Angela, malata di cancro e mamma, nonostante il “no”

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Angela, malata di cancro e mamma,
nonostante il “no” della Puglia di
Vendola
ANGELA, MALATA DI CANCRO E
MAMMA, NONOSTANTE IL “NO”
DELLA PUGLIA DI VENDOLA
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Sono passati tre anni da quando la Regione Puglia, allora governata da Nichi Vendola, le negò un
intervento di ultima generazione che le avrebbe permesso di vivere e sconfiggere il suo cancro al cervello
senza dover rinunciare alla sua gravidanza. Ma lei non si arrese. Quello stesso governatore, a capo di una
macchina amministrativa che aveva negato alla donna il diritto di essere operata con una tecnica americana
all’avanguardia e far nascere il suo bimbo, tre anni dopo è diventato padre grazie al costosissimo e
contestato “utero in affitto”.
Angela Bianco: vittima del cancro e della malasanità
Angela Bianco, 29 anni, ha raccontato in un’intervista al Mattino quella drammatica esperienza: «Non volli
abortire pensando di salvare solo me stessa. Mio dovere era far nascere lei». Ha parlato di un miracolo che
«abita tra la scienza degli uomini e la mano di Dio e di padre Pio». Nell’ottobre 2013 era stata costretta a
lasciare l’ospedale di Bari dove era in attesa delle autorizzazioni necessarie all’intervento sul tumore maligno
al cervello con il “Cyberknife“, il robot anti-cancro ideato nel 1997 dal neurochirurgo statunitense John R.
Adlerche, un sistema nuovo che avrebbe salvato la sua vita e quella della bimba che portava in grembo.
Il viaggio della speranza verso Atene
Attendeva un sì della Regione Puglia che però non arrivò. Per salvarla il suo neurochirgo, il professor Leo
Romanelli, di formazione americana, la trasferì ad Atene e fu lì che Angela venne operata. Ce l’ha fatta e ora
racconta la sua avventura dall’appartamento di Casalvelino, dove vive con il marito, Marco, autista di bus e la
sua piccola Francesca Pio di due anni. Tutto nacque dopo il risveglio dal coma durato pochi giorni e causato
da un’emorragia cerebrale: «Dico subito ai medici: io non voglio abortire, voglio che nasca mia figlia. A
qualunque costo. Ero assillata da un dramma sconvolgente, farmi curare e tentare la salvezza con una
chemioterapia che avrebbe devastato il corpo di mia figlia in grembo, oppure tentare una strada di chirurgia
avanzatissima come quella del cyberknife?».
La storia di un cancro e di una gravidanza
La storia ebbe il suo drammatico inizio la sera del 28 agosto 2013. «Ero incinta di tre mesi – ha raccontato
Angela – Eravamo a cena, per la festa di compleanno di mio nonno, ottantadue anni, quando fitte tremende
squarciano il mio cervello. Non ce la faccio, svengo. Vengo subito portata all’ospedale di Vallo della Lucania,
al reparto di neurochirurgia diretto dal dottor Claudio Bracale. Vado in coma, ma dopo pochi giorni mi risveglio
e vengo trasferita al policlinico Umberto I° di Roma per una biopsia urgente. Il verdetto è immediato, tumore
maligno al cervello. Mi dico, è la fine per me e anche per mia figlia». Ad Angela era stato scoperto un
glioblastoma multiforme, tumore maligno del cervello. L’unica alternativa per continuare la gravidanza e poter
vivere era il ricorso al cyberknife. La donna si trasferì a Bari ma lì, come ricorda il Mattino, la burocrazia la
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bloccò. La clinica dove era ricoverata non aveva infatti l’autorizzazione regionale per quello specifico
trattamento al cervello. L’unica strada percorribile a quel punto fu quella di andare all’estero. In una clinica
privata di Atene dove l’intervento riuscì perfettamente.
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