IT - Council of the European Union

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CO SIGLIO EUROPEO
IL PRESIDE TE
Aquisgrana, 29 maggio 2014
EUCO 120/14
PRESSE 321
PR PCE 110
Discorso del Presidente Herman Van Rompuy in occasione del
conferimento del premio internazionale Carlo Magno,
Aquisgrana, 29 maggio 2014
Estratti
"Come è possibile che ora i cittadini vedano l'Europa come qualcosa che li fa sentire
impotenti e senza voce in capitolo - mentre è stata concepita proprio per renderli più forti e
ridare loro il controllo sulla loro storia?"
"In risposta a questo sentimento, alcuni sollecitano "più" Europa e altri "meno" - alcuni
addirittura vogliono un po' delle due, a seconda dei casi. Da qui deriva forse quella miscela
di riluttanza e aspettativa, la miscela che abbiamo visto in opera anche alle elezioni
europee della scorsa settimana."
"L'Europa ha sempre ruotato intorno all'idea di spazio. Sin dall'inizio, l'azione tipica è
consistita nell'eliminare frontiere, per le merci, i lavoratori, gli investimenti, per permettere
a persone e imprese di spostarsi, prendere iniziative, cogliere opportunità. Anche oggi - in
settori diversi come l'energia, le telecomunicazioni o l'economia digitale - si tratta di
abbattere le frontiere per creare questo grande spazio comune."
"Tuttavia, non abbiamo mai veramente pensato all'Europa come una casa, un rifugio, e
oggi ne paghiamo il prezzo. L'Europa, la grande "creatrice" di opportunità, è ora percepita
da molti come un'"intrusa" indesiderata, l'amica della libertà e dello spazio è vista come
una minaccia per la protezione e il luogo."
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Dirk De Backer - Portavoce del Presidente - ( +32 (0)2 281 9768 - +32 (0)497 59 99 19
Preben Aamann - Portavoce aggiunto del Presidente - ( +32 (0)2 281 2060 - +32 (0)476 85 05 43
[email protected] http://www.european-council.europa.eu/the-president
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"Dobbiamo trovare il giusto equilibrio. È fondamentale che l'Unione sia anche protettiva.
Urge che l'Unione sia vista come un vantaggio non solo per le imprese, ma anche per i
prestatori di lavoro; non solo per "chi si sposta", ma anche per "chi resta"; non solo per
coloro che possiedono diplomi e competenze linguistiche, ma per tutti i cittadini; e per le
persone in qualità non solo di consumatori cui piacciono i prodotti a buon mercato e la
vastità di scelta, ma anche in qualità di lavoratori che possono vedere negli altri
concorrenti per il posto di lavoro."
Segue testo intero
(...) Mi sento molto onorato.
Desidero ringraziare il Sig. Linden e il Consiglio direttivo per questo riconoscimento
importante. Sono molto grato anche al sindaco Philipp per le sue gentili parole e a tutti i
cittadini di Aquisgrana per la loro accoglienza qui presso il loro municipio.
Dove ci troviamo ora un tempo sorgeva il castello di Carlo Magno ...
Ogni volta che visito questo luogo, sono sopraffatto dal pensiero di quei mille duecento
anni di storia ininterrotta. Ma non sono mai stato commosso come oggi.
Per la sua eredità, la città di Aquisgrana ha una grande coscienza storica ... La storia non
come l'ombra paralizzante del passato ma come una sfida costante, per la quale noi stessi
abbiamo la responsabilità della costruzione del nostro futuro.
E così avete istituito il premio Carlo Magno nel 1949. Quando i nostri paesi si trovavano in
rovina, la città di Aquisgrana, città imperiale e di confine, è stata capace di vedere oltre i
limiti degli Stati-nazione.
Voi avete osato annunciare un nuovo inizio: "l'Europa".
Chi meglio di Carlo Magno ha potuto simboleggiare la riconciliazione franco-tedesca? Il
pater Europae è stato l'ultimo a governare sui Franchi e i Germani come una nazione prima che il continente fosse diviso in tre dai suoi nipoti a Verdun nell'843. Ne sono seguiti
secoli interminabili di violenza, fino alla battaglia orrenda in quella stessa Verdun, nel
1916 (e oltre)...
In un certo senso, l'unificazione europea non è stata altro che l'annullamento dell'iniziale
trattato di Verdun! Ma a differenza dei tempi carolingi, questa volta non con la forza ma
per scelta.
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Dopo le guerre, per molti in Germania occidentale e molti altrove, "l'Europa" è stata un
modo per riscrivere la propria storia. Nelle parole del fondatore del premio Carlo Magno, il
dottor Kurt Pfeiffer, "niente era più urgente della lotta all'idea che non può essere fatto
nulla per arginare il corso della storia e ogni tentativo è destinato sin dall'inizio a fallire".
Forse la nostra epoca attuale è un altro di questi momenti dove dobbiamo combattere l'idea
dell'impotenza di fronte alla storia. Ritornerò su questo punto.
Prima di proseguire, permettetemi di rendere omaggio ai vincitori del premio Carlo Magno
che sono ritornati ad Aquisgrana per questa occasione. Le loro straordinarie vite europee e
quelle dei loro predecessori narrano la storia dell'inverosimile unificazione postbellica del
nostro continente.
Lavoravo per il grande Primo Ministro belga, Leo Tindemans, quando ricevette il premio
Carlo Magno. Avevo in quel momento ventotto anni e sono ancora vive in me l'emozione,
addirittura l'eccitazione, che hanno accompagnato l'annuncio . Tindemans aveva appena
redatto la sua relazione del 1975 sull'Europa. Credeva fermamente nella generosità
dell'idea europea, "una nobile idea", ed era il mio mentore politico anche in questo.
Oggi il mio pensiero va a due miei predecessori alla carica di Primo Ministro del Belgio,
Jean-Luc Dehaene e Wilfried Martens, deceduti entrambi lo scorso anno. Anche per loro
l'unità europea era l'impresa più grandiosa dei nostri tempi, a cui hanno dedicato la vita.
Rendo omaggio alla loro memoria.
Questo premio non riguarda solo la mia persona. Lo considero un riconoscimento al lavoro
coraggioso dei leader europei e di tutte le istituzioni europee per combattere la minaccia
esistenziale posta dalla crisi finanziaria.
Come ha detto una volta Angela Merkel, anche lei vincitrice di questo premio: "Se fallisce
l'euro, fallisce l'Europa".
La crisi finanziaria ha rappresentato per l'unità europea la minaccia più grave di tutti i
tempi, e la abbiamo superata insieme. Abbiamo vinto la battaglia.
Come presidente del Consiglio europeo, fin dall'inizio ho considerato mio dovere agire
come custode della fiducia fra i leader. La fiducia è la base per le decisioni difficili, e un
bene inestimabile quando si devono prendere decisioni in ventotto. Per quanto fragile
potesse talvolta apparire dall'esterno, il senso di dovere non è mai venuto meno al tavolo
dei leader. Tutti hanno combattuto per salvaguardare la moneta unica, in uno spirito di
solidarietà, con senso di responsabilità.
In questi momenti difficili (forse proprio a causa di essi), il Consiglio europeo ha svolto
pienamente il suo ruolo. Non immischiandosi nel lavoro quotidiano dell'Unione, ma
entrando in azione al momento necessario: per fissare priorità, sciogliere nodi, affrontare
crisi.
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Come primo presidente permanente del Consiglio europeo, desidero ringraziare tutti coloro
che lavorano per l'istituzione in tutte le possibili vesti: anche loro hanno contribuito a dare
forma a questo nuovo organismo.
Il Consiglio europeo con i suoi vertici regolari fa vedere chiaramente che l'Unione non è
solo Bruxelles, ma ventotto nazioni, che lavorano a stretto contatto. E ciò che accade in
ciascuno di questi paesi - sul piano economico, sociale, politico - è estremamente
importante per gli altri. Questa è la realtà della nostra interdipendenza oggi.
Per i cittadini di tutta l'Europa, questi anni di sforzo comune lo hanno mostrato
chiaramente: la politica europea è politica interna.
Si tratta di una nuova fase nel nostro lungo viaggio.
In questo momento in cui l'Unione europea si trova alla soglia di un rinnovamento politico,
è importante guardare avanti. Dagli shock economici ai mutamenti demografici e alle
tendenze del clima - in un mondo ipercompetitivo, dobbiamo concentrarci sulle giuste
priorità. L'elenco è chiaramente davanti ai nostri occhi: lavoro e ripresa, approfondimento
dell'unione monetaria, clima e energia, libertà e sicurezza, l'azione dell'Europa nel mondo.
Ma non mi soffermerò su questi temi: ci sono altri contesti per farlo.
Vorrei dedicare il tempo che abbiamo da trascorrere insieme ad affrontare un'altra
questione importante: il modo in cui i cittadini percepiscono l'Europa e entrano in relazione
con essa. In un momento di dubbio diffuso, è questa forse una sfida più grave.
Abbiamo appena ascoltato tre potenti moniti della promessa europea - pace e democrazia,
prosperità e solidarietà, una vita civile e sovrana come nazione.
Desidero ringraziare calorosamente i primi ministri di Georgia, Moldova e Ucraina per
avere accettato l'invito a venire ad Aquisgrana - in un momento così tumultuoso per la loro
regione - e ammiro il loro coraggio, il vostro coraggio.
La situazione dei vostri paesi è nella mente di tutti noi. La destabilizzazione da parte del
comune vicino russo è inaccettabile e tanto più deplorevole perché, nel profondo, questo
grande paese appartiene completamente alla civiltà europea, alla cultura europea. Senza
Shakespeare o Balzac, non ci sarebbe il Dostoevskij che conosciamo, senza Gogol, non ci
sarebbe Kafka, senza Tolstoj, Thomas Mann.
I paesi dell'Unione europea non hanno nostalgia di un "glorioso" passato che non ritornerà,
non hanno ambizioni espansionistiche a spese dei vicini, con cicli di sconfitta e vendetta tutti gli Stati membri hanno voltato pagina e guardano con fiducia al futuro.
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Oggi abbiamo parlato di ciò che l'Europa significa per voi, per i vostri paesi. Per tutti
coloro che sono in questa sala, come per me, le vostre intense parole sono state un prezioso
monito, un grande dono.
Multumesc, Mahd-lobt. Dyakuyu. Grazie!
Non è degno di nota che oggi l'Unione europea sembri quasi più popolare al di fuori dei
suoi confini che al loro interno?
Sempre più vediamo messe in discussione proprio le opportunità e le libertà di cui godiamo
noi europei, e per le quali altri stanno lottando.
Proprio questa è la sfida essenziale: la percezione che i cittadini hanno dell'Unione e il
modo in cui entrano in relazione con essa.
Come è possibile che ora i cittadini vedano l'Europa come qualcosa che li fa sentire
impotenti e senza voce in capitolo - mentre è stata concepita proprio per renderli più forti e
ridare loro il controllo sulla loro storia?
In risposta a questo sentimento, alcuni sollecitano "più" Europa e altri "meno" - alcuni
addirittura vogliono un po' delle due, a seconda dei casi. Da qui deriva forse quella miscela
di riluttanza e aspettativa, la miscela che abbiamo visto in opera anche alle elezioni
europee della scorsa settimana.
Si tratta di questioni di ampia portata, certo. Ma vorrei sottolineare in particolare un punto,
che viene trascurato.
Si tratta del fatto che la nostra Unione viene percepita dai cittadini soprattutto come uno
spazio e quasi mai come un luogo. Lasciate che mi spieghi. Spazio e luogo non sono
realmente la stessa cosa.
Un luogo – ein Ort – offre protezione, stabilità e senso di appartenenza. È ein Heim, in cui
le persone si sentono a casa. Uno spazio, invece – ein Raum – apre possibilità e
movimento. Riguarda la direzione, la velocità, il tempo.
In quanto esseri umani abbiamo bisogno di entrambi. Uno spazio in cui volare e un nido
che possiamo dire nostro. Siamo creature molto semplici!
L'Europa ha sempre ruotato intorno all'idea di spazio. Pensateci.
Sin dall'inizio, l'azione tipica è consistita nell'eliminare frontiere, per le merci, i lavoratori,
gli investimenti, per permettere a persone e imprese di spostarsi, prendere iniziative,
cogliere opportunità. Anche oggi - in settori diversi come l'energia, le telecomunicazioni o
l'economia digitale - si tratta di abbattere le frontiere per creare questo grande spazio
comune.
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Tuttavia, non abbiamo mai veramente pensato all'Europa come una casa, un rifugio, e oggi
ne paghiamo il prezzo. Per decenni ha funzionato bene. Le frontiere aperte hanno offerto
enormi opportunità, per lavorare, commerciare o studiare all'estero, e l'impatto dell'intera
azione di apertura è stato in gran parte attutito dalla crescita economica e dai sistemi
previdenziali, sviluppatisi parallelamente.
Ad esempio, nella mia regione, le Fiandre, nei tredici anni intercorsi tra il mio ingresso
nella scuola superiore e la mia uscita dall'università la prosperità è raddoppiata. La Polonia,
per citare un altro esempio, che aveva un livello di ricchezza pro capite pari a quello
dell'Ucraina all'epoca della caduta della cortina di ferro, è ora almeno tre volte più ricca.
Importante è che durante tutti questi anni la divisione dei compiti ha visto l'Europa aprire e
i governi nazionali proteggere. Nessuno si aspettava altro.
La situazione è tuttavia cambiata. La globalizzazione ha messo a dura prova i sistemi
previdenziali. La crisi ha costretto le istituzioni dell'Unione europea ad un nuovo ruolo.
Il risultato è un mutamento drammatico e rapido: mentre per decenni l'Europa è sempre
stata associata all'idea di aprire, liberare, sbloccare, emancipare, autorizzare... oggi è
improvvisamente vista come un'entità che si intromette, giudica, ordina, impone, corregge
e persino punisce... L'Europa, la grande "creatrice" di opportunità, è ora percepita da molti
come un'"intrusa" indesiderata, l'amica della libertà e dello spazio è vista come una
minaccia per la protezione e il luogo. Dobbiamo trovare il giusto equilibrio. È
fondamentale che l'Unione sia anche protettiva.
Urge che l'Unione sia vista come un vantaggio non solo per le imprese, ma anche per i
prestatori di lavoro; non solo per "chi si sposta", ma anche per "chi resta"; non solo per
coloro che possiedono diplomi e competenze linguistiche, ma per tutti i cittadini; e per le
persone in qualità non solo di consumatori cui piacciono i prodotti a buon mercato e la
vastità di scelta, ma anche in qualità di lavoratori che possono vedere negli altri
concorrenti per il posto di lavoro.
Come trovare il giusto equilibrio? In tema di protezione, le persone si aspettano due cose
dall'Unione europea.
In primo luogo, che l'Unione intervenga in caso di problemi che i singoli paesi chiaramente
non possono affrontare da soli in quanto non sufficientemente grandi. In secondo luogo,
che l'Unione non s'intrometta quando le autorità nazionali si trovano nella posizione
migliore per provvedere.
È in relazione alle problematiche globali e transfrontaliere che le persone vogliono
veramente che l'Europa difenda i loro interessi e allontani qualsiasi minaccia.
Come la speculazione finanziaria spericolata, che costituisce il motivo per cui stiamo
realizzando un'unione bancaria e dando un giro di vite contro l'evasione fiscale
internazionale. Oppure minacce come l'abuso di Internet, il dumping sociale o gli oligarchi
del gas - tutte problematiche riguardo alle quali l'Europa non cede terreno e intensifica gli
sforzi.
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Proteggere non significa ritirarci dietro le nostre frontiere, né significa protezionismo
commerciale. In parte consiste proprio nel collaborare con altri paesi all'estero per risolvere
problemi, come l'instabilità, l'illegalità o l'immigrazione illegale. Occuparsi di
problematiche riguardo alle quali la sua dimensione fa davvero la differenza, è questo il
compito dell'Europa in qualità di protettrice. La dimensione conta, ma vi sono altri casi in
cui, proprio a causa della sua dimensione, l'Unione deve muoversi con cautela.
Non perturbare, bensì rispettare i luoghi familiari di protezione e appartenenza - partendo
dalle scelte previdenziali nazionali, passando per le tradizioni e identità regionali, fino ad
arrivare al formaggio locale.
Sapere quando agire come Unione, e quando no, è un equilibrio difficile. Deve essere il
risultato di un dialogo, visto che mantenere tale equilibrio è un lavoro collettivo. Le
persone si aspettano regole sensate, applicate equamente, e il contrasto agli abusi.
Nel complesso, per me il messaggio dei cittadini all'Unione È chiaro: essere più forti verso
l'esterno e più premurosi verso l'interno.
Essere più forti verso l'esterno e più premurosi verso l'interno: è questo il compito comune
cui sono confrontati tutte le istituzioni e tutti i governi.
Non sarà facile, ma è importante: le persone devono sentirsi a casa nella nostra Unione. Per
assicurare che l'Europa non sia solo un grande spazio di circolazione e libertà, ein Raum,
ma anche un luogo di appartenenza, ein Ort, der Heimat ist.
Sono convinto che possiamo farcela.
Questo 2014, anno in cui commemoriamo i terribili eventi di cento anni fa, ci ricorda che
tutto dipende dalla pace. Senza pace, nessuno può fare la propria fortuna o trovare una
casa!
Tuttavia, sentirsi a casa nell'Unione richiederà anche quel qualcosa in più, quel supplément
d'âme che caratterizza l'Europa. Oltre a perseguire pace, prosperità o potere, si tratta anche
di cultura identità, destino...
All'età di sedici anni ricordo di aver letto una definizione di cultura citata in un saggio di
Paul-Henri Spaak che, per inciso, insieme a Tindemans è stato fino ad oggi l'unico altro
vincitore belga del premio Charlemagne: "La cultura - ha affermato - è ciò che rimane
dopo aver dimenticato tutto il resto", una volta giunti al nocciolo. Questo nocciolo duro
della civiltà europea è riscontrabile ovunque nel nostro continente.
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Tuttavia, l'Europa è anche una determinata idea di "der Mensch", dell'individuo. Come
scrisse Arthur Koestler: un individuo è molto più di una moltitudine di un milione divisa
per un milione. Ogni persona conta. Questo è il valore fondamentale della nostra grande
civiltà che merita di essere protetto; questo è il messaggio dell'Europea al mondo.
Grazie!
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