le complicanze della chirurgia estrattiva

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le complicanze della chirurgia estrattiva
LE COMPLICANZE DELLA CHIRURGIA ESTRATTIVA
Società Italiana di Chirurgia Orale e Implantologia (SICOI)
Giuseppe Ramundo
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Indice
1. Introduzione…………………………………………………………………. pag. 3
2. Cenni di anatomia…………………………………………………………… pag. 4
3. Le complicanze intra-operatorie……………………………………………
pag. 7
4. Le complicanze post-operatorie……………………………………………..
pag. 16
5. Conclusioni………………………………………………………………….. pag. 22
6. Bibliografia………………………………………………………………….. pag. 23
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INTRODUZIONE:
La chirurgia estrattiva, anche se programmata ed eseguita da operatore esperto, non è
scevra da complicazioni (Chiapasco 2013, Sicoi 2011, Peterson L.J. 1993, Osbon D.B.
1973). Ad esempio, la chirurgia dei terzi molari nel 10% dei casi è associata a
complicanze (Nordenram A. 1983, Goldberg MH. 1985). Bisogna distinguere le vere
complicanze da un normale decorso post operatorio caratterizzato da lieve dolore,
gonfiore, trisma, moderato sanguinamento ed ematoma. Tali disturbi sono presenti in
genere nel 35% dei casi durante il primo giorno di post operatorio, nel 25% a 7 giorni e
nel 4% a 14 giorni (Pogrel MA. 2012). L’incidenza delle complicanze dipende dal grado
di difficoltà del trattamento, dal grado di inclusione e dall’età del paziente (Bruce RA.
1980, Osborn TP. 1985, Hinds EC. 1980).
Ciò è legato al fatto che l’invasività ed il tempo del trattamento, sarebbero proporzionali
al dolore ed al gonfiore post-operatorio. Un’altra variabile è rappresentata
dall’esperienza dell’operatore (Joy E.D.Jr. 2009). Infatti il neofita commette errori più
frequentemente dell’operatore esperto che mediamente è più preciso, più sicuro e più
veloce. (Sisk AL. 1986, Akadiri O.A. 2009)
Le complicanze che sopraggiungono in seguito a chirurgia estrattiva si dividono in intra
e post operatorie. Ovviamente per limitare le complicanze è indispensabile eseguire con
attenzione, sia la fase diagnostica per individuare le difficoltà e migliorare la
programmazione, sia la fase chirurgica per limitare il traumatismo dei tessuti. Tuttavia la
prevenzione delle complicanze nel trattamento chirurgico parte dalla conoscenza
dell’anatomia dei distretti in cui si opera. In questo articolo verranno descritte
rapidamente le strutture anatomiche di maggiore interesse e successivamente si
valuteranno le più comuni complicanze in termine di prevenzione e gestione.
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CENNI DI ANATOMIA:
Il questo paragrafo verranno descritte brevemente le principali strutture anatomiche del
mascellare superiore e del mandibolare che possono essere coinvolte durante le fasi
operative delle più comuni procedure di avulsioni dentarie. Si rimanda a testi specifici
sull’argomento per un ulteriore approfondimento.
Arcata Inferiore:
Nervo alveolare inferiore: è un nervo misto ma con una forte prevalenza della
componente sensitiva che innerva denti, alveoli e mucosa. Origina dalla terza branca del
trigemino e, portandosi verso il basso, entra nel corpo mandibolare. Decorre
anteriormente al di sotto degli apici dei denti inferiori ed a livello dei premolari si divide
in 2 porzioni. La prima fuoriesce dal versante vestibolare della mandibola, attraverso il
foro mentoniero, per andare a costituire il nervo omonimo. La seconda costituisce il
nervo incisivo che prosegue nel corpo mandibolare fino alla linea mediana.
Arteria e vena Alveolare inferiore: Parallelamente al nervo alveolare inferiore, si ha il
decorso dei vasi arteriosi e venosi omonimi che servono il medesimo distretto del tronco
nervoso. Queste strutture possono essere interessate durante l’avulsione dei terzi molari
inferiori per stretta vicinanza con gli apici delle radici. Tuttavia il nervo mentoniero può
essere leso anche durante la chirurgia dei premolari adiacenti allo sbocco delle strutture.
Arteria Facciale: Irrora la regione sottomandibolare, mucosa alveolare e guancia fino
alla piramide nasale. Parte dalla carotide a livello dello ioide, vira verso l’alto
parallelamente alla faringe fino ad incontrare la ghiandola sottomandibolare. Si porta in
avanti contornando il margine inferiore della mandibola e, a livello delle inserzioni
anteriori del massetere, vira verso l’alto con decorso sinuoso, attraversa diagonalmente
la faccia fino alla commissura labiale per poi proseguire verso l’ala del naso. La
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porzione in prossimità del massetere è quella di maggior interesse chirurgico, perché è
possibile un suo coinvolgimento durante la chirurgia di molari e premolari inferiori, in
cui si verifica un’invasione accidentale della guancia. Per evitare emorragie a partenza
dall’arteria facciale è indispensabile uno scollamento sub-periosteo e la protezione dei
tessuti molli dove si individua il passaggio del vaso.
Nervo linguale: branca sensitiva che innerva la porzione anteriore della lingua, il
pavimento della bocca e la porzione linguale della mucosa alveolare. Parte dal nervo
mandibolare insieme al nervo alveolare inferiore. Si porta verso il basso ed in avanti e
decorre medialmente alla branca montante della mandibola a livello dei secondi e terzi
molari. Si porta in avanti medialmente alla ghiandola sottolinguale, incrocia il dotto di
Warton ed infine si dirige verso l’apice della lingua. A livello dei secondi e terzi molari,
il nervo è molto superficiale e può essere individuato sul versante linguale a pochi
millimetri dal margine gengivale. Può essere interessato durante la chirurgia dei terzi
molari inferiori e l’enucleazione di cisti mandibolari. Per evitare ciò è consigliabile
ricorrere ad incisione di rilasciamento distale con inclinazione vestibolare, a
sollevamento del lembo a tutto spessore ed a protezione del tessuti linguali mediante
strumenti smussi.
Nervo mentoniero: emerge dal foro mentoniero, si porta in avanti verso la linea mediana
e si sfiocca in 3 branche per innervare la regione vestibolo-anteriore della mandibola.
Può essere leso nella chirurgia di tale distretto portando a parestesia l’area del mento e
del labbro.
Arteria sottolinguale: parte dall’arteria linguale, ramo carotideo e serve le ghiandole
sotto-linguali, le mucose del pavimento della bocca ed il versante linguale della mucosa
alveolare. E’ un’arteria di grosso calibro che se lesa porta ad un sanguinamento poco
controllabile con raccolta ematica rapida e pericolosa dato che può determinare
compressione delle vie aeree e limitazione della funzione respiratoria. Può essere
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interessata durante la chirurgia del distretto per avulsione di elementi inclusi o nella
chirurgia della litiasi del dotto di Warton.
Arcata superiore:
Canale naso-palatino: contiene nervi e vasi omonimi che si portano verso il basso e in
avanti per uscire dal forame incisivo e servire la porzione anteriore del palato. Possono
essere interessati nella chirurgia del distretto incisale palatale e possono dare un
sanguinamento facilmente gestibile.
Nervo infraorbitario: nervo sensitivo che nasce dalla seconda branca trigeminale. Dal
pavimento dell’orbita entra nel canale infraorbitario, fuoriesce dal foro omonimo e si
sfiocca per innervare il terzo medio del volto. Difficile il suo coinvolgimento in
chirurgia estrattiva perché lontano dagli elementi dentari.
Fossa pterigo-palatina. Area piramidale compresa tra tuber e processo pterigoideo che
contiene plessi nervosi e arteriosi (mascellare interna, nervo mascellare). La sua
invasione si può verificare per frattura del tuber durante l’avulsione dei terzi molari
superiori. Ciò può portare ad emorragie difficilmente gestibili.
Arteria e nervo palatino maggiore: fuoriescono dal foro omonimo situato nel palato circa
1 cm apicalmente ai molari superiori, si portano in avanti fino alla linea mediana per
servire l’intero palato. Il coinvolgimento dell’arteria provoca sanguinamento gestibile
con compressione o legatura del vaso. La prevenzione è rappresentata dallo scollamento
a tutto spessore.
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COMPLICANZE INTRAOPERATORIE:
1. Lesione dei tessuti Molli
a. Lacerazioni: Tali lesioni possono essere causate da un non corretto disegno delle
incisioni (con conseguente eccessiva tensione dei capi del lembo), da mancato controllo
degli strumenti chirurgici o da ustioni causate dal surriscaldamento degli strumenti
rotanti. L’accidentale lacerazione dei tessuti molli adiacenti al campo chirurgico può
determinare interessamento di strutture anatomiche importanti come vasi e nervi con
conseguente emorragie e alterazioni della funzionalità sensoriale e, nella fase post
operatoria, peggioramento della guarigione della ferita. In altri casi, può interessare
strutture extra orali come labbra e viso con conseguenti implicazioni estetiche. Per
prevenire tali disturbi è indispensabile effettuare una chirurgia attenta e sicura,
proteggendo le strutture anatomiche sensibili. Il trattamento dell’avvenuto trauma invece
consiste nel controllo dell’eventuale emorragia e nella riduzione della lacerazione
mediante sutura. In fase di guarigione può aiutare l’utilizzo di clorexidina ad uso topico
al fine di prevenire l’infezione della ferita.
b. Erniazione della Bolla del Bichat. In genere è conseguenza dell’interruzione del
periostio a livello del versante vestibolare dei settori latero posteriori del mascellare
durante l’avulsione dei terzi molari superiori. La prevenzione avviene mediante
protezione del periostio vestibolare, mentre il trattamento, in caso si erniazione
conclamata, consiste nel riposizionamento e sutura oppure, qualora il recupero della
sede originaria non fosse possibile, l’asportazione parziale o completa.
2. Lesione dei tessuti duri
a. fratture delle pareti ossee. L’eccessiva forza esercitata durante le manovre operative
o l’esiguità delle strutture ossee di sostegno possono determinare la frattura di
frammenti ossei delle pareti alveolari. Particolarmente a rischio sono le pareti
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vestibolari dei denti dell’arcata superiore, gli incisivi inferiori, le componenti linguali
dei molari inferiori ed infine la zona del tuber (Chrcanovic BR. 2011). Per limitare
ciò è consigliabile esercitare forze adeguate, lente e progressive che facilitino la
deformazione della struttura ossea per favorire l’avulsione del dente ma non la
frattura. In caso di frattura invece è importante valutare il tipo di distacco. Se, al
termine dell’avulsione dentaria, il frammento
rimane adesso al periostio, sarà
possibile lasciare in sede la porzione di cresta fratturata in quanto il nutrimento
fornito dalla guaina periostale permetterà la formazione del callo osseo ed il
consolidamento del frammento. In caso di completo distacco sarà invece
indispensabile eliminarlo ed eseguire un osteoplastica per levigare la superficie
ossea, al fine di evitare successivi sequestri, infezioni ed irregolarità anatomiche.
b. Comunicazioni oro antrali. In seguito ad avulsione di elementi dentari dell’arcata
superiore è possibile avere l’esito dello stabilirsi di una comunicazione tra cavo orale
e antro mascellare (Rothamed D. 2007). Ciò riguarda più frequentemente i primi e i
secondi molari superiori, poi in ordine decrescente i premolari, i terzi molari, ed
infine i canini. Discorso a parte deve essere fatto per i terzi molari inclusi che hanno
in genere una posizione molto ravvicinata al seno mascellare e richiedono quindi, in
caso di estrazione, particolare cautela nelle manovre chirurgiche. L’incidenza in casi
di chirurgia dei terzi molari superiori varia tra lo 0,8% ed il 13% (Chiapasco M.
1993, Del Rey-Santamaría M. 2006). Tale complicanza non è esclusiva della
chirurgia estrattiva, ma rappresenta anche la complicazione di chirurgia implantare o
chirurgia veicolata all’enucleazione di lesioni cistiche o tumorali. Infine può essere
anche la manifestazione tardiva di infezioni a carico del seno mascellare.
Distingueremo rispettivamente comunicazioni oro-antrali da fistole oro-antrali a
seconda dell’assenza o della presenza di un tragitto ricoperto da epitelio. La diagnosi
può essere posta clinicamente con ispezione, sondaggio della zona per cercare il
tragitto, ma più efficacemente mediante Manovra di Valsalva. Il paziente, con le
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narici chiuse, forza l’espirazione nasale ed in caso di presenza di comunicazione si
avrà fuoriuscita di aria, se il seno è pulito, oppure di materiale purulento in caso di
infezione dell’antro. A volte si può avere erniazione della mucosa sinusale attraverso
la perforazione per andare a formare uno pseudopolipo sinusale. I sintomi sono
sfumati in caso di seno pervio e si limitano alla sensazione di passaggio di aria e
liquidi tra seno e cavità orale, mentre ci può essere dolore ed eventualmente gonfiore
in caso di sinusiti purulente. La comunicazione può essere anche certificata da esami
radiografici come fistologramma effettuato con materiale radio-opaco oppure, per
valutare posizione ed entità della perforazione, si può ricorrere a TC Cone Beam. Il
trattamento dipende dalla dimensione della comunicazione e dallo stato di salute del
seno. Se la perforazione è stretta (2-4 mm) e lunga, in assenza infezione del seno,
questa può andare incontro a chiusura spontanea. L’unica raccomandazione per il
paziente è quella di non soffiare il naso chiudendo le narici, fino a completa
guarigione. Se la perforazione ha larghezza uguale o superiore a 4 mm si può tentare
una stabilizzazione con una sutura per favorire la risoluzione spontanea. Infine se
presenta una dimensione superiore ai 7 mm si deve ricorrere a chirurgia con la
finalità di chiudere tale comunicazione. (Visscher S.H. 2010, Abuabara A. 2006.) Il
lembo più frequentemente usato a tal fine è il lembo di Rehrman, cioè un lembo
trapezoidale a partenza vestibolare che viene fatto scorrere a copertura della
perforazione e suturato sul versante palatale opportunamente disepitelizzato. Tuttavia
esistono delle alternative come il lembo a scorrimento palatale oppure una
combinazione dei 2 tipi di lembo. Rare e difficoltose sono le tecniche di realizzazione
di lembo a scorrimento di provenienza linguale. Un’ulteriore valida soluzione può
essere quella dell’utilizzo della bolla del Bichat come tessuto di copertura dell’antro
iatrogeno, specie in perforazioni di grandi dimensioni. In caso di tragitto fistoloso,
l’epitelio potrebbe determinare il perpetuarsi della comunicazione, quindi durante la
chirurgia finalizzata alla riduzione dell’apertura, tale tessuto dovrà essere
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scrupolosamente rimosso. In caso di infezioni del seno mascellare, prima di ricorrere
ai lembi di scorrimento, si dovrà ripristinare lo stato di salute dell’antro e garantire la
pervietà dell’ostio antrale. Ciò può essere gestito farmacologicamente, mediante
l’ausilio di terapia antibiotica e farmaci ad azione topica oppure, in caso di
insuccesso, si dovrà ricorrere a FESS (functional endoscopy sinus surgery), una
chirurgia che esula dalla competenza odontoiatrica essendo ad appannaggio dello
specialista Otorinolaringoiatra. Tale figura, attraverso il trattamento effettuato in
regime di anestesia generale, provvederà a migliorare l’apertura dell’ostio di
Higmoro ed il drenaggio di materiale infetto per via transnasale. La comunicazione
oro-sinusale spesso si accompagna a dislocazione di elementi dentari interi o porzioni
radicolari nell’antro. Quindi, prima di chiudere la comunicazione, sarà indispensabile
recuperare il corpo dalla sede ectopica. Ciò può avvenire sia per via trans alveolare,
appena verificatasi la complicanza oppure in una seconda chirurgia per via
endoscopica. In caso di impossibilità di successo con tali metodiche si può ricorrere a
tecnica di antrostomia laterale secondo i dettami di Caldwell-Luc, cioè l’apertura di
uno sportello osseo realizzato sulla parete laterale del seno, al fine di permettere lo
svuotamento.
c. frattura della mandibola. Si verifica prevalentemente in casi di avulsione dei terzi
molari inferiori con severo grado di inclusione, specie se associati a cisti di grandi
dimensioni. La prevenzione consiste nell’attenta valutazione del caso, nel corretto
dosaggio delle forze ed eventualmente nella scelta di ricorrere a marsupializzazione
della cisti piuttosto che a completa enucleazione. In caso di frattura questa deve
essere immediatamente ridotta ed i capi ossei devono essere fissati con placche
metalliche di sintesi. In alternativa si può ricorrere a blocco e fissazione
intermascellare.
Alcuni autori (Ethunandan M. 2012) indicano che le fratture
mandibolari non sono causa solo di errori clinici ma rappresentano il prodotto di
cause multifattoriali come età, grado di inclusione ed estensione del dente e patologie
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che possono predisporre alla fratture. Le fratture post operatorie sono più frequenti
delle intra operatorie (2,7:1) ed avvengono in genere in seconda o terza settimana
(57%). Le fratture intraoperatorie sono più frequenti nel sesso femminile (1:1,3) e
quelle post operatorie più frequenti in quello maschile (3,9:1)
a. Lussazione della mandibola: Si verifica in pazienti predisposti per lassità muscolo
tendina o con disturbi articolati ATM durante le avulsioni dei molari che richiedono
il massimo grado di apertura della bocca. L’individuazione di tale predisposizione,
oltre al controllo dell’apertura della bocca, rappresenta l’unica possibilità di
prevenzione. Una volta verificatasi tale lussazione deve essere immediatamente
ridotta con il classico movimento della mandibola verso il basso e all’indietro. Ciò
deve essere effettuato prima che si verifichino spasmi muscolari di reazione.
3. Lesioni ai denti adiacenti
Lussazione, incrinatura e frattura dei denti adiacenti è evenienza rara ed è spesso legata
ad errore di gestione dello strumentario chirurgico oppure all’erogazione di eccessiva
forza durante le manovre di avulsione. La realizzazione di una terapia chirurgica attenta,
precisa e sicura è l’unico modo per prevenire tali spiacevoli complicanze.
4. Dislocamento di frammenti di denti e radici
La frattura degli elementi dentari durante le procedure di avulsione è evento tutt’altro
che raro. Il frammento deve essere rimosso perché può determinare delle infezioni.
Tuttavia se ciò mette a rischio di danni ulteriori meglio lasciare il frammento in sede e
monitorare, specie se di piccole dimensioni. Ciò se il frammento non è infetto perché
potrebbe integrarsi e non dare problemi (Knutsson K. 1989).
In taluni casi, il recupero dei frammenti potrebbe essere difficoltoso e nel tentativo
potrebbe verificarsi una dislocazione indesiderata con invasione, da parte di frazioni di
denti o denti interi, di regioni adiacenti all’area chirurgica. Classica è l’invasione del
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seno mascellare, delle regioni sotto mandibolari, del canale mandibolare o della fossa
infratemporale. In questi casi il recupero potrebbe essere indaginoso e quindi, se non alla
portata dell’operatore, sarà indispensabile inviare il paziente quanto prima presso una
struttura adeguata.
5. emorragie intraoperatorie
Durante gli interventi chirurgici che prevedono incisioni è inevitabile che ci siano dei
sanguinamenti (Flanagan D. 2003). Tuttavia nella chirurgia orale correttamente eseguita
è raro l’interessamento di grossi vasi tali da determinare perdite ematiche importanti. Più
frequentemente si possono verificare fastidiosi gemizi che limitano la visibilità del
campo chirurgico, rallentano ed allungano le fasi operative e possono predisporre ad
ematomi in fase post chirurgica. Al fine di prevenire
tale complicazione è
indispensabile individuare, in fase pre chirurgica, il paziente con alterate capacità di
coagulazione. Ciò potrà essere determinato da coagulopatie, da gravi insufficienze reali
ed epatiche o da terapie farmacologiche antiaggreganti e anticoagulanti. In ogni caso
sarà indispensabile, prima di approcciare il trattamento, riportare i valori di coagulazione
in un range di sicurezza coinvolgendo anche ematologi e medici curanti. Per i pazienti in
terapia anticoagulante è utile richiedere, in fase preoperatoria, esami ematochimici
mirati come INR, PT, PTT (Reich W. 2009). In fase chirurgica invece, la prevenzione
consiste nell’eseguire le incisioni nel rispetto dei vasi di grosso calibro, nel disegno di
lembi di dimensioni e forme adeguate in modo che non ci siano lacerazioni dei tessuti
molli ed eliminando completamente i tessuti infetti ricchi di vasi che predispongono ad
emorragie (Druckman R.F. 2001). Il management intraoperatorio dell’emorragia parte
dalla diagnosi delle caratteristiche del sanguinamento stesso. Bisogna valutare se si tratta
di sanguinamento dei tessuti molli o duri e se il vaso interessato è in prossimità di
strutture anatomiche importanti. La prima tecnica per limitare il sanguinamento è
rappresentato dall’utilizzo di vasocostrittori, come quelli contenuti nelle fiale di
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anestetico. Ciò determina limitazione del lume dei vasi e facilitazione dell’emostasi.
Nella maggior parte dei casi, il controllo dell’emorragia può essere raggiunto mediante
l’utilizzo di tamponi di garze sterili bagnate da fisiologica (o da farmaci che favoriscono
la coagulazione come l’acido tranexamico) che vengono utilizzate per tamponare l’area
interessata. La compressione deve essere mantenuta per diversi minuti, tempo
indispensabile alla formazione del coagulo. Qualora ciò non fosse sufficiente si può
ricorrere a tecniche di emostasi intervenendo direttamente sul vaso interessato. In caso
di sanguinamento osseo può essere utile l’utilizzo di cere da osso o materiali emostatici
come cellulosa ossidata o garze di fibrina. In caso di sanguinamento dei tessuti molli si
può ricorrere all’individuazione ed al blocco diretto del vaso interessato. Ciò può
avvenire mediante diatermocoagulazione con strumenti monopolari o bipolari che
veicolano energia elettrica in un punto preciso determinando rapido innalzamento della
temperatura e conseguente coagulazione immediata. Altra possibilità è rappresentata
dalla legatura del vaso mediante suture riassorbibili. In entrambe i casi, il blocco del
vaso deve essere effettuata solo dopo valutazione dei rapporti con strutture anatomiche
importanti, in quanto sia la diatermocoagulazione che la compressione determinata dalle
suture possono danneggiare in modo irreversibile nervi e tessuti (Chiapasco M. 2013).
6. Lesioni neurologiche
Le lesioni iatrogene a carico dei fasci vascolo-nervosi non sono evenienze rare, ma
fortunatamente hanno un’incidenza relativamente bassa, circa il 3% (Nordenram A.
1983).
Il paziente deve essere dettagliatamente istruito, mediante consenso informato,
sul rischio di incorrere in una lesione neurologica che può determinare alterazioni della
sensibilità transitorie o permanenti. Dal punto di vista della sintomatologia
distinguiamo:
a- parestesia: alterazione della sensibilità
b- anestesia: assenza della sensibilità
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c- disestesia: alterazione della sensibilità accompagnata da dolore
d-iperestesia: accentuazione della sensibilità
Tali temibili lesioni avvengono a carico dei fasci sensitivi del quinto nervo cranico.
Interessano prevalentemente i nervi alveolare inferiore (0,5-5%) (Alling CC. 1986) e
linguale (0,2-2%) (Walter JM Jr. 1979) durante l’avulsione dei terzi molari inferiori, ma
in misura più ridotta possono interessare anche il nervo mentoniero, quello palatino
maggiore, il nervo naso-palatino e l’infraorbitario (Chiapasco M. 2013).
Tali lesioni
sono determinate da contatto diretto con la struttura nervosa durante la fase operatoria.
Ne consegue che la conoscenza dell’anatomia chirurgica, l’attenta valutazione
preoperatoria e la corretta gestione di tutte le fasi, come pure la protezioni delle strutture
nervose (Chiapasco M. 1996), riducano il rischio di interessamento neurologico. Quando
si sospetta una relazione tra struttura nervosa e radici dentarie, l’ortopantomografia non
può essere considerata l’esame adeguato per la diagnosi pre-operatoria. (Peker I. 2014).
Tale rapporto deve essere valutato mediante TC cone beam dato che le complicanze di
danno neurologico sono più frequenti se le 2 strutture sono in stretto contatto, specie
quando il decorso del nervo è bucale o quando il nervo interseca il gruppo radicolare e
passa attraverso. Alcune review (Leung YY. 2011) individuano fattori di rischio come
incremento dell’età, grado di inclusione, scelta dell’approccio linguale e alcuni segni
radiografici. Radiotrasparenze a livello degli apici dei terzi molari inclusi devono far
sospettare stretti rapporti con il canale mandibolare. (Xu GZ. 2013). Si indica che la
lesione del nervo si può ottenere anche durante le fasi di anestesia. Il blocco del nervo
alveolare superiore posteriore (Kini YK. 2012) può interessare anche i nervi abducente
ed oculomotore che causano temporanea diplopia, strabismo e ptosi palpebrale.
Problemi oftalmici come amaurosi, midriasi e diplopia si possono verificare anche
durante il blocco tronculare del nervo alveolare inferiore (Williams JV. 2011). Nella
maggior parte dei casi questi disturbi sono comunque reversibili (Robinson PP. 1988) e
la sensibilità viene recuperata entro due anni dall’intervento anche se in altri casi il
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danno viene considerato permanente. L’incidenza delle lesioni permanenti è molto bassa
attestandosi intorno ad 1 caso su 2500 avulsioni per il nervo alveolare inferiore e 1 su
10.000 interventi per il nervo linguale (Robert RC. 2005). Ciò dipende dal grado del
danno provocato e quindi si evince che una volta verificatasi la lesione deve essere
diagnosticata e attentamente valutata per un suo miglior management.
Distinguiamo 3 gradi di lesione (Chiapasco M. 2013):
a.
Neuroapraxia: Causata da compressione diretta del nervo durante la fase chirurgica
oppure indiretta e secondaria alla formazione dell’edema post operatorio, consiste
nella semplice perdita di capacità di trasmissione dell’impulso nervoso. Tuttavia i
fasci rimangono integri e la ripresa della funzionalità avviene in pochi giorni. Non
richiede quindi alcun trattamento specifico anche se l’utilizzo di farmaci
antinfiammatori ed antiedemigeni può ridurre la massa di essudato che comprime
mentre la somministrazione di vitamine del gruppo B riduce i tempi di recupero.
b.
Assonotmesi: In questa lesione si ha l’interruzione fisica degli assoni ma le guaine
vengono mantenute integre. La porzione che sta a valle dell’interruzione va
incontro a degenerazione ma lentamente viene rigenerata a partire dalle fibre sane
alla velocità di 1 mm al giorno, seguendo la strada fornita dalle guaine intatte. Ciò
porta ad una ripresa funzionale del nervo nell’arco di qualche mese. Anche in
questo caso il management consiste solo nell’attesa e nella somministrazione di
complessi vitaminici e antinfiammatori.
c.
Neurotmesi: In tal caso si ha interruzione sia delle guaine che degli assoni con netta
separazione dei 2 capi lesi. Il capo a valle va incontro a degenerazione mentre il
capo a monte si rigenera ma in modo casuale, essendo privo della guida delle
guaine. La ripresa spontanea della funzione è evento raro anche dopo lunghi periodi
di attesa. La terapia è rappresentata da neuroraffia, cioè intervento di
microchirurgia che ha lo scopo di unire i capi separati iatrogenicamente. Tuttavia
tale chirurgia ha predicibilità scarsa ed è a volte peggiorativa. Se ne ricorre solo in
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caso di disestesia dolorosa o anestesia ma è sconsigliato in caso di parestesia.
7. Enfisema sottocutaneo
Può essere causato da iniezione forzata di aria nel tessuto connettivo lasso sotto lo strato
dermico ad opera di strumenti rotanti ad aria compressa (turbine). Clinicamente si rileva
gonfiore localizzato e crepitio alla palpazione. L’aria compressa nel connettivo può
rimanere localizzata o continuare a diffondersi lungo il piano del tessuto lasso fino a
raggiungere, nei casi gravi, le aree parafaringee e retrofaringee penetrando nel
mediastino per determinare l’enfisema mediastinico (Romeo U. 2011). In tal casi è
indicata la somministrazione di cortisone, oltre alla terapia antibiotica per evitare
infezioni e antidolorifica in caso di algie. Se sopraggiunge un coinvolgimento
mediastinico è indispensabile ricorrere ad ospedalizzazione.
COMPLICANZE POST-OPERATORIE:
1. Gonfiore. L’edema si può facilmente presentare dopo l’estrazione di un elemento
dentario, specie se incluso, in particolare in seconda ed in terza giornata con
risoluzione entro la prima settimana. Per minimizzare il gonfiore è utile l’utilizzo di
corticosteroidi e l’applicazione di ghiaccio, anche se quest’ultimo lenisce il fastidio
ma non ha alcuna funzione nel limitare la magnitudo della manifestazione. (Forsgren
H. 1985)
2. Sanguinamento tardivo. La complicanza emorragica può avvenire anche una volta
terminata la fase chirurgica, quindi nell’immediato periodo post operatorio. Ciò può
verificarsi anche quando l’intervento viene condotto in perfetta emostasi, sia perché
in tale fase il controllo emorragico viene espletato dall’azione del vasocostrittore
contenuto nelle fiale di anestetico locale, sia perché le cause che determinano il
sanguinamento possono insorgere a distanza di tempo (picchi della pressione
arteriosa). Tale complicanza è temibile perché si può verificare quando il paziente è
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lontano dall’ambulatorio e non avendo assistenza adeguata può vivere sgradevoli
stati d’ansia. Sarà quindi importante istruire il paziente riguardo la possibilità di tale
complicanza e, nel rassicurarlo, indicare tutte quelle manovre indispensabili alla sua
gestione. Una dieta fredda e liquida per le prime 24 ore, evitare di fare sciacqui,
evitare sforzi sono importanti norme di prevenzione della problematica. Il
tamponamento domiciliare con garza bagnata per 15-20 minuti è un ottimo rimedio
per arrestare il sanguinamento qualora dovesse verificarsi in fase tardiva. In una
piccola percentuale di casi, in cui il sanguinamento importante provoca evidenti
tumefazioni, sarà indispensabile reintervenire chirurgicamente individuando il vaso
responsabile, bloccando il flusso. Ciò va fatto perché la raccolta ematica, se
importante, può determinare compressione di strutture anatomiche importanti e se
interessa il pavimento della bocca può compromettere anche la ventilazione (Givol
N. 2000). Inoltre tale raccolta può determinare la formazione di ematomi e potenziali
infezioni del tessuto infarcito di materiale ematico.
3. Trisma. L’infiammazione dei muscoli masticatori, conseguente a chirurgia estrattiva,
può determinare un trisma postoperatorio (de Santana-Santos T. 2013). In genere si
manifesta immediatamente dopo avulsione e si risolve entro la prima settimana dopo
la chirurgia. Può essere limitato utilizzando corticosteroidi. L’utilizzo di
antinfiammatori non steroidei, in associazione ad una dieta morbida, consente la
risoluzione di questa complicanza (Chiapsco M. 2013).
4. Dolore post-operatorio. Il dolore postoperatorio rappresenta la complicazione più
temuta e meno tollerata della chirurgia estrattiva e ciò può rappresentare motivo di
grande preoccupazione per il paziente. L’intensità del dolore è spesso direttamente
proporzionale al grado di difficoltà e quindi in genere si ha più possibilità di
sviluppare algia se l’estrazione è particolarmente indaginosa. Il picco massimo di
dolore si verifica in genere verso la dodicesima ora dopo l’avulsione (Seymour RA.
1983). L’incidenza del dolore è maggiore nella donna che nell’uomo e quindi anche
17
il consumo di analgesici (Seymour RA. 1985). Esiste anche una correlazione tra
trisma e dolore in quanto proprio quest’ultimo rappresenta la limitazione al grado di
apertura della bocca (Pedersen A. 1985). Limitare tempi e traumi durante l’intervento
migliora il decorso della convalescenza. In previsione dello sviluppo della
problematica, la somministrazione di una terapia antidolorifica subito dopo
l’intervento, quindi nel momento in cui è ancora presente l’anestesia, rende la
sintomatologia meno intensa. I farmaci utilizzati maggiormente per il trattamento del
dolore postoperatorio sono gli antinfiammatori non steroidei e i corticosteroidi.
5. Deiscenza della ferita. Si può verificare durante l’immediato periodo post operatorio
con conseguenza sulla modalità e sulla tempistica di guarigione. Ciò può essere
legato ad un cedimento precoce della sutura per scioglimento o per lacerazione dei
tessuti. Il traumatismo dei lembi può essere dovuto ad un mancato rispetto durante la
fase operativa, a tensioni troppo elevate esercitate dalla sutura, oppure ad uno stato
di infiammazione gengivale che ne riduce sensibilmente il tono. A volte tale
complicanza è la conseguenza dell’infezione della ferita. Ne consegue che la
prevenzione consiste nella corretta programmazione ed esecuzione dell’avulsione,
nel rispetto del disegno e rilascio dei lembi e nella più adeguata tecnica di avulsione e
sutura. Una volta verificatasi, la deiscenza può essere ridotta mediante ulteriore
mobilizzazione dei lembi e nuova sutura, oppure lasciando che avvenga la guarigione
per seconda intenzione. In entrambi i casi l’utilizzo di clorexidina limiterà la
possibilità di contaminazione della ferita agevolandone la guarigione.
6. osteite alveolare o alveolite secca. E’ un evento doloroso a carico dell’alveolo post
estrattivo che insorge tra la prima e la terza giornata dopo l’avulsione, con quadro
clinico caratterizzato da alveolo vuoto con tessuto grigiastro e alitosi. Ha
un’incidenza di 0,2-5% ma se viene considerato solo l’evento doloroso che costringe
il paziente a tornare dal clinico, la % si attesta intorno al 20-25% (Larsen PE. 1973).
E’ un disturbo della guarigione che insorge quando il coagulo è formato, ma si ha una
18
troppo rapida dissoluzione ed una veloce fibrinolisi prima che ci si verifichi la
naturale sostituzione con il tessuto di granulazione. L’eziologia è sconosciuta ma si
sa che la patologia è legata alla dissoluzione del coagulo, sostituzione con tessuto di
granulazione e comparsa di dolore forte dopo 3 giorni. Gli agenti fibrinolitici
potrebbero derivare dai tessuti ossei e gengivali, dal parodonto, dalla saliva e da
batteri. Il ruolo batterico potrebbe essere ipotizzato in quanto le avulsioni effettuate
in profilassi antibiotica hanno una riduzione di episodi di alveolite di circa il 50-75%.
Ci sono dei fattori favorenti in quanto l’incidenza aumenta in pazienti fumatori
(Nitzan DNW. 1979, Sweet JB. 1979, Meechan JG. 1988), in donne che assumono
anticoncezionali orali, durante il ciclo mestruale, se viene infiltrata l’anestesia per via
intraligamentosa, se l’avulsione è particolarmente indaginosa e se l’igiene orale non è
ottimale. Il compito del clinico è innanzitutto quello di prevenire i casi di alveolite
secca, mediante riduzione di infezioni e ricorrendo a profilassi antibiotica e
antisettica topica con clorexidina prima e dopo l’intervento (1 settimana prima e una
dopo), perché ciò potrebbe ridurre l’incidenza del 50% (Larsen PE. 1991). Inoltre si
dovrebbe sconsigliare il fumo nei giorni immediatamente successivi all’avulsione,
effettuare avulsioni tra il 23° e 28° giorno del ciclo in donne che assumono
contraccettivi orali, eseguire lembi senza tensioni e con adeguata irrorazione e
abbondare l’irrigazione durante l’intervento per evitare surriscaldamenti (Sweet JB.
1976). Alcuni autori consigliano l’utilizzo di antibiotici locali perché possono ridurre
l’incidenza (Swanson AE. 1989, .Nordenram A. 1973, Goldman DR. 1973. Hall HD.
Bildman BS. 1971). Quando si verifica tale complicanza invece, la priorità consiste
nel lenire il dolore del paziente. L’intervento inizia con dei lavaggi di clorexidina o di
fisiologica per eliminare i macroscopici residui di cibo. Successivamente si ricorre
ad un leggero debridement e all’applicazione di eugenolo con vaselina oppure
eugenolo con fibre vegetali. Tali composti, con potere analgesico, devono essere
cambiati giornalmente fino a risoluzione della problematica che in genere avviene in
19
4-5 giorni, anche se in alcuni casi la sintomatologia può durare 15 giorni. l’utilizzo di
metronidazolo locale può facilitare la guarigione (Mitchell L. 1984). In caso di
fallimento della procedura si deve ricorrere a nuova chirurgia con lo scopo di
rimuovere, mediante curettaggio, tutto il materiale necrotico e favorire il
sanguinamento e la formazione di nuovo coagulo. (Blum I.R. 2002).
7. Infezioni. Le infezioni dopo avulsione dei terzi molari si verificano in pochi casi con
un range compreso tra 1,7 e 2,7% (Nordenram A. 1983). Nella maggior parte dei
casi sono eventi che si manifestano tra la seconda e la quarta settimana dopo
l’avulsione. In genere sono sub periostali e sono dovuti a residuo di detriti, prodotto
delle fasi di osteotomia e odontotomia oppure a residui di cibo che determinano
infezione e comparsa di ascessi, gonfiore e dolore. Compaiono frequentemente in
casi di avulsione di elementi inclusi in cui avviene guarigione per prima intenzione.
Nel 50% dei casi la complicanza si risolve mediante lavaggio dell’alveolo. Nel
restante 50%, l’infezione richiede reintervento mediante incisione, drenaggio del
materiale purulento e lavaggio della cavità residua. E’ importante anche ricorrere a
terapia antibiotica e antidolorifica per via sistemica. Tali infezioni possono evolvere
in sequestro osseo, cioè frammento di tessuto osseo infetto e non più vitale che viene
espulso nel tentativo di circoscrivere l’infezione. Il sequestro radiograficamente
appare come un’area radiopaca circondata da un’area radiotrasparente ed è spesso
conseguente a trauma osseo durante le fasi chirurgiche di avulsione, con conseguente
distacco e perdita della vascolarizzazione. Una volta diagnosticato clinicamente e
radiograficamente, il frammento deve essere rimosso e l’alveolo deve essere
adeguatamente curettato per rimuovere il tessuto infetto e per provocare nuovo
sanguinamento delle pareti ossee alveolari. Un’infezione superficiale della ferita
chirurgica invece, è di norma più rara e comporta solo un ritardo della guarigione. La
risoluzione in genere si raggiunge con applicazioni di clorexidina.
20
8. Disordini temporomandibolari. Alcuni autori ipotizzano una relazione tra avulsione
dei terzi molari e aumento delle problematiche articolari temporo-mandibolari
(DeAngelis AF. 2009). In particolare uno studio longitudinale di 34.491 pazienti di
15 anni sottoposti ad avulsione di terzi molari ed osservati per 5 anni indica
disfunzioni articolari nel 23% dei casi ed ipotizza una relazione tra i due eventi
(Huang GJ. 2006). Per contro uno studio caso-controllo indica che non ci sono
differenze statisticamente significative di esacerbazione della patologia articolare tra
2 gruppi di 2217 pazienti a confronto, uno in cui sono stati estratti i terzi molari,
l’antro in cui sono stati mantenuti. (Huang GJ. 2008). Ad oggi la relazione tra
avulsione di terzi molari e peggioramento dei disordini temporo-mandibolari può
solo essere ipotizzata ma non confermata dall’evidenza scientifica.
9. Problemi parodontali. Alcuni autori indicano che l’avulsione dei terzi molari può
determinare peggioramento della condizione parodontale del versante distale al
secondo molare. In particolare Karapataki indica perdita di attacco nel 43 % dei casi
e difetti infraossei a distanza di 5 anni in pazienti che precedentemente all’avulsione
dei terzi molari non avevano alcun segno di parodontopatia. (Karapataki S. 2000).
Altri autori indicano che suture ancorate possono limitare la perdita di attacco in
maniera più efficace rispetto alla sutura a punti semplici distaccati. (Cetinkaya BO.
2009).
21
CONCLUSIONI:
Allo stato attuale, la chirurgia estrattiva può presentare delle sequele post operatorie.
Queste possono essere dei semplici disconforts come lieve gonfiore, dolore, modesto
sanguinamento ed ematoma oppure possono essere delle vere e proprie complicanze
invalidanti. Si individuano diversi fattori che giocano un ruolo importante nel verificarsi
di tali complicazioni come particolarità anatomiche, età e condizioni di salute del
paziente, grado di difficoltà dell’intervento, preparazione ed esperienza dell’operatore.
Al fine di prevenire problematiche intra e post operatore il clinico dovrà avere
un’adeguata conoscenza dell’anatomia dei distretti interessati e padronanza delle
tecniche chirurgiche. Dovrà condurre un’adeguata anamnesi e una corretta diagnosi al
fine di prevedere possibili difficolta ed informare il paziente dei possibili rischi. Dovrà
inoltre effettuare una chirurgia precisa e sicura per limitare gli errori tecnici ed infine
dovrà istruire il paziente al fine di limitare e gestire problematiche durante la degenza
post chirurgica.
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