Vestina Ferraro - Il mio 11 settembre.
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Vestina Ferraro - Il mio 11 settembre.
11 Settembre 2001. L’unicità della strage «La pietà di un uomo non può che essere scossa dal verificarsi di un simile crimine contro l’umanità». Il dolore per gli attacchi subiti dagli Stati Uniti per mano del terrorismo islamico nel 2001 coglie persino chi sin dalla nascita ha dovuto affrontare la perpetua instabilità causata dalle lotte intestine aventi per teatro il proprio paese natale, cui mancò una ragionevole forma di aiuto e intervento da parte delle potenze occidentali. Parla Jean-Claude Nkubito, ruandese che della cronaca dei conflitti nei territori africani ha fatto il proprio mestiere. Quali sono state le sue prime impressioni all’apprendimento della notizia? «L’11 settembre 2001 avevo da poco iniziato il mio lavoro come corrispondente presso la BBC Great Lakes a Bruxelles. Ho seguito gli attacchi in Sudan nel 1997 e in precedenza ho vissuto da vittima il genocidio dei Tutsi in Ruanda, episodi che già avevano presentato ai miei occhi le gesta della follia omicida di massa. Tuttavia la consapevolezza che venivano attaccate senza preavviso una moltitudine di persone calate nella quotidianità della propria occupazione ha dato a mio avviso un’inedita ragion d’essere alla credenza che homo homini lupus». L’opinione pubblica a suo dire ha reagito adeguatamente? «Ho apprezzato la mobilitazione del mondo per i fatti di quella giornata, mi dispiace ancora che la stessa cosa non sia avvenuta ad esempio nel 1994 a favore dei Tutsi brutalmente assassinati sotto gli occhi dell’umanità intera». Ritiene che le cause di un simile atto siano tutte da imputare all’Islamismo? «La colpevolezza è insita nella natura stessa del fenomeno. Il terrorismo è un problema che deve essere affrontato attraverso la lotta contro la povertà, contro il razzismo in Occidente, e imparando a rispettare il multiculturalismo. Fintanto che esso prolifica però è assai pericolo ignorare deliberatamente i rischi connessi alla sua attività, onde evitare conseguenze tragiche come quelle inflitte negli ultimi tempi al Mali a seguito della morte di Gheddafi». Qual è il principale insegnamento da trarre a più di dieci anni dall’attentato? «Spendiamo più energia per distruggere che per costruire. Credo che dovremmo puntare sulla comunicazione piuttosto che sulle armi, auspicando una soluzione pacifica per dirimere i conflitti tra mondi così distanti. In ciò risiede la concreta possibilità di un esito vittorioso per ciascuna delle parti». Vestina Ferraro. [email protected]