del “Corriere della Sera” prende spunto da
una lettera-riflessione di Adriano
Teso, imprenditore e liberale, a un
giovane che vuole entrare in politica. L’autore traccia un ritratto del
sistema politico ed elettorale americano senza nasconderne limiti e
difetti. Ma ritrae anche un sistema
capace di garantire un’autentica
democrazia in cui ogni cittadino
ha davvero la possibilità di essere
eletto e di scegliere i propri rappresentanti.
Tutti i libri editi da Bibliotheca Albatros (la casa editrice dei Comitati per le Libertà)
si trovano e si ordinano attraverso il sito www.libertates.com