le complicanze della chirurgia estrattiva
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LE COMPLICANZE DELLA CHIRURGIA ESTRATTIVA Società Italiana di Chirurgia Orale e Implantologia (SICOI) Giuseppe Ramundo 1 Indice 1. Introduzione…………………………………………………………………. pag. 3 2. Cenni di anatomia…………………………………………………………… pag. 4 3. Le complicanze intra-operatorie…………………………………………… pag. 7 4. Le complicanze post-operatorie…………………………………………….. pag. 16 5. Conclusioni………………………………………………………………….. pag. 22 6. Bibliografia………………………………………………………………….. pag. 23 2 INTRODUZIONE: La chirurgia estrattiva, anche se programmata ed eseguita da operatore esperto, non è scevra da complicazioni (Chiapasco 2013, Sicoi 2011, Peterson L.J. 1993, Osbon D.B. 1973). Ad esempio, la chirurgia dei terzi molari nel 10% dei casi è associata a complicanze (Nordenram A. 1983, Goldberg MH. 1985). Bisogna distinguere le vere complicanze da un normale decorso post operatorio caratterizzato da lieve dolore, gonfiore, trisma, moderato sanguinamento ed ematoma. Tali disturbi sono presenti in genere nel 35% dei casi durante il primo giorno di post operatorio, nel 25% a 7 giorni e nel 4% a 14 giorni (Pogrel MA. 2012). L’incidenza delle complicanze dipende dal grado di difficoltà del trattamento, dal grado di inclusione e dall’età del paziente (Bruce RA. 1980, Osborn TP. 1985, Hinds EC. 1980). Ciò è legato al fatto che l’invasività ed il tempo del trattamento, sarebbero proporzionali al dolore ed al gonfiore post-operatorio. Un’altra variabile è rappresentata dall’esperienza dell’operatore (Joy E.D.Jr. 2009). Infatti il neofita commette errori più frequentemente dell’operatore esperto che mediamente è più preciso, più sicuro e più veloce. (Sisk AL. 1986, Akadiri O.A. 2009) Le complicanze che sopraggiungono in seguito a chirurgia estrattiva si dividono in intra e post operatorie. Ovviamente per limitare le complicanze è indispensabile eseguire con attenzione, sia la fase diagnostica per individuare le difficoltà e migliorare la programmazione, sia la fase chirurgica per limitare il traumatismo dei tessuti. Tuttavia la prevenzione delle complicanze nel trattamento chirurgico parte dalla conoscenza dell’anatomia dei distretti in cui si opera. In questo articolo verranno descritte rapidamente le strutture anatomiche di maggiore interesse e successivamente si valuteranno le più comuni complicanze in termine di prevenzione e gestione. 3 CENNI DI ANATOMIA: Il questo paragrafo verranno descritte brevemente le principali strutture anatomiche del mascellare superiore e del mandibolare che possono essere coinvolte durante le fasi operative delle più comuni procedure di avulsioni dentarie. Si rimanda a testi specifici sull’argomento per un ulteriore approfondimento. Arcata Inferiore: Nervo alveolare inferiore: è un nervo misto ma con una forte prevalenza della componente sensitiva che innerva denti, alveoli e mucosa. Origina dalla terza branca del trigemino e, portandosi verso il basso, entra nel corpo mandibolare. Decorre anteriormente al di sotto degli apici dei denti inferiori ed a livello dei premolari si divide in 2 porzioni. La prima fuoriesce dal versante vestibolare della mandibola, attraverso il foro mentoniero, per andare a costituire il nervo omonimo. La seconda costituisce il nervo incisivo che prosegue nel corpo mandibolare fino alla linea mediana. Arteria e vena Alveolare inferiore: Parallelamente al nervo alveolare inferiore, si ha il decorso dei vasi arteriosi e venosi omonimi che servono il medesimo distretto del tronco nervoso. Queste strutture possono essere interessate durante l’avulsione dei terzi molari inferiori per stretta vicinanza con gli apici delle radici. Tuttavia il nervo mentoniero può essere leso anche durante la chirurgia dei premolari adiacenti allo sbocco delle strutture. Arteria Facciale: Irrora la regione sottomandibolare, mucosa alveolare e guancia fino alla piramide nasale. Parte dalla carotide a livello dello ioide, vira verso l’alto parallelamente alla faringe fino ad incontrare la ghiandola sottomandibolare. Si porta in avanti contornando il margine inferiore della mandibola e, a livello delle inserzioni anteriori del massetere, vira verso l’alto con decorso sinuoso, attraversa diagonalmente la faccia fino alla commissura labiale per poi proseguire verso l’ala del naso. La 4 porzione in prossimità del massetere è quella di maggior interesse chirurgico, perché è possibile un suo coinvolgimento durante la chirurgia di molari e premolari inferiori, in cui si verifica un’invasione accidentale della guancia. Per evitare emorragie a partenza dall’arteria facciale è indispensabile uno scollamento sub-periosteo e la protezione dei tessuti molli dove si individua il passaggio del vaso. Nervo linguale: branca sensitiva che innerva la porzione anteriore della lingua, il pavimento della bocca e la porzione linguale della mucosa alveolare. Parte dal nervo mandibolare insieme al nervo alveolare inferiore. Si porta verso il basso ed in avanti e decorre medialmente alla branca montante della mandibola a livello dei secondi e terzi molari. Si porta in avanti medialmente alla ghiandola sottolinguale, incrocia il dotto di Warton ed infine si dirige verso l’apice della lingua. A livello dei secondi e terzi molari, il nervo è molto superficiale e può essere individuato sul versante linguale a pochi millimetri dal margine gengivale. Può essere interessato durante la chirurgia dei terzi molari inferiori e l’enucleazione di cisti mandibolari. Per evitare ciò è consigliabile ricorrere ad incisione di rilasciamento distale con inclinazione vestibolare, a sollevamento del lembo a tutto spessore ed a protezione del tessuti linguali mediante strumenti smussi. Nervo mentoniero: emerge dal foro mentoniero, si porta in avanti verso la linea mediana e si sfiocca in 3 branche per innervare la regione vestibolo-anteriore della mandibola. Può essere leso nella chirurgia di tale distretto portando a parestesia l’area del mento e del labbro. Arteria sottolinguale: parte dall’arteria linguale, ramo carotideo e serve le ghiandole sotto-linguali, le mucose del pavimento della bocca ed il versante linguale della mucosa alveolare. E’ un’arteria di grosso calibro che se lesa porta ad un sanguinamento poco controllabile con raccolta ematica rapida e pericolosa dato che può determinare compressione delle vie aeree e limitazione della funzione respiratoria. Può essere 5 interessata durante la chirurgia del distretto per avulsione di elementi inclusi o nella chirurgia della litiasi del dotto di Warton. Arcata superiore: Canale naso-palatino: contiene nervi e vasi omonimi che si portano verso il basso e in avanti per uscire dal forame incisivo e servire la porzione anteriore del palato. Possono essere interessati nella chirurgia del distretto incisale palatale e possono dare un sanguinamento facilmente gestibile. Nervo infraorbitario: nervo sensitivo che nasce dalla seconda branca trigeminale. Dal pavimento dell’orbita entra nel canale infraorbitario, fuoriesce dal foro omonimo e si sfiocca per innervare il terzo medio del volto. Difficile il suo coinvolgimento in chirurgia estrattiva perché lontano dagli elementi dentari. Fossa pterigo-palatina. Area piramidale compresa tra tuber e processo pterigoideo che contiene plessi nervosi e arteriosi (mascellare interna, nervo mascellare). La sua invasione si può verificare per frattura del tuber durante l’avulsione dei terzi molari superiori. Ciò può portare ad emorragie difficilmente gestibili. Arteria e nervo palatino maggiore: fuoriescono dal foro omonimo situato nel palato circa 1 cm apicalmente ai molari superiori, si portano in avanti fino alla linea mediana per servire l’intero palato. Il coinvolgimento dell’arteria provoca sanguinamento gestibile con compressione o legatura del vaso. La prevenzione è rappresentata dallo scollamento a tutto spessore. 6 COMPLICANZE INTRAOPERATORIE: 1. Lesione dei tessuti Molli a. Lacerazioni: Tali lesioni possono essere causate da un non corretto disegno delle incisioni (con conseguente eccessiva tensione dei capi del lembo), da mancato controllo degli strumenti chirurgici o da ustioni causate dal surriscaldamento degli strumenti rotanti. L’accidentale lacerazione dei tessuti molli adiacenti al campo chirurgico può determinare interessamento di strutture anatomiche importanti come vasi e nervi con conseguente emorragie e alterazioni della funzionalità sensoriale e, nella fase post operatoria, peggioramento della guarigione della ferita. In altri casi, può interessare strutture extra orali come labbra e viso con conseguenti implicazioni estetiche. Per prevenire tali disturbi è indispensabile effettuare una chirurgia attenta e sicura, proteggendo le strutture anatomiche sensibili. Il trattamento dell’avvenuto trauma invece consiste nel controllo dell’eventuale emorragia e nella riduzione della lacerazione mediante sutura. In fase di guarigione può aiutare l’utilizzo di clorexidina ad uso topico al fine di prevenire l’infezione della ferita. b. Erniazione della Bolla del Bichat. In genere è conseguenza dell’interruzione del periostio a livello del versante vestibolare dei settori latero posteriori del mascellare durante l’avulsione dei terzi molari superiori. La prevenzione avviene mediante protezione del periostio vestibolare, mentre il trattamento, in caso si erniazione conclamata, consiste nel riposizionamento e sutura oppure, qualora il recupero della sede originaria non fosse possibile, l’asportazione parziale o completa. 2. Lesione dei tessuti duri a. fratture delle pareti ossee. L’eccessiva forza esercitata durante le manovre operative o l’esiguità delle strutture ossee di sostegno possono determinare la frattura di frammenti ossei delle pareti alveolari. Particolarmente a rischio sono le pareti 7 vestibolari dei denti dell’arcata superiore, gli incisivi inferiori, le componenti linguali dei molari inferiori ed infine la zona del tuber (Chrcanovic BR. 2011). Per limitare ciò è consigliabile esercitare forze adeguate, lente e progressive che facilitino la deformazione della struttura ossea per favorire l’avulsione del dente ma non la frattura. In caso di frattura invece è importante valutare il tipo di distacco. Se, al termine dell’avulsione dentaria, il frammento rimane adesso al periostio, sarà possibile lasciare in sede la porzione di cresta fratturata in quanto il nutrimento fornito dalla guaina periostale permetterà la formazione del callo osseo ed il consolidamento del frammento. In caso di completo distacco sarà invece indispensabile eliminarlo ed eseguire un osteoplastica per levigare la superficie ossea, al fine di evitare successivi sequestri, infezioni ed irregolarità anatomiche. b. Comunicazioni oro antrali. In seguito ad avulsione di elementi dentari dell’arcata superiore è possibile avere l’esito dello stabilirsi di una comunicazione tra cavo orale e antro mascellare (Rothamed D. 2007). Ciò riguarda più frequentemente i primi e i secondi molari superiori, poi in ordine decrescente i premolari, i terzi molari, ed infine i canini. Discorso a parte deve essere fatto per i terzi molari inclusi che hanno in genere una posizione molto ravvicinata al seno mascellare e richiedono quindi, in caso di estrazione, particolare cautela nelle manovre chirurgiche. L’incidenza in casi di chirurgia dei terzi molari superiori varia tra lo 0,8% ed il 13% (Chiapasco M. 1993, Del Rey-Santamaría M. 2006). Tale complicanza non è esclusiva della chirurgia estrattiva, ma rappresenta anche la complicazione di chirurgia implantare o chirurgia veicolata all’enucleazione di lesioni cistiche o tumorali. Infine può essere anche la manifestazione tardiva di infezioni a carico del seno mascellare. Distingueremo rispettivamente comunicazioni oro-antrali da fistole oro-antrali a seconda dell’assenza o della presenza di un tragitto ricoperto da epitelio. La diagnosi può essere posta clinicamente con ispezione, sondaggio della zona per cercare il tragitto, ma più efficacemente mediante Manovra di Valsalva. Il paziente, con le 8 narici chiuse, forza l’espirazione nasale ed in caso di presenza di comunicazione si avrà fuoriuscita di aria, se il seno è pulito, oppure di materiale purulento in caso di infezione dell’antro. A volte si può avere erniazione della mucosa sinusale attraverso la perforazione per andare a formare uno pseudopolipo sinusale. I sintomi sono sfumati in caso di seno pervio e si limitano alla sensazione di passaggio di aria e liquidi tra seno e cavità orale, mentre ci può essere dolore ed eventualmente gonfiore in caso di sinusiti purulente. La comunicazione può essere anche certificata da esami radiografici come fistologramma effettuato con materiale radio-opaco oppure, per valutare posizione ed entità della perforazione, si può ricorrere a TC Cone Beam. Il trattamento dipende dalla dimensione della comunicazione e dallo stato di salute del seno. Se la perforazione è stretta (2-4 mm) e lunga, in assenza infezione del seno, questa può andare incontro a chiusura spontanea. L’unica raccomandazione per il paziente è quella di non soffiare il naso chiudendo le narici, fino a completa guarigione. Se la perforazione ha larghezza uguale o superiore a 4 mm si può tentare una stabilizzazione con una sutura per favorire la risoluzione spontanea. Infine se presenta una dimensione superiore ai 7 mm si deve ricorrere a chirurgia con la finalità di chiudere tale comunicazione. (Visscher S.H. 2010, Abuabara A. 2006.) Il lembo più frequentemente usato a tal fine è il lembo di Rehrman, cioè un lembo trapezoidale a partenza vestibolare che viene fatto scorrere a copertura della perforazione e suturato sul versante palatale opportunamente disepitelizzato. Tuttavia esistono delle alternative come il lembo a scorrimento palatale oppure una combinazione dei 2 tipi di lembo. Rare e difficoltose sono le tecniche di realizzazione di lembo a scorrimento di provenienza linguale. Un’ulteriore valida soluzione può essere quella dell’utilizzo della bolla del Bichat come tessuto di copertura dell’antro iatrogeno, specie in perforazioni di grandi dimensioni. In caso di tragitto fistoloso, l’epitelio potrebbe determinare il perpetuarsi della comunicazione, quindi durante la chirurgia finalizzata alla riduzione dell’apertura, tale tessuto dovrà essere 9 scrupolosamente rimosso. In caso di infezioni del seno mascellare, prima di ricorrere ai lembi di scorrimento, si dovrà ripristinare lo stato di salute dell’antro e garantire la pervietà dell’ostio antrale. Ciò può essere gestito farmacologicamente, mediante l’ausilio di terapia antibiotica e farmaci ad azione topica oppure, in caso di insuccesso, si dovrà ricorrere a FESS (functional endoscopy sinus surgery), una chirurgia che esula dalla competenza odontoiatrica essendo ad appannaggio dello specialista Otorinolaringoiatra. Tale figura, attraverso il trattamento effettuato in regime di anestesia generale, provvederà a migliorare l’apertura dell’ostio di Higmoro ed il drenaggio di materiale infetto per via transnasale. La comunicazione oro-sinusale spesso si accompagna a dislocazione di elementi dentari interi o porzioni radicolari nell’antro. Quindi, prima di chiudere la comunicazione, sarà indispensabile recuperare il corpo dalla sede ectopica. Ciò può avvenire sia per via trans alveolare, appena verificatasi la complicanza oppure in una seconda chirurgia per via endoscopica. In caso di impossibilità di successo con tali metodiche si può ricorrere a tecnica di antrostomia laterale secondo i dettami di Caldwell-Luc, cioè l’apertura di uno sportello osseo realizzato sulla parete laterale del seno, al fine di permettere lo svuotamento. c. frattura della mandibola. Si verifica prevalentemente in casi di avulsione dei terzi molari inferiori con severo grado di inclusione, specie se associati a cisti di grandi dimensioni. La prevenzione consiste nell’attenta valutazione del caso, nel corretto dosaggio delle forze ed eventualmente nella scelta di ricorrere a marsupializzazione della cisti piuttosto che a completa enucleazione. In caso di frattura questa deve essere immediatamente ridotta ed i capi ossei devono essere fissati con placche metalliche di sintesi. In alternativa si può ricorrere a blocco e fissazione intermascellare. Alcuni autori (Ethunandan M. 2012) indicano che le fratture mandibolari non sono causa solo di errori clinici ma rappresentano il prodotto di cause multifattoriali come età, grado di inclusione ed estensione del dente e patologie 10 che possono predisporre alla fratture. Le fratture post operatorie sono più frequenti delle intra operatorie (2,7:1) ed avvengono in genere in seconda o terza settimana (57%). Le fratture intraoperatorie sono più frequenti nel sesso femminile (1:1,3) e quelle post operatorie più frequenti in quello maschile (3,9:1) a. Lussazione della mandibola: Si verifica in pazienti predisposti per lassità muscolo tendina o con disturbi articolati ATM durante le avulsioni dei molari che richiedono il massimo grado di apertura della bocca. L’individuazione di tale predisposizione, oltre al controllo dell’apertura della bocca, rappresenta l’unica possibilità di prevenzione. Una volta verificatasi tale lussazione deve essere immediatamente ridotta con il classico movimento della mandibola verso il basso e all’indietro. Ciò deve essere effettuato prima che si verifichino spasmi muscolari di reazione. 3. Lesioni ai denti adiacenti Lussazione, incrinatura e frattura dei denti adiacenti è evenienza rara ed è spesso legata ad errore di gestione dello strumentario chirurgico oppure all’erogazione di eccessiva forza durante le manovre di avulsione. La realizzazione di una terapia chirurgica attenta, precisa e sicura è l’unico modo per prevenire tali spiacevoli complicanze. 4. Dislocamento di frammenti di denti e radici La frattura degli elementi dentari durante le procedure di avulsione è evento tutt’altro che raro. Il frammento deve essere rimosso perché può determinare delle infezioni. Tuttavia se ciò mette a rischio di danni ulteriori meglio lasciare il frammento in sede e monitorare, specie se di piccole dimensioni. Ciò se il frammento non è infetto perché potrebbe integrarsi e non dare problemi (Knutsson K. 1989). In taluni casi, il recupero dei frammenti potrebbe essere difficoltoso e nel tentativo potrebbe verificarsi una dislocazione indesiderata con invasione, da parte di frazioni di denti o denti interi, di regioni adiacenti all’area chirurgica. Classica è l’invasione del 11 seno mascellare, delle regioni sotto mandibolari, del canale mandibolare o della fossa infratemporale. In questi casi il recupero potrebbe essere indaginoso e quindi, se non alla portata dell’operatore, sarà indispensabile inviare il paziente quanto prima presso una struttura adeguata. 5. emorragie intraoperatorie Durante gli interventi chirurgici che prevedono incisioni è inevitabile che ci siano dei sanguinamenti (Flanagan D. 2003). Tuttavia nella chirurgia orale correttamente eseguita è raro l’interessamento di grossi vasi tali da determinare perdite ematiche importanti. Più frequentemente si possono verificare fastidiosi gemizi che limitano la visibilità del campo chirurgico, rallentano ed allungano le fasi operative e possono predisporre ad ematomi in fase post chirurgica. Al fine di prevenire tale complicazione è indispensabile individuare, in fase pre chirurgica, il paziente con alterate capacità di coagulazione. Ciò potrà essere determinato da coagulopatie, da gravi insufficienze reali ed epatiche o da terapie farmacologiche antiaggreganti e anticoagulanti. In ogni caso sarà indispensabile, prima di approcciare il trattamento, riportare i valori di coagulazione in un range di sicurezza coinvolgendo anche ematologi e medici curanti. Per i pazienti in terapia anticoagulante è utile richiedere, in fase preoperatoria, esami ematochimici mirati come INR, PT, PTT (Reich W. 2009). In fase chirurgica invece, la prevenzione consiste nell’eseguire le incisioni nel rispetto dei vasi di grosso calibro, nel disegno di lembi di dimensioni e forme adeguate in modo che non ci siano lacerazioni dei tessuti molli ed eliminando completamente i tessuti infetti ricchi di vasi che predispongono ad emorragie (Druckman R.F. 2001). Il management intraoperatorio dell’emorragia parte dalla diagnosi delle caratteristiche del sanguinamento stesso. Bisogna valutare se si tratta di sanguinamento dei tessuti molli o duri e se il vaso interessato è in prossimità di strutture anatomiche importanti. La prima tecnica per limitare il sanguinamento è rappresentato dall’utilizzo di vasocostrittori, come quelli contenuti nelle fiale di 12 anestetico. Ciò determina limitazione del lume dei vasi e facilitazione dell’emostasi. Nella maggior parte dei casi, il controllo dell’emorragia può essere raggiunto mediante l’utilizzo di tamponi di garze sterili bagnate da fisiologica (o da farmaci che favoriscono la coagulazione come l’acido tranexamico) che vengono utilizzate per tamponare l’area interessata. La compressione deve essere mantenuta per diversi minuti, tempo indispensabile alla formazione del coagulo. Qualora ciò non fosse sufficiente si può ricorrere a tecniche di emostasi intervenendo direttamente sul vaso interessato. In caso di sanguinamento osseo può essere utile l’utilizzo di cere da osso o materiali emostatici come cellulosa ossidata o garze di fibrina. In caso di sanguinamento dei tessuti molli si può ricorrere all’individuazione ed al blocco diretto del vaso interessato. Ciò può avvenire mediante diatermocoagulazione con strumenti monopolari o bipolari che veicolano energia elettrica in un punto preciso determinando rapido innalzamento della temperatura e conseguente coagulazione immediata. Altra possibilità è rappresentata dalla legatura del vaso mediante suture riassorbibili. In entrambe i casi, il blocco del vaso deve essere effettuata solo dopo valutazione dei rapporti con strutture anatomiche importanti, in quanto sia la diatermocoagulazione che la compressione determinata dalle suture possono danneggiare in modo irreversibile nervi e tessuti (Chiapasco M. 2013). 6. Lesioni neurologiche Le lesioni iatrogene a carico dei fasci vascolo-nervosi non sono evenienze rare, ma fortunatamente hanno un’incidenza relativamente bassa, circa il 3% (Nordenram A. 1983). Il paziente deve essere dettagliatamente istruito, mediante consenso informato, sul rischio di incorrere in una lesione neurologica che può determinare alterazioni della sensibilità transitorie o permanenti. Dal punto di vista della sintomatologia distinguiamo: a- parestesia: alterazione della sensibilità b- anestesia: assenza della sensibilità 13 c- disestesia: alterazione della sensibilità accompagnata da dolore d-iperestesia: accentuazione della sensibilità Tali temibili lesioni avvengono a carico dei fasci sensitivi del quinto nervo cranico. Interessano prevalentemente i nervi alveolare inferiore (0,5-5%) (Alling CC. 1986) e linguale (0,2-2%) (Walter JM Jr. 1979) durante l’avulsione dei terzi molari inferiori, ma in misura più ridotta possono interessare anche il nervo mentoniero, quello palatino maggiore, il nervo naso-palatino e l’infraorbitario (Chiapasco M. 2013). Tali lesioni sono determinate da contatto diretto con la struttura nervosa durante la fase operatoria. Ne consegue che la conoscenza dell’anatomia chirurgica, l’attenta valutazione preoperatoria e la corretta gestione di tutte le fasi, come pure la protezioni delle strutture nervose (Chiapasco M. 1996), riducano il rischio di interessamento neurologico. Quando si sospetta una relazione tra struttura nervosa e radici dentarie, l’ortopantomografia non può essere considerata l’esame adeguato per la diagnosi pre-operatoria. (Peker I. 2014). Tale rapporto deve essere valutato mediante TC cone beam dato che le complicanze di danno neurologico sono più frequenti se le 2 strutture sono in stretto contatto, specie quando il decorso del nervo è bucale o quando il nervo interseca il gruppo radicolare e passa attraverso. Alcune review (Leung YY. 2011) individuano fattori di rischio come incremento dell’età, grado di inclusione, scelta dell’approccio linguale e alcuni segni radiografici. Radiotrasparenze a livello degli apici dei terzi molari inclusi devono far sospettare stretti rapporti con il canale mandibolare. (Xu GZ. 2013). Si indica che la lesione del nervo si può ottenere anche durante le fasi di anestesia. Il blocco del nervo alveolare superiore posteriore (Kini YK. 2012) può interessare anche i nervi abducente ed oculomotore che causano temporanea diplopia, strabismo e ptosi palpebrale. Problemi oftalmici come amaurosi, midriasi e diplopia si possono verificare anche durante il blocco tronculare del nervo alveolare inferiore (Williams JV. 2011). Nella maggior parte dei casi questi disturbi sono comunque reversibili (Robinson PP. 1988) e la sensibilità viene recuperata entro due anni dall’intervento anche se in altri casi il 14 danno viene considerato permanente. L’incidenza delle lesioni permanenti è molto bassa attestandosi intorno ad 1 caso su 2500 avulsioni per il nervo alveolare inferiore e 1 su 10.000 interventi per il nervo linguale (Robert RC. 2005). Ciò dipende dal grado del danno provocato e quindi si evince che una volta verificatasi la lesione deve essere diagnosticata e attentamente valutata per un suo miglior management. Distinguiamo 3 gradi di lesione (Chiapasco M. 2013): a. Neuroapraxia: Causata da compressione diretta del nervo durante la fase chirurgica oppure indiretta e secondaria alla formazione dell’edema post operatorio, consiste nella semplice perdita di capacità di trasmissione dell’impulso nervoso. Tuttavia i fasci rimangono integri e la ripresa della funzionalità avviene in pochi giorni. Non richiede quindi alcun trattamento specifico anche se l’utilizzo di farmaci antinfiammatori ed antiedemigeni può ridurre la massa di essudato che comprime mentre la somministrazione di vitamine del gruppo B riduce i tempi di recupero. b. Assonotmesi: In questa lesione si ha l’interruzione fisica degli assoni ma le guaine vengono mantenute integre. La porzione che sta a valle dell’interruzione va incontro a degenerazione ma lentamente viene rigenerata a partire dalle fibre sane alla velocità di 1 mm al giorno, seguendo la strada fornita dalle guaine intatte. Ciò porta ad una ripresa funzionale del nervo nell’arco di qualche mese. Anche in questo caso il management consiste solo nell’attesa e nella somministrazione di complessi vitaminici e antinfiammatori. c. Neurotmesi: In tal caso si ha interruzione sia delle guaine che degli assoni con netta separazione dei 2 capi lesi. Il capo a valle va incontro a degenerazione mentre il capo a monte si rigenera ma in modo casuale, essendo privo della guida delle guaine. La ripresa spontanea della funzione è evento raro anche dopo lunghi periodi di attesa. La terapia è rappresentata da neuroraffia, cioè intervento di microchirurgia che ha lo scopo di unire i capi separati iatrogenicamente. Tuttavia tale chirurgia ha predicibilità scarsa ed è a volte peggiorativa. Se ne ricorre solo in 15 caso di disestesia dolorosa o anestesia ma è sconsigliato in caso di parestesia. 7. Enfisema sottocutaneo Può essere causato da iniezione forzata di aria nel tessuto connettivo lasso sotto lo strato dermico ad opera di strumenti rotanti ad aria compressa (turbine). Clinicamente si rileva gonfiore localizzato e crepitio alla palpazione. L’aria compressa nel connettivo può rimanere localizzata o continuare a diffondersi lungo il piano del tessuto lasso fino a raggiungere, nei casi gravi, le aree parafaringee e retrofaringee penetrando nel mediastino per determinare l’enfisema mediastinico (Romeo U. 2011). In tal casi è indicata la somministrazione di cortisone, oltre alla terapia antibiotica per evitare infezioni e antidolorifica in caso di algie. Se sopraggiunge un coinvolgimento mediastinico è indispensabile ricorrere ad ospedalizzazione. COMPLICANZE POST-OPERATORIE: 1. Gonfiore. L’edema si può facilmente presentare dopo l’estrazione di un elemento dentario, specie se incluso, in particolare in seconda ed in terza giornata con risoluzione entro la prima settimana. Per minimizzare il gonfiore è utile l’utilizzo di corticosteroidi e l’applicazione di ghiaccio, anche se quest’ultimo lenisce il fastidio ma non ha alcuna funzione nel limitare la magnitudo della manifestazione. (Forsgren H. 1985) 2. Sanguinamento tardivo. La complicanza emorragica può avvenire anche una volta terminata la fase chirurgica, quindi nell’immediato periodo post operatorio. Ciò può verificarsi anche quando l’intervento viene condotto in perfetta emostasi, sia perché in tale fase il controllo emorragico viene espletato dall’azione del vasocostrittore contenuto nelle fiale di anestetico locale, sia perché le cause che determinano il sanguinamento possono insorgere a distanza di tempo (picchi della pressione arteriosa). Tale complicanza è temibile perché si può verificare quando il paziente è 16 lontano dall’ambulatorio e non avendo assistenza adeguata può vivere sgradevoli stati d’ansia. Sarà quindi importante istruire il paziente riguardo la possibilità di tale complicanza e, nel rassicurarlo, indicare tutte quelle manovre indispensabili alla sua gestione. Una dieta fredda e liquida per le prime 24 ore, evitare di fare sciacqui, evitare sforzi sono importanti norme di prevenzione della problematica. Il tamponamento domiciliare con garza bagnata per 15-20 minuti è un ottimo rimedio per arrestare il sanguinamento qualora dovesse verificarsi in fase tardiva. In una piccola percentuale di casi, in cui il sanguinamento importante provoca evidenti tumefazioni, sarà indispensabile reintervenire chirurgicamente individuando il vaso responsabile, bloccando il flusso. Ciò va fatto perché la raccolta ematica, se importante, può determinare compressione di strutture anatomiche importanti e se interessa il pavimento della bocca può compromettere anche la ventilazione (Givol N. 2000). Inoltre tale raccolta può determinare la formazione di ematomi e potenziali infezioni del tessuto infarcito di materiale ematico. 3. Trisma. L’infiammazione dei muscoli masticatori, conseguente a chirurgia estrattiva, può determinare un trisma postoperatorio (de Santana-Santos T. 2013). In genere si manifesta immediatamente dopo avulsione e si risolve entro la prima settimana dopo la chirurgia. Può essere limitato utilizzando corticosteroidi. L’utilizzo di antinfiammatori non steroidei, in associazione ad una dieta morbida, consente la risoluzione di questa complicanza (Chiapsco M. 2013). 4. Dolore post-operatorio. Il dolore postoperatorio rappresenta la complicazione più temuta e meno tollerata della chirurgia estrattiva e ciò può rappresentare motivo di grande preoccupazione per il paziente. L’intensità del dolore è spesso direttamente proporzionale al grado di difficoltà e quindi in genere si ha più possibilità di sviluppare algia se l’estrazione è particolarmente indaginosa. Il picco massimo di dolore si verifica in genere verso la dodicesima ora dopo l’avulsione (Seymour RA. 1983). L’incidenza del dolore è maggiore nella donna che nell’uomo e quindi anche 17 il consumo di analgesici (Seymour RA. 1985). Esiste anche una correlazione tra trisma e dolore in quanto proprio quest’ultimo rappresenta la limitazione al grado di apertura della bocca (Pedersen A. 1985). Limitare tempi e traumi durante l’intervento migliora il decorso della convalescenza. In previsione dello sviluppo della problematica, la somministrazione di una terapia antidolorifica subito dopo l’intervento, quindi nel momento in cui è ancora presente l’anestesia, rende la sintomatologia meno intensa. I farmaci utilizzati maggiormente per il trattamento del dolore postoperatorio sono gli antinfiammatori non steroidei e i corticosteroidi. 5. Deiscenza della ferita. Si può verificare durante l’immediato periodo post operatorio con conseguenza sulla modalità e sulla tempistica di guarigione. Ciò può essere legato ad un cedimento precoce della sutura per scioglimento o per lacerazione dei tessuti. Il traumatismo dei lembi può essere dovuto ad un mancato rispetto durante la fase operativa, a tensioni troppo elevate esercitate dalla sutura, oppure ad uno stato di infiammazione gengivale che ne riduce sensibilmente il tono. A volte tale complicanza è la conseguenza dell’infezione della ferita. Ne consegue che la prevenzione consiste nella corretta programmazione ed esecuzione dell’avulsione, nel rispetto del disegno e rilascio dei lembi e nella più adeguata tecnica di avulsione e sutura. Una volta verificatasi, la deiscenza può essere ridotta mediante ulteriore mobilizzazione dei lembi e nuova sutura, oppure lasciando che avvenga la guarigione per seconda intenzione. In entrambi i casi l’utilizzo di clorexidina limiterà la possibilità di contaminazione della ferita agevolandone la guarigione. 6. osteite alveolare o alveolite secca. E’ un evento doloroso a carico dell’alveolo post estrattivo che insorge tra la prima e la terza giornata dopo l’avulsione, con quadro clinico caratterizzato da alveolo vuoto con tessuto grigiastro e alitosi. Ha un’incidenza di 0,2-5% ma se viene considerato solo l’evento doloroso che costringe il paziente a tornare dal clinico, la % si attesta intorno al 20-25% (Larsen PE. 1973). E’ un disturbo della guarigione che insorge quando il coagulo è formato, ma si ha una 18 troppo rapida dissoluzione ed una veloce fibrinolisi prima che ci si verifichi la naturale sostituzione con il tessuto di granulazione. L’eziologia è sconosciuta ma si sa che la patologia è legata alla dissoluzione del coagulo, sostituzione con tessuto di granulazione e comparsa di dolore forte dopo 3 giorni. Gli agenti fibrinolitici potrebbero derivare dai tessuti ossei e gengivali, dal parodonto, dalla saliva e da batteri. Il ruolo batterico potrebbe essere ipotizzato in quanto le avulsioni effettuate in profilassi antibiotica hanno una riduzione di episodi di alveolite di circa il 50-75%. Ci sono dei fattori favorenti in quanto l’incidenza aumenta in pazienti fumatori (Nitzan DNW. 1979, Sweet JB. 1979, Meechan JG. 1988), in donne che assumono anticoncezionali orali, durante il ciclo mestruale, se viene infiltrata l’anestesia per via intraligamentosa, se l’avulsione è particolarmente indaginosa e se l’igiene orale non è ottimale. Il compito del clinico è innanzitutto quello di prevenire i casi di alveolite secca, mediante riduzione di infezioni e ricorrendo a profilassi antibiotica e antisettica topica con clorexidina prima e dopo l’intervento (1 settimana prima e una dopo), perché ciò potrebbe ridurre l’incidenza del 50% (Larsen PE. 1991). Inoltre si dovrebbe sconsigliare il fumo nei giorni immediatamente successivi all’avulsione, effettuare avulsioni tra il 23° e 28° giorno del ciclo in donne che assumono contraccettivi orali, eseguire lembi senza tensioni e con adeguata irrorazione e abbondare l’irrigazione durante l’intervento per evitare surriscaldamenti (Sweet JB. 1976). Alcuni autori consigliano l’utilizzo di antibiotici locali perché possono ridurre l’incidenza (Swanson AE. 1989, .Nordenram A. 1973, Goldman DR. 1973. Hall HD. Bildman BS. 1971). Quando si verifica tale complicanza invece, la priorità consiste nel lenire il dolore del paziente. L’intervento inizia con dei lavaggi di clorexidina o di fisiologica per eliminare i macroscopici residui di cibo. Successivamente si ricorre ad un leggero debridement e all’applicazione di eugenolo con vaselina oppure eugenolo con fibre vegetali. Tali composti, con potere analgesico, devono essere cambiati giornalmente fino a risoluzione della problematica che in genere avviene in 19 4-5 giorni, anche se in alcuni casi la sintomatologia può durare 15 giorni. l’utilizzo di metronidazolo locale può facilitare la guarigione (Mitchell L. 1984). In caso di fallimento della procedura si deve ricorrere a nuova chirurgia con lo scopo di rimuovere, mediante curettaggio, tutto il materiale necrotico e favorire il sanguinamento e la formazione di nuovo coagulo. (Blum I.R. 2002). 7. Infezioni. Le infezioni dopo avulsione dei terzi molari si verificano in pochi casi con un range compreso tra 1,7 e 2,7% (Nordenram A. 1983). Nella maggior parte dei casi sono eventi che si manifestano tra la seconda e la quarta settimana dopo l’avulsione. In genere sono sub periostali e sono dovuti a residuo di detriti, prodotto delle fasi di osteotomia e odontotomia oppure a residui di cibo che determinano infezione e comparsa di ascessi, gonfiore e dolore. Compaiono frequentemente in casi di avulsione di elementi inclusi in cui avviene guarigione per prima intenzione. Nel 50% dei casi la complicanza si risolve mediante lavaggio dell’alveolo. Nel restante 50%, l’infezione richiede reintervento mediante incisione, drenaggio del materiale purulento e lavaggio della cavità residua. E’ importante anche ricorrere a terapia antibiotica e antidolorifica per via sistemica. Tali infezioni possono evolvere in sequestro osseo, cioè frammento di tessuto osseo infetto e non più vitale che viene espulso nel tentativo di circoscrivere l’infezione. Il sequestro radiograficamente appare come un’area radiopaca circondata da un’area radiotrasparente ed è spesso conseguente a trauma osseo durante le fasi chirurgiche di avulsione, con conseguente distacco e perdita della vascolarizzazione. Una volta diagnosticato clinicamente e radiograficamente, il frammento deve essere rimosso e l’alveolo deve essere adeguatamente curettato per rimuovere il tessuto infetto e per provocare nuovo sanguinamento delle pareti ossee alveolari. Un’infezione superficiale della ferita chirurgica invece, è di norma più rara e comporta solo un ritardo della guarigione. La risoluzione in genere si raggiunge con applicazioni di clorexidina. 20 8. Disordini temporomandibolari. Alcuni autori ipotizzano una relazione tra avulsione dei terzi molari e aumento delle problematiche articolari temporo-mandibolari (DeAngelis AF. 2009). In particolare uno studio longitudinale di 34.491 pazienti di 15 anni sottoposti ad avulsione di terzi molari ed osservati per 5 anni indica disfunzioni articolari nel 23% dei casi ed ipotizza una relazione tra i due eventi (Huang GJ. 2006). Per contro uno studio caso-controllo indica che non ci sono differenze statisticamente significative di esacerbazione della patologia articolare tra 2 gruppi di 2217 pazienti a confronto, uno in cui sono stati estratti i terzi molari, l’antro in cui sono stati mantenuti. (Huang GJ. 2008). Ad oggi la relazione tra avulsione di terzi molari e peggioramento dei disordini temporo-mandibolari può solo essere ipotizzata ma non confermata dall’evidenza scientifica. 9. Problemi parodontali. Alcuni autori indicano che l’avulsione dei terzi molari può determinare peggioramento della condizione parodontale del versante distale al secondo molare. In particolare Karapataki indica perdita di attacco nel 43 % dei casi e difetti infraossei a distanza di 5 anni in pazienti che precedentemente all’avulsione dei terzi molari non avevano alcun segno di parodontopatia. (Karapataki S. 2000). Altri autori indicano che suture ancorate possono limitare la perdita di attacco in maniera più efficace rispetto alla sutura a punti semplici distaccati. (Cetinkaya BO. 2009). 21 CONCLUSIONI: Allo stato attuale, la chirurgia estrattiva può presentare delle sequele post operatorie. Queste possono essere dei semplici disconforts come lieve gonfiore, dolore, modesto sanguinamento ed ematoma oppure possono essere delle vere e proprie complicanze invalidanti. Si individuano diversi fattori che giocano un ruolo importante nel verificarsi di tali complicazioni come particolarità anatomiche, età e condizioni di salute del paziente, grado di difficoltà dell’intervento, preparazione ed esperienza dell’operatore. Al fine di prevenire problematiche intra e post operatore il clinico dovrà avere un’adeguata conoscenza dell’anatomia dei distretti interessati e padronanza delle tecniche chirurgiche. Dovrà condurre un’adeguata anamnesi e una corretta diagnosi al fine di prevedere possibili difficolta ed informare il paziente dei possibili rischi. Dovrà inoltre effettuare una chirurgia precisa e sicura per limitare gli errori tecnici ed infine dovrà istruire il paziente al fine di limitare e gestire problematiche durante la degenza post chirurgica. 22 BIBLIOGRAFIA: Abuabara A., et al. Evaluation of different treatments for oroantral/oronasal communications. Int J Oral Maxillofac Surg. 2006;35:155. Akadiri O.A., Obiechina A.E. Assessment of difficulty in third molar surgery – A systematic review. J Oral Maxillofac Surg. 2009;67:771-774. Alling CC III: Dysesthesia of the lingual and inferior alveolar nerves following third molar surgery. J Oral Maxillofac Surg44:454, 1986 Blum I.R. Contemporary views on dry socket (alveolar osteitis). A clinical appraisal of standardization, aetiopathogenesis and management: a critical review. Int J Oral Maxillofac Surg. 2002;31:309. 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