L`Italia salvata dai nonni

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L`Italia salvata dai nonni
Alessandro Rosina, Marco Albertini
Jessica Zamberletti, Cecilia Tomassini, Giulia Cavrini
66. EPS-EconomiaPoliticaSocietà [due articoli]
L’Italia salvata dai nonni (finché regge la salute)*
e
Quando mamma e papà lavorano… ci sono i nonni**
L’Italia salvata dai nonni (finché regge la salute), di Alessandro Rosina, Marco Albertini
Il welfare dei nonni
Lunga vita ai nonni! Se non ci fossero bisognerebbe
inventarli. Senza di loro le famiglie italiane come farebbero?
Ci sono, certo, le disposizioni della legge 53/2000 (congedi di
maternità e genitoriali) che possono aiutare nei primi mesi
(sempre che si abbia la fortuna di essere lavoratori dipendenti
e di avere un reddito sufficientemente alto da potersi
permettere la sua decurtazione al 30% prevista per il congedo
genitoriale). Ma poi lo Stato e i comuni cosa fanno per aiutare
le famiglie nella cura dei figli appena nati? Poco o nulla. La
copertura degli asili nido, anche aggiungendo i servizi
integrativi, rimane fortemente inadeguata. L’obiettivo fissato
dall’Europa nel 2002, da raggiungere nel 2010, era pari al
33% ma l’Italia a tutt’oggi arriva a malapena alla metà.
Forti sono inoltre le disparità geografiche. Come riconosciuto nel ddl 1260 (“Disposizioni in materia di
sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni e del diritto delle bambine e dei
bambini alle pari opportunità di apprendimento”) a ricorrere a un qualche servizio socio-educativo pubblico
sono il 14% dei bambini sotto i tre anni, con “differenze territoriali (…) molto ampie, tali da configurare una
vera e propria questione meridionale anche in questo settore”. Complessivamente, secondo il dossier di
Cittadinanza attiva un bambino su tre rimane senza posto.
Problema, quest’ultimo, che non si pone se si ha l’accortezza di vivere vicino ai nonni e la fortuna di averli in
salute, in modo da poter avere un piccolo “asilo privato fai-da-te. Un recente studio di Aassve, Meroni e
Pronzato (1) ha mostrato che la disponibilità di nonni per la cura dei (futuri) nipoti influenza direttamente le
scelte riproduttive dei giovani italiani. Siamo così al paradosso che la disponibilità di cura dei nonni in molti
casi non rappresenta più una soluzione di emergenza di fronte al fallimento delle politiche pubbliche, ma la
conditio sine qua non per avere figli. I dati dell’indagine SHARE relativi all’anno 2011 poi, ci dicono che
mediamente “solo” il 44% dei nonni in Italia fornisce aiuto di cura ai propri figli (una percentuale più bassa
che in altri paesi Europei), ma quando lo fa è reclutato in maniera “quasi full time”. Infatti, in Italia più della
metà (51%) di chi ha badato a un nipote dichiara di averlo fatto quotidianamente, mentre in altri paesi la cura
dei nonni è più sporadica e la percentuale di chi li bada tutti i giorni è decisamente inferiore: il 38% in Spagna
e Polonia, l’11% in Germania, il 9% in Francia, il 3% in Svezia e Danimarca
È così, insomma, che funziona il sistema di welfare italiano. Ma non si è fatto granché negli ultimi anni per
cambiarlo radicalmente. Si è rimasti fedeli a quanto scritto nel documento presentato dall’allora Governo nel
dicembre 2009 dal titolo “Italia 2020. Piano per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro”, che a pagina
15 recita: “Sempre più numerose sono le famiglie nelle quali gli anziani, coabitanti o meno, offrono il loro
aiuto nelle azioni di accompagnamento e di assistenza dei minori, assicurando così alla donna la possibilità di
partecipare al mercato del lavoro, oppure mettono a disposizione la loro pensione nella vita familiare. E nello
stesso tempo trovano nelle famiglie la risposta ai loro bisogni e alle loro paure. È questo il patto
intergenerazionale che vogliamo promuovere ”. (2)
La conseguenza è quella di vincolare i giovani a formare un nuovo nucleo rimanendo non troppo lontani dal
porto sicuro della famiglia di origine (a meno di non andarsene direttamente all’estero), perché altrimenti chi
li aiuta in caso di necessità? La pensione agli attuali nonni non la toglie nessuno, il lavoro è invece sempre più
precario e sempre meno tutelato. Quindi, meglio tenersi buoni i nonni, nel sistema italiano. Oppure rinunciare
ad avere figli. E se si hanno figli e non si hanno a disposizione i nonni, a rimetterci è soprattutto l’occupazione
della madre. Non a caso in Italia solo il 47% delle donne sono occupate (nell’Unione Europea solo Ungheria
e Malta fanno peggio di noi). Siamo anche uno dei paesi europei con il più alto tasso di povertà tra i minori:
secondo le key figures del Luxembourg Income Study, nel 2010 circa il 27% dei minori viveva in una famiglia
in situazione di povertà relativa. Un dato che ci mette vicini a paesi quali Grecia (25%), Spagna (28%) o
Russia (26%), ma in una situazione peggiore rispetto a paesi quali Polonia (20%); Regno Unito (19%), Francia
(19%), Danimarca (11%) o Olanda (10%). Similarmente i dati di Eurostat del 2013 relativi al rischio di povertà
o esclusione sociale per bambini sotto i sei anni rivelano una situazione fortemente critica: il 28% in Italia,
Spagna e Portogallo, contro il 21% della Francia, il 18% della Germania, il 16% della Svezia e il 14%
dell’Olanda.
E ancor più il sistema mostra le sue lacune e la sua precaria sostenibilità in prospettiva, quando si considera
anche la crescente necessità di accudimento degli anziani non autosufficienti. Anche su questo fronte la
carenza di servizi pubblici si trasforma in un maggior carico sulle famiglie e soprattutto sulle donne, asse
portante degli aiuti informali.
Oltre il “familismo”
Perché il modello italiano rischia di avvitarsi su se stesso? Colpa della cultura familista che predilige il ruolo
della solidarietà intergenerazionale o dell’incapacità politica di costruire un moderno sistema di welfare
pubblico? Secondo Alesina ed Ichino(3) il problema è soprattutto culturale: agli italiani piace così. Hanno
scelto loro un modello di sviluppo basato sull’economia informale e su un welfare “fai da te”. Legami familiari
forti e grande sfiducia nei confronti del pubblico e dello Stato in generale hanno radici antropologiche
profonde nell’area mediterranea. Ne deriva, secondo i due economisti, che gli italiani non vogliono più asili
nido e che più che potenziare i servizi per l’infanzia sarebbe necessario incentivare il lavoro femminile (ad
esempio attraverso una tassazione differenziata che renda più conveniente ai datori di lavoro assumere una
donna anziché un uomo).
Al contrario, a nostro avviso, proprio l’investimento sui servizi pubblici, sia in termini di quantità sia di qualità,
potrebbe produrre i maggiori benefici.(4) È proprio su questo aspetto che l’Italia è più carente. Del resto, il
nostro paese soffre non solo di bassa occupazione femminile, ma, come ben noto, anche di bassa fecondità. (5)
È quindi soprattutto sulla possibilità di conciliare tali due ambiti di impegno e di realizzazione che bisogna
prioritariamente puntare.
Certo, le misure di conciliazione devono essere di ampio spettro e favorire l’impegno dentro e fuori le mura
domestiche di entrambi i membri della coppia (si pensi al potenziamento del part-time, all’introduzione di un
congedo di paternità obbligatorio, ecc.). L’asilo nido è però uno degli strumenti indispensabili per una coppia
di lavoratori che non voglia rinunciare ad avere figli non avendo nonni a disposizione. Non solo, la qualità
stessa del servizio diventa anche il mezzo attraverso il quale attivare un nuovo rapporto di fiducia tra le
famiglie e lo stato, superando alcune resistenze di fondo che non costituiscono un destino immutabile.(5)
Chi, poi, ha i nonni a disposizione potrà continuare a preferirli, ma almeno non sarà costretto a condizionare
le proprie scelte di vita alla loro prossimità abitativa e alla loro salute. Senza un welfare pubblico adeguato,
efficiente e di qualità, le alternative non ci sono e gli aspetti più deteriori del familismo sono destinati a
perpetuarsi.
Note
(1) Aassve A., Meroni E. e Pronzato C. (2012) Grandparenting and childbearing in the extended family.
European Journal of Population 28: 499-518.
(2) M. Albertini (2009) Italia 2020: la ricetta del governo è il familismo, www.lavoce.info
(3) A. Alesina, A. Ichino (2009), L’Italia fatta in casa, Mondadori, Milano.
(4) D. Del Boca, C. Pronzato, G. Sorrenti (2013), I nidi della crisi.
(5) A. Rosina, A. de Rose (2014), Demografia, Egea editore, Milano.
*Pubblicato su Neodemos.it il 6 febbraio 2015;
articolo già pubblicato su Neodemos.it il 20 gennaio 2010 e
aggiornato al 10 gennaio 2015
21 febbraio 2015
Codice ISSN 2420-8442
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Quando mamma e papà lavorano … ci sono i nonni, di Jessica Zamberletti, Cecilia Tomassini,
Giulia Cavrini
Sempre più bambini crescono oggi con i nonni che rivestono un ruolo
importante nel prendersi cura dei nipoti soprattutto in Paesi, come
l’Italia, dove i servizi pubblici per l’infanzia sono insufficienti, e in
futuro potrebbero persino diminuire, o diventare più cari, a seguito dei
tagli nella spesa pubblica e nei servizi offerti dai comuni (vedi anche
Rosina e Albertini 2015). Le mamme, invece, sono sempre più presenti
nel mondo del lavoro, sia perché a questo incoraggiate dalle politiche
europee, sia a causa della crisi economica che spinge le famiglie a
cercare di avere più fonti di reddito. Tutti questi elementi suggeriscono
che il ruolo dei nonni nella vita familiare e nella cura dei nipoti
potrebbe diventare ancora più importante. La soluzione dei nonni
baby-sitter è tuttavia è ostacolata dalle politiche europee che vogliono
incrementare la partecipazione lavorativa degli anziani (e delle
anziane) ritardandone il pensionamento. Il quadro è ulteriormente complicato dal fatto che divorzi e
separazioni sono in aumento anche tra gli anziani e sappiamo che, per l’indebolimento delle relazioni
intergenerazionali, la propensione a prendersi cura dei nipoti diminuisce quando i nonni non stanno più
insieme.
L’occasione fa il nonno babysitter
L’Istituto Nazionale di Statistica effettua con cadenza quinquennale un’indagine sulle famiglie italiane allo
scopo di studiare, fra le altre cose, la composizione, le relazioni e il supporto intergenerazionale. L’indagine
prevede anche una sezione dedicata alle occasioni in cui i nonni si prendono cura dei nipoti più piccoli (con
meno di 14 anni di età). Emerge che mentre solamente il 17,7% circa dei nipoti non viene mai affidato ai
nonni, il 30,6% lo è in modo intenso (ad es. quando i genitori lavorano e in diverse altre circostanze più o
meno sistematiche), e il 42,6% lo è in modo almeno occasionale, ad esempio se i genitori escono per fare
commissioni o per altri impegni non lavorativi, oppure in altre situazioni di emergenza. Inoltre, il 9,1% dei
bambini passa con i nonni i periodi di vacanza, ed eventualmente viene accudito da loro anche in altre
situazioni occasionali nel resto dell’anno, dunque per un arco di tempo limitato, ma durante il quale l’impegno
da parte dei nonni è probabilmente consistente.
Si fa presto a dire nonni
Il forte supporto intergenerazionale che caratterizza le famiglie italiane, e in particolare l’asse
genitori/figli/nipoti, è agevolato dalla diffusa tendenza a vivere vicini: fra i nonni il 43% vive a meno di un
chilometro di distanza dal nipote più vicino (escludendo i coresidenti), il 40% fra uno e sedici chilometri di
distanza e solo il 17% a più di sedici chilometri dal nipote più vicino. Inoltre, i nonni tendono a essere
maggiormente coinvolti nel proprio ruolo quando hanno più nipoti giovani: la proporzione di coloro che si
occupano dei nipoti senza la presenza dei genitori in maniera intensiva, pari al 25,2% per i nonni con un solo
nipote, cresce al 34,6% per i nonni con tre nipoti. (Fig. 1)
Come ci si può aspettare, le nonne hanno una maggiore probabilità di essere coinvolte nella cura dei nipoti,
ma le differenze con i maschi sono in questo caso limitate: 87% (nonne che si prendono cura di almeno un
nipote) contro 82% (nonni). Anche l’età influisce fortemente, sebbene sia condizionata dalla cadenza della
fecondità dei nonni e dei loro figli, dal loro stato di salute e dall’età dei nipoti: la massima partecipazione nella
cura dei nipoti è quella dei nonni con età compresa fra i 60 ed i 64 anni, che si occupano con elevata frequenza
di almeno un nipote nel 39,4% dei casi, contro il 18,9% di nonni con 80 anni o più. Il coinvolgimento di coloro
che hanno raggiunto almeno il diploma come titolo di studio è maggiore (36% contro il 32,5% di nonni con
titolo di studio inferiore si prendono cura in modo intensivo di almeno un nipote), così come quello dei non
occupati (34,2% contro il 27,6% degli occupati), di chi ha maggiori risorse economiche (35,9% contro il
28,8% di chi ha risorse economiche scarse o insufficienti), e migliori condizioni di salute (35,3% per chi non
ha problemi di salute che limitano l’autonomia nelle attività abituali contro il 30,2% e 27,9% di chi ha problemi
non gravi o gravi). Infine, lo stato civile si rivela un fattore associato in modo significativo alla probabilità di
prendersi cura in modo intensivo di almeno un nipote, con una maggiore propensione da parte dei nonni
coniugati (35,1%) piuttosto che vedovi (26,3%) o separati, divorziati, celibi/nubili (26,7%). (Tab. 1)
Per meglio comprendere come l’insieme di questi fattori influenzi la probabilità che i nonni si occupino dei
nipoti in modo intensivo, occasionale, o saltuario (solo in certi periodi dell’anno, ad es. durante le vacanze),
si è fatto ricorso all’analisi multivariata. I risultati confermano, a parità di altre condizioni, il significativo
effetto negativo delle inadeguate risorse economiche, della vedovanza o dell’essere separati, divorziati,
celibi/nubili, delle cattive condizioni di salute, della possibilità di essere occupati e dell’avere basso titolo di
studio sulla probabilità di occuparsi dei nipoti in modo intensivo. Vi è poi minore propensione per nonni che
vivono al sud, o i cui nipoti abitano lontano o sono molto piccoli (primo anno di vita), mentre il coinvolgimento
è significativamente maggiore per chi ha nipoti di età compresa fra i 3 e i 10 anni.
Non diamo i nonni per scontati
Il contributo dei nonni come figura di supporto familiare nella cura dei nipoti è quindi molto importante nel
nostro Paese, ma la crescente proporzione di divorziati fra gli anziani, e il ritardo nell’età al pensionamento,
potrebbero impedire un loro così pieno coinvolgimento in futuro. Inoltre – visto che oggi i nonni sono
mediamente più anziani di qualche decennio fa – anche un peggioramento delle condizioni di salute potrebbe
minare la loro capacità di svolgere appieno il loro ruolo. Il contributo della popolazione anziana nella cura dei
nipoti dovrebbe essere riconosciuto, tutelato e valorizzato (vedi anche Arpino e Pronzato 2015): se non ci
fossero i nonni, le madri (e i padri) avrebbero ancora più difficoltà a conciliare famiglia e lavoro, e questo
potrebbe addirittura deprimere ulteriormente il tasso di fecondità delle giovani coppie. I nonni hanno supplito
egregiamente alla carenza dell’offerta dei servizi pubblici per l’infanzia così come di quelli privati i cui costi
sono eccessivi per economie familiari fragili. I dati mostrano, tuttavia, che né le famiglie né il sistema di
welfare devono (e possono) più darli per scontati.
Per saperne di più
Arpino B., Pronzato C., 2015. Nonni e nipoti: una relazione benefica per entrambi (a parole). Neodemos,
23 gennaio
Attias-Donfut C., Segalen M., 2005. Il secolo dei nonni – la rivalutazione di un ruolo. Armando editore
Del Boca D., Locatelli M., Vuri D., 2004. Childcare Choices by Italian Households, IZA DP No. 983
Glaser K., Price D., Di Gessa G., Ribe E., Stuchbury R., Tinker A., 2013. Grandparentng in Europe: family
policy and grandparents’ role in providing childcare. Grandparents plus
ISTAT, Rapporto sulla situazione del Paese 2010
Rosina A. Albertini M., 2015. L’Italia salvata dai nonni (finché regge la salute), Neodemos 6 febbraio
Saraceno C., 2011. Nonni e nipoti, in Il secolo degli anziani (a cura di Golini A., Rosina A.). Il Mulino,
Bologna
Sarti R., 2010. Who cares for me? Grandparents, nannies and babysitters caring for children in
contemporary Italy. Paedagog Hist. 2010;46(6):789-802
Zanatta A.L. (2013), I nuovi nonni. Il Mulino, Bologna
**Pubblicato su Neodemos.it il 20 febbraio 2015
21 febbraio 2015
Codice ISSN 2420-8442