Pietro Mercatali, Atti normativi. Criteri per l`individuazione e la

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Pietro Mercatali, Atti normativi. Criteri per l`individuazione e la
Istituto di Teoria e Tecniche dell’Informazione
Giuridica
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Atti normativi
Criteri per l’individuazione e la
descrizione
a cura di Pietro Mercatali
Firenze - 2003
Rapporto tecnico n. 2/2003
Atti normativi
Criteri per l’individuazione e la descrizione
1. PREMESSA......................................................................................................3
2. DEFINIZIONE DI ATTO NORMATIVO..............................................................5
2.1. Le fonti del diritto.......................................................................................................5
2.2. Atti normativi dell’ordinamento italiano..................................................................5
2.3. Cosa s’intende per atto...............................................................................................5
2.4. Cosa s’intende per normativo....................................................................................6
3. CRITERI DISTINTIVI DA ATTI NON NORMATIVI............................................7
3.1. Criteri generali giuridico-sostanziali.........................................................................7
3.1.1 Effetti specifici degli atti normativi........................................................................8
3.2. Criteri generali formali............................................................................................10
3.2.1. Autoqualificazione dell’atto come normativo in base a regole che legittimano
tale qualificazione..........................................................................................................10
3.2.2. Suddivisione in articoli........................................................................................11
3.2.3. La pubblicazione legale.......................................................................................11
3.2.4. L'autorità emanante..............................................................................................16
3.3. Criteri e osservazioni sul metodo documentario....................................................16
3.4. Sintesi e successione dei criteri................................................................................18
1. Premessa
Questione centrale per la strutturazione degli atti normativi in linguaggio XML e per il
loro recupero in rete è:
quali sono i confini dell’atto normativo?
Per dare una risposta, o meglio, per disporre di criteri per formulare delle risposte, di
volta in volta, su categorie di atti e su singoli atti è indispensabile fornire una rassegna
delle indicazioni che si ricavano dalla legislazione e dalla dottrina. Prima di metterla a
disposizione di chi prepara i modelli per la strutturazione e di chi dovrà selezionare gli
atti normativi da strutturare è opportuno fare alcune premesse.
1. Lo scopo di tale rassegna non è quello di offrire una definizione di atto normativo ai
fini della sua formazione e applicazione, ma di rendere accessibili in rete a chiunque
documenti che contengono atti normativi.
2. Sappiamo già che una rassegna della legislazione e della dottrina non è sufficiente a
delineare confini certi dell’atto normativo, data la frammentarietà delle indicazioni
legislative e il dibattito sempre aperto in dottrina. D’altra parte il moderno concetto di
soft law fa ritenere tali confini continuamente mobili. Le indicazioni ricavabili da dottrina
e legislazione andranno quindi integrate con criteri documentali, come indicato, e anche
con criteri pratici e di buon senso.
3. Certamente il problema della definizione dei confini dell’atto normativo si pone con
maggior intensità per gli atti emanati da quelle autorità che affiancano ai loro compiti
principali di natura amministrativa o giurisdizionale, anche potestà normative, spesso non
ben delineate e non distinguibili dalle prime ( si può ricordare la delicatissima e
controversa questione della natura degli atti della Corte costituzionale). Il problema si
pone anche per le autorità che hanno come compito principale l’esercizio della potestà
normativa, seppure, per così dire, a fattori rovesciati. Infatti se da una parte il carattere
dei loro atti principali è chiaramente e esplicitamente indicato come normativo, non
altrettanto si può dire per atti che derivano da funzioni secondarie o serventi svolte da tali
autorità.
I criteri generali che abbiamo già delineato sono i seguenti:
"Saranno oggetto di strutturazione quegli Atti di Autorità varie che
rispondono ad un triplice criterio documentale:
A)
sono stati emanati da un'Autorità facente parte di un elenco approvato
e
B)
sono destinati ad essere pubblicati nella Gazzetta ufficiale
C)
ad eccezione di quegli Atti che, dal loro titolo o dal loro contenuto, sono
palesemente e manifestamente Atti non normativi e precisamente:
Ordinanze, Autorizzazioni, Pareri, Segnalazioni, Nomine, Bilanci interni,
Atti riguardanti singole società.
Invece quindi di usare un bilancino per decidere, di volta in volta, se il contenuto
degli Atti era o no sufficientemente normativo (esempi di casi totalmente incerti: GU
17.4.00, p. 57 ss. o GU 21.4.00, p. 63 ss.), si è deciso di adottarli in blocco, escludendo
tuttavia con l'ultimo criterio "negativo" quegli Atti che, stavolta con certezza, non sono
sicuramente normativi. Tutta questa impostazione presuppone l'idea di fondo, già
accennata, di confini "mobili" della Norma”.
4. I criteri indicati restano la base per l’individuazione degli atti normativi emessi da
autorità (da elencare) che svolgono funzioni normative sia in via principale, sia in via
secondaria o residuale.
Per poterli meglio precisare e utilizzare sembra utile rispondere alle seguenti domande:
a. Cosa non è atto normativo tra ciò che è pubblicato in Gazzetta ufficiale?
b. Esistono atti normativi non pubblicati in Gazzetta ufficiale?
c. Come determinare gli atti palesemente e manifestamente non normativi
in base al titolo e al contenuto?
Circa il criterio B) (dal quale derivano le domande a. e b.) va osservato che ben risponde
alle nostre finalità documentali e che è un criterio “forte” anche da un punto di vista
giuridico. Infatti “La pubblicazione legale è condizione necessaria, anche se non
sufficiente, per l’esistenza dell’atto normativo. L’atto non pubblicato legalmente non può
essere trattato come normativo, almeno in tutti quegli ordinamenti che, come quello
italiano, conoscono l’Istituto della pubblicazione legale”.
5. Prima delle note che seguiranno sembra anche opportuno “sdrammatizzare” il
problema che ci siamo posti.
“Tutti gli atti giuridici vengono sempre divisi dagli operatori in tre gruppi:
5.1. atti del cui carattere normativo non si dubita (fino a prova della loro
illegittimità);
5.2. atti del cui carattere non normativo non si dubita;
5.3. atti del cui carattere normativo si dubita.
Così si vede che la questione non ha poi una grande importanza pratica, sia perché nella
grande maggioranza dei casi la questione è già stata pacificamente risolta ed è ormai
consolidata (l’atto rientra sicuramente nel gruppo 1 o nel gruppo 2 e i casi dubbi sono
assolutamente minoritari), sia perché nei casi dubbi esiste una procedura che comunque
volta per volta risolve il singolo caso” [Rescigno, 1998].
Fatte queste premesse cercheremo di esaminare la definizione e le caratteristiche dell’atto
normativo così come si ricavano dalle “regole su regole” del nostro ordinamento e dalla
dottrina. Inoltre forniremo una descrizione testuale-documentaria dei singoli atti
normativi, corredata da osservazioni sulle caratteristiche giuridiche di tali atti che
possono risultare utili per la strutturazione.
Dunque le note che seguono serviranno ad elencare e descrivere gli atti già classificati
sub 5.1. e saranno d’aiuto per risolvere i casi (limitati) sub 5.3.
2. Definizione di atto normativo
2.1. Le fonti del diritto
“Con l’espressione fonti del diritto si indicano quei fatti o atti giuridici i quali, in base
alle norme sulla produzione giuridica vigenti in un determinato ordinamento, hanno come
effetto la creazione, modificazione o abrogazione di disposizioni o norme integrative di
quell’ordinamento. In altri significati si parla talora di fonti anche per indicare il
complesso delle disposizioni e norme che costituiscono un determinato ordinamento,
oppure per indicare gli strumenti che permettono di conoscere tali disposizioni e norme.
Nel suo significato più proprio, il termine fonte del diritto ha dunque lo stesso significato
del termine “fatto (o atto) normativo”. [Pizzorusso, 1991]
2.2. Atti normativi dell’ordinamento italiano
Rispetto agli oggetti compresi in questa definizione, ne escludiamo alcuni, in quanto
marginali e comunque, per ora, non inseriti nel progetto “Norma in rete”.
1. Non ci occuperemo dei fatti normativi, ma dei soli atti normativi.
2. Limitiamo ancora la nostra attenzione agli atti normativi del solo ordinamento
italiano.
3. Anzi, specifichiamo ancor meglio: tratteremo degli atti normativi emanati da
autorità pubbliche italiane. In altre parole escludiamo anche le fonti extra
ordinem, praeter legem e quelle emanate nell’ambito dell’autonomia privata.
In sintesi qui c’interessano le fonti legali dell’ordinamento “pubblico” italiano, vigente.
2.3. Cosa s’intende per atto
Delimitato l’oggetto rilevante ai nostri fini vediamo il significato della locuzione “atto
normativo”.
Invertendo l’ordine definitorio seguito da Rescigno [Rescigno, 1998], esaminiamo prima
il valore della parola “atto” e poi quello di “normativo”. Infatti oggetto del nostro
interesse è essenzialmente il documento che contiene l’atto ed è quindi prioritario vedere
i rapporti che intercorrono tra i due concetti.
Atto si riferisce a qualcosa che accade con intenzione, con coscienza e volontà da parte di
colui che compie l’atto. Da ciò discende, trattandosi di atto normativo, che:
a. chi compie l’atto deve avere l’intenzione cosciente di introdurre norme nel sistema;
b. essendo diretto ad altri, deve manifestarsi attraverso parole o altre azioni.
Tutto ciò si riassume dicendo che l’atto normativo rientra nella classe ben conosciuta dai
giuristi delle dichiarazioni di volontà. L’atto normativo dunque in quanto atto si manifesta
come dichiarazione che l’emittente vuole quanto viene enunciato con la dichiarazione,
cosicché possiamo distinguere concettualmente la dichiarazione di volere quanto
dichiarato dal contenuto della volizione.
La parola atto tende però a designare quattro cose distinte e non due, e cioè la volizione,
il testo su cui verte la volizione (che è quell’insieme di parole su cui l’emittente ha
espresso il suo consenso), il contenuto della volizione (e cioè quello che effettivamente
ha voluto l’emittente attraverso l’approvazione di quello specifico testo) il documento
che riproduce ora solo il testo, ora però (questo troppe volte viene dimenticato) insieme al
testo la dichiarazione che attesta l’avvenuta volizione di quel testo (la Gazzetta ufficiale
riproduce ambedue per obbligo di legge; i codici formati da privati quasi sempre
riproducono solo il testo della volizione).
Se si considera che abbiamo limitato il nostro interesse agli atti normativi fonti legali
dell’ordinamento italiano si può dire che:
a. tali atti assumono la forma di testi scritti;
b. la pubblicazione legale (preciseremo meglio in seguito il valore dell’espressione) è
effettuata con un documento che contiene un testo che dà conto sia della volizione, sia
del contenuto dell’atto normativo.
In tale contesto, e se si ha di mira la finalità di costruire un sistema documentario degli
atti normativi, si può assumere che atto e documento normativo siano equivalenti. Infatti
l’espressione atto normativo può significare sì la volizione in quanto tale, il testo in
quanto tale, il contenuto in quanto tale e il documento in quanto tale, ma è solo
quest’ultimo (che contiene ed esprime gli altri) che qui s’intende principalmente trattare.
Concludendo, ai nostri fini interessa, non tanto la dichiarazione in sé, quanto il prodotto
di tale dichiarazione composto di parole (che compongono altri elementi) e di altri
elementi che, nel loro insieme, contengono una o più regole, e tutte quelle altre
proposizioni eventualmente utili per l’interpretazione e applicazione di regole.
2.4. Cosa s’intende per normativo
Cercheremo di elencare, nei paragrafi seguenti, le caratteristiche generali (per tutti gli
atti) e specifiche (per ogni singolo atto) che definiscono la normatività degli atti di cui
stiamo trattando.
Per ora diciamo che, secondo il senso comune, si parla di regole di comportamento
(escludendo le regole rivolte a sé stessi) per contrassegnare quelle regole che
caratterizzano quei momenti della vita di relazione tra gli esseri umani in cui qualcuno
esige che qualcun altro si comporti in un determinato modo (deve, non deve, può fare
qualcosa). Tali regole assumono valore normativo in senso giuridico quando:
1. hanno contenuto generale e astratto;
2. sono inserite in un sistema giuridico e cioè: a) qualcuno comanda, ordina,
prescrive, perché è stato investito dell’autorità per farlo; b) in generale chi non
tiene il comportamento prescritto è sottoposto ad una sanzione; c) il sistema, per
infliggere la sanzione, dispone ed usa della forza armata (ciò non sempre viene
riconosciuto necessario al compiersi del sistema).
A tali regole, nei documenti normativi, si aggiungono regole serventi per
l’individuazione, l’interpretazione e l’applicazione di quelle principali.
Si può dunque dire che sono atti normativi quelli che o contengono regole generali e
astratte o contengono regole serventi per l’individuazione, interpretazione e applicazione
delle prime e sono emanati da un soggetto in grado di fornirli di efficacia generale e
astratta.
All’interno dell’ordinamento gli atti normativi sono, di solito, sottoposti a regole
specifiche, diciamo formali, che ne determinano la struttura e le modalità di formazione,
emanazione e applicazione (regole su regole). Vi sono pure atti che l’ordinamento
sottopone a tali specifiche regole senza che, nella sostanza corrispondano alla definizione
appena data.
Dunque si possono avere:
1. atti normativi nella forma e nella sostanza;
2. atti normativi nella sostanza ma non nella forma;
3. atti normativi nella forma, ma non nella sostanza.
3. Criteri distintivi da atti non normativi
E’ innegabile che l’ordinamento italiano attribuisce un trattamento particolare agli atti
normativi e collega ad essi effetti peculiari; trattamento ed effetti che non sono propri
degli atti non normativi [Rescigno, 1998].
Servono dunque dei criteri per distinguere gli uni dagli altri, anche ai fini di fornire
informazioni omogenee e pertinenti.
Si può operare una prima prima generale suddivisione di tali criteri, utilizzando le
categorie formale e sostanziale. Con quest’ultimo concetto ci riferiremo essenzialmente
ai contenuti, ma cercheremo di inquadrarlo meglio nel paragrafo successivo. Useremo,
invece, il termine formale per indicare la struttura e le caratteristiche testualidocumentarie dei documenti normativi, così come si ricavano dalle regole su regole. I
criteri formali saranno quindi quelli desumibili da tali elementi.
3.1. Criteri generali giuridico-sostanziali
Assumiamo a criterio sostanziale principale quello basato sugli elementi essenziali delle
regole che compongono gli atti normativi: generalità e astrattezza.
“Esso funziona in negativo, nel senso che la sua assenza è sufficiente per negare la natura
di atto normativo all’atto preso in considerazione. Non sempre funziona in positivo.
Infatti la sua presenza impone di verificare se vi sono altri elementi paralizzanti, e se non
vi sono, di concludere che l’atto è normativo. Gli elementi che possono paralizzare
l’elemento della generalità e astrattezza sono la provenienza dell’atto; la sua
temporaneità; la natura del beneficiario della regola; la localizzazione della regola; la
natura interna della regola.”
Generalità e astrattezza non costituiscono l’oggetto di definizioni pacificamente accolte
in dottrina e in giurisprudenza.
L’opinione maggioritaria riferisce la generalità ai destinatari delle norme, il novero dei
quali, per rispettare l’imperativo della generalità configurata quale impersonalità, deve
essere indeterminato.
L’astrattezza viene per lo più configurata come ripetibilità, nel senso che sarebbe
peculiare della norma astratta l’attitudine ad essere applicata innumerevoli volte in tutti i
casi rientranti nella previsione normativa [Paladin, 1993].
Rescigno precisa che si tratta d’indefinita ripetibilità. Essa segnala che vi sono regole il
cui contenuto precettivo viene ripetuto indeterminate volte, tante volte quante si
verificherà il presupposto. Si tratta cioè di regole ipotetiche generali e astratte (come in
generale sono le norme giuridiche) le quali verranno applicate una volta, molte volte o
mai se una volta, molte volte o mai si verifica il fatto condizionante. Si vede allora che
l’indefinita ripetibilità, applicata alle regole di comportamento, non è che un diverso
modo per dire astrattezza. [Rescigno, 1998, pag. 15].
Generalità e astrattezza sono associate a formare un unico requisito sostanziale; l’atto
normativo non potrebbe esser tale se non disciplinasse ad un tempo una serie
indeterminata e indeterminabile di soggetti e di rapporti, mediante una successione
indefinita di applicazioni possibili [Paladin, 1993].
Rispetto ai concetti “generale” (opposto a particolare) e “astratto” (opposto a concreto) è
possibile distinguere le seguenti quattro classi di regole:
a. regole particolari e concrete (se A ti chiede di fare x fallo);
b. regole particolari e astratte (ogni volta che f, fai x);
c. regole generali e concrete (tutti coloro che posseggono o possederanno i requisiti
a, b,… il giorno y si presenteranno all’ufficio z);
d. regole generali e astratte (se f, chiunque presenti i requisiti a e b deve/non
deve/può fare x);
Gli atti che pongono regole rientranti in d. sono considerati normativi, quelli rientranti in
a. sono considerati non normativi. Per gli atti compresi in b. e c. Rescigno ritiene che gli
atti generali e concreti vengono sentiti come non normativi (perché si esauriscono in uno
o più comportamenti tutti previamente determinati) e gli atti particolari e astratti vengono
sentiti come normativi (perché i comportamenti regolati non sono determinabili nel
numero).
Rispetto all’ordinamento italiano, e ai regolamenti in particolare, sostiene Paladin, il
criterio della generalità e astrattezza si rivela viziato per eccesso e per difetto, pur
integrato, aggiungiamo, dai subcriteri indicati da Rescigno. La giurisprudenza tende a
considerare normativi atti privi di generalità e astrattezza e amministrativi atti dotati di
tali caratteristiche [Paladin, 1993]. Vedremo che anche gli altri criteri non sono sufficienti
a determinare confini certi, fino a chiedersi se abbia una qualche utilità stabilire se un
determinato tipo di atti si risolva o meno in una fonte del diritto.
L’opinione prevalente in dottrina, nonostante tesi difformi [Zagrebelsky], è che tale
esercizio abbia un senso e che le fonti normative formino una realtà fondamentalmente
unitaria sottoposta a regole ed effetti comuni.
3.1.1 Effetti specifici degli atti normativi
Paladin elenca i motivi per i quali l’individuazione e la definizione degli atti normativi
non è un mero esercizio accademico, ma ha conseguenze concrete e importanti per i
cittadini, per l’esercizio della giurisdizione e per la stessa configurazione e mantenimento
di un sistema democratico. La corretta informazione su ciò che è normativo e ciò che non
lo è rientra, quindi, a pieno titolo, tra i compiti di un sistema documentario al servizio
degli operatori giuridici e di tutti i cittadini. Si può anche arrivare a sostenere che svolge
non solo una funzione informativa sull’ordinamento, ma anche una funzione costitutiva o
rafforzativa dell’ordinamento medesimo.
Tale elencazione è utile anche a determinare criteri per l’individuazione dell’atto
normativo; in modo approssimativo li possiamo ricomprendere tra quelli sostanziali, ma
solo in quanto non riconducibili al criterio formale come da noi definito.
Si tratta, per lo più, di criteri determinati, per così dire a posteriori. Riguardano infatti
l’applicazione dell’atto normativo piuttosto che la sua produzione o pubblicazione. In
ultima ratio (e tale regola dovrebbe avere solo valore di salvaguardia dell’ordinamento e
non di trasferimento della potestà normativa), si rinvia al giudice la qualificazione della
normatività di un atto.
Dovrebbe dunque prevedersi, per risolvere i casi dubbi, la connessione tra atti normativi
e decisioni giurisprudenziali che stabiliscono tale qualificazione, proprio nell’ottica di
disporre di un sistema informativo in grado di fornire il diritto operativamente vigente in
un determinato momento. Sfruttando le caratteristiche e le potenzialità della rete, e più in
generale degli strumenti informatici e telematici, è senz’altro più agevole individuare e
trattare tali connessioni.
Vediamo l’elenco di tali effetti.
A) L’art. 113, comma 1 c.p.c. impone al giudice di “seguire le norme del diritto, salvo che
la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità”. Tale proposizione è
applicabile ad ogni autorità giurisdizionale operante nell’ordinamento italiano. Essa
proclama il basilare principio di legalità delle decisioni giudiziarie. Sul medesimo piano
si può porre il disposto dell’art. 101, c. 1 Cost. onde i giudici “sono soggetti soltanto alla
legge”; sempre che la parola “legge” abbia l’accezione di fonte ovvero di diritto obiettivo
nella sua totalità, piuttosto che di legge formale dello Stato. A ciò si collega l’imperativo
costituzionale della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, dettato dall’art. 111, c.
1 Cost.; imperativo che attiene alla corretta individuazione e interpretazione delle norme
da applicare nel giudizio, anche in vista del successivo sindacato di legittimità spettante
alla Corte di cassazione.
Tutto ciò incide sul rapporto fra gli atti normativi e quelli giuridici in genere.
Si può dire peculiare degli Stati di diritto, fra i quali rientra tuttora l’Italia, che non spetti
a qualunque atto giuridico in qualunque forma e con qualunque esito, modificare
l’ordinamento giuridico. E in ciò si manifesta un essenziale tratto distintivo rispetto agli
stati totalitari, nei quali ogni provvedimento poteva dirsi normativo a qualsiasi livello,
purché ispirato dal fine politico degli Stati stessi.
B) Ancora dall’art. 113, c. 1 c.p.c. si ricava il principio jura novit curia, anch’esso
riferibile alla generalità delle norme giuridiche. Il principio esprime il dovere, gravante
sui giudici di ricavare e interpretare d’ufficio - di propria iniziativa e con i propri mezzi le proposizioni normative che essi sono tenuti ad applicare, indipendentemente dalle
deduzioni delle eventuali parti dei rispettivi giudizi. [Paladin, 1993]
Di conseguenza importanti sintomi rilevatori del carattere normativo di un atto o fatto
sono desumibili dall’attitudine che le disposizioni o norme da esso prodotte hanno a venir
utilizzate dal giudice, in base al canone “iura novit curia”, come parametro ai fini del
ricorso in Cassazione [Pizzorusso, 1991].
C) Il complesso delle fonti del diritto si dimostra retto da regole fondamentalmente
comuni per quanto riguarda la loro interpretazione. Regole che sono comuni agli atti
normativi, ma non a tutti gli atti giuridici. Alle generalità delle fonti e non soltanto alla
legge in senso formale si riferisce l’art. 12 disp. prel. c.c. che impone di attribuire alle
leggi “il senso…fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione
di esse, e dalla intenzione del legislatore”. Le stesse preleggi danno pertanto rilievo
all’interpretazione sistematica, fondata sull’appartenenza di tutte le norme giuridiche al
medesimo sistema normativo, entro il quale esse ritrovano una loro superiore unità.
D) Il ricorso per Cassazione è conseguenza della cosiddetta nomofilachia, compito tipico
della Corte di Cassazione. Né l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, per cui “la corte
suprema assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge”, né l’art.
111 della Costituzione, nella parte che garantisce il “ricorso in Cassazione per violazione
di legge” si prestano a intendere il termine legge in senso tecnico formale. Lo prova il
riferimento dell’art. 65, c. 1 dell’ordinamento giudiziario all’unità del diritto oggettivo
nazionale comunque creato e rinnovato, dalle leggi ai regolamenti alle consuetudini. Lo
conferma la circostanza che l’art. 111, c. 2 Cost. sia sempre stato collegato alla funzione
di nomofilachia, tanto nei lavori preparatori e nei commenti dottrinali quanto nelle
decisioni della Corte costituzionale, con riguardo al complesso degli errori di diritto,
imputati ai giudici di merito.
3.2. Criteri generali formali
3.2.1. Autoqualificazione dell’atto come normativo in base a regole che legittimano tale
qualificazione
Il criterio più semplice e più certo è quello di ordine formale: un atto è normativo (per
l’ordinamento) e riceve quindi il trattamento degli atti normativi per il solo fatto di
presentarsi con una determinata forma esteriore, con determinati contrassegni
oggettivamente verificabili (ad esempio atto normativo, in senso formale, è sicuramente
la legge).
Gli elementi e le caratteristiche formali distintive dei testi normativi si ricavano da quel
complesso di norme che regolano la creazione delle norme giuridiche generali, ed in
particolare la creazione delle leggi formali [Paladin, 1993]. Tali regole su regole sono, di
solito, dettate da leggi ordinarie, ma la dottrina le innalza ad un livello peculiare,
annoverandole nel concetto kelseniano di costituzione in senso materiale.
E’ dunque l’atto stesso che si autoqualifica come normativo; in altre parole il documento
normativo riporta un contrassegno che attesta l’avvenuta volizione, secondo le regole che
legittimano la qualificazione normativa, da parte di un’autorità che ne ha la potestà. A tali
condizioni il contrassegno formale è necessario e sufficiente ad indicare il valore
normativo dell’atto.
Vedremo che questo criterio diventa, via via, più labile e inutilizzabile, risalendo a ritroso
nel tempo.
Si può dire che ”è stato decisivo il salto qualitativo operato con l’art. 17 della l. 400/1988
con l’introduzione del nomen regolamento e il parere del Consiglio di Stato anche per i
regolamenti ministeriali e non solo per quelli governativi. Con ciò stesso i criteri formali
sono posti in prima linea” [Paladin, 1993].
Dal 1988, dunque, i criteri formali sono meglio definiti e acquistano maggiore
importanza per l’individuazione degli atti normativi, sia in conseguenza della legge
ricordata, sia per altri provvedimenti normativi che, negli anni subito precedenti, hanno
messo ordine nelle regole su regole.
Si può convenzionalmente assumere tale anno come spartiacque che rileva anche sulle
modalità di strutturazione dei documenti. Nell'esame dei singoli atti normativi
cercheremo di indicare quando e come l’introduzione di nuove regole su regole ha
provocato effetti sulla struttura degli atti. Infatti per la definizione e la gestione di un
corpus documentario, che abbraccia oltre un secolo, la variabile tempo è tutt'altro che
irrilevante.
Si può comunque prendere a riferimento le parole di Paladin. “Con sempre maggior
evidenza le fonti si configurano, in Italia, sulla base di criteri formali; mentre i loro vari
contenuti possono rilevare , se mai, ai fini della validità e non dell’esistenza di esse. In
altre parole, per scandaloso che ciò possa sembrare, non è dalle norme che si deve risalire
alle fonti; bensì dalle fonti che occorre discendere, etimologicamente, verso le norme
stesse” [Paladin, 1993].
In base al criterio dell’autoqualificazione dell’atto, nei paragrafi successivi, abbiamo
distinto tra:
a. atti normativi per i quali la dottrina è concorde nell’individuare contrassegni
formali apposti che li qualificano come tali in base a regole su regole e li abbiamo
classificati come sicuramente normativi (non è comunque detto che lo siano in
base ad altri criteri);
b. atti per i quali la dottrina non è concorde nell’individuare contrassegni formali
apposti in base a regole su regole e li abbiamo classificati d’interesse normativo in
quanto possono essere normativi in base alle loro caratteristiche formali e ai loro
contenuti.
La distinzione ha comunque valore, più che altro, espositivo: i criteri generali elencati e
le caratteristiche dei singoli sono, infatti, quelli che consentono di operare distinzioni
anche all’interno dei singoli tipi di atti.
3.2.2. Suddivisione in articoli
L’art. 72 della Costituzione dice che “Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera,
è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla
Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale.”
La disposizione porta a livello costituzionale, almeno per quanto riguarda le leggi, la
regola per cui l’atto legge va scandito in partizioni inferiori chiamate ufficialmente
articoli. La costituzione recepisce una prassi secolare, divenuta costante da un tempo non
determinabile (per l’Italia comunque dal 1848). Questa prassi non riguarda solo le leggi,
ma tutti gli atti normativi, al punto che sembra ragionevole concludere che costituisce
principio costituzionale quello per cui qualunque atto normativo va scandito in articoli, e
non può essere trattato come atto normativo (o è addirittura del tutto illegittimo)
quell’atto che, pur avendo contenuto normativo, non è stato suddiviso in articoli
[Rescigno, 1998, pag.139].
Il criterio ci dice dunque che atti normativi non scanditi in articoli difettano di un
requisito formale ritenuto qualificante, pur essendo tale criterio ricavato da
un’interpretazione estensiva di una disposizione costituzionale e dalla prassi. Niente ci
dice invece circa atti non normativi che assumono la forma dell’articolato. Ad esempio
tale forma è tipica di molti atti giuridici tra privati.
E’ chiaro che in questi casi sopperiscono altri criteri distintivi.
3.2.3. La pubblicazione legale
Dice l’art. 73, c. 3 Cost.: “Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed
entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le
leggi stesse stabiliscano un termine diverso.”
La disposizione costituzionale impone la pubblicazione legale per le leggi; l'istituto si
estende a tutti gli atti normativi e si dice "legale" proprio in quanto richiede la
pubblicazione in base a “regole su regole”. Da ciò discendono alcune importanti
conseguenze.
“1) Anzitutto la pubblicazione legale è condizione necessaria anche se non sufficiente,
per l’esistenza dell’atto normativo in quanto normativo. Si faccia attenzione: l’atto non
pubblicato legalmente non può essere trattato come normativo.
2) Il testo dell’atto è quello, e solo quello pubblicato legalmente: nessuno può pretendere
l’applicazione di un testo diverso, neppure l’autorità emittente; la pubblicazione legale
può bensì essere corretta, mediante una nuova pubblicazione legale, ma appunto si
conferma che, in positivo, l’unico testo vincolante è quello pubblicato legalmente.
3) Il calcolo del tempo per l’entrata in vigore dell’atto decorre dal giorno della
pubblicazione legale (salvo che come è possibile e talvolta praticato in base al sistema,
l’entrata in vigore coincida con la pubblicazione legale) e l’ignoranza del diritto non è più
ammessa, salvi casi eccezionali, a partire dal termine finale della vacatio legis che,
appunto si calcola dal giorno della pubblicazione legale.
Dunque il fatto che sia prevista la pubblicazione legale può essere argomento decisivo, in
assenza di argomenti contrari, per decidere che l’atto è normativo; l’assenza della
pubblicazione legale è condizione sufficiente per negare all’atto considerato natura di atto
normativo; la presenza della pubblicazione legale è condizione necessaria , ma non
sufficiente della natura normativa dell’atto ai fini del suo trattamento giuridico”
[Rescigno, 1998, pagg. 67 e 20]
Tutto ciò sembra confermare quanto già anticipato in premessa circa l’assunzione del
criterio della pubblicazione legale come criterio-guida per l’individuazione e la
classificazione degli atti normativi ai fini del progetto “Norma in rete”. Esso offre infatti
almeno due innegabili vantaggi per un sistema informativo sulle norme.
1. La certezza, sia documentaria, sia giuridica dell’atto normativo e anche la sua agevole
individuazione e reperibilità.
2. L’incontestabilità e la completezza del testo (compresa la dichiarazione della
volizione, che altri testi non riportano), a differenza di altre pubblicazioni che hanno
valore esclusivamente notiziale o nessun valore ufficiale.
La pubblicazione in Gazzetta ufficiale
Lo strumento per la pubblicazione legale degli atti normativi statali italiani è la Gazzetta
ufficiale.
La disponibilità di uno strumento di pubblicazione legale che raccoglie gli atti normativi
statali facilita di molto il compito d’individuarli, ma non è risolutiva. Restano, almeno,
due fonti d’incertezza.
1. Come vedremo meglio in Gazzetta ufficiale sono pubblicati anche atti non
normativi.
2. La pubblicazione legale di alcuni atti normativi (quantitativamente tutt’altro che
trascurabili) avviene tramite strumenti diversi dalla Gazzetta ufficiale.
La Gazzetta ufficiale si pubblica in più parti. La I parte che comprende gli atti normativi
dello Stato italiano, pubblica anche:
- “Gli atti e i comunicati che interessino la generalità dei cittadini e la cui pubblicità
risponda ad esigenze di carattere informativo diffuso;
- gli atti e i comunicati della Presidenza della Repubblica, delle due Camere e della
Corte costituzionale, da pubblicarsi a norma delle leggi e dei rispettivi
regolamenti vigenti;
- il testo integrale di tutte le sentenze della Corte costituzionale, nonché delle
ordinanze di manifesta infondatezza e di quelle che comunque promuovono e
definiscono il giudizio davanti alla Corte (art. 12 D.P.R. n. 217/1986);
- gli atti per i quali è prevista tale forma di pubblicità dalla legge n. 352/1970, sui
referendum e sulla iniziativa legislativa popolare;
- le circolari esplicative dei provvedimenti legislativi per le quali tale forma di
pubblicità sia richiesta dal Ministro competente e ritenuta opportuna dal
Presidente del Consiglio dei Ministri;
-
per notizia, le leggi e i regolamenti delle regioni e delle province autonome di
Trento e Bolzano;
- gli atti amministrativi emanati dalle regioni e dalle province autonome che
interessino la generalità dei cittadini e che rientrano nelle categorie previste in
elenchi approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, elenchi
che tuttora non sono stati emanati;
- per notizia, le direttive e i regolamenti delle Comunità europee, nonché le
decisioni generali e le raccomandazioni della CECA;
- in apposito supplemento trimestrale, i trattati e gli accordi internazionali che
vincolano l’Italia (art. 4 l. 839/1984, recepito dall’articolo 13 t.u. 1092/1985).
Nella Prima parte della G.U. sono, inoltre, previste alcune pubblicazioni complementari
(articoli 10, 11 e 12 t.u. 1092/1985):
- il c.d. testo coordinato del decreto-legge con le eventuali modifiche apportate
dalla legge di conversione, che sono stampate in modo caratteristico e la notizia
nel caso di mancata conversione in legge del decreto-legge;
- il c.d. testo aggiornato, previsto nell’ipotesi in cui un atto normativo abbia subito
diverse e complesse modifiche, che è stampato egualmente in modo caratteristico
e ne è specificata la fonte;
- le c.d. informazioni notiziali o “note” da pubblicare in calce all’atto normativo,
sia nel caso in cui lo stesso “disponga la soppressione, l’aggiunta o la sostituzione
di una o più parole nel corpo di una preesistente espressione normativa”, sia nel
caso in cui l’atto “contenga rinvii numerosi o comunque complessi a preesistenti
disposizioni legislative” [Nocita, 1999].
Come si vede, assieme alla pubblicazione legale degli atti normativi, la G.U. accoglie
altri documenti; il tutto si può suddividere nelle seguenti tre categorie:
- atti normativi con valore di pubblicazione legale;
- atti normativi con valore di pubblicazione notiziale;
- atti non normativi.
Dunque il criterio d’individuazione degli atti normativi attraverso la pubblicazione legale
in G.U. necessita d’integrazioni.
La ripubblicazione nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana
L’art. 14 del t.u. 1092/1985 impone la ripubblicazione degli atti normativi nella “Raccolta
ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana” e l’art. 15 del t.u. elenca in modo
puntuale quali sono tali atti normativi. L’elencazione può far sorgere qualche incertezza
per quanto riguarda l’individuazione degli atti normativi previsti alla lettera d), ma con
successivo regolamento (D.P.R. 23 luglio 1986, n. 611) si è specificato di quali atti si
tratta.
Tale pubblicazione non ha valore legale, ma soltanto notiziale; presenta però il vantaggio
di contenere esclusivamente atti normativi e soprattutto contrassegna ogni atto con un
numero rigorosamente progressivo all’interno di ogni annata. Affrontando le singole
tipologie vedremo le specificità delle categorie di atti normativi pubblicati nella Raccolta
ufficiale e alcune marginali eccezioni nel criterio di numerazione. Ciò che interessa, per il
momento, è affermare che tutti gli atti pubblicati nella Raccolta ufficiale sono normativi e
hanno un numero che li contraddistingue.
Tale numero è riportato (anzi è apposto prima) nella pubblicazione dell’atto in G.U.
Integrando quanto affermato si può dire che:
gli atti pubblicati in G.U., contraddistinti da un numero e ripubblicati nella Raccolta
ufficiale sono normativi.
Ciò consente di prendere a riferimento la pubblicazione in G.U. che ha valore legale ( con
tutto ciò che ne consegue, in particolare la data di vigenza), ma con due elementi (numero
e ripubblicazione), che ne consentono l’individuazione e la distinzione da altri atti, pure
presenti in G.U.
Il criterio si applica in positivo; vale a dire che possiamo considerare normativi gli atti
con i requisiti appena detti. Non si può però escludere che anche altri atti pubblicati in
G.U. siano normativi.
Stabilito che gli atti inseriti nella Raccolta ufficiale sono normativi e sono univocamente
individuabili da: denominazione+numero+anno (la numerazione riparte ogni anno da
uno) e che sono sicuramente pubblicati in G.U., vediamo quali sono gli altri atti
pubblicati in G.U. e se si possono definire normativi.
Andando per esclusione si può affermare:
1. Non sono atti normativi gli atti della Corte costituzionale (Art. 21 d.p.r. 1092/1985).
Discorso a parte meritano le sentenze che dichiarano l’illegittimità costituzionale di atti
normativi, tanto è vero che sono inserite in Raccolta; lo faremo parlando dei singoli atti.
2. Ai nostri fini si tralasciano, per il momento, gli atti normativi comunitari (Art. 20 d.p.r.
1092/1985) . Nell’ottica del soft law e del “portale normativo al servizio del cittadino”
andranno comunque presi in considerazione. Si tratta però di pubblicazione notiziale che
non ha valore di pubblicazione legale. Si tralasciano anche i trattati e gli accordi
internazionali indicati nell’art. 13, c. 1 t.u. 1089/1985.
3. Anche la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali ha valore unicamente
notiziale (art. 19 d.p.r. 1092/1985). La pubblicazione legale avviene sui Bollettini
ufficiali delle singole regioni e province autonome.
Si può quindi dire che la fonte di cognizione primaria e con valore di pubblicazione
legale per leggi e regolamenti regionali sono i bollettini ufficiali delle singole regioni.
Restano da verificare, categoria per categoria, gli atti previsti dall’art. 18 del d.p.r.
1092/1985. Tali categorie si possono schematizzare secondo l’elenco seguente.
1. Gli atti e i comunicati che interessino la generalità dei cittadini (comma 2)
In base a quanto dispongono i commi 2 e 3 s’intende che tali atti e comunicati sono
emessi dal Governo in tutte le sue articolazioni. Il comma 2 prevede infatti che uno o più
decreti del Presidente del Consiglio di concerto con il Ministro della Giustizia e con i
Ministri proponenti stabiliscano l’elenco di questi atti che dovrebbero essere quindi
definiti in modo univoco e limitati per numero e tipologia, salvo l’integrazione
dell’elenco con successivi decreti. In realtà, fino ad oggi, è stato approvato con d.p.c.m. 4
luglio 1986 è stato approvato soltanto l’elenco degli atti di pertinenza del Ministero degli
affari esteri. Il comma 2 inoltre distingue tre categorie di atti diversi dal punto di vista
documentario: 1) atti da pubblicare nel testo integrale; 2) atti da pubblicare per sunto o
estratto; 3) atti di cui si pubblica il solo titolo.
Sembra difficile che la pubblicazione per sunto o la pubblicazione del solo titolo
soddisfino il requisito della pubblicazione legale. Tali atti dunque, se non legalmente
pubblicati in altro modo, non sembrano potersi considerare atti normativi e comunque il
documento normativo non sarà quello pubblicato in G.U., ma quello pubblicato in altro
modo.
Dal nostro punto di vista a tali atti sembrano equiparabili "gli atti amministrativi emanati
dalle regioni e dalle province indicate nel precedente comma che interessino la generalità
dei cittadini della Repubblica e che rientrino nelle categorie precisate in elenchi approvati
con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro della
giustizia" (art. 19, c. 2). In questo caso la specificazione "amministrativi", che sembra
voluta in contrapposizione a "normativi", ci aiuta nella qualificazione di questi
documenti. In forza di tale specificazione, si potrebbe sostenere che anche gli analoghi
atti statali non hanno valore normativo.
2. Atti e comunicati della Presidenza della Repubblica, delle Assemblee parlamentari e
della Corte costituzionale
La pubblicazione di tali atti avviene se prevista da leggi o da regolamenti degli organismi
indicati.
Sembrano ripetibili le considerazioni fatte al punto precedente.
3. Circolari esplicative dei provvedimenti legislativi
4. Pubblicazioni riguardanti i referendum d’iniziativa popolare previsti dalla legge 25
maggio 1970, n. 352
Pure per queste circolari e documenti riguardanti i referendum ed il loro valore normativo
si fa rinvio alla trattazione dei singoli atti.
La pubblicazione legale non in Gazzetta ufficiale
Riguarda essenzialmente gli atti normativi non statali, delle regioni e degli altri enti
locali. Per le caratteristiche di tali pubblicazioni rinviamo all'analisi dei singoli atti;
vedremo anche se si possono configurare ulteriori casi di pubblicazione legale.
3.2.4. L'autorità emanante
Nel definire cosa s'intende per atto normativo abbiamo limitato il nostro interesse a quelli
emanati da autorità pubbliche italiane. Tale limitazione introduce di per sé un criterio
distintivo. Aggiungiamo due considerazioni.
1. Inseriamo il criterio tra quelli formali, in quanto assumiamo che l'attribuzione di
potestà normativa rientri tra le regole su regole. Rinviamo ai paragrafi sui singoli atti per
verificare e illustrare quali siano tali regole.
2. L'autorità emanante l'atto normativo dovrebbe essere esplicitamente ed univocamente
indicata nel documento che lo pubblica, pena l'inefficacia dell'atto stesso [Rescigno,
1998].
3.3. Criteri e osservazioni sul metodo documentario
Abbiamo già detto dell’incertezza dei criteri sostanziali.
Paladin aggiunge che pur ricorrendo ai criteri formali continuano a manifestarsi difficoltà
e impossibilità a identificare le fonti nei più diversi campi. E’ ad esempio inconcepibile
l’adozione da parte del Governo di regolamenti atipici in spregio alla legge 400/1988. In
base a tale legge non hanno più natura di regolamento quegli innumerevoli decreti
ministeriali e presidenziali con cui tuttora si approvano - sia pure in termini generali e
astratti - tabelle, elenchi, istruzioni, modelli di atti, tasse, contributi, aliquote, tariffe, ecc.
Queste valutazioni circa l’abuso o il mancato uso delle forme dell’atto normativo
sembrano però riguardare più il giudice (e più in generale l’interprete) che il
documentalista. Ciò non inficia, ma semmai dà vigore al tentativo del documentalista di
definire, accertare e qualificare quegli elementi formali che servono a stabilire le varie
categorie di documenti e i singoli documenti che ad esse appartengono e che aiutano
anche l’interprete nella valutazione sull’uso non corretto dell’atto normativo.
E’ vero che in quest’ottica sfuggono al vaglio formale/documentario, delineato, quei
documenti sostanzialmente normativi adottati con la forma di atti amministrativi o d’altro
genere e si rischia di qualificare come normativi atti che successivamente non verranno
riconosciuti come tali dall’interprete. Si conferma anche che ogni tentativo di
formalizzazione (gestito dall’uomo o, a maggior ragione, dalla macchina) è destinato a
lasciare margini d’incertezza su ciò che debba essere incluso e escluso da un sistema
informativo delle fonti normative.
Questi tentativi servono però a ridurre al minimo inevitabile il margine d’incertezza;
minimo inevitabile per il quale si potrà ricorrere ad un panel di giuristi esperti incaricato
di decidere circa la qualificazione e l’inclusione nel sistema di quei documenti
(auspicabilmente tendenti a zero) per i quali i criteri formalizzati non sono riusciti a dare
indicazioni sicure. Oltre all’intervento del panel, sarà importante far registrare al sistema
il giudizio (sebbene a posteriori) che l’interprete ha dato sul valore normativo degli atti
inclusi nel sistema medesimo
Quest’ultima osservazione rafforza la necessità di disporre in rete di un sistema di
documentazione giuridica globale interconnessa, in grado di segnalare come le fonti
interagiscono tra loro. Accade infatti che sia il giudice, pur come “ultimo rimedio”, a
decidere cosa sia normativo e abbiamo appena descritto la labilità dei confini tra fonti
normative, giurisprudenziali e amministrative e i frequenti sconfinamenti, più o meno
voluti, da una fonte all’altra: regioni che fanno atti amministrativi anziché legislativi per
eludere i controlli, ministri che fanno atti normativi anziché amministrativi per eludere le
motivazioni e via dicendo.
Dopo queste osservazioni si può provare a delineare le caratteristiche che dovrebbero
avere la selezione e il trattamento dei dati per un sistema informativo sulle norme in rete
per garantire omogeneità, coerenza, precisione e trasparenza dell’informazione fornita.
1. Selezionare e trattare i documenti normativi in base ai criteri formali o formalizzabili,
che si ricavano dalle regole su regole. Dico formalizzabili in quanto il lavoro del
documentalista (e in specie del documentalista informatico) dovrebbe tendere a ricavare
e descrivere schemi e modelli anche laddove questi sono impliciti o inutilizzati e a
proporne (non ad imporne) altri ancora.
2. Affidarsi ad esperti giuristi per la selezione di quei documenti non classificabili in base
ai criteri suddetti.
3. Consentire la connessione tra tutte le fonti giuridiche in rete per attuare percorsi che
evidenzino le reciproche qualificazioni e modificazioni che esse provocano in un sistema
che non è stagno e che si autoaggiorna e si autoridefinisce continuamente.
Sulla base di tale metodo (tutt’altro che facile da attuare) il sistema di divulgazione
normativa in rete può contribuire a migliorare l’individuazione e la descrizione delle fonti
piuttosto che incrementarne o semplicemente testimoniarne le ambiguità.
Vorrei precisare che tutto ciò non vuol dire limitare la capacità informativa del sistema; in
altre parole evitare di pronunciarsi su cosa sia o non sia normativo o trincerarsi dietro
aspetti formali per non fornire agli operatori e ai cittadini tutte quelle informazioni
giuridiche che servono per il vivere quotidiano.
Si tratta solo di organizzare con la maggior chiarezza possibile e far interagire tra loro i
documenti e i dati che contengono, sia in fase di produzione, sia in fase di divulgazione.
E’ ovvio che, per quanto riguarda la fase di produzione, il sistema di divulgazione in rete
non può che avere un ruolo di feed-back propositivo per una revisione e un
potenziamento delle regole e delle strutture di formazione delle norme e delle altre fonti
giuridiche.
3.4. Sintesi e successione dei criteri
Ai fini della loro utilizzazione operativa per l’individuazione e la strutturazione dei
documenti mi sembra opportuno ripetere sinteticamente e mettere in ordine i criteri
enucleati.
Si arriva all’individuazione di atti normativi attraverso i criteri seguenti.
1. I criteri formali definiti dalle regole su regole. In base a questi:
a. Si può considerare la pubblicazione legale come criterio documentario
principale.
b. È prioritario (e anche più certo e agevole) individuare ed evidenziare tutti
quegli elementi che autoqualificano il documento come normativo (in
specie nomen e numero/anno) .
c. Si ricorre alla suddivisione in articoli in quanto elemento particolarmente
riconoscibile, anche se non risolutivo, se considerato da solo.
d. La qualificazione dell’autorità emanante è comunque indispensabile e può
essere criterio distintivo, qualora gli altri criteri formali lascino margini
d’incertezza con l’avvertenza che la potestà normativa è attribuita ad
autorità che esercitano anche altre potestà.
2. Se le condizioni espresse al punto 1 non ricorrono o non è possibile individuarle
in modo certo si prendono in considerazione i criteri sostanziali.
a. La dottrina è concorde nel ritenere i parametri della generalità e astrattezza
come fondamentali per la valutazione dei contenuti normativi, integrati dai
sottocriteri di:
- provenienza;
- temporaneità;
- localizzazione;
- natura del beneficiario;
- natura interna.
b. Gli effetti provocati dall’atto possono poi essere un aiuto a posteriori per
la valutazione del valore normativo dell’atto, in particolare:
- il principio di legalità delle decisioni giudiziarie (Art. 111 Cost. e
art. 113, c. 1 c.p.c.);
- il principio jura novit curia;
- le regole per l’interpretazione degli atti normativi;
- Il ricorso per cassazione (art. 111 Cost.).
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