CEM - Terra Nuova

Transcript

CEM - Terra Nuova
cem_maggio_2015_copertina 14/05/2015 14:44 Pagina 1
I L M E N S I L E D E L L’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E
Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LIV - n. 5 - Maggio 2015 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - contiene I.R.
cem.saverianibrescia.it
®
L’EXPO DI FRATE GIACOMA
EDUCARE O DIS-EDUCARE?
QUALCHE FINE DEL MONDO PER CREDENTI E NON
5|2015
maggio
Spigolando nei campi del Signore?
Il dialogo interreligioso oggi
Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia
cem_maggio_2015_copertina 14/05/2015 14:44 Pagina 2
Sommario
n. 5 / maggio 2015
agenda interculturale
editoriale
L’Expo di frate Giacoma
1
Brunetto Salvarani
Traguardi e sfide educative.
Il bilancio dell’Unesco
Spigolando nei campi
17
del signore?
Il dialogo interreligioso oggi
33
Alessio Surian
questo numero
2
a cura di Federico Tagliaferri
Marco Valli - Osel Dorje
seconde generazioni
Sono italiana. Certo. Ma non solo
34
Margherita Parrao
l’altroeditoriale
Il Forum sociale mondiale in cerca
di un’agenda comune
3
domani è accaduto
Qualche fine del mondo
per credenti e non
Mauro Castagnaro
faq
Fondi comuni, fondi di caffè, fondi etici
35
a cura di Dibbì
4
Gianni Caligaris (seconda parte)
spazio CEM
54° Convegno CEM
36
ascu
ola
eoltre
app-grade
bambine e bambini
Ritorno al futuro
6
Sebi Trovato
Che succede?
I ragazzi tra social network e chat
38
Maria Maura
ragazze e ragazzi
Il valore del fango. Meeting di Pace
nelle trincee della Grande Guerra
8
crea-azione
La Festa dei popoli a Bari
39
Nadia Savoldelli
Sara Ferrari
generazione y
40
mediamondo
L’insegnamento femminile
è diventato un problema?
10
nuovi suoni organizzati
Fabulous Trobadors
Stefano Curci
43
Luciano Bosi
in cerca di futuro
Seconde generazioni
e nuove tecnologie
12
saltafrontiera
Prendersi cura dell’altro
44
Lorenzo Luatti
Aluisi Tosolini
mumble mumble
cinema
In viaggio con Marco Aurelio
13
Chiara Colombo, Fiorenzo Ferrari (seconda parte)
torneranno i prati
45
Lino Ferracin
educazione degli adulti
i paradossi
Lezione di civiltà, anzi di etnocentrismo 47
saggezza folle
Arnaldo De Vidi
Educare o dis-educare?
Marco Valli - Osel Dorje
Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)
dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia
Direzione e Redazione
Via Piamarta 9 - 25121 Brescia
tel. 0303772780 - fax 030.3772781
Direttore
Brunetto Salvarani
[email protected]
Condirettori
Antonio Nanni ([email protected])
Lucrezia Pedrali ([email protected])
Segreteria e sito
Michela Paghera
[email protected]
16
la pagina dei girovaghi
Gianni Caligaris, Patrizia Canova, Chiara Colombo, Stefano Curci, Marco Dal Corso,
Gianni D’Elia, p. Arnaldo De Vidi, Fiorenzo
Ferrari, Sara Ferrari, Lino Ferracin, Antonella
Fucecchi, Lorenzo Luatti, Maria Maura, Rita
Roberto, Nadia Savoldelli, Elisabetta Sibilio,
Alessio Surian, Aluisi Tosolini, Sebi Trovato,
Laura Tussi, Marco Valli-Osel Dorje
Collaboratori CEM dell’annata 2014-2015
Lara Albanese, Paola Bonsi, Francesco
Caligaris, Giacomo Caligaris, Anna Cattaneo, Agnese Desideri, Alessandra Ferrario,
Francesca Galloni, Adel Jabbar, Francesco
Marrella, Clelia Minelli, Roberto Morselli,
Maria Claudia Olivieri, Roberto Papetti,
Luciana Pederzoli, Candelaria Romero,
Oriella Stamerra, Alessandro Valera, Marisa Villagra, Martina Vultaggio
Redazione
Federico Tagliaferri (caporedattore)
[email protected]
Hanno collaborato a questo numero
Margherita Parrao, Mauro Castagnaro
Lubna Ammoune, Daniele Barbieri, Massimo Bonfatti, Silvio Boselli, Luciano Bosi,
Direttore responsabile
Marcello Storgato
a cura di Antonella Fucecchi, Antonio Nanni
Il Decalogo e l’etica mondiale
23
nona puntata
48
I L M E N S I L E D E L L’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E
Amministrazione - abbonamenti
Centro Saveriano Animazione Missionaria
Via Piamarta 9 - 25121 Brescia
Telefono 030.3772780 - Fax 030.3772781
[email protected]
Quote di abbonamento
Copia singola cartacea
Cartaceo 10 numeri - annuale
On line 10 numeri - annuale
Abbonamento triennale
Abbonamento d’amicizia
Abbonamento CEM / estero
Europa
Extra Europa
€
€
€
€
€
5,00
30,00
20,00
80,00
50,00
€ 60,00
€ 70,00
Per le modalità di abbonamento consultare il sito cem.saverianibrescia.it
®
www.cem.saverianibrescia.it
14
Rita Roberto
Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LIV - n. 5 - Maggio 2015 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia
Esserci nel tempo dell’attesa
L’EXPO DI FRATE GIACOMA
EDUCARE O DIS-EDUCARE?
QUALCHE FINE DEL MONDO PER CREDENTI E NON
5|2015
maggio
Le relazioni e il digitale
Il mondo come intimità e rappresentazione
Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia
Registrazione Tribunale di Parma,
n° 401 del 7/3/1967
Editore: Centro Saveriano Animazione
Missionaria - CSAM, Soc. Coop. a r.l.,
via Piamarta 9 - 25121 Brescia, reg. Tribunale
di Brescia n° 50127 in data 19/02/1993.
Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazione
Disegno di copertina: Silvio Boselli
Stampa: Tipografia Camuna - Brescia
[email protected]
cem.saverianibrescia.it
La testata fruisce dei contributi statali diretti
di cui alla legge 250 del 7 agosto 1990.
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 1
editoriale
brunetto salvarani | direttore cem
[email protected]
T
@BSalvarani
L’Expo di frate Giacoma
i Francesco d’Assisi (1182-1226) abbiamo un’immagine molto mediata dalle biografie, dalle agiografie, dai Fioretti, con tutti i rischi del caso.
Un’immagine, per di più, legata in genere a una forte disputa tra visioni diverse interne al movimento francescano. Per questo, personalmente, mi piace andare il
più possibile alle fonti dirette, cioè ai testi scritti da lui,
una trentina quelli di cui disponiamo, tutti in latino (ad
eccezione del Cantico di frate Sole e di Audite, poverelle)
e ben poco conosciuti. Siamo alla fine del settembre
1226; Francesco morirà la sera del 3 ottobre, pochi giorni
dopo. Le sue Vite riportano un episodio assai curioso,
che conferma uno dei tratti non sempre rilevati di Francesco: l’umanità. Si potrebbe parlare - se questo termine
non fosse purtroppo così controverso da usare in italiano
- della sua laicità. Io credo che lui, che non ha mai voluto
diventare prete, a dispetto di vari tentativi papali di convincerlo al riguardo, fosse profondamente laico.
Dunque: egli è quasi morente e giace alla Porziuncola,
dov’è stata ricavata un’infermeria. Chiama uno dei compagni e gli dice: «Carissimo frate, Iddio m’ha rivelato,
che di questa infermità, insino a cotal dì, io passerò di
questa vita; e tu sai, che madonna Jacopa de’ Settensoli,
divota carissima dello Ordine nostro, s’ella sapesse la
morte mia e non ci fusse presente, ella si contristerebbe
troppo; e però significale che, se ella mi vuol vedere
vivo, immantinente venga qui».
Questa Madonna Jacopa (o Giacoma; 1190ca - 1239)
era una nobile romana, sua grande amica, tanto che
oggi è sepolta di fronte a lui nella cripta della basilica di
San Francesco ad Assisi, a fianco dei suoi primi compagni. Lui si trova allo stremo delle forze e la fa chiamare.
La sua libertà e il suo amore per le cose penultime, che
così bene ha saputo tradurre letterariamente nel Cantico
di frate Sole, qui si esprimono in una modalità che a noi
può far sorridere. Infatti le manda una lettera del seguente
tenore:«A donna Jacopa, serva dell’Altissimo, frate Francesco, poverello di Cristo, augura salute nel Signore e
comunione nello Spirito Santo. Sappi, carissima, che
Dio, per sua grazia, mi ha rivelato che la fine della mia
D
vita è ormai prossima. Perciò, se vuoi trovarmi vivo, appena ricevi questa lettera, affrettati a venire a santa Maria
degli Angeli. Ma se vieni dopo il sabato, non potrai trovarmi in vita. E porta con te un panno di cilicio, in cui tu
possa avvolgere il mio corpo, e la cera per la sepoltura».
Si noti: sono tutti gli strumenti usati per la sepoltura...
alla fine, però, ecco il colpo di scena: «Ti prego, però,
anche di portarmi di quei dolcetti, i mostaccioli, che tu
eri solita darmi quando giacevo malato a Roma».
I mostaccioli sono dolcini in cui c’è un po’ di tutto (frutta,
miele, mandorle, zucchero e spezie). Certo, è difficile
dire se questa preghiera di un candore disarmante sia
frutto di delicata attenzione alla psicologia femminile, o
un modo affettuoso per lenire l’amaro bruciante delle
altre notizie e richieste. Un dato, però, è sicuro, e riguarda
l’enorme distanza da qualsiasi preoccupazione di lasciare di sé un volto aderente ai consueti canoni agiografici, ma piuttosto un volto del tutto coerente con la
semplicità del bambino che si è fatto tale per il regno
dei cieli, che la frase riuscirebbe quasi incredibile se
non avesse un preciso riscontro anche nella biografia
francescana di Tommaso da Celano. Francesco non sente come sconveniente alla serietà del momento pensare
al dolcetto di quella che scherzosamente chiamava frate
Giacoma, perché quel Dio cui è ormai vicino non nega
gli affetti né i beni della vita che Egli ci ha donati, ma
tutto raccoglie, eleva e ci ridona per l’eterno, in pienezza,
nella gioia che non ci sarà mai tolta.
Questo racconto valga da
augurio all’Expo 2015 sul cibo,
avviatasi a Milano fra timori
e speranze il primo maggio:
perché non vi manchino
i mostaccioli, ma soprattutto
lo spirito di frate Francesco,
la sua laicità e la sua libertà
dal denaro e dall’economia
di mercato.
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 2
Questo
numero
a cura di Federico Tagliaferri
[email protected]
Q
Questo numero di CEM Mondialità conclude la riflessione sul tema «Amare questo tempo. Alfabeti per la cura
delle relazioni» con un dossier di Marco Valli-Osel Dorje dedicato al dialogo interreligioso intitolato «Spigolando
nei campi del signore?». «Da troppi anni bazzico il cosiddetto dialogo interreligioso, fin da tempi (gli anni ‘70) in
cui non era di “moda”, anzi era guardato con sospetto, per non essere un po’ disilluso, nonostante i molti passi in avanti fatti
dalle gerarchie e assai di più dai fedeli e dai religiosi - scrive Valli -. Disilluso perché il dialogo, in qualunque forma, ha come
punto fondante la disponibilità di entrambi gli interlocutori a modificare le proprie idee di partenza, senza questa disponibilità abbiamo un interesse culturale o antropologico per l’altro, niente di più».
«Tutto cambia, com’è ovvio - aggiunge l’autore -, eppure nel dialogo interreligioso molte cose sono rimaste uguali. Ieri come oggi ci si incontra, davanti a
pubblici via via più numerosi, ognuno racconta la
propria esperienza, o cerca di spiegare la propria
fede, si risponde a qualche domanda degli intervenuti, foto ricordo e tutti a casa senza che nulla, nell’uno o nell’altro sia cambiato. Possiamo chiamarlo
dialogo?». La risposta è ovviamente negativa, per
questo il dossier cerca di trovare nuove vie e di ridare fiato al concetto stesso di dialogo.
L’inserto centrale del «dossier» conclude a sua volta
l’annata dedicata alla serie «Deka-Logous» (10 parole). Quale etica per l’umanità?», curata da Antonio
Nanni e Antonella Fucecchi, con una riflessione su «Il
Decalogo e l’etica mondiale».
Marco Campori
(aka El Gato Chimney)
Le illustrazioni di questo numero sono state realizzate da Marco
Campori, che ringraziamo di cuore. Ecco una sua breve
presentazione:
«Sono nato nel 1981 a Milano, dove lavoro e vivo. Ho frequentato
la Scuola d’arte applicata del Castello Sforzesco. Ho partecipato a
numerose mostre nazionali e internazionali riguardanti il pop
surrealismo e la street art, tra le quali la milanese “Urban Edge
Show” (2005), la prima e più importante mostra italiana di street
art a livello internazionale, a fianco di Shepard Fairey (Obey), Doze
Green e Blu, “Urban Superstar” (2009) al Museo Madre di Napoli,
“Italian Pop Surrealism” (2011) ai Musei Capitolini di Roma, e la
recente “Pop Surrealism - Stay Foolish!” (2012) al Museo Casa Del
Conte Verde di Rivoli. Da ricordare anche le mostre collettive e
personali a New York, Berlino, Londra, Los Angeles, Milano, Parigi
e Roma, e le molteplici pubblicazioni internazionali su libri d’arte e
riviste di settore».
Per contatti: [email protected]
Segnaliamo altresì, nella prima parte della rivista, la
rubrica «Generazione Y», che ci presenta l’articolo «L’insegnamento femminile è diventato un problema?» di Stefano Curci,
che discute l’ipotesi che la predominanza numerica di donne tra gli insegnanti sia dannosa per i maschi.
Nella terza parte, proponiamo, nella rubrica «Cinema», la recensione di Lino Ferracin del film «torneranno i prati» di Ermanno Olmi, una poetica e struggente rievocazione dei sacrifici dei soldati nella Prima Guerra Mondiale. nnn
Cari lettori, vi ricordiamo che potete seguire le attività di CEM sul nostro
nuovo sito internet cem.saverianibrescia.it
Siamo inoltre presenti su Facebook f all’indirizzo cemsav
2 | cem mondialità | maggio 2015
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 3
mauro castagnaro
[email protected]
l’altroeditoriale
Il Forum sociale mondiale
in cerca di un’agenda comune
La XIII edizione del Forum
sociale mondiale (Fsm)
svoltasi a fine marzo a Tunisi
ha avuto un significato
particolare perché
immediatamente preceduta
dalla strage terroristica al
museo del Bardo.
a una parte, infatti, la società civile della Tunisia
non si è chiusa su se stessa, ma ha reagito all’attentato mantenendo un appuntamento internazionale simbolo della possibile convivenza delle
diversità. Dall’altra, le organizzazioni popolari di tutto
il pianeta hanno espresso visivamente la solidarietà
«da popolo a popolo» verso un paese che vive una
transizione democratica conquistata con la rivoluzione
di quattro anni fa e subisce enormi pressioni dagli Stati
vicini, in cui le «primavere arabe» sono abortite nella
guerra civile, nell’oscurantismo jihadista o nel ritorno
all’autoritarismo militare.
D’altro canto, è indubbio che la formula del Forum sociale mondiale, nata a Porto Alegre nel 2001, esige un
aggiornamento, perché in questi quindici anni il contesto globale è mutato: l’intreccio tra capitalismo e
guerra si è fatto ancora più esplicito, si è ridotta l’autonomia delle leadership politiche mondiali rispetto a un
sistema finanziario controllato da poche centinaia di
multinazionali, le disuguaglianze sociali sono aumentate
e ormai meno del 9% della popolazione controlla l’85%
D
della ricchezza globale e al 70% più povero ne resta
solo il 3%, gli effetti dei cambiamenti climatici si manifestano ormai quotidianamente in modo catastrofico.
Non appare quindi più sufficiente un incontro biennale
in cui in centinaia di seminari spesso si presentano
singoli progetti, si raccontano esperienze particolari e
si approfondiscono temi specifici.
Certo, l’esistenza di uno spazio libero, plurale e trasversale di confronto non va costretta entro rigidità organizzative e verticismi escludenti. Tuttavia si avverte
l’esigenza di una maggiore efficacia e incisività. Vittorio
Agnoletto, membro del Consiglio internazionale del
Fsm, propone di «organizzare vertenze globali in grado
di unire i movimenti di ogni continente attorno a obiettivi
condivisi, seppure declinati secondo la propria specificità territoriale, con un’agenda comune, azioni sinergiche e la capacità di indicare chi sono i nostri avversari.
Ogni organizzazione continuerà ovviamente anche ad
agire sulla propria specifica mission, ma il Forum dovrebbe individuare tre, quattro, massimo cinque campagne sui temi cruciali per il futuro dell’umanità (ad
esempio il diritto al cibo e all’acqua, la lotta contro le
politiche che producono i cambiamenti climatici, l’opposizione al dominio della finanza speculativa), attorno
alle quali organizzare realmente una mobilitazione globale. Restituendo in tal modo visibilità a un progetto
politico alternativo al liberismo».
È un’idea interessante. Con un’ultima aggiunta: varie
organizzazioni cristiane hanno sempre partecipato, e
da protagoniste, al Fsm. Ma come può questa presenza
compiere un salto di qualità nel tempo di papa Francesco e del Vaticano che convoca un Incontro mondiale
dei movimenti popolari (Roma, 27-29 ottobre 2014)?
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 4
I «FONDI DI CAFFÈ» SONO PER LO PIÙ OBBLIGAZIONARI, COSTRUITI
CON LA STESSA LOGICA, MA CONTENGONO UNA FAUNA DIVERSA,
COSTITUITA IN MASSIMA PARTE DA STRUMENTI «DERIVATI».
RICORDIAMOCI SEMPRE UNO DEI MONITI DEL GURU
INCONTRASTATO DELLA FINANZA, WARREN BUFFET:
«SE NON CAPISCI UN PRODOTTO, NON COMPRARLO!»
Fondi comuni,
fondi di caffè, fondi etici
(SECONDA PARTE)
d eccoci ai «fondi di caffè», come li ho
chiamati nel numero precedente. Sono
fondi per lo più obbligazionari, costruiti con
la stessa logica, ma contengono una fauna
diversa, costituita in massima parte da strumenti derivati. In finanza, è denominato
strumento derivato ogni contratto o titolo il
cui prezzo sia basato sul valore di mercato
di un altro strumento finanziario, definito
sottostante (come, ad esempio, azioni, indici
finanziari, valute, tassi d’interesse). Gli utilizzi principali degli strumenti derivati sono
la copertura di un rischio finanziario, l’arbitraggio (ossia l’acquisto di un prodotto in
un mercato e la sua vendita in un altro mercato) e la speculazione. Valore e rendimento delle obbligazioni così strutturate dipendono dall’andamento dello strumento finanziario.
Le obbligazioni che hanno
dato vita al crack del 20072009 «poggiavano» sui
mutui per la casa sub prime (ad alto rischio), il cui
crollo fece iniziare il domino fatale.
Col tempo si sono creati derivati su tutto; i più antichi e
E
4 | cem mondialità | maggio 2015
noti sono i futures, ovvero contratti in cui si
acquistano o vendono a tempo, fissandone
subito il prezzo, prodotti agricoli o minerari.
Chi vende a tempo spera che al momento
della consegna la merce valga meno, chi
acquista, ovviamente, il contrario. Ma esistono derivati basati sulle più diverse variabili, perfino sulla quantità di neve caduta
in una determinata zona, o sulle precipitazioni in genere. Specializzati in questi mercati sono gli hedge fund (fondi speculativi).
In questi fondi possono poi figurare anche
titoli atipici come i reverse convertible, che
qui sarebbe lungo spiegare, dalla volatilità
enorme, che spesso vengono offerti ai risparmiatori anche al di fuori dei fondi. È
evidente che ci stiamo allontanando di anni
luce dal concetto primevo di finanza come
strumento per convogliare capitali alle imprese. Qui siamo in pieno gambling, gioco
d’azzardo. Pensate di entrare in un grande
magazzino (come mi piacciono questi vecchi
termini), ma al posto degli scaffali trovate
una interminabile ed ineludibile teoria di
slot machine, qualche roulette, qualche tavolo di dadi. Investite, rien ne va plus!
Ricordiamoci sempre uno dei moniti del guru incontrastato della finanza, Warren Buffet: «Se non capisci un prodotto, non comprarlo!».
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 5
gianni caligaris
[email protected]
FONDI ETICI
Sono gli ultimi nati, almeno in Italia, dove
sono offerti al pubblico dal 2003. Sono il
frutto di un duplice atto di fede; il primo sostiene che non tutta la finanza è di per sé
demoniaca, il secondo è che sia possibile
ottenere profitti equi anche orientando i
propri investimenti secondo un paradigma
etico.
I primi hanno visto la luce in Inghilterra, poi
sono spuntati a macchia di leopardo in Europa e negli Usa. Il principio è semplice:
creare fondi comuni che mettessero in portafoglio solo i titoli di Stati dai comportamenti virtuosi e, soprattutto, di imprese la
cui attività od i cui prodotti non fossero contrari ad un set di valori condiviso dai risparmiatori/investitori.
È una matrice a due ingressi: valutazioni
di prodotto e di processo, ovvero il «cosa»
ed il «come» si produce. La logica è semplice: io posso gestire un’azienda irreprensibile, ma se produco mine non vengo accettato ma nemmeno se produco farmaci
salva vita, ma inquinando, sfruttando, corrompendo.
Gli strumenti di un gestore etico sono il certificatore ed il comitato etico. Il primo è un
ente terzo che analizza i comportamenti
delle aziende (si parla ovviamente di aziende
quotate in borsa) sulla base di una griglia
articolata e che le dispone in una graduatoria: in fondo le «inaccettabili», a salire
quelle con punteggio crescente di accettabilità fino al top delle pratiche migliori, le
best in practice.
Il comitato etico1 è un organismo indipendente che, sulla base delle indicazioni statutarie delle società di riferimento, analizza
le classifiche (ed i relativi aggiornamenti periodici) fornite dal
Certificatore e decide quali
aziende siano ammissibili
nell’universo investibile
dei fondi. Starà poi al
gestore decidere se,
quando e cosa acquistare; ma questa è una questione puramente tecnica.
I FONDI ETICI SONO IL FRUTTO
DI UN DUPLICE ATTO DI FEDE:
CHE NON TUTTA LA FINANZA
SIA DI PER SÉ DEMONIACA,
CHE SIA POSSIBILE OTTENERE
PROFITTI EQUI ANCHE
ORIENTANDO
GLI INVESTIMENTI SECONDO
UN PARADIGMA ETICO.
viamente le possibilità del gestore racchiudendone l’attività entro un recinto ben delimitato, si può dire che le performance di
questi fondi non ha scontato nulla rispetto
al mercato tradizionale, anzi i loro risultati
sono sempre stati un po’ superiori al benchmark (standard) di riferimento per fondi
analoghi. La finanza eticamente orientata
paga anche meglio di quella tradizionale.
CHIUDIAMO IL CERCHIO
Qualora il certificatore o il comitato etico
escludano, per fatti sopravvenuti, un’azienda già in portafoglio, il gestore ha tre mesi
di tempo per liquidare la posizione.
Il primo filtro è intuitivo: armi, gioco d’azzardo, nucleare, pornografia, tabacco2. E fin
qui siamo al «prodotto»; venendo al «processo», l’analisi è molto più sofisticata: rapporti con i dipendenti e con le loro minoranze, con le comunità, impatto ambientale,
pratiche controverse (es. utilizzo di cavie),
pratiche corruttive, gestione dei beni comuni, utilizzo di materie prime sensibili (es.
legni pregiati), presenza di certificazioni internazionali ed altro, in sostanza ciò che
correntemente si definisce «Impresa socialmente responsabile (Csr)», termine che
preferisco a quello di «impresa etica», un
po’ apodittico.
Negli ultimi anni si è inoltre molto alzata
l’attenzione alla filiera di fornitura
ed ai diritti dei lavoratori dei
subfornitori o appaltatari,
giovandosi di ong ed organizzazioni sindacali operanti nei paesi di origine.
Dopo aver creato portafogli sottoposti a questi severi esami, che limitano ov-
Torniamo al «Pecunia non olet». Perché, se
da anni sono presenti anche in Italia queste
proposte di finanza sostenibile al servizio
delle imprese socialmente responsabili, ong
ed ordini religiosi del calibro di quelli che
ho in quella sede citato vanno ancora in cerca di capitani di ventura, di «gentiluomini
di fortuna», come chiamavano una volta i
pirati? Perché il miraggio di maggiori profitti
fa perdere di vista non solo ogni prudenza,
ma anche ogni considerazione morale sull’uso dei propri soldi? Un altro detto latino
recita: «Pecunia. Si uti scis, ancilla. Si nescis, domina». Il denaro, se sai usarlo è il
tuo servo, se no è il tuo padrone.
Poi succede che qualche volta, come nei
casi citati, ci si lasciano i ditini o magari anche tutta la mano, poiché è vecchia regola
che la promessa di abbondanti guadagni
può essere la premessa di sonore perdite.
Come bibliografia basta Pinocchio.
Ma anche se va bene, mentre l’economo o
il tesoriere di turno assapora con gli occhi
lucidi i numeri che sembrano surgelati nel
frigido estratto conto, non vede quelle cifre
ballare senza allegria? Non si chiede da dove vengono quei profitti, se da sofferenze,
devastazioni, sfruttamenti, rapine di futuro?
Non ne ha il tempo, è ora di andare a recitar
Compieta. nnn
1
Si tratta di un’esperienza che conosco, avendo fatto
parte per dodici anni, anche in veste di presidente,
del C.E. di Etica Sgr (Gruppo Banca Popolare Etica),
primo ed unico gestore italiano a progettare e offrire
solo fondi etici.
2
In Etica Sgr avevamo escluso, se non per casi attentamente valutati, la finanza, i petroliferi, i minerari.
maggio 2015 | cem mondialità | 5
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 6
ascu
ola
eoltre
bambine e bambini
sebi trovato
[email protected]
Ogni lettera viene indirizzata a «Caro me tra dieci anni» con l’intento di ricordare al giovane
la sua infanzia, che avrà voluto/dovuto negare per poter crescere.
«Time capsule»
Ritorno al futuro
munione in quarta ed il Natale della quinta. Tutti sanno
usare, comunque, lo smartphone dei genitori meglio di
quanto non sappiano fare gli
adulti.
Regali tecnologici
uando, con i miei
alunni, arriviamo alla quinta, lancio
l’idea di costruire una time
capsule tipo quelle di Andy
Warhol. Ogni bambino, al
posto del classico tema, scrive
lettere a se stesso adulto, poi,
a fine anno, tutti i fogli, raccolti in un libro, vengono impacchettati come un vero
pacco postale, legati con spago e sigillo in ceralacca e consegnati ai genitori con la preghiera di conservarlo in luogo
sicuro: verrà aperto quando i
ragazzi avranno vent’anni, infatti ogni lettera viene indirizzata a Caro me tra dieci
anni con l’intento di ricordare
al giovane la sua infanzia, che
avrà voluto/dovuto negare
per poter crescere.
Partiamo da una descrizione
di se stessi, dei gusti, dei sogni, dei desideri; aggiungiamo il racconto di un viaggio,
descriviamo le avventure in
mensa, i giochi con gli amici
e tutto quanto può fotografare i loro dieci anni. Poi arriva
il momento di raccontare al
Caro me le avventure con la
tecnologia:
smartphone,
Q
6 | cem mondialità | maggio 2015
ipad, ipod, computer e questo, posso assicurarvelo, è il
tema più ispirato che io abbia
mai letto in tutto l’anno. Tutti
posseggono un oggetto tecnologico, perché la deadline
tra non possesso/possesso è
ormai situata tra la Prima Co-
Non so se si può più chiamarlo cambiamento generazionale, ma direi di cicli scolastici: i miei alunni di quinta
di cinque anni fa avevano ri-
Lancio l’idea
di costruire una
«time capsule»:
ogni bambino, al
posto del classico
tema, scrive
lettere a se stesso
adulto
cevuto, in pochi, uno smart
phone per la Cresima, a 1213 anni, e non tutti possedevano un pc a casa; l’uso del
tablet era pressoché sconosciuto e non compariva tra i
doni, al massimo l’ipod per
foto e canzoni o il lettore
mp3. Se torno indietro di dieci anni, i miei alunni di quinta
avevano ricevuto fotocamere
digitali, qualcuno un pc, finalmente, un desktop e quel
voluminoso schermo. Trovo
significativo che una tappa
del cammino religioso sia collegata con un regalo tecnologico, ma l’abbassamento
della deadline è materia interessante da studiare. Un
personaggio che scrive su
questa rivista e che frequento
molto assiduamente per ovvi
motivi, usa dire che il libro
che i ragazzi di 18 anni studiano con il maggior impegno è il manuale di teoria per
prendere la patente; io, nel
mio piccolo, potrei proporvi
un’affermazione simile: la miglior descrizione che abbia
letto dai miei scolari è stata
quella del loro secondo me,
inteso come altro me, come
lo ha definito una mia bimba.
ascu
ola
eoltre
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 7
bambine e bambini
Nonostante tutto l’impegno
di cinque anni a fargli descrivere quadri strampalati, personaggi comici, i loro Vip preferiti, tutto pur di insegnargli
a seguire un algoritmo logico
in una descrizione, ottenevo
risultati a malapena accettabili obtorto collo... ma stavolta hanno descritto la loro
protesi tecnologica ed io ho
gridato vittoria: sapevano tutti descrivere, persino in modo
entusiasmante per il lettore.
Ritorno al futuro
Maschi e femmine, entrambi
con la stessa competenza,
partono dalla forma, poi,
dall’alto verso il basso, illustrano i tasti e le loro funzioni, l’home, le app; Siri per chi
ha l’iphone o usa quello dei
familiari. Scrivono queste cose al Caro me, dicendosi consapevoli che fra dieci anni la
tecnologia sarà molto più
avanzata, per cui spiegano
con dovizia i particolari, sicuri
che fra dieci anni il loro sé
non crederà possibile che esistessero oggetti siffatti, o li
avrà dimenticati. Le femmine,
a differenza dei maschi, citano le loro cover (ne possiedono moltissime, come vestiti
per le Barbie: leopardate, con
i brillantini, i lustrini, a forma
di animale, o di borsetta e ne
vanno fiere come le loro
mamme lo erano per il vestito
nuovo della bambola Mattel).
Ai maschi la cover interessa
solo perché protegge un oggetto delicato che cade spesso. Poi si passa all’uso.
Problemi matematici
Accomunano maschi e femmine l’intenzione di
fare impazzire Siri con domande esasperanti e la
navigazione su Instagram, per seguire
conoscenti, e su youtube per i video ufficiali
delle canzoni: sorprendentemente, prediligono
gruppi anglosassoni, cercano i video con le
parole e le imparano; ne sanno molto sulla
comodità del wifi vs la navigazione in 3G, che
pone il problema dei costi, perciò qualcuno fa
proprio bene i conti e controlla quanto ancora
può collegarsi lungo il mese (w la matematica). I
maschi hanno poi una passione smodata per I
Pontellas, i Guccy boy o FavJ, ragazzini che
hanno un canale su youtube e postano i loro
video al limite tra lo scherzoso e l’irriverente.
Altro fatto che mi ha sorpresa: sono consapevoli
di quanti gigabyte abbia il loro telefono alla
consegna, poi sottraggono quanti gb occupano
le app preinstallate, quindi scelgono con cautela
quelle che vogliono scaricare, in modo da non
rischiare di rimanere senza GB, cosa che ti
impalla il telefono e sei finito. Voi a questa cosa
avete mai pensato? Sarebbe da suggerire a chi
scrive i libri di testo di matematica: aggiornate i
problemi!
Effetti speciali
Maschi e
femmine, con
la stessa
frequenza,
amano
girare filmati
che poi
modificano
con
applicazioni
che citano
con sicurezza
Maschi e femmine amano girare filmati che poi modificano
con applicazioni che citano
con sicurezza, ma i loro prodotti denotano la seconda differenza di genere: le bambine
si riuniscono e creano storie
con personaggi che recitano
come in un film, poi aggiungono la musica; i maschi, invece, hanno un approccio legato agli oggetti: c’è chi riprende una goccia d’acqua
che cade nel lavandino e poi
applica la moviola e la rallenta
in modo da seguirne il percorso fino all’esplosione in mille piccole goccioline. Un altro
prende un ramo e toglie le foglie, poi riguarda l’operazione
al rallentatore: pare sia molto
gratificante. Entrambi i generi
usano il time lapse e velocizzano i loro video ottenendo
un effetto comico, ma sono
critici, perché si perde l’audio
e a loro non piace. Sono appassionati di Dubsmash: fanno un video in cui pronunciano la frase famosa di un
Vip e poi l’applicazione aggiunge la voce del personaggio scelto.
Differenze di genere
Maschi e femmine sono soliti
farsi i selfie, ma usano apps
per deformare le foto: da Retrica per dare effetti speciali
a Booth Fat che ti ingrassa, a
Aging Booth per invecchiarsi
di trent’anni. Di solito le uniscono e ci aggiungono una
musica di sottofondo: dei filmaker professionisti!
La grande differenza di genere sta nella messaggistica:
le femmine chattano soprattutto con Viber, ritenendola
erroneamente una chat privata, mentre i maschi non ne
vogliono sapere e giocano a
Clash of Clans, Minecraft, Fifa
15. Tutti hanno regole per
l’uso che vanno da trenta minuti ad un’ora e trenta al
giorno e ammettono di sforare quasi sempre, ma la
maggior parte dei genitori è
stata chiara sul fatto che si
deve fare anche altro; che
non si deve prendere in giro
nessuno via web; che non si
inviano foto di se stessi, né
video, che non si può avere
un profilo Facebook o su Instagram; che se c’è qualcuno
senza telefono, lo si mette via
per non escluderlo. Cambiano i tempi anche delle normative: chi di voi ha mai ricevuto simili regole? nnn
maggio 2015 | cem mondialità | 7
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 8
ascu
ola
eoltre
ragazze e ragazzi
sara ferrari
[email protected]
In quei luoghi di morte abbiamo spezzato il pane della Pace, lo abbiamo mangiato come fratelli,
condividendolo con tutti.
Il valore del fango
Meeting di Pace nelle trincee
della Grande Guerra
Un laboratorio a cielo
aperto per tentare quantomeno riflettendoci a ripudiarla la guerra, come
suggerisce peraltro un
bistrattato articolo della
nostra Costituzione.
Emanuele Giordana,
Articolo 221
ino a poco prima di
scendere dal pullman
della gita, pensavo che
mi sarei trovata genitori sulla
porta di scuola a darmi della
disgraziata per aver portato i
loro pargoli nella trincea del
Brestovec con pioggia, bora
e temperature da fine inverno, così, quando poco prima
dell’arrivo ho intervistato i ragazzi per raccogliere a caldo
le loro impressioni sulle giornate appena trascorse, non
mi sarei aspettata certe loro
riflessioni. Perciò ho deciso
con entusiasmo di condividerle coi lettori e gli amici del
CEM, perché per una volta
nella mia vita il fango ha assunto un valore estremamen-
F
8 | cem mondialità | maggio 2015
te positivo, tanto da farmi dire: «Ce ne vorrebbe di fango
per tenere uomini e donne
coi piedi per terra, ce ne vorrebbe di vento così forte per
far volare in alto i loro pensieri
e spazzare via le parole violente!».
Alberto, Lucia, Simona e Stefania hanno lavorato con me
in questa ultima avventura
pacifica, accompagnavamo
la mia 3a e la pluriclasse di
Varsi. La quasi-conclusione
del 2° anno del progetto «La
mia scuola per la Pace»2 si
svolgeva a Udine, prima in
città e poi nelle trincee del
Friuli (e della Slovenia). Questi
che seguono sono i loro pensieri, mescolati, uniti e pieni
di sorpresa: la mia. Grazie ragazze e ragazzi!
Camminare
e calpestare
quei passi
fangosi,
sapere che lì
ci si moriva,
mi ha fatto
percepire un
po’ di quella
sofferenza
Tanti modi per intendere
la Guerra e la Pace
17 aprile - Udine
Laboratori di Guerra e di Pace
per circa 240 ragazzi: solo a
Udine mi sono accorta che
avevamo lavorato a lungo
sulla pace, c’erano molte
scuole, eravamo tantissimi ed
è stata una cosa bellissima
per me, significa che siamo
in tanti a voler la Pace. Ho
conosciuto molte persone
che hanno lavorato a questo
progetto, non immaginavo
fossero così tante, avevano
storie da raccontare, non solo
della Grande Guerra, ma anche delle guerre di oggi, di
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 9
ragazze e ragazzi
cui si parla troppo poco. Tutti
insieme, marciando per le vie
bellissime e tra la gentile gente friulana, fin nella piazza
del Castello e poi nel Duomo,
ci siamo sentiti meno piccoli,
pronti a dare un segnale buono, ricco e fraterno. Questa
è stata una vera e autentica
esperienza di Pace che ci ha
riuniti, eravamo lì per un messaggio rivolto a tutti: fatichiamo per la pace e non per la
guerra, noi per primi, impegniamoci.
In trincea la pioggia
è stata un bene
Se ci fosse stato il sole non avremmo
capito, la pioggia è stata un bene, siamo
stati fortunati, col sole sarebbe stata una
passeggiata; abbiamo percorso le trincee
per un’ora sola, ma il tempo ci ha messi in
difficoltà: il vento tentava di strapparci le
bandiere (della Pace, dell’UE…) e il freddo ci
rattrappiva le dita, nonostante gli ombrelli,
gli impermeabili e gli scarponi; pensavo che
100 anni fa c’era molto più fango di quello
che stavamo calpestando noi, c’era la neve,
c’erano le bombe, il tempo non passava.
Siccome ci credevamo in quello che
stavamo facendo, non ci siamo fatti
fermare, marciavamo anche per i ragazzi
che hanno perso la vita per quella guerra, a
«Voliamo» la Pace
Abbiamo condiviso i lavori
preparati durante l’anno,
ogni scuola ha affrontato in
modo diverso le idee sulla Pace e sulla Guerra: musica,
canzoni, poesie, letture, mimi, disegni, tutti hanno esposto con passione, e spuntava
sempre la Pace alla fine, nascosta nelle pieghe della
Guerra. Purtroppo non tutti
si sono mostrati interessati a
partecipare alle attività proposte in mattinata e questo
mi ha delusa, ci eravamo davvero impegnati per lavorare
con quei ragazzi di tutta Italia, alla fine ho detto: «Pace!
Si sono persi una buona occasione…», ho capito che la
pace è faticosa e non basta
pronunciare la parola per tenerci uniti.
A scuola si studiano le dichiarazioni di Guerra e i trattati di
Pace, qui in trincea invece ci
siamo impegnati con la dichiarazione di Pace, sempre qui
abbiamo letto questa frase e
abbiamo davvero volato in alto: «1917 voliamo la pace».
«Noi, giunti sui luoghi dove
cento anni fa centinaia di migliaia di persone persero la
vita in scontri fratricidi, determinati a sradicare la Guerra dal nostro secolo, dichiariamo la pace all’Europa e al
mondo.Consapevoli delle violenze in corso e delle minacce
che incombono, ci impegniamo a far venire meno ogni
causa di Guerra durante la
nostra vita e ad essere attivamente costruttori di Pace promuovendo il rispetto di ogni
essere umano nei suoi diritti
e la sua identità, e eliminando
quelli che muoiono anche oggi. Abbiamo
rifatto la storia. È diverso studiare sui libri,
non ci restituiscono la storia dei piccoli
uomini, qui invece tutti noi ci si è
immedesimati in quei soldati, sulla mia
pelle ho fatto l’esperienza di come si viveva
in trincea, stretta, angusta. Camminare e
calpestare quei passi fangosi, sapere che lì
ci si moriva, mi ha fatto percepire un po’ di
quella sofferenza. Nonostante il freddo
c’era calore e non ho altre parole per
spiegarlo; nel percorso semibuio nella
cannoniera ci si è presi per mano, immersi
in una forte emozione, tra parole, note,
prendersi per mano vale più di mille parole,
è un muto gesto di fratellanza.
Questa marcia in trincea è stata la più
significativa, perché in quei luoghi di morte
abbiamo spezzato il pane della Pace, lo
abbiamo mangiato come fratelli,
condividendolo con tutti.
ogni tipo di ingiustizia. Rifiutiamo la concorrenza tra esseri umani e tra paesi, e scegliamo la via della cooperazione tra tutti, della solidarietà e dell’aiuto mutuo in
ogni campo.
Avendo preso coscienza che,
vivendo in un mondo di risorse naturali limitate, con una
popolazione quadruplicata sin
dall’inizio della grande guerra
e triplicata sin dalla fine della
seconda guerra mondiale, siamo ormai tutti interdipendenti, decidiamo di gestire con
saggezza e equità queste risorse così come il prodotto
del lavoro umano a beneficio
di tutti a ciascuno, traducendo
nei fatti la dichiarazione universale dei diritti umani.
Rinunciamo alla violenza come mezzo per risolvere i conflitti tra individui e tra popolazioni. Ci consideriamo responsabili gli uni degli altri e
cercheremo di proteggere chi
è vittima o minacciato di abu-
Diritto alla Pace
Tra breve il Consiglio dell’Onu
per i diritti umani dovrebbe
discutere del progetto di
inserire tra i diritti
fondamentali dell’uomo quello
alla Pace, dovrà vagliare anche
questo appello da Udine, cito
solo un breve passo della
proposta che giungerà a
Ginevra: «Chiediamo il
riconoscimento internazionale
del diritto alla Pace perché:
siamo convinti che la pace è
pre-condizione per il
godimento di tutti i diritti della
persona e dei popoli».
so o di violenza dovunque esso accada. Per scrivere una
nuova pagina nella storia, invitiamo tutti a firmare la dichiarazione di Pace e a impegnarsi con noi a ri-unire la famiglia umana». nnn
1
Cfr. www.lettera22.it/showart.php?id
=13046&rubrica=53. Per video e foto:
#quisifalastoria #quisifalapace
2
Cfr. www.lamiascuolaperlapace.it
maggio 2015 | cem mondialità | 9
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 10
ascu
ola
eoltre
generazione y
stefano curci
[email protected]
Il predominio del personale insegnante femminile impedisce ai maschi l’identificazione con una
figura maschile, «e soprattutto impedisce lo sviluppo del tipo di pensiero maschile, rivolto alla
profondità e all’analisi in modo molto diverso da quello femminile». (Ida Magli)
L’insegnamento femminile
è diventato un problema?
ul quotidiano Il Giornale
del 27 febbraio scorso,
l’antropologa Ida Magli
ha scritto un articolo provocatorio (Troppe donne in cattedra. Così la scuola va a picco, p. 12) in cui indica la prevalenza delle insegnanti donne nella scuola italiana come
un problema. Secondo l’autrice, l’allontanamento dei
maschi dall’educazione e dal
sapere dei figli rientra in un
quadro più generale di incapacità creativa della società
italiana, e si lega alla ribellione
dei maschi al predominio delle donne che essi scontano
dalla nascita fino alla fine della
scuola secondaria superiore.
L’idea è che nei nidi e negli
asili prima, poi per tutto il ciclo scolastico, il predominio
del personale insegnante
femminile impedirebbe ai
maschi l’identificazione con
una figura maschile, «e soprattutto impedisce lo sviluppo del tipo di pensiero maschile, rivolto alla profondità
e all’analisi in modo molto
diverso da quello femminile».
Fin qui la Magli parla di un
dato statistico che si presenta
S
10 | cem mondialità | maggio 2015
Una cosa
pensata da un
uomo può
essere intesa e
riportata in
modo fedele
da una
donna?
da sé, e accenna ad una distinzione tra pensiero maschile e pensiero femminile
che forse andrebbe approfondita meglio, soprattutto
per la sua declinazione nell’ambito dell’insegnamento
scolastico.
Se una cosa è pensata
da un uomo
Dove diventa più difficile seguire l’autrice è il passo in cui
indica come «aspetto più grave di una scuola affidata quasi del tutto alle donne» il fatto
che gli allievi non dovrebbero
apprezzare il sapere perché
«tutto quello che le donne insegnano non è stato né creato né scoperto da loro». Come se il fatto che Socrate,
Omero, Virgilio, Galileo (per
citare alcuni dei nomi riportati
nell’articolo) erano maschi
impedisse alle professoresse
di riportarne fedelmente il
pensiero! Ricordo di aver sentito l’idea che si possa fare
scienza solo di ciò che si crea
già nel pensiero di Giovambattista Vico, ma in quel caso
l’apparente astruseria dell’idea era giustificata dal desiderio di proporre la storia
come «scienza nuova» da opporre al successo del razionalismo cartesiano e del materialismo meccanicistico…
non entro nel merito di valutare questo presupposto teorico in sé, ma mi chiedo semplicemente: considerato che
- salvo le eccezioni - la gran
parte di noi docenti è impegnata a rendere comprensibili
i pensieri complessi a classi
sempre più distratte e disabituate a rapportarsi con teorie difficili, non è troppo
astratto rispetto alle reali condizioni della scuola chiedersi
se una cosa pensata da un
uomo possa essere intesa e
riportata in modo fedele da
una donna?
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 11
generazione y
Se le studentesse
sono più brave
degli studenti
Proseguendo nella lettura
dell’articolo, emerge un altro
punto interessante: le statistiche
dicono che le studentesse sono più
brave degli studenti. Questo dato
sarebbe una prova che insegnanti
donne forniscono un
insegnamento più adatto alle
menti femminili che a quelle
maschili. La mia esperienza di
docente mi porta a dissentire
rispetto a questo legame, anche se,
giocando a fare la top ten storica
dei miei allievi migliori, riconosco
che metterei 7 studentesse nelle
prime 10 posizioni. Non sono un
pedagogista o un esperto dei
processi di apprendimento, ma
noto che le studentesse più brave
lo sono sia nelle materie con
professori sia in quelle con
professoresse. Penso che la
maggior bravura delle ragazze
vada legata ad una maturità
differente rispetto ai ragazzi, che
spesso in età adolescenziale
mostrano un ritardo di
responsabilizzazione rispetto alle
coetanee. Infatti una conferma, per
la mia esperienza, è rappresentata
dal fatto che i maggiori problemi
disciplinari a scuola vengono dai
maschi (forse la Magli
spiegherebbe questo dato
ricorrendo al fatto che gli studenti
si ribellano alle insegnanti perché
queste non sanno comunicare con
loro?).
Cicli di lezioni televisive
con i maggiori specialisti
del mondo
L’articolo si conclude con un attacco
alla riforma della scuola proposta dal
governo Renzi come un’idea vecchia
di scuola, e lancia una proposta:
«proiettare cicli di lezioni televisive
preparate da una società ad hoc con
i maggiori specialisti del mondo nelle
singole discipline. Non ci sarebbero
più le logore ripetizioni di insegnanti
che per trenta o quarant’anni parlano
sempre delle stesse cose, ma i più
grandi storici, i più grandi matematici, i più grandi architetti, i più grandi
musicisti d’Italia e del mondo esporrebbero con la semplicità e la chiarezza che contraddistinguono coloro
che sono assolutamente padroni di
ciò che dicono, i diversi cicli di lezioni,
di cui la società di edizione curerebbe
la traduzione nella lingua italiana per
quanto riguarda gli specialisti stranieri». La proposta stimola riflessioni:
anzitutto sembra una via di mezzo
tra la classica lezione frontale e la
scuola tecnologica tanto di moda.
Ma perché un docente che parla
sempre delle stesse cose dovrebbe
essere più noioso di un grande esper-
ascu
ola
eoltre
La bravura di un
insegnante sta nella
capacità di mediare
la profondità dei
contenuti con una
semplicità didattica
che li renda
accessibili alla classe
to? Chi scrive questo, ha mai visto i
video di Gadamer che spiega la storia
della filosofia (fantastici per lo specialista, ma inutilizzabili per uno studente)? O le lezioni del Consorzio
Nettuno a notte fonda in televisione?
La bravura di un insegnante sta nella
capacità di mediare la profondità dei
contenuti con una semplicità didattica che li renda accessibili alla classe.
Nel mio campo, ho conosciuto filosofi profondissimi incapaci di semplificare il loro sapere in modo comunicabile didatticamente. E non mi
sembra carino nei confronti dei docenti italiani sottolineare che questi
grandi esperti sono «assolutamente
padroni di ciò che dicono»…
Gli studenti apprezzano
ancora una lezione frontale
ben fatta
Mi sembra riduttivo il ruolo degli insegnanti secondo la proposta dell’autrice, che sarebbe quello di assistere insieme agli studenti alle lezioni
televisive e poi discuterle e spiegarle.
Per esperienza so che, quando si
spengono le luci per assistere ad una
proiezione, molti studenti approfittano per rilassarsi o per disturbare.
Ed anche studenti molto bravi mi
hanno dimostrato di non saper concepire un filmato come equivalente
alla lezione del professore di cattedra,
ma di vederlo come un diversivo meno importante. Perché la verità che
sconvolgerebbe molti teorici e innovatori è che gli studenti apprezzano
ancora una lezione frontale ben fatta! Certo, nella prospettiva dell’autrice la scuola sarebbe ricca finalmente di figure maschili: ma non mi sembra che questo presunto vantaggio
varrebbe il prezzo. nnn
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 12
ascu
ola
eoltre
in cerca di futuro
aluisi tosolini
[email protected]
Il volume cerca di approfondire il valore pedagogico interculturale di alcune pratiche condivise
dai preadolescenti di oggi in contesti caratterizzati da alta presenza migratoria.
Seconde generazioni
e nuove tecnologie
e edizioni ETS di Pisa
hanno dato alle stampe
la ricerca che Luisa Zinant ha svolto per il dottorato
in comunicazione multimediale all’Università di Udine.
Il volume, partendo da
un’analisi di alcuni fra gli elementi insiti alla complessità
contemporanea, cerca di approfondire il valore pedagogico interculturale di alcune
pratiche condivise dai preadolescenti di oggi in contesti
caratterizzati da alta presenza
migratoria, per poterle poi inserire in maniera pedagogicamente orientata all’interno
della prassi educativa quotidiana, parimenti in ambito
formale e non formale.
La prima parte del volume delinea il quadro di riferimento
teorico e pedagogico, mentre
la seconda presenta l’analisi
e la valutazione dei dati emersi dalla ricerca sul campo.
L
Questi, in estrema
sintesi, gli esiti:
Le nuove tecnologie facilitano
i processi d’interazione dei
giovani di origine non italiana
in quanto permettono di va12 | cem mondialità | maggio 2015
Dal volume
esce
un’immagine
nuova degli
adolescenti,
siano essi
italiani o figli
di immigrati,
ma resi
sempre più
simili
dal vivere
medesime
pratiche
con i
new media
lorizzare contemporaneamente sia gli aspetti relativi
ai precedenti vissuti sia le
aspirazioni, le rappresentazioni e le esperienze relative
al nuovo contesto.
Per i ragazzi di oggi, figli di
immigrati e non, i new media
rappresentano risorse simboliche con cui conferire senso
ai propri mondi sociali in cui
gli stessi media sono spesso
chiave di accesso per entrare
nel mondo dei pari.
Le nuove tecnologie offrono
risorse utili all’adattamento
Per saperne di più
L. Zinant, Seconde generazioni
e nuove tecnologie.
Una ricerca pedagogica,
Edizioni ETS, Pisa 2014
perché assumono la funzione
di agenti di socializzazione,
di rifugio emotivo, di alternativa alla comunicazione
con i pari autoctoni, di strumento di trasmissione culturale intergenerazionale e un
luogo in cui poter esplorare
diversi aspetti per la formazione di nuove identità.
Grazie ai social network i giovani de-costruiscono, mescolano, riformulano le loro stesse identità fondendole così alle pratiche dei loro coetanei.
I new media si configurano
così come uno dei linguaggi
accomunanti dei nuovi linguaggi degli italiani di oggi
(di qualsiasi provenienza essi
siano) e quindi in grado di divenire possibili promotori della loro positiva interazione.
I new media posso così essere
considerati come uno tra i vari ausili in grado di valorizzare
le dinamiche interculturali
presenti nella pluralità dei
contesti educativi contemporanei. Essi rivestono un ruolo
cruciale nel facilitare la comunicazione tra migranti e
cultura locale e sostenere
connessioni transazionali,
creando opportunità, specialmente per i giovani, di espressione di sé e di dialogo globale mai concepite in precedenza.
Una ricerca di grande interesse di cui il volume (seppure
a volte appesantito dall’eccesso di notazioni intratestuali) dà ragione, discutendo anche la pluralità di strumenti
utilizzati nella «multiricerca»
effettuata nel nordest.
Ne esce un’immagine nuova
(e pedagogicamente molto
ricca ed attraente) degli adolescenti, siano essi italiani o
figli di immigrati, ma resi
sempre più simili dal vivere
medesime pratiche con i new
media. nnn
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 13
ascu
ola
eoltre
mumble mumble
chiara colombo | fiorenzo ferrari
[email protected]
A Verbania abbiamo proposto ai bambini della scuola primaria «Bachelet» un laboratorio
che si è sviluppato in quattro momenti.
In viaggio
con Marco Aurelio
SECONDA PARTE
urante il dialogo, abbiamo chiesto ai
bambini che cosa fossero quei debiti di riconoscenza elencati da Marco Aurelio1.
Per loro, un debito di riconoscenza è qualcosa che gli altri
ci hanno insegnato, oppure
qualcosa che ci hanno mostrato con l’esempio. Abbiamo quindi chiesto a ogni
bambino di sdraiarsi su un
grande foglio, per ricalcare la
propria sagoma. Tracciata la
sagoma bisognava riempirla,
darle spessore, inserirvi insomma i propri debiti di ricono-
D
scenza. Per farlo, i bambini
potevano usare qualunque
tecnica artistica e anche incollare oggetti o fotografie
che descrivessero i vari debiti.
Vicino a ciascun debito hanno
poi indicato il nome del creditore. È difficile a parole restituire la bellezza e la ricchezza di queste grandi sagome
colorate piene di acquisizioni
positive che i bambini hanno
avuto dalle persone importanti della loro vita e per le
quali, appunto, sono riconoscenti. Ci proviamo, scegliendone solo una manciata.
I bambini sono riconoscenti
perché, grazie agli altri, sanno
fare qualcosa di pratico, di
concreto.
z Andrea, dalla nonna:
cucinare l’uovo fritto.
z Lara, dalla zia: suonare
il pianoforte.
I bambini sono riconoscenti
perché, grazie agli altri, sanno
comportarsi in un certo modo. È quello che in filosofia
ha a che fare con la virtù.
z Luca, dal papà: sapere
quando intervenire nelle
situazioni della mia vita.
z Matteo, dagli amici:
capire che rispettare le
regole è giusto.
È molto interessare sentire
perché i bambini sono riconoscenti di ciò che hanno
avuto dagli altri.
z Emma, dalla mia migliore
amica Khady: costruire ed
aggiustare gli oggetti, perché
così si possono riutilizzare e
sembrano nuovi.
z Samira, da mio zio:
fischiare, perché, siccome è
lontano, è un modo per
sentirlo vicino.
Queste sagome sono diventate una sorta di alter ego per
i bambini che, via via, disegnavano i debiti di riconoscenza. Un alter ego come è
diventato Amadeu de Prado
nel Treno di notte per Lisbona,
che abbiamo proposto nel
precedente articolo, via via
che il protagonista Gregorius
traduceva dal portoghese.
Ma come fanno gli altri a donarci qualcosa? A darci qualcosa per cui siamo loro riconoscenti?
z Kevin, da due miei
compagni: essere ordinato,
perché loro quando mi
spostavo dal banco me lo
riordinavano sempre.
z Francesca, da mamma e
papà: pettinarmi i capelli da
sola. Da papà perché è un
parrucchiere e mi ha fatto
vedere come fare visto che
li ho lunghi e da mamma
perché mi ha spiegato che è
una cosa che devo imparare
a fare da sola.
Per i bambini,
un debito di
riconoscenza è
qualcosa che
gli altri ci hanno
insegnato,
oppure
qualcosa che ci
hanno mostrato
con l’esempio
ascu
ola
eoltre
Questo lavoro espressivo, con
le intelligenze multiple, è una
filosofia fatta con le mani, a
cui segue la filosofia fatta con
la testa, ovvero il dialogo. Vogliamo stuzzicarvi con la domanda di partenza posta ai
bambini: se io sono un panino di debiti di riconoscenza,
resta qualcosa di me tolti tutti
gli strati?
Concludiamo con la verifica,
come durante il laboratorio.
Niente paura, vi chiediamo
semplicemente, come chiediamo ai bambini: c’è qualcosa che vi ha stupito?
Se volete potete scriverlo a
[email protected]
1
Per uno sguardo critico sull’imperatore
filosofo: A. Fraschetti, Marco Aurelio.
La miseria della filosofia, Laterza, Roma-Bari 2008.
maggio 2015 | cem mondialità | 13
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 14
ascu
ola
eoltre
educazione degli adulti
rita roberto
[email protected]
La gestazione è detta anche «stato interessante» forse perché succedono
cose meravigliose all’interno di quella pancia che cresce e nel suo mistero si rinnovano
i sogni di generazioni.
Esserci nel tempo
dell’attesa
ncora una volta
prendo insegnamento dalla gestazione
per parlare della generatività
nel tempo dell’attesa. La gestazione è il paradigma del
tempo sacro e necessario per
concepire un figlio e portarlo
alla luce ma è anche metafora
del tempo necessario per
concepire un sogno, un progetto e portarli a compimento. È detta anche «stato interessante» forse perché succedono cose meravigliose all’interno di quella pancia che
cresce e nel suo mistero si
rinnovano i sogni di generazioni. Come in una partitura
musicale, la generatività si
manifesta in quattro tempi:
desiderare, mettere al mondo, prendersi cura e lasciar
andare. Questo vale anche
per le scelte umane, che richiedono un tempo di gestazione, perché un progetto
A
ascu
ola
eoltre
14 | cem mondialità | maggio 2015
che ci sta a cuore arrivi a vedere la luce. A riprova che la
gestazione è un tempo sacro
ed iniziatico c’è il labirinto
unicursale, primo fra tutti
quello di Chartres, le cui pietre bianche e nere, che delineano il cammino, sono 274
pari al numero dei giorni della
gravidanza umana. Dalla sua
origine il labirinto è lì a ricordarci questo insegnamento,
ed è stato percorso a piedi
nudi o in ginocchio da migliaia di pellegrini con l’intento di arrivare al centro, in
Saper
aspettare,
rinunciando
ad alcune
cose amate,
per un
obiettivo più
alto, fare
il possibile
perché
gravidanza
e parto
si svolgano in
modo
ottimale,
insegna
il valore
della scelta
«Terra Santa» per rinascere a
vita nuova. Un tempo che nei
millenni resta perfetto e forzarlo comporta guai, anche
drammatici.
Il tempo dell’attesa
La riflessione sulla gravidanza
reimpone il tempo dell’attesa,
del progetto, del sogno, del
mistero. Ci induce a riflettere
su quanto conta l’attesa nella
nostra vita, nelle relazioni,
in famiglia, nello studio, nella professione, nell’amore...
Quanto il rallentamento del
fare esteriore è necessario e
direi indispensabile perché
l’interiore possa crescere e svilupparsi? Quanto conta il saper aspettare e il come aspet-
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 15
tare? Spesso abbiamo paura
dell’attesa poiché la vediamo
come assenza e si verifica
quando il tempo è vuoto di
contenuti, di emozioni e relazioni vere, di cura, di riflessione. L’attesa non spaventa
quando è «piena e abitata»,
come nella gravidanza. Abitata dalla riflessione, dalla
meditazione, dalla prudenza:
che non è rinuncia, ma scelta
di alternative più adeguate,
basata sulla capacità di pensare e prevedere le conseguenze del proprio dire e del
proprio fare, prima di agire.
Saper aspettare, rinunciando
anche ad alcune cose amate,
per un obiettivo più alto - fare
il possibile perché gravidanza
e parto si svolgano in modo
ottimale - insegna il valore
della scelta. L’attesa è preparazione ed iniziazione: fisica
ed emotiva, ed incarna
un’idea di libertà come capacità di accogliere, ascoltare,
custodire e poi di donarsi e
rispondere andando oltre in
uno sforzo condiviso che dà
forma al vivere insieme. E, sul
fronte psichico, è fatta anche
di letture che ci aiutino a crescere e pensare, di arte che
ci orienti al bello, di lavoro
cooperativo, nel volontariato
e soprattutto di riflessioni e
conversazioni condivise.
La società
odierna ci porta
a sfuggire e a
negare ogni
tipo d’attesa, il
tempo che
dedichiamo
alla riflessione
ed al silenzio è
da considerarsi
«tempo perso»
Prepararsi
ai cambiamenti
«Kairòs» e «chrónos»
Il tempo dell’attesa può far nascere anche
movimenti che ci rigenerano come soggetti nuovi
e capaci, superando l’individualismo della società
dei consumi ed entrando nella società che genera.
È il tempo giusto e creativo che si muove
all’interno del grembo fisico/ psichico e apre quel
tempo benedetto fatto di luce detto «kairòs», che
ci porta a concepire i nostri migliori progetti e ci
riporta ad un senso sano del tempo, rallentato per
costruire la vita, per cambiare dentro e fuori di noi.
Tempo dell’attesa che si pone in antitesi con
«chrónos», l’oscuro tempo che tutto divora: i
tempi delle relazioni, dell’intimità, dell’amicizia,
della famiglia del lavoro, della contemplazione …
e allora molto resta inesplorato, sconosciuto e
lontano. La società odierna ci porta a sfuggire e a
negare ogni tipo d’attesa, il tempo che dedichiamo
alla riflessione ed al silenzio, condizioni necessarie
per accedere alla dimensione dell’attesa e
ristabilire il contatto ancestrale con essa, è da
considerarsi «tempo perso».
Tutto oggi deve essere ottenuto in fretta e possibilmente
senza sforzo, è così nell’amore e nel lavoro, nell’amicizia
e nella fede. In campo psicologico, sociale, educativo, letterario, oltre che artistico e
religioso, numerose sono le
voci che invocano una rivalutazione dell’attesa, si parla
di «arte dell’attesa», di «luogo
dell’attesa», di «tempo dell’attesa».
Tutte queste voci hanno in
comune l’aver colto il valore
che accompagna la capacità
di attendere cioè il mettersi
in contatto con il proprio sé
profondo, il sentire la dimensione intima dell’attesa che
si traduce in bisogno e mancanza di Qualcuno. La sfida
oggi è tornare ad abitare l’attesa, e i suoi silenzi, non solo
in gravidanza, come un tempo eccellente che scegliamo
di vivere. Per prepararci ai
cambiamenti, per abbandonare ciò che ha fatto il suo
tempo, dentro e fuori di noi,
per ripartire entusiasti e leggeri in una nuova fase della
vita. Ognuno di noi sta aspettando impaziente un domani
migliore. Ma sappiamo prepararlo e prepararci bene,
nell’attesa?
Vi lascio con queste riflessioni
e entro in un periodo di attesa fatto di presenza silente e
creativa. nnn
maggio 2015 | cem mondialità | 15
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 16
ascu
ola
eoltre
saggezza folle
marco valli - osel dorje
[email protected]
Ogni scoperta deve essere messa a sua volta in discussione, deve essere confutata
per diventare la base di ulteriori scoperte.
Educare
o dis-educare?
ccolo lì, tutto soddisfatto che mi vomita addosso una marea di
sentiti dire, di luoghi comuni… sorride convinto di essere un buon studente, uno di
quelli che si interessano e sanno pure qualcosa… Compìta
e seria mi guarda e ripete banalità sulla reincarnazione e
sul Dalai-lama, convinta di dimostrarmi che non è venuta
alla mia conferenza digiuna
di nozioni, non sa quanto i
suoi discorsi raccogliticci mi
stanchino…
Sono solo due esempi fra i
mille possibili sui preconcetti
e sulle pseudoconoscenze
che albergano nella nostra testa e che ci fanno ritenere di
essere esperti, acculturati o
quantomeno non analfabeti
su questo o quell’argomento.
Tutto normale, se non fosse
che sono un educatore e nel
mio ruolo dovrei, in qualche
modo, svolgere un’azione
educativa su queste persone.
Di conseguenza sorge la domanda: come?
Troppo spesso si pensa che
educare consista nell’immettere nozioni, idee, valori nella
E
16 | cem mondialità | maggio 2015
Solo una
mente
aperta, priva
di ogni filtro
interpretativo,
può
apprendere
in modo
creativo
ascu
ola
eoltre
mente del discente, ma io
penso che la prima cosa da
fare sia diseducare, ovvero
decostruire gli stereotipi, facendo piazza pulita dei preconcetti. Solo una mente
aperta, priva di ogni filtro interpretativo, può apprendere
in modo creativo. Suzuki Roshi diceva che nella mente
dell’esperto ci sono poche
possibilità, mentre infinite sono quelle nella mente del
principiante.
Nella funzione educativa dovremmo, come prerequisito,
guidare l’allievo a ritrovare la
propria mente da principiante
liberandolo da tutta la zavor-
ra ideologica ed emotiva, aiutandolo ad aprirsi.
Quando abbiamo appreso un
modo per svolgere una certa
azione, lo ripetiamo ugualmente ogni volta, senza cercare nuove soluzioni, ma con
un meccanismo ripetitivo che
ha ben poco a che fare con
l’intelligenza.
Atisha, un grande filosofo
buddhista, esortava a fare
ogni giorno qualcosa di nuovo o in modo nuovo, cercando di sviluppare continuamente la propria creatività.
Non pretendo che i miei allievi riescano a fare ogni giorno qualcosa di nuovo o in
modo nuovo, ma almeno
una volta alla settimana sarebbe un buon inizio. Prima
di tutto bisogna però comprendere «con la pancia» il
detto di Socrate: «l’unica cosa
che so è di non sapere», giungendo a rendersi conto che
il processo conoscitivo è un
work in progress infinito e
che non si può né si deve mai
ritenersi esperti.
A fronte della domanda «lei
è un esperto di X o Y?», dovremmo rispondere col cuore:
«sono un uomo che cerca!».
Un buon insegnante deve
quindi essere un demolitore
di certezze e di preconcetti,
deve saper spingere gli allievi
in quella terra di nessuno che
è il non-sapere, da cui poi
partire per un’autentica ricerca di significati e di senso.
Ogni scoperta deve poi essere
messa a sua volta in discussione, deve essere confutata
per diventare la base di ulteriori scoperte. San Gregorio
di Nissa diceva che essendo
Dio infinito, per quanto se ne
conosca, vi è un altro infinito
da conoscere. Possiamo dire
(con le debite proporzioni) la
stessa cosa di qualsivoglia argomento, anche perché
avendolo esaurito, possiamo
sempre cercare nuove interpretazioni. Odile Van Deth
(biblista e teologa francese)
mi diceva che più studia la
Bibbia e più si rende conto
delle infinite possibilità che vi
sono insite, e questa è la vera
meraviglia della Vita, può
mostrarsi nuova e stupirci in
ogni momento.
Educare è quindi prima di tutto un dis-educare, un percorso di liberazione che giunge
ad una vera libertà interiore,
che sola può aprirci ad un
percorso di ricerca. Ai miei
studenti spesso cito il koan
zen che dice: «Sali sulla pertica e quando è finita continua a salire», perché questo
è il vero spirito di un ricercatore di verità. nnn
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 17
TROVARE L’ALBA DENTRO L’IMBRUNIRE.
ARTE PASSIONE INTERCULTURA
UN
SORRISO
UN
SILENZIO
PIÙ
IN LÀ
IL CIELO
SPIGOLANDO NEI CAMPI
DEL SIGNORE?
IL DIALOGO INTERRELIGIOSO OGGI
MARCO VALLI - OSEL DORJE
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 18
dossier
ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI
LE TRADIZIONI MONOTEISTE HANNO NEGATO PER
MILLENNI LA PLURALITÀ DELLE VIE, ARROGANDOSI
L’ESCLUSIVA DELLA SALVEZZA, SCREDITANDO O
ADDIRITTURA COMBATTENDO CHI RITENEVA DI
SEGUIRE PERCORSI DIFFERENTI. È CURIOSO CHE
NEL CRISTIANESIMO, AD ESEMPIO, CI SI
DIMENTICHI CHE NEI PRIMI SECOLI LE CHIESE, I
VANGELI, LE TEOLOGIE ERANO NUMEROSE E MOLTO
DIFFERENZIATE E CHE L’AFFERMAZIONE DI UNA
CERTA INTERPRETAZIONE SULLE ALTRE NON NE
CERTIFICA IN ALCUN MODO LA MAGGIORE
VERIDICITÀ, LO STESSO VALE PER LE CORRENTI
DELL’ISLAM E DI TUTTE LE ALTRE TRADIZIONI.
QUALE DIALOGO?
a troppi anni bazzico il cosiddetto dialogo interreligioso, fin da tempi (gli anni ‘70) in cui non era di «moda», anzi era guardato con sospetto (era di quegli anni
un libriccino dell’allora cardinal Ratzinger che negava ogni
possibilità per il cristiano di avvicinarsi alle pratiche meditative
orientali) per non essere un po’ disilluso, nonostante i molti
passi in avanti fatti dalle gerarchie e assai di più dai fedeli e
dai religiosi. Disilluso perché il dialogo, in qualunque forma,
ha come punto fondante la disponibilità di entrambi gli interlocutori a modificare le proprie idee di partenza, senza questa
disponibilità abbiamo un interesse culturale o antropologico
per l’altro, niente di più. Nel 1979 mi trovai a Roma con p.
Bede Griffiths, il continuatore dell’opera e dell’ashram di p.
Henri Le Saux, un benedettino inglese che viveva come un
sannyasin hindu, cercando di essere un monaco a-cosmico,
totale, al di là delle appartenenze. In quella occasione l’abate
generale dei Benedettini (ricordo solo che era tedesco) di
fatto lo cacciò dall’ordine (fu poi accolto dai più aperti Camaldolesi) e ci fu rifiutata un’udienza col Santo Padre.
D
18 | cem mondialità | maggio 2015
Fatti lontani, che forse non potrebbero più accadere, ma che
mi hanno colpito profondamente perché segnavano un chiaro
e rigido rifiuto all’apertura e al dialogo. Tutto cambia, com’è
ovvio, eppure nel dialogo interreligioso molte cose sono rimaste uguali. Ieri come oggi ci si incontra, davanti a pubblici
via via più numerosi, ognuno racconta la propria esperienza,
o cerca di spiegare la propria fede, si risponde a qualche domanda degli intervenuti, foto ricordo e tutti a casa senza che
nulla, nell’uno o nell’altro sia cambiato. Possiamo chiamarlo
dialogo?
Una volta Raimon Panikkar ad Assisi ha usato un’immagine
forte: «togliersi i preservativi culturali e religiosi, prima di
aprirci al dialogo con le altre religioni». Togliersi i preservativi
significa essere disposti ad un incontro vero, rischioso e quindi
potenzialmente fecondo, tenerli significa avere un rapporto
sterile, che non dà nuova vita. Bede Griffiths, sempre sull’onda
di quella metafora, parlava di matrimonio fra oriente e occidente, non di una frettolosa stretta di mano. Questo tipo di
dialogo ovviamente non può essere teologico, perché la teo-
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 19
dossier
SPIGOLANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE?
TUTTO CAMBIA, COM’È OVVIO, EPPURE NEL DIALOGO
INTERRELIGIOSO MOLTE COSE SONO RIMASTE UGUALI.
IERI COME OGGI CI SI INCONTRA, DAVANTI A PUBBLICI
VIA VIA PIÙ NUMEROSI, OGNUNO RACCONTA LA PROPRIA
ESPERIENZA, O CERCA DI SPIEGARE LA PROPRIA FEDE,
SI RISPONDE A QUALCHE DOMANDA DEGLI
INTERVENUTI, FOTO RICORDO E TUTTI A CASA SENZA
CHE NULLA, NELL’UNO O NELL’ALTRO SIA CAMBIATO.
POSSIAMO CHIAMARLO DIALOGO?
logia è un pensare su Dio o sull’Assoluto, e il pensiero è culturalmente determinato, deve quindi partire dall’esperienza,
dalla vita spirituale vissuta, dalla mistica.
L’esperienza mistica che è al di là dei pensieri e delle parole
è il luogo del vero incontro, là dove Simone Weil e Harada
Roshi si riconoscono nell’esperienza della vacuità (ci sono
parole della Weil che sembrano uscire da un testo zen), là
dove Sri Aurobindo e Teilhard de Chardin intuiscono il medesimo concetto di divinizzazione della materia.
Già p. Giovanni Vannucci, negli anni ‘60 e ’70, vedeva l’unitarietà mistica di tutte le tradizioni spirituali e componeva quel
sublime Libro della preghiera universale che era una sorta
di breviario con cui pregare ogni giorno con testi di tutte le
tradizioni, comprese quelle ermetiche ed esoteriche, in totale
apertura e riconoscimento del valore spirituale dell’altro da
sé. Il Buddha diceva che vi sono ottantamila vie per l’illuminazione (intendendo un numero enorme, per l’epoca) il che
significava che non vi può essere una sola via alla verità, ma
che ogni uomo, in fondo, deve trovare/creare la sua.
Le tradizioni monoteiste hanno negato per millenni la pluralità
delle vie, arrogandosi l’esclusiva della salvezza, screditando
o addirittura combattendo chi riteneva di seguire percorsi differenti. È curioso che nel cristianesimo, ad esempio, ci si dimentichi che nei primi secoli le Chiese, i Vangeli, le teologie
erano numerose e molto differenziate e che l’affermazione di
una certa interpretazione sulle altre non ne certifica in alcun
modo la maggiore veridicità, lo stesso vale per le correnti
dell’islam e di tutte le altre tradizioni.
Ora parliamo di certi gruppi (dissidenti?) come di sette (termine dispregiativo), senza ricordarci che anche le attuali
grandi religioni sono nate come sette (o percepite come tali
dalle culture dominanti dell’epoca). Se non si esce da questa
pretesa di esclusività o di superiorità nei confronti delle altre
tradizioni non vi può essere dialogo, al più una sincera curiosità
reciproca, che però non deve
mai metterci in discussione.
Panikkar infatti usava il termine
«dialogo intrareligioso» inteso
come un dialogo che avviene
dentro la persona e le toglie la
maschera di personaggio religioso all’interno di una certa
tradizione… divenendo quindi
un vero itinerario spirituale e
religioso. Questo dialogo interiore, questo incontro/scontro
fra culture diverse ci lascia spesso in una solitudine che può
essere distruttrice o purificatrice, che sicuramente porta al
collo delle nostre «microdossie» per aprirci ad un orizzonte finalmente libero. Il dialogo inizia quando interiorizziamo l’altra
cultura religiosa e lasciamo che cominci a fecondare e a mettere in discussione le nostre presunte certezze. Solo in questo
modo ci può essere un vero andare oltre gli schematismi e
gli arroccamenti dottrinari, solo così possiamo aprirci realmente alle altre religioni.
maggio 2015 | cem mondialità | 19
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 20
dossier
ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI
E IL BATTESIMO?
nno di grazia 1987, Assisi, Cittadella, convegno interreligioso dal titolo «Religioni a confronto», nomi prestigiosi fra i relatori: Panikkar, Balducci,Conio, Harada
Roshi, ecc., e anche, immeritatamente, il sottoscritto. Relazioni
forti e ponderose, svolazzi teologici impegnativi, molta curiosità
fra il pubblico numerosissimo. Il giorno dedicato al buddhismo
vide le relazioni di un monaco theravada birmano, di un lama
tibetano, di un monaco Zen, di mons. Loris Capovilla e alla
fine la mia. Decisi di centrare il mio intervento sul nascente
buddhismo italiano e occidentale e prospettai i pericoli e le
possibilità che questa inculturazione poteva portare, enfatizzai
poi il fatto che i cristiani dovevano imparare a dialogare con
noi «apostati», che avevamo scelto di abbandonare la fede
dei nostri padri per intraprendere nuovi percorsi spirituali e
non tanto con i monaci giapponesi o indiani. Noi eravamo la
pietra di scandalo, loro al massimo una curiosità esotica! Confrontarsi con chi, in piena coscienza e spesso con non poca
sofferenza interiore, aveva scelto di abbandonare la via dei
padri, era la vera sfida. Finito l’intervento cominciarono le domande del pubblico e giunse pure quella che per me che
suonava più o meno così: «ma lei è stato battezzato... come la
A
mette col suo battesimo»? Risposi che se il battesimo è un’iniziazione spirituale io non l’avevo tradito perché avevo realizzato
quell’iniziazione con un percorso differente, avevo continuato
la mia ricerca religiosa anche se sotto altri cieli… Non so se
la mia risposta fu compresa e se venne vissuta come un
artificio retorico o una provocazione, ma era quello che sentivo
e che stavo maturando negli anni.
Se il dialogo deve essere «infrareligioso» come diceva Panikkar,
io ne ero una discreta incarnazione, provenendo da un percorso di ricerca nell’ambito del cristianesimo, con studi, pre-
20 | cem mondialità | maggio 2015
È PIÙ CRISTIANO CHI HA
RICEVUTO TUTTI I
SACRAMENTI E VA A MESSA
TUTTE LE DOMENICHE,
SALVO POI COMPORTARSI
IN MODO DISCUTIBILE
DURANTE LA SETTIMANA,
O INVECE COLUI CHE NON
VA A MESSA,
NON SI ACCOSTA
AI SACRAMENTI MA VIVE
IN SPIRITO EVANGELICO?
POTREMMO DECLINARE
LA STESSA DOMANDA
IN VERSIONE GIUDAICA
O ISLAMICA, CON RISULTATI
ANALOGHI
ghiere, ritiri e addirittura un tentativo monastico, sempre però
con una sensazione di disagio, di mancanza che non riusciva
ad manifestarsi chiaramente1. L’incontro dapprima con l’induismo e poi col buddhismo misero in moto un processo faticoso e sofferto fino a riconoscere la mia incapacità di vivere
una fede in un Dio personale e giungere a trovare risposte e
pace nella pratica buddhista che questa fede non richiede.
Non è facile per chi è cresciuto in un ambito teista ammettere
con se stesso che il dono della fede non gli è stato elargito, ci
si sente indegni, inadeguati, reietti. È un percorso solitario e
impegnativo in cui l’anima occidentale si scontra con quella
orientale in un incontro/scontro devastante, che però può diventare foriero di nuova vita. La prima volta che incontrai Panikkar mi definii buddhista, lui sorrise e disse: «ma anch’io
sono buddhista e anche cristiano e hindu!». Capii molto tempo
dopo cosa intendeva dirmi.
In effetti i rischi dell’incontro tra religioni sono tanti ma i principali sono tre. In primo luogo, l’incontro è solo formale e su-
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 21
dossier
SPIGOLANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE?
perficiale e non provoca alcun cambiamento; secondo, l’incontro porta ad una conversione e ad un cambiamento di religione; terzo, si fa una gran confusione, una zuppa new age
in cui tutte le tradizioni si confondono e si annacquano. Panikkar
indicava un percorso differente, in cui ci convertiamo ad una
ricerca a-cosmica in cui preserviamo in noi la tradizione di
partenza accogliendo al contempo le nuove, lasciandole essere vive e totali in noi. Con il tempo ho imparato a rimanere
totalmente occidentale pur essendo anche totalmente coinvolto
in una spiritualità orientale, ad essere in qualche modo cristiano
(pur senza quella famosa fede) e anche buddhista e nello
stesso tempo essere al di là di ogni appartenenza.
«Se incontri il Buddha uccidilo e se senti parlar di lui passa
oltre» afferma un detto zen, indicandoci che dobbiamo andare
oltre ogni identificazione con una religione, immagine o teologia.
I maestri dello Dzogchen spingono gli allievi a diventare dei
Buddha (illuminati), non dei buddhisti. Nelle tradizioni monoteistiche l’appartenenza e l’ortodossia sono ancora punti fondanti
(di qui la domanda del mio interlocutore sul battesimo), molto
più dell’ortoprassi, e questo è sicuramente un problema.
È più cristiano chi ha ricevuto tutti i sacramenti e va a messa
tutte le domeniche, salvo poi comportarsi in modo discutibile
durante la settimana, o invece colui che non va a messa, non
si accosta ai sacramenti ma vive in spirito evangelico? Potremmo declinare la stessa domanda in versione giudaica o
islamica, con risultati analoghi. Purtroppo anche in ambito
buddhista o hindu (ove non dovrebbero esserci) si creano situazioni similari, con una sfrenata attenzione alle forme e non
ai contenuti.
Un sacerdote mi raccontò anni fa di essere stato mandato in
Africa centrale per guidare gli esercizi spirituali, e gli capitò
di dover predicare un ritiro in un convento di monache di
clausura. Iniziò predicando gli esercizi come d’abitudine, ma
dopo un paio di giorni si rese conto che le monache mostravano segni d’irrequietudine e insofferenza. Non riuscendo a
capire che cosa stesse succedendo, chiese un colloquio con
la badessa e un paio di altre monache che candidamente gli
confessarono che loro non riuscivano a stare ferme così a
lungo e che pregavano molto meglio cantando e ballando
che non nel silenzio e nell’immobilità. Il sacerdote accordò
loro il permesso di comportarsi come preferivano e il ritiro
terminò in gloria fra danze e ritmi di tamburi con grande soddisfazione di tutti. Come mi disse quel sacerdote, egli aveva
imparato cosa significhi inculturare. Non è la forma che conta,
ma la sostanza, ogni via è plausibile, si può contemplare e
pregare in silenzio o danzando, non è un problema. Il cristianesimo, fra le tradizioni monoteistiche, è sicuramente quello
che ha fatto i maggiori passi in avanti nel dialogo, eppure
I RISCHI DELL’INCONTRO TRA RELIGIONI SONO
TANTI MA I PRINCIPALI SONO TRE. IN PRIMO
LUOGO, L’INCONTRO È SOLO FORMALE E
SUPERFICIALE E NON PROVOCA ALCUN
CAMBIAMENTO; SECONDO, L’INCONTRO PORTA AD
UNA CONVERSIONE E AD UN CAMBIAMENTO DI
RELIGIONE; TERZO, SI FA UNA GRAN CONFUSIONE
maggio 2015 | cem mondialità | 21
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 22
dossier
ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI
permane questa vaga sensazioni di arroccamento che ancora
rimanda all’antica (ma mai del tutto negata) concezione «extra
ecclesiam nulla salus». La pretesa che solo in una tradizione
(addirittura in un solo ramo di una tradizione) ci sia la salvezza,
mentre altrove, al più vi è una salvezza incompleta, è qualcosa
di incredibilmente limitante.
Dice p. David Steindl-Rast: «tutte le vie spirituali portano allo
stesso posto, magari in zone differenti, ma sempre della medesima regione». Questo dovrebbe essere lo spirito che ci guida...
allora il battesimo può essere un inizio per una vita spirituale,
comunque la si declini e non un marchio di appartenenza.
O come diceva Bede Griffiths: «Giungiamo così a questa
conclusione paradossale, ma teologicamente confermata,
che non è attraverso la sua professione esteriore di fede che
l’uomo si salva, sia egli cristiano o ebreo, indù, buddhista,
musulmano o agnostico o addirittura ateo, ma attraverso la
sua risposta al richiamo della grazia che gli viene rivolto, segretamente, indipendentemente dal fatto che abbia o no delle
convinzioni religiose».
INTERLUDIO
Il vento fresco fa stormire le foglie delle giovani querce
che ci circondano, più sotto la vallata tappezzata di vigneti
sembra luccicare in questo tramonto magico. P. Cornelio
siede a gambe incrociate su di un masso, io ai sui piedi… silenzio, pace, solo il volo libero delle rondini. La
luce pian piano scema e il crepuscolo avanza. Il vecchio
benedettino e il giovane buddhista si alzano, si inchinano
uno all’altro poi scendono insieme verso l’eremo. Nessuna
parola, nessun pensiero, solo il sorriso di chi sa e tace.
Ci siamo seduti di fronte al Mistero... ma nessuno cercava
di capirlo, ci era bastato contemplarlo insieme.
UN SORRISO
UN SILENZIO
PIÙ IN LÀ
IL CIELO
22 | cem mondialità | maggio 2015
INCONTRI
Ho avute molte fortune nella mia vita e fra le più grandi
annovero l’incontro e l’amicizia con alcuni dei più importanti pionieri del dialogo fra religioni che mi hanno
permesso di assaporare la loro libertà interiore, la grandezza di cuore e la spaziosità di pensiero. Devo ammettere che questi incontri li ho cercati, li ho fatti maturare
e crescere con amore e determinazione, sempre grato
e consapevole del dono che mi veniva fatto. Fin da giovanissimo avevo intuito ciò che poi mi spiegò bene p.
Cornelio Tholens: noi siamo fatti di incontri, con persone,
libri, culture, religioni.
Sono gli incontri che ci temprano, ci mettono in discussione, ci arricchiscono, ed io ho sempre cercato incontri
con uomini di alta spiritualità e saggi di tutte le tradizioni,
facendo mio il proverbio biblico: se incontri un uomo
saggio, fa’ che il tuo piede logori la sua soglia.
Il mio essere un po’ apolide, un po’ cristiano, un po’
buddhista, un po’ junghiano, un po’ comunista mi ha
messo nelle condizioni di avvicinarmi a maestri cristiani,
buddhisti, senza «appartenere» a nessuna di queste
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 23
per un nuovo patto tra le generazioni 1
33
36
a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI
IL DECALOGO
E L’ETICA MONDIALE
A
nche quest’anno siamo arrivati all’ultimo inserto. Come nelle precedenti annate sui temi
delle virtù e dei vizi capitali, offriremo un bilancio «dinamico», che non chiuda il discorso sulle
Dieci Parole, ma che - come farebbe chiunque si proponga di gettare un ponte - lascia una finestra aperta
sul futuro. Abbiamo sottolineato ripetutamente che,
lungo i secoli della modernità,
il Decalogo ha perduto la forza
e l’autorevolezza di cui godeva
in passato. Non vi è dubbio, infatti, che il processo di secolarizzazione abbia provocato un
«depotenziamento» del Decalogo
fino a generare una domanda di
libertà e una sorta di insofferenza verso ogni forma di
autorità, imperativo, comandamento. Forse il momento
più critico per il Decalogo si è verificato negli anni ’60,
quando in tanti paesi dell’Occidente - dall’Europa all’America - c’è stata un’ondata di contestazione antiautoritaria e si è diffusa la mentalità del «vietato vietare».
Nonostante ciò, le Dieci Parole non sono state né cancellate né dimenticate, ma hanno continuato a interrogare e a provocare anche le nuove generazioni.
IL DECALOGO COME «ARCHITRAVE»
DI UN’ETICA PER L’UMANITÀ
Se però vogliamo che i Dieci Comandamenti continuino
a rappresentare anche in futuro una «mappa» per il
cammino storico dell’umanità, allora bisognerà fare in
modo che essi diventino l’architrave dell’etica mondiale
(Welt-Ethos). In questo senso a noi sembra che la scelta
migliore sia quella di riprendere, condividere e rilanciare
il progetto di Hans Küng che rimane, ancora oggi, il
più coraggioso e avanzato.
Nella Dichiarazione per un’etica mondiale, sottoscritta
il 4 settembre 1993 a Chicago (Usa) dal Parlamento
delle religioni, si afferma che «nelle dottrine delle religioni si trova un comune patrimonio di valori fondamentali che costituiscono il fondamento di un’etica
mondiale».
Insieme a questo solenne e significativo riconoscimento
vi è una seconda affermazione che merita di essere
posta in evidenza: «nessun cambiamento in meglio sarà
possibile se prima non si verificherà un mutamento di
coscienza dei singoli». Tale mutamento, a pensarci bene,
non è altro che l’interiorizzazione dei comandamenti
maggio 2015 | cem mondialità | 23
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 24
IL RITORNO DELLA
BARBARIE E LA
DIFFUSIONE DEI GRUPPI
FONDAMENTALISTI STA
PROVOCANDO UN
PROCESSO DI
INVOLUZIONE DELLA
CIVILTÀ E SEGNA UN
CAMPANELLO DI ALLARME
PER TUTTI
nella loro dimensione sociale, ossia rivolta al prossimo:
non uccidere (nonviolenza), non rubare (solidarietà),
non mentire (verità), non desiderare la donna e la roba
d’altri (cioè vivere le relazioni rispettando la dignità
della persona, l’etica del limite e il principio di proprietà).
Oggi tuttavia siamo di fronte ad una situazione planetaria
che negli anni ‘90 - cioè al tempo della Dichiarazione non si poteva immaginare, nonostante tanti rischi fossero
ben noti già allora, come quello nucleare, terroristico,
migratorio, ambientalista, dell’indebitamento estero,
ecc. A questa lista delle emergenze planetarie bisogna
poi aggiungere la questione della globalizzazione e del
pensiero unico, il fallimento dei vari modelli di multiculturalismo, l’esplosione dei fondamentalismi religiosi
e in particolare dell’islam, che ha provocato prima l’attentato delle Torri Gemelle (11 settembre 2001), in seguito la nascita del Califfato con le sue diramazioni terroristiche e stragiste, da Parigi a Tunisi, dalla Nigeria al
Kenya. Per non citarne che alcuni.
ARRESTARE IL PROCESSO
DI REGRESSIONE ETICA
DELLA COSCIENZA UMANA
Il ritorno della barbarie e la diffusione dei gruppi fondamentalisti sta provocando un processo di involuzione
della civiltà e segna un campanello di allarme per tutti.
24 | cem mondialità | maggio 2015
Tale involuzione deve richiamare la nostra attenzione
su quelle tradizioni religiose che, pur avendo un glorioso
passato, come l’islam, non sembrano però avere più la
capacità di ri-generarsi e forse proprio per questo degenerano. Bisognerebbe allora avere il coraggio di smascherare coloro che nel nostro tempo sfruttano alcune
palesi debolezze della religione islamica per calcoli economici e pura politica di potenza, addirittura per legittimare odio, guerre, terrorismo, fino ai crimini contro
l’umanità. La semplice esistenza di uno Stato islamico
che si è auto-proclamato tale senza avere base giuridica
né confini territoriali formalmente riconosciuti è una
realtà mostruosa e inquietante, che non può essere accettata dalla comunità internazionale, soprattutto se
quello Stato fa ricorso non solo alla propaganda e al reclutamento ma agisce brutalmente attraverso un esercito di fanatici e di mercenari che non rispettano niente
e nessuno.
Nei confronti del Califfato non possiamo che esprimere
una condanna unanime e senza appello, come si deve
fare contro un’entità anti-umana o un tumore maligno.
Agire come il Califfato, Al Qaeda, Boko Haram, Al Shabaab e altri movimenti jihadisti che fanno ricorso a logiche criminali significa collocarsi al di fuori della civiltà
giuridica e di quel «minimo di umanità» che si richiede
per aver diritto al rispetto e alla pietas.
La verità che si sta imponendo sotto i nostri occhi è
che siamo davanti ad un processo di regressione etica
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 25
della coscienza umana che riporta indietro l’orologio
della storia di alcuni secoli, fermandolo al periodo che
precede il Trattato di Westfalia (1648), quando in Europa
si combattevano le «guerre di religione» e si era ben
lontani dall’acquisizione del principio di laicità. In quel
tempo era ancora lecito «uccidere» in nome di Dio (nonostante il quinto comandamento fosse noto a tutti)
non solo pagani, atei, agnostici, credenti in altre religioni… ma perfino i cristiani che non appartenevano
alla «tua» Chiesa (cattolica, protestante, valdese, calvinista, anglicana, ortodossa, ecc.).
IL DECALOGO
COME GRAMMATICA DI CIVILTÀ
A scuola bisogna ripercorrere con i ragazzi le tappe
che hanno consentito di teorizzare la cultura della pace
e della nonviolenza, di superare la legge del taglione e
di promuovere la moratoria universale contro la pena
di morte, perché essi non credano che queste conquiste
siano cadute dal cielo, ma si rendano conto del sacrificio
La firma della Pace di Westfalia a Münster, di Gerard Terborch, 1648
di quanti hanno pagato con la loro vita ciò che oggi è a
rischio di un’incomprensibile regressione.
Qualcosa di analogo si sta verificando anche per il settimo comandamento, non rubare, che nel corso dei secoli ha favorito indubbiamente la crescita della solidarietà tra le persone e tra i popoli, ma che attualmente
sembra attraversare pericolosi arretramenti sul piano
della giustizia sociale e dell’ordine economico internazionale. Basti pensare alla forbice crescente che divide
i paesi ricchi da quelli poveri.
Anche qui bisogna che la scuola faccia comprendere ai
ragazzi per quale ragione negli ultimi decenni sono diventati centrali i temi dello sviluppo, della crescita, dell’ambiente, delle risorse energetiche, dei beni comuni,
dell’acqua, degli ogm, ecc. In questo senso il comandamento «non rubare» non deve essere riferito soltanto
alla proprietà individuale e di ordine economico-finanziario, ma soprattutto ai beni comuni e all’ambiente,
che sono di tutti.
Continuando in questo ragionamento possiamo osservare che la stessa cosa sta avvenendo anche per l’ottavo
comandamento (non mentire, non dire falsa testimonianza), poiché nella società attuale si assiste ad un
conflitto che riguarda soprattutto i mass media, stretti
nella tenaglia tra il diritto all’informazione e il diritto
alla privacy (non ledere la sfera privata delle persone).
Ora, in nome del principio di verità, nessuno ha il diritto
A SCUOLA BISOGNA
RIPERCORRERE CON I
RAGAZZI LE TAPPE CHE
HANNO CONSENTITO DI
TEORIZZARE LA CULTURA
DELLA PACE E DELLA
NONVIOLENZA, DI SUPERARE
LA LEGGE DEL TAGLIONE E
DI PROMUOVERE LA
MORATORIA UNIVERSALE
CONTRO LA PENA
DI MORTE
maggio 2015 | cem mondialità | 25
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 26
di dire il falso agli uomini, perciò è da condannare la
menzogna, l’inganno, la demagogia, il millantato credito,
il ricorso senza scrupoli alle promesse impossibili da
mantenere.
Inoltre, come abbiamo visto negli inserti precedenti, i
comandamenti riguardano anche i rapporti tra gli uomini
e le donne che nel corso dei secoli hanno conosciuto
importanti miglioramenti sul piano delle pari opportunità
e dei diritti di genere. La scuola può fare molto per ricostruire con i ragazzi le trasformazioni del rapporto
uomo-donna nel corso dei secoli, cercando di rileggere
la storia «al femminile». Si pensi alle lotte delle «suffragette» per il diritto al voto politico delle donne e alla
cultura femminista degli anni ‘70.
Oggi, soprattutto nei paesi occidentali, il rapporto uomo-donna appare caratterizzato dalla cultura della parità, della fiducia, della complementarietà, ma non si
può negare la persistenza del predominio maschilista,
della discriminazione di genere, dello stalking, del femminicidio. Inoltre, in tante parti del pianeta, sono da
denunciare forme di sessismo, di inaccettabile sottomissione della donna, di prostituzione minorile, di mutilazioni genitali femminili.
Abbiamo già detto che il nostro vuole essere un bilancio
dinamico e aperto, per questo più che abbondare nella
denuncia siamo preoccupati di custodire i valori perenni
che troviamo nel Decalogo. Questo significa che il nostro
impegno deve evitare il pericolo di regressione che è
sempre dietro l’angolo. Dal Decalogo dobbiamo ripartire
per generare un nuovo grado di civilizzazione, che renda
possibile una piena liberazione dell’umano.
LIBERARE L’UMANO NON SIGNIFICA
FORSE AFFRONTARE OGGI
LA SFIDA DEL POST-UMANO?
Hans Küng
OGGI IL RAPPORTO
UOMO-DONNA APPARE
CARATTERIZZATO
DALLA CULTURA
DELLA PARITÀ, DELLA
FIDUCIA, DELLA
COMPLEMENTARIETÀ,
MA NON SI PUÒ
NEGARE LA
PERSISTENZA
DEL PREDOMINIO
MASCHILISTA
26 | cem mondialità | maggio 2015
Passando dal Decalogo al tema del prossimo convegno
CEM a Trevi nel mese di agosto 2015, che i nostri lettori
già conoscono: «Liberare l’umano. Chi non si rigenera,
degenera», vorremmo fare una sola considerazione.
Il motivo della rigenerazione appare più che opportuno,
obbligato. Quello che deve far pensare è la premessa
da cui partire. Che senso può avere riproporre, ancora
una volta, di liberare l’umano: «da» che cosa, ormai,
oppure (forse meglio) «per» che cosa?
A noi sembra che l’accostamento tra l’obbligo di rigenerarsi e la deriva fatale della degenerazione faccia ben
vedere quale sarà il futuro prossimo dell’umano, se fallisse anche l’ultimo tentativo di liberazione nel tempo
dell’antropocentrismo.
Non ci resterebbe, cioè, altra strada che accettare la
sfida del post-umano e la prospettiva co-evolutiva con
la tecnica (animale-uomo-macchina) nell’attesa di celebrare la nascita del cyborg (post-umano) che forse (o
senza forse) è già all’opera!
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 27
dossier
SPIGOLANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE?
TUTTI CERCHIAMO
IL SENSO
DEL NOSTRO VIVERE
E DEL NOSTRO
MORIRE…
POI OGNUNO,
A SECONDA DELLA
PROPRIA CULTURA,
DEFINISCE IN MODO
DIFFERENTE
CIÒ CHE HA
SCOPERTO…
MA IL SENSO
È SEMPRE QUELLO,
PERCHÉ GLI UOMINI
NON SONO DIVERSI
GLI UNI DAGLI ALTRI
grandi tradizioni, ma attingendovi con grande libertà e apertura
e senza quei filtri di chi forse ha un senso di appartenenza un
po’ ipertrofico.
Ho passato anni incantevoli con Lanza Del Vasto, discepolo di
Gandhi e missionario della non violenza e del dialogo fra le religioni già dal secondo dopoguerra, mi sono seduto ai piedi di
p. Griffiths, di p. Tholens, di Panikkar, incarnazioni viventi del
dialogo infrareligioso, ho meditato e studiato con grandi Lama
Tibetani e Roshi Zen, così come con liberi pensatori come Krishnamurti, R.P. Kaushik e Pietro M. Toesca.
A tutti mi sono aperto ed essi si sono aperti con me, nella continua
ricerca di un percorso oltre le nostre rispettive idee ed esperienze,
come diceva p. Tholens: «io non ti sono maestro, lo siamo uno
per l’altro, io imparo da te e tu da me e alla fine ognuno è andato
oltre se stesso». L’incontro personale è, credo, il punto fondante
di incontro interreligioso (e ancor più se infrareligioso), serve
poco studiare sui libri (anche se è certamente utile), bisogna
entrare nel rapporto con le spiritualità vissute e incarnate, con
chi ha trasformato le idee in carne e sangue… in vita vissuta.
Solo incontrando un vero cristiano posso capire il cristianesimo,
solo incontrando un vero buddhista posso capire il messaggio
del Buddha, perché si tratta di novità esistenziali, non di filosofie
campate in aria, è qualcosa che è vissuto, non solo pensato.
Solo gli incontri autentici, empatici, possono creare le basi per
un confronto di vissuti e non solo di teologie.
Anni fa fu organizzato un incontro esperienziale fra monasteri
zen giapponesi e monasteri cattolici, per un certo periodo monaci
zen furono ospiti di monasteri in Europa e poi monaci cattolici
furono ospiti in monasteri zen in Giappone. Fu un’esperienza
molto stimolante, perché i vari partecipanti fecero semplicemente
esperienza della vita monastica altrui, senza tanti discorsi teologici… si pregava, si meditava e si lavorava insieme.
maggio 2015 | cem mondialità | 27
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 28
dossier
ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI
Alla fine di questo scambio si tenne un incontro fra tutti i partecipanti
e un abate benedettino pensò bene di cercare di spiegare ai monaci
zen giapponesi qualcosa del dogma cattolico, al che Hirata Roshi,
uno dei più autorevoli maestri dello Zen Rinzai, si alzò e disse: «la
ringrazio dello sforzo… ma le parole non faranno che creare divisione, nel silenzio, nelle preghiera ci siamo intesi perfettamente…
lasciamo che il silenzio sia il sigillo del nostro incontro!».
Ecco che l’incontro tra spiritualità, culture, religioni differenti vive
nel silenzio, nei gesti quotidiani, nella ricerca profondamente
umana di senso, al di là delle teorie, dei dogmi.
Diceva Ramakrishna, grande santo hindu: «un inglese dice water,
un italiano acqua, ecc., eppure intendono tutti la stessa cosa, così
che chi dice Dio, chi Brahaman, chi Allah, chi non dà un nome…
eppure intendono tutti la stessa cosa...».
Tutti cerchiamo il senso del nostro vivere e del nostro morire…
poi ognuno, a seconda della propria cultura, definisce in modo
differente ciò che ha scoperto… ma il senso è sempre quello,
perché gli uomini non sono diversi gli uni dagli altri.
Dovremmo esserci un po’ evoluti dall’idea del Dio tribale, quello
che si prende cura solo del nostro gruppo e che ovviamente è migliore di quelli degli altri… e anche che l’idea di Dio che noi abbiamo sia migliore o più reale di quella degli altri: questo rischia
di essere un comportamento idolatrico, come ripete spesso Odile
Van Deth-Emmanuelle-Marie, teologa e biblista francese.
Nell’incontro fra persone tutto diviene più facile, finalmente possibile… perché si può scoprire che io sono te, fratello!
«LA VERA TRASCENDENZA DIVINA NON PUÒ
APPARTENERE AL COSIDDETTO ORDINE NATURALE E
RAZIONALE; PER CUI, SE NON SI SUPERA
QUEST’ORDINE, SI SARÀ INCAPACI, A RIGORE DI
TERMINI, DI DIRE O DI PENSARE DELL’ “ASSOLUTO”.
L’ATEISMO, CHE NEGA TUTTI I TENTATIVI DELLA
RAGIONE UMANA DI PARLARE DI DIO, A COMINCIARE
DELLA SUA ESISTENZA, È PORTAVOCE ELOQUENTE DI
QUESTA TRASCENDENZA DIVINA. DOBBIAMO
AGGIUNGERE CHE LA CRITICA DELL’ATEISMO AL
MISTERO DIVINO, PER QUANTO POSSA PURIFICARE
DELLE IDEE DI DIO ELABORATE DAGLI UOMINI,
È INCAPACE DI OFFUSCARE LA PUREZZA ADAMANTINA
DELLA TRASCENDENZA ASSOLUTA, CHE È,
PER DEFINIZIONE, OLTRE OGNI NEGAZIONE
E AFFERMAZIONE” (RAIMON PANIKKAR)
TEISMO
O A-TEISMO?
l tema del teismo e dell’a-teismo (che non è anti-teismo ) è
fondamentale nell’ottica del dialogo fra le religioni, poiché
uno degli ostacoli che continuano a frapporsi è spesso l’immagine di Dio che le varie tradizioni hanno strutturato.
Il termine Dio è spesso a sua volta un limite, un ostacolo, in
quanto sottintende una divinità personale, un tu che quindi non
può essere accolto da tradizioni, come il buddhismo e l’advaita
vedanta, che ricercano il superamento dell’io, anche di un Io
supremo.
La visione a-teistica2, dove la a privativa sta per non-Dio (e non
senza o contro Dio), intendendo con ciò che su questo tema
nulla può essere detto, ogni parola è di per se stessa uno svilimento e un tradimento dell’Assoluto. Il Buddha, notoriamente,
non parlò mai di Dio, e a ogni domanda sul tema rispose col
I
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 29
dossier
SPIGOLANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE?
L’ESPERIENZA MISTICA,
CHE PER SUA STESSA
NATURA È NON-TEISTA
TRASCENDENDO IL
PENSIERO, È IL PUNTO DI
INCONTRO FRA ORIENTE E
OCCIDENTE,
NELL’ESPERIENZA
DELL’ASSOLUTO MEISTER
ECKHART E LIN CHI SI
RITROVANO E SPESSO
FINISCONO PER
UTILIZZARE TERMINI SIMILI
PER CERCARE DI
DESCRIVERE
L’INDESCRIVIBILE
silenzio, non perché ne volesse negare o affermare l’esistenza,
ma perché ne riconosceva l’indicibilità e, per certi versi, l’inutilità.
Parlare di Dio è un parlare a vuoto, perché come dice un proverbio taoista, «chi non sa parla, chi veramente sa tace».
Si narra che San Tommaso D’Aquino, il sommo teologo che
aveva cercato di spiegare il mistero divino secondo la logica
aristotelica, inventando la scolastica… avendo avuto un’esperienza mistica, volesse dare alle fiamme tutta la sua opera,
che gli appariva vuota e risibile.
Non so se questa sia storia o leggenda ma certo ci dice che
solo l’esperienza del divino ha senso e questa sfocia nel si-
lenzio, di fronte all’esperienza mistica ogni parola è un balbettio
sconclusionato.
L’esperienza mistica, che per sua stessa natura è non-teista
trascendendo il pensiero, è il punto di incontro fra oriente e
occidente, nell’esperienza dell’assoluto Meister Eckhart e Lin
Chi si ritrovano e spesso finiscono per utilizzare termini simili
per cercare di descrivere l’indescrivibile.
San Giovanni della Croce descrive un percorso spirituale che
di fatto è identico a quello di varie tradizioni orientali, così Teresa D’Avila e altri mistici.
L’a-teismo, cioè la rimozione delle immagini, idee, concetti
sull’assoluto, non solo è una grande purificazione, come dice
Panikkar, ma può essere una grande possibilità per un dialogo
interreligioso finalmente fondato sull’esperienza, sul vissuto.
Se riusciamo ad andare al di là delle nostre immagini culturalmente determinate del divino e ci apriamo ad una prospettiva differente, allora il dialogo può divenire reale, perché ci
sarà condivisione della vita interiore e non più uno scambio
di concetti, per quanto elevati o raffinati.
In un altro incontro fra monaci cristiani e buddhisti, uno zelante
benedettino cercò di spiegare il concetto del Dio Trinitario, al
che un roshi gli rispose: «non c’è problema… solamente per
noi, se quel Dio c’è, ha già fatto la sua parte e non ci riguarda
maggio 2015 | cem mondialità | 29
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 30
dossier
ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI
più», significando che nessuno negava l’esistenza del divino,
ma che non è un argomento di cui parlare e di cui interessarsi,
ma semmai un’esperienza da vivere.
In molti tendono a definire il buddhismo una filosofia di vita
piuttosto che una religione, dando per scontato che una religione contempli la presenza di un Dio personale… ma questo
può essere detto anche del taoismo, dello shintoismo e di
certe tradizioni hindu. L’idea che il concetto di Dio sia fondante
per una religione è un’idea totalmente occidentale, che nasce
dall’esperienza delle tradizioni monoteiste ma che non può
essere esteso urbi et orbi. Se vogliamo avvicinarci all’altro
dobbiamo dapprima liberarci da ogni pre-giudizio e da ogni
filtro culturale oppure non riusciremo mai a metterci veramente
in ascolto. Ogni volta che parlo in consessi interreligiosi, ciò
che percepisco è che la visione teista e monoteista viene data
per assodata, come un punto di riferimento imprescindibile,
in una visione occidentocentrica a dir poco limitante. Ci dimentichiamo che per millenni l’uomo ha vissuto in un’ottica
politeista o a-teista? Che ancora milioni di persone seguono
spiritualità non monoteiste o teiste? Il mondo e l’anima umana
(come ci ha insegnato Hillman) sono assai più variegate e
poliedriche delle schematizzazioni che ne ha dato il pensiero
religioso e filosofico dell’occidente.
A volte mi chiedo se veramente vi sia la volontà di un incontro
con le altre culture e religioni, o se vi sia solo un tentativo di
essere politically correct, ma rimanendo profondamente convinti che solo il nostro modo di vedere il mondo sia quello
30 | cem mondialità | maggio 2015
SE VOGLIAMO AVVICINARCI
ALL’ALTRO DOBBIAMO
DAPPRIMA LIBERARCI
DA OGNI PRE-GIUDIZIO
E DA OGNI FILTRO
CULTURALE OPPURE
NON RIUSCIREMO
MAI A METTERCI
VERAMENTE IN ASCOLTO.
OGNI VOLTA CHE PARLO
IN CONSESSI
INTERRELIGIOSI,
CIÒ CHE PERCEPISCO
È CHE LA VISIONE TEISTA
E MONOTEISTA VIENE
DATA PER ASSODATA,
COME UN PUNTO
DI RIFERIMENTO
IMPRESCINDIBILE,
IN UNA VISIONE
OCCIDENTOCENTRICA
A DIR POCO LIMITANTE
giusto. L’incontro, pur coraggioso e altamente significativo,
organizzato da papa Francesco (che aveva già chiamato tutti,
credenti e non, a quella splendida veglia silenziosa) fra israeliani e palestinesi, ne è stato per me un triste simbolo: non si
è riusciti a pregare o a stare in silenzio insieme, ognuno ha
dovuto fare la propria preghiera!
Certo non di incontro interreligioso si trattava, ma la cosa non
cambia, ognuno tende a rimanere sulle proprie posizioni, nessuno vuole arrischiarsi ad uscire dai propri confini, che finiscono per diventare le sbarre di una gabbia.
Solo in un’ottica a-teista possiamo sentirci liberi di usare o
non usare parole, di incontrare l’altro nella sua irriducibile alterità, aperti ad una mutua fecondazione. Senza immagini e
concetti di e su Dio, tutto diviene possibile, anche la pace fra
gli uomini (viste le troppe guerre che si sono combattute e si
combattono in nome di una qualche idea di Dio).
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 31
dossier
SPIGOLANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE?
IL VUOTO E IL PIENO
SIMONE WEIL
«Il vuoto è la suprema pienezza, ma l’uomo non ha diritto di saperlo.
L’immaginazione lavora continuamente a tappare tutte le fessure
per le quali passerebbe la grazia. Immaginazione che colma i
vuoti, sforzo illimitato, estenuante [...] L’immaginazione che colma
il vuoto è essenzialmente menzognera. Amare la verità significa
sopportare il vuoto, e di conseguenza accettare la morte».
BERNIE GLASSMAN ROSHI
«Poiché lo zen è l’Unico Corpo, cioè la vita stessa, non esclude
nulla. [...] Lo zen è questo, questo momento, questo bastone,
questa quiddità. Togli qualcosa da questo, e non è più questo. [...]
...la forma non è che vacuità, La vacuità non è che forma.
SENZA IMMAGINI E CONCETTI DI E SU DIO,
TUTTO DIVIENE POSSIBILE, ANCHE LA PACE
FRA GLI UOMINI (VISTE LE TROPPE GUERRE
CHE SI SONO COMBATTUTE E SI COMBATTONO
IN NOME DI UNA QUALCHE IDEA DI DIO
[...] La forma è dharma, i fenomeni, il mondo fenomenico, ossia
la molteplicità, le differenze della vita, tutte le forme che vediamo.
La vacuità si riferisce all’unicità della vita, cioè alla vita così com’è,
senza alcuna distinzione. Il sutra dice che la forma, o tutti i fenomeni, non è che vacuità, non è che l’Unico Corpo.
[...] Ciò significa che, se riusciamo davvero a vedere il mondo
dell’unità, allora comprendiamo ogni fenomeno. [...]
Nello studio dello zen ci si dedica a tre aspetti: il mondo delle differenze (forma), il mondo della vacuità (unità) e la relazione tra
essi (chiamata armonia). [...]
Cos’è la vacuità? È ciò che è qualsiasi fenomeno una volta eliminati
tutti i nostri concetti e le nostre idee di esso. Cos’è un bastone,
quando lascio cadere tutti i miei concetti su cosa sia? Diciamo:
“È un bastone”. Elimina questo concetto. “È diritto”. Elimina anche
questo. “È l’estensione della mia mano”. Via pure questo. Cos’è?
Quando comprendiamo cos’è, allora comprendiamo ogni fenomeno. Questa è la prima parte dello studio dello zen.
La seconda parte consiste nel vedere le differenze, avendo compreso la vacuità di tutte le cose. Avendolo visto così com’è, ora lo
riconosco come bastone, come diritto, come estensione della mia
mano, come qualcosa che non è te, non è me, non è la stanza. [...]
Nella prima parte del nostro studio comprendiamo come tutti i
fenomeni non sono che vacuità, non sono che l’Unico Corpo. Dio,
fiori, alberi, letame, insetti, vermi e farfalle sono l’Unico Corpo.
Avendo visto tutto come l’Unico Corpo, lo consideriamo poi come
l’insieme delle differenze, ed è questa la seconda parte dello
studio. Nella terza parte, comprendiamo la relazione: vacuità e
differenze si equivalgono».
maggio 2015 | cem mondialità | 31
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 32
dossier
Ecco due testi di due autori occidentali ma di diversa tradizione
che giungono alla medesima esperienza: è il vuoto che dà accesso
alla Verità, non il pieno. Quando si parla di vuoto s’intende il vuoto
di concetti, idee, preconcetti, paure e aspettative, s’intende la possibilità di aprirci al mistero dell’essere e della vita senza filtri. Un
dialogo fra le religioni non può che avvenire in quel vuoto, solo nel
vuoto vi sono infinite possibilità, quando tutto è pieno nulla può
essere aggiunto. Dice la Weil: l’immaginazione che riempie il vuoto
è menzognera, il che significa che ogni idea, concetto, non è che
una menzogna che creiamo per non rimanere in quel vuoto che ci
terrorizza. Ma se tutti i fenomeni sono vuoti di esistenza intrinseca,
come ci spiega Glassman Roshi, a cosa vogliamo attaccarci? Sentivo
l’altro giorno un proclama di un sedicente Califfo che sta portando
morte e distruzione in giro per il medio oriente e poco dopo l’autocompiacimento di un altro prelato sulla grandezza della tradizione
cristiana… quanta pienezza, quanta mancanza di spaziosità…
Come si fa a non vedere che i mille e poco più anni di islam e i
duemila del cristianesimo o i duemilacinquecento del buddhismo
sono un nulla a fronte della storia della terra, per non parlare dell’universo. Senza l’umiltà che riconosce la limitatezza delle nostre
culture, fedi, ideologie, come può esserci apertura? Se sono così
pieno delle mie idee come posso accogliere quelle altrui? Lanza
del Vasto diceva sempre che le guerre sono giuste due volte: dalla
parte di un contendente e da quella dell’altro... e quindi non possono
che essere sbagliate.
Se ognuno ritiene indiscutibili le proprie verità, come può porsi in
dialogo? Troppo spesso nei convegni interreligiosi ho sentito questa
oppressione, ho sentito questa paternalistica tolleranza per l’altro
(sì ti ascolto, sei pure interessante, ma io ho la verità) che nasconde
un’arroganza e una superbia terribile (e da parte di tutti, non solo di
alcune tradizioni). Fare vuoto, fermare l’immaginazione che riempie
il vuoto, questa è la via che può aprirci ad un dialogo autentico.
L’ AUTORE DEL DOSSIER
ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI
MARCO VALLI-OSEL DORJE
INSEGNANTE E PSICOTERAPEUTA,
MARCO VALLI-OSEL DORJE HA STUDIATO FILOSOFIA TEORETICA COL
PROFESSOR PIETRO M. TOESCA, PSICOLOGIA DEL PROFONDO CON DORA
KALFF, ALDO CAROTENUTO, JAMES
HILLMAN E HANNA WOLFF. HA APPROFONDITO LO STUDIO DEL BUDDHISMO TIBETANO NELLA TRADIZIONE NYNGMAPA SOTTO LA GUIDA DI
DILGO KHYENTZE RIMPOCHE, SOGYAL RIMPOCHE E NYOSHUL KHEN
RIMPOCHE, COMPLETANDO IL RITIRO
FORMALE DI FORMAZIONE. ALLIEVO
DI LANZA DEL VASTO E DI BEDE GRIFFITTHS, È DA SEMPRE ATTIVO NEL
CAMPO DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO. HA PUBBLICATO VARI LIBRI E NUMEROSI ARTICOLI PER RIVISTE E
GIORNALI. GESTISCE IL BLOG SAGGEZZAFOLLE.BLOGSPOT.IT
[email protected]
1
Ho raccontato il mio percorso nel libro Le ore dell’anima, Xenia, Milano 2002.
Panikkar ha dedicato un intero volume a questa visione nel buddhismo, Il silenzio
del Buddha, Mondadori, Milano 2006.
2
BIBLIOGRAFIA MINIMA
L. Del Vasto, Lezioni di vita, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1970
B. Griffiths, Matrimonio fra oriente e occidente,
Queriniana, Brescia 2003
EPILOGO
Un vecchio e un ragazzo camminano silenziosi sul sentiero,
non c’è più nulla da dire, non c’è più senescenza e giovinezza, non ci sono più un buddhista e un cristiano… a terra
un ramo reciso dal vento… fiorisce. È la vita che nasce
dalla morte. I due si sorridono, non c’è niente da dire, solo
un vuoto pieno di vita, pieno d’amore!
IN MEMORIA DI P. CORNELIO THOLENS,
DI LANZA DEL VASTO
E DI TUTTI I MIEI PREZIOSI MAESTRI.
MARCO
VALLI
- OSEL
DORJE
32 | cem
mondialità
| maggio
2015
H. Le Saux, Risveglio a sé, risveglio a Dio, Servitium, Milano 2011
R. Panikkar, Il dialogo infrareligioso, La Cittadella,
Assisi 2001
R. Panikkar, Il dialogo interculturale e interreligioso, Jaca Book, Milano 2014
C. Tholens, Incontri di un monaco tra oriente e
occidente, Ancora, Milano1990
M. Valli, Le ore dell’anima, Xenia, Milano 2002
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 33
agenda
agenda
interculturale
interculturale
TRAGUARDI E SFIDE
EDUCATIVE
IL BILANCIO DELL’UNESCO
ALESSIO SURIAN | [email protected]
online il nuovo rapporto Achievements and
Challenges, curato dal programma Educazione
per tutti/Education for All (Efa) dell’Unesco1. È
fra i documenti chiave del recente World Education Forum 2015 (Wef 2015, 19-22 maggio)
di Incheon (Corea del Sud), che ha coinvolto
oltre cento ministri da tutto il mondo per verificare un’agenda di lavoro comune riguardo all’educazione da qui al 2030. Ospiti speciali il premio Nobel
Kailash Satyarathi, i direttori delle varie agenzie Onu (Undp,
Unhcr, Unfpa, Unicef, Un Women), della Banca Mondiale
e la direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova. L’incontro
avviene ad un anno esatto dagli accordi di Muscat (Oman)2,
che propone sette nuovi obiettivi da raggiungere entro il
2030, a partire dall’esperienza del programma Educazione
per tutti (Efa) e degli Obiettivi del Millennio (più riduttivi
nell’approccio) che hanno riguardato il periodo 2000-2015.
Quali dunque i risultati finora raggiunti e le principali sfide?
Impossibile riassumere in poche righe i diversi aspetti dei
sei principali obiettivi Efa, ci limitiamo a qualche dato:
È
z a livello prescolare l’incidenza delle strutture educative è
ancora limitata (coinvolge 184 milioni di bambini): nel
mondo ancor oggi un bambino su quattro fra chi ha di
meno di cinque anni soffre di malnutrizione;
z nella scuola primaria è aumentato il tasso di scolarizzazione: 93 % nel 2015, rispetto all’84 % del 1999; ma nei
paesi africani e dell’Asia meridionale e orientale 58 milioni
di bambini non accedono alle strutture scolastiche e si registra una «stagnazione» negli sforzi tesi a favorire ulteriori
ingressi a scuola; in 32 paesi dell’Africa subsahariana almeno
il 20% degli alunni delle scuole primarie abbandonano prima della fine del ciclo elementare;
z nelle scuole secondarie, almeno per il primo ciclo, il tasso
di scolarizzazione è passato dal 71% del 1999 all’85% del
2012; ma in questo ambito rimangono vistose le disparità
di classe;
z il mondo conta ancora 781 milioni di adulti analfabeti,
anche se ufficialmente il tasso di analfabetismo si è abbassato dal 18% del 2000 al 14% del 2015; i programmi di
alfabetizzazione mancano spesso laddove sono più necessari: dei 73 paesi che avevano un tasso di analfabetismo
inferiore al 95 % nel 2000, solo 17 hanno dimezzato il numero di analfabeti nel 2015;
z in merito alle pari opportunità, nel 2012, il numero dei
paesi in cui si registravano meno di novanta ragazze scolarizzate ogni cento ragazzi è passato da 33 a 16; ma
meno della metà (48%) dei paesi possono vantare pari opportunità nel 2015;
z complessivamente, la qualità dell’insegnamento lascia
ancora a desiderare: solo un terzo dei paesi elaborano dati
a questo proposito e quelli a disposizione indicano che
meno di tre insegnanti di scuola primaria su quattro sono
stati formati secondo gli standard nazionali.
Uno dei risultati del programma Efa, a partire dalla Conferenza di Dakar del 2000, è l’aver messo a disposizione dati
sistematici comuni e standard su come raccoglierli e averli
condivisi online attraverso il sito: www.uis.unesco.org/Education/Pages/default.aspx e attraverso infografiche che integrano i rapporti come nel caso di quest’ultimo all’indirizzo:
http://en.unesco.org/gem-report/sites/gemreport/files/2015_report_dataviz/index.html l
1
2
http://en.unesco.org/gem-report
http://www.uis.unesco.org/Education/Documents/muscat-agreement-2014.pdf
maggio 2015 | cem mondialità | 33
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 34
seconde generazioni queste sconosciute
LUBNA AMMOUNE | [email protected]
SONO ITALIANA. CERTO.
MA NON SOLO
CARI LETTORI,
PER QUESTO MESE
VI PROPONGO
UN ALTRO CONTRIBUTO
DI MARGHERITA PARRAO,
REDATTRICE DI YALLA ITALIA
LUBNA AMMOUNE
n un periodo in cui tutti si chiedono se possano considerarsi italiani i ragazzi di seconda generazione, la mia domanda va in senso
opposto: si può essere davvero
considerati italo-cileni, italo-peruviani o italo-ecuadoriani anche
prima di aver visitato il paese dei
propri genitori? Spesso il costo e la lunghezza del volo non permettono ai latinoamericani frequenti viaggi tra l’Italia
e il proprio paese d’origine, tanto che
molti ragazzi di seconda generazione finiscono per visitare il Sud America solo
in età relativamente avanzata.
Anche la mia famiglia si è trovata per
molti anni nell’impossibilità di pianificare
un viaggio tutti assieme, ma i regali che
i miei zii mi mandavano quand’ero bambina mi portavano a trasferire in Sud
America le storie che inventavo con i
miei giocattoli: se la mia macchinina arrivava da lì, mi sembrava logico immaginare che corresse sulla Panamericana.
I
34 | cem mondialità | maggio 2015
La mia trottola Made in Chile era uno
strumento da esploratori, che girando
indicava in che direzione andare per raggiungere Santiago.
A scuola nei miei disegni c’erano sempre
aerei diretti verso sud, bandiere cilene e
il mio primo abbraccio con mia cugina.
Una volta, per un compito, decisi di disegnare la casa di famiglia di Pudahuel.
Chiesi a mio padre di aiutarmi, volevo
una copia esatta della casa delle zie.
Quello divenne il setting in cui fantasticare giochi con i cugini e pranzi con i
parenti. Il Cile era per me una sorta di
terra promessa. Se litigavo con qualcuno,
se sentivo parlare di un’ingiustizia, mi
rifugiavo laggiù col pensiero, convincen-
domi che lì nulla di male sarebbe potuto
succedere.
Le fiabe che mio padre ci raccontava
erano ambientate in Cile, i bambini con
cui giocavamo nei week-end erano figli
di altri cileni, e i racconti di viaggio di
chi tornava da Santiago erano per me
meglio di qualsiasi cartone animato.
Avevo sognato così intensamente quel
viaggio che quando a 16 anni decisi che
era tempo di pianificare il mio personale
«ritorno a casa», mi preoccupava l’idea
di trovare una realtà che deludesse le
mie aspettative. Era strano chiamarlo
«ritorno», ma mi sentivo così, come se
la mia infanzia fosse stata davvero divisa
tra Italia e Cile. Tutto sommato non ero
certa che i giochi con i miei cugini fossero frutto della mia fantasia.
Partii con mia sorella, e l’incontro con
la mia famiglia fu esattamente come
l’avevo ipotizzato. Scoprii poi che la casetta delle zie era solo poco più grande
di come l’avevo pensata da bambina e
per le vie di Pudahuel tutti ci riconoscevano come se avessimo sempre vissuto
lì. Mio padre ci raggiunse per Natale, e
la nostra gioia nel vederlo finalmente a
casa fu almeno pari a quella che provò
lui nel vederci già perfettamente a nostro agio con la sua - o meglio con la
nostra - famiglia.
L’emozione di quel primo viaggio è stata
unica. E lo stupore più grande, quello
vero, non è stato nella novità. Lo stupore
maggiore è stato piuttosto nello scoprire
che era proprio tutto come avevo sempre immaginato, che era tutto lì ad
aspettarmi come nei miei disegni delle
scuole elementari, che il Cile era parte
di me già da molto tempo prima di quel
viaggio.
Quando rivelo di non essere mai stata
in Cile da bambina, che il mio primo
viaggio risale al 2002, tante persone rispondono: «Ah, ma allora sei italiana!».
Come se il grado di «italianità» o «cilenità» si misurasse in base all’età del primo viaggio. Certo che sono italiana. Anche. Ma non solo. l
da WWW.YALLAITALIA.IT
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 35
domani è accaduto
DIBBÌ | [email protected]
«CHI NON SPERA QUELLO CHE NON SEMBRA SPERABILE NON POTRÀ SCOPRIRNE LA
REALTÀ, POICHÉ LO AVRÀ FATTO DIVENTARE, CON IL SUO NON SPERARLO, QUALCOSA CHE
NON PUÒ ESSERE TROVATO, E A CUI NON PORTA NESSUNA STRADA». ERACLITO
QUALCHE FINE DEL MONDO
PER CREDENTI E NON
lcuni mesi fa ho parlato qui dei «papi futuri».
Da allora mi è capitato in vari incontri di incrociare fantascienza e fedi. Così torno sul tema
dando un rapido sguardo alla science fiction
«catastrofista» - a volte per convinzione e altre
per diletto - con spunti più religiosi. Ecco tre
storie relativamente leggere ma che possono intrigare. Lo scienziato-scrittore Arthur Clarke (quello di 2001) in un celebre racconto intitolato I nove miliardi di
nomi di Dio seppe unire il massimo del moderno - un supercomputer - con l’antico mito della divinità «impronunciabile».
I migliori specialisti vengono chiamati in Tibet per rintracciare
e tabulare tutti i nomi del «Signore». Lavoro lungo e difficile.
Quando hanno terminato e lasciano il vecchio monastero notano che lassù le stelle cominciano a spegnersi. Un’insolita,
pacata, tecnologica apocalisse. Robert Sheckley si è divertito,
in L’ultima battaglia, a prevedere che nello scontro finale con
le forze del Male gli umani astutamente impieghino i robot.
Loro è la vittoria ma sarà ai robot che Dio lascerà in eredità il
paradiso. Due parole in più sull’ironico Giusto motivo di Howard Fast, un grande scrittore realista occasionalmente prestato alla fantascienza.
Il racconto di Fast ha la semplicità di una parabola: si apre sul
mondo sorpreso da un’interferenza radio-tv dove un dio (o
chi per lui) annuncia che non ne può più delle nostre malefatte
e che ha deciso di cancellarci per sempre a meno che… «Ditemi
voi un giusto motivo perché io non debba distruggervi». Ci
sono tutte le premesse per prendere la minaccia sul serio. Così
politici, intellettuali, militari ma anche capi religiosi cercano la
risposta senza trovarne una convincente. Viene chiesto agli
scienziati di programmare un super-calcolatore in modo da
indicare se sul pianeta esista qualcuno in grado di fornire la risposta giusta. Dopo aver elaborato tutti i dati, a sorpresa, il
«cervellone» suggerisce di rivolgersi a uno sconosciuto hippy.
Esitanti, i capi religiosi si recano da lui per chiedere lumi.
L’hippy è più stupito di loro ma accetta di pensarci su. Concludendo che l’unica risposta veramente onesta è «siamo quello
A
che siamo». E dio, messo alle strette, decide - sempre attraverso
un’interferenza radio-tv - di lasciarci un’altra possibilità.
C’è anche un romanzo pessimista e beffardo dove la catastrofe
non avviene per colpa dei guerrafondai ma… del disarmo. È
L’undicesimo comandamento» di Lester Del Rey, che nel sottotitolo puntualizza: «romanzo di una Chiesa e del suo mondo».
Ecco il paradossale inizio: «La Terra non era mai impazzita fino
al punto di dare deliberatamente inizio a una guerra atomica.
Era stato un incidente. Un grande papa, Clemente XV, aveva
convinto le nazioni al disarmo […] Fu un incidente dovuto all’imprudenza, in uno dei luoghi in cui le armi atomiche venivano
smantellate, a provocare una gigantesca esplosione in un Paese
dell’Europa centrale. Quel Paese si ritenne attaccato a tradimento. […] L’equivoco era stato chiarito in meno di due ore
ma i due terzi del mondo erano stati distrutti. Fra i morti Clemente XV». Tempo dopo, nel 2190, la «Chiesa scismatica americana» impone l’undicesimo comandamento: «crescete e moltiplicatevi». Un nuovo inizio. l
Se volete
leggermi sul mio blog:
http://danielebarbieri.
wordpress.com
maggio 2015 | cem mondialità | 35
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 36
li
ia
d
on
M
M
CE
i
d
e
al
n
io
naz
no
eg
54 Conv
o
tà
INCONTRI LABORATORI
PER ADOLESCENTI E BAMBINI
6 WORKSHOP PER ADULTI
PRESENTAZIONE DI LIBRI
LIBRERIA, MUSICA
TREVI (PG)
23-26 AGOSTO
2015
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 37
TONIO
DELL’OLIO
Possiamo sperare ancora
NON CI È CONCESSO
DI LASCIARE IL MONDO
COSÌ COM’È
APRIRE SENTIERI DI GENERATIVITÀ
relazione di Antonella Fucecchi
LA LUDOTECA
DEL FAI DA TE
nella liberazione?
Percorsi generativi
in chiave socio politica
PER ADULTI E BAMBINI
a cura di Renzo La Porta
Prete della diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, è diventato coordinatore
di Pax Christi nel 1993. È stato tra i promotori di molte campagne,
attività e iniziative sui temi dell’economia di giustizia e del disarmo. Ha
coordinato, tra le altre, la mobilitazione per la difesa della legge 185/90
per il controllo del commercio delle armi, è stato portavoce della Campagna per la pace in Sudan, ha contribuito a costituire la Rete Disarmo
ed è stato tra i promotori della Campagna Italiana contro le mine. Ha organizzato incontri e momenti di dialogo tra rappresentanti di diverse
tradizioni religiose come contributo delle fedi alla costruzione della pace.
Ha organizzato molte mobilitazioni in difesa dei diritti umani, contro la
guerra e per il disarmo.
Come responsabile dell’area internazionale di Libera, partecipa a incontri
internazionali anche presso le istituzioni comunitarie europee e presso
le Nazioni Unite dove a Libera è riconosciuto lo status consultivo. Ha
contribuito a dar vita a Medlink, una rete di associazioni italiane impegnate
nel tessere reti di conoscenza e di promozione dei diritti nel bacino del
Mediterraneo con altre realtà della società civile. Ha promosso la costituzione di una rete europea di organizzazioni di società civile contro le
mafie denominata FLARE (Freedom Legality And Rights in Europe). Ha
dato vita a una rete Latinoamericana per la legalità e contro la criminalità
organizzata denominata ALAS (America Latina Alternativa Social).
Tra i suoi libri
Pace (nella collana «Parole delle fedi»), Emi, Bologna 2009
Parola a rischio. Alla scuola di Bartimeo, Paoline, Milano 2005
Dizionario di teologia della pace, Dehoniane, Bologna 1997 (contributo)
LUOGO DEL CONVEGNO
Hotel della Torre & S.S. Flaminia km. 147
Località Matigge / Trevi (Perugia)
tel. 0742.3971 / fax 0742.391200
www.folignohotel.com / [email protected]
CAFFÈ LETTERARIO
a cura di Lucrezia Pedrali
e Elisabetta Sibilio
CORRISPONDENZE
TRA IL PRIORE
E MARIO LODI
Performance a cura dell’Associazione
culturale «Casa del Gioco e delle Arti»
PALCOAPERTO SLAM
a cura di Candelaria Romero
SOGNO E SON DESTO!
STAVO CAMBIANDO IL MONDO
E HO DIMENTICATO
LA PENTOLA SUL FUOCO
Incontro-spettacolo di e con Michele Dotti
DINO, DIONISO TEPPISTA
Spettacolo e musica di Francesco Chiari
dedicato al poeta Dino Campana
PER INFORMAZIONI E ISCRIZIONI
tel. 030.3772780
[email protected] /cem.saverianibrescia.it
f cemsav t CemMondialita
maggio 2015 | cem mondialità | 37
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 38
app-grade
MARIA MAURA | [email protected]
CHE
SUCCEDE?
I RAGAZZI TRA SOCIAL NETWORK E CHAT:
COMUNICARE EDUCANDO
O EDUCARE COMUNICANDO?
hat’s app?» ovvero
«che succede?». Succede che i ragazzi italiani sono sempre più
connessi, solo uno su
dieci non ha mai avuto accesso ad internet1, gli altri nove utilizzano molto il web per gestire le proprie
relazioni interpersonali. Facebook è il social network più diffuso del mondo,
mentre WhatsApp è l’applicazione di
messaggistica tramite internet più utilizzato. Sei ragazzi su dieci usano WhatsApp regolarmente, il 75% dei ragazzi
ha un profilo su Facebook, ma poiché
spesso anche i genitori e i prof possono
leggere le informazioni delle pagine personali, i social più frequentati sono Instagram, Spotify e ultimamente si fa sempre più strada Weheartit. Questi social
permettono di condividere e commentare immagini e musica senza l’invadenza
dei link e della pubblicità di Facebook e
Twitter, che spesso conducono a spam.
Inoltre la gestione del profilo personale
W
«
e della «sezione notizie» è molto più
semplice e limitata. Per non parlare del
limite di età: fino a quattordici anni non
è possibile iscriversi a Facebook, agli altri
social invece sì. Questi social non vengono usati solo per scambiarsi foto e video, genitori e insegnanti sostengono
che i ragazzi ora copiano i compiti e si
scambiano informazioni sui lavori scolastici tramite WhatsApp. Forse, per aggirare questo ostacolo, basterebbe che
ogni insegnante si interrogasse sulla tipologia dei compiti che assegna a casa:
una versione da tradurre, ad esempio, è
un compito facilmente copiabile, la lettura di un testo e la composizione di domande critiche sull’argomento è un esercizio più personalizzato, oppure reperire
informazioni utili su un argomento per
un massimo di 250 parole…
La preoccupazione maggiore non dovrebbe essere la copiatura dei compiti e
neppure il fatto che chattano così tanto.
La domanda da porsi è: con chi chattano? Uno dei dati più preoccupanti è che
tra i ragazzi connessi, uno su quattro
invia messaggi con video o foto con riferimenti sessuali a gruppi dove non conosce tutti i partecipanti e uno su tre si
dà appuntamento con qualcuno conosciuto solo attraverso questi gruppi. Il
vero problema è educare i ragazzi ad
utilizzare il mezzo digitale in modo responsabile e renderli consapevoli dei rischi. I nativi digitali sono fragili perché
hanno in mano strumenti molto potenti
ma non li sanno sempre usare con lungimiranza e soprattutto hanno accanto
adulti che si trovano nella loro stessa situazione e fanno fatica ad indirizzarli.
L’essere informati e consapevoli favorisce
la responsabilità personale.
In classe possiamo decidere di utilizzare
i social in modo didattico, ad esempio
assegnando ricerche in piccoli gruppi
che possono essere condotte bene anche
grazie all’aiuto delle chat. Oppure si possono creare spazi online (blog, google
drive) o cartelle cloud (dropbox e
box.net) condivisi in cui caricare documenti elaborati insieme perché l’insegnante possa controllarli e correggerli
prima della loro eventuale esposizione.
Le idee sono davvero innumerevoli e non
dipendono strettamente dai social e dalle
chat per avere un buon esito, resta il fatto che questi strumenti in ogni caso,
agevolano la comunicazione e lo scambio di opinioni e materiali. L’educazione
attraverso i media si accompagna sempre
all’educazione all’uso dei media, e oggi
più che mai è un’urgenza sia per gli adulti sia per i giovani. l
1
Fonte: Save The Children, ricerca fatta su un campione
di 1003 ragazzi tra i 12 e i 17 anni, pubblicata in febbraio in occasione del «Safer Internet Day 2015».
38 | cem mondialità | maggio 2015
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 39
crea-azione
A CURA DI NADIA SAVOLDELLI | [email protected]
LA FESTA DEI POPOLI
A BARI
pochi mesi dalle
attività realizzate
nella «Settimana
di azione contro
il razzismo», l’associazione Abusuan organizza a
fine maggio 2015
la Festa dei Popoli, quale conclusione di un percorso che
vede in sinergia comunità
straniere in occasione della
decima edizione della manifestazione, promossa dai Missionari Comboniani di Bari
con l’Ufficio Missionario Diocesano e la Caritas Bari. Spettacoli, giochi e animazioni per
bambini, musica, teatro, arte,
artigianato, gastronomia, cultura e danze dal mondo.
Questa manifestazione interculturale unisce soggetti istituzionali, comunità straniere,
associazioni di ispirazione religiosa e sindacali, cooperative
e Ong mirando a diffondere
il concetto di convivenza tra i
popoli e a far conoscere le diverse realtà culturali che da
anni convivono nel territorio.
Dal 2004 la festa percorre itinerari fondamentali per un
processo di sviluppo interculturale, raccogliendo intorno
a sé un numero considerevole
di soggetti promotori e di
pubblico eterogeneo. Nell’ambito di questo evento, si
è scelto di dedicare ad artisti
A
PER INFORMAZIONI
MISSIONARI COMBONIANI
TEL. 080.5010499
CENTRO INTERCULTURALE «ABUSUAN»
TEL. 0805283361
WWW.ABUSUAN.COM
e gruppi giovanili uno spazio di live
perfomance per presentare i propri
lavori promuovendo così progetti
artistici innovativi aderenti allo spirito della festa, fornendo a talenti
e gruppi l’opportunità di fare festa
insieme al pubblico.
SENSIBILIZZARE LA CITTADINANZA
E I GIOVANI AI TEMI DELL’INTERCULTURALITÀ
E AL VALORE CHE TALI RICCHEZZE
RAPPRESENTANO, NELL’OTTICA DELL’ACCESSO
ALLA DIVERSITÀ E DELL’ACCOGLIENZA,
È UNO DEI PRINCIPALI OBIETTIVI DI QUESTO
MOMENTO CULTURALE.
Anche per la prossima edizione è stato dato
spazio alle scuole protagoniste della festa. Il
Centro Interculturale Città di Bari Abusuan è un
luogo di incontro tra culture e tradizioni di paesi
diversi. Le sue molteplici attività nascono
dall’intenzione di far nascere una società nuova
e un linguaggio capaci di esprimere, costruire e
significare nuove e diverse forme della
convivenza. Promuovendo conferenze, concerti,
spettacoli, incontri letterari e cinematografici,
attività didattiche e formative, si attua
l’obiettivo di informare e conoscere le realtà di
altri popoli, le culture, le storie e i conflitti che
le/ci attraversano. Inoltre si offrono servizi di
informazione e formazione nel campo delle
migrazioni internazionali. Il fine è promuovere la
risoluzione dei conflitti tramite la cooperazione
e la sensibilizzazione ai diritti umani. È per
questo che le attività vanno in due direzioni: il
lavoro nell’ambito della conoscenza e
dell’informazione con festival interculturali di
musica, cinema e teatro (Festival Soulmakossa,
Balafon film, Festa dei popoli, Bari in jazz);
dall’altro il lavoro nell’ambito della formazione e
della scuola con corsi per docenti ed operatori
culturali, attività di educazione al
decentramento cognitivo, laboratori di analisi
della comunicazione mass-mediatica. Le attività
del Centro sono rivolte a tutti coloro che
operano nel campo della cooperazione sociale,
del volontariato, alle amministrazioni locali, agli
assistenti sociali, agli educatori, ai docenti, agli
studenti, ai migranti. Nel quadro di una
strategia complessiva perseguita anche
attraverso la ricerca di sinergie fra le diverse
componenti istituzionali, il Centro è impegnato
con la Prefettura di Bari, in collaborazione con
soggetti pubblici e privati, per attivare nella
provincia centri interculturali quali luoghi di
scambio e di confronto. l
Per la segnalazione
di eventi interculturali
scrivere a
[email protected]
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 40
mediamondo
Mauro Magatti, Chiara Giaccardi
Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi
Feltrinelli, Milano 2015, pp. 148, euro 11
Con questo manifesto per la società dei liberi Mauro Magatti e Chiara Giaccardi invogliano a
cambiare le cose. Un riesame attento, lucido, puntale del concetto di libertà per comprenderne il
senso e allontanare dal non-senso con cui, invece, il più delle volte il termine viene evocato; non accontentandosi delle cose così come sono e prendendo coscienza del fatto che può esistere un
modo migliore e meno superficiale di essere liberi. La libertà richiede vigilanza perché è impegnativa
e necessita di essere valutata come progetto sociale tout-court, considerando l’insita natura
relazionale che possiede. La libertà non può più venire ridotta a mero consumo: essa deve necessariamente essere condotta fuori dal circuito potenza-volontà di potenza in cui l’abbiamo intrappolata
e in cui noi siamo finiti preda di quello che Bateson definisce «doppio legame», ovvero un meccanismo
in cui l’individuo deve essere se stesso e allo stesso tempo aperto a tutte le possibilità, dove deve
scegliere e contestualmente non credere a niente, in cui deve godere ma anche performare. Una
libertà privata di qualsiasi punto di riferimento finirebbe per autocondannarsi all’annichilimento,
come ben evidenziano Benasayag e Schmit quando affermano che «là dove è tutto possibile, nulla
esiste». «Siamo pieni di cose, di esperienze, di relazioni, - affermano Magatti e Giaccardi - ma perfettamente vuoti e
soli». Una libertà mancante di senso del futuro, ripiegata su
Siamo pieni
se stessa, che risucchia e annulla l’altro non può essere vera
di cose,
libertà; da qui la sfida di liberarla, di renderla libera in modo
autentico; di più: di farla essere generativa. La generatività
di esperienze,
allora come soluzione, impegnativa, ardua ma rigogliosa,
di relazioni,
dal profumo utopistico. Generatività che al contrario del
ma perfettamente
consumo non incorpora ma escorpora, che non prende ma
vuoti e soli
dà; generatività come ciò che è in grado di mettere al mondo,
di dar vita, di far essere. Generatività che ci crede, che si impegna, che sa sperare, che esce dalla logica del «tutto subito»,
che intraprende e attende. Non a caso il generare opera in una prospettiva deponente e transitiva,
facendo proprie le attività del desiderare, del mettere al mondo, del prendersi cura e del partorire;
per ognuna di queste declinazioni, attraverso cui la generatività si esplica e si concretizza, gli
autori forniscono una spiegazione che, partendo dall’etimologia dei termini presi in considerazione,
ne scava il significato profondo unendo all’assunto teorico quello pragmatico, perché niente
rimanga solo una bella parola ma tutto prenda la forma di un’iniziativa possibile, pronta a partire.
L’aspetto straordinario di questo «manifesto», che non solo dovrebbe essere letto da tutti ma su
cui tutti dovremmo riflettere, sta nel’esame della miriade di elementi che entrano in gioco quando
si tenta di proporre una soluzione a un problema, che è la conquista della nostra libertà, di quella
degli altri, della società.
Andrea Canevaro
Nascere fragili
EDB, Bologna 2015, pp. 120, euro 12
Il professor Canevaro, ospite al convegno CEM 2014, è una delle più importanti voci della
pedagogia italiana ed europea, e ha dato contributi fondamentali nell’ambito dello studio e della
ricerca su come affrontare le disabilità. Con questo volume va addirittura oltre. Nascere fragili è
una riflessione a tutto tondo sulla natura umana, con spunti filosofici, sociologici, pedagogici,
politici, considerati all’interno di una «narrazione» piana e convincente. Una disamina di come
dovremmo andare al di là dello scontato dualismo normale/anormale per aprirci allo scenario
delle infinite diversità che sono anche ricchezze e potenzialità. Anche la fragilità, tanto rifiutata
in questo mondo di vincenti, può essere una possibilità creativa se viene accettata e accolta come
realtà fondante dell’essere umano, realtà che coinvolge pienamente i processi educativi e le
pratiche di cura di sé e degli altri. (Marco Valli)
40 | cem mondialità | maggio 2015
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 41
mediamondo
Aa. Vv - Associazione 46 paralleli
Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo
Sesta ed., Terra Nuova, Firenze 2015, pp. 248, euro 20
Un volume che turba le coscienze, ma che non dovrebbe mancare nella biblioteca di ogni scuola per
aiutarci a capire gli scontri e le guerre che ci circondano e minacciano. Studiare le guerre per cercare
di costruire la pace è il pensiero retrostante a questo documentatissimo volume ideato dal giornalista
della Rai Raffaele Crocco, che analizza tutte le guerre in atto nel mondo, cerca di spiegarne le cause
e i tentativi di arrivare alla pace, ne presenta i protagonisti e documenta il tutto con cartine geopolitiche
e fotografie. Le schede, compilate da giornalisti di varie testate italiane, hanno in premessa un
rapporto a cura di Amnesty International sulla stato dei diritti civili e umani e i rapporti sulle missioni
Onu in corso, la situazione dei beni artistici e ambientali a cura dell’Unesco e la situazione di profughi
e rifugiati a cura dell’Unhcr. Un volume imperdibile per chi vuole informarsi ed informare, per
educatori, giornalisti e storici. (m.v.)
Tiziano Terzani
Le parole ritrovate
La Scuola, Brescia 2015, pp. 124, euro 9,50
Tiziano Terzani dopo l’11 settembre fu il primo a proporre, polemizzando anche con Oriana Fallaci,
il dialogo e la comprensione delle altrui idee come unico mezzo per evitare e le guerre e, pur
malato, iniziò un «pellegrinaggio» per portare il suo messaggio di pace. Tiziano girò l’Italia visitando
scuole, parrocchie, centri sociali, librerie, portando ovunque la sua proposta di pace e di dialogo
interculturale, ora esce un volumetto che raccoglie alcune di quelle conferenze con l’aggiunta di
alcune foto inedite e di una intervista a suo figlio Folco. Una testimonianza agile e attualissima,
che ci spinge a riflettere sulle nostre responsabilità di occidentali nelle guerre attuali e a rivedere
pregiudizi e luoghi comuni. È una gioia ritrovare la voce di Tiziano, il suo acume e la sua saggezza
ma anche la sua toscana ironia. (m.v.)
Walter Kasper
Papa Francesco.
La rivoluzione della tenerezza e dell’amore
Queriniana, Brescia 2015, pp. 136, euro 13
Che papa Francesco sia una personalità spirituale di altissimo rilievo che coinvolge credenti e non
credenti è un fatto, la mole di libri pubblicati su di lui lo dimostra, anche se non sempre si tratta
di opere di grande qualità. Non è certo il caso del libro del cardinale Walter Kasper, che svolge
una veloce ma profonda disamina delle
basi teologiche del messaggio di papa
Francesco e delle ricadute pastorali. «Papa
Papa Francesco unisce
Francesco annuncia il messaggio sempre
la continuità nei confronti
valido del Vangelo nella sua eterna novità
della grande tradizione
e freschezza, senza ridurlo a un qualche
della Chiesa con quel
schema preconfezionato. Papa Francesco
rinnovamento
unisce la continuità nei confronti della
che
sa
incessantemente
grande tradizione della Chiesa con quel
sorprendere
rinnovamento che sa incessantemente sorprendere. Delle sue sempre nuove sorprese
fa parte anche l’imbarazzante programma
di una Chiesa “povera per i poveri”. Non è un programma liberale, ma un programma radicale radicale nel senso originario della parola, perché significa un ritorno alle radici. Questo riandare
alle origini non è tuttavia ripiegamento sul passato: è una forza per un inizio coraggioso rivolto
al domani. È la rivoluzione della tenerezza e dell’amore» (W. Kasper). (m.v.)
maggio 2015 | cem mondialità | 41
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 42
mediamondo
Stefan Hertmans
Guerra e trementina
Marsilio, Venezia 2015, pp. 303, euro 18
L’arte, la bellezza possono salvarci dagli orrori, dalle ferite della guerra? Può la vocazione artistica
mantenere umano un soldato nelle trincee della prima guerra mondiale? Le pagine del diario che
Urbain Martien, ormai novantenne, consegna al nipote poco prima di morire contengono il
secolo forse più duro della storia dell’umanità.
Parlano di un ragazzino di Gand (Belgio) che
Un romanzo che si nutre sognava di fare il pittore e che lo scoppio della
della testimonianza di Prima Guerra Mondiale ha trascinato su uno
chi ha vissuto l’orrore dei fronti più crudeli del conflitto. Anche cirdelle trincee, per poi condato da morte e fango, sotto un cielo inficarico di quelle nuvole che tanto solleciritrovarsi a vivere nelle nito,
tano la sua fantasia, Urbain non abbandonerà
trincee dei propri ricordi mai il disegno. Quando il tempo sembra fermarsi, nella luce surreale della piana dell’Yser,
l’arte lo aiuta a placare il pianto del mondo che va in pezzi intorno a lui. Riscrivendo la vita di
Urbain Martien, Hertmans costruisce un romanzo che si nutre della testimonianza di chi ha
vissuto l’orrore delle trincee delle Fiandre occidentali, per poi ritrovarsi a vivere nelle trincee dei
propri ricordi. Un romanzo ben scritto, che ci pone di fronte alla tragedia della guerra e al
miracolo della bellezza che sola, forse, può salvarci. (m.v.)
Olga Focherini
Questo ascensore è vietato agli ebrei
a cura di Odoardo Semellini
Edb, Bologna 2015, pp. 144, euro 12
Durante la seconda guerra mondiale fu attiva a Carpi (Mo) una rete clandestina che salvò centinaia
di ebrei perseguitati dai nazifascisti, grazie a uomini e donne di diverse idee e fedi. Fra loro Odoardo
Focherini, deportato a Hersbruck dove morì. Oggi è «giusto fra le nazioni» (per Israele), medaglia
d’oro al valor civile e, dal 2013, Beato della Chiesa cattolica. La sua storia è qui raccontata dalla
figlia Olga che fu tra le fondatrici dell’Associazione amici del «Museo-monumento al deportato» di
Carpi. Faccio mio l’invito di Moni Ovadia: «mi permetto di suggerire di leggerlo e di farne dono al
maggior numero possibile di persone». Non bisogna credere che Odoardo Focherini fosse un eroe
solitario, era «un uomo attivo in un’organizzazione con altri generosi come lui». Il libro ricorda
come, fra tanti italiani che collaborarono allo sterminio, vi fu chi si oppose: come il medico Giovanni
Borromeo che si inventò il contagioso «morbo K» e tenne in isolamento (cioè nascose) gli ebrei, salvandoli da morte sicura. (Daniele Barbieri)
Erri De Luca
La parola contraria
Feltrinelli, Milano 2015, pp. 62, euro 4
Erri De Luca, scrittore, poeta, studioso laico della Bibbia, è stato denunciato alla magistratura per
aver detto in un’intervista che le popolazioni della Val Susa hanno il diritto di cercare di sabotare
l’alta velocità che lo Stato cerca di imporgli. Dalla vicenda nasce questo piccolo saggio in cui De
Luca non solo difende le proprie tesi ma riflette anche sulla negazione della parola che non sia acquiesciente col potere ricordando casi letterari famosi da Goethe a Rushdie. In uno Stato democratico
un letterato può parlare contro il potere o deve rimanere in silenzio? Perché la sua frase lo porta in
tribunale mentre frasi ben più cruente di politici o giornalisti non danno adito a procedimenti
penali? Poche pagine dense e piene di passione civile e intellettuale che vale la pena di leggere indipendentemente che si concordi o meno con le idee di De Luca. (m.v.)
42 | cem mondialità | maggio 2015
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 43
nuovi suoni organizzati
LUCIANO BOSI
TROBADORS
FABULOUS
DECENTRAMENTO E GLOCALISMO
PER UNA MAGGIORE
DEMOCRAZIA CULTURALE
en ritrovate e ben ritrovati. Continuando sul tema della protesta sociale
in musica, mi reco in Occitania, nel sud della
Francia, per raccontare
un po’ dei Fabulous Trobadors, un ottimo duo di
cantastorie etno-rap. Ho incontrato la
loro musica oltre 10 anni fa, e da allora
è stata per me un tiramisù sonoro: bastano poche battute di uno dei loro
brani per farmi riacquistare energia e
voglia di vivere. Il loro stile espressivo,
dall’impronta rap e raggamuffin, è caratterizzato dal tenzone, uno scambio
di componimenti poetici in forma di
botta e risposta utilizzato dai trovatori
occitani in epoca medievale. Altra peculiarità che rende unici e transculturali
i duetti verbali è quella di accompagnarsi con il solo ritmo di due tamburelli; pratica adottata dopo un viaggio
nel nord-est del Brasile, dove hanno
scoperto gli emboladores do nordeste,
cantastorie che si accompagnano con
il ritmo del proprio pandeiro (tamburello). Claude Sicre scrive i testi e sostiene la parte vocale principale, mentre Jean-Marc Enjalbert, in arte AngeB,
oltre al dialogo-contrappunto vocale,
agisce anche da beatbox, producendo
con la voce un’infinità di suoni ritmici,
acustici ed elettronici. I testi di Claude,
inizialmente solo in occitano, negli anni sono stati sostituiti in parte con testi
in francese. Sono testi impegnati,
orientati a sostenere la decentralizzazione culturale, provocatori e critici nei
confronti del pensiero unico che il li-
B
berismo e la globalizzazione di mercato ci propinano.
Già nel 1988, con l’idea di sparigliare
il convenzionale, lo stesso Claude scrisse un libro dal titolo Vive l’Américke!,
con un sottotitolo provocatorio e significativo: quelques idees blues pour
colorier la France (idee blues per colorare la Francia). Buon ascolto e divertimento a tutte e a tutti e tenete d’occhio le rassegne estive: pare che
quest’estate li potremo ascoltare in
Italia in concerto!
QUI ED ORA...
MA NON SOLO
(continua…) Il secondo disco paulista
che dall’estate scorsa ruota spesso
nei miei lettori cd è Metal Metal, dei
Metà Metà, una delle formazioni più
significative dell’attuale scena di San
Paolo. Se il Brasile, a livello mondiale,
rappresenta oggi un contesto tra i
più innovativi nell’ambito dei
meticciamenti sonori, e più in
generale delle avanguardie, questo
disco ne è un esempio perfetto. Le
nostre orecchie devono qui adattarsi
a continui cambi, anche repentini, di
colori e sapori sonori che spaziano
tra samba, jazz, rock e generi di ogni
dove, ma anche tra sonorità distorte,
ipnotiche, ripetitive o semplicemente
lineari. Non mancano gli echi e le
citazioni al candomblé afrobrasiliano,
tra i quali Baj, il brano di apertura,
dedicato come si conviene a Exu
(Eshu in Nigeria, terra d’origine del
pantheon Yoruba); è infatti a lui che
si deve il primo tributo di ogni
cerimonia. La cantante Juçara Marçal,
il chitarrista Kiko Dinucci e il
sassofonista Thiago França, fondatori
del gruppo, sono qui coadiuvati da
altri ottimi musicisti, tra i quali
spicca, anche per notorietà, Tony
Allen, il batterista nigeriano ideatore
negli anni ’70 del ritmo afrobeat,
trainante pulsare reso poi noto al
mondo dal grande Fela Kuti.
DISCOGRAFIA
Èra pas de faire, Roker
Promocion/Massilia Sound System,
1992
Ma Ville est le plus beau park,
Mercury/Philips, 1995
On the Linha Imaginòt,
Mercury/Philips, 1998
Duels de tchatche et autres trucs du
folklore toulousain, tôt Ou
tard/Warner Europe, 2003
IL DISCO
Metà Metà, Metal Metal,
Mais Um Discos, 2014
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 44
saltafrontiera
LORENZO LUATTI | [email protected]
PRENDERSI CURA
DELL’ALTRO
l rispetto, la generosità, l’attenzione per l’alterità, la capacità di
prendersi cura dell’altro e di riconoscere la fragilità, negli altri e in
sé, sono processi, atteggiamenti
e competenze che vanno stimolati
fin da piccoli e poi coltivati nel
corso di tutta la vita. Nei libri per
bambini l’amore per il prossimo trova
una relazione privilegiata con il mondo
animale, dove un piccolo episodio di vita
quotidiana, magicamente, può narrare
una storia più grande, dai toni universali,
anche grazie all’uso sapiente del disegno
e del colore che riescono a dire ciò che
non viene detto a parole.
Fasciarlo, nutrirlo, costruirgli un ricovero
di fortuna con una vecchia scatola tutta
forata e foderata di giornale, sono le prime attenzioni, le prime cure che Billy e i
suoi genitori - nell’albo di Bob Graham
Come curare un’ala spezzata (il castoro,
pp. 40) - rivolgono ad un povero colombo ferito. Il riposo e il tempo, nonché
un pizzico di speranza, faranno il resto,
prima che l’uccello ormai guarito possa
riacquistare la libertà. Da un medesimo
I
44 | cem mondialità | maggio 2015
episodio, l’ala contusa di un uccellino,
prendono il via le storie narrate in due
splendidi albi pubblicati da orecchio acerbo: I giganti e le formiche (pp. 40) di
Cho Won hee, dove due enormi esseri
umani ci insegnano a proteggere la natura e a farsi proteggere da essa, a non
farsi ingannare dalle apparenze e a non
essere forti con i deboli.
Al contrario, Tuttodunpezzo (Topipittori,
pp. 40), il protagonista del libro di Cristina
Bellemo e André da Loba, esprime la noncuranza e l’egoismo di chi si sente forte,
non ha mai dubbi sulle cose da fare e
non dimentica mai niente. Non presta il
suo cuore, non perde tempo e anche le
idee le tiene per sé, visto che è tuttodunpezzo. Finché un giorno camminando in
un bosco cade in una grande buca e avviene l’imprevedibile, l’irreparabile: si rompe in tre pezzi. E allora la prospettiva
cambia. Ora sono tre pezzi, sono una piccola comunità di pezzi che si aiutano l’un
l’altro per uscire da quella profonda buca. Tre albi preziosi, dunque, che sotto
metafora sembrano dirci, tra le molte
altre cose, che nella vita, dopo essere caduti e magari con l’aiuto di qualcuno, ci
si può sempre rialzare, con qualche consapevolezza in più, e trasformati.
Un racconto delicato che infonde sicurezza, che lascia avvertire amore e accoglienza, condite da un pizzico di avventura è La gatta vagabonda di Aino Pervik
e Catherine Zarip (Sinnos, pp. 30). Un
albo fresco e semplice, di piccolo formato, che racconta la vita di una mamma
gatta vagabonda e dei suoi micini che
dopo aver superato insieme alcuni eventi
imprevisti e rischiosi, si scoprono cresciuti
e fortificati, ed anche più autonomi.
Infine una storia senza parole, Guarda
Guarda (Carthusia, pp. 40) di Emanuela
Nava e Chiara Bongiovanni, fatta di
sguardi e immagini che parla di diversità
e integrazione, di scoperta e amicizia.
Due cuccioli, una giraffa e un ghepardo,
si incontrano nella savana. Dopo un primo momento di diffidenza, il piccolo
ghepardo, nascosto tra le fronde di un
grande cespuglio, decide di uscire alla
scoperto, incuriosito dall’atteggiamento
della giraffa, impegnata a riempire un
secchio d’acqua e a trasportare un lungo
spazzolone. Insieme porteranno a termine una importante missione: lucidare
il cielo e le stelle, scoprendo gli astri e le
storie del mondo. l
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 45
cinema
LINO FERRACIN | [email protected]
torneranno i prati
LA TRAMA. Inverno
nuovo ordine del Comando, gli altri restano a seppellire i morti. Attorno la natura silenziosa fa da scenario all’assurdità
della guerra e alla follia degli uomini.
IL FILM. C’è una luna solare ad illuminare
le vette e i declivi attorno a quella postazione, c’è una luna crudele a denudare di ogni ombra di difesa quell’avamposto coperto di neve. Ci sono occhi attenti e pensosi che da feritoie controllano
e guardano un leprotto o una volpe tranquilla ai piedi di un larice spoglio. Ma
Regia, soggetto e sceneggiatura
Ermanno Olmi
(collaborazione alla regia
di Maurizio Zaccaro)
Interpreti
Claudio Santamaria, Igor Pistollato,
Alessandro Sperduti, Niccolò Senni,
Francesco Formichetti, Franz Stefani,
Andrea Di Maria, Andrea Frigo,
Camillo Grassi, Domenico Benetti,
Andrea Benetti.
Italia, 2014; 80min.; 01 Distribution.
IN QUEL PICCOLO SPAZIO, SUGLI
ALTIPIANI, SOLI, GLI UOMINI
RIESCONO AD UCCIDERSI LO STESSO,
CON UNA MORTE CHE ARRIVA
IMPROVVISA, TEMUTA, ATTESA MA
IMPROVVISA; MORTE COSTRUITA DA
UN NEMICO CHE NON SI VEDE MAI E
DAGLI ORDINI FOLLI DI COMANDANTI
ALTRETTANTO LONTANI E INVISIBILI
basta un rombo di cannone lontano perché la volpe fugga o uno scoppio più vicino perché il larice, oggetto dorato dei
sogni di un fantaccino, bruci nella notte.
C’è anche una voce di uomo che canta
e svela la bellezza del tutto, suscitando
applausi e grazie anche dai nemici invisibili. Ma ci sarà il bombardamento e la
morte dei compagni a far tacere il cuore
di quella voce perché svuotato della gioia
necessaria perché un canto d’amore si
alzi di nuovo. E c’è il dentro, il sotto con
quel pugno di uomini terrei come il legno
dei soffitti, come le coperte fredde, come
le gamelle vuote e il pavimento sabbioso.
E lì dentro, lì sotto l’uomo è comunque
maggio 2015 | cem mondialità | 45
NOTA STORICA
1917, sugli altipiani
del Fronte Nord-Est, in un avamposto
isolato, coperto dalla neve, un maggiore
porta un ordine del Comando di Divisione: attivare un nuovo punto di osservazione sulle linee nemiche. Un ordine
impossibile in quei giorni di plenilunio
per la presenza tra i nemici invisibili di
un formidabile cecchino. Di fronte all’ottusità dei superiori e alle sue conseguenze nefaste, il capitano dell’avamposto rinuncia al suo comando ed al suo
grado. Un tenentino appena arrivato lo
sostituirà in quella notte tragica di attesa
e di feroci bombardamenti. Al mattino
mentre il grosso dei soldati si ritira su
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 46
cinema
IL REGISTA
Olmi nasce nel 1931 a Bergamo, ma
vive e cresce a Milano; assunto dalla
Edisonvolta, inizia la sua attività di
documentarista. Negli anni 19531961 gira una trentina di
documentari che hanno al centro il
rapporto tra l’uomo, le sue opere e la
natura. Dal 1959 i suoi film
continuano la sua attenzione per gli
umili, il quotidiano, la natura, lo
scontro tra vita e morte, tra potere e
valori. Ricordiamo i titoli che più ci
restano dentro: E venne un uomo
(1965), I recuperanti (1970), L’albero
degli zoccoli (1978),
Camminacammina (1982), La
leggenda del santo bevitore (1988),
Il segreto del bosco vecchio (1993),
Il mestiere delle armi (2001),
Centochiodi (2007), Il villaggio
di cartone (2011). Nel 2008 riceve a
Venezia il Leone d’Oro alla carriera.
Una volta precisò di non essere
un cineasta cristiano ma «aspirante
cristiano».
GLI ALTRI FILM
DI OLMI
SULLA GUERRA
I recuperanti (1970)
Tornato al paese nel ’45 dalla
prigionia, Gianni non trova altro
lavoro che quello di andare a
cercare sull’altopiano i residuati
metallici della Grande Guerra. A
guidarlo in quel lavoro pericoloso
è il vecchio Du che legge ancora su
quei campi i segni di quella brutta
bestia che è la guerra.
Il mestiere delle armi (2001)
Novembre 1526, 18 mila
lanzichenecchi di Carlo V puntano
su Roma mentre il capitano di
ventura, Giovanni dalle Bande Nere,
alleato del pontefice Clemente VII,
cerca di bloccarne il passaggio oltre
il Po. Rallentato e indebolito dai
tradimenti dei Gonzaga e di
Alfonso d’Este, Giovanni è sconfitto
sul campo anche grazie ad una
nuova arma da fuoco. Ferito e
amputato, morirà dopo quattro
giorni all’età di 28 anni. Le ultime
ore esaltano la forza d’animo e la
dignità del giovane guerriero di
fronte alla morte.
Cantando dietro i paraventi (2003)
Fine Settecento, mari della Cina.
Per vendicare l’avvelenamento del
marito, la vedova Ching si
trasforma in una temutissima
piratessa capace però di accettare
l’offerta di pace del nemico
deponendo le armi. Un film di
pace sulla guerra.
in balia di ordigni sparati da cannoni
mai visti e di ordini altrettanto assassini
come quelli che arrivano per telefono da
un Comando lontano. E il dentro è raccontato da un obiettivo chiuso, stretto,
con colori umani, sporchi, grigi senza la
vita di colori a connotare l’attesa di morte, gli incubi febbricitanti, la paura, la
follia, la morte, la dignità, il coraggio.
E c’è l’altro obiettivo, quello di fuori, di46 | cem mondialità | maggio 2015
stante, aperto, spettatore e giudice insieme, a scandire l’eterno lentissimo quasi immobile scorrere del tempo e la bellissima dominante indifferente presenza
della natura, che appena abbassa il ciglio
a guardare quel rumoroso, inutile, ridicolo affannarsi ed ammazzarsi dell’uomo, formichina che a fatica esce scavando dalla tana a tracciare un sentiero tra
la neve che la notte di nuovo tutto ha
ricoperto. Ma se quel Dio, che non ha
ascoltato il grido del figlio sulla croce,
ancora non ascolta l’invocazione o la
bestemmia di quegli uomini sconvolti
da scoppi e tremori, perché dovrebbe la
natura? Tanto i prati torneranno e tutto
col tempo sarà dimenticato.
In quel piccolo spazio, sugli altipiani, soli,
gli uomini riescono ad uccidersi lo stesso,
con una morte che arriva improvvisa, temuta, attesa ma improvvisa; morte costruita da un nemico che non si vede mai
e dagli ordini folli di comandanti altrettanto lontani e invisibili. Questi uomini,
assediati e circondati da un paesaggio
di favola, che desiderano e sognano ma
che non possono avvicinare e godere,
sono immagine di una umanità che non
riesce a vivere a pieno il mondo perché
circondata di morte e di nemici che essa
stessa ha educato, addestrato e armato.
Olmi è tornato sui monti dei suoi Recuperanti per riparlare di guerra ma a differenza de Il mestiere delle armi, dove
in una scena potente un vecchio prete,
trascinando sulle spalle un grande crocifisso, grida ai soldati, che entrano predoni in città, di fermarsi per non scatenare l’ira di Dio, qui Olmi non grida ma
accumula parola dopo parola, gesto dopo gesto, momento dopo momento
un’accusa totale alla guerra, a tutte le
guerre non solo a quella su quell’altopiano che volutamente non ha né nome,
né luogo, né data.
E dopo la morte dal cielo, e dopo l’ordine
di ritirata, mentre un fila di superstiti si
allontana dall’avamposto, i restanti scavano fosse. E ancora l’angosciante ritmo
dello scavo di mina sotto la roccia al fondo del rifugio; i volti e i nomi di quelli
che non possono più ormai leggere le
lettere da casa; l’invocazione di morte
del ferito stanco; l’impossibilità di cantare
ancora; la lettera del tenentino alla madre; la neve e, tra i fiocchi fitti, immagini
d’epoca che mostrano attacchi, reticolati,
feriti e morti, vittoria, volti esultanti, cortei festanti, re, palazzi del potere, croci
sghembe o spezzate e sui titoli di coda
un lontano silenzio di ordinanza a chiedere meditazione e porre domande. l
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 47
i paradossi
arnaldo de vidi
[email protected]
Lezione di civiltà
anzi di etnocentrismo
ex Primo Ministro dell’Australia, John Howard
(1996-2007), ha dichiarato: «... Sono stanco che
questa nazione debba preoccuparsi di sapere
se offendiamo alcuni individui o la loro cultura. La nostra
cultura si è sviluppata attraverso lotte, vittorie, conquiste
portate avanti da milioni di uomini e donne che hanno
ricercato la libertà. La nostra lingua ufficiale è l’inglese,
non lo spagnolo, il libanese, l’arabo, il cinese, il giapponese... Di conseguenza, se desiderate far parte della nostra società, imparatene la lingua!
La maggior parte degli australiani crede in Dio. Non si
tratta di obbligo di cristianesimo, d’influenza della destra
o di pressione politica, ma è un fatto, perché degli uomini
e delle donne hanno fondato questa nazione su
dei principi cristiani e
questo viene ufficialmente insegnato. È quindi appropriato che questo si
veda sui muri delle nostre
scuole. Se Dio vi offende,
vi suggerisco allora di
prendere in considerazione un’altre parte del mondo come vostro paese di
accoglienza, perché Dio
fa parte delle nostra cultura. [...]
Questo è il nostro paese;
la nostra terra e il nostro
stile di vita. E vi offriamo
la possibilità di approfittare di tutto questo. Ma
se non fate altro che lamentarvi, [...] allora vi incoraggio fortemente ad approfittare di un’altra grande
libertà australiana: il diritto ad andarvene. [...] Non vi
abbiamo forzati a venire qui, siete voi che avete chiesto
di essere qui. Allora rispettate il paese che vi ha accettati.
Prendere o lasciare».
L’
Howard ha di mira i musulmani che vogliono vivere secondo la sharia: essi devono lasciare l’Australia e questo
allo scopo di prevenire e evitare eventuali attacchi terroristici. È combattere il terrorismo... con altro terrorismo. Allora siamo perduti, tutti perduti. Ma, sgomento!,
l’amico che mi ha girato la dichiarazione di Howard ha
messo come titolo «l’Australia dà lezione di civiltà a
tutto l’Occidente!». Immagino che la lezione sarebbe
duplice: di fede e di coraggio.
La fede è spesso invocata come elemento di identità.
Ma quale fede? Pare che Howard ignori un fatto: i musulmani credono in Dio, non sono né pagani né atei. Dio
(o Allah) fa parte della loro cultura più che della nostra.
Dire che la nazione australiana è fondata su principi cristiani e che questo è ufficialmente insegnato, sa molto di
religione di Stato, vizio che si vuole combattere. Bisogna
poi vedere quale Dio si adora: un Dio che propone esclusione o inclusione? Regni terrestri o il Regno di Dio?
Il coraggio di opporsi al nemico è stato un imperativo
nei secoli che hanno visto il sorgere e consolidarsi delle
nazioni. Il jus soli, jus sanguinis (diritto al suolo per una
determinata etnia) ha portato dei vantaggi (come il welfare state del governo per il benessere dei cittadini).
Ma ha decimato i popoli, riempendo ossari e cimiteri
dei caduti. Ha anche favorito l’etnocentrismo; e la dichiarazione di Howard è, di fatto, una lezione sì, ma di
etnocentrismo.
Chissà?, siamo all’alba di un tempo di superamento
degli stati-nazione, preconizzato dalla famosa frase di
Ugo di San Vittore (che ho già citato altre volte):
«L’uomo che trova dolce
la sua patria non è che
un tenero principiante;
colui per il quale ogni
terra è come la sua propria
è già un uomo forte;
ma solo è perfetto colui
per il quale tutto il mondo
non è che
un paese straniero».
cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 48
la pagina
dei girovaghi
Massimo Bonfatti è il creatore
della serie dei Girovaghi,
una strampalata famiglia agli antipodi
della famiglia modello:
una vera riflessione sul tema della diversità.
www.massimobonfatti.it - [email protected]
cem_maggio_2015_copertina 14/05/2015 14:44 Pagina 3
cem_maggio_2015_copertina 14/05/2015 14:44 Pagina 4
d
on
M
EM
C
i
d
le
a
on
zi
a
N
o
n
g
ve
54° Con
ialità
Trevi (Pg), 23-26 agosto 2015
ca limitare
Essere generativi signifi
logiche
l’egoismo, produrre con
re
di sostenibilità, rispetta
,
i giusti tempi del vivere
rio orizzonte
rico mprendendo nel prop
ssato
il rapporto fecondo tra pa
e futuro, consapevoli che
iare
«non ci è concesso di lasc
il mondo così co m’è»
(J. Korczak)
Luogo del convegno
Hotel della Torre
S.S. Flaminia km. 147
Località Matigge, Trevi (Perugia)
tel. 0742.3971 / fax 0742.391200
www.folignohotel.com
[email protected]
Per informazioni e iscrizioni
tel. 030.3772780
[email protected]
cem.saverianibrescia.it
f cemsav / t CemMondialita
con la partecipazione di
TONIO DELL’OLIO
ANTONELLA
FUCECCHI
MICHELE DOTTI
RATORI
INCONTRI LABO
NTI E
PER ADOLESCER
OP PER
BAMBINI 6 WONTKASZHIO
NE
ADULTI PRESERIA MUSICA
DI LIBRI LIBRE