LA VASCA DA BAGNO

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LA VASCA DA BAGNO
LA VASCA DA BAGNO
A Isabel la vasca non era piaciuta fin dal primo momento.
Era a casa il sabato che la consegnarono, e si chiese come avrebbe fatto quel bestione di
ghisa a salire una rampa di scale, svoltare l'angolo e infilarsi in bagno. Neanche i due facchini
scheletrici sembravano averne la minima idea.
Trenta minuti, quattro nocche sbucciate e un centinaio di parolacce più tardi, la vasca
sembrava irrimediabilmente incastrata e il padre di Isabel dovette intervenire per aiutarli a
sbloccarla. A quel punto, però, una delle tozze zampe arcuate' strisciò contro la carta da parati
e la strappò, dando il via all'ennesima litigata fra mamma e papà.
"Ti avevo detto di misurarla".
"L'ho fatto".
"Però avevi anche detto che le zampe venivano via".
"No. Questo l'avevi detto tu".
Tipico dei suoi genitori, comprare una mostruosità del genere, pensò Isabel. Chiunque
altro avrebbe fatto un salto in un centro commerciale, scelto una delle vasche in esposizione e
pagato con carta di credito. Consegna e installazione gratis entro sei settimane, e festa finita.
Chiunque... ma non Jeremy e Susan Martin.
Da quando avevano comprato la piccola casa fine Ottocento a Muswell Hill, nella zona
nord di Londra, avevano dedicato ogni loro giorno libero alla ricerca del "giusto"
arredamento. E dato che insegnavano tutt'e due - lui in una scuola privata e lei alle elementari
- di giorni liberi ne avevano parecchi. Il tavolo da pranzo proveniva da un antiquario di
Hungerford e le sedie da un'asta tenuta a Hove. Gli armadietti della cucina li avevano
recuperati da una casa in demolizione a Macclesfield. E il letto matrimoniale era stato un
ammasso di ruggine nel fienile di una fattoria francese subito fuori Boulogne. Innumerevoli
fine settimana. Innumerevoli ore passate frugando, misurando, progettando, contrattando e
litigando. Era questo il peggio.
A quanto poteva vedere Isabel, i suoi genitori non sembravano trarre alcuna gioia da
quelle anticaglie. Non facevano che litigare: nei negozi, nei mercati, perfino alle aste. Una volta
suo padre si era arrabbiato tanto da rompere il vaso da notte vittoriano sul quale si stavano
accapigliando... e allora naturalmente era stato costretto a comprarlo. Attualmente si trovava
nell'ingresso, riappiccicato alla meglio, le crepe che sembravano lo spietato riflesso dei loro
dodici anni di matrimonio.
Anche la vasca era vittoriana. Isabel era presente quando i suoi l'avevano trovata da un
antiquario nella zona ovest di Londra. "Fine secolo" aveva detto il negoziante. "Una vera
bellezza. Ha ancora i rubinetti originali..." A lei non sembrava affatto bella, così acquattata
sulle assi di pino graffiate, circondata da sciacquoni e lavandini e tubi aggrovigliati. Somigliava
piuttosto a una vacca incinta, la grande pancia bianca che si curvava a sfiorare il pavimento. Le
zampe di ghisa arcuate verso l'esterno, come incapaci di sopportare tutto quel peso. Ed era
stata decapitata. Al posto dei rubinetti c'era un singolo foro rotondo, e una disgustosa chiazza
giallastra sullo smalto bianco indicava il punto dove l'acqua era gocciolata per oltre cent'anni.
Isabel guardò i rubinetti accatastati lì accanto: erano di ottone chiazzato, e sembravano
troppo grandi per la vasca. C'erano due manopole, con la scritta Cold e Hot - Fredda e Calda sullo sbiadito disco d'avorio. Ebbe quasi l'impressione di sentire l'acqua sgorgarne rombando.
Per forza. La vasca era bella profonda.
Comunque, quel sabato nessuno usò la vasca. Jeremy aveva assicurato di essere in
grado di collegarla lui stesso all'impianto idraulico, ma dopo qualche tentativo aveva scoperto
che era troppo complicato. Non c'era un giunto che combaciasse. Bisognava saldarli tutti.
Purtroppo non era stato neanche in grado di trovare un idraulico disposto a venire prima di
lunedì, e naturalmente questo sarebbe costato altre quaranta sterline e quando lo disse a
Susan scoppiò una litigata.
Quella sera cenarono davanti alla televisione, lasciando che le risate vuote di un
telefilm coprissero il silenzio gelido della stanza.
"Faresti meglio ad andare a letto presto, tesoro" disse Susan verso le nove. "Domani
devi andare a scuola".
"Sì, mamma". Isabel aveva dodici anni, ma sua madre insisteva a trattarla come se fosse
molto più piccola. Forse dipendeva dal fatto che lavorava alle elementari. Per fortuna, anche
se suo padre insegnava alla Highgate School, Isabel era iscritta a una scuola statale. A Highgate
le ragazze non erano ammesse, e per giunta lei trovava quei ragazzi troppo affettati e
perbenino. E neanche granché interessati alle ragazze, probabilmente.
Si svestì e si lavò rapidamente: mani, faccia, collo e denti, in quest'ordine. Il viso riflesso
dallo specchio dorato sopra il lavandino non era male, pensò, a parte il brufolo sul naso...
Aveva lunghi capelli castani e occhi azzurri (ereditati dalla madre), viso sottile con zigomi e
mento affilati (ereditati dal padre). Fino a nove anni era stata paffuta, ma adesso il suo corpo
cominciava a prendere forma. Non sarebbe mai stata filiforme... le piacevano troppo i gelati.
Però neanche una mongolfiera come Belinda Price, la sua migliore amica e compagna di
scuola, condannata a una vita di inutili diete e maglioni sformati.
Solo quando il suo sguardo sfiorò la vasca riflessa nello specchio si rese conto di essersi
sforzata di evitarla fin da quando aveva messo piede in bagno. Perché?
Mise giù lo spazzolino e si voltò a studiarla. Non le piaceva. Per niente. Era
ingombrante e brutta, con quello smalto opaco e la chiazza giallastra sopra lo scarico. E
sembrava - era un'idea sciocca, ma ormai non riusciva a scacciarla - sembrava che la
aspettasse.
Stava sorridendo della propria idiozia quando notò qualcos'altro. Sul fondo della vasca
c'era una piccola pozza d'acqua. La vide luccicare mentre spostava la testa. Istintivamente,
alzò lo sguardo. Doveva esserci un'infiltrazione da qualche parte in soffitta. Altrimenti come
avrebbe fatto, l'acqua, a finire in una vasca senza rubinetti? Ma non c'erano infiltrazioni. Isabel
si chinò e passò un dito sul fondo della vasca. L'acqua era tiepida.
"Ce l'avrò schizzata io" pensò. "Mentre mi lavavo, probabilmente..." Spense la luce, uscì
dal bagno e attraversò il corridoio per andare nella sua stanza accanto a quella dei genitori.
Dentro di sé, però, sapeva che non era vero, che sarebbe stato impossibile schizzare
l'acqua dal lavandino fin nella vasca.
Comunque non era importante. Era ridicolo, anzi.
S'infilò a letto e chiuse gli occhi. Ma un'ora più tardi il suo pollice ancora tracciava
cerchi contro il dito che aveva toccato l'acqua, e passò molto tempo prima che riuscisse a
prendere sonno.
"Stasera si fa il bagno!" annunciò suo padre lunedì, quando Isabel tornò a casa da
scuola. Era di buonumore, e sorrideva preparando la cena.
"È venuto l'idraulico?"
"Sì". Alzò lo sguardo. "Ha voluto cinquanta sterline... non dirlo a tua madre. Ci ha
lavorato un paio d'ore". Sorrise e ammiccò, e a Isabel tornò in mente la confidenza fattale dal
fratello di un'amica. Il ragazzo frequentava Highgate School, e le aveva rivelato che gli studenti
avevano soprannominato suo padre Il Topo. Perché i ragazzi devono essere così crudeli?
Fantastico, papà" disse ora, stringendogli un braccio. "Farò il bagno dopo cena. Che
cosa prepari?"
"Lasagne. Tua madre è andata a comprare una bottiglia di vino".
Passarono una bella serata. Isabel aveva ottenuto una parte nella recita scolastica: Lady
Montague in Romeo e Giulietta. Susan aveva trovato dieci sterline nella tasca di una giacca che
non usava da anni. A Jeremy era stato chiesto di accompagnare un gruppo di ragazzi a Parigi
per la fine del trimestre. Le buone notizie oliarono gli ingranaggi familiari e per una volta tutto
filò liscio.
Dopo cena, Isabel finì di fare i compiti, diede ai genitori il bacio della buonanotte e andò
di sopra. In bagno.
La vasca era pronta. Installata. Inamovibile. I rubinetti con la loro scritta nera — Cold e
Hot — s'inarcavano oltre il bordo come il collo di un avvoltoio. Un tappo argenteo fissato a
una pesante catena oscillava sul foro di scarico. Suo padre aveva lucidato l'ottone fino a farlo
risplendere, messo gli asciugamani sul portasciugamani e un tappetino da bagno verde sul
pavimento.
Tutto normale. Eppure la stanza, gli asciugamani, il tappetino sembravano stranamente
piccoli. Perché la vasca era troppo grande. E aspettava lei. Non riusciva a toglierselo dalla
testa.
"Avanti, Isabel. Non fare la sciocca!"
Isabel marciò decisa verso la vasca, si curvò e infilò il tappo nello scarico. Dal
pianterreno saliva la sigla di Mondo Avventuroso, uno dei programmi preferiti di suo padre.
Girò il rubinetto dell'acqua calda, che cigolò. Poi quello dell'acqua fredda.
"Ora" pensò "vedremo se l'idraulico si è guadagnato le sue cinquanta sterline".
Per un momento non successe niente. Poi, sotto il pavimento, qualcosa rombò. Un
gorgoglio sempre più forte risalì i tubi, ma ancora niente acqua. Il rubinetto scatarrò come un
fumatore incallito. Una bolla simile a saliva gli si gonfiò sulle labbra. Scatarrò di nuovo, la
sputò.
Isabel sbarrò gli occhi. La cosa sputata nella vasca era di un disgustoso color ruggine.
Di nuovo i rubinetti tossirono e sputarono altra roba densa, vischiosa, che rimbalzò sul fondo
della vasca e schizzò sui lati. Nauseata, prima che i rubinetti potessero riversare un terzo
carico di... qualunque cosa fosse, Isabel li afferrò entrambi e li chiuse con forza.
Per un momento vibrarono nella sua stretta, ma poi il fremito cessò. Il resto di quella
roba fu risucchiato dal reticolato di tubature. Ma ancora non era finita. Il fondo della vasca era
ricoperto di liquido rossastro: scivolava riluttante verso lo scarico, che lo ingoiava
avidamente.
Isabel aguzzò la vista. Stava impazzendo, o c'era qualcosa dentro lo scarico? Era sicura
di averlo chiuso, invece adesso il tappo era mezzo sollevato.
E c'era qualcosa, nel foro sottostante. Una specie di pallina bianca che roteava
lentamente, scintillante e umida e viva. E sembrava sollevarsi, prepararsi a uscire...
Isabel urlò.
Contemporaneamente, si chinò e infilò con forza il tappo nello scarico. La sua mano
sfiorò il liquido rosso e si ritrasse di scatto, sentendolo caldo e oleoso sulla pelle. Fu l'ultima
goccia. Indietreggiò, afferrò un asciugamano e si strofinò la mano con tanta forza da
arrossarla. Poi spalancò la porta del bagno e corse di sotto.
I suoi genitori stavano ancora guardando la tivù. "Che succede?" le chiese Jeremy.
Isabel glielo spiegò, le parole che si accavallavano nella fretta di uscire, ma suo padre
neanche l'ascoltò.
"C'è sempre un po' di ruggine, nei tubi nuovi" le disse. "Fai scorrere l'acqua, e vedrai
che passerà".
"Non era ruggine!"
"Forse è di nuovo la caldaia..." brontolò Susan.
"La caldaia non c'entra" ribatté Jeremy, piccato. L'aveva comprata di seconda mano ed
era sempre stato un punto dolente... soprattutto quando si rompeva.
"Era disgustoso" gemette Isabel. "Sembrava...".
Cos'è che sembrava...? Lo sapeva benissimo, che cosa. "Sembrava sangue. Sangue vero.
E c'era qualcos'altro. Nello scarico".
"Insomma!" L'irritazione di Jeremy era accresciuta dal fatto di perdersi il meglio del
suo programma preferito.
"Vieni! Andiamo a dare un'occhiata...". Susan allontanò il giornale della domenica e si
alzò.
"Dov'è il telecomando?" Jeremy lo ripescò dall'angolo della poltrona e alzò il volume.
Isabel tornò in bagno insieme alla madre.
Entrando, notò l'asciugamano che aveva lasciato cadere sul pavimento. Un
asciugamano bianco. Eppure lo aveva usato per pulirsi le mani. Strano che non ci fossero
macchie...
"Quante storie per un po' di ruggine!" Susan si era chinata sulla vasca. Isabel allungò il
collo nervosamente. Ma era vero. Nella vasca non c'era che una piccola pozza d'acqua e
qualche granello rossastro. "Lo sai che nelle tubature nuove c'è sempre un po' di ruggine"
proseguì sua madre. "Tutta colpa di quella stupida caldaia".
Sollevò il tappo. "A posto anche qui!"
Per finire, aprì i rubinetti. Ne sgorgò un torrente rassicurante di normalissima acqua
limpida. Nessuna vibrazione. Nessun gorgoglio. Niente di niente. "Fatto. Tutto a posto".
Isabel si appoggiò al lavandino con aria infelice.
Sua madre sospirò. "Te lo sei inventato, giusto?" disse... in tono affettuoso, però, non
irritato.
"No, mamma".
"Certo che è una scusa arzigogolata per evitare un bagno".
"Ma non...!"
"Su, su. Ora non importa. Lavati i denti e va' a letto". Susan la baciò. "Buonanotte, cara.
Dormi bene".
Quella notte, però, Isabel non dormì affatto.
Non fece il bagno neanche la sera dopo. Jeremy Martin era fuori - a scuola c'era una
riunione dei professori - e Susan, impegnata a sperimentare una nuova ricetta, passò la serata
in cucina. E neppure mercoledì. Col che facevano tre giorni di fila, e Isabel cominciava a
sentirsi a disagio.
A peggiorare le cose, suo padre e sua madre avevano usato la vasca martedì, nessuno
dei due aveva notato qualcosa di strano. Il che la fece sentire ancora più colpevole... e sporca.
Poi, giovedì mattina, qualcuno a scuola fece una battuta a proposito di un carico di uova marce
e Isabel - le guance in fiamme - decise di averne abbastanza.
Insomma, di cos'aveva paura? Di un pizzico di ruggine che la sua immaginazione aveva
trasformato in... qualcos'altro.
Quella sera Susan Martin era fuori - al corso serale d'italiano - così Isabel e suo padre
banchettarono con uno sformato mal riuscito che si era sbriciolato nella teglia. Alle nove, le
loro strade si divisero: lui si piantò davanti alla tivù e lei salì di sopra.
"Buonanotte, papà".
"Buonanotte, Is".
Era stata una serata piacevole, rilassante. Ma di sopra c'era la vasca, che l'aspettava.
Sì. L'aspettava, pronta a riceverla.
Stavolta Isabel non esitò. Se avesse agito rapidamente, senza lasciarsi prendere la
mano dall'immaginazione, non sarebbe successo niente. Non avrebbe permesso che la fantasia
le giocasse altri brutti scherzi. Infilò il tappo nello scarico, aprì i rubinetti e versò nella vasca
un po' di bagnoschiuma all'avocado. Si spogliò (togliersi i vestiti l'aiutò a non guardare l'acqua
che scorreva) e soltanto dopo si voltò verso la vasca. Tutto normale. L'acqua era verdolina
sotto lo strato di schiuma. Vi tuffò una mano per controllare la temperatura. Perfetta: abbastanza calda da annebbiare lo specchio, ma non tanto da scottare. Chiuse i rubinetti, che
gocciolarono rumorosi come nel suo ricordo, e la porta. Ma ancora esitava. Di colpo fu
consapevole della propria nudità, come se si trovasse in una stanza piena di gente. Rabbrividì.
'Non essere ridicola' si disse.
Ma la domanda continuava ad aleggiarle intorno insieme al vapore, simile a un
indovinello maligno e per niente divertente. Quando sei più indifesa? Quando sei nuda,
racchiusa da strette pareti bianche distesa... ... nella vasca da bagno.
"Ridicolo". Stavolta disse la parola a voce alta. E con un movimento agile, deciso, si calò
nella vasca.
Troppo tardi capì che la vasca l'aveva imbrogliata.
L'acqua non era calda. E neanche tiepida. Aveva controllato la temperatura pochi
istanti prima. Aveva visto il vapore sollevarsi. Eppure l'acqua era gelida. Come un lago
ghiacciato nel cuore dell'inverno.
Mentre vi sprofondava impotente, la sentì chiudersi sopra gambe e pancia e serrarsi
come una tenaglia intorno alla sua gola. Le mancò il fiato, le sembrò che il cuore si fermasse. Il
freddo la trafisse. La trapassò. Aprì la bocca per urlare, ma dalle labbra le uscì solo un uggiolio
strozzato. Si sentì affondare. Batté la nuca contro il bordo e scivolò giù, giù, i capelli che le si
allargavano intorno. La schiuma le coprì la bocca, il naso. Tentò di muoversi, ma gambe e
braccia non le obbedivano più. Era gelata fino al midollo. La stanza sembrò diventare
improvvisamente buia. Finalmente, con uno spasmo disperato, si contorse e si sollevò e si
gettò fuori della vasca, schizzando acqua dappertutto.
E si ritrovò sul pavimento, circondata da bioccoli di schiuma, la pelle livida, scossa da
singhiozzi e da brividi.
Con una mano tremante afferrò l'angolo di un asciugamano e se lo tirò addosso. Rivoli
d'acqua le scorrevano sulla schiena, sparendo fra le fessure delle assi.
Rimase a lungo immobile. Era spaventata... spaventata da morire. Non solo perché la
temperatura dell'acqua era cambiata. Non era stata solo la vasca a spaventarla, per quanto
brutta e minacciosa fosse. No.
A terrorizzarla era stato il suono che aveva sentito mentre si tirava fuori dall'acqua e
crollava sul pavimento. Era sola, nel bagno, eppure l'aveva sentito a pochi centimetri dal suo
orecchio. Qualcuno aveva riso.
"Non mi credi, vero?" Era alla fermata dell'autobus insieme a Belinda Price; la paffuta,
fidata Belinda, la sua migliore amica, sempre disponibile nel momento del bisogno. Era
passata una settimana, e per tutto quel tempo non aveva fatto che pensare alla vasca e a
quanto era successo in bagno. Però non ne aveva parlato con nessuno. Perché? Perché aveva
paura d'essere presa in giro? Perché aveva paura di non essere creduta? Più semplicemente,
perché aveva paura.
La settimana era stata un disastro, a scuola e a casa. In classe era stata rimproverata
due volte. Aveva vestiti e capelli in condizioni penose, e la mancanza di sonno le aveva fatto
venire le occhiaie. Ma alla fine non era più riuscita a tenersi tutto dentro. Così ne aveva parlato
a Belinda.
Che adesso stava scrollando le spalle, commentando: "So di case infestate. E di castelli
infestati. Perfino di un'auto infestata. Ma una vasca da bagno..."
"È andata proprio come ti ho detto".
"Forse è stata solo una tua impressione. Se ti fissi su qualcosa è possibile..."
"Non è stata un'impressione..."
A quel punto arrivò il bus e le due ragazze vi salirono, mostrando il loro abbonamento
all'autista. Dopodiché andarono a occupare i loro posti abituali al piano superiore.
"Non puoi venire ancora a lavarti da me" disse Belinda. "Mamma ha cominciato a
chiedermi se ci sono problemi con i tuoi".
"Lo so"
Isabel sospirò. Per tre sere di fila era andata a farsi una doccia bollente a casa di
Belinda. Ai suoi aveva raccontato che stavano preparando insieme una ricerca. Ma Belinda
aveva ragione. Non poteva andare avanti così.
L'autobus svoltò nella strada principale. Belinda raggrinzì il viso in una smorfia
concentrata. Gli insegnanti non facevano che lodare la sua intelligenza... non solo perché
s'impegnava al massimo, ma anche perché lo dimostrava.
"Hai detto che la vasca è vecchia" disse finalmente.
"E allora?"
"Sai dove l'hanno comprata, i tuoi?"
"Sì. In un negozio a Fulham".
"Perché non torni laggiù a chiedere notizie? Insomma... se è infestata dev'esserci un
motivo. C'è sempre un motivo, giusto?"
"Tipo... che qualcuno c'è morto dentro o roba del genere?" Rabbrividì al solo pensiero.
"Sì. Mia nonna ha avuto un attacco di cuore nella vasca da bagno. Non è morta, ma..."
"Hai ragione!"
Il bus stava risalendo la collina, avvicinandosi a Muswell Hill Broadway. Isabel si alzò.
"Posso andarci sabato. Mi accompagni?"
"Mamma e papà non mi darebbero mai il permesso".
"Potresti dire che vieni da me. E ai miei dirò che sono a casa tua".
"E se controllassero?"
"Non lo fanno mai".
"Non so..."
"Ti prego, Belinda. Sabato. Ti chiamo io".
Quella sera, la vasca le giocò il peggiore dei suoi tiri.
Non voleva fare il bagno. Durante la cena non aveva fatto che ripetere d'essere sfinita e
di non vedere l'ora di andare a letto. Ma anche i suoi genitori erano sfiniti. L'atmosfera intorno
al tavolo era a dir poco tesa.
"Di sopra, signorina!" La voce della madre interruppe le sue riflessioni. "È ora che tu
faccia un ba-gno..."
"Non stasera, mamma".
"Stasera. In pratica non hai mai usato la vasca da quando è stata installata. Che
problema c'è? Non ti piace?"
"No. Non mi..."
"Cos'ha che non va?" l'interruppe il padre, infastidito.
"Non importa cos'ha che non va, intervenne sua madre, senza lasciarle il tempo, di
rispondere.
"No, non andrò a fare il bagno!”
I suoi genitori si scambiarono un'occhiata incerta. Quella, si rese conto Isabel, era la
prima volta che li sfidava apertamente. Li aveva presi in contropiede.
Ma poi sua madre si alzò. "Vieni" disse, decisa. "Ne ho abbastanza di queste
sciocchezze. Controllerò personalmente che t'infili in quella vasca".
E così salirono di sopra tutt'e due. Susan aveva l'espressione tesa, tormentata, che
significava "poche storie". Ma Isabel non fece storie. Se sua madre fosse rimasta in bagno,
avrebbe visto coi propri occhi quello che succedeva. Si sarebbe resa conto che qualcosa non
andava...
"Bene..." Susan bloccò lo scarico e aprì i rubinetti Ne sgorgò normalissima acqua
limpida. "Davvero, non capisco, Isabel" disse, alzando la voce per sovrastare il rumore. "Forse
non dormi abbastanza. Pensavo che solo ai bambini di sei anni non piacesse farsi il bagno. Là!"
La vasca era piena. Susan controllò la temperatura con la punta delle dita. "Calda al
punto giusto. E adesso entraci".
"Mamma..."
"Non ti vergognerai a spogliarti davanti a me, vero? Per amor del cielo...!"
Furibonda e umiliata, obbedì, lasciando cadere vestiti in un mucchio sul pavimento.
Susan li raccolse senza fare commenti. Isabel passò una gamba oltre il bordo della vasca,
sfiorando l'acqua con l'alluce. Era calda, ma non bollente. Di sicuro non era gelata.
"Tutto bene?" domandò sua madre.
"Sì, mamma..." Si calò nella vasca. L'acqua s'innalzò avida ad accoglierla, chiudendosi in
un cerchio perfetto intorno al suo collo. S
Susan si trattenne ancora un momento, i vestiti sporchi fra le braccia. "Posso andare,
adesso?"
"Sì". Isabel non voleva restare sola, ma la presenzia della madre la metteva a disagio.
"D'accordo". Il tono di Susan si addolcì. "Verrò a darti il bacio della buonanotte".
Sollevò i vestiti e arricciò il naso. "Anche questi hanno bisogno di uno buona pulita". E uscì dal
bagno.
Isabel rimase sola, immersa nell'acqua calde sforzandosi di rilassarsi. Ma aveva un
nodo allo stomaco e ogni muscolo irrigidito nel tentativo di evitare la superficie smaltata della
vasca. Sentì la madre scendere le scale, aprire la porta della lavanderia.
E poi voltò leggermente la testa e scorse il proprio riflesso nello specchio.
La stanza da bagno era del tutto normale, proprio come quando sua madre era uscita.
L'acqua limpida. La sua pelle arrossata dal calore. Il vapore che annebbiava l'aria.
Ma nello specchio... Il bagno era un mattatoio. E Isabel era immersa fino al collo in un
liquido rossastro che le aderiva alla mano - la sua mano riflessa - mentre la sollevava,
lasciando cadere gocce pesanti che sollevavano schizzi oleosi contro le pareti smaltate.
Tentò di uscire dalla vasca, ma scivolò e cadde. L'acqua le arrivò al mento, alle labbra, e
Isabel urlò di nuovo, sicura che l'avrebbe risucchiata, uccisa. Staccò gli occhi dallo specchio, li
abbassò. Nient'altro che acqua. Ma nello specchio... Sangue. La ricopriva, l'avvolgeva. E nella
stanza c'era qualcun altro. Non nella stanza, cioè. Nel riflesso. Un uomo, alto, sulla quarantina,
in giacca e cravatta, viso grigiastro, baffi, occhietti a spillo.
"Via!" urlò Isabel. "Va' via! Via!"
Quando sua madre rientrò di corsa nel bagno e la trovò raggomitolata, nuda e
tremante, sul pavimento in una pozza d'acqua, Isabel neanche tentò di spiegarle cos'era
successo. Non riusciva a parlare.
Si lasciò portare a letto quasi di peso e si raggomitolò sotto la trapunta come una
bimbetta. Per la prima volta, Susan Martin provò più ansia che fastidio.
Quella notte lei e Jeremy rimasero alzati a lungo, sentendosi più vicini di quanto
capitasse da molto parlando del comportamento della figlia, dei suoi problemi psicologici.
Non parlarono della vasca, però... Del resto perché avrebbero dovuto? Quando Susan
era corsa in bagno non aveva visto niente che non andasse nell'acqua, o nello specchio, o nella
vasca.
No, dissero, una volta tanto d'accordo, c'era qualcosa che non andava in Isabel. La vasca
non c'entrava per niente.
Il negozio si trovava in Fulham Road, a pochi minuti dalla stazione della metropolitana.
A giudicare dalla facciata, un centinaio d'anni prima quella doveva essere stata una superba
dimora signorile: portone imponente, persiane robuste, colonne candide e frammenti di
statue davanti all'ingresso. Col passare degli anni, però, l'edificio era caduto lentamente in
declino: l'intonaco si era screpolato, erbacce erano spuntate fra i mattoni, polvere e gas di
scarico avevano offuscato i vetri. Dentro, le stanze erano piccole e buie e con troppi mobili.
Isabel e Belinda ne attraversarono una con quattordici caminetti e un'altra con mezza
dozzina di tavoli circondati da una folla di sedie vuote. Se non avessero saputo che era tutto in
vendita, avrebbero potuto credere che fosse l'abitazione di un pazzoide danaroso. Tutto
sommato, aveva ancora più l'aria di una casa che di un negozio. D'istinto, le due ragazze si
ritrovarono a parlare bisbigliando.
Finalmente trovarono un commesso nel cortile sul retro: un vasto spiazzo gremito di
vasche e di lavandini, altre statue, fontane di pietra, cancelli di ferro bat-tuto e pergolati... il
tutto circondato da una serie di archi di calcestruzzo che davano l'impressione d'essere a
Roma o a Venezia, non in uno squallido angolo nella zona ovest di Londra.
Il commesso, un giovanotto con gli occhi storti e il naso rotto, stava trasportando una
gargolla di pietra brutto quanto lui.
"Una vasca da bagno vittoriana?" bofonchiò in risposta alla domanda di Isabel. "Non
credo di potervi aiutare. Vendiamo un sacco di vecchie vasche".
"Grande e bianca" insisté Isabel. "Con piccole zampe di ghisa e rubinetti dorati..."
Il commesso mise giù la gargolla, che risuonò contro il lastricato. "Hai la ricevuta?"
"No."
"Come hai detto che si chiamano, i tuoi?"
"Martin. Jeremy e Susan Martin".
"No, proprio non ricordo..."
"Litigano spesso. Probabilmente hanno litigato per il prezzo".
Un lento sorriso si allargò sulla faccia del commesso, facendola contorcere in modo
stranamente minaccioso. "Adesso ricordo. É stata consegnata in non so che quartiere nella
zona nord di Londra."
"Muswell Hill" disse Isabel.
"Esatto". Il sorriso raggiunse gli zigomi, li superò. "Sì che li ricordo. Hanno comprato la
vasca di Marlin".
"Cosa sarebbe la vasca di Marlin?" interloquì Belinda. Non le piaceva, quel nome.
Ridacchiando, il commesso tirò fuori un pacchetto di sigarette e se ne accese una. Passò
parecchio tempo, o così sembrò, prima che riprendesse a parlare. "Jacob Marlin. Era sua, la
vasca. Non credo che ne abbiate sentito parlare".
"No" ammise Isabel, augurandosi che arrivasse presto al dunque.
"Era famoso, ai suoi tempi". Il commesso soffiò uno sbuffo di fumo grigio-argento.
"Prima che l'impiccassero".
"Perché lo impiccarono?" chiese Isabel.
"Per omicidio. Era uno di quei... come li chiamano adesso... serial killer. Oh sì...". Ormai
il commesso sorrideva da un orecchio all'altro. "Si portava a casa le ragazze... tipo Jack lo
Squartatore. Lo sapete, no...? E poi le sistemava a dovere..."
"Le uccideva?" balbettò Belinda.
"Esatto. Le uccideva e poi le faceva a pezzi con un'accetta. Nella vasca da bagno". Il
commesso succhiò compiaciuto la sigaretta. "Sia chiaro... non dico che la vasca fosse proprio
quella, però proveniva dalla sua casa. Ecco perché costava così poco. E oserei dire che sarebbe
costata ancora meno se i tuoi l'avessero saputo..."
Isabel girò sui tacchi e uscì dal negozio quasi correndo. Belinda la seguì. Si fermarono
solo quando furono in strada.
"È orribile!" ansimò Belinda. "Faceva a pezzi la gente nella vasca e tu...". Non riuscì a
finire la frase.
"Vorrei non essere mai venuta". Isabel era prossima alle lacrime. "Vorrei che i miei non
avessero mai comprato quell'orribile vasca".
"Magari, se provassi a spiegarglielo..."
"Non mi darebbero retta. Come al solito".
"Cosa pensi di fare?"
Isabel ci pensò su. "La distruggerò" disse finalmente. "Non c'è altro modo. La farò a
pezzi. E non m'importa come reagiranno i miei..."
Scelse una chiave inglese dalla cassetta degli attrezzi del padre. Era piuttosto grossa, e
poteva essere usata sia per spaccare che per svitare. I genitori non erano in casa. Pensavano
che lei fosse da Belinda. Bene. Per quando fossero tornati, sarebbe stato tutto finito.
C'era un che di confortante nella freddezza pesante dell'acciaio contro il palmo della
mano. Salì lentamente le scale, riflettendo sul da farsi. La chiave inglese sarebbe stata
abbastanza robusta da spaccare la vasca? O l'avrebbe solo sfregiata quanto bastava perché i
suoi si rassegnassero a sbarazzarsene? Comunque fosse, non importava. Stava facendo la cosa
giusta. Non le interessava altro.
La porta del bagno era aperta.
Era sicura che pochi minuti prima, quando aveva dato un'occhiata al piano di sopra,
fosse chiusa. Ma neanche questo importava. Varcò decisa la soglia, soppesando la chiave
inglese.
La vasca la stava aspettando.
Si era riempita fino all'orlo di acqua calda... bollente, anzi, a giudicare dalla quantità di
vapore nella stanza. Lo specchio era completamente appannato. Una corrente fresca entrò
dalla porta e sfiorò il vetro, condensando il vapore, facendolo gocciolare.
Isabel sollevò la chiave inglese con un sorriso crudele. La vasca non poteva muoversi.
Poteva tormentarla e spaventarla, ma non aggredirla e nemmeno fuggire.
Immerse la chiave inglese nell'acqua e sollevò il tappo. Ma l'acqua non defluì.
Invece, una bolla densa e rossa risalì verso la superficie. Sangue.
Insieme al sangue arrivarono i vermi, a centinaia: risalivano dal fondo della vasca,
emergevano dalla griglia di scarico, turbinavano nell'acqua.
Inorridita, Isabel sollevò la chiave inglese. Ormai l'acqua mista a sangue traboccava sul
pavimento, lo inondava. Isabel abbassò la chiave inglese con forza e tutto il suo corpo vibrò
mentre il metallo colpiva i rubinetti, facendoli sobbalzare e fracassando la C di Cold. Ma poi,
mentre risollevava la chiave inglese, vide il proprio riflesso nello specchio. Era offuscato da un
velo di vapore, ma al di là del vapore distinse un'altra figura... qualcuno che, lo sapeva bene,
non era nel bagno. Un uomo che sembrava percorrere un lungo corridoio, diretto verso il
vetro che ne bloccava l'ingresso. Verso di lei. Jacob Marlin. Avvertì il tocco bruciante dei suoi
occhi sulla pelle e si chiese cos'avrebbe fatto quando avesse raggiunto lo specchio che era la
barriera fra i loro mondi.
Abbassò con forza la chiave inglese, ancora e ancora. Il rubinetto si curvò, si spezzò,
vomitando un fiotto d'acqua in un spasimo d'agonia. Isabel rivolse la sua attenzione alla vasca,
colpendola sul fianco, spaccando lo smalto al primo colpo, intaccando il metallo col successivo.
Un'altra occhiata alle sue spalle le disse che Marlin era più vicino. Distinse i suoi denti scoloriti
e aguzzi, le labbra che si ritraevano sulle gengive in un ghigno odioso.
Sollevò di nuovo la chiave inglese e — incredula — vide che la vasca si era spaccata
come un guscio d'uovo. Un torrente d'acqua rossastra le si riversò sulle gambe e sui piedi. I
vermi schizzarono vorticando sul pavimento del bagno, scivolando nelle crepe fra le assi e
contorcendosi impotenti.
Quanto era vicino Marlin? Poteva uscire dallo specchio?
Isabel sollevò ancora una volta la chiave inglese, e urlò quando due mani d'uomo le
strinsero le spalle.
La chiave inglese le sfuggì di mano e cadde nella vasca, scomparendo nell'acqua
torbida. Adesso le mani le stringevano la gola, la tiravano indietro...
Isabel urlò e si divincolò, cercando di affondare le unghie negli occhi del suo
aggressore. E poi si rese conto che non era Marlin a tenerla stretta, ma suo padre. Che sua
madre era ferma sulla soglia del bagno e la fissava a occhi sbarrati. Sentì la forza defluire dal
suo corpo come l'acqua dalla vasca. Naturalmente, adesso il sangue era scomparso. E così pure
i vermi. C'erano mai stati? Che importanza aveva? Scoppiò a ridere.
Stava ancora ridendo quando, mezz'ora più tardi, il suono della sirena riempì la stanza,
annunciando l'arrivo dell'ambulanza.
Non era giusto.
Jeremy Martin stava a mollo nella vasca ripensando alle ultime sei settimane. Era
difficile non pensarci, avendo sotto gli occhi i danni provocati dalla figlia. I rubinetti erano al
di là di ogni possibile riparazione. Ormai gocciolavano di continuo e la C era sparita per
sempre. Old, non Cold... acqua vecchia, non più acqua fredda.
Aveva visto Isabel pochi giorni prima e, a quanto pareva, stava molto meglio. Ancora
non parlava, e gli avevano detto che per questo ci sarebbe voluto ancora un pezzo.
Nessuno sapeva perché avesse deciso di distruggere la vasca... a parte forse quella sua
amica cicciona, che comunque era troppo spaventata per parlare.
Secondo gli esperti, era tutto collegato all'eccessiva pressione. Uno squilibrio
provocato da uno scompenso emotivo di tipo traumatico.
Un sacco di paroloni, già. In realtà volevano semplicemente dire che era tutta colpa dei
genitori. Perché litigavano. Perché c'era troppa tensione in casa. E Isabel, incapace di
sopportarla, se n'era uscita con una fantasia assurda sulla vasca.
In altre parole, era colpa sua. Ma era proprio così? Immerso nell'acqua calda e nel
profumo del bagno schiuma al pino, Jeremy Martin rifletté a lungo, intensamente.
Non era mica lui a iniziare le discussioni. Era sempre Susan. Da quando l'aveva sposata,
non faceva che tentare di... be', di cambiarlo. Sempre a punzecchiarlo. Come il soprannome che
gli avevano affibbiato a scuola. Il Topo. Non lo prendevano sul serio. Lei non lo prendeva sul
serio.
Ma gliel'avrebbe fatta vedere. Avvolto dal vapore, aveva l'impressione di fluttuare.
Una sensazione meravigliosa.
Sì, avrebbe cominciato con Susan.
Poi c'erano un paio dei suoi allievi. E il preside, naturalmente.
Sapeva esattamente cosa fare.
L'aveva vista proprio quella mattina, da un robivecchi a Hampstead.
Vittoriana, probabilmente. Pesante, con un manico di legno liscio e una lama robusta,
affilata come un rasoio.
Sì. L'avrebbe comprata la mattina seguente.
Era proprio quello che gli serviva. Una bella accetta vittoriana...