imparate da me, che sono mite e umile di cuore
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imparate da me, che sono mite e umile di cuore
COMUNITA’ DI SANTA MARIA DEL POPOLO ADORAZIONE EUCARISTICA – lunedì 24 settembre 2007 IMPARATE DA ME, CHE SONO MITE E UMILE DI CUORE (Mt 11, 29) Canto: Confitemini Domino, quoniam bonus. Confitemini Domino, alleluia. Guida: Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto sopra un puledro d`asina. (Gv.12, 15) "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell`uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti". (Mc 10, 45 – 48) Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: "Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l`altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato". (Lc 18, 9 – 14) Perché la tua forza non sta nel numero, né sugli armati si regge il tuo regno: tu sei invece il Dio degli umili, sei il soccorritore dei derelitti, il rifugio dei deboli, il protettore degli sfiduciati, il salvatore dei disperati. (Giuditta, 9 – 11) Canto: Bonum est confidere in Domino, bonum sperare in Domino Silenzio – Lettura individuale (una riflessione di Enzo Bianchi) La definizione più attestata, e che meglio coglie il suo carattere proprio, vede l’umiltà non tanto come una virtù, ma come il fondamento e la possibilità di tutte le altre virtù. "L'umiltà è la madre, la radice, la nutrice, il fondamento il legame di tutte le altre virtù'', dice Giovanni Crisostomo, e in questo senso si comprende che Agostino possa vedere "in essa sola, l'intera disciplina cristiana''. Occorre pertanto sottrarre l'umiltà alla soggettività e al devozionalismo e ricordare che essa nasce dal Cristo che è il magister humilitatis, come lo chiama Agostino. Ma Cristo è maestro di umiltà in quanto "ci insegna a vivere'' (Lettera a Tito 2,12) guidandoci a una realistica conoscenza di noi stessi. Ecco, l'umiltà è la coraggiosa conoscenza di sé davanti a Dio e davanti al Dio che ha manifestato la sua umiltà nell'abbassamento del Figlio, nella kenosi fino alla morte di croce. Ma in quanto autentica conoscenza di sé, l'umiltà è una ferita portata al proprio narcisismo, perché ci riconduce a ciò che siamo in realtà, al nostro humus, alla nostra creaturalità e così ci guida nel cammino della nostra umanizzazione, del nostro divenire homo. Ecco l'humilitas: "O uomo, riconosci di essere uomo; tutta la tua umiltà consista nel conoscerti'' (Ilario di Poitiers). Imparata da colui che è "mite e umile di cuore'' , l'umiltà fa dell'uomo il terreno su cui la grazia può sviluppare la sua fecondità. Conoscendo la propria creaturalità, i propri limiti creaturali, ma poi anche il proprio essere peccatore, e contemporaneamente sapendo di aver tutto ricevuto da Dio e di essere amato anche nella propria limitatezza e negatività, l'umiltà diviene volontà di sottomissione a Dio e ai fratelli nell'amore e nella gratitudine. Sì, l'umiltà è relativa all'amore, alla carità. "Là dov'è l'umiltà, là è anche la carità'' afferma Agostino, e un filosofo contemporaneo gli fa eco: "L'umiltà dispone e apre alla grazia, ma non l'umiltà è questa grazia, bensì solo la carità'' (V. Jankélévitch). In questo senso essa è anche elemento essenziale alla vita in comune, e non a caso nel Nuovo Testamento risuona costantemente l'invito dell'apostolo ai membri delle sue comunità a "rivestirsi di umiltà nei rapporti reciproci'' (1 Lettera di Pietro 5,5; Colossesi 3,12), a "stimare gli altri, con tutta umiltà, superiori a se stessi'' (Filippesi 2,3), a "non cercare cose alte, ma piegarsi a quelle umili'' (Romani 12,16): solo così può avvenire l'edificazione comunitaria, che è sempre condivisione delle debolezze e delle povertà di ciascuno. Solo così viene combattuto e sconfitto l'orgoglio, che è "il grande peccato'' (Salmo 19,14), o forse, meglio, il grande accecamento che impedisce di vedere in verità se stessi, gli altri e Dio. Più che sforzo di autodiminuzione, l'umiltà è allora evento che sgorga dall'incontro fra il Dio manifestato in Cristo e una precisa creatura. Nella fede, l'umiltà di Dio svelata da Cristo (cf. Filippesi 2,8: "umiliò se stesso'') diviene umiltà dell'uomo. Certo, perché nasca la vera umiltà, perché l'umiltà sia anche verità, perché si giunga ad aderire alla realtà obbedendo con riconoscenza a Dio, spesso occorre l'esperienza dell'umiliazione. Per noi umiliarci, in libertà e per amore, è operazione difficile, e compierla in modo puro è quasi impossibile: c'è infatti un'umiltà che è un pretesto per una vanagloria raddoppiata ... Per questo l'umiltà non è tanto una virtù da acquistare, quanto un abbassamento da subire; dunque l'umiltà è anzitutto umiliazione. Umiliazione che viene dagli altri, soprattutto i più vicini a noi, umiliazione che viene dalla vita che ci contraddice e ci sconfigge, umiliazione che viene da Dio che con la sua grazia è capace di umiliarci e di innalzarci come nessun altro può farlo. Più che mai l'umiliazione è luogo per conoscere se stessi in verità e imparare l'obbedienza, come Cristo "imparò l'obbedienza dalle cose che patì'' (Ebrei 5,8), e tra queste "l'infamia e la vergogna'' (cf. Ebrei 12,2; 13,13). L'umiliazione è l'evento in cui si va a fondo del proprio abisso frantumando il cuore (cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies: Sal 50,19). Allora, grazie a questa esperienza, si possono ripetere con verità le parole del Salmista: "Bene per me essere stato umiliato, ho imparato i tuoi comandamenti'' (Salmo 119,71). Canto: El Senyor ès la meva forca, el Senyor el meu cant. Ell m’ha estat la salvaciò. En Ell confio i no tinc por; En Ell confio i no tinc por; Silenzio – Lettura individuale (Benedetto XVI, Deus charitas est, 34 -35) Il giusto modo di servire rende l'operatore umile. L'azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l'amore per l'uomo, un amore che si nutre dell'incontro con Cristo. L'intima partecipazione personale al bisogno e alla sofferenza dell'altro diventa così un partecipargli me stesso: perché il dono non umilii l'altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio ma me stesso, devo essere presente nel dono come persona. L’operatore non assume una posizione di superiorità di fronte all'altro, per quanto misera possa essere sul momento la sua situazione. Cristo ha preso l'ultimo posto nel mondo — la croce — e proprio con questa umiltà radicale ci ha redenti e costantemente ci aiuta. Chi è in condizione di aiutare riconosce che proprio in questo modo viene aiutato anche lui; non è suo merito né titolo di vanto il fatto di poter aiutare. Questo compito è grazia. Quanto più uno s'adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: « Siamo servi inutili » (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono. A volte l'eccesso del bisogno e i limiti del proprio operare potranno esporlo alla tentazione dello scoraggiamento. Ma proprio allora gli sarà d'aiuto il sapere che, in definitiva, egli non è che uno strumento nelle mani del Signore; si libererà così dalla presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. In umiltà farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza. Fare, però, quanto ci è possibile con la forza di cui disponiamo, questo è il compito che mantiene il buon servo di Gesù Cristo sempre in movimento: « L'amore del Cristo ci spinge » (2 Cor 5, 14). Preghiamo insieme con il salmo 130 Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l`anima mia. Speri Israele nel Signore, ora e sempre. Silenzio - Lettura individuale: preghiera di Kirk Kilgour, campione olimpico di pallacanestro, rimasto paralizzato da un incidente durante un allenamento Chiesi a Dio di essere forte per eseguire progetti grandiosi: egli mi rese debole per conservarmi nell'umiltà. Domandai a Dio che mi desse la salute per realizzare grandi imprese: egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio. Gli domandai la ricchezza per possedere tutto: mi ha fatto povero per non essere egoista. Gli domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me: egli mi ha dato l'umiliazione perché io avessi bisogno di loro. Domandai a Dio tutto per godere la vita: mi ha lasciato la vita perché potessi apprezzare tutto. Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo, ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno e quasi contro la mia volontà. Le preghiere che non feci furono esaudite. Sii lodato; o mio Signore, fra tutti gli uomini nessuno possiede quello che ho io! Canto: Mon âme se repose en paix sur Dieu seul: de lui vient mon salut Silenzio – lettura individuale (dall’Imitazione di Cristo) L'uomo, per sua natura, anela a sapere; ma che importa il sapere se non si ha il timore di Dio? Certamente un umile contadino che serva il Signore è più apprezzabile di un sapiente che, montato in superbia e dimentico di ciò che egli è veramente, vada studiando i movimenti del cielo. Colui che si conosce a fondo sente di valere ben poco in se stesso e non cerca l'approvazione degli uomini. Dinanzi a Dio, il quale mi giudicherà per le mie azioni, che mi gioverebbe se io anche possedessi tutta la scienza del mondo, ma non avessi l'amore? Datti pace da una smania eccessiva di sapere: in essa, infatti, non troverai che sviamento grande ed inganno. Coloro che sanno desiderano apparire ed essere chiamati sapienti. Ma vi sono molte cose, la cui conoscenza giova ben poco, o non giova affatto, all'anima. Ed è tutt'altro che sapiente colui che attende a cose diverse da quelle che servono alla sua salvezza. I molti discorsi non appagano l'anima; invece una vita buona rinfresca la mente e una coscienza pura dà grande fiducia in Dio. Quanto più grande e più profonda è la tua scienza, tanto più severamente sarai giudicato, proprio partendo da essa; a meno che ancor più grande non sia stata la santità della tua vita. Non volerti gonfiare, dunque, per alcuna arte o scienza, che tu possegga, ma piuttosto abbi timore del sapere che ti è dato. Anche se ti pare di sapere molte cose; anche se hai buona intelligenza, ricordati che sono molte di più le cose che non sai. Non voler apparire profondo, manifesta piuttosto la tua ignoranza. Perché vuoi porti avanti ad altri, mentre se ne trovano molti più dotti di te, e più esperti nei testi sacri? Se vuoi imparare e conoscere qualcosa, in modo spiritualmente utile, cerca di essere ignorato e di essere considerato un nulla. È questo l'insegnamento più profondo e più utile, conoscersi veramente e disprezzarsi. Non tenere se stessi in alcun conto e avere sempre buona e alta considerazione degli altri; in questo sta grande sapienza e perfezione. Anche se tu vedessi un altro cadere manifestamente in peccato, o commettere alcunché di grave, pur tuttavia non dovresti crederti migliore di lui; infatti non sai per quanto tempo tu possa persistere nel bene. Tutti siamo fragili; ma tu non devi ritenere nessuno più fragile di te. Canto: Magnificat, magnificat, magnificat anima mea Dominum Guida: « Magnificat anima mea Dominum », dice Maria in occasione della visita ad Elisabetta — « L'anima mia rende grande il Signore » — (Lc 1, 46), ed esprime con ciò tutto il programma della sua vita: non mettere se stessa al centro, ma fare spazio a Dio incontrato sia nella preghiera che nel servizio al prossimo — solo allora il mondo diventa buono. Maria è grande proprio perché non vuole rendere grande se stessa, ma Dio. Ella è umile: non vuole essere nient'altro che l'ancella del Signore (cfr Lc 1, 38. 48). Ella sa di contribuire alla salvezza del mondo non compiendo una sua opera, ma solo mettendosi a piena disposizione delle iniziative di Dio. Meditiamo su queste parole di Benedetto XVI e preghiamo perché anche nel nostro cuore si faccia strada il medesimo desiderio. Recitiamo una decina del rosario Canto: O adoramus Te, Domine