Su e giù per Baja California

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Su e giù per Baja California
inviaggio
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Su e giù per
Baja California
Anche se non sai andare sul surf, un viaggio nella California,
quella vera, ti restituisce il concetto di “essenzialità”
NELLE FOTO:
IN QUESTA PAGINA,
LA CARRETERA
TRANSPENINSULAR E
UN VILLAGGIO DI
PASSAGGIO CON 10
CASE, MA CON UNA
SCUOLA.
NELLA PAGINA
SEGUENTE, DALL’ALTO,
MISSIONE DI LORETO,
MISSIONE DI SAN
BORJA CON I FIGLI DEL
CUSTODE, SPIAGGIA A
MULEGÉ, APERITIVO A
BASE DI TEQUILA E
BIRRA A TIJUANA.
IN ULTIMA PAGINA,
TRAMONTO DALLE
MONTAGNE
NEI PRESSI
DI LA PAZ.
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Un paio d’anni fa in una tiepida
serata di marzo alcuni amici
ebbero un'idea… perché non
fare una vacanza un po’ fuori
dagli schemi, in un posto che non
fosse la solita meta turistica di
massa ma che potesse fare qualcosa
anche ai nostri spiriti impoveriti dalla
stressante vita cittadina? E così, ispirati
dalla ricerca dell’onda perfetta (Point
Break), quattro mesi dopo siamo partiti
alla volta di Baja California comodamente
ripartiti in tre coppie e con l’unica certezza
che al nostro arrivo avremmo avuto a
disposizione un furgone da otto posti, aria
condizionata e autoradio per affrontare
ancora più spavaldi tremila km (a/r) a
quaranta gradi all'ombra… È bastato un
giorno per capire che ci sarebbe stata
un’altra immancabile costante nel nostro
lungo viaggio… la birra! In effetti, sulla
Carretera Transpeninsular ci sono molti più
distributori di Tecate (la birra messicana
più diffusa) che di benzina… e a ognuno di
questi un simpatico messicano senza collo,
stupito dal nostro passaggio (ma senza
neanche scomporsi troppo), ci riforniva del
necessario. La prima tappa “messicana”,
dopo qualche giorno a Los Angeles, è
Tijuana, la meno “allineata” con il resto del
viaggio, e anche la più stressante. L’arrivo
dopo il tramonto “senza casa senza
mangiare”, il bidone tiratoci
dall'autonoleggio e le pressanti raccomandazioni da
parte dei pavidi che c’erano già stati e si erano
preoccupati per la nostra incolumità, non ci hanno
assolutamente impedito di soddisfare la nostra curiosità
sulla fondatezza del famoso “verso” di Manu Chao
“Welcome to Tijuana: tequila, sexo e marijuana”…
cappuccino con il termometro!) si parte con la frizzante
prospettiva di restare chiusi nel furgone per parecchi
kilometri perché il primo luogo abitato, Catavina, si
trova giusto alla fine del deserto dei sassi, chiamato
così perché ci sono solo enormi massi, la strada con la
riga gialla e i cactus. Ci troviamo così avvolti da
un’atmosfera quasi surreale in cui il cielo ha dei colori
che pensavo esistessero solo nelle cartoline (ritoccate)
della Grecia; ogni sasso sembra raccontare una storia
diversa di ragazzi e ragazze, di amicizia, di voglia di lasciare il segno, d'immortalità (ok ok, sto diventando
pesante, la smetto). Catavina è decisamente una città
di passaggio con qualche baracca, un ristorante e due
alberghi: uno bellissimo, quattro stelle, con patio e
piscina, piuttosto caro; l'altro, ehm, essenziale… un
letto, un ventilatore, un lavandino e un buco (immagino
Tutto vero, soprattutto nel fine settimana, quando gli
adolescenti di San Diego, che in patria non possono
ordinare alcolici, si riversano qui per “pazziare”...
Seconda tappa Ensenada, cittadina completamente
diversa, lontana dal contagio americano. Si comincia
finalmente a respirare aria di genuinità, di semplicità…
e vai con i tacos de pescado e i tacos de carne asada
(praticamente non esiste altra forma di cibo, cambiano
solo le dimensioni ma la sostanza è sempre la stessa:
tortillas sottili e calde, ripieno di carne o pesce fritto
arricchito da vari contorni tra cui pomodorini e fagioli
stufati e ovviamente una varietà di salsine piccanti e
non, da inserire a proprio piacimento).
Dopo un bel sonno ristoratore, sveglia alle 7.30
(neanche quando andavo a scuola mi svegliavo così
presto) ed eccezionale colazione all’italiana (fanno il
per i bisogni corporali ma non mi sono soffermata),
quasi gratuito. Quale avremo mai scelto noi, impavidi
avventurieri squattrinati? No comment… dico solo che
qualcuno ha preferito dormire in macchina, probabilmente ancor prima di scoprire che alle 11 di sera il
generatore di corrente viene staccato e che l'unico
punto a favore dell’albergo, il ventilatore, diventa un
oggetto completamente inutile. Le uniche, ma
importanti, consolazioni sono state la cena notturna alla
trattoria all’aperto dei camionisti e soprattutto trovarsi
in un posto totalmente privo di illuminazione ad
ammirare il cielo stellato. In definitiva... consigliata!
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poi La Paz (farlocca), arriviamo! La nostra libera
interpretazione della vida loca inizia con una bella
mangiata di pesce e continua in uno dei tanti locali,
sorseggiando margaritas e “sculettando” a ritmo di
musica latinoamericana. Avrete notato che fino ad ora
è andato tutto alla perfezione, come in un film, ma in
ogni film che si rispetti ci deve essere il contrattempo
che mette alla prova l’”eroe”! Ecco, infatti, che spunta
un Poncharello messicano imbolsito, palesemente alla
ricerca di un arrotondamento dello stipendio, che
minaccia di portarci al Comando per non so quale
infrazione. L’eroe in questione, capello lungo al vento,
panzetta del benessere (diventato da tempo opulenza),
pareo arancione, scende dalla macchina e, parlando
l'esperanto (perché non osi dirmi che si trattava di
spagnolo…), riesce incredibilmente a convincerlo a
lasciarci andare per pochi pesos… e anche questa è
andata! Prossima e ultima tappa, Cabo San Lucas,
ancora più colonizzata, colorata, caotica e costosa, ma
la soddisfazione di un bell'hamburger all'Hard Rock
Café è impagabile, soprattutto dopo chili e chili di
tacos… Un paio di giorni ancora sulla punta, una visita
all’Hotel California, proprio quello della canzone, a
Todos Santos, colonia di artisti americani stufi delle
highways e poi 180° verso nord, si torna a ritroso,
lungo quest’unica strada che attraversa la penisola, una
striscia di cemento spalmata fra la terra e il cielo, larga
a malapena come la Vecchia Paullese, con dei bordi
così alti che mettere una ruota fuori strada vuol dire
capottare. Cosa mi è rimasto, a parte le scottature e le
confezioni di dissenten non usate? Beh… i colori, la
disponibilità delle persone, la bellezza dell'oceano e
ovviamente la voglia di tacos!
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Chiara Marinoni
Foto di Ilaria Grazia, Barbara Scatena,
Mauro Gallo e Pietro Morelli
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La mattina dopo arriviamo quasi a metà del viaggio,
cambia il fuso e approdiamo a Guerrero Negro,
cittadina senza infamia e senza lode, almeno ad agosto
(nel periodo giusto in questa baia riparata e piena di
saline vengono le balene a partorire).
La strada ci porta dall'altra parte della penisola, il sole
continua a splendere insistente sulle nostre teste e, alla
disperata ricerca di un po' di refrigerio, ci buttiamo in
un mare verde Caraibi, con tanto di spiaggetta bianca e
deserta, capanne di paglia e squaletti bianchi. Sembra
di stare in una scena di Laguna Blu!
Mulegé è veramente incantevole, gli autoctoni
gentilissimi e l'aragosta spettacolare (ed economica).
Ma purtroppo il tempo è tiranno e dobbiamo proseguire
verso la punta, colonia dei ricchi tamarri americani con
la decappottabile. Prima di buttarci a capofitto nel
mondo della notte, ci concediamo un altro assaggio di
spiritualità: Bahia de Los Angeles, celebre come rifugio
di galeotti americani latitanti e altra varia umanità che
non vuole farsi più trovare dalla civiltà, e a seguire la
Missione di San Borja, attraverso un sentiero “carrabile”
solo di nome! Il tempo sembra immobile, il contatto
con la cosiddetta civiltà inesistente; ci accoglie una
famigliola la cui emozione per l’eccezionalità della
visita si manifesta in particolar modo nei pantaloni della
bambina che compare nella foto (si è solo fatta la pipì
addosso)... sono i custodi della missione, che se oggi
conserva più che altro un valore storico, in passato è
stata, come tutte le altre numerosissime missioni della
penisola, il primo luogo di aggregazione di questo
popolo, e con questo anche la prima scuola, la prima
mensa ecc. Scende la sera, il cielo diventa un quadro di
Monet e noi non abbiamo ancora recuperato la strada
maestra… panico! Qualche ora di battiti accelerati nel
nero della notte del deserto, scongiurando la tremenda
ipotesi di bucare una gomma, un rientro da brivido
sulla carretera con un camion che ci sfreccia davanti e