Quando la difficoltà respiratoria non è di origine respiratoria by

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50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC
Quando la difficoltà respiratoria
non è di origine respiratoria
Kate Hopper
BVSc, MVS, Dipl ACVECC, Davis, California, USA
La difficoltà respiratoria è un comune problema di emergenza caratterizzato da un aumento della frequenza e dello
sforzo del respiro. Gli animali appaiono spesso a disagio ed
irrequieti; possono estendere il collo e manifestare una respirazione più rumorosa. Le cause della condizione possono
essere distinte in 8 ampie categorie:
1. Affezioni delle vie aeree superiori
2. Affezioni delle vie aeree profonde
3. Affezioni del parenchima polmonare
4. Malattie dello spazio pleurico
5. Malattie della parete toracica
6. Tromboembolismo polmonare
7. Distensioni addominali
8. Malattie “che sembrano respiratorie”
Le prime 6 cause coinvolgono tutte una patologia primitiva del tratto respiratorio e sono comunemente associate ad
anomalie dell’ossigenazione e della ventilazione. Le ultime
due cause non sono affezioni primarie del tratto respiratorio
e verranno discusse più a fondo in questa sede.
Distensione addominale
La distensione addominale provoca una dislocazione
anteriore del diaframma che determina una compromissione
respiratoria. Le cause più comuni di grave distensione addominale sono rappresentate da dilatazione/torsione dello stomaco, gravidanza molto sviluppata, ascite e masse intraddominali. Una significativa distensione addominale in un
paziente con difficoltà respiratorie deve essere decompressa
il più presto possibile. Nei casi di grave distensione addominale si può avere un’atelettasia polmonare.
Malattie “che sembrano respiratorie”
Esistono parecchie cause di aumento della frequenza e/o
dello sforzo respiratorio che sono dovute ad una stimolazione del centro del respiro nel sistema nervoso centrale di animali non affetti da alcuna alterazione primitiva del tratto
respiratorio. Questi pazienti presentano un’ossigenazione
normale e non mostrano alcuna anomalia all’auscultazione o
alle radiografie del torace. Non necessitano di alcun trattamento dei segni respiratori, ma può risultare utile la terapia
del processo patologico primario.
Molte malattie encefaliche possono causare una stimolazione del centro respiratorio del bulbo. Malattie quali neo-
plasie, encefalopatie infiammatorie e traumi possono portare ad alterazioni della respirazione. Questi pazienti di solito
mostrano altri segni di encefalopatia quali ottundimento,
deficit dei nervi cranici ed alterazioni comportamentali. Possono anche mostrare quadri respiratori anomali come il
respiro apneustico e quello di cheyne stokes.
L’ipertermia è un altro potente stimolo della frequenza e
dello sforzo della respirazione, specialmente nel cane. Può
essere dovuta ad elevate temperature ambientali e/o allo
sforzo e va differenziata dalla febbre. Quest’ultima è un
innalzamento della temperatura corporea dovuto a pirogeni
endogeni e non scatena alcun aumento della frequenza e dello sforzo della respirazione. La misurazione della temperatura corporea negli animali con difficoltà respiratoria è molto importante. L’ipertermia può essere la causa primaria o
uno dei fattori che contribuiscono ad aumentare la frequenza e lo sforzo della respirazione ed il raffreddamento tende a
migliorare questi segni clinici.
Farmaci come gli oppiacei stimolano direttamente il centro respiratorio inducendo una rapida polipnea. Alla visita
clinica questi animali mostrano una temperatura corporea
normale o inferiore alla norma e valori di PCO2 normali o
superiori alla norma.
Anche l’acidosi metabolica stimola un aumento della frequenza e della profondità del respiro nel tentativo di diminuire i livelli di PCO2 e riportare i valori di pH alla normalità.
Ipoventilazione
Si tratta di una forma di compromissione respiratoria che
non si presenta con un aumento della frequenza e dello sforzo del respiro. L’ipoventilazione è associata ad una riduzione di questi due parametri e spesso è clinicamente indistinguibile dalla respirazione normale.
La ventilazione viene definita come il movimento tidalico dell’aria dentro e fuori dai polmoni. Viene quantificata
come ventilazione/minuto (MV) che corrisponde al volume
totale di gas scambiato in un minuto ed è pari alla frequenza
respiratoria (RR) moltiplicata per il volume tidalico (TV) di
ciascun respiro. MV = RR x TV
L’ipoventilazione si ha quando la quantità di gas freschi
inalati che penetrano sino a livello degli alveoli funzionali
è insufficiente per poter rimuovere adeguatamente il biossido di carbonio. Il risultato finale è un aumento delle concentrazioni ematiche di quest’ultimo (ipercapnia). Questa
“ventilazione alveolare efficace” corrisponde al valore di
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MV meno il volume dello spazio morto. Quest’ultimo è
costituito da qualsiasi porzione del volume tidalico che non
partecipa allo scambio gassoso. Ad esempio, il volume
tidalico che riempie le vie aree superiori ed i bronchi è considerato spazio morto e non è efficace per la ventilazione
alveolare. Per definizione, l’ipoventilazione provoca un
aumento dei livelli ematici di biossido di carbonio, cioè
un’ipercapnia.
Segni clinici
L’ipoventilazione spesso è clinicamente silente. Può
essere dovuta ad un’inadeguata RR, ad un inadeguato TV o,
eventualmente, ad entrambi. I casi di respirazione superficiale spesso sono caratterizzati da un aumento di RR e si
possono osservare movimenti addominali esagerati per compensare l’insufficienza di quelli della parete toracica.
Se è grave, l’ipercapnia può portare ad una depressione
del sistema nervoso centrale e, nei casi estremi, alla narcosi
ed al coma. A livello sistemico, l’ipercapnia tende ad aumentare la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna. L’ipercapnia intracranica causa vasodilatazione cerebrale che può
esitare in un incremento della pressione intracranica. Per
questa ragione, i pazienti con encefalopatie primarie spesso
non sono in grado di tollerare qualsiasi livello di biossido di
carbonio più elevato del normale.
Cause
I livelli di biossido di carbonio in condizioni normali
sono mantenuti molto rigorosamente entro limiti ristretti ed
accettabili. Se nell’apparato respiratorio si rileva una qualsiasi variazione della concentrazione di CO2, si ha istantaneamente una modificazione della ventilazione in risposta.
Nella maggior parte dei casi, l’ipoventilazione è dovuta a
processi patologici neuromuscolari che compromettono
questa via.
Affezioni neuromuscolari:
• depressione del centro del respiro nel SNC. Anestetici e
farmaci sedativi, trauma encefalico, masse patologiche,
ecc..
• Affezioni del midollo spinale cervicale, ad es. protrusione discale intervertebrale, trauma, masse patologiche,
ecc…
• Anomalie del motoneurone inferiore/giunzione neuromuscolare, quali myasthenia gravis, botulismo, poliradicoloneurite, ecc…
• Problemi a carico dei muscoli respiratori quali miopatia,
trauma della parete toracica, affaticamento dei muscoli
della respirazione.
Altro:
• Tromboembolismo polmonare.
• Eccessivo spazio morto nel circuito respiratorio (animali
anestetizzati).
• Esaurimento della calce sodata, difetti di funzionamento
dell’apparecchiatura (animali anestetizzati)
Diagnosi
L’ipoventilazione può venire sospettata sulla base dei
segni clinici presenti, ma non può essere confermata senza
una misurazione delle concentrazioni arteriose o venose di
PCO2. I livelli normali di biossido di carbonio nel sangue arterioso corrispondono a circa 37 mm Hg nel cane e 32 mm Hg
nel gatto. I livelli venosi normali del biossido di carbonio sono
di 5-10 mm Hg più elevati di quelli arteriosi e costituiscono
nella maggior parte dei casi un’indicazione accettabile del
valore arterioso del biossido di carbonio. Il riscontro di una
PCO2 superiore a 45 mm Hg nel cane ed a 40 mm Hg nel gatto è considerato segno di ipercapnia. Una PCO2 superiore a 60
mm Hg indica un’ipercapnia grave e richiede un intervento.
Negli animali intubati, è possibile effettuare le misurazioni del biossido di carbonio teletidalico (ETCO2). Negli
animali normali, l’ETCO2 è approssimativamente 2-6 mm
Hg inferiore alla PCO2 arteriosa ed è considerata una rappresentazione accurata della PCO2 arteriosa nella maggior
parte delle situazioni.
Trattamento
La priorità iniziale nei pazienti in ipoventilazione è quella di assicurare che l’animale abbia vie aeree pervie e stia
respirando. Se le vie aeree sono compromesse, si deve immediatamente inserire un tubo orotracheale; se ciò non è possibile, è indicata una tracheostomia. Se l’animale non respira o
presenta una frequenza respiratoria insufficiente, si deve iniziare la ventilazione manuale. Per qualsiasi animale con
significativa ipercapnia è essenziale l’ossigenoterapia.
Quando possibile, si deve attuare una terapia specifica
per il processo patologico primario, in modo da abbassare la
PCO2. Ad esempio, si può eseguire la decompressione di un
prolasso discale intervertebrale cervicale o contrastare farmacologicamente un sovradosaggio da farmaci oppiacei.
Quando non esiste alcuna terapia specifica, nei pazienti con
grave ipercapnia persistente è indicata la ventilazione meccanica. Quest’ultima risulta in grado di assicurare una soddisfacente ventilazione/minuto alveolare in modo da garantire un’adeguata eliminazione di CO2. Lo scopo della ventilazione meccanica è quello di stabilizzare il paziente mentre
si effettuano gli interventi diagnostici e terapeutici finalizzati a risolvere il processo patologico primario.
Bibliografia
King LG. Textbook of respiratory disease in dogs and cats. WB Saunders,
St Louis 2004
Macintire DK, Drobatz KJ, Haskins SC and Saxon WD. Small animal
emergency and critical care medicine. Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore 2005
Marino PL, The ICU Book, 2nd Ed. Williams & Wilkins, Baltimore 1998
West JB, Respiratory Physiology, The Essentials. 6th Ed. Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore 2000
Indirizzo per la corrispondenza:
Kate Hopper - Dept of Veterinary Surgery & Radiology
Room 2112, Tupper Hall, University of California, Davis, CA 95616
This manuscript is reproduced in the IVIS website with the permission of the Congress Organizing Committee