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Il trattamento del parasuicidio:
terapia e prevenzione del comportamento
suicidario
FILIPPO TURCHI, GIAN FRANCO PLACIDI
4:2004; 313-326
Le condotte suicidarie sono uno dei principali problemi di salute pubblica. Sono
circa un milione le persone che ogni anno muoiono per suicidio nel mondo, e si
stima che il numero dei tentati suicidi sia da 10 a 20 volte superiore. Le condotte
suicidarie rappresentano la più grave complicanza di un disturbo psichiatrico. In
questa revisione della letteratura sono stati analizzati i vari fattori di rischio clinici e
sociodemografici, le variabili psicopatologiche, i fattori biologici che costituiscono
il comune substrato neurobiologico sia del parasuicidio sia del suicidio portato a termine, la familiarità e gli studi di genetica. Infine, sono state proposte alcune strategie
di prevenzione e trattamento che si sono dimostrate efficaci.
NÓOς
RIASSUNTO
IL SUICIDIO
Unità di Ricerca per lo Studio e la Prevenzione delle Condotte Suicidarie,
Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università di Firenze
Parole chiave: parasuicidio, prevenzione, trattamento, comportamento suicidario,
patologia psichiatrica.
SUMMARY
Suicidal behavior is one of the most important problem of public health. About one
milion suicides occur worldwide each year, while the number of suicide attempts is
10-20 times higher. Suicidal behavior represents the most serious complication of a
psychiatric disorder. In this review we have analyzed clinical and sociodemographical risk factors, psychopathological variables, the neurobiology of parasuicide and
completed suicide, familial and genetic factors. Finally, we have suggested some
effective strategies of treatment and prevention, that seem to reduce suicide risk.
Key words: parasuicide, prevention, treatment, suicidal behavior, psychiatric disorder.
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Indirizzo per la corrispondenza: Gian Franco Placidi, Direttore dell’UO di Psichiatria Universitaria,
Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università di Firenze, Viale Morgagni 86 - 50134
Firenze - Tel. 055 4298456, Fax 055 4298454, e-mail: [email protected]
NÓOς
IL TRATTAMENTO DEL PARASUICIDIO:
TERAPIA E PREVENZIONE DEL
COMPORTAMENTO SUICIDARIO
F. TURCHI - G. F. PLACIDI
INTRODUZIONE
Il suicidio rappresenta l’ottava causa di morte nella popolazione generale e la
terza se consideriamo la fascia di età compresa tra 15 e 34 anni. Sono circa
un milione le persone che ogni anno muoiono per suicidio1 e si stima che il
numero di tentati suicidi sia da 10 a 20 volte superiore. Per ogni persona
morta per suicidio vi sono almeno altre 5 persone la cui vita risulta compromessa emozionalmente. Si calcola che ogni medico, mediamente, possa
entrare in contatto con almeno tre pazienti gravemente suicidari ogni anno, e
con pazienti che riportano spontaneamente ideazione suicidaria in un numero
almeno cinque volte maggiore2.
In generale il comportamento suicidario può essere considerato come uno
spettro continuo di condizioni psicopatologiche che va dalla semplice ideazione suicidaria al suicidio portato a termine. In passato, il suicidio è stato
definito come un qualsiasi atto volontario positivo o negativo che causa
direttamente o indirettamente la morte della vittima (Émile Durkheim, Le
suicide, 1897). Solitamente si intende per “tentato suicidio” un comportamento autolesivo finalizzato alla morte del soggetto, che include un eterogeneo spettro di condizioni che va dal tentativo pianificato ad alta letalità (suicidio mancato), a tentativi di suicidio con più bassa letalità3. Il “parasuicidio” può essere definito come un atto autolesivo intenzionale, però privo di
un chiaro intento di morte4. In questa casistica dovrebbero essere inseriti
anche quei casi di “morti da cause indeterminate o in circostanze non chiare”
che in circa il 10% dei casi sono suicidi misconosciuti, come per ingestione
accidentale di veleni, incidenti e traumi, negligenza nell’assunzione della
terapia per un disturbo clinico preesistente (diabete)5.
Queste considerazioni spiegano la necessità di una più approfondita conoscenza delle problematiche connesse al suicidio e ai tentativi di suicidio,
nonché l’interesse della ricerca e delle organizzazioni che hanno la responsabilità della gestione della salute pubblica. Considerando che le condotte suicidarie rappresentano la complicanza più grave di un disturbo psichiatrico, e
che questi soggetti frequentemente hanno un’anamnesi positiva per più di un
tentativo di suicidio o di parasuicidio, si comprende la necessità di incrementare la ricerca per definire i soggetti a rischio e per stabilire efficaci protocolli di intervento terapeutico, di prevenzione e di formazione di personale specializzato.
EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO
I tassi di suicidio variano molto da un Paese all’altro, passando da 1/100000
della Siria a 40/100000 dell’Ungheria1. In Italia dati ISTAT (1998) indicano
che il tasso di suicidio è del 5,9/100000, dei quali il 76% commesso da soggetti di sesso maschile, con una maggiore incidenza nelle regioni del Nord. Il
tasso per i tentativi di suicidio è stato complessivamente del 6,1/100000, con
un maggior numero di casi nel sesso femminile, cosi come per il parasuicidio. I tassi sembrano comunque tendenzialmente stabili negli ultimi dieci
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anni, con una relativa tendenza alla riduzione per quanto riguarda soggetti di
età superiore ai 65 anni.
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In più del 90% dei casi di suicidio è possibile rilevare una diagnosi psichiatrica pregressa6-10. In circa il 60% dei casi è un disturbo dell’umore6-11, ma sono
frequenti anche diagnosi di schizofrenia12-16, abuso di alcol17-22 e altre sostanze23-25 , disturbi di personalità (quali il disturbo borderline e l’antisociale)26-33.
In circa l’82% dei casi esiste una comorbilità psichiatrica in questi soggetti34.
La mortalità lifetime per suicidio varia da disturbo a disturbo. Nel disturbo
bipolare è in media del 20% (il 25-60% dei soggetti commette almeno un tentativo di suicidio e il 60-80% dei soggetti ha ideazione suicidaria); mentre è
del 15% in soggetti con depressione unipolare. La mortalità è del 10-15% nei
soggetti con schizofrenia (con tassi per il tentato suicidio che variano tra il 3356% e di ideazione suicidaria del 60-80%); è del 18% in alcolisti, mentre
varia tra il 10% e il 5% in soggetti con disturbo di personalità borderline e
antisociale1. Nonostante che un disturbo psichiatrico sia generalmente riconosciuto come una condizione necessaria ma non sufficiente per la messa in atto
di un comportamento suicidario, può essere considerato sia come un fattore
predisponente che come un fattore precipitante per suicidio35. Spesso è la riacutizzazione della sintomatologia psichiatrica che costituisce il trigger per la
messa in atto di un agito parasuicidario; inoltre diagnosi quali abuso di alcol e
sostanze, disturbi dell’umore e disturbi di personalità sono considerate fattori
di rischio anche per future ripetizioni di condotte parasuicidarie35,36. Inoltre,
la presenza di una maggiore gravità della sintomatologia depressiva soggettiva e della hopelessness, associata alla presenza di ideazione suicidaria sono
considerate come forti predittori a breve termine di condotte suicidarie37,38.
Altre variabili psicopatologiche che conferiscono un rischio aggiuntivo sono
la presenza di sintomi psicotici, soprattutto se positivi39-42, il deterioramento
delle funzioni cognitive, ma anche il numero di ospedalizzazioni e il numero
di episodi pregressi di malattia43,44. Spesso si osservano difficoltà relazionali e
scadimento del funzionamento globale fin da un anno prima del tentativo di
suicidio, a testimonianza delle variabilità dei fattori di rischio di suicidio, ma
anche dell’importanza che ha la patologia psichiatrica nell’aggravare la storia
personale del soggetto a rischio45.
IL SUICIDIO
Patologia psichiatrica
Storia di pregresse condotte suicidarie
I fattori di rischio per il parasuicidio sembrano essere del tutto sovrapponibili
a quelli per il suicidio46. Il più forte predittore di condotte parasuicidarie è
avere una pregressa storia di parasuicidio47-50, considerando che circa il 50%
dei soggetti che hanno commesso un gesto parasuicidario ha un’anamnesi
positiva per pregresso parasuicidio51,52. Il 16-25% dei soggetti ripete il tentativo entro il primo anno rispetto al primo gesto parasuicidario35,53. Circa il
7% dei soggetti con storia di parasuicidio muore per suicidio52, con un
aumento relativo del rischio di 42 volte superiore rispetto alla popolazione
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COMPORTAMENTO SUICIDARIO
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generale54. Nel 44% degli individui che muoiono per suicidio è presente una
storia di pregresso parasuicidio55.
Il parasuicidio è caratterizzato dall’assenza di un chiaro intento di morte e
dalla bassa letalità del gesto, dovuta principalmente alla scelta del metodo e
alla scarsa pianificazione, ed ha solitamente un intento dimostrativo. Questo
dato correla con l’osservazione di una prevalente dimensione di “impulsività” in questi soggetti, rispetto all’aggressività, che sembra essere più caratteristica di quei soggetti maschi di età avanzata che compiono suicidi ad alta
letalità, scegliendo metodi violenti. Tra i metodi parasuicidari più usati troviamo l’overdose di farmaci o sostanze, l’ingestione di veleni, “tagliarsi”,
avere un incidente stradale35.
Familiarità per condotte suicidarie
La familiarità per condotte suicidarie rappresenta uno dei più importanti fattori di rischio per suicidio e per comportamenti suicidari in generale, in quanto
condivide il substrato neurobiologico della vulnerabilità per qualsiasi agito
suicidario. Spesso le condotte suicidarie si distribuiscono tra i membri della
stessa famiglia, il rischio correla con il grado di parentela, e prescinde dalla
familiarità per la patologia psichiatrica, che quindi costituirebbe un fattore di
rischio aggiuntivo, sia in termini “biologici”, sia considerando la compromissione dello sviluppo psicologico del soggetto nelle suddette famiglie.
Queste osservazioni sono state confermate da risultati ottenuti in diversi
studi familiari. Soggetti con storia di condotte suicidarie mostravano un’alta
percentuale di pregressi comportamenti suicidari tra i propri familiari56-58. La
concordanza per suicidio59 e per tentativi di suicidio60 era significativamente
più alta tra gemelli monozigoti rispetto ai dizigoti. Studi su soggetti adottati
hanno mostrato che esiste una correlazione per suicidio più significativa tra
figli e genitori biologici rispetto a quella che intercorreva tra figli e genitori
adottivi, anche dopo aver controllato per la presenza di psicosi e disturbi dell’umore61.
ALTRI FATTORI DI RISCHIO
Il parasuicidio è più frequente nei soggetti di sesso femminile, nella fascia
d’età compresa tra 15 e 35 anni, tra i disoccupati, tra i single, tra i caucasici
di razza bianca35.
Una storia di pregresso abuso fisico o sessuale nell’infanzia è più frequente
in soggetti con storia di condotte suicidarie62,63. È stato ipotizzato che una
storia di pregresso abuso possa determinare una specifica predisposizione a
sviluppare marcati tratti di impulsività e discontrollo verso sentimenti di rabbia e ostilità, smascherando la vulnerabilità per condotte suicidarie. Inoltre,
correla con un aumentata prevalenza soprattutto del disturbo borderline di
personalità29.
Altri fattori di rischio per suicidio riportati in letteratura possono essere considerati fattori di rischio anche per condotte parasuicidarie, come la presenza
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di malattie del SNC (AIDS64, epilessia65, traumi cranici66-68, M. di Huntington69,70); appare minore il rischio in presenza di neoplasie71, bassi livelli
ematici di colesterolo totale72-76, fumo di sigaretta77-82.
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Fattori biologici
NÓOς
Tra i fattori psicosociali possiamo considerare sia fattori predisponenti sia
fattori scatenanti. Sia difficili condizioni sociali (isolamento, vivere in aree
rurali, povertà, assenza di supporto psicosociale), sia psicologiche (sentimenti di colpa e di vergogna, pessimismo, hopelessness) sono considerate come
importanti fattori predisponenti un tentativo di suicidio45.
Sono numerosi gli eventi che possono fare da trigger per un comportamento
suicidario e parasuicidario: come la rottura di una relazione affettiva, il lutto,
un recente abuso sessuale, il cambiamento di un precedente status sociale
(fallimento economico, pensionamento), la recente compromissione dello
stato di salute, l’incarceramento, una ricorrenza (anniversary suicide)2, talvolta anche un evento mediatico (Werther effect)83.
IL SUICIDIO
Fattori psicosociali
Il comportamento suicidario è costituito da un’ampia variabilità di manifestazioni cliniche e comportamentali, ma sembra essere caratterizzato da uno
specifico substrato psico-neurobiologico comune, indipendente dalle alterazioni secondarie al disturbo psichiatrico presente. Le variabili che sembrano
essere identificate da uno specifico correlato neurobiologico sono l’impulsività, l’aggressività, così come l’intenzione e la letalità dei tentativi di suicidio45. Questa osservazione si basa su una serie di studi condotti sui diversi
sistemi di neurotrasmissione cerebrali, ma non solo.
• Il sistema serotoninergico: risultati da studi di post mortem in soggetti
morti per suicidio hanno evidenziato una riduzione dei siti presinaptici per il
binding del trasportatore della serotonina specificamente a livello della corteccia prefrontale ventrale, indipendentemente da una storia di depressione
maggiore84,85. Questa area presa in esame è deputata al controllo cognitivo e
del comportamento, e sembra quindi essere alla base di un complesso meccanismo che regola le condotte suicidarie, attraverso il controllo dell’impulsività e secondariamente dell’aggressività45. Alcuni studi riportano una upregulation dei recettori 5-HT1A e 5-HT2A postsinaptici86, associata ad un
aumento dell’espressione genica che codifica per il recettore 5-HT2A, a livello della corteccia prefrontale ventrale, come probabile risposta compensatoria alla diminuita attività dei neuroni serotoninergici87. La compromissione
del sistema serotoninergico è confermata da molteplici osservazioni: la diminuzione dei livelli di 5-HIAA nel liquor cefalorachidiano e nel sistema cerebrale di suicidi88-90, che sembra correlare con la letalità del suicidio91; l’aumentata immunoreattività della TPH; la riduzione dell’espressione del trasportatore della serotonina e l’alterazione del binding del recettore 5HT1A92-94. Anche studi che hanno utilizzato la PET hanno evidenziato una
riduzione del metabolismo cerebrale a livello della corteccia ventrale pre317
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frontale in suicidi95-97, così come è stata trovata una ridotta risposta della
prolattina in seguito al challenge serotoninergico con fenfluramina97-99. La
ridotta attività serotoninergica sarebbe indipendente dall’epoca in cui si è
verificato un tentativo, indicando come il sistema serotinergico potrebbe
costituire un tratto biochimico stabile che predispone al comportamento suicidario.
• Il sistema noradrenergico: è stato trovato a livello del locus coeruleus un
diminuito numero di neuroni100 e un aumento del numero di recettori α2101,
associato all’aumento dell’attività della tirosina idrossilasi (non riportato in
tutti gli studi)102,103. A livello della corteccia prefrontale invece, è stato trovato un aumento del binding del recettore β2104, associato a una diminuzione
del binding e dell’affinità del recettore α2, una diminuita affinità del recettore β1 e un’elevazione dei livelli di noradrenalina corticale105. Inoltre è presente un’iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene nelle vittime di suicidio106. I risultati degli studi suggeriscono un’aumentata attività del sistema
noradrenergico a livello corticale, secondaria alla eccessiva risposta agli
stress107, che correla con la conseguente deplezione di noradrenalina a livello
neuronale delle vittime di suicidio45. Quindi, l’iperattività del sistema noradrenergico, sembra essere un’alterazione “stato-dipendente”, che correla con
una sintomatologia clinica caratterizzata da agitazione psicomotoria e ansia,
che si associa ad un aumentato rischio di suicidio108.
• Il sistema dopaminergico: ci sono pochi studi di post mortem che hanno esaminato il sistema dopaminergico; inoltre è difficile distinguere specifiche alterazioni del sistema in quanto spesso già compromesso dal disturbo psichiatrico. Tuttavia non sono state trovate alterazioni a livello del nucleo caudato109,
né nel binding del recettore D4110, né nei livelli di mRNA per i recettori D1 e
D2109. Tuttavia è stata trovata un’alterazione dei livelli di mRNA per la colecistochinina nei neuroni glutamatergici e negli interneuroni gabaergici (che
ricevono significative afferenze dopaminergiche), a livello della corteccia prefrontale di suicidi, e sembrano correlare con sintomi d’ansia e psicotici111.
La relazione tra sistema serotoninergico e comportamento suicidario, dimensioni di impulsività e aggressività sono state confermate anche da studi su
animali con ridotti livelli di 5-HIAA, trovati nel liquor di scimmie rhesus che
presentavano condotte autolesive, e dall’osservazione di comportamenti
automutilanti che occorrevano in scimmie neonate dopo la separazione dalla
madre. Questo risultato sottolinea l’attività congiunta di fattori genetici ed
educazionali sulla modulazione dei sistemi neurotrasmettitoriali e sul determinismo di comportamenti suicidari, come rilevato anche da osservazioni su
soggetti con pregressa storia di abuso fisico e sessuale nell’infanzia112-116.
Le ultime ricerche si concentrano sulle alterazioni della trasduzione del
segnale a livello intracellulare dove è stata evidenziata una diminuita attività
della protein chinasi C117 e A118, delle proteine MAP119 e del CREB del
cAMP118. Gli studi sulle alterazioni dell’espressione genica hanno mostrato
una correlazione tra suicidio violento e allele corto del gene che codifica per
il SERT120-122 e ridotta espressione del gene MAOA123, mentre non sono
state evidenziate alterazioni a carico dei geni che codificano per i recettori 5HT1A, 5-HT2A e 5-HT1bB45.
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Il comportamento suicidario è costituito da un’ampia variabilità di manifestazioni cliniche e comportamentali, ma sembra essere caratterizzato da un
substrato psico-neurobiologico comune, che distingue fattori predisponenti e
fattori precipitanti35. La prevenzione e il trattamento del parasuicidio devono
essere inquadrati quindi all’interno dello stesso capitolo della prevenzione
del suicidio. L’osservazione che circa il 50% delle persone che si suicidano
manifestino in qualche modo una richiesta di aiuto circa un mese prima della
sua messa in atto fa pensare che esista un certo margine di intervento124,125.
La prevenzione si basa essenzialmente su tre aspetti: la formulazione della
diagnosi psichiatrica e l’efficacia dell’intervento terapeutico; l’identificazione e la valutazione del soggetto a rischio, limitando l’accesso ai mezzi suicidari (quando è possibile); la programmazione di strategie terapeutiche specifiche atte a ridurre la vulnerabilità e il rischio per condotte suicidarie1.
È importante inquadrare con particolare attenzione la storia personale di
malattia del soggetto e rilevare la presenza di una riacutizzazione del disturbo psichiatrico e delle relative caratteristiche psicopatologiche, facendo particolare attenzione alla gravità dei sintomi depressivi soggettivi, alla hopelessness1 e ai sintomi psicotici126, così come valutare le diagnosi di comorbilità
che conferiscono un rischio aggiuntivo, e in particolare la presenza di abuso
di alcol18-23 e sostanze8,24-26,127, il disturbo borderline di personalità34,28-31, la
diagnosi di bulimia nervosa128. Dovrebbero essere indagati i livelli di impulsività e aggressività del soggetto, sia al momento della valutazione sia lifetime. È comunque utile indagare anche gli altri fattori di rischio precedentemente riportati al fine di delineare le caratteristiche personali del soggetto a
rischio. Per soggetti con disturbi dell’umore sembrano ad alto rischio soprattutto i primi 5 anni seguenti l’esordio del disturbo e in particolare i primi tre
mesi43,129. Inoltre i pazienti sembrano agire spesso in modo reattivo rispetto
alla riacutizzazione sintomatologica e questo sottolinea l’importanza di una
rapida identificazione del rischio e dell’intervento. La ripetizione del parasuicidio è più probabile durante l’anno che segue il primo tentativo (1625%)35,53 con un sottogruppo che commette anche più di una ripetizione
nello stesso periodo35, o muore (7%) per suicidio nel corso della vita52.
Per quanto riguarda l’identificazione dei soggetti a rischio, è importante rilevare la presenza di ideazione suicidaria e la reale intenzione di morte, interrogando anche il soggetto sull’eventuale struttura di pianificazione e sul
metodo che intende utilizzare, considerando che l’ideazione suicidaria è un
forte predittore di rapida attuazione del tentativo1. Andrebbero sempre indagate anche la disponibilità e l’accessibilità del soggetto ai metodi suicidari,
dato che l’allontanamento del mezzo offre la possibilità di un’efficace strategia preventiva130-136.
Con gli stessi criteri dovrebbe essere attentamente ricostruita la storia personale e familiare per condotte suicidarie e parasuicidarie, senza sottovalutare
alcun agito autolesivo.
Al momento attuale, la più efficace strategia preventiva nella gestione del
paziente a rischio di condotte suicidarie è il trattamento dell’episodio in atto e
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del disturbo psichiatrico, in quanto l’allontanamento del mezzo suicidario non
è sempre possibile. Per quanto riguarda il trattamento farmacologico il litio
sembra essere efficace nel ridurre il rischio di suicidio e di ideazione suicidaria
in soggetti con disturbi dell’umore e in particolare nel disturbo bipolare137-140.
Anche la clozapina sembra ridurre il rischio per condotte suicidarie in soggetti schizofrenici141-143. Questo effetto sembra essere indipendente dall’effetto
stabilizzante del litio e dalle proprietà antipsicotiche della clozapina, e potrebbe essere dovuto a specifiche proprietà di questi farmaci di ridurre i livelli di
aggressività in relazione alla loro attività sul sistema serotoninergico1,129.
Anche la terapia elettroconvulsivante sembra ridurre di due volte il rischio di
suicidio144. Esiste un razionale clinico e farmacologico sull’utilizzo degli
antiepilettici per la loro efficacia nel ridurre i livelli di aggressività e nello stabilizzare il quadro clinico, specialmente nel disturbo bipolare129. Il ruolo degli
antidepressivi è ancora controverso, tuttavia il trattamento dell’episodio
depressivo in atto è di importanza critica, considerando che ad 1 paziente su
6, che muore per suicidio nel corso dell’episodio depressivo, non viene prescritta una adeguata dose di antidepressivi145,146, e che tale trattamento riduce
il rischio di suicidio147,148. Non ci sono evidenze che la prosecuzione del trattamento con antidepressivi comporti una migliore prognosi.
La Dialectical Behavioral Therapy si è dimostrata efficace nel ridurre il rischio
di suicidio e di future ripetizioni, soprattutto in soggetti con disturbo borderline
di personalità che mostravano alti livelli di impulsività149,150, e quindi potrebbe
essere particolarmente efficace nel trattamento del parasuicidio.
La possibilità del ricovero ospedaliero è un’efficace strategia preventiva che
dovrebbe essere presa in considerazione per tutti quei casi ad alto rischio di
suicidio e con gravi condizioni psicopatologiche1. Occorre sottolineare, tuttavia, che l’ideazione suicidaria rimane spesso presente durante tutto il ricovero, nonostante il miglioramento dei sintomi depressivi, e che il momento
della dimissione e i giorni che seguono costituiscono un momento a
rischio43.
Parallelamente al trattamento farmacologico dovrebbe attivarsi nel paziente a
rischio una rete di supporto sociale e psicologico, che includa le strategie
psicoeducative e il coinvolgimento dei familiari1, la presenza di un centro di
crisi o di un call-center, ma comunque non dovrebbe mancare al paziente la
sicurezza e la disponibilità di una figura professionale di riferimento.
CONCLUSIONI
Il parasuicidio è una complicanza comune in soggetti con disturbi psichiatrici e rappresenta uno dei maggiori problemi di salute pubblica e di sofferenza
individuale per il paziente. Esiste un modello di diatesi per condotte suicidarie che include ogni condotta parasuicidaria, e che è caratterizzato da un
comune substrato biologico e psicopatologico, che consolida l’ipotesi di un
continuum tra l’ideazione suicidaria, il parasuicidio e il suicidio portato a termine, nonostante la grande variabilità dei quadri clinici e delle condizioni
psicopatologiche.
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Alla luce di queste osservazioni, la prevenzione del parasuicidio dovrebbe
essere inquadrata all’interno del più ampio capitolo della prevenzione delle
condotte suicidarie, ed infatti si basa, come per esso, essenzialmente sull’individuazione dei soggetti a rischio, sul trattamento dell’episodio in atto, ma
soprattutto sul trattamento farmacologico, psicoterapeutico e psicoeducativo
del disturbo psichiatrico di base e della correlata vulnerabilità per condotte
suicidarie, sulla possibilità e sulla capacità della presa in carico del paziente,
nonché sull’allontanamento degli eventuali mezzi suicidari.
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