Società secolari e visite papali

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Società secolari e visite papali
il fatto, il commento
Società secolari
e visite papali
M
Stefano Bittasi S.I.
Gesuita e biblista, fa
parte del Gruppo di
consulenza editoriale
di Popoli ed è
nella redazione di
Aggiornamenti Sociali.
Vive nella comunità di
Villapizzone, a Milano.
56 Popoli gennaio 2011
i trovavo a Londra
il 18 settembre,
giorno della visita di
Benedetto XVI. Sono rimasto
come molti travolto dalle oltre
centomila persone che uscivano
da Hyde Park al termine della
veglia eucaristica con il papa.
Mi è allora capitato di ascoltare
questo scambio di battute
tra due conduttori di risciò,
in questi ultimi anni molto
popolari tra i turisti: «Ma cosa
succede?», chiede il primo, e
il collega risponde: «Sarà il
concerto che c’era oggi a Hyde
Park!». Un importante incontro
con il papa alla stregua di
un concerto? Davvero mi è
venuto da pensare che anche
in queste piccole cose si tocca
con mano cosa significhi la
«secolarizzazione» di una
grande città europea come
Londra.
Non a caso, proprio questo
è il tema che più di tutti ha
caratterizzato la visita del
papa nel Regno Unito (16-19
settembre) e in Spagna (6-7
novembre). Benedetto XVI
ha fortemente sottolineato la
necessità di ridare spessore
al ruolo della religione e, in
particolare del cristianesimo,
nella vita della società laica
contemporanea. Il papa è
tornato a proporre un tipo di
società in cui l’armonia tra fede
e ragione sia la misura del vero
umanesimo, e in cui un sano
concetto di laicità, che rispetti
la dignità della persona e i suoi
diritti inalienabili, tra cui la
libertà religiosa, di culto e di
coscienza, permetta di superare
il fondamentalismo laicista,
ostile alla rilevanza culturale e
sociale del cristianesimo e della religione in generale. Il
fatto degno di nota non è tanto la novità del tema, da
sempre uno dei più cari al pontefice, quanto che egli lo
stia continuando a declinare in tutte le città d’Europa
che sta visitando. Come già a Parigi nel 2008 e poi
a Praga nel 2009, Benedetto XVI sta insistentemente
sviluppando il suo ragionamento che possiamo
riassumere secondo questa catena di riflessioni.
1) Il fondamento ultimo per le scelte politiche non
può che essere di tipo etico, razionale e conforme alla
dottrina naturale del primato dell’uomo e della sua
apertura al trascendente;
2) Non può perciò essere sufficiente nelle nostre società
il semplice gioco del consenso democratico e della
maggioranza. «Se i principi morali che sostengono il
processo democratico non si fondano su nient’altro di
Nei suoi viaggi in Gran Bretagna
e in Spagna, Benedetto XVI ha
fortemente sottolineato la necessità
di ridare spessore al ruolo della
religione nella vita della società laica
contemporanea
più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità
del processo si mostra in tutta la sua evidenza» e «qui
si trova la reale sfida per la democrazia» (Discorso a
Westminster Hall del 17/9/2010);
3) La ragione deve essere aiutata in questo processo
di ricerca dalla religione e, nella nostra cultura
occidentale, in modo precipuo dal cristianesimo che
costituisce quasi un «correttivo» dei semplici processi
razionali, nel suo ruolo di aiutare a purificare e gettare
luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei
principi morali oggettivi. «Senza il correttivo fornito
dalla religione, infatti, anche la ragione può cadere
preda di distorsioni, come avviene quando essa è
manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo
parziale, che non tiene conto pienamente della dignità
della persona umana» (ibid.);
4) Ecco perché la società deve essere aperta alla
libertà religiosa e all’operato delle istituzioni religiose,
comprese quelle cattoliche, che devono essere libere
di agire in accordo con i propri principi e le proprie
specifiche convinzioni;
5) Il richiamo alle radici cristiane della cultura delle
nazioni europee deve evitare la marginalizzazione della
presenza dei simboli cristiani tradizionali (sia riguardo
alle festività che ai simboli artistici e più direttamente
religiosi), mascherata da falsa attenzione alla tolleranza
nei confronti di altre sensibilità religiose presenti in un
territorio.
Come si vede il discorso del papa evidenzia un rigore
logico difficile da scalfire. Bisogna però aggiungere
che varie sono le difficoltà e le resistenze che una
prospettiva di questo genere fa nascere, non solo nel
dibattito tipico della società laica e pluralista, ma anche
in molti cattolici maggiormente impegnati nella res
publica.
Il primo nodo critico è la sensazione che molti hanno
di due pesi e due misure nei confronti della relazione
tra religione e Stato a seconda che si tratti della
religione cristiana nelle nazioni «occidentali» o di altre
religioni nelle nazioni più a oriente. Da una parte si
assiste al tentativo di far ritornare in modo esplicito
il cristianesimo come anima delle nostre società.
Dall’altra non è raro uno sguardo sospettoso e in alcuni
casi una esplicita condanna, nei confronti di quelle
nazioni che fanno di una precisa religione il contesto
valoriale fondamentale della propria legislazione. E
non si tratta solo di teocrazie integraliste islamiche,
ma pure di nazioni che sono ormai decisamente rivolte
alla secolarità e alla modernizzazione. Si pensi, ad
esempio, al caso «europeo» della Turchia. Può allora
esistere un riferimento «teologico» per una società
laica contemporanea che non diventi assolutismo
«teocratico»? Il margine del rapporto tra valori religiosi
e società laica è delicato. Rimangono al riguardo sempre
lucide e attuali le parole che Oscar Luigi Scalfaro
rivolse a Giovanni Paolo II nel corso della visita al
Quirinale: «La laicità dello Stato, che è presupposto
di libertà ed eguaglianza per ogni fede religiosa, non
toglie, ma aumenta l’impegno di chi vive, o cerca
di vivere, i valori cristiani; e aumenta il richiamo
all’umana coscienza per servire, nello Stato, chi più ha
bisogno e ha diritto a giustizia, a solidarietà. La Chiesa
- esperta di umanità - è, per chi crede, madre e maestra
dei valori essenziali per la vita dei singoli e dei popoli,
e lo è specialmente per chi, eletto a supremo magistero,
deve sentire il dovere di consumare la vita per il bene
del proprio popolo. Nella nostra diretta responsabilità è
la scelta politica, è l’amministrare la cosa pubblica, è il
quotidiano delicato e non facile compito di discernere,
di guidare, di governare, di decidere. Su questi temi
tremendi in sé e per le conseguenze che determinano,
la voce della Chiesa che prega, che conforta, che ne
ricorda i valori fondamentali e immutabili, è lampada
che dona luce e forza al nostro cammino, ma non
può togliere, né alleggerire il nostro carico» (Visita
di Giovanni Paolo II al Quirinale, Roma, 20 ottobre
1998).
Un’altra resistenza alla prospettiva indicata dal papa
nasce dall’ormai consolidato tessuto sociale ormai
fortemente differenziato che le metropoli europee
(comprese diverse città italiane) presentano in termini
di popolazioni immigrate, portatrici di altre esigenze
religiose e che chiedono di poter esprimere e vivere
la propria religiosità. Così si è spettatori, a livello di
opinione pubblica e di dibattiti legislativi, di feroci
polemiche riguardo a veli, simboli e festività religiose,
costruzione di luoghi di culto.
Non è un caso che sia stato recentemente creato un
Varie, però, sono le resistenze
che il discorso papale suscita
nel dibattito tipico della società laica
e pluralista, così come in molti
cattolici maggiormente impegnati
nella res publica
organismo vaticano dedicato ai processi della nuova
evangelizzazione nel nostro mondo occidentale che, con
il suo secolarismo e la sua laicità, deve poter ritrovare
una sintonia e una continuità con la fede cristiana. Una
fede che deve cercare di trovare nuovi
linguaggi oggi, per rispondere alla
sfida della laicità. Il papa sottolinea
che questo processo deve avvenire
nella prospettiva dell’incontro
e non dello scontro.
Cammino certo possibile
e auspicabile, ma che
necessita di pazienza
e di capacità di
adattamento
e certamente
di creatività.
Lo stemma di papa Benedetto XVI.