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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PARMA
CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA
Medicina tradizionale in Senegal. L’ emblematica figura
del guaritore nei villaggi rurali senegalesi.
Relatore: Chiar.mo Prof. Leopoldo Sarli
II Relatore: Chiar.ma Prof. Vincenza Pellegrino
Laureanda : Martina Ranalli
ANNO ACCADEMICO 2013-2014
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INDICE:
- RIASSUNTO............................................................................. 3-4
- CAPITOLO 1 ............................................................................ 5-27
1.1 IL CONTESTO SENEGALESE,
1.2 L’ ORGANIZZAZIONE SANITARIA SENEGALESE,
1.3 PIANO LEGISLATIVO SENEGALESE IN AMBITO
SANITARIO,
1.4 REGOLAMENTAZIONE
DELLA
MEDICINA
TRADIZIONALE,
1.5 L’ INFLUENZA DEL COLONIALISMO,
1.6 I DIFFERENTI CONCETTI DI SALUTE E MALATTIA,
- CAPITOLO 2: MATERIALI E METODI,...............................28-29
- CAPITOLO 3: RISULTATI,....................................................30-42
3,1
3,2
3,3
3,4
DIFFERENTI TIPI DI GUARITORI,
I CIARLATANI,
AUTODEFINIZIONE DEI GUARITORI,
LA PAROLA AI GUARITORI,
- CAPITOLO 4 : COMMENTO ................................................42-71
4,1 LA MEDICINA TRADIZIONALE,
4,2 LA FIGURA DEL GUARITORE,
4,3 CENNI DI FITOTERAPIA,
4,4 LA MEDICINA TRADIZIONALE HA SPAZIO NEL
FENOMENO MIGRATORIO?
- CAPITOLO 5: CONCLUSIONI..............................................72-73
- BIBLIOGRAFIA
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RIASSUNTO
Grazie a un progetto di cooperazione in Senegal tra l’università di Parma ed
associazioni del territorio senegalese ho avuto l’occasione di analizzare la condizione
sanitaria senegalese nei villaggi rurali e di valutare come la medicina tradizionale,
rappresentata dalla figura del guaritore sia ben radicata nei villaggi.
Ho analizzato brevemente, il sistema sanitario senegalese che è costituito da una
piramide sanitaria che ha al vertice gli ospedali ed alla base piccoli ambulatori periferici
ed ho visto come i vari gradini interagiscono tra di loro.
L’ OBIETTIVO del mio lavoro è stato quello di cercare di comprendere l’emblematica
e misteriosa figura del guaritore attraverso la sua autodefinizione e di riuscire a
distinguere un guaritore autentico da un ciarlatano e spiegare come la visione della
salute, della malattia e della medicina sono diversi da quelli dei paesi occidentali e sono
mutati nel post-colonialismo.
Il METODO utilizzato per raggiungere l’obiettivo è rappresentato da osservazione
diretta ed interviste nel corso di una missione in Senegal nell’ambito di un progetto di
cooperazione dell’Università di Parma.
La missione ha consentito di analizzare la figura a del guaritore e comprendere la loro
importanza nei villaggi senegalesi. Per questioni economiche, spaziali e culturali, le
popolazioni del Senegal ricorrono ancora alla Medicina Tradizionale come primo
metodo di cura, essendo parte del territorio in cui vivono. Il guaritore è quindi un punto
di riferimento per gli abitanti dei villaggi senegalesi, è detentore di un enorme sapere ed
essendo abitante del villaggio, conosce profondamente gli abitanti, le loro storie e i loro
problemi.
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Esistono diversi tipi di guaritori che si differenziano soprattutto per il metodo che
utilizzano per curare. Troviamo guaritori che curano con le erbe, guaritori che utilizzano
riti divini o guaritori che si servono della religione.
Il loro ruolo, seppure radicato profondamente all’interno dei villaggi senegalesi, è
cambiato molto nel tempo, soprattutto con l’avvento del colonialismo che ha cercato di
spodestare gli abitanti dei villaggi, non solo dei beni materiali ma anche delle loro
credenze e della loro cultura.
La medicina tradizionale risulta essere la prima scelta di cura anche per la sua presenza
capillare sul territorio; cosa che non accade per le altre figure professionali della
medicina convenzionale. Tra di esse, l’infermiere, nonostante sia entrato più
recentemente nell’itinerario terapeutico degli abitanti dei villaggi, risulta essere di
rilevante importanza all’interno della struttura sociale dei villaggi stessi essendo vicino
al contesto famigliare e culturale e riuscendo a stabilire spesso stretti legami con i
terapeuti tradizionali. Per le sue caratteristiche professionali e per l’importanza che
riveste, la figura dell’infermiere può essere considerata l’anello di congiunzione tra
medicina tradizionale e medicina convenzionale.
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CAPITOLO 1
1,1 il contesto senegalese
FIGURA N 1
Il Senegal, ufficialmente Repubblica del Senegal è uno Stato dell'Africa occidentale,
con capitale Dakar.Il tasso stimato di popolazione è circa 9,6 milioni di abitanti (44,6
abitanti per km2). I gruppi etnici più rappresentati nel paese sono: il Wolof (36 % della
popolazione totale), il Lebu(sottogruppo wolof di 80.000 individui), la Serere (19 %
della popolazione totale); Tukulor (12 %), Fulani (10,5 % , un popolo nomade), Diola
(8 %) e Mandinghi (350.000 individui) ; Bassari , situata nell'estremo sud-est del paese ,
che tradizionalmente vivono di pesca, caccia e raccolta. Oltre al francese, lingua
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ufficiale, altre lingue molto diffuse sono il wolof (parlato dal 80% della popolazione),
Serere, Pulaar, Diola, Mandingo e Soce. La maggior parte delle religioni rappresentate
sono musulmana (90 %), Cristianesimo (5 %) e l'animismo (5 %).
All’interno del paese, nella parte occidentale troviamo la regione di Thiès, regione più
popolosa dopo la capitale Dakar, con una popolazione stimata di 1.442.338 abitanti.
Thiès è divisa in 3 dipartimenti (Mbour, Thiès, Tivaoune), 11 comuni, 10 circoscrizioni
e 31 comunità rurali (CIA, 2005). [24]
PIRE è capoluogo di Comunità Rurale, situato nella regione di Thiès, conta 22800
abitanti, e un totale di 66 villaggi. A Pire, territorio di forte emigrazione maschile, si è
sviluppata un’ampia realtà associativa femminile, consorziata in Federazione dei gruppi
femminili (il 54% degli abitanti di Pire sono donne) che ha lavorato in progetti di
cooperazione decentrata con il territorio di Parma. Sono nate attività di piccola
imprenditoria agricola e commerciale, gestite dalle donne con il supporto di un sistema
locale di microcredito.
1.2 l’organizzazione sanitaria senegalese
Da circa una dozzina d'anni, il Senegal mette in opera una politica sanitaria firmata dal
Capo di Stato e messa in opera dal Ministero della Salute e della Prevenzione Medica.
Sei Direzioni compongono tale ministero:
- La Direzione sanitaria.
-La Direzione di amministrazione Generale e di attrezzatura
-direzione dell'igiene e della salute pubblica
-Direzione della farmacia e delle droghe.
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-Direzione degli studi delle ricerche e della formazione.
- la direzione degli stabilimenti sanitari pubblici
Il Senegal, nel suo obbiettivo di accessibilità delle cure per tutti ha optato per una
decentralizzazione della struttura sanitaria. Così il sistema sanitario si presenta sotto
forma di una piramide a 3 livelli:
-Il livello periferico corrisponde al distretto sanitario
-il livello regionale corrisponde a alla regione medica.
-il livello centrale. [8]
Il distretto sanitario è paragonato a una zona operativa comprendente almeno un centro
sanitario e una rete di posti sanitari; copre un’area geografica che può interessare un
intero dipartimento, o una sua parte. Attualmente in Senegal vi sono 50 distretti sanitari,
ciascun distretto, o area operativa, viene gestito da un direttore medico. I posti sanitari si
trovano nei comuni, nei capoluoghi delle comunità rurali o nei villaggi relativamente
popolati; all’interno dei villaggi rurali si appoggiano alle infrastrutture comunitarie dei
villaggi stessi (capanni sanitari e maternità rurali) create dalle popolazioni che ne
assicurano la gestione attraverso l’intermediazione di operatori sanitari comunitari o di
ostetriche selezionate. [8]
La regione medica e' una struttura di coordinazione a livello regionale. Ogni regione
medica corrisponde ad una regione amministrativa. Essa e' diretta da un medico di
sanità pubblica che e' il principale animatore del quadro di squadra composto
dall'insieme di capi servizio collegati alla regione medica.
Ogni regione medica copre almeno un ospedale. Quest'ultimo può essere dipartimentale,
regionale, e dispone di cure di medicina interna Ostetrica, ginecologica, pediatrica di
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specialisti chirurgici o medici. Esso serve la popolazione della regione interessata che
più variare da 150.000 a più di un milione di abitanti.
Il livello nazionale corrisponde al livello centrale e comprende oltre alla mobilità di
ministero le direzioni e i servizi connessi. A tale livello, abbiamo il CHU (centro
ospedaliero-universitario), l'apice della piramide.
FIGURA N 2
Per comprendere la concezione di salute dei senegalesi bisogna, quindi, analizzare la
cosiddetta
“piramide delle professioni sanitarie”, così composta: Ask (agenti di salute); Relè
(cosiddetta “Zia”) che si
occupa di programmazione e formazione materno- infantile; Sage Famme che cura la
salute della donna
prima, durante e dopo la gravidanza; Infermiere e Medico.[7]
La suddivisione strutturale degli organismi della salute vede alla base le “Case de
Santè”,site generalmente nei villaggi più piccoli. Qui si pratica un’attività sanitaria di
base. La figura presente è l’Ask che può somministrare medicine di base come il
paracetamolo, effettuare medicazioni e curare piccole ferite. Se i pazienti dovessero
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necessitare di farmaci su prescrizione o presentare problemi di salute più complessi,
vengono rimandati al “Poste de Santè” più vicino. Nelle Case l’infermiere è presente
una volta al mese.
Gli obiettivi delle “case della salute” sono:
Informazione, educazione e comunicazione sulle attività di prevenzione (accesso
all'acqua potabile, servizi igienico-sanitari ambientale) , assistenza a parti non
complicati, cure di base (fasciature), pianificazione familiare (distribuzione di
contraccettivi, rifornimento di medicinali), monitoraggio (identificazione dei segnali di
pericolo, con gli strumenti adottati dalla comunità di riferimento), assistenza medica
(insufficienza respiratoria acuta, malaria non complicata e diarrea), distribuzione di
farmaci essenziali.
Troviamo poi i “Poste de santé” che sono avamposti sanitari ministeriali che si
occupano delle malattie della popolazione, siti generalmente nei villaggi più grandi,
presieduti dalla figura di riferimento che è l’infermiere il quale svolge attività
ambulatoriale, generalmente dalle 8 alle 18, dal lunedì al sabato. Gli utenti hanno
grande fiducia e considerazione di tale professionista. La sua figura è, se vogliamo,
equiparata al medico perché ha facoltà di visitare i pazienti, cerca di curare operando
una vera e propria diagnosi sul sintomo e prescrivere farmaci se lo ritiene opportuno.
Gli obiettivi dei “posti della salute” sono:
Pianificazione, trattamento di patologie comuni, consulenza per e post-natale,
pianificazione familiare e parto normale (cure ostetriche di emergenza e di base),
assistenza nutrizionale, visite domiciliari, supporto per aborti, formazione, supervisione
e ricerca, monitoraggio, miglioramento nella gestione e nella qualità del servizio
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(gestione: dati, informazioni, risorse umane, medicinali ed attrezzature), esami
complementari, trasporto di feriti con veicoli sanitari, prevenzione della malaria.
Salendo verso la punta della piramide troviamo i Centri di salute, che hanno come
obiettivi:
Assistenza a parti complicati, gestione delle emergenze mediche che necessitano di
trattamenti chirurgici, ausilio diagnostico (esami di laboratorio, raggi X, ecografie),
visite a domicilio, trasporto di feriti con veicoli sanitari (Ministero della sanità e della
prevenzione medica, 2006).
I centri di salute comprendono unità di consulenza e di cura, unità di ricovero, servizi
gestiti da ostetriche, la maternità e, talvolta, un laboratorio.
Infine , “les hospitaux” che Sono a livello regionale e nazionale che consentono cure e
trattamenti specialistici.
I servizi sanitari sono quasi sempre concentrati nelle aree urbane, mentre nelle aree
rurali dove vive e risiede la maggior parte della popolazione, sono spesso carenti. Il
personale medico, non è motivato a lavorare nelle zone rurali, a causa della mancanza di
mezzi. La difficoltà riscontrata da questo sistema è soprattutto l’accessibilità della
popolazione in termini logistici, economici e culturali ed è anche inefficiente per
determinate malattie. Infine, i costi sempre maggiori per la costruzione delle
infrastrutture, la dipendenza dalla tecnologia, la necessità di importare farmaci, è causa
di un ingente debito dei governi
nazionali (OMS/AFRO, 1990).
Negli ambienti rurali la situazione è aggravata anche dalla difficoltà di raggiungere i
due terzi dei villaggi durante la stagione delle piogge. Inoltre nelle case di Santè, ad
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esempio, anche il personale è numericamente insufficiente e non adeguatamente
formato: nessun ginecologo in tutta la Regione, una “sage–famme” (infermiera
riconosciuta dalla popolazione dei villaggi) ogni 3500 donne incinte (L’Organizzazione
Mondiale della Sanità individua una “sage-famme” ogni 300 donne incinte il numero
minimo per garantire un’adeguata assistenza). Le donne partoriscono generalmente in
casa, in condizioni precarie e drammatiche.
Persone con problemi non curabili in ambulatorio, vengono inviate ai centri della salute
o direttamente in ospedale, anche se le difficoltà logistiche della popolazione sono
elevate e i disagi legati al trasporto per raggiungere la struttura di riferimento più vicina,
notevoli.
1,3 Il piano legislativo Senegalese in ambito sanitario
La dichiarazione di Alma Ata, adottata dalla Conferenza Internazionale sull’assistenza
sanitaria primaria (1978), può essere vista sotto un’ottica ideologica, in quanto indica le
buone pratiche di creazione di progetti sanitari sostenibili che coinvolgono le
popolazioni. Il tentativo di tale dichiarazione fu di integrare le figure tradizionali
all’interno di un sistema sanitario di base, cercando in tal modo il raggiungimento dello
stato di salute globale. Al primo punto viene definito il concetto di salute inteso come
un completo benessere fisco, mentale e sociale, non solo assenza di malattia. In seguito
viene definito il concetto di assistenza di base fornito da operatori sanitari professionisti.
In questo punto si evince che l’assistenza di base dipende anche in gran parte dalle
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figure professionali tradizionali, i quali devono essere adeguatamente preparati dal
punto di vista sociale e tecnico, a lavorare in equipe ed a rispondere ai bisogni di salute
espressi dalla comunità. (Alma Ata, 1978).
Secondo i dati forniti dall’OMS, il 70% - 95% dei cittadini, in particolare di coloro che
vivono nei paesi in via di sviluppo, usano la medicina tradizionale per mantenere il
proprio stato di salute e per l'assistenza sanitaria primaria, nonché per affrontare le loro
emergenze sanitarie (OMS, 2011). Nel Luglio 2001 con la Conferenza di Lusaka,
l’OMS sviluppa un Piano d’azione del decennio della medicina tradizionale, nel
tentativo di sviluppare politiche nazionali di regolamentazione della medicina
tradizionale. L’OMS ed i suoi stati membri, si sono mossi attivamente per promuovere
ed integrare la medicina tradizionale nell’assistenza sanitaria, attraverso una
regolamentazione al fine di garantire l’utilizzo di prodotti sicuri, efficaci e di qualità
basati su evidenze disponibili nel riconoscimento delle medicina tradizionale come
componente dell’assistenza primaria. Questo nel tentativo di aumentare l'accesso alle
cure e preservare conoscenze e risorse; garantendo la sicurezza del paziente,
l'aggiornamento delle competenze e le conoscenze dei fornitori di medicina tradizionale.
Per il periodo 2002-2005 l’OMS ha fornito ai paesi membri, attraverso una strategia per
le medicine tradizionali, il riconoscimento del ruolo delle medicine tradizionali,
inserendole nei pieni sanitari di tutti i paesi. Questo attraverso un approccio integrativo
tra medicina tradizionale e convenzionale, entrambe disponibili in ospedali e cliniche,
coprendo il trattamento di entrambe le medicine dall’assicurazione sanitaria, rendendo
quindi tale sistema inclusivo per i paesi coinvolti ed allo stesso modo tollerante nei
confronti della legge.
La strategia dell’OMS prosegue, nel tentativo di agevolare
l’accesso alla salute primaria, definendo politiche atte a riconoscere il ruolo della
medicina tradizionale in ogni singolo stato ed il relativo corretto impiego, in termini di
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efficacia, sicurezza e razionale utilizzo in pratiche sanitarie standard. In seguito tratta
dell’accessibilità alle medicine tradizionali per le popolazioni più povere, nel tentativo
di incrementarne l’accesso ed aumentarne la disponibilità, anche grazie ad un razionale
utilizzo a tutela degli operatori sanitari. Nel 2009 con la risoluzione dell’Assemblea
Mondiale della Sanità sulla Medicina Tradizionale l’OMS sollecitava i Governi
nazionali a rispettare e diffondere la conoscenza della medicina tradizionale formulando
politiche e regolamenti nazionali per la promozione di un uso corretto, sicuro ed
efficace di tale pratica. Esortava gli Stati Membri ad integrare la medicina tradizionale
nei loro sistemi sanitari nazionali, a cooperare tra loro e condividere le conoscenze
frutto del lavoro intrapreso a livello nazionale per rafforzare la comunicazione tra gli
operatori convenzionali e tradizionali.
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1,4 Regolamentazione della Medicina Tradizionale
La medicina tradizionale è una conoscenza che può apportare solamente sollievo agli
uomini, è antica quanto l’umanità, è antica quanto il dolore.
Quando un cittadino italiano incontra un problema di salute sa di potersi rivolgere in
prima battuta al suo medico curante e successivamente ai servizi sanitari preposti alla
sua cura. Quando invece un cittadino senegalese sta male, in molti casi aspetta che il
problema si risolva da sé, ma quando si rivolge alle strutture sanitarie del Paese incontra
numerosi problemi, a partire dalla accessibilità geografica; si tenga conto infatti che, per
esempio, in Senegal è presente un medico ogni 17.000 abitanti e un infermiere ogni
8.700 abitanti contro rispettivamente i 5.000 e i 300 auspicati dall’OMS. I terapeuti
tradizionali, invece, si stima siano presenti uno ogni 100 abitanti. Per questo anche
l’OMS ritiene che la stragrande maggioranza delle popolazioni africane in caso di
problemi di salute si affidi alle cure della medicina tradizionale.
Mentre aumentano gli occidentali che si rivolgono a forme di medicina non
convenzionale, reagendo all’iper specializzazione che non cura la persona ma il singolo
organo, in Africa una rete di ong promuove la collaborazione tra guaritori tradizionali e
personale ospedaliero. L’ OMS raccomanda infatti, di inserire l’ “altra” medicina nei
piani sanitari di tutti i paesi, essendo molto estesa nel mondo e rivestendo
un’importanza sanitaria economica crescente.
Secondo l'Organizzazione Nazionale della Sanità (OMS), la medicina tradizionale si
definisce come comprendente diverse pratiche, approcci, conoscenze, e credenze
sanitarie integranti i medicamenti
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a base di piante, di animali, di minerali, dei trattamenti spirituali, delle tecniche manuali
e degli esercizi applicati soli o in associazione al fine di mantenere il benessere e di
trattare, diagnosticare, e prevenire le
malattie.
Sebbene in Senegal la medicina tradizionale non abbia un riconoscimento giuridico la
presenza capillare dei guaritori e la rinomata efficacia delle loro pratiche di cura porta
non solo a tollerare la sua presenza, ma anche a sperimentare forme di collaborazione
con la medicina convenzionale. Ciò permette di intravedere, anche se in maniera ancora
embrionale, una sorta di percorso assistenziale del cittadino malato in cui ogni attore del
sistema svolge un ruolo fondamentale. Oggi circa l’80% della popolazione africana,
nonostante la crescita dei metodi di cura convenzionali, ricorre a metodi tradizionali per
risolvere problemi di salute, questo perché persiste la scarsità medica nel continente
africano, così come la difficoltà di fornire servizi di assistenza sanitaria di base, in
termini di accessibilità spaziale e finanziaria. Conseguentemente la medicina
tradizionale diventa l’unica forma di cura accessibile dalle fasce povere della
popolazione. I terapeuti dal canto loro incontrano molte difficoltà ad essere riconosciuti
nel loro ruolo di professionisti della salute, nonostante la loro diffusione sul territorio
potrebbe contribuire alla copertura sanitaria data la scarsità di medici. Esistono
numerose pratiche di medicina tradizionale nel continente africano, ma non tutti sono
riconosciuti dai governi e dalle comunità internazionali (OMS/ afro, 2010). Questo
rende impossibile considerare la medicina tradizionale un’alternativa valida, dimostrata
scientificamente, ai convenzionali metodi di cura. Solo pochi paesi hanno sviluppato
vere e proprie leggi approvate dai governi, in materia di medicina tradizionale.
Numerosi passi sono stati compiuti al fine di riconoscere legittimamente il ruolo delle
medicine tradizionali e dei relativi terapeuti tradizionali, sensibilizzando l’opinione
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pubblica, favorendo la creazione di spazi e momenti di confronto e discussione tra i
Governi sulle politiche necessarie per il raggiungimento dell’obiettivo previsto. Una
delle maggiori difficoltà consiste nella complessa eterogeneità della medicina
tradizionale africana, per questo motivo è necessario creare e sviluppare un sistema
d’integrazione delle pratiche terapeutiche tradizionali nei sistemi attuali di assistenza
sanitaria. Il problema che si pone concretamente per i governi africani è quello di far
coesistere i due sistemi di cura (tradizionale e convenzionale), dando una legittimazione
agli operatori della medicina tradizionale con il riconoscimento ufficiale della
professionalità di curatori tradizionali. La cosa importante da sapere è che qui in
Senegal, nonostante questo studio testimoni la grande fetta di popolazione che sceglie la
medicina tradizionale, la stessa medicina non è disciplinata da nessuna legge. Questa
medicina è praticata, tollerata ma non è legiferata. Se non è qualcosa di tutelato è come
se non potesse sopravvivere come tradizione bisogna entrare nell'ottica di idea che deve
esserci un integrazione tra i due sistemi, non devono essere in contrasto ma coesistere. I
Guaritori ed i Medici devono cooperare per arrivare a guarire una patologia,
tralasciando tutto ciò che parla del soprannaturale, che è un mondo difficile da capire e
che tende a restare nell'ignoto, ma basandoci solo sul reale potere delle erbe, sulle
proprietà.
Legalizzando questa attività, grazie alla formazione ed alla concessione di brevetti
autorizzati, non esisterebbe più il pericolo di incorrere in pratiche dannose, le quali
sarebbero utilizzate solo dai “ciarlatani”. Una legge sarebbe anche un trampolino di
lancio per testare scientificamente l’efficacia dei fitofarmaci, tentando anche la via della
sperimentazione. La formazione e l’educazione sono dunque presupposti fondamentali
per una cooperazione futura tra medicina tradizionale e convenzionale, così come si
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evince l’importanza di una legittimazione futura al fine di garantire pratiche sicure,
testate scientificamente, e quindi riconoscere i “ciarlatani”.
1,5 l’influenza del colonialismo
“Bisogna sviluppare le razze indigene in qualità e in quantità. L’assistenza medica
individuale deve cedere il posto alla medicina preventiva e sociale, la sola capace di
circoscrivere le malattie endemiche e le epidemie e assicurare lo sviluppo delle
popolazioni” -circolare ministeriale del governo coloniale francese, 1924- [4]
Il colonialismo è definito come l'espansione di una nazione su territori e popoli
all'esterno dei suoi confini, spesso per facilitare il dominio economico sulle risorse, il
lavoro e il commercio di questi ultimi. Il termine indica anche l'insieme di convinzioni
usate per legittimare o promuovere questo sistema, in particolare il credo che i valori
etici e culturali dei colonizzatori siano superiori a quelli dei colonizzati. [25]
Nell'Africa nera esistevano vari stati africani indipendenti, taluni veri aggregati di tribù,
altri autentiche entità politiche dall'antica e gloriosa civiltà. Tutti essi resistettero
inutilmente alla penetrazione degli europei, interessati alle grandi risorse economiche
africane. La penetrazione europea si espresse in varie forme di colonialismo, elencate di
seguito:
Colonialismo commerciale
Fino al XVI secolo il continente africano presentava solo forme di colonialismo
commerciale, diffuso lungo le coste. Portoghesi, inglesi, francesi e olandesi si erano
limitati a fondare varie basi sulle coste africane. Esse, da un lato, servivano da supporto
ai bastimenti in rotta lungo le grandi vie di comunicazione marittima e, dall'altro,
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fungevano da centri di smistamento e raccoglimento delle merci e dei prodotti africani
(oro, pelli, avorio, legni pregiati, caffè, pietre preziose) destinati ad essere esportati in
Europa. Importante aspetto del colonialismo commerciale è il commercio degli schiavi,
che prospera tra il XV e il XVIII secolo. In questo periodo un grande numero di africani
(circa 11 milioni) viene rastrellato con incursioni e rapporti commerciali con alcune
tribù africane dai mercanti di schiavi europei (detti "negrieri"). Essi poi provvedono a
portarli con le loro navi attraverso l’Oceano Atlantico per venderli ai grandi latifondisti
delle Americhe come schiavi adibiti alla coltura delle piantagioni. Questo commercio
darà grandi guadagni ai "negrieri" e cesserà solo nel corso del Settecento e
dell’Ottocento, quando dovunque si sancirà l’abolizione della schiavitù in seguito
all’affermazione del pensiero illuminista. [25]
Meno ricordato nell’ambito del commercio degli schiavi è il ruolo dello schiavismo
arabo. I commercianti arabi, partendo dal Nord Africa, allacciarono anch’essi relazioni
commerciali con tribù africane fino nell’Africa centrale; tra le merci che rientravano nel
movimento commerciale, vi erano anche moltissimi schiavi africani, deportati dagli
arabi verso i mercati arabici, iraniani e indiani. I viaggi degli Arabi in Africa (cominciati
fin dal XI o dal XII secolo) portarono alla diffusione lenta e pacifica dell’Islam in vaste
zone dell’Africa, ove esiste tuttora. L’attività commerciale araba cessò del tutto nel
corso dell’Ottocento, quando venne soppiantata dalla penetrazione europea nel
continente africano.[25]
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Colonialismo moderno
Dal XIX secolo il colonialismo moderno si è volto allo sfruttamento delle risorse dei
paesi colonizzati. La penetrazione coloniale nell’entroterra in Africa è avvenuta
solitamente dopo spedizioni esplorative, che hanno dato idea delle risorse dei vasti
territori. In seguito a ciò, le potenze europee decidono di impossessarsi dei territori
africani per avere fonti di risorse prime, nonché avere importanti basi commerciali.
Talora è importante anche l’idea di avere dominio su vasti territori dove poter inviare
molti cittadini della madrepatria (che così si libera di una parte eccedente della propria
numerosa popolazione).
Inizia allora l’espansione coloniale, che raggiunge il suo apice nella seconda metà del
novecento.
1. Le potenze europee iniziano una vera e propria “corsa alle colonie”: ogni paese invia
in Africa contingenti militari per occupare i vasti territori africani dell’entroterra,
formalmente ancora appartenenti a nessuno secondo gli europei (l’Africa era dichiarata
res nullius) e ciò permetteva agli europei di appropriarsene senza scrupoli e
ufficialmente, poiché era territorio sotto nessuna giurisdizione. I territori venivano
occupati sia con la forza sia con la diplomazia (concludendo trattati con i capi dei popoli
africani, con cui cedevano la loro sovranità alle potenze europee). Successivamente, i
territori occupati dalle truppe vengono proclamati colonie dalla madrepatria, che ora li
considera come suo territorio.
2. Dopo la semplice occupazione per mano dei militari del territorio, la madrepatria
decide gradualmente la creazione di un'amministrazione e un esercito nelle colonie,
modellate secondo il modello europeo.
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Ovviamente la madrepatria ha interesse a mantenere il potere per mezzo di queste
creazioni; inizia così l’invio di cittadini bianchi della madrepatria, che diventano i
detentori del potere nelle colonie e la loro classe dirigente (seppur sempre soggetta alle
decisioni della madrepatria). Essi mantengono nelle proprie mani ogni posto di potere
politico; infatti solo funzionari bianchi occupano le posizioni chiave di potere
nell’amministrazione e nell’esercito delle colonie create dalla madrepatria. I bianchi
occupavano anche ogni posto di potere economico; infatti i bianchi si arricchiscono
impiantando ovunque imprese volte allo sfruttamento delle risorse delle colonie
(latifondi e piantagioni, imprese minerarie ed industriali), impiegando come
manodopera sottopagata gli indigeni locali. Ovviamente da ciò trae profitto economico
la madrepatria, verso cui vengono esportate queste risorse. Il potere è in mano ai bianchi
(sempre una minoranza rispetto alla popolazione indigena).[25]
Il loro dominio è imposto alle popolazioni indigene nere, costrette ad accettarlo con la
forza; ogni loro tentativo di resistenza era spezzato dalla violenza delle truppe coloniali
bianche. Sull’atteggiamento dei bianchi verso i neri è determinante la convinzione
razzistica dei colonizzatori bianchi di essere superiori alle popolazioni indigene. Ciò
spiega le vessazioni e talora le atrocità che subiranno i neri da parte dei bianchi durante
il colonialismo. Le truppe coloniali di tutti i paesi europei ricorrevano spesso, per
incutere timore negli indigeni e sedare le loro ribellioni, a metodi spietati e atrocità,
come la distruzione di villaggi, la cattura di ostaggi che subivano torture, esecuzioni di
massa e massicce deportazioni. In certi paesi si arrivava addirittura allo sterminio di
interi popoli indigeni che si erano dimostrati contrari al predominio.
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Le popolazioni nere si ritrovano integrate nelle strutture politiche ed economiche create
dai colonizzatori bianchi europei, trovandosi a loro sottomesse: esse sono perciò
costrette ad accettare lingua, religione cristiana e cultura europea. Tuttavia le élite delle
popolazioni indigene (come capi di tribù) spesso possono trarre alcuni vantaggi dal
colonialismo: infatti essi possono avere qualche speranza di ascesa sociale. Per esempio
essi possono presiedere a posti di non molta importanza nell’amministrazione coloniale
creata dagli europei e assorbire la loro cultura, studiando presso scuole europee. Ma i
ceti popolari neri sono completamente esclusi dalle decisioni politiche. Essi spesso sono
ridotti ad essere dipendenti dai bianchi (come manodopera malpagata al loro servizio o
soldati semplici nell’esercito coloniale), vivendo in condizione di povertà e ignoranza.
Il colonialismo ha quindi portato a un impoverimento dei popoli neri delle colonie, sia
in termini economici sia in termini culturali (infatti, i bianchi hanno distrutto la cultura e
lo stile di vita dei popoli indigeni neri, imponendo il proprio, e sfruttano le loro ricche
risorse naturali). Inoltre la soggezione politica dei neri (imposta dai colonizzatori
bianchi) impedisce loro di sviluppare una coscienza politica e nazionale e di essere
capaci di governarsi autonomamente. [25]
Anche la concezione di salute, di cura e di malattia ha subito dei forti cambiamenti e
delle forti influenze da parte del colonialismo. Ho cercato di distinguere i tre momenti:
Situazione prima dell’era coloniale
Esisteva un’unica relazione: la relazione rituale mediata dall’esperienza ancestrale. Nel
rapporto malato- terapeuta tradizionale, si trattava di due “oggetti” particolari, poiché
questa relazione implicita viene esteriorizzata solo nel corso della terapia.
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Malato
relazione interpersonale implicita
terapeuta tradizionale
Inoltre il terapeuta tradizionale si evolveva entro le norme fissate dalla società: era
un’interrelazione (relazione biiettiva) società- terapeuta. La società esercitava un
controllo permanente dell’azione del terapeuta tradizionale, ma quest’ultimo esercitava
a sua volta un controllo, non meno importante, sulla partecipazione effettiva della
società durante la terapia: vi era una dialettica permanente tra i due elementi. [17]
Malato
Relazione d’integrazione
Società
Relazione rituale
relazione biiettiva permissiva
terapeuta tradizionale
Situazione durante il periodo coloniale
Durante il periodo coloniale, la scuola ha imposto altri maestri oltre ai genitori, un’altra
autorità oltre a quella degli antenati. Altri messaggi sono trasmessi attraverso altri
22
canali. Il continuum educativo viene interrotto, viene rivelata la rottura tra le
generazioni. Le tecniche mediche vengono bandite e accusate di paganesimo. I terapeuti
tradizionali esiliati hanno visto le loro attività giudicate severamente. Questa situazione
si è stranamente ripercossa nella relazione malato- istituti di cura. L’africano resta
sottomesso alla tradizione ma permeabile a nuove acquisizioni. La forza e il peso della
tradizione condizionano il comportamento, e fanno sì che l’africano non abbia alcuna
alternativa che la completa fiducia o negazione nella medicina. In quest’ottica sembra
che le società tradizionali si siano accordate con l’amministrazione coloniale su alcune
concessioni formali in modo da poter contemporaneamente preservare i fondamenti
della loro medicina e favorire una coesistenza pacifica.
La relazione medico- malato apparirebbe così come una necessità: rientra nelle
concessioni che la società è stata spinta ad accordare per poter conservare l’essenziale
della sua medicina. Il malato parteciperà così alla relazione medico- paziente con un
atteggiamento di completa credenza che non presuppone alcuna riflessione ulteriore sui
metodi adottati; il medico e il terapeuta si rendono quindi reciprocamente responsabili
dei loro eventuali fallimenti.
La cura dei malati, il controllo delle endemie e delle malattie sociali, il governo del
territorio, degli spostamenti, degli insediamenti, lo sfruttamento della manodopera e
delle coltivazioni, l’introduzione di norme igieniche sono processi che scandiscono
quella che si definisce la prima fase del colonialismo.
Si ha il completo <<potere sula vita >> costruito attorno a due poli; il primo è quello del
corpo come macchina, il suo dressage, il potenziamento delle sue capacità, l’estorsione
delle sue forze, la crescita parallela della sua utilità e docilità. Il secondo è quello del
corpo-specie, sottoposto a un insieme di controlli regolatori che hanno come oggetto la
23
popolazione. La medici a coloniale si situa maggiormente intorno a questo secondo
polo. [17]
malato
Relazione di necessità
Relazione di fiducia
coercitiva
Medico
tradizionale
relazione d’esorcizzazione
Terapeuta tradiz.
Situazione dopo la decolonizzazione
Si assiste a una coesistenza di due società: l’una tradizionale rurale, l’altra moderna
urbana; diciamo che esiste un movimento permanente che va dalla società tradizionale
alla società moderna all’immagine dell’esodo rurale. L’individuo passerà dalla sua
cultura di base all’acculturazione. Questo spinge ad analizzare i tre aspetti dinamici
della personalità del malato africano. L’approccio del malato africano è dunque molto
complesso, poiché le differenti personalità possono incrociarsi. Esiste una differenza
fondamentale tra i due tipi classici di relazione:
-
Medico- malato
-
Terapeuta tradizionale – malato
24
1)Malato che conserva la sua cultura originaria
Malato tradizionale
Famiglia
fedeltà
Rottura strutturale
Medico
struttura ambivalente
relazione d’esorcizzazione
Terapeuta
tradizionale
2) il malato transculturale
Malato
Relazione di sconforto
Medico
transculturale
Relazione interpersonale
relazione rituale a distanza
25
Terapeuta tradizionale
3) Malato acculturato
Medico
relazione interpersonale di servizio
Malato acculturato
1,6 I differenti concetti di malattia e salute
La salute è vissuta all’interno degli ambienti di vita quotidiana: là dove si studia, si
lavora, si gioca e si ama. La salute significa pendersi cura di se stessi e degli altri, ma
anche garantire una società in grado di offrire uguali condizioni che permettono a tuti i
suoi membri di raggiungerla.
La prima Conferenza Internazionale sulla Promozione della salute, riunitasi a Ottawa il
21 novembre 1986, presentava questi principi e concetti per stimolare l’azione a favore
della “Salute per tutti” per l’anno 2000 e oltre. Ma la fame, l’indebitamento, ossia il
sottosviluppo che costringono ai paesi lo smantellamento del tessuto sociale, hanno reso
precaria la salute dei cittadini e delle comunità africane.
La pianificazione della penuria dei servizi, dei captali e dei bei in queste aree del mondo
hanno messo a dura prova la vita della popolazione in tutti i suoi settori e soprattutto
26
quello della salute, peggiorando le infrastrutture, la mancanza di medicine e una scarsa
prevenzione.
“La Conferenza ribadisce con forza che la salute, stato di completo benessere fisico,
mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità, è un diritto
umano fondamentale e riafferma che il raggiungimento del maggior livello di salute
possibile è un risultato sociale estremamente importante in tutto il mondo, la cui
realizzazione richiede il contributo di molti altri settori economici e sociali in aggiunta a
quello sanitario” (Alma Ata, 1978).
L'assistenza sanitaria primaria è una parte integrante sia del sistema sanitario di un
paese, del quale rappresenta la funzione centrale e il punto principale, sia del completo
sviluppo sociale ed economico della comunità. Essa rappresenta la prima occasione di
contatto degli individui, della famiglia e della comunità con il sistema sanitario
nazionale, portando l'assistenza sanitaria il più vicino possibile ai luoghi di vita e di
lavoro, e costituisce il primo elemento di un processo continuo di assistenza sanitaria”.
Vorrei riportare una definizione di “salute” che mi piace particolarmente: salute
significa vivere bene in armonia e in equilibrio con ciò che hai intorno. È una bella
definizione, seppur abbastanza impossibile da realizzare, soprattutto per coloro che
vivono in condizioni peggiori rispetto agli occidentali.
Oggi siamo entrati in un periodo più difficile dal punto di vista globale, poiché le
politiche internazionali hanno fatto sì che i sistemi sanitari pubblici di molti paesi si
impoverissero con i piani di ristrutturazione e potenziando le attività private. Questo
processo ha contribuito al fatto che in molte realtà la medicina tradizionale fosse l’unica
risposta ai bisogni di salute delle popolazioni.
27
C’è una grande speranza sulla possibilità di un cambiamento dello scenario mondiale di
enormi disuguaglianze nel campo della salute, non soltanto tra Nord e Sud del mondo,
ma anche negli stessi paesi occidentali e in Italia. Nei paesi occidentali sono i pazienti
più ricchi a utilizzare la medicina complementare, sono le donne più istruite e che hanno
maggiore accesso alle informazioni che fanno più ricorso a omeopatia, agopuntura,
medicina tradizionale cinese. Da questo livello di disuguaglianza e questa diversità di
accesso scaturisce una strana riflessione: sembrerebbe, infatti, che la complementarietà
della medicina sia riservata alle classi più ricche della società, mentre nei paesi dove
esiste una medicina tradizionale questa non venga valorizzata, ma soltanto utilizzata in
mancanza di alternative. [12]
28
Capitolo 2
METODI
Questo studio è stato condotto attraverso una missione grazie alla cooperazione tra
l’università di Parma ed associazioni del territorio senegalese, nelle zone rurali della
regione di Thiès, nello specifico Pire e Diolkadd, durante il periodo che va dal 15
gennaio al 6 febbraio 2014.
La missione è stata caratterizzata dalla presenza di un’equipe multidisciplinare che ha
consentito di approfondire diversi argomenti emersi nel corso della missione stessa e di
valutarli da più punti di vista.
Tra gli obiettivi della missione vi erano:

Comprendere e cercare di capire il ruolo e la figura del guaritore nei villaggi
rurali senegalesi,

Lo studio verso la realizzazione di una collaborazione tra medicina
convenzionale e medicina tradizionale,
Il materiale per la conduzione di questo studio è stato raccolto attraverso vari strumenti:

Realizzazione di interviste mediante videoregistrazioni e osservazione
partecipante, la tipologia di
intervista era quella non-strutturata, quindi un’intervista in cui le domande,
seppur condotte a
partire da un tema specifico, nascevano nel suo corso a partire da argomenti
menzionati; e di tipo
narrativa quindi l’intervistato è al tempo stesso esperto e protagonista
dell’intervista.
29

Partecipazione a dei focus Group, che si sono rilevati preziosi data l’interazione
che si era instaurata tra i partecipanti della missione e i soggetti intervistati,

Consultazione del materiale bibliografico alla biblioteca dell’ENDSS (scuola di
formazione per operatori sanitari) di Dakar,

Ricerca di materiale bibliografico all’Università Cheikh Anta Diop di Dakar
Le interviste sono state condotte nella lingua ufficiale del luogo (il francese), spesso con
la collaborazione di un interprete che ha parlato wolof, soprattutto nell’approccio con i
guaritori.
Nello specifico, quindi, sono state realizzate interviste ad un campione che comprende:

Presidente dell’associazione ANPHOT: Ndao Abdoulaye,

Il presidente regionale dei guaritori a Thianabà,

Un guaritore nel piccolo villaggio di Kombole,

Rappresentanti dei guaritori della comunità rurale di Pire,
Oltre all’esperienza in loco e alla necessaria raccolta di materiale bibliografico sul
posto, ho ampliato la mia ricerca utilizzando motori di ricerca al fine di validare la tesi
tramite articoli trovati con l’ausilio di Pubmed e Cochrane inserendo parole chiave
come: -African population, -African/Senegal Traditional Medicine, - Regolamentation
traditional medicine senegal, -Law maker traditional medicine Senegal.
30
RISULTATI
Capitolo 3
L’osservazione diretta, l’analisi dei documenti reperiti presso l’ENDSS e presso
l’Università di Dakar e, soprattutto le interviste ed i focus group hanno consentito di
ottenere le seguenti informazioni.
3,1 I DIFFERENTI TIPI DI GUARITORI
La medicina popolare «presenta l’immagine di un reticolo, anzi di tanti reticoli dalle
maglie di grandezza diversa e irregolare, che sovrapponendosi l’una all’altra, creano
zone di massima o minima densità, cioè insiemi relativamente simili e relativamente
diversi». Ciò si percepisce dalle cure e dai guaritori che le mettono in pratica. È la vita
quotidiana il teatro dove si confrontano, amalgamano, tollerano, scontrano annientano le
azioni e le relazioni degli uomini, dove l’indistinto, l’astratto, la pluralità diventano il
distinguibile, la pratica, l’unico. [24]
I guaritori si differenziano per caratteristiche fisiche e caratteriali, tipologia del dono
ricevuto, natura del donatore, tecniche di guarigione, tipo di malattia che curano, stile di
vita, rapporto con il cliente e con la medicina ufficiale. Anche se il tempo ha operato
delle modifiche, frequenti sono i rimandi a pratiche dei primordiali approcci dell’uomo
con la malattia e con la salute.
Una prima categoria di guaritori si distingue dal modo in cui sono nati. Un tempo,
infatti, si riteneva che le doti dei guaritori prendessero origine in primo luogo dalle
modalità connesse alla nascita o dalle qualità ereditarie. Così era diffusa la credenza
31
dell’esistenza di famiglie custodi di qualità straordinarie capaci di tramandarle ai loro
successori.
Anche le malattie curate e il tipo di cura adottato differiscono. Le ricette conosciute
sono connesse al loro sesso e al conseguente ruolo di madre-moglie. Le guaritrici sono
specializzate in problemi femminili, rappresentano in Mali circa il 10% dei guaritori,
mentre in Senegal oscillano tra il 40 e il 60%. Una guaritrice può essere specializzata in
gravidanze, parto, allattamento, se una donna ha avuto più aborti, per problemi di
sterilità o difficoltà a concepire, impotenza maschile o anche per separarsi dal marito o
per impedire che il marito prenda una seconda o terza moglie (in Mali e in Senegal vige
la poligamia).
Le guaritrici operano soprattutto nelle pratiche che si sogliono definire empiriche. Si
tratta dell’alimentazione quotidiana, di curare piccole ferite e altri mali occasionali
come il mal di stomaco, dolori mestruali, regolazione delle nascite, contraccezione,
aborto. Ricorrono frequentemente alla carne, al brodo di gallina, al caffè, al limone,
impacchi, decotti, suffumigi, papin (impiastri medicamentosi). In alcuni casi si è però
verificato un appropriarsi da parte delle donne di competenze riguardanti settori che
sono stati per molto tempo esclusivamente monopolio maschile.
Abbiamo poi, i cosiddetti guaritori per investitura umana. Molti guaritori di altri tempi
devono la loro fortuna alla carica sociale ricoperta. Il ruolo di guaritore, come
testimonia la storia, viene a coincidere con quello di re o di sacerdote. Questa è una
credenza antichissima, ma venne ufficialmente riconosciuta nel «496 d.C., epoca in cui
Clodoveo, re di Francia, addolorato per la malattia di un suo paggio, ebbe una visione in
cui un angelo gli consigliava di toccare il malato con le sue mani regali. La guarigione
del malato fece sì che tale tipo di cura continuasse e soprattutto applicata agli effetti
32
della scrofola, tanto che questa malattia finì per prendere il nome di “male del re”».
Molti furono i re di Francia che curarono utilizzando le mani e tra i più famosi
ricordiamo Roberto il Pio, di cui narra il monaco Elgaldo, Luigi IX, più noto come San
Luigi, Enrico IV che fece coincidere il rito con la Pasqua, e così fino a Luigi XVI. [24]
In relazione ai metodi di cura, possiamo identificare:
•
Esperti erboristi: potere delle erbe, nozioni di botanica;
•
Guaritori mistici: la causa della malattia va ricercata negli spiriti;
•
Guaritori divini: utilizzano la preghiera come metodo di cura
Per quanto riguarda le erbe, esse sono spesso abbinate ad abitudini alimentari ereditate
da un’alimentazione povera, resa necessaria dalla ristrettezza economica. I preparati
derivanti dal regno vegetale sono quelli più numerosi. D’altronde i guaritori,
appartenendo al mondo contadino, sanno distinguere con sicurezza le piante, anche se
spesso non conoscono il nome e le loro proprietà organolettiche e specifiche. Le erbe
fanno parte del loro vivere quotidiano, le vedono crescere giorno per giorno, le
custodiscono, le coltivano e si dilettano nello sperimentare incroci fra specie diverse;
inoltre molte di queste sono alimenti per i loro animali e perciò hanno modo di
verificarne l’efficacia. Le piante officinali e medicamentose a cui hanno fatto
riferimento i guaritori sono tutte comuni e vengono genericamente definite con il
termine erbaccia. Sono subito riconoscibili anche da un occhio inesperto e di facilissima
reperibilità. Crescono nei prati, sui cigli delle strade, nei boschi o sono coltivate negli
orti davanti casa. L’aglio, l’alloro, l’artemisia, il biancospino, la carota, l’ortica, il
rosmarino, il sambuco e il tanaceto, sono quelle di cui si fa più uso.
A volte i guaritori ritengono necessaria una forma di protezione più evidente,
percepibile ed efficace in ogni momento della giornata. Consigliano in questi casi l’uso
33
di oggetti con valore di amuleto. Il termine amuleto indica «un qualsiasi oggetto di
limitate dimensioni cui venga attribuita una “potenza magica” di tipo protettivo o
propiziatorio». Ma a scopo protettivo o meglio per buon auspicio per la casa vengono
piantati davanti all’abitazione alberi come la quercia, il sambuco ed il gelso. Anche le
piante d’alloro hanno un valore simbolico positivo, tanto che l’appassire di una di
queste piante viene vissuto come il preannuncio di un maleficio.
Il significato
simbolico dell’amuleto dipende essenzialmente dagli elementi che lo costituiscono.
Oltre a questi mezzi sopra citati i guaritori spesso si basano sull’energia emanata dal
proprio corpo. Le mani sono la parte del corpo più usata, perché più pratica, per
trasmetterla al paziente, anche se un guaritore sostiene che è possibile usare qualsiasi
estremità del corpo.
La guarigione spirituale, infine, si basa sul principio che l’essere umano sano ed integro
è tale quando ogni aspetto del suo essere è in armonia. Il malessere è comunemente
considerato un problema genetico, ambientale e sociale le cui cause vanno ricercate
all’esterno.
La guarigione spirituale invece tratta la patologia come la manifestazione di uno
squilibrio che ha origini interne profonde, siano esse spirituali appunto oppure mentali,
sentimentali, emozionali, comunicative. Il guaritore spirituale mantiene la visione
dell’integrità e della perfezione che era presente all’origine per riportare allineamento e
rigenerazione a quelle zone che sono uscite dalla continuità energetica divenendo
disfunzionali. Inoltre, come tutte le terapie che hanno come scopo ultimo la crescita,
interpreta la malattia non come un nemico ma come un prezioso alleato da accettare,
che guida verso i cambiamenti necessari per ritornare all’armonia di tutto l’essere
umano nella sua multidimensionalità.
34
3,2 I CIARLATANI
Un altro problema non trascurabile nella legittimazione delle pratiche tradizionali è
quello del reale riconoscimento della figura del Terapeuta tradizionale.
Il termine ciarlatano sta ad indicare una persona che esercita pratiche da guaritore o si
approfitta della buona fede delle persone allo scopo di ottenere vantaggi e
riconoscimenti grazie a false promesse.Lo Stato non riconosce le attività di questi
operatori tradizionali. Allo stato attuale delle cose il Ministero della Salute non rilascia
l'autorizzazione esplicita di praticare la medicina tradizionale. Anche se un numero di
praticanti tradizionali è identificato, non esistono strutture che assicurano questa pratica;
questo è il motivo per cui lo stato non autorizza la pratica della medicina tradizionale.
Nel 2005, sono stati identificati circa 1000 guaritori tradizionali nelle 11 regioni del
Senegal.
La legge 66-069 vieta espressamente l'esercizio di pratiche tradizionali
all'interno del territorio senegalese, autorizzando esclusivamente le pratiche
convenzionali, prevedendo sanzioni pecuniarie economicamente rilevanti. Vieta ad ogni
individuo, non in possesso di
diploma, di esercitare la professione medica. Di conseguenza qualsiasi pratica
terapeutica non convenzionale non viene legittimata, per i trasgressori “la pratica
illegale della professione medica è punibile con una multa da 20.000 a 100.000 franchi
ed un reclusione da uno a sei mesi”. Nonostante la legislazione in materia, però la
medicina tradizionale non è perseguita e viene tollerata.
Il monopolio terapeutico della salute non deriva solo dalla legislazione, ma anche dal
fatto che coloro che “legittimano il sapere” (scuole, università, centri di ricerca) non
riconoscono alcuna competenza alla Medicina Tradizionale in campo sanitario, ma solo
35
in campo culturale, dando vita ad una “doppia illegittimità” delle pratiche dei Terapeuti
Tradizionali. In questa situazione, gli unici che ne traggono vantaggio sono i ciarlatani.
Sfruttando il vuoto legislativo, molti falsi Terapeuti Tradizionali arrivano dai paesi
limitrofi per imbrogliare i malati. La legittimazione della medicina tradizionale
permetterebbe dunque anche il riconoscimento della figura del terapeuta, a sfavore
dunque di chi si reputa tale, senza possedere le adeguate conoscenze. Edouard Junior
Ndeye spiega, durante un’intervista : “ L'OMS riconosce già la figura del Guaritore dal
punto di vista legislativo, è il singolo stato che deve legiferare. In Senegal i politici non
sono ancora pronti a compiere questo passo. Sarebbe importante invece anche
sensibilizzare le persone a riconoscere un vero guaritore, con un vero brevetto, che lo
contraddistingua da un ciarlatano. Servirebbe certamente meno ipocrisia. I politici che
non
firmano per legittimare la medicina tradizionale, ma sono gli stessi che poi al primo
problema corrono dal “Maraboute”. I politici hanno bisogno dei “Maraboute” per
andare
avanti, non dobbiamo prendere il posto dello stato ma coesistere con lo stato. I politici
temono che la popolazione possa prendere il sopravvento accontentando le richieste che
vengono fatte.”
36
3,6 AUTODEFINIZIONE DEI GUARITORI.
Per la distinzione tra i guaritori e i ciarlatani (falsi guaritori) ci si sofferma su cinque
punti salienti, ritenuti fondamentali e interessanti da volerli elencare:
1. SEDENTARIETA’ : il vero guaritore è colui che resta ne proprio luogo
d’origine, nel posto dove è nato ed è vissuto, nel posto dove conosce dal primo
all’ultimo sassolino. È colui che conosce gli abitanti del proprio villaggio, che
conosce le loro storie, le loro relazioni familiari, i loro intrecci interpersonali.
2. NON PROMOZIONE ATTIVA: il vero guaritore non ha bisogno, non sente la
necessità di farsi pubblicità e di trovare assensi. Il vero guaritore è conosciuto
dagli abitanti del proprio villaggio; si conoscono e malattie che meglio cura e le
sue specialità, si conosce la sua storia e le sue origini.
3. GRATUITA’: il vero guaritore è colui che non negozia i proprio sapere,
riconoscendolo come un bagaglio enorme di saperi che gli è stato donato, si
sente il prescelto, ed è per questo che non può e non ha l’esigenza di fissare delle
tariffe.
4. SAPERE INIZIATICO: il sapere dl guaritore “originale”, è un sapere che si
tramanda di secoli in secoli oralmente e che si accresce sempre più, man mano
che la tradizione si tramanda. Il loro sapere non è condivisibile dalla
popolazione del villaggio, perché non è un sapere oggettivo, ma un sapere
destinato a pochi, motivo per il quale la figura misteriosa ed emblematica del
guaritore, ricopre un ruolo fondamentale nel villaggio di appartenenza.
5. METODOLOGIA DIAGNOSTICA:
37

Con manipolazione, ovvero visita “tradizionale” in cui il guaritore palpa,
sente, guarda e valuta.

Senza manipolazione, quindi il guaritore si limita solo a vedere il
paziente senza toccarlo (ed è u po’ quello che succede nella nostra
medicina occidentale in cui le macchine ci stanno allontanando sempre di
più dal contatto con il malato),

Al telefono, quindi solo ed esclusivamente tramite un discorso verbale,
questo è il metodo tipico degli abitanti che si sono allontanati dal proprio
villaggio e che riescono a trovare sollievo solo grazie al guaritore del suo
viaggio,

Prima che il paziente va da lui, il guaritore già lo sa perché gli è apparso
in sogno, apprendendo il suo male.
3.8 LA PAROLA AI GUARITORI
INTERVISTA DEL 16/01/2014
Abbiamo intervistato il presidente dell’associazione ANPHOT,
Dopo una nostra introduzione sugli obbiettivi della nostra ricerca descrive la Medicina
tradizionale in Senegal come una questione di fiducia tra la persona malata ed il
terapeuta. Solo con la fiducia la persona parlerà delle caratteristiche della patologia,
come il dolore, la sede, la durata.
Afferma, inoltre, che non è solo l’aspetto economico a far scegliere il tipo di cura al
paziente, ma anche il tipo di problema, riportando l’esempio delle malattie psichiche
che tra la popolazione dei villaggi rurali senegalesi non sono considerate come malattie
38
che necessitano di cure mediche convenzionali, ma come malattie in relazione allo
spirito con la necessità di rivolgersi al guaritore del villaggio.
Ha poi individuato diversi tipi di guaritori:

Esperti erboristi: potere delle erbe, nozioni di botanica;

Guaritori mistici: la causa della malattia va ricercata negli spiriti;

Guaritori divini: utilizzano la preghiera come metodo di cura,
Dopo aver introdotto questi argomenti più generici, l’attenzione si è focalizzata sulla
formazione dei guaritori, quindi capire come si arriva ad essere un tradipracticienne , da
dove e come un futuro guaritore apprenderà il proprio sapere.
Alla domanda – come si arriva ad essere un guaritore? – il presidente dell’associazione
risponde spiegando l’esistenza di due percorsi, o attraverso la linea ereditaria (di padre
in figlio) o mediante la conoscenza (un allievo viene riconosciuto come il più adatto e
predisposto a questo tipo di studio.
Quando la linea familiare si spezza, l’allievo passa mesi, forse anni sotto la guida del
guaritore.
L’ insegnamento può essere pratico o mistico, non ci sono riscontri economici, l’unico
aspetto fondamentale è il passaggio della conoscenza intesa come ricchezza della
famiglia, come un patrimonio che si deve custodire gelosamente essendo un sapere
molto ambito che riflette anche il proprio status sociale.
Nel “trasferimento” della conoscenza individua due parti, la prima è prettamente tecnica
(insegnamento dell’utilizzo delle piante, animali, minerali, si apprendono i gesti), la
seconda parte è più esoterica (riporta l’esempio di alcuni sogni che inconsciamente ti
infondono nuovi sapere).
39
Nell’ultima parte dell’intervista ha raccontato di come la sua figura è in continua
evoluzione in quanto cambiano le circostanze, cambia l’ambiente e quindi anche loro
devono adeguarsi alle nuove problematiche ; spiega come la modernità ha accelerato i
tempi cambiando anche le esigenze dei pazienti e di conseguenza le loro, come per
esempio nella raccolta e conservazione dei farmaci (radici,foglie), i pazienti vogliono la
“medicina” subito e per più giorni, e questo diventa difficoltoso a causa delle distanze
con le foreste che non permettono una raccolta giornaliera.
Si è poi soffermato sulla presenza di nuove malattie come l’AIDS vedendola come un
limite al loro sapere e affermando l’importanza fondamentale della ricerca anche nella
loro medicina ; oppure facendo riferimento alle malattie croniche spiegando come il
loro approccio si basi solo sulla malattia acuta con sintomi acuti e che al momento non
può prendere in considerazione quella cronica.
Infine ha espresso il suo parere riguardo alla domanda di una possibile integrazione tra
le due medicina, dicendo che purtroppo la collaborazione è ancora in fase sperimentale
in quanto la medicina tradizionale non gode di riconoscimenti legislativi, ma lui spera
che in futuro le cose possano cambiare e che le due medicine siano una il
completamento dell’altra.
INTERVISTA DEL 19/01
Dall’incontro svoltosi a Thienabà con i guaritori del villaggio sono emersi molti punti
sui quali poter continuare la ricerca per riuscire a comprendere questo mondo così
misterioso.
L’ambiente che ci ha accolti sembrava quello di una riunione tra alti esponenti del
settore da una parte e una festa di paese dall’altra. Erano felici di avere persone estranee
40
interessate a convalidare e accreditare la loro medicina, ma l’incontro è stato utilizzato
anche come mezzo per diffondere le loro idee ( è stata invitata anche la tv locale che ha
girato tutto il video dell’incontro)
Erano presenti circa dieci guaritori, ognuno con una specialità propria (chi cura il
tetano, chi le malattie prostatiche, che il mal di spirito); ma a prendere la parola è stato il
rappresentante dei guaritori del villaggio.
Come in altre occasioni , quando si è parlato di integrazione tra le due medicine, il
problema parte da un’ autoanalisi delle differenze di approccio e intervento che ancora
caratterizza la medicina tradizionale stessa. In secondo luogo, secondo loro, la
problematica della medicina tradizionale nei confronti di quella convenzionale è una
mancanza di dati sul loro operato, di mezzi per poter raccogliere testimonianze e
materiale per analisi e confronto.
Un altro incontro si è svolto a Kombole, villaggio in cui ogni quartiere ha la propria
associazione dei guaritori. Il primo guaritore a prendere la parola, dopo aver raccontato
la sua esperienza personale ha affermato che l’importanza di un guaritore è determinata
dall’importanza che gli viene attribuita dagli abitanti del villaggio; anche lui parla della
ricerca, attribuendole una grande importanza, soprattutto per sfatare delle convinzioni
errate e dei tabù che da troppo tempo fanno parte di alcuni guaritori anziani ( ad
esempio i bambini che non dovrebbero mangiare i fagioli per prevenire le emorroidi,
che dovrebbero bere poca acqua). Secondo lui un compito di fondamentale importanza
dei guaritori è quello di educare la popolazione con dei corsi di cucina ad esempio per le
donne per far fronte al problema della malnutrizione, oppure un corso per informare al
corretto utilizzo delle piante.
41
Per quanto riguarda invece il dibattito sull’eventuale collaborazione tra le due medicine
sono emersi due punti contrastanti: alcuni sostenevano che il vero problema fosse la
presenza di guaritori che utilizzano solo la conoscenza mistica e la parola e che questi
non possono essere paragonati agli altri guaritori in quanto non curano ma danno solo
sollievo. E altri invece che sostenevano l’ingresso nel sistema sanitario anche con i
guaritori mistici in quanto essi affrontavano e conoscevano una parte fondamentale
della medicina tradizionale che non poteva non essere presa in considerazione.
Un altro punto di vista riguardo ai problemi di una possibile collaborazione tra le due
medicine ,è stato quello di avere la possibilità di documentare il loro lavoro; secondo
loro sarebbe necessario analizzare le patologie dividendole per problemi e rendendo,
così più facile la raccolta dati e “tabulati” per quantificare la riuscita della medicina
tradizionale.
3) villaggio rurale di Pire- incontro con i guaritori (Foto di L. Sarli)
42
INTERVISTA DEL 23/01/2014
L’ultimo incontro si è tenuto a Pire con tutti i guaritori del villaggio. Prima di iniziare
l’intervista i guaritori hanno pregato per chiedere il sapere, subito dopo è stato il
presidente dei guaritori di Pire a prendere la parola e a presentare uno ad uno i singoli
guaritori in base alle loro prestazioni.
La medicina tradizionale è fondamentale ha affermato il guaritore, è indispensabile per
gli abitanti del villaggio perché la medicina convenzionale è così costosa da creare
disagi economici in famiglia; secondo lui il guaritore è una figura troppo importante
perché conosce la popolazione, conosce le loro storie quindi anche grazie a questo
riescono a togliere i mali e a guarire le persone che si rivolgono a loro; inoltre non
crede che le due medicine possano fondersi tra loro, ma pensa solo che la loro
collaborazione potrebbe portare dei benefici al paziente, riportando l’esempio
dell’importanza di poter portare sollievo ad un paziente ricoverato in ospedale. Inoltre la
collaborazione sicuramente servirebbe ai guaritori ad ampliare le proprie conoscenze e a
dare al paziente delle cure complete prendendo in considerazione la visione olistica del
paziente.
Un nuovo aspetto trattato durante l’intervista è stato il percorso di cura dei migranti in
Italia che fanno riferimento al loro guaritore anche una volta arrivati nel nostro Paese.
Questo può accadere perché, come ci spiega il guaritore, la medicina tradizionale ci
permette di poter fare le diagnosi a distanza e si può anche risolvere il problema
telefonicamente senza necessitare obbligatoriamente della presenza fisica del malato.
Ci spiegano che quando un malato va da loro, egli è malato al 100%. l´accoglienza
toglie il 20% della malattia, il sentirsi importante, curato, protetto, accudito. Così il
primo passo sono le domande: Perchè sei qui ? Cosa ti senti ? Cosa sta succedendo ? Poi
43
si pratica la divinazione, per capire se quel malato può essere guarito da quel guaritore,
oppure bisogna “inviarlo” ad un´altro guaritore, oppure se non è un problema di
competenza della medicina tradizionale ma necessita dell´intervento di un medico
“occidentale”. La divinazione si può fare in diversi modi: con la geomanzia (segni
disegnati sulla terra), con il rosario, con dell´acqua dentro una zucca, o con i cauri, le
conchiglie tipiche africane, con il pestello del mortaio, o anche grazie ai sogni. In
Senegal succede infatti di frequente che il guaritore sogni il malato la notte prima del
consulto, ancora prima di conoscerlo, così quando il malto arriva, lui ha già la risposta
pronta. Si può usare la lettura della mano, o un insetto che il guaritore si infila sotto la
pelle. La guaritrice Helen usa degli idoli, con collane di rosario e cauri.
Le persone che consultano un guaritore possono avere fatto un brutto sogno, oppure
essere tristi e angosciati per un lutto, o quando entrano i ladri per sapere chi è stato, per
fare un viaggio o andare a caccia, se il figlio o la figlia si sposano con qualcuno che la
famiglia non conosce. Per ogni preoccupazione, per difendersi dagli attacchi dei nemici.
Le guaritrici sono specializzate in problemi femminili, rappresentano in Mali circa il
10% dei guaritori, mentre in Senegal oscillano tra il 40 e il 60%. Una guaritrice può
essere specializzata in gravidanze, parto, allattamento, se una donna ha avuto più aborti,
per problemi di sterilità o difficoltà a concepire, impotenza maschile o anche per
separarsi dal marito o per impedire che il marito prenda una seconda o terza moglie (in
Mali e in Senegal vige la poligamia).
Esigenze differenti dunque, sistemi e metodi di cura vari, ma un intento di fondo che
forse si può considerare comune: “ristabilire la pace dell’uomo con se stesso, la sua
comunità e spiritualità” come dice il responsabile per la CISV dei progetti sulla
valorizzazione delle medicine tradizionali a Louga, Edouard Junior Ndjao.
44
Il che ha, in realtà, anche degli aspetti molto materiali: la maggior parte dei guaritori
cura con successo lussazioni, fratture, dolori di varia natura, accompagna i parti difficili
e interviene sulle malattie della prima infanzia. Ma ci sono anche coloro che
intervengono riguardo i problemi coniugali, curano l’impotenza o la sterilità, affrontano
i casi di malattia mentale.
45
Capitolo 4
COMMENTO
4.1 LA MEDICINA TRADIZIONALE
“Non arriviamo al mondo completamente formati. Impariamo come pensare, come
camminare, come parlare, come comportarci, come diventare esseri umani, attraverso
altri essere umani. Abbiamo bisogno di altri esseri umani per essere a nostra volta
umani. Siamo fatti per la condivisione, siamo fatti per la famiglia e l’amicizia, per
esistere in una “tenera rete di interdipendenze” (Desmond Tutu in Battle 1997, pg.65).
Nelle parole di Desmon Tutu, commissario del South African Truth and Reconciliation
Commission (TRC) organismo istituito nel ’95 con la finalità di accompagnare il
Sudafrica verso la riappacificazione post regime apartheid, si incontrano i principi
capisaldi del funzionamento sociale africano, all’interno del quale il dispositivo della
Medicina Tradizionale ha un ruolo fondamentale.
Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1976), la medicina
tradizionale in Africa è “l’insieme di tutte le conoscenze, l’utilizzo di sostanze, di
misure e di pratiche spiegabili e non, basate sulle fondamenta socio-culturali e religiose
di una specifica comunità, che si appoggiano esclusivamente sulle esperienze vissute e
le osservazioni trasmesse di generazione in generazione, oralmente e per scritto, ed
utilizzate per diagnosticare, prevenire o eliminare un disequilibrio del benessere fisico,
mentale e sociale”.
La definizione ufficiale mette in risalto alcune caratteristiche delle medicine
tradizionali: imprescindibilità tra la dimensione tecnica e culturale della terapia,
centralità della dimensione spirituale, importanza dell’esperienza e dell’osservazione,
trasmissione familiare del sapere, visione olistica della salute.
46
La medicina tradizionale è un complesso di saperi e competenze, che abbraccia sia la
dimensione concettuale che quella pragmatica, dimensioni che si sostengono e si
giustificano reciprocamente. I trattamenti tradizionali si basano sull’utilizzo di piante
naturali, che è accompagnato quasi sempre dall’esecuzione di rituali e di formule
verbali che concorrono a conferire al rimedio il suo potere terapeutico. La medicina
tradizionale è quindi un insieme di tecniche farmacologiche, religiose, rituali, magiche,
che acquisiscono senso proprio dalla loro interazione e si radica nei dispositivi culturali
di una comunità specifica che a tale risorsa fa riferimento per curarsi. [19]
La principale caratteristica della medicina tradizionale, che ne determina l'originalità
nello scenario terapeutico in Africa, riguarda l'approccio olistico al problema della
salute: questa viene, infatti, concepita nella sua dimensione globale quale equilibrio
dinamico tra l'individuo ed il suo ambiente socio-culturale, a differenza della visione
organicistica del sistema di cura convenzionale, che invece tende a scomporre la
persona umana nei suoi componenti fisici e ad affrontarne il malessere esclusivamente
dal punto di vista biologico, ignorando la rete di relazioni sociali e culturali in cui ogni
soggetto è calato e che ne condizionano fortemente il vivere.
Un altro aspetto d'unità, emerso dal mio studio è dato dal comune percorso storico che
ha segnato le singole consuetudini mediche in Africa: la medicina tradizionale, infatti, è
stata soggetta ad alterne vicende che l'hanno vista passare da un'iniziale condizione
d'indiscussa pratica ed esclusività terapeutica, ad una dimensione di subalternità, a causa
della forte repressione subita in coincidenza dell' espansione coloniale e
dell'introduzione forzata del sistema di cura di tipo occidentale, fino a giungere, con la
riconquistata indipendenza degli stati africani, ad essere rivalutata quale espressione
47
della propria identità e, infine, progressivamente riconosciuta a livello istituzionale per
il significativo contributo offerto nel rispondere con efficacia alla domanda di salute
delle popolazioni autoctone. Non si deve pensare, tuttavia, che questa sua graduale
riabilitazione abbia consentito il totale superamento di un certo atteggiamento
pregiudiziale verso le pratiche terapeutiche tradizionali, ma è indice comunque di un
cambiamento di prospettiva a livello interazionale, rintracciabile anche nei documenti
della stessa Organizzazione Mondiale della Sanita (Oms).
Il termine «medicina tradizionale africana» in quanto artefatto coloniale, costituisce un
unico contenitore in cui convenzionalmente sono state riunite persone, piante, riti, miti,
teorie e tecniche, implicati nei processi di cura.
Quindi, là dove noi vediamo e diciamo “medicina tradizionale” c’è un insieme
composito di pratiche, di procedure di ricerca e influenzamento, di saperi e rimandi a
elementi cosmologici che vanno al di là del saper-fare tecnico del medico, così come lo
immaginiamo.
L’approccio della medicina tradizionale ha a che fare con un continuo lavoro sul
posizionamento e riposizionamento degli esseri animati e, per noi occidentali, inanimati,
in un equilibrio dinamico transitorio e in continua negoziazione tra il dentro e il fuori, il
sopra e il sotto.
Che cos’è una persona nella prospettiva della medicina tradizionale? Sicuramente non è
solo un individuo. E’ una creatura della Creazione, che intrattiene relazioni in equilibrio
dinamico con le altre creature (visibili e invisibili).
Le conoscenze e competenze della pratica terapeutica tradizionale possono non essere
immediatamente riconducibili ad una logica empirico-scientifica che ne verifica la
validità e la veridicità attraverso la sperimentazione ed il metodo razionale. Infatti,
48
sebbene la medicina tradizionale ricorra ad un sistema di causalità razionale per
identificare l’origine e la ragione dell’evento patologico, l’interpretazione che viene
data della malattia fa riferimento spesso alla dimensione spirituale. Oltre alla diversità
dei meccanismi eziologici, la medicina tradizionale si contraddistingue dalla
biomedicina anche per ciò che riguarda l’efficacia terapeutica, che nel caso di
trattamenti tradizionali si svincola dall’ideologia dell’oggettività e si dispone su un
piano che potrebbe essere definito della a-razionalità, perché non regolato
cartesianamente dall’imperativo della spiegazione fondata sulla ragione, ma
contaminato fortemente dalla sfera del magico e del simbolico.
Le conoscenze della medicina tradizionale in Africa vengono apprese quasi sempre
all’interno della famiglia, attraverso un apprendistato prolungato nel tempo, che si
sostanzia principalmente con le esperienze e con le osservazioni personali o trasmesse
dagli anziani. Non ci sono istituzioni dedite all’insegnamento della pratica terapeutica
tradizionale, ma sono le singole unità familiari a preparare i “prescelti” delle nuove
generazioni alla cura delle malattie secondo le proprie specifiche competenze, secondo
un percorso di vera e propria iniziazione. Nelle culture wolof africane, procedendo
anche qui con una certa generalizzazione, a fianco di una sfera “domestica” di cura dei
malesseri più diffusi attraverso erbe (conoscenze patrimonio delle donne e trasmesse da
madre a figlia), vi è la sfera medico-rituale. In questo caso, gli “apprendisti” vengono
adottati da un “maestro” anche esterno ai nessi familiari. Il percorso da apprendista a
maestro dura moltissimi anni, con lunghi ritiri nel bosco, periodi prolungati di digiuno
ed altre prove. [20]
La medicina tradizionale è preposta concettualmente ed operativamente alla
prevenzione e cura delle malattie e viene utilizzata nei processi di costruzione della
salute, con lo scopo di diagnosticare ed eliminare ogni disequilibrio psico-fisico e
49
sociale dell’individuo. La malattia viene infatti concepita come il risultato della rottura
di uno stato di equilibrio interno all’individuo o tra esso e l’ambiente in cui vive,
visibile e invisibile, e conseguentemente il trattamento tradizionale affronta l’evento
patologico in modo complesso ed articolato, considerando la dinamica di interazione tra
le diverse parti della persona e con il contesto che la circonda. L’approccio olistico della
medicina tradizionale contrasta con quello biomedico, secondo il quale vengono trattati
separatamente i singoli organi come se fossero i soli responsabili del malessere
dell’individuo, e pone invece al centro dell’intervento la condizione complessiva del
malato e la sua totale situazione esistenziale ed ambientale.
Le prerogative messe in evidenza non vogliono però determinare una rappresentazione
irreale ed omologante delle singole pratiche terapeutiche tradizionali: non si può infatti
parlare di un’unica medicina tradizionale in Africa o in America, dove ne esistono
manifestazioni diverse secondo i contesti in cui si originano, né si può pensarle
staticamente, come se fossero sistemi di cura immobili ed isolati, non soggetti al
cambiamento. Elemento comunque comune tra le diverse medicine tradizionali è la
condivisione del modo di percepire e raffigurarsi il mondo tra il terapeuta ed il malato: è
tale rapporto di interrelazione coerente e d’intesa tra i due soggetti, facenti riferimento
allo stesso immaginario e ad una visione socio-culturale compartecipata della malattia e
dell’ambiente, ad assumere una rilevanza fondamentale nel trattamento e nell’efficacia
della cura tradizionale. Al carattere integrale della medicina tradizionale, che assume e
tratta l’individuo nella globalità dei fattori che lo possono riguardare, quella di tipo
occidentale oppone un carattere settoriale e specialistico, vantando un alto livello di
risorse tecnologiche che però la rende disinteressata alla dimensione socio-culturale del
soggetto malato ed incapace di coglierlo in relazione all’ambiente esterno, dal momento
50
che essa interpreta sempre la malattia come la conseguenza di cause disfunzionali
naturali di tipo biologico-chimico.
I sistemi terapeutici tradizionali di regioni Africane, per esempio, sono di fatto
ampiamente “contaminati” da elementi, riferimenti simbolici, oggetti re-interpretati,
provenienti dalla cultura occidentale o meticcia. Va quindi colta la natura dinamica di
questi sistemi di conoscenze, che per questo possono essere definiti “sistemi aperti” ed
ancora “vivi”, capaci di assumere, decodificare e ricostruire percorsi e simboli
all’interno del loro orizzonte culturale.
A partire dagli anni ’70, la politica sanitaria internazionale ha cominciato ad interessarsi
alla medicina tradizionale, riconoscendone progressivamente l’importanza come risorsa
terapeutica ed accettando il ruolo rilevante dei terapeuti tradizionali per il
soddisfacimento dei bisogni di salute. In Africa, in accordo con i principi dell’assistenza
sanitaria di base, i guaritori sono stati coinvolti in programmi di sviluppo comunitario,
soprattutto in materia di nutrizione, salute materno-infantile, programmi di
vaccinazione, lotta contro le malattie trasmissibili e trattamento delle affezioni croniche,
riciclandoli per renderli in grado di somministrare delle cure primarie, anche utilizzando
i rimedi tradizionali giudicati validi. L’idea alla base di simili interventi è stata quella di
integrare la medicina tradizionale all’interno del sistema sanitario nazionale, non senza
ambiguità però sul ruolo da attribuirle. La logica dell’integrazione, infatti, presuppone la
fusione dei due sistemi di cura, a vantaggio di quello convenzionale che è in grado di
esercitare una pressione maggiore nel loro rapporto di forza, con conseguente
assimilazione o fagocitamento delle risorse terapeutiche tradizionali.
51
I dati forniti dall’OMS ci svelano che tra il 70% e il 95% dei cittadini, in particolare
coloro che vivono nei paesi in via di sviluppo, utilizzano la medicina tradizionale per
l’assistenza sanitaria primaria, per mantenere il proprio stato di salute e per affrontare le
emergenze (OMS, 2011).
Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, la medicina tradizionale viene definita
come: “La somma delle conoscenze, competenze e pratiche di culture diverse basate
sulle teorie, credenze ed esperienze indigene, spiegabili e non, è utilizzata per il
mantenimento della salute, nella prevenzione, diagnosi e nel miglioramento o
trattamento delle malattie fisiche e mentali” (OMS, 2000).
Le medicine Tradizionali, definite anche “complementari”, “alternative”, o “non
convenzionali”, sono diffuse ampliamente su scala globale, in particolar modo nei paesi
in via di sviluppo ed altrettanto in crescita nei paesi sviluppati.
Nel panorama senegalese spesso la medicina tradizionale costituisce uno dei pochi
strumenti a disposizione delle popolazioni, soprattutto quelle rurali che incontrano
oggettive difficoltà di accesso al sistema convenzionale o inesistente o troppo costoso.
I farmaci della medicina convenzionale ma anche le politiche occidentali,
alimentazione, prevenzione contro le guerre e le calamità naturali, sono un aiuto
prezioso per il raggiungimento di uno stato di salute dignitoso per tutta l’umanità. Però i
grossi interessi economici come il costo elevato dei prodotti farmaceutici che sono a
volte difficilmente reperibili nelle aree rurali e gli interessi geopolitici di una parte del
mondo in Africa, stanno mettendo a dura prova la salute nel continente nero.
Per i più poveri infatti in modello assistenziale della medicina moderna è infatti
assolutamente inaccessibile: ospedali e dispensari sono troppo distanti, farmaci e
ricoveri in ospedale hanno costi proibitivi.
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Risale all’inizio degli anni 2000 la prima definizione data dall’OMS alle medicine
“altre” rispetto quella occidentale, intese come “l’insieme di tutte le conoscenze,
l’utilizzo di sostanze, misure e pratiche spiegabili e non, basate sulle fondamenta socioculturali e religiose di una specifica comunità, utilizzate per diagnosticare, prevenire o
eliminare un disequilibrio del benessere, fisico, mentale e sociale”. Una definizione
complessa, che introduce concetti nuovi sull’idea di salute, che vanno ben oltre la
semplice assenza di malattia (già superata nella conferenza di Alma Ata del ’78) e
l’impostazione di un certo tipo di medicina specialistica che cura il singolo sintomo,
spesso prendendo in considerazione il solo organo coinvolto. Come già espresso, le
varie forme di medicine tradizionali sono per definizione olistiche, considerano l’uomo
nella sua complessità e non solo. La salute non è un caso individuale, ma un fatto
sociale, riguarda la comunità nel suo complesso e ha aspetti spirituali e mistici e
intervenire nell’area delle “medicine tradizionali” comporta la disponibilità a
considerare sullo stesso piano di dignità i vari sistemi di cura e i loro singoli costituenti.
Non si può quindi parlare di una singola medicina applicabile ovunque: ogni comunità
sviluppa la sua, incastonata profondamente nel proprio contesto ambientale culturale e
sociale. L’OMS stima che oltre l’80% della popolazione rurale in Africa ricorra
regolarmente alla medicina tradizionale, d’altra parte è la forma di cura più accessibile,
dal punto di vista geografico, economico, sociale e culturale. Per questi motivi, la stessa
Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che le medicine tradizionali vengano
inserite nei piani sanitari di tutti i paesi attraverso un approccio che può essere di tipo
integrativo, in cui le prestazioni tradizionali sono offerte a tutti i livelli del sistema
sanitario, o inclusivo, in cui la medicina tradizionale, come nel modello occidentale, pur
non essendo integrata nell’offerta sanitaria, mantiene specifici campi di applicazione.
Non si tratta quindi di ridurre le medicine tradizionali a semplice erboristeria, per
53
quanto le conoscenze ancestrali sull’utilizzo di erbe e radici siano una parte molto
importante dei metodi di cura dei guaritori tradizionali, tuttavia esiste anche una parte
mistica nella medicina tradizionale che contribuisce a ristabilire gli equilibri perduti tra
corpo e spirito, tra singolo e comunità. L’essere umano si configura in una prospettiva
integrale come un corpo-mente sociale e culturale, in relazione anche con l’invisibile.
Quest’ultimo nelle varie culture, viene contattato e indagato e, in accordo con il
dispositivo di indagine impiegato, esso acquisisce qualità specifiche. Il guaritore dunque
è un iniziato alla pratica di gestione della componente invisibile dell’esistenza. In
Senegal per esempio, per indicare la medicina tradizionale si usa la locuzione “ham
ham”, che vuol dire conoscenza: il guaritore diventa per definizione colui che conosce
qualcosa di più dei misteri dell’esistenza.
L’arte di curare in Africa è magia, l’Uomo è considerato un elemento dell’Universo che
deve vivere in armonia con il suo ambiente: il Cosmo. La Malattia è il segno della
rottura dell’armonia. Nei linguaggi africani la parola Salute si traduce con Pace o
Armonia. In Wolof diam ngam–diam significa: avete pace? La pace soltanto…. Il
guaritore è considerato come un intermediario tra il Malato e le Forze soprannaturali
che reggono l’Universo e il suo sapere un dono divino coltivato presso un iniziato più
anziano.
I trattamenti stessi sono il prodotto della natura e sono accompagnati da un rituale
secondo l’appartenenza religiosa del malato e di chi lo cura.
Gli effetti psicologici sono incontestabili e inscindibili da quelli somatici. Il rituale mira
soprattutto a ridare fiducia al malato e a facilitarne il reinserimento nel suo ambiente
sociale ‘depersonalizzando’ la malattia, attribuita al volere di Dio o degli Spiriti o
considerata il frutto di un maleficio. Se la malattia è una sorta di punizione inflitta al
54
malato, la forza curativa del medicamento è nelle piante e la loro funzione è di
ristabilire l’ordine tra le forze biologiche perturbate da traumi psichici od organici. [24]
4.2 La figura del guaritore.
I guaritori hanno una grandissima umanità nel gestire la cura una presenza fisica
fortissima, e occhi che sembrano ciechi, occhi di vecchi, pur essendo molti di loro
relativamente giovani, occhi che sanno vedere dentro. Più psicoterapeuti che medici,
attenti nelle risposte, aperti al confronto, disponibili a spiegare. Fanno tutti parte
dell´Associazione internazionale di medicina tradizionale, seguita dai Ministeri della
salute in Mali e in Senegal, è un controllo serio, basato sui risultati ottenuti, e sulle
statistiche sull´efficacia delle pratiche svolte. Ognuno di loro ha una tessera di
riconoscimento con segnata la supervisione svolta e gli anni di apprendistato come per
qualsiasi professionista nostrano. Sono tutti specialisti di altissimo livello, la cui fama
spesso valica i confini delle nazioni da cui provengono.
L’associazione dei guaritori di Louga, regione senegalese, (AMPHOT) conta oggi circa
200 membri, è stata fondata il 10 dicembre 1999. Questa associazione nasce, visto l’alto
costo di cure e farmaci ed il moltiplicarsi dei ciarlatani, per mano dei guaritori di Louga,
con l’obiettivo di preservare i propri interessi e valorizzare la pratica del guarire. L’
Amphot di Louga ha partecipato a diverse iniziative, come la campagna per la
vaccinazione contro il morbillo (2006); il programma nazionale di lotta contro la
malaria, organizzando l’impregnazione di 3000 zanzariere (grazie all’appoggio CISV).
Inoltre ha realizzato un giardino botanico con molte specie di piante medicinali per
l’approvvigionamento e la preparazione dei farmaci (Guarini, 2012).
55
Le uniche regole riguardanti l'associazione che vengono menzionate dai guaritori
concernono i criteri per aderirvi, ma invece di service a tracciare linee guida per una sua
corretta gestione, contribuiscono principalmente a delineare le caratteristiche ideali di
un terapeuta, indispensabili per ottenere legittimazione all'entrata nel gruppo. Si
sottolinea cosi la necessita che il guaritore sia capace, conosciuto e rispettato, ma anche
moralmente serio e di forte temperamenti perché svolga con valore il suo importante e
delicato compito terapeutico; il guaritore, inoltre, non deve lasciarsi andare ad azioni
spettacolari che possano sminuire la dignità, folklorizzare la sua pratica di cura, ne ad
interventi deleteri contro altri guaritori, e deve dimostrare disponibilità ed apertura alia
collaborazione con il personale medico: l'autoconsapevolezza dei terapeuti circa le
condizioni da soddisfare per entrare a far parte dell' associazione costituisce certamente
un segno positivo per una loro piena partecipazione, la quale, tuttavia, stenta talvolta a
concretizzarsi nella pratica.
Non si puo negare, tuttavia, l'esistenza di debolezze, di aspetti critici, d'ombre che
minano la potenzialità delle associazioni dei guaritori, o che comunque ne causano
l'ancora non raggiunta maturità: la mancanza di chiarezza tra i loro membri, che
scatenano tensioni latenti non risolte; la diffusa indeterminatezza del senso dell'unione,
che finiscono per essere più formale che sostanziale; la scarsa concertazione collettiva,
da cui deriva un debole sentimento di coesione tra i guaritori ed un'incompiuta
autonomia d'azione; le carenze dell'organizzazione interna che ne ostacola l'efficienza e
rappresenta un freno all'operosità e ad un reale dinamismo propositivo; la scarsità di
mezzi materiali per la messa in atto degli intenti espressi dai guaritori, a causa della
quale essi non riescono a compiere un'attività , un lavoro comune che consenta di
cementare il gruppo. Le caratteristiche negative riscontrate riguardo alle associazioni
dei terapeuti tradizionali possono, comunque, essere spiegate plausibilmente dal fatto
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che esse non costituiscono un'aspirazione endogena all'universo terapeutico
tradizionale: i guaritori non hanno espresso spontaneamente l'esigenza di riunirsi, ma
sono stati sollecitati a farlo dall'esterno, e non si sono sentiti, dunque, implicati
pienamente nell'iniziativa, non impegnandosi al massimo nel portarla a buon termine.
La sfida dell'associazionismo dei terapeuti tradizionali resta, quindi, ancora aperta e si
fa più interessante per l'avvio del progetto in suo sostegno promosso dalle Ong. Sarà
importante vedere allora se le ulteriori dinamiche trasformative riusciranno a rafforzare
il protagonismo dei guaritori, scongiurando il possibile rischio che l'iniziativa
associativa si trasformi in un espediente per tenere sotto controllo il sistema di cura
tradizionale ed i suoi operatori. In tal caso si dimostrerà che, di fronte all'incalzare della
modernizzazione dovuta al contatto con l'occidente e la medicina convenzionale, ed alle
trasformazioni mondiali che riguardano l'approccio al problema della salute, le forme
associative ne sono la risposta adatta nella direzione della valorizzazione della medicina
tradizionale, anche in quanto mezzo per combattere la mercificazione che ne effettuano
i falsi terapeuti e contrastare la perdita d'interesse dimostrata nei suoi confronti da parte
dei giovani.
Il guaritore è dunque un iniziato alla gestione della componente invisibile dell’esistenza;
non deve solo preservare lo stato biopsichico del paziente, ma assicurare la continuità
culturale, che è uno dei più importanti fattori di protezione della salute, la conoscenza
del proprio posto nel mondo.
L’antropologo Coppo distingue tre tipologie di terapeuta ( Coppo, 1990):
- Terapeuta tradizionale, con conoscenze formate da un sapere empirico (comprese
piante, sintomi di malattie) efficace solo se completato con forze soprannaturali e
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formule e gesti rituali;
-Terapeuta di tradizione Musulmana, con conoscenze derivate dalle sacre scritture;
-Terapeuta che utilizza diverse tecniche mischiando diverse tradizioni.
Un’altra definizione risultata interessante è stata data da Iside Baldini (psicologa e
psicoterapeuta, consulente di un ampio programma di valorizzazione delle medicine
tradizionali in Africa occidentale promosso da una rete di ONG) che vede il guaritore
come colui che conosce qualcosa in più dei misteri dell’esistenza.
<< Il vero guaritore è polivalente>> spiega Joseph Samba Ndour, guaritore tradizionale
di Louga, in Senegal, dove pratica da oltre trent’anni l’arte della cura. << C’è il
veggente, che vede il futuro, individua i problemi, ma non li cura, c’è l’erborista, che sa
come produrre le porzioni curative, ma il guaritore deve saper tutto: vedere, parlare,
guarire>>.
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3) villaggio rurale di Pire- incontro con i guaritori (Foto di L. Sarli)
Particolarmente significativa è la capacità dei terapeuti tradizionali nel trattare i disturbi
mentali, definite come “malattie mistiche”; sempre l’OMS , già attraverso il celebre
studio International pilot study on schizophrenian degli anni ’60 , ha dimostrato come,
sebbene la malattia psichiatrica grave abbia la stessa frequenza in tutto il mondo, nei
paesi i via di sviluppo , dove il sistema medico occidentale è meno presente e i pazienti
non vengono psichiatrizzati, i casi di schizofrenia hanno una remissione completa dei
sintomi al 50% , il 40% mantiene solo alcuni sintomi non troppo invalidanti, solo un
10% cronicizza. Al contrario nei paesi occidentali la prognosi rispetto alla cronicità
risulta disastrosa, oltre il 90%.
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Il dottor Sorrentino è psichiatra e dirigente del dipartimento di salute mentale Franco
Basagli dell’ASL 2 di Torino, da anni, grazie alla forte presenza di migranti sul
territorio, ha sperimentato che i metodi convenzionai della medicina occidentale
possono entrare in conflitto in modo grave con la cultura originaria dei pazienti. In
particolare, il forte utilizzo di farmaci per stabilizzare il disturbo psichiatrico piò causare
danni permanenti e cronicizzare malattie altrimenti guaribili. La linea di lavoro della
psichiatria transculturale si avvicina non poco ai metodi di cura dei guaritori
tradizionali: tenere conto della persona nella sua complessità, della sua cultura, del suo
background, non limitarsi all’osservazione clinica ma entrare in relazione con le
famiglie , accettando con umiltà il fatto che alcune pratiche ottengono risultati migliori
dei trattamenti farmacologici. D’altra parte tutti gli studi del settore concordano sul fatto
che non sono ancora dimostrate cause organiche delle malattie mentali.
Un passo saliente della mia ricerca è stato di comprendere quali e quanti sono i modi per
diventare guaritore. Come è emerso dall’ intervista del 16/01/2014 al presidente
dell’associazione dei guaritori ANPHOT, vi sono tre modi per diventare guaritori: per
eredità familiare, in questo caso il padre o la madre scelgono il figlio o la figlia che li
aiuta e li segue fin da piccoli. Questi sono i guaritori più potenti e più “certificati”. Poi è
anche possibile imparare da un maestro, o diventare guaritore in seguito ad una malattia,
a volte puoi anche essere rapito dagli spiriti nella boscaglia e sparire per diversi anni per
tornare come guaritore.
L´apprendistato è sia pratico (raccolta delle erbe e preparazione) sia legato all´invisibile,
al mondo degli antenati e della spiritualità.
I malati arrivano angosciati, convinti della propria fine imminente. Alla prima
consultazione il terapeuta, attraverso la sua accoglienza e le sue parole risveglia le forze
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della guarigione: il coraggio, la speranza e la volontà di lottare. Il paziente così
riconfortato si accosta ai trattamenti con fiducia e perseveranza. Le cure non sono
scientifiche o empiriche, esistono solo dei trattamenti efficaci o inefficaci. La sola cosa
che conta è il bene del malato. I guaritori pur non disponendo di mezzi sofisticati
affrontano ogni caso nella sua specificità e trovano sempre delle soluzioni terapeutiche.
Si può immaginare un sistema a piramide in cui collocare i guaritori: nella fascia più
bassa e larga stanno quelli che sanno curare qualche malattia, la tubercolosi per
esempio, poi ci sono terapeuti con 15 anni di esperienza che affrontano varie patologie,
nell’ultima fascia stanno quelli ad un altissimo livello che curano praticamente tutte le
patologie ed infine un vertice di pochi eccezionali sapienti. La Medicina Moderna,
supportata dalle scienze fondamentali e da sofisticati metodi di analisi, è indispensabile
per la prevenzione. Perché non avvalersi anche di un antico sapere tramandato nei
secoli? Che ciascuno operi secondo la propria competenza, ma è auspicabile la
collaborazione tra tutte le medicine per avanzare nella lotta alle Malattie Moderne.
Il guaritore sembra il riferimento “naturale” non solo perché è vicino fisicamente a chi
ha bisogno di cure ma perché, soprattutto, lo è da un punto di vista culturale, oltre che
più accessibile economicamente. In occidente la medicina sta conducendo il faticoso
tentativo di riappropriarsi della visione olistica del paziente, nella convinzione che egli
non sia solo, ad esempio, “uno stomaco ulceroso” ma una persona che con la sua storia
di esperienze positive e negative vissute in un certo contesto ha sviluppato una
alterazione nel proprio equilibrio generale.
Qual è il reale carico di lavoro dei guaritori? La popolazione che si rivolge al guaritore
ha caratteristiche diverse per età, sesso, cultura da quella che predilige o può permettersi
il medico? La scelta è economica, logistica o culturale? Le patologie che arrivano
61
all’osservazione del medico sono selezionate o sono le stesse per le quali altri cittadini
si rivolgono al guaritore di fama?
Le pratiche dei guaritori non solo hanno a che fare con la cura delle malattie, ma spesso
anche con la prevenzione di eventi dannosi sia per la salute che per il tessuto sociale. Il
guaritore può essere chiamato ad agire quando una persona è sofferente, ma egli è allo
stesso tempo un indovino, un guardiano di altari, un leader di comunità. Può essere
consultato per ottenere la guarigione da certe malattie, ma anche per avere fortuna in
caso di disputa, fertilità, ricchezza, pioggia per i campi della famiglia e dei villaggi.
“L’uomo è il rimedio dell’uomo”, si usa dire in Africa, e i guaritori assumono fino in
fondo questo assioma. Essi non si risparmiano e in una giornata, un guaritore, può
arrivare a curare anche cinquanta persone. Non manda mai a casa nessuno senza prima
avergli dato una risposta, senza aver compiuto un gesto di cura. Il vero guaritore è
conosciuto all’interno della sua comunità e ha una reputazione da mantenere. Più è in
grado di curare, più è “forte”, e più le persone vengono a consultarlo non solo dai
dintorni o da altre regioni del Paese, ma spesso anche dai Paesi confinanti.
Nel sistema Tradizionale il bene e il male hanno una funzione. Ma quello che è bene per
qualcuno potrebbe essere il male di qualcun altro e viceversa. Non c’è una morale
assoluta se non il fatto che “è Dio che decide alla fine, per ognuno, quali sono le prove
che deve attraversare durante le 99 vite che gli spettano prima di poter tornare
definitivamente dal Paradiso da cui proviene” (Da discorso di Famara Basse, guaritore
proveniente dall’etnia Séréré – Senegal). La vita e la morte sono separate da una
membrana osmotica che continua a essere attraversata. Così come la vita sulla terra e
quella del “mondo intermediario” (degli esseri invisibili ai più, ma non ai guaritori, e
assolutamente in interazione con il mondo degli umani), sono separate da una barriera
permeabile che ne regola le interazioni. [24]
62
Ma ogni guaritore, segue un codice di condotta etica che gli impedisce di nuocere agli
altri, almeno intenzionalmente. “Ciò che pensi sia buono per te bisogna che tu lo offra
agli altri; ciò che pensi sia troppo pesante per te da sopportare devi evitare di scaricarlo
sugli altri”.
“E’ fondamentale ed è meglio avere delle buone relazioni con la famiglia, gli amici e i
forestieri piuttosto che avere dei milioni” che si traduce in “meglio essere oggetto della
stima degli altri che essere milionari”.
Il dispositivo di cura della medicina tradizionale è fatto anche di parole che esprimono
le cose e le fanno esistere nella coscienza, piuttosto che renderle razionali attraverso la
ragione. La coscienza in Africa è la consapevolezza basata sul sapere nel profondo del
proprio intimo dell’ineluttabilità degli avvenimenti. Per noi culturalmente discendenti
da Cartesio invece, la realtà non può che essere oggettiva. Dove per oggettivo si intende
soprattutto matematicamente misurabile e statisticamente significativo. Il sistema
tradizionale è fatto inoltre di sistemi di traduzione che sono le piante, i dispositivi rituali
e le invocazioni che si usano che permettono di dire quale tipo di “realtà” si è
presentata. Una volta avviata la loro iniziazione, è spesso attraverso i sogni che i
guaritori imparano la loro arte. In sogno ricevono la visita di esseri che insegnano loro
come gestire la relazione con i luoghi e con tutti coloro che li abitano, che siano uomini,
piante, animali o gli esseri del mondo intermediario. Imparano i gesti della cura. Per i
guaritori quindi nei sogni vi è un apprendimento importante. Inoltre essi “vanno nella
savana e interrogano gli alberi che solo la dimora, il supporto, degli esseri del mondo
intermediario. Attraverso gli alberi chiedono a Dio di esaudire le loro preghiere. Tutto
63
ciò che è sacro è interdetto alla maggior parte delle persone, a coloro che non solo
iniziati o che non sono nella posizione di poter aver a che fare con ciò”.
Il guaritore fa esistere gli esseri della creazione grazie al fatto che può far emergere il
loro nome preciso, un po’ come l’inchiostro simpatico quando si scalda. E più ha
esperienza, più conosce, e più sarà preciso nel nominare gli esseri e nel farli esistere
dando a loro la giusta collocazione. Il guaritore partecipa al rischio. Si mette dalla parte
del suo malato e si sporca le mani. E’ sempre responsabile del corso della terapia ed
esso compie un’operazione di posizionamento incisivo della persona sofferente (di mali
fisici, psichici, sociali, spirituali) in un sistema di relazioni fatto di altre persone e entità.
Il dispositivo di cura della medicina tradizionale quindi consente di rimettere al centro
delle politiche sanitarie le pratiche mediche autoctone e l’idea di un servizio sanitario
più vicino ai bisogni, alla cultura e alle prospettive delle popolazioni. Le pratiche
tradizionali si fondano su un’identità culturale comune: Il fatto che guaritore e paziente
condividano la stessa idea sulle cause, il significato e la cura di una malattia è un
requisito essenziale per un trattamento efficace. Al di là del servizio di cura offerto dai
guaritori, una delle funzioni che essi assolvono è la salvaguardia dello stato di salute dei
membri della comunità attraverso il loro lavoro di costruzione dell’identità. Occuparsi
di salvaguardare il senso di appartenenza delle persone a un gruppo e a un luogo, è
ormai appurato essere un importante fattore di protezione e di preservazione dello stato
di salute di una comunità. Salute quindi non come mera assenza della malattia, ma come
stato di benessere complessivo, individuale e sociale (cfr. OMS, Carta per la Salute,
Ottawa 1986). Inoltre, il dispositivo tradizionale è molto attento alla preservazione
dell’ecosistema naturale, da cui si approvvigiona per la produzione di fitofarmaci.
Infatti, a supporto del dispositivo terapeutico tradizionale vi sono vari prodotti naturali,
tra cui quelli vegetali sono tra i più cospicui e tra i più a rischio di sparizione in
64
ambienti come quello saheliano dove l’avanzamento della desertificazione impoverisce
la biodiversità.
Da anni, infine, il sistema medico convenzionale, dibatte intorno al problema della
credibilità del dispositivo di cura tradizionale. La difficoltà da parte del primo di
esercitare un controllo sul secondo, alimenta pregiudizi, che spesso trovano conferma
nell’operato dei cosiddetti ciarlatani, principale spauracchio della classe medica
ufficiale.
Ma la differenza tra l’accesso all’informazione scientifica, apparentemente facile e
illimitato per chiunque, e quella che si raccoglie empiricamente o attraverso lo scambio
di pareri, discussioni e collaborazioni con persone che vivono e operano lontano dai
meccanismi e sistemi moderni di produzione di sapere e conoscenza, come le università
e i congressi scientifici internazionali, sta proprio nel poter instaurare, con i detentori di
questa diversa conoscenza, un rapporto qualitativo gratuito e ai margini dello scambio
commerciale.
Le relazioni che si sono instaurate tra esponenti della cultura cartesiana e detentori del
sapere tradizionale, attraverso le iniziative di cooperazione allo sviluppo delle ONG, di
certa buona cooperazione bilaterale e ricerca scientifica sul campo, rappresentano una
nicchia privilegiata creatasi in anni di presenza e di attraversamento di «prove» che
costruiscono la reciproca credibilità. Sono il fondamento su cui si basano le azioni e lo
scambio di conoscenze. Così, in un progetto di cooperazione sanitaria, si può
collaborare con persone che parlano di cerchi magnetici, di energie, di esseri invisibili,
cercando di capire e dando loro credito grazie ai rapporti umani sottostanti. E ci
65
vogliono anni di fatiche, di conoscenze dell’animo, di sedimentazione, di amore nel
senso forte della parola, di amicizia profonda, per creare questi rapporti. Del resto se la
cooperazione allo sviluppo ha un senso, forse è proprio quello di creare relazioni tra
differenti comunità in cui vengono generate strutture di credibilità e di senso.
Proseguendo con l’esposizione di quanto appreso,ci spiegano che quando un malato va
da loro, egli è malato al 100%. l´accoglienza toglie il 20% della malattia, il sentirsi
importante, curato, protetto, accudito. Così il primo passo sono le domande: Perchè sei
qui ? Cosa ti senti ? Cosa sta succedendo ? Poi si pratica la divinazione, per capire se
quel malato può essere guarito da quel guaritore, oppure bisogna “inviarlo” ad un´altro
guaritore, oppure se non è un problema di competenza della medicina tradizionale ma
necessita dell´intervento di un medico “occidentale”. La divinazione si può fare in
diversi modi: con la geomanzia (segni disegnati sulla terra), con il rosario, con
dell´acqua dentro una zucca, o con i cauri, le conchiglie tipiche africane, con il pestello
del mortaio, o anche grazie ai sogni. In Senegal succede infatti di frequente che il
guaritore sogni il malato la notte prima del consulto, ancora prima di conoscerlo, così
quando il malto arriva, lui ha già la risposta pronta. Si può usare la lettura della mano, o
un insetto che il guaritore si infila sotto la pelle. La guaritrice Helen usa degli idoli, con
collane di rosario e cauri.
Le persone che consultano un guaritore possono avere fatto un brutto sogno, oppure
essere tristi e angosciati per un lutto, o quando entrano i ladri per sapere chi è stato, per
fare un viaggio o andare a caccia, se il figlio o la figlia si sposano con qualcuno che la
famiglia non conosce. Per ogni preoccupazione, per difendersi dagli attacchi dei nemici.
[24]
66
Esigenze differenti dunque, sistemi e metodi di cura vari, ma un intento di fondo che
forse si può considerare comune: “ristabilire la pace dell’uomo con se stesso, la sua
comunità e spiritualità” come dice il responsabile per la CISV dei progetti sulla
valorizzazione delle medicine tradizionali a Louga, Edouard Junior Ndeye. Il che ha, in
realtà, anche degli aspetti molto materiali: la maggior parte dei guaritori cura con
successo lussazioni, fratture, dolori di varia natura, accompagna i parti difficili e
interviene sulle malattie della prima infanzia. Ma ci sono anche coloro che intervengono
riguardo i problemi coniugali, curano l’impotenza o la sterilità, affrontano i casi di
malattia mentale.
Il guaritore sente il bisogno di essere socialmente accettato e giustificato. Con il termine
“iniziazione” si intendono i riti di passaggio da una condizione di vita ad un’altra.
L’etnologo Arnol Van Gennep scrive:
In qualsiasi tipo di società, la vita dell’individuo consiste nel passare successivamente
da un’età all’altra e da un’occupazione a un’altra. Là dove le età, e quindi le
corrispondenti occupazioni, sono tenute separate, questo passaggio si accompagna ad
atti particolari: essi, per esempio costituiscono, rispetto ai nostri mestieri,
l’apprendistato, mentre, per i popoli semicivilizzati, si espletano in cerimonie religiose,
giacché presso di loro nessun atto è completamente svincolato dal sacro. Ogni
mutamento di situazione dell’individuo viene a comportare dunque delle azioni e delle
relazioni tra il profano e il sacro, queste azioni e relazioni devono essere appunto
regolamentate e controllate, affinché la società generale non subisca né disagi, né danni.
L’inizio dell’attività di guaritore segna il passaggio da una forma di vita diversa da
quella condotta fin a quel momento: nella maggior parte dei casi, l’individuo viene
allontanato dalle quotidiane e solite attività della comunità, ma diventa una figura di
spicco in situazioni eccezionali e non risolvibili dagli altri membri del paese. Si tratta di
67
passare da una situazione determinata, quella della vita precedente, ad un’altra
situazione anch’essa determinata, quella dei guaritori; ed è proprio il modo in cui si
diventa guaritore che contribuisce ad aumentare o diminuire l’autorevolezza. Sono stati
tutti prescelti.
L’essere stato scelto da un dio, un’entità superiore, senza intermediazione umana è
sicuramente la fonte di maggior prestigio per un guaritore. Avendo un continuo
spettatore, padre generoso di applausi, il guaritore può vivere ai margini della
collettività senza il continuo bisogno di cercare attenzioni nonostante gli ostacoli e le
opposizioni che incontra lungo il cammino. [24]
4.3 CENNI DI FITOTERAPIA
Credo che una tesi che tratta della medicina tradizionale e della figura del guaritore, non
può non accennare alla Fitoterapia.
La fitoterapia (dal greco phytón (pianta) e therapéia (cura), volte anche impropriamente
definita fitomedicina) è, in senso generale, quella pratica che prevede l’utilizzo di piante
o estratti di piante per la cura delle malattie o per il mantenimento del benessere
psicofisico.
Data l’antichità di questa pratica, che con tutta probabilità rappresenta il primo esempio
di pratica terapeutica umana, e data la sua generalizzata distribuzione geografica, è
impossibile dare una descrizione di essa in termini di un sistema terapeutico
specifico.Piuttosto è sensato dire che l’utilizzo terapeutico delle piante si ritrova in tutti
i sistemi terapeutici umani, da quelli più antichi e basati su osservazione ed empirismo,
a quelli più sofisticati e con livelli di complessità teorica elevata, fino alla moderna
68
biomedicina. La medicina popolare si serve di rimedi fitoterapici da tempi
immemorabili. Ippocrate citava il rimedio come terzo strumento del medico accanto al
tocco e alla parola. [14]
Le piante sono fra le principali fornitrici di sostanze medicamentose. Vanno considerate
veri e propri produttori e contenitori dinamici di sostanze chimiche (Firenzuoli, 2009).
Nella loro evoluzione esse hanno sviluppato innumerevoli metaboliti secondari che
svolgono per la pianta varie funzioni ecologiche (repellenza, difesa dagli erbivori, lotta
contro altre specie vegetali per il controllo delle risorse, difesa dai parassiti, attrazione
degli impollinatori, ecc.). Questi stessi metaboliti secondari hanno mostrato importanti
attività farmacologiche nell'uomo. Ecco una lista esemplificativa dei vari principi attivi:
Fenoli semplici, polifenoli - tannini e flavonoidi, glicosidi (fenilpropanoidi,
antrachinoni, glucosinolati, iridoidi, glicosidi cianogeni che), terpeni, terpenoidi e
saponine (fitosteroli, glicosidi cardioattive, triterpeni), olii essenziali e resine, alcamidi,
alcaloidi.
Le attività che questi metaboliti possono esercitare sulla fisiologia umana sono
molteplici e sarebbe impossibile riassumerle brevemente, tuttavia una lista sommaria
comprenderebbe:
Sostanze tossiche, sostanze con attività ormonoregolatrici, sostanze ad attività
antimicrobica
battericidi,
virostatici,
fungicidi,
sostanze
lassative,
sostanze
antinfiammatorie, sostanze attive sul sistema nervoso centrale e periferico, sostanze
antiossidanti.
Le moderne preparazioni fitoterapiche sono ottenute a partire dal materiale vegetale, sia
fresco che essiccato, tramite estrazioni con solventi e metodiche diverse: se il solvente è
69
l'etanolo in percentuali diverse si parla di estratti idroalcolici, solitamente chiamati
tinture (o estratti fluidi); se il solvente è l'acqua si parla di infusi, decotti o macerati a
freddo; se il solvente è un olio grasso si parla di oleoliti; l'estrazione con solventi diversi
e non alimentari (esano, cloroformio, ecc.), che vengono poi eliminati, permette la
preparazione di estratti molli e secchi. Alcune preparazioni sono costituite da estratti di
singole piante, altri da combinazione di estratti da diverse piante. In particolare i medici
hanno la possibilità non di preparare ma di prescrivere preparazioni vegetali che poi
prepara il farmacista (medicinali galenici magistrali) Le preparazioni in libera vendita
devono sottostare a vari standard di tipo qualitativo, mentre gli standard di efficacia e
tossicologici vengono applicati (nella UE) solo a quei preparati ai quali venga
riconosciuto lo status di farmaci vegetali (herbal medicines). Per i preparati che non
rientrano in questa categoria valgono le regolamentazioni dei singoli stati membri. [14]
L’impiego delle piante medicinali nella pratica terapeutica viene da alcuni anni
riproposto con sempre maggiore insistenza, nonostante i progressi raggiunti nel campo
della farmacologia ed in particolare della chimica dove l’eccezionale sviluppo della
sintesi chimica ha consentito al medico di avvalersi di farmaci più efficaci nella cura
delle malattie. Questo “nuovo” e “sorprendente” orientamento in campo terapeutico è
stato in un certo senso promosso dall’OMS che ha avuto un mandato dall’ Assemblea
delle Nazioni Unite di “promuovere le ricerche sull’utilizzazione delle piante medicinali
e di collaborare alla migliore utilizzazione di queste attraverso lo scambio di
informazioni sull’efficacia del potenziale di risorse per la raccolta e la coltura di queste
piante”.
70
Nei Paesi in cui si pratica prevalentemente la medicina tradizionale come la realtà
senegalese, le piante medicinali costituiscono la base di ogni terapia, invece nei paesi in
cui si pratica la medicina scientifica l’impiego delle piante è limitato a piccole terapie
(nei casi di disturbi lievi e passeggeri) e iniziative personali (nel campo
dell’automedicazione).
Esistono comunque Paesi nei quali si pratica una medicina tradizionale regolamentata:
India, Cina e Giappone; e Paesi in cui la medicina tradizionale non è regolamentata
come l’Africa. Nel primo caso la medicina popolare non è completamente empirica
perché si basa su conoscenze mediche che provengono da studi clinici e sperimentali. I
medici tradizionali sono tenuti a frequentare scuole e le piante utilizzate sono tutte
riportate nelle rispettive farmacopee.
Nel caso dell’Africa e più in particolare del Senegal, la medicina tradizionale è quasi
completamente empirica perché si basano su pratiche che si tramandano oralmente. I
guaritori non hanno praticato scuole ma sono gli unici depositari di virtù terapeutiche
delle piante e di tecniche di preparazione estrattiva.
Il fatto che le popolazioni rurali del Senegal non potranno in un prossimo futuro riuscire
ad essere provviste di strutture mediche altamente tecnologiche è un dato assodato.
Come già anticipato, i governi e le organizzazioni internazionali, quindi, stano
71
compiendo uno sforzo congiunto per la valutazione della medicina tradizionale e la sua
applicazione tramite il sistema sanitario di base. [2]
La farmacopea Africana è ricca di cure per molte malattie, ma le conoscenze sulla flora
africana dal punto di vista farmacologico sono ancora insufficienti, e poche delle sue
specie medicinali, fra cui la PERVINCA, nota per le sue attività antitumorali, sono state
introdotte nella farmacopea moderna. La FISOSTIGMINA, deriva dal fagiolo di
Calabro, un veleno dell’Africa occidentale, grazie alle sue capacità anticolinergica è
usata nella cura d3l glaucoma, nonché nel morbo di Alzheimer. La ROUFLAVIA
VOMITARIA contiene reserpina e ajmalma, due sostanze usate nella medicina moderna
per la cura dell’ipertensione e ansia.
La cura, secondo la concezione Africana, è volta al recupero o al mantenimento della
vitalità umana e al funzionamento armonico dell’universo.
La malattia è sussunta in una categoria più ampia di afflizioni, che derivano da una
rottura dell’equilibrio morale che lega il singolo al suo gruppo sociale, all’ambiente,
agli antenati, agli spiriti e all’ordine cosmologico. Quindi le nozioni razionali e magiche
sulle cause della malattia entrano in gioco simultaneamente e non sono chiaramente
distinte le une dalle altre.
Presso alcune etnie, come quelle dei Wolof, la formazione dei guaritori è quasi sempre
ereditaria. Alcuni individui ricevono insegnamenti che li specializzano nella
preparazione di medicine per un particolare tipo di malattia. Molto comune è un periodo
di apprendistato che può durare da tre a vent’anni. Il novizio sempre maschio viene
condotto nella foresta per apprendere i nomi, le caratteristiche e gli usi delle piante
medicinali. Poiché deve imparare ad avvalersi di forze spirituali, durante l’apprendistato
deve rimanere celibe e seguire numerose regole di comportamento. La preoccupazione
72
per l’esattezza e l’uniformità dei dosaggi, dicono gli stessi erboristi, sono le
fondamentali caratteristiche che li distingue dai semplici venditori ambulanti di erbe
medicinali.
Alcuni esempi medicali possono essere le piante che ridotte in polveri, vengono inalate
per stimolare gli starnuti o curare il mal di testa; l’infuso di erbe bollenti, fatto inalare al
paziente coprendogli il capo con un telo per il raffreddore, febbre e difficoltà
respiratorie. Le radici essiccate vengono bruciate e le ceneri, mescolate con l’olio
vengono fatte penetrare nella pelle per mezzo di sottili incisioni praticate in
corrispondenza di slogature o di altre parti dolenti; poltiglie vegetali calde vengono
applicate su ferite e ulcere. [6]
4.4 LA MEDICINA TRADIZIONALE HA SPAZIO NEL FENOMENO
MIGRATORIO ?
Le società multiculturali sono ormai parte della nostra realtà tanto quanto Internet, se
consideriamo che sono 140 milioni le persone che vivono fuori dal loro Paese di nascita.
(Pieroni e Vandebroek 2007). La migrazione è oggi considerata un fenomeno
principalmente urbano. (Galea et al. 2005). Città e migrazione, infatti, appaiono
intrinsecamente collegate sia all’interno dei paesi d’origine di molti migranti, dove la
gente tende a spostarsi dalle aree rurali a quelle urbane sia per quello che riguarda il
flusso migratorio transnazionale, che segue le stesse logiche e prevede l’insediamento in
grandi centri urbani dopo l’arrivo nel Paese ospitante (Pieroni e Vandebroek, 2007).
Studi etnobotanici possono quindi essere condotti altrettanto efficacemente nelle
comunità di migranti che vivono letteralmente nel nostro ‘cortile di casa’ (Pieroni e
Vanderbroek, 2007). Esiste una raccolta di informazioni ancora molto limitata per poter
confrontare i dati raccolti in situ (nel Paese di origine degli immigrati) con quelli ex situ
73
(nel Paese ospitante) ma riflettendo il tasso accelerato dei fenomeni di globalizzazione e
migrazione questa disciplina sta destando attenzione in tutto il mondo e studi in corso
stanno raccogliendo una sorprendente quantità di dati etnobiologici e etnofarmaceutici
dalle comunità in ambiente urbano (Balick et al. 2000; Corlett et al. 2003; Pieroni et al.
2005; Sandhu et Heinrich 2005; Johnson et al. 2006; Waldstein 2006).
Con il termine transnazionalismo si indica una nuova tendenza all’interno della
popolazione migrante (Shiller et al 1992), che tende a vivere simultaneamente nel Paese
d’origine e nel Paese ospitante, interfacciandosi allo stesso tempo su due contesti spesso
molto diversi tra loro. In questo modo il migrante ha la possibilità, attraverso un legame
concreto e costante con il Paese di provenienza, di mantenere viva la propria identità,
intesa anche come usi e pratiche legati alla medicina tradizionale, dal momento che
diventa facile poter reperire le materie prime necessarie di anno in anno. Si parla di
transnazionalismo come di un processo dinamico di costante networking all’interno di
spazi transnazionali. Il vecchio modello che concepiva l’adattamento al nuovo conteso
come un processo passivo, vissuto dal migrante come un inesorabile destino che tocca
vivere a tutti coloro che si muovono da un Paese a un altro, ha lasciato spazio a un
nuovo modello che considera l’adattamento il frutto di una negoziazione culturale. Il
concetto di acculturazione è stato definito dalla scienza della comunicazione come il
risultato di due processi simultanei: quello di deculturazione dalla propria cultura di
origine da un lato e quello di acculturazione verso la cultura ospitante dall’altro (Kim,
2001). Il precedente modello di adattamento culturale presentava dei problemi dal
momento che è altamente improbabile che una cultura, entrando in contatto con un'altra,
semplicemente si adatti a questa ultima (Pieroni e Vandebroek, 2007). Per citare almeno
due ragioni:
74
• L’adattamento è solo uno degli approcci possibili per un migrante che si trova di
fronte a un nuovo contesto culturale. Un altro diametralmente opposto prevede il rifiuto
della nuova cultura, atteggiamento definito di resilienza.
• L’ambiente ospite non è sempre culturalmente omogeneo. Se consideriamo il contesto
delle metropoli occidentali poi, sono ambienti altamente eterogenei. Risulta quindi
impossibile parlare di adattamento a un'unica realtà ospitante.
Se da un lato il migrante può decidere di adattarsi e inventarsi una nuova identità di
fronte al nuovo ambiente culturale, assimilandosi ad esso e accettandone le regole e i
valori, dall’altro può scegliere di rifiutare la cultura del Paese ospitante e quindi di
rafforzare la propria identità, conservando tradizioni, conoscenze, pratiche del Paese di
origine e utilizzandole per distinguersi. In altre parole, è come se volessero dire: “Io
sono diverso da te e ne sono fiero!”. Esiste un intenso dinamismo in quello che i
migranti decidono consciamente o inconsciamente di conservare, abbandonare e/o
acquisire, esposti alla cultura ospitante. Spesso si decide di conservare qualcosa, come
l’utilizzo di una particolare specie di piante, di un sistema di credenze legate alla salute
e di pratiche tradizionali perché percepite in modo condiviso dalla comunità come
importanti o perché diventano strumenti per rafforzare l’identità culturale di questi
gruppi.
La strategia di resilienza come rafforzamento della propria identità e
l’adattamento sono modelli teoricamente opposti; più spesso i migranti assumono un
atteggiamento che si colloca a metà strada da questi due (Pieroni e Vandebroek, 2007)
Il sistema alimentare, quello sanitario, il sistema di credenze e la religione sono tra i
domini più importanti e certamente i più radicati nella vita di una persona; quelli che ne
determinano lo stile di vita inteso come usi e costumi e i valori, espressione primaria di
75
appartenenza a una certa cultura. Il sistema di credenze e la religione non subiscono
generalmente cambiamenti nello spostamento da un Paese a un altro; raramente accade
che una persona abbandoni la propria religione o la sostituisca con quella del Paese
ospitante. L’alimentazione e il sistema di cura invece sono al confronto decisamente più
fragili, perché legati al reperimento di materie prime che non è sempre possibile trovare
nel Paese ospitante: rimedi animali o minerali, nel caso della medicina. Il reperimento di
una pianta nel caso della medicina tradizionale è legato a questioni pratiche e difficoltà
nel reperimento di queste possono determinare il perdurare o interrompersi di pratiche
tradizionali. Cambiamenti nelle condizioni di salute e nelle pharamcopoeias dei
migranti
possono informarci sulle nuove realtà con cui i migranti si confrontano
(Pieroni e Vandebroek, 2007). Paragonare i diversi sistemi sanitari dei gruppi di
immigrati da diverse culture in differenti società ospitanti può chiarire se e a che livello
la globalizzazione ha avuto un impatto su questi sistemi, portando alla sostituzione della
pianta esotica originale con una specie più comunemente conosciuta e globalizzata
(Pieroni e Vandebroek, 2007).
La comunità senegalese nel nostro Paese può contare ormai su una certa anzianità di
presenza e su un tessuto ben radicato di individui, famiglie, associazioni ed attività di
diverso tipo. Il numero di residenti senegalesi iscritti in anagrafe a inizio gennaio 2009
(Istat 2009) risultava pari a 67510 persone, di cui 53125 uomini (78,7% del totale) e
14385 donne (21,3% del totale). Si tratta del sedicesimo gruppo nazionale straniero
presente in Italia e della prima comunità per consistenza proveniente dall’Africa subsahariana. La migrazione dei senegalesi verso l’Italia inizia e si consolida durante gli
anni ’80 del secolo scorso ed ha ragioni di tipo eminentemente economico. Se, a livello
interno si verificano fenomeni che spingono una parte crescente di popolazione ad
espatriare, quali la crisi del settore agricolo e della coltura dell’arachide in particolare, la
76
siccità, l’esodo rurale, l’urbanizzazione massiccia e la crisi delle classi medie, fattori più
specificamente legati alle dinamiche migratorie contribuiscono a spiegare l’emersione
dell’Italia come principale nuova meta dei senegalesi: la riduzione dei movimenti
migratori regionali in Africa occidentale ed in particolare verso la Costa d’Avorio, le
restrizioni agli ingressi verso la meta europea tradizionale, la Francia e viceversa, la
permeabilità della frontiera italiana e l’attrazione esercitata dall’informalità del suo
mercato del lavoro e dai distretti industriali (Ceschi, 2006). Rispetto alla precedente
ondata di migrazioni verificatasi negli anni ’60 e ’70 del Novecento, che si era diretta
verso altri Paesi africani e verso la Francia ed era composta in larga misura da migranti
soninké e pulaar della valle del fiume Senegal (Timera 1996; Quiminal, 1991), i flussi
cominciati intorno alla metà degli anni ’80 provengono in maggioranza dalle regioni
centro-occidentali del Paese e riguardano migranti uomini di origine rurale appartenenti
al gruppo etnico wolof e alla confraternita Murid 1.
L’immigrazione è profondamente interrelata con la salute e l’assistenza sanitaria, dal
momento che spesso i migranti mancano di assicurazione sanitaria o sono soggetti a
barriere linguistiche, legali e culturali che portano a un loro sotto utilizzo del sistema
sanitario ufficiale nel Paese ospitante. La letteratura scientifica ci offre un profilo
sanitario degli immigrati come persone che, al momento della partenza dal Paese di
origine, godono di uno stato di salute generalmente buono, che permette loro di proporsi
come valida forza-lavoro. Nel Paese ospitante il loro “patrimonio di salute” viene per
minato dalle condizioni di precarietà e svantaggio socio-economico e culturale che
molto spesso sono costretti a fronteggiare (disoccupazione, scarsa tutela sul lavoro,
degrado abitativo, alimentazione sbilanciata, esclusione sociale, discriminazione).
Inoltre, la presenza di barriere giuridiche, burocratiche, organizzative e relazionali fa sì
77
che il rischio di non ricevere dal sistema sanitario gli stessi servizi di prevenzione,
diagnosi e cura, di cui la media della popolazione beneficia, sia più elevato.
Possiamo riconoscere diverse criticità del rapporto migranti e sanità nel sistema italiano
Un primo elemento critico riguarda la diversità dei bisogni in relazione ai differenti
tempi di migrazione. Gli immigrati non sono un universo unico: gli individui di nuova
migrazione presentano bisogni d’urgenza, gli individui di recente stabilizzazione
bisogni di neo- accoglienza, gli individui di antica migrazione bisogni legati al
radicamento. Anche quando l’immigrato arriva in Italia in buone condizioni fisiche ed
emotive, lo sradicamento dalla cultura di appartenenza e la rottura improvvisa con la
sfera familiare provocano una crisi dell’identità individuale, rappresentando di per sé un
fattore di rischio per la salute. In una seconda fase, l’ostilità, la discriminazione e
l’esclusione si legano a problemi quotidiani quali la ricerca dell’alloggio e del lavoro o
l’accesso alle cure sanitarie, accrescendo la condizione di stress emotivo e psicologico,
con rilevanti conseguenze sulla salute. Il secondo problema riguarda la marginalità. In
Italia, nella maggioranza dei casi, gli immigrati provenienti dai paesi poveri vivono in
condizioni di isolamento economico, sociale e relazionale a causa delle barriere
giuridiche, burocratiche, e per la mancanza di sistemi di inclusione complessiva. Ci
accade in quanto la cultura continua ad essere percepita in maniera statica. Non si riesce
oggi, ancora, ad accettare il fatto che la società sia destinata a diventare sempre più
multiculturale e pluralistica. Il terzo elemento critico riguarda le difficoltà relazionali
legate alle differenze culturali. L’elemento che più caratterizza il caso italiano rispetto
ad altri paesi europei, di più antica immigrazione, è dato dalla presenza di molte etnie
diverse. Su 10 stranieri, 4 sono europei (di cui 3 dell’Europa orientale - e questo numero
è destinato ad aumentare in maniera esponenziale con l’allargamento dell’Unione
Europea), 3 africani, 2 asiatici, 1 americano. La difficoltà maggiore in Italia è quindi far
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convivere diverse tradizioni linguistiche, culturali, religiose, sociali, e ci è da tenere in
considerazione in fase di programmazione delle politiche per l’integrazione.
Le
variabili culturali (modello culturale di riferimento, percezione e vissuto della malattia e
della cura, diverso modo di percepire il dolore fisico) e relazionali (famiglia, rete
amicale) condizionano pesantemente l’uso e la conoscenza dei servizi socio-sanitari da
parte dello straniero. Ci fa sì, ad esempio, che l’immigrato si rivolga ai servizi sanitari
solo in casi urgenti, portando con sé un diverso modo di intendere la salute che può
essere causa di incomprensioni nelle relazioni con gli operatori sanitari. L’uso del
mediatore culturale è insufficiente per la pluralità delle lingue e dei dialetti parlati, e,
oltretutto, la mediazione costituisce di per sé, inevitabilmente, un filtro alla
comunicazione che può determinare errori nella codifica e decodifica dei messaggi, o
comunque ostacoli supplementari. Ancora, l’uso e la conoscenza dei servizi sociosanitari da parte dello straniero dipendono da fattori sociali ed economici (età, sesso,
scolarizzazione, inserimento lavorativo).
Al quadro sopra delineato si aggiunge l’incapacità del sistema socio-sanitario di
considerare la complessità sociale della salute, cosicché gli immigrati, anche a parità di
condizioni economiche e sociali con gli italiani, spesso subiscono trattamenti
discriminatori sul piano dell’assistenza. Tali difficoltà dipendono dalla mancanza di
“offerta attiva” da parte dei servizi, mirata proprio alle persone più a rischio.
Un’indagine coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità, diffusa dal Ministero della
Salute nel 2001, ha fornito per la prima volta dati sui ricoveri ospedalieri riferiti a
cittadini non italiani, evidenziando una sostanziale mancanza di elasticità nell’offerta di
servizi, a fronte di nuovi problemi di salute da parte di questi nuovi gruppi di utenti. Le
risorse disponibili non sono sufficienti, gli operatori sentono di non ricevere adeguato
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sostegno da parte del sistema e sono oberati di lavoro, ed il tempo a loro disposizione è
scarso.
Ultimo attore critico, la carenza di informazione. La scarsa conoscenza delle norme, la
complessità dell’articolazione dei servizi sul territorio e la burocrazia che li governa, la
presenza di regole rigide di funzionamento che non vengono tradotte in percorsi
accessibili, rendono difficile informare l’utenza sui servizi offerti. E così gli immigrati
si avvicinano alle strutture con difficoltà, i clandestini per paura di essere denunciati, gli
altri per la difficoltà di chiedere ed acquisire informazioni e per la diffidenza rispetto
alla possibilità di ottenere prestazioni di assistenza a parità di condizioni con i cittadini
italiani. Gli stessi operatori socio-sanitari italiani spesso non conoscono le norme e
mancano di formazione interculturale e dei supporti professionali necessari ad affrontare
un’utenza culturalmente differenziata. In tal modo, la scadente qualità relazionale
all’interno dei servizi si somma agli altri fattori nel condizionare negativamente l’esito
della cura. Se dunque la salute non può essere intesa come il risultato delle cure
mediche, ma di vari elementi strettamente connessi tra loro quali la biografia della
persona, la struttura sociale, la cultura ed il Paese di provenienza, la posizione sociale,
l’esposizione a fattori di rischio o di protezione, diventano fondamentali le politiche che
il governo della sanità ed il governo della salute attuano per contrastare le
disuguaglianze che si generano ai vari livelli.
80
Capitolo 5
CONCLUSIONI
Il percorso compiuto ci restituisce un’immagine senza dubbio complessa e articolata
delle esperienze della malattia e della cura. La medicina tradizionale e la conservazione
della sua pratica sono profondamente legate a elementi culturali non direttamente
collegati ad essa, che se venissero a mancare ne determinerebbero la scomparsa. La
medicina tradizionale rappresenta un sistema complesso che va concepito e analizzato
solo all’interno della propria cultura di riferimento. Esistono moltissimi sistemi di
Medicina tradizionale ed è impossibile parlare di una sola medicina tradizionale per
l’Africa, tanto meno di una medicina tradizionale in generale. La principale
caratteristica della medicina tradizionale da me analizzata in un’area rurale Senegalese,
che ne determina l’originalità nello scenario terapeutico riguarda l’approccio olistico al
problema della salute: questa viene, infatti, concepita nella sua dimensione globale
quale equilibrio dinamico tra l’individuo e il suo ambiente socio-culturale differenza
della visione organicistica del sistema di cura convenzionale, che invece tende a
scomporre la persona umana nei suoi elementi fisici e ad affrontare il malessere
esclusivamente dal punto di vista biologico , ignorando la rete di relazioni sociali e
culturali in cui il soggetto è calato e che ne condiziona l’esistenza.
Come si è visto dalla mia analisi, in Senegal, le medicine tradizionali sono spesso un
rimedio efficace al quale gli abitanti dei villaggi senegalesi si rivolgono, sia per la
numerosa presenza di guaritori nei villaggi, sia per la facile accessibilità sia spaziale che
economica. E’ la prima forma di cura a cui gli abitanti fanno riferimento anche perché è
compatibile culturalmente, dato che i due soggetti implicati nel percorso rivolto alla
guarigione, quali terapeuta tradizionale e paziente, condividono la stessa idea in merito
alle cause, al significato e alla cura della malattia. Una delle cause che si può attribuire
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ai risultati non soddisfacenti della considerazione della medicina convenzionale in
Senegal, può essere la mancanza di comprensione in termini di una diversa concezione
di salute e di un diverso approccio verso la malattia e la cura. E’ l’infermiere, la figura
sanitaria della sfera della medicina convenzionale ad instaurare e a mantenere un forte
legame con le tradizioni e le popolazioni, facendo spesso parte del contesto in cui si
opera. Infatti bisognerebbe fare leva sull’infermiere del posto che avendo origini in quel
luogo e legami stretti con i guaritori, potrebbe favorire l’interazione e l’eventuale
collaborazione tra le due realtà arrivando al cosiddetto pluralismo terapeutico.
Si è rivelata preziosa per il mio lavoro la teoria assistenziale dell’infermiera statunitense
Leininger. [27]
Secondo la Leininger, l'assistenza è un fenomeno universale, un'attività che si registra in
tutte le culture. Perché essa sia efficace deve organizzarsi tenendo conto del contesto in
cui si esplica. Non si può imporre un modello di assistenza estraneo alla cultura in cui si
opera. Per essere efficace l'attività infermieristica deve declinarsi secondo i fattori di
struttura sociale degli assistiti: la religione, la politica, la cultura, l'economia, il sistema
di parentele. L'infermiere, nella sua pratica, deve tener conto, dunque, dei cosiddetti dati
interculturali. Riassumendo, i comportamenti, gli obiettivi e i compiti dell'assistenza
variano col variare della struttura sociale e dei valori. La cura di sé e degli altri muta
nelle diverse culture e nei diversi sistemi di assistenza. [27]
Come già anticipato, la figura dell’infermiere assume un ruolo fondamentale nei
villaggi, essendo quest’ultimo, spesso l’unico anello di congiunzione tra la medicina
tradizionale e la medicina convenzionale. Quindi, un infermiere, laureato in Italia, che
interviene ,attraverso delle cooperazioni in ambito sanitario in Senegal, non può non
conoscere il contesto in cui si trova a mettere in atto il proprio percorso assistenziale;
82
cercando di integrare le due medicine e di apprendere quello che c’è di buono in
entrambe, rispettandole e creando un connubio perfetto tra le due magari estraendo la
conoscenza scientifica da quella convenzionale e la visione olistica e umana del
paziente da quella tradizionale.
Non bisogna quindi pensare alla medicina convenzionale come una forza superiore che
deve riuscire a contrastare la sfera della medicina tradizionale, come qualcosa da
demolire, ma al contrario bisognerebbe migliorare e valorizzare il più possibile queste
pratiche “segrete” tradizionali e mistiche, riuscendole a rivelare e a farle conoscere a
tutti così da legiferarle, facendole utilizzare a tutti e darle finalmente il giusto valore.
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1) https://www.google.it/search?q=cartina+del+senegal&biw=1366&bih=651&tbm
=isch&tbo=u&source=univ&sa=X&ei=ux1JVPn5HquqygPOt4HwAg&ved=0C
CIQsAQ#tbm=isch&q=cartina+del+senegal+worldatlas&spell=1
2) http://cooperazioneitaliasenegal.blogspot.it/2012/01/il-sistema-sanitario-insenegal-alcuni.html
3) villaggio rurale di Pire- incontro con i guaritori (Foto di L. Sarli)
4) villaggio rurale di Pire- incontro con i guaritori (Foto di L. Sarli)
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