UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PERUGIA Facoltà di

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PERUGIA Facoltà di
UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PERUGIA
Facoltà di Scienze Politiche
Corso di laurea specialistica in Relazioni Internazionali
Tesi di laurea in
Diritto Internazionale
IL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO
CECENO E LA VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI IN
CECENIA DA PARTE DELLA FEDERAZIONE RUSSA.
UN’ANALISI DELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE
EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO. Candidato:
Gianmaria Sisti
Relatore:
Prof. Carlo Focarelli
Anno Accademico 2008-2009
Introduzione…………………………………………………………………... Pag. I
CAPITOLO I
La Russia, il diritto internazionale e il suo adeguamento al sistemo giuridico
interno
1. Introduzione
2. L’apertura del sistema giuridico russo al diritto internazionale e alla tutela dei
diritti umani prima della Costituzione del 12 dicembre
3. La Costituzione della Federazione russa e l’adeguamento al diritto
internazionale in base all’art. 15, par. 4
3.1 L’adeguamento del sistema giuridico russo al diritto internazionale
umanitario
4. La sentenza della Corte Costituzionale russa del 31 luglio 1995
4.1 Opinioni dissenzienti dalla sentenza della Corte costituzionale russa
5. Commento alla sentenza della Corte costituzionale e considerazioni
conclusive al capito
Pag. 1
Pag. 3
Pag. 7
Pag. 9
Pag. 13
Pag. 21
Pag. 24
CAPITOLO II
Il diritto all’autodeterminazione della Repubblica di Cecenia
1. Introduzione
2. Il principio di autodeterminazione dei popoli
2.1 L’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli nell’ambito
delle Nazioni Unite
2.2 L’evoluzione del principio dell’autodeterminazione dei popoli nella prassi
della Corte internazionale di giustizia
3. Il diritto all’autodeterminazione esterna del popolo ceceno
3.1 I fatti storici
3.2 Il rapporto istituzionale tra la Federazione russa e le sue Repubbliche
4. Le posizioni in dottrina in merito allo status da riconoscere al popolo ceceno
4.1 Il precedente delle Repubbliche baltiche
4.2 Le gravi violazioni dei diritti umani
4.3 Lo status speciale della Repubblice cecena
4.4 Un referendum per determinare lo status della Repubblica cecena
4.5 La Repubblica cecena: uno Stato de facto
4.6 Considerazioni finali al paragrafo
5. Il diritto all’autodeterminazione interna del popolo ceceno
5.1 Il referendum costituzionale ceceno del 23 marzo 2003
5.2 La Costituzione della Repubblica di Cecenia analizzata sulla base del
Pag. 28
Pag. 30
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rapporto della Commissione Venezia del 15 marzo 2003
5.2.1 Aspetti generali
5.2.2 La lingua nazionale della Repubblica cecena
5.2.3 La tutela dei diritti umani nella Costituzione cecena
5.3 Considerazioni finali al paragrafo
6. La
Comunità
internazionale
e
la
legittimazione
del
diritto
all’autodeterminazione dei popoli in un contesto post-coloniale: il caso del
popolo ceceno, kosovaro e timorese
6.1 Il caso ceceno e quello kosovaro
6.2 Il caso dell’isola di Timor Est
7. Considerazioni conclusive
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Pag. 62
Pag. 66
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CAPITOLO III
La Corte europea dei diritti dell’uomo e la Federazione russa: i casi Khashiyev e
Akayeva; Isayeva, Yusupova e Bazayeva; e Isayeva
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
Introduzione
Il conflitto ceceno: quadro giuridico applicabile
Una panoramica sulle sentenze
La sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005
4.1 La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 24 febraio
2005 nel caso Khashiyev e Akayeva c. Federazione russa
4.1.1 I fatti oggetto del caso
4.2 La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 24 febbraio
2005 nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva
4.2.1 I fatti oggetto del caso
4.3 La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 24 febbraio
2005 nel caso Isayeva c. Federazione russa
4.3.1 I fatti oggetto del caso
Le obiezioni preliminari
5.1 Il ragionamento della Corte: le obiezioni preliminari
La violazione dell’art. 2 della Convenzione europea
6.1 La violazione dell’art. 2 della nel caso Khashiyev e Akayeva
6.2 La violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva, Yusopova e Bazayeva
6.3 La violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva
La violazione dell’art. 3 della Convenzione
7.1 La violazione dell’art. 3 nel caso Khashiyev e Akayeva
7.2 La violazione dell’art. 3 nel caso Isayeva, Yussupova e Bazayeva
La violazione dell’art. 13 della Convenzione
La violazione dell’art. 1, par. 1 del primo Protocollo della Convenzione
Il rinvio implicito al diritto internazionale umanitario nelle sentenze cecene
10.1 La Corte europea dei diritti dell’uomo e l’applicazione delle norme di
diritto internazionale umanitario
10.2 Considerazioni finali al paragrafo
Considerazioni conclusive
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CAPITOLO IV
Il Consiglio d’Europa e il caso ceceno
1. Introduzione.
2. Il carattere grave e sistematico delle violazioni
2.1 L’azione di controllo da parte degli organi giurisdizionali
2.2 L’azione di controllo da parte degli organi non giurisdizionali
3. La debolezza degli organi del Consiglio d’Europa
3.1 L’Assemblea parlamentare
3.2 Il Comitato dei Ministri
4. Conclusioni al capitolo
Pag. 111
Pag. 113
Pag. 114
Pag. 116
Pag. 121
Pag. 121
Pag. 123
Pag. 124
Conclusioni……………….………………………………………………….Pag. 127
Bibliografia………………..…………………………………………………Pag. 131
INTRODUZIONE
Nel corso degli anni Novanta del XX secolo, la Federazione russa è stata teatro
di due grandi conflitti armati interni, che hanno visto opposti da una parte l’esercito
federale russo e dall’altra i ribelli indipendentisti della Repubblica di Cecenia.
Durante i due conflitti entrambe le parti coinvolte nelle ostilità hanno violato
apertamente sia i più fondamentali diritti alla tutela dell’uomo, sanciti nella
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sia
le norme di diritto internazionale umanitario, contenute nelle quattro Convenzioni di
Ginevra del 1949 e nei due Protocolli addizionali del 1977.
L’intento di questo lavoro è di analizzare la giurisprudenza della Corte di
Strasburgo in merito alle gravi e sistematiche violazioni delle norme della
Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in Cecenia. Per far ciò
cercheremo nella prima parte di questo lavoro di ricostruire il contesto giuridico nel
quale tali violazioni sono state perpetrate analizzando il motivo alla base del conflitto
russo ceceno, ossia il tentativo di secessione della Repubblica cecena dal territorio
federale russo. Nella seconda parte invece analizzeremo la giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo in merito al caso ceceno esaminando l’efficacia degli
strumenti posti in essere dal Consiglio d’Europa per porre termine alle violazioni.
In particolare, nel primo capitolo parleremo dell’adeguamento della legislazione
interna della Federazione russa alle norme di diritto internazionale a tutela dei diritti
umani e di diritto internazionale umanitario. Nello specifico analizzeremo la prima
ed unica sentenza della Corte Costituzionale russa, nella quale la Corte si è espressa
in merito alla costituzionalità di tre decreti presidenziali e di una risoluzione
governativa autorizzanti il ricorso all’uso della forza nella Repubblica cecena. La
Corte ha invitato in quell’occasione il legislatore federale a porre in essere ogni
strumento possibile affinché si adeguasse l’ordinamento interno alle norme di diritto
internazionale umanitario, in particolar modo al secondo Protocollo addizionale del
1977.
Il secondo capitolo è dedicato all’analisi del diritto del popolo ceceno
all’autodeterminazione. Nella prima parte, ricostruiremo brevemente l’evoluzione del
diritto dei popoli all’autodeterminazione sia nell’ambito delle Nazioni Unite sia
attraverso la prassi della Corte internazionale di giustizia. Nella seconda parte,
invece, entreremo nello specifico nel caso della Repubblica cecena dedicando una
larga parte del capitolo all’esame della liceità del tentativo del suo popolo a secedere
territorialmente dalla Federazione russa, e se quest’ultima abbia violato il suo diritto
all’autodeterminazione interna. Nel far questo, analizzeremo tutte le varie posizioni
in dottrina che si sono espresse in merito a quale sia lo status giuridico da
riconoscere alla Repubblica cecena. Infine, nella terza parte del capitolo
esamineremo in maniera comparata il tentativo di secessione cecena con quello del
popolo kosovaro e quello del popolo dell’isola di Timor Est, cercando di capire come
la Comunità internazionale legittimi il ricorso al principio di autodeterminazione
esterna dei popoli in un contesto post coloniale.
Nel terzo capitolo, è dato ampio spazio all’analisi della giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo in merito alle violazioni commesse dalla
Federazione russa in Cecenia. A tal riguardo, esamineremo in un primo momento gli
aspetti generali comuni che hanno caratterizzato le sentenze della Corte di Strasburgo
in merito al caso ceceno. In seguito saranno analizzate nel dettaglio le prime tre
sentenze della Corte nei casi: Khashiyev e Akayeva; Isayeva, Yusupova e Bazayeva e
Isayeva c. Federazione russa del 24 febbraio 2005. La scelta di queste sentenze
risiede nel fatto che su di esse si è poi basata la giurisprudenza della Corte per quanto
riguarda la violazione dei diritti dell’uomo in Cecenia. Di ciascuna sentenza si
analizzeranno gli aspetti più interessanti e particolare attenzione è stata data al
rapporto tra le norme a tutela dei diritti umani e il diritto internazionale umanitario
durante un conflitto armato interno.
Infine, il quarto ed ultimo capitolo è dedicato esclusivamente a cercare di
comprendere se gli strumenti posti in essere dagli organi del Consiglio d’Europa si
siamo rivelati efficaci a porre termine alle violazioni commesse in Cecenia dal
governo russo. Nel fare ciò, analizzeremo la natura dei ricorsi che gli organi del
Consiglio possono porre in essere cercando di capire se sono stati in grado di far
fronte ad una violazione così sistematica e generalizzata dei diritti umani come è
accaduto nella Repubblica cecena.
CAPITOLO I
LA RUSSIA, IL DIRITTO INTERNAZIONALE E IL SUO ADEGUAMENTO
AL SISTEMA GIURIDICO INTERNO
SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. L’apertura del sistema giuridico russo al diritto internazionale e
alla tutela dei diritti umani prima della Costituzione del 12 dicembre 1993; 3. La
Costituzione della Federazione russa e l’adeguamento al diritto internazionale in base all’art.
15, par. 4; 3.1. L’adeguamento del sistema giuridico russo al diritto internazionale
umanitario; 4. La sentenza della Corte costituzionale del 31 luglio 1995; 4.1. Opinioni
dissenzienti dalla sentenza della Corte costituzionale russa; 5. Commento alla sentenza della
Corte costituzionale e considerazioni conclusive al capitolo.
1. Introduzione
Da una prospettiva giuridica internazionale, può osservarsi che la Federazione
russa soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta, è diventata un vero e proprio
laboratorio di riforme costituzionali. In tale processo, l’aspetto più interessante è
stata la sua graduale apertura alla tutela e al rispetto del diritto internazionale,
avvenuta nel periodo di transizione che va dalla caduta dell’Urss fino alla nascita
della Federazione russa. L’approccio “dualistico”
1
sovietico fu sostituito infatti da
uno mirante a rendere le norme di diritto internazionale consuetudinario e quelle
riguardanti i trattati internazionali ratificati dalla Federazione russa parte integrante
del suo sistema giuridico.
Il significato reale di tale apertura può essere compreso solo prendendo in
considerazione la precedente esperienza sovietica: l’Urss non considerò mai il diritto
internazionale valevole di poter essere effettivamente applicato all’interno del suo
sistema giudiziario, in particolar modo le norme internazionali poste a tutela dei
1
Per “approccio dualistico” si vuole intendere la maniera con la quale l’Urss si è da sempre rapportata al diritto
internazionale. Nel corso della sua storia, l’Urss ha sempre anteposto la tutela della propria sovranità al pieno
rispetto delle norme dei trattati internazionali. In particolar modo, come si vedrà meglio più avanti, furono poste
riserve a tutti i trattati che prevedevano nei propri statuti organi di controllo o tribunali sovrannazionali.
diritti umani rimanevano mere definizioni senza essere mai effettivamente applicate.
Il movimento di riforme sociali, economiche e giuridiche inaugurato durante la
presidenza di M. S. Gorbačëv 2 fu il risultato della convinzione della classe dirigente
sovietica, che il paese non avrebbe mai avuto nessuna prospettiva di sviluppo sociale,
economico né tanto meno politico, se non si fosse costruita una società basata sul
rispetto delle norme internazionali e degli obblighi derivanti dalla tutela dei diritti
umani e del diritto internazionale umanitario 3.
Nel 1989 fu approvata nel sistema giuridico sovietico la normativa in merito alla
supervisione costituzionale. Fu istituito un Comitato ad hoc incaricato di incorporare
nel sistema giuridico interno le norme internazionali, soprattutto quelle riguardanti i
diritti umani ed il diritto internazionale umanitario 4. Introducendo il concetto di
diretta applicabilità del diritto internazionale nel sistema giudiziario interno, l’Urss
abbandonò definitivamente la sua posizione isolazionista per una più aperta
posizione sul piano internazionale.
In questo capitolo si approfondirà il processo, iniziato dall’Urss e continuato
dalla Federazione russa, di adeguamento del sistema giuridico al diritto
internazionale, attraverso l’analisi del contesto giuridico nazionale. Si analizzerà
l’apertura internazionale russa negli ultimi anni antecedenti la nascita della
Federazione e in che modo la Costituzione del 12 dicembre 1993 si sia conformata al
diritto internazionale, analizzando l’importanza ricoperta dall’art. 15, par. 4, della
Costituzione. Si vedrà la posizione assunta dalla dottrina in merito alla prassi della
Corte costituzionale, con particolare riferimento ad una sentenza resa da quest’ultima
nel 1995.
Questa sentenza è di particolare rilevanza per due ragioni in particolare: da un
lato, perché fu la prima volta che la Corte costituzionale della neonata Federazione
russa si espresse condannando l’Assemblea Federativa per non aver posto in essere
nel sistema giuridico interno le disposizioni previste dal secondo Protocollo
2
È stato l'ultimo segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) dall’ 11 marzo 1985 al
24 agosto 1991; fu Presidente del Praesidium del Soviet supremo dell’Urss dal 1 ottobre 1988 al 15 marzo 1990;
infine fu Presidente dell’Urss dal marzo 1990 al 25 dicembre 1991. Fu propugnatore dei processi di riforma legati
alla perestrojka e alla glasnost' e protagonista nella catena di eventi che portarono alla dissoluzione dell'URSS e
dello stesso PCUS.
3
Cfr. SABBATUCCI G. VIDOTTO V., Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Bari, 2005, pp. 608-612, in part. p.
610
4
Cfr. DANILENKO G.M., Implementation of International Law in Russia and Other CIS States, reperibile in
http://www.nato.int/acad/fellow/96-98/danilenk.pdf.
addizionale alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949; dall’altro lato, poiché la
Corte si espresse altresì sulla titolarità della Repubblica di Cecenia a godere del
diritto all’autodeterminazione dei popoli.
2. L’apertura del sistema giuridico russo al diritto internazionale e alla tutela
dei diritti umani prima della Costituzione del 12 dicembre 1993
Sul finire degli anni Ottanta il governo sovietico intraprese un processo di
riforme a livello internazionale, volto alla promozione della giurisdizione
sovranazionale in materia di diritti umani. Il 10 febbraio 1989, con un decreto
adottato dal Praesidium Supremo dei Soviet, si riconobbe infatti l’autorità sia della
Corte internazionale di giustizia sia dei Comitati ad hoc istituiti per il rispetto di sei
convenzioni sui diritti umani 5.
L’Urss iniziò l’8 marzo 1989 con il ritiro di una riserva apposta all’art. 9 della
Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio 6, la quale
prevedeva l’impossibilità per la Corte internazionale di giustizia di esprimersi in
merito alle controversie che coinvolgessero l’Urss, senza prima aver ottenuto il suo
consenso 7.
Il 3 marzo 1987 ratificò con riserva la Convenzione contro la tortura ed altre
pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Entrata in vigore il 26 giugno dello
stesso anno, la Convenzione istituiva, come noto, un Comitato contro la tortura con il
compito di indagare eventuali violazioni della Convenzione perpetrate sul territorio
di uno Stato membro. In tal caso, il Comitato poteva indagare direttamente sul
territorio dello Stato soggetto all’inchiesta, richiedendone piena collaborazione 8. La
5
Cfr. BOWRING B., Russia and Human Rights: Incompatible Opposites?, in Göttingen Journal of International
Law, 2009, pp. 257-278, in part. p. 265. In particolare qui ci si riferisce alla Convenzione per la prevenzione e la
repressione del crimine di genocidio del 1948; la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti
crudeli, inumani o degradanti del 1984; la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di
discriminazione razziale del 1965; la Convenzione sui diritti politici della donna del 1952; la Convenzione
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna del 1979.
6
La citata Convenzione è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con ris. n. 260 (III) A del 9
dicembre 1948, ed è entrata in vigore sul piano internazionale il 12 gennaio 1951. L’Urss ha firmato la
Convenzione il 16 dicembre 1949 e l’ha ratificata il 3 maggio 1954.
7
Per una consultazione diretta delle riserve apposte alla Convenzione di New York del 1948 da parte dell’Urss e
degli altri Stati Membri, si veda http://treaties.un.org/doc/Publication/MTDSG/Volume%20I/ Chapter%20IV/IV1.en.pdf.
8
Per le funzioni attribuite al Comitato contro la tortura si veda l’art. 20 della Convezione contro la tortura ed altre
pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, reperibili in http://www.volint.it/scuolevis/diritti
umani/tortura.pdf.
riserva apposta dall’Urss all’art. 20 della Convenzione, che limitava le funzioni
attribuite al Comitato, fu ritirata il 1° ottobre 1991. Il governo russo dichiarò al
momento della notifica presso il Segretariato Generale delle Nazioni Unite che
« L’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche riconosce la competenza
del
Comitato contro la tortura, definita dall’articolo 20 della Convenzione, concernente
situazioni o fatti sopravvenuti dopo l’adozione della presente dichiarazione » 9.
Il 1° ottobre 1991 il governo russo riconobbe ai sensi dell’art.14 della
Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione
razziale 10, la competenza del Comitato contro la discriminazione razziale a ricevere
ed esaminare le comunicazioni di chiunque lamenti di essere vittima di una
violazione dei diritti sanciti nella Convenzione da parte di uno Stato membro,
dichiarando che
« The Union of Soviet Socialist Republics declares that it recognizes the competence of
the Committee on the Elimination of Racial Discrimination to receive and consider
communications, in respect of situations and events occurring after the adoption of the
present declaration, from individuals or groups of individuals within the jurisdiction of the
USSR claiming to be victims of a violation by the USSR of any of the rights set forth in the
Convention » 11.
L’Urss fece pervenire presso il Segretariato Generale delle Nazioni Unite l’8
marzo 1989, la propria decisione di ritirare la riserva apposta all’art. 9 della
Convenzione sui diritti politici della donna, cosi come sancito dall’art. 7 della stessa
Convenzione12. L’art. 9 prevede che le Alte Parti Contraenti in caso di controversia
sorta in seguito al mancato rispetto della Convenzione, possano unilateralmente adire
la Corte internazionale di giustizia 13.
La riserva apposta dall’Urss prevedeva che la Corte internazionale di giustizia
avrebbe potuto esprimersi, in merito alle controversie che vedevano coinvolta
l’Unione sovietica, nel solo caso in cui entrambe le parti in causa avesseroconsentito
9
Per la traduzione in italiano della dichiarazione dell’Urss al momento della consegna della notifica al
Segretariato Generale, si veda http://www.volint.it/scuolevis/dirittiumani/tortura.pdf.
10
L’Urss firmò la Convenzione il 7 marzo 1966 e la ratificò il 4 febbraio 1969.
11
Per le dichiarazioni di riconoscimento della competenza della Commissione per l’eliminazione delle
discriminazioni razziali, si veda http://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdg_no= IV-2&
chapter=4&lang=en.
12
La Convenzione sui diritti politici della donna fu adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 31
marzo 1953 con ris. n. 640 (VII), entrata in vigore il 7 luglio 1954. L’Urss firmò la Convenzione il 31 marzo
1953 apponendo una riserva all’art. 9, e la ratificò nel maggio 1954. Per il testo completo della Convenzione si
veda http://www.lawphil.net/international/treaties/conv_nonum _1953.html.
13
Per il testo della riserva, si veda http://www.derechos.org/ddhh/mujer/all.html.
di essere sottoposte al giudizio della Corte. Altrettanto fece con la Convenzione
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna
14
.
L’Urss ne ritirò la riserva posta all’art. 29, par.1, della Convenzione al momento
della ratifica
15
. La riserva negava la possibilità ad una delle parti coinvolte in una
controversia con l’Urss di adire in maniera unilaterale la Corte internazionale di
giustizia, nel momento in cui non si fosse risolta mediante arbitrato.
Infine l’Urss ritirò anche la riserva apposta all’art. 22 della Convenzione per la
soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui, con
una comunicazione presentata dal governo sovietico al Segretariato Generale delle
Nazioni Unite l’8 marzo 1989 16.
Il riconoscimento, da parte dell’Urss, della Corte internazionale di giustizia e dei
vari Comitati ad hoc, come organismi internazionali preposti a controllare il rispetto
degli obblighi previsti in tali convenzioni, fu importante poiché testimoniò il
cambiamento di tendenza in atto in quel paese.
Un’altra importante riforma del sistema giuridico sovietico nel 1989, fu
l’introduzione di un organo di controllo costituzionale della produzione normativa
parlamentare e dei decreti presidenziali17. Fu istituita infatti una Commissione ad
hoc, la Commissione per la Supervisione Costituzionale, che poteva esprimersi sulla
costituzionalità di un atto normativo, su richiesta di un organo istituzionale o su
propria iniziativa
18
. La Commissione operò fino al dicembre 1990, esprimendosi
sulla legittimità delle norme in base agli obblighi costituzionali e a quelli
internazionali vincolanti la Russia, in particolar modo facendo riferimento alla
14
L’Urss ha firmato la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della
donna il 17 luglio 1980, ratificandola con riserva il 23 gennaio 1981, v. http://www.un.org
/womenwatch/daw/cedaw/states.htm.
15
L’art. 29, par.1 prevede che « Ogni controversia tra due o più Stati parti concernente l'interpretazione o
l’applicazione della presente Convenzione che non sia regolata per via negoziale, sarà sottoposta ad arbitrato, a
richiesta di una delle parti. Se nei sei mesi che seguono la data della domanda di arbitrato le parti non giungono
ad un accordo sull'organizzazione dell'arbitrato, una qualsiasi delle parti può sottoporre la controversia alla Corte
internazionale di giustizia, depositando una richiesta conforme allo Statuto della Corte », v.
http://www.unifem.it/Documents/cedaw_testo_ it.pdf.
16
L’Urss ha ratificato la Convenzione in questione l’11 agosto 1954, apponendo una riserva all’art. 22. Nel caso
in cui si presenti una controversia che veda coinvolta l’Urss o nel caso in cui non si giunga ad una soluzione, tale
riserva vieta la possibilità ad una delle parti della controversia, di adire la Corte internazionale di giustizia.
17
Il progetto di creazione di un organo preposto a verificare la conformità della produzione normativa interna e
dei decreti presidenziali agli obblighi internazionali, con specifico riferimento a quelli sui diritti umani, fu
presentato già nel 1977, ma venne disciplinato solo nel dicembre 1988. La Commissione iniziò i propri lavori
nell’aprile 1990 fino al dicembre dell’anno succesivo, mese che segnò il crollo definitvo dell’Urss. Per ulteriori
informazioni in merito Cfr DANILENKO G.M., Implementation of International Law in Russia and Other CIS States,
reperibile in http://www.nato.int/acad/fellow/96-98/danilenk.pdf.
18
Cfr.SMITH B. GORDON., Reforming the Russian Legal System, Cambridge, 1996, pp. 70-80, in part. p. 74.
Dichiarazione universale dei diritti umani e al Patto sui diritti civili e politici
19
.
L’atto normativo ritenuto incostituzionale o in contrasto con i diritti umani e le
libertà fondamentali dell’uomo, perdeva di forza giuridica e se ne richiedeva una
revisione al Congresso dei Deputati del Popolo 20.
In seguito all’istituzione della Commissione per la Supervisione Costituzionale
fu introdotto anche un meccanismo di adeguamento diretto del diritto internazionale
nel sistema giuridico interno, con particolare riferimento alle norme sui diritti umani.
Infatti nel novembre 1991, il Congresso dei Deputati del Popolo adottò la
Dichiarazione dei diritti e delle libertà della persona e del cittadino 21, il cui all’art. 1
stabiliva che
« the generally recognized international norms concerning human rights have priority
over laws of the Russian Federation and directly create rights and obligations for the citizens
of the Russian Federation » 22.
Tale articolo stabiliva dunque la prevalenza delle norme internazionali
riguardanti i diritti umani nella gerarchia delle fonti normative interne, creando così
diritti e doveri per ciascun cittadino della Federazione russa.
3. La
Costituzione della Federazione russa e l’adattamento al diritto
internazionale in base all’art. 15, par. 4.
La Costituzione russa adottata il 13 dicembre 1993
23
confermò il trend iniziato
dall’Urss verso la fine degli anni Ottanta e poi proseguito dalla Federazione russa, di
dare sempre maggiore rilevanza giuridica alle norme di diritto internazionale. La
nuova Costituzione dichiarava infatti all’art. 15, par. 4, che
« i princìpi universalmente riconosciuti, le norme del diritto internazionale ed i trattati
internazionali della Federazione Russa costituiscono parte integrante del suo sistema
giuridico. Se mediante un trattato internazionale della Federazione Russa sono stabilite
19
Cfr. DANILENKO G.M., Implementation of International Law in Russia and Other CIS States, cit., supra nota 4,
in part. p. 7.
20
Cfr. SMITH B. GORDON., Reforming the Russian Legal System, cit., supra nota 18, in part. p. 75.
21
Cfr. DANILENKO G.M., Implementation of International Law in Russia and Other CIS States, cit., supra nota 4,
in part. p. 9.
22
Ibidem.
23
Il testo della Costituzione della Federazione russa è reperibile in http://www.departments.bucknell.edu/ russian
/const/constit.html.
regole diverse rispetto a quelle previste dalla legge, allora si applicano le regole del trattato
ínternazionale » 24.
A tal proposito, è opportuno evidenziare alcuni aspetti che riteniamo
particolarmente importanti. Il primo aspetto riguarda il fatto che, mediante l’art. 15,
par. 4, il diritto internazionale diveniva parte integrante del sistema giuridico russo,
intendendo per ‘diritto internazionale’ i trattati internazionali stipulati dalla
Federazione russa, i principi universalmente riconosciuti e il diritto internazionale
generale.
Il secondo aspetto riguarda invece il rango che le norme internazionali assunsero
nella gerarchia delle fonti nell’ordinamento giuridico russo, stabilendo la loro
prevalenza sulle norme interne in caso di contrasto.
In merito a quest’ultimo aspetto, la Corte Suprema russa pubblicò nel 1995
alcune linee guida su come applicare le norme previste dalla Costituzione. Essa
affermò che le corti ordinarie nel ricercare i principi universalmente riconosciuti e le
norme di diritto internazionale, dovevano far riferimento in primis ai trattati
internazionali ratificati dalla Federazione russa, ed in secondo luogo al diritto
internazionale consuetudinario oppure ad altre fonti, come ad esempio la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 25.
La Corte precisò altresì come, in caso di contrasto tra una norma internazionale
pattizia ed una interna, la prima avrebbe prevalso sulla seconda solo nel caso in cui
essa avesse trovato pieno adeguamento nel sistema giuridico interno 26.
Occorre infine precisare che l’art. 15, par. 4, non presenta nessuna distinzione tra
le norme internazionali di carattere self-executing e quelle di carattere non selfexecuting. Secondo una parte autorevole della dottrina, tale lacuna legislativa
avrebbe comportato la possibilità per i singoli individui di invocare nel sistema
giuridico interno qualunque norma internazionale, a prescindere se si tratti di norme
24
Per l’adattamento delle norme internazionali al sistema giuridico interno, si veda art. 15, par. 4. Il testo in
italiano della Costituzione della Federazione russa è reperibile in http://didattica.spbo.unibo.it/
adon/files/costituzione_russa.pdf.
25
Cfr. TUZMUKHAMEDOV B., The Implementation of International Humanitarian Law, in the Russian Federation
in Revue Internationale de la Croix Rouge, 2003, pp. 385-396, in part. p. 387.
26
Ibidem p. 388.
internazionali che abbiano trovato pieno adeguamento nel sistema giuridico interno o
meno 27.
3.1 L’adeguamento del sistema giuridico russo al diritto internazionale
umanitario.
In merito al processo di adeguamento del sistema giuridico russo al diritto
internazionale, si vuole ora approfondire l’aspetto specifico del diritto internazionale
umanitario. Sul finire degli anni Ottanta infatti, l’Urss ratificò i due Protocolli
addizionali alle Convenzioni di Ginevra del 1949, apportando considerevoli
cambiamenti al proprio sistema giuridico 28.
Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, insieme ai suoi due Protocolli
addizionali del 1977, rappresentano, come noto, i principali trattati internazionali di
diritto internazionale umanitario 29. Firmate il 12 dicembre del 1949, furono ratificate
con riserva dall’Urss il 10 maggio 1954. L’Urss appose diverse riserve alle
Convenzioni: precisamente, all’art. 10, comune alle prime due Convenzioni; all’art.
11, all’art. 12 e all’art. 85 della terza Convenzione; infine all’art. 11 e all’art. 45 della
quarta Convenzione 30.
È importante ai fini del nostro discorso osservare in particolar modo la riserva
posta all’art. 10 delle prime due Convenzioni, congiuntamente alla riserva posta
all’art. 11 della terza Convenzione, avente la medesima disposizione. Sulla base della
posizione isolazionista avuta dall’Urss nel corso della sua storia, così come abbiamo
avuto modo di osservare nei paragrafi precedenti, essa infatti stabiliva che
27
Cfr. DANILENKO G.M., The New Russian Constitution and International Law, in American Journal of
International Law, 1994, pp. 451-470, in part. p. 465.
28
Per una consultazione completa della legge russa con la quale si sono ratificati i due Protocolli addizionali si
veda la delibera n. 75 del Ministro della Difesa sovietico del 16 febbraio 1990, reperibile in
http://www.icrc.org/ihlnat.nsf/6fa4d35e5e3025394125673e00508143/294de5596666716fc325655d002ae
44f!OpenDocument.
29
La prima Convenzione che riguarda il miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle forze armate
in
campagna,
insieme
alla
ratifica
sovietica,
in
http://treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/
Volume%2075/volume-75-I-970-English.pdf. La seconda Convenzione riguarda il miglioramento delle condizioni
dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle forze armate sul mare, in http://treaties.un.org/
doc/Publication/UNTS/Volume%2075/volume-75-I-971-English.pdf. La terza Convenzione disciplina il
trattamento dei prigionieri di guerra, reperibile in http://treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/Volu
me%2075/volume-75-I-972-English.pdf. La quarta Convenzione l’ultima riguarda la protezione delle persone
civili in tempo di guerra, in http://treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/Volume%2075/ volume-75-I-973English.pdf.
30
Per il testo originale delle riserve apposte alle Convezioni di Ginevra del 1949 si veda
http://www.loc.gov/rr/frd/Military_Law/pdf/Dipl-Conf-1949-Final_Vol-1.pdf.
« the Union of Soviet Socialist Republics will not recognize the validity of requests by
the Detaining Power to a neutral State or to a humanitarian organization, to undertake the
functions performed by a Protecting Power, unless the consent of the Government of the
country of which the protected persons are nationals has been obtained » 31.
L’Urss poneva così un vincolo alla libertà d’azione di uno Stato neutrale, o di
una organizzazione umanitaria, ad operare direttamente sul proprio territorio previo
suo consenso.
Alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 seguirono i due Protocolli
addizionali nel 1977, quello relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati
internazionali e quello relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati non
internazionali i quali furono firmati dall’Urss nel 1989 e resi effettivi nel marzo del
1990, senza che venisse apposta alcun tipo di riserva.
Nel caso specifico dell’Urss, la ratifica del secondo Protocollo addizionale
rappresentò un punto di rottura totale con la prassi precedentemente adottata, quella
cioè dell’isolazionismo internazionale. Per la prima volta infatti, con il secondo
Protocollo addizionale, un conflitto sorto tra due o più parti belligeranti, appartenenti
allo stesso territorio, veniva disciplinato mediante norme internazionali umanitarie,
con la conseguenza che quella che da sempre era stata una questione interna agli
Stati si trasformava così in una situazione di rilievo internazionale. Ciò è confermato
da quanto la stessa Urss affermò al momento della ratifica:
« the Soviet Union’s ratification of the Protocols additional to the Geneva Conventions
for the protection of the victims of war constitutes an unusual event in the recent diplomatic
history of our country. It reflects the spirit of new political thinking and demonstrates the
Soviet State’s commitment to humanizing international affairs and strengthening the system
of international […] it should be pointed out that the Supreme Soviet of the USSR choose to
ratify the Protocols without any reservation whatsoever. At the same time, our State
recognized the competence of the International Fact-Finding Commission in cases where
international humanitarian law is violated » 32.
Al riguardo, anche il riconoscimento della competenza di una Commissione ad
hoc
31
33
incaricata di verificare eventuali violazioni delle norme del secondo
Ibidem.
Per il testo completo della dichiarazione dell’Urss in sede di ratifica del secondo Protocollo addizionale alle
Convenzioni di Ginevra del 1949, si veda in http://www.icrc.org/ihl.nsf/NORM/7C8CB26
B88C21955C1256402003FBAA4?OpenDocument.
33
Ibidem.
32
Protocollo, rappresentò una totale novità 34.
Successivamente alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Federazione russa
nel gennaio del 1992 presentò presso il Segretariato Generale delle Nazioni Unite
una notifica di continuità nell’assunzione degli obblighi contratti dall’Urss con le
Convenzioni di Ginevra del 1949 ed i relativi Protocolli Addizionali
35
. Infine,
sempre la Federazione russa ha firmato, ma non ancora ratificato, il 7 dicembre 2006
il terzo protocollo addizionale alle
Convenzioni di Ginevra del 2005 relativo
all’adozione di un emblema distintivo aggiuntivo 36.
Sulla base dell’art. 15 par. 4, della Costituzione della Federazione russa del
1993, le norme delle Convenzioni di Ginevra e quelle dei Protocolli addizionali del
1977 e del 2005, sono stati resi parte integrante del sistema giuridico interno,
vincolando i tribunali interni ad applicarle in caso di conflitto tra norme nazionali e
internazionali. L’art. 1 delle quattro Convenzioni del 1949, insieme all’art. 1 del
primo Protocollo addizionale del 1977, si rivolgono inoltre, come noto, agli Stati
imponendo loro l’adozione delle misure legislative necessarie a stabilire le adeguate
sanzioni penali. Tali disposizioni prevedono infatti l’obbligo per le Alte Parti
contraenti « to respect and to ensure respect for the present Convention in all
circumstances »
37
. A tal fine si richiede a queste ultime di impegnarsi « […] to
undertake to enact any legislation necessary to provide effective penal sanctions for
persons committing, or ordering to be committed, any of the grave breaches of the
present Convention defined in the following Article » 38.
La Federazione russa è parte contraente anche di altri principali trattati di diritto
internazionale umanitario, come la Convenzione sulle armi biologiche del 1972 39, la
Convenzione sulle modificazioni dell’ambiente del 1976
34
40
, la Convenzione sulle
A tal proposito si rimanda alla lettura del Capitolo I, par. 2, del presente lavoro, in cui sono state analizzate le
riserve apposte dall’Urss ai trattati internazionali.
35
Cfr. GAETA P., The Armed Conflict in Chechnya before the Russian Costitutional Court, in European Journal
of International Law, 1996, pp. 563-570, in part. p. 563.
36
Per l’elenco degli Stati firmatari il terzo Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra si veda
http://www.icrc.org/ihl.nsf/WebSign?ReadForm&id=615&ps=S.
37
Si veda l’art. 1 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e al primo Protocollo addizionale del
1977, in http://treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/Volume%2075/v75.pdf.
38
Si veda l’art. 49, par. 1, Ginevra, 12 agosto 1949 reperibile in http://www.icrc.org/ihl.nsf/7c4d08d9b2
87a42141256739003e636b/fe20c3d903ce27e3c125641e004a92f3.
39
Convenzione che vieta la messa a punto, la fabbricazione e lo stoccaggio delle armi batteriologiche
(biologiche) o a tossine e che disciplina la loro distruzione, firmata a Londra, Mosca e Washington, 10 aprile
1972. Testo reperibile in http://www.opbw.org/convention/documents/btwctext.pdf.
40
Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari e ad ogni altro scopo
ostile Ginevra,10 dicembre 1976. Testo reperibile in http://www.carnegieendowment.org/static /npp/treaties/
armi convenzionali del 1980 e i suoi quattro Protocolli
41
, e la Convenzione sulle
42
armi chimiche del 1993 . Infine la Russia ha firmato il 13 settembre 2000 lo Statuto
della Corte penale internazionale senza però averlo ancora ratificato, mentre non ha
firmato la Convezione di Ottawa del 1997 sulle mine anti-uomo 43.
Alla luce di tali obblighi internazionali devono essere analizzate le disposizioni
interne al sistema giuridico russo che hanno dato attuazione ai suddetti trattati.
Il Codice penale russo riserva un’intera sezione ai Crimini contro la pace e alla
sicurezza dell’umanità. Nel Codice sono presenti inoltre diverse norme di
codificazione del diritto umanitario internazionale, come ad esempio l’articolo 356,
che regola il divieto di trattamenti inumani perpetrati ai danni di prigionieri di guerra
ed alla popolazione civile, il divieto di utilizzo di armi e metodi proibiti in un
conflitto armato dai trattati internazionali così come l’uso di armi di distruzione di
massa 44.
L’osservanza e il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte delle
forze armate russe sono dati non soltanto dalle norme ordinarie contenute nel Codice
penale russo bensì anche dalla legge sullo stato del personale di servizio militare del
1998, che prevede espressamente all’art. 26 l’osservanza delle norme e dei trattati
internazionali. Inoltre il Regolamento di servizio delle forze armate della
Federazione russa, pubblicato con decreto presidenziale nel 1993, ha previsto il
rispetto delle regole e degli obblighi internazionali ai quali le forze armate devono
attenersi durante le operazioni militari45.
Il governo russo nel corso degli ultimi quindici anni ha dunque modellato sempre
più la propria legislazione affinché il diritto internazionale trovasse applicazione nel
sistema giuridico interno.
Un ulteriore esempio di tale processo di modellamento è dato dalla direttiva n.
333 del Ministero della Difesa russo del 23 maggio 1999, riguardante l’insegnamento
environmental_modification.pdf.
41
Convenzione sulla proibizione o restrizione dell’uso di alcune armi convenzionali che potrebbero essere
considerate eccessivamente dannose o aventi effetti indiscriminati, Ginevra, 10 ottobre 1980. Il testo è reperibile
in http://cicr.org/Web/Eng/siteeng0.nsf/htmlall/p0811/$File/ICRC_002_0811.PDF.
42
Convenzione di Parigi sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinamento ed uso delle
armi chimiche e sulla loro distruzione, Paris 13 gennaio 1993. Testo reperibile in http://www.nti.org/e_ research
/official_ docs/inventory/pdfs/cwc.pdf
43
Convenzione sul divieto dell'impiego, del deposito, della fabbricazione e della fornitura di mine antiuomo e
sulla loro distruzione, Ottawa, 18 settembre 1997. Il testo è reperibile in http://www.icrc.org/ web/eng/site eng0.
nsf/html/57JR4X.
44
CFR. TUZMUKHAMEDOV B., The Implementation of International Humanitarian Law, cit., supra nota 25 p. 389.
45
Ibidem p. 393.
giuridico nelle forze armate della Federazione russa, la quale vincolava la possibilità
di carriera per gli ufficiali russi al superamento di un esame di diritto internazionale
umanitario 46.
Il processo di adeguamento della legislazione interna russa al diritto
internazionale umanitario non èstato peraltro sempre di facile attuazione. Infatti per
quanto riguarda la repressione dei crimini internazionali, è da precisare che la
Federazione russa ha firmato ma non ancora ratificato lo Statuto della Corte penale
internazionale. Le ragioni della mancata ratifica sono in prevalenza politiche, ma
sono anche di carattere giuridico, considerati i conflitti che verrebbero a crearsi tra le
norme dello Statuto e quelle della Costituzione 47.
4. La sentenza della Corte Costituzionale russa del 31 luglio 1995
Ai fini del nostro discorso è importante analizzare la sentenza della Corte
Costituzionale russa del 31 luglio 1995, relativa alla costituzionalità di tre decreti
presidenziali e di una risoluzione governativa, finalizzati a ristabilire l’ordine legale e
territoriale nella Repubblica cecena in seguito alla guerra che colpì la regione nel
1994. Questa sentenza è di particolare rilevanza poiché per la prima volta da quando
fu ricostituita
48
, la Corte Costituzionale della Federazione russa ha condannato
l’Assemblea Federativa per non aver posto in essere le dovute modifiche al sistema
giuridico interno affinché potessero essere applicate le norme previste dal secondo
Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1949 49 .
Lo scoppio della prima guerra in Cecenia fu frutto della degenerazione della crisi
politico-istituzionale che attraversò la Russia tra il 1991 e il 1994. In un clima di
instabilità istituzionale, mossa da una forte spinta indipendentista, la Repubblica
46
Ibidem p. 394.
Cfr. TUZMUKHAMEDOV B., The Implementation of International Humanitarian Law, cit., supra nota 25.
48
Il 7 ottobre 1993 Boris Yeltsin sospese i lavori della Corte Costituzionale in seguito al profondo stato di crisi
in cui versava la Russia. Nel luglio del 1994 fu istituita una nuova Corte Costituzionale, i cui lavori ripresero solo
nel febbraio del 1995 a causa del rifiuto di riconoscere diversi giudici costituzionali nominati da Yeltsin. Per un
quadro più dettagliato della crisi costituzionale russa dei primi anni Novanta Cfr. ANDREWS T. JOSEPHINE, When
Majorities Fail: The Russian Parliament, 1990-1993, Cambridge, 2002.
49
La Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, nota come Commissione Venezia, ha
pubblicato una traduzione di tale sentenza sia in inglese che in francese. Il presente lavoro si riferisce alla
versione in inglese, Judgement of the Constitutional Court of the Russian Federation of 31 july 1995 on the
constitutionality and the Resolutions of the Federal Goverment concerning the situation in Chechnya, Strasbourg,
10 January 1996, CDL-INF (96) 1, il cui testo è reperibile in http://www.venice.coe.int/ docs/1996 /CDL-INF
(1996)001-e.pdf.
47
cecena negò la validità delle leggi federali e della Costituzione russa; le istituzioni
federali furono sciolte ed il territorio fu ben presto sottoposto al controllo delle forze
armate irregolari. Nell’autunno del 1991 fu sciolto il Soviet Supremo della
Repubblica cecena mentre il 27 ottobre furono indette delle nuove elezioni
presidenziali. Durante il quinto Congresso dei Deputati del Popolo dell’Urss, tenuto
il 2 novembre 1991, le elezioni cecene furono considerate illegittime. La situazione
degenerò fino all’autunno del 1994 quando il conflitto armato prese piede sul
territorio ceceno 50.
A fronte della situazione di crisi, la Federazione russa pose in essere diverse
misure coercitive emanando tre decreti del Presidente della Federazione e una
risoluzione del Governo.
Il decreto presidenziale del 30 novembre 1994 n. 2137 prevedeva l’adozione di
misure per restaurare l’ordine, la legge e la legalità costituzionale sul territorio della
Repubblica cecena. Si stabilì infatti, a partire dal 1° dicembre 1994, la creazione di
un gruppo di supervisione per il disarmo delle forze armate illegali e l’instaurazione
di uno stato d’emergenza sul territorio della Repubblica cecena. Tuttavia le misure
previste, non furono applicate poiché fu impossibile introdurre uno stato
d’emergenza sul territorio ceceno a causa del contrasto con la legge federale del 17
maggio 1991 sullo stato d’emergenza. Il decreto n. 2137 fu dunque sostituito dal
decreto n. 2169 dell’11 dicembre 1994 recante le misure per assicurare la legalità,
l’ordine e la pubblica sicurezza sul territorio della Repubblica cecena 51.
Il decreto presidenziale del 9 dicembre 1994 n. 2166 sulle misure volte a fermare
la formazione e la nascita delle forze armate illegali sul territorio della Repubblica
cecena e nella zona di guerra dell’Ossezia e Iguscezia, autorizzava inoltre il governo
della Federazione russa a porre in essere tutti gli strumenti a disposizione dello Stato
per assicurare la sicurezza, la legalità, i diritti e le libertà dei cittadini, la protezione
dell’ordine pubblico, per combattere il crimine e il disarmo delle forze armate illegali
nella Repubblica cecena 52.
50
Cfr. SABBATUCCI G. E VIDOTTO V., Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, cit., supra nota 3, in part. p. 612.
Cfr., par. 3, della sentenza.
52
Il governo russo dunque fu incaricato di eliminare ogni violazione esistente nella Repubblica cecena, rea,
secondo la Corte, di aver violato l’art. 13, par. 5, della Costituzione, che sancisce il divieto di costituire ogni tipo
di « […] organizzazioni sociali i cui fini e la cui attività siano dirette al cambiamento violento dei princìpi del
sistema costituzionale ed alla violazione dell'integrità della Federazione Russa, al sovvertimento della sicurezza
dello Stato, alla costituzione di formazioni armate, all'incitamento alla discordia sociale, razziale, nazionale e
51
Infine, fu emanato anche il decreto presidenziale n. 1833 del 2 novembre 1993
riguardante la dottrina militare che le forze armate avrebbero dovuto seguire, il quale
tuttavia, non prescrivendo alcun obbligo, fu ritenuto privo di forza giuridica.
Le misure infine previste nella parte V, par. 1, della risoluzione del governo della
Federazione russa n. 1360 del 9 dicembre 1994, volte ad assicurare lo stato di
sicurezza e l’integrità territoriale della Federazione russa, la legalità, i diritti e le
libertà dei cittadini e il disarmo delle Forze armate illegali sul territorio della
Repubblica cecena e le aree adiacenti nel Caucaso del Nord, disciplinavano le
modalità di espulsione di chiunque non vivesse nella Repubblica cecena e fosse stato
accusato di minacciare la sicurezza pubblica e quella personale dei cittadini.
Un gruppo di deputati del Consiglio della Federazione dell’Assemblea Federale
insieme con altri rappresentanti della Duma di Stato, adirono la Corte Costituzionale
nel luglio del 1995, ritenendo che i suddetti decreti insieme alla risoluzione del
governo della Federazione russa n. 1360 fossero incostituzionali. In particolare, i
deputati del Consiglio della Federazione sostennero che i decreti presidenziali n.
2137 e n. 2166, insieme alla risoluzione del governo n° 1360, dovessero considerarsi
come un unico sistema di atti normativi che autorizzava un uso illegale delle forze
armate della Federazione russa sul territorio nazionale in violazione della
Costituzione, sul presupposto che l’utilizzo delle forze armate potesse considerarsi
lecito solo in caso di instaurazione di uno stato d’emergenza, che nel caso di specie
non era stato dichiarato. Inoltre, le altre misure previste nei decreti limitavano, ad
avviso dei ricorrenti, i diritti e le libertà dei cittadini russi. I deputati della Duma di
Stato sollevarono altresì dubbi sulla costituzionalità del decreto presidenziale n. 1833
e la risoluzione del Governo n. 1360, nella misura in cui permettavano la possibilità
di utilizzare le forze armate della Federazione russa per sedare un conflitto interno.
Infine, secondo i deputati della Duma, l’uso improprio delle forze armate nazionali e
l’alto numero di vittime civili causate durante le operazioni militari, avrebbero
violato l’art. 15 della Costituzione e gli obblighi di diritto internazionale contratti
dalla Federazione.
Allo scopo di stabilire la costituzionalità dei decreti presidenziali e della
risoluzione del governo, la Corte costituzionale, nella sentenza del 31 luglio 1995, si
religiosa ».
è espressa innanzitutto sul possibile diritto della Repubblica di Cecenia a secedere
dalla Federazione russa. Se tale ipotesi fosse stata riconosciuta lecita infatti, la
costituzionalità dei decreti e della risoluzione sarebbe venuta a mancare
immediatamente.
La Costituzione russa, a giudizio della Corte, non prevedeva la possibilità per
una minoranza etnica di secedere dallo Stato nazionale di appartenenza
53
. L’unica
via istituzionale percorribile era quella prevista all’art. 66, par. 5, della Costituzione
della Federazione russa, in base al quale « lo status di un soggetto della Federazione
Russa può essere modificato in base a reciproco accordo tra la Federazione Russa ed
il Soggetto della Federazione Russa in conformità con la legge costituzionale
federale » 54.
L’obiettivo costituzionale di salvaguardare l’integrità della Federazione era
inoltre conforme, secondo la Corte, alle norme internazionali consuetudinarie
riguardanti il diritto dei popoli all’autodeterminazione. A conferma di ciò, la Corte,
faceva riferimento alla Dichiarazione sui principi di diritto internazionale sulle
relazioni amichevoli tra Stati, adottata dall’Assemblea Generale il 24 ottobre 1970, in
base alla quale il diritto all’autodeterminazione dei popoli:
« shall be construed as authorizing or encouraging any action which would dismember
or impair, totally or in part, the territorial integrity or political unity of sovereign and
independent States conducting themselves in compliance with the principle of equal rights
and self-determination of peoples as described above and thus possessed of a government
representing the whole people belonging to the territory without distinction as to race, creed
or colour »55.
La Corte dunque, dopo aver preso in considerazione le relazioni tra la
Federazione russa e la Repubblica cecena, dichiarò priva di fondamento la possibilità
di riconoscere il diritto all’autodeterminazione al popolo ceceno.
La Corte dichiarò quindi che i decreti adottati dallo Stato, che avevano
autorizzato l’intervento armato, erano in realtà finalizzati alla salvaguardia
53
Gli articoli della Costituzione che consacrano l’integrità dello Stato sono i seguenti: l’art. 4, par. 3, che
garantisce l’integrità e l’inviolabilità del territorio da parte della Federazione russa; l’art. 5, par. 3, che prevede
come una delle basi istitutive della struttura federativa dello Stato russo la sua integrità territoriale; l’art. 8 che
garantisce l’unità dello spazio economico e la libera circolazione dei mezzi; l’art. 65 che elenca tutti i soggetti
della Federazione, l’art. 67, par. 1, che specifica i limiti del territorio nazionale e l’art. 71, lett. B, per ciò che
concerne l’organizzazione federativa e il territorio. cit., supra nota 23.
54
Art. 66, par. 5 della Costituzione della Federazione russa, cit., supra nota 23.
55
Cfr. Declaration on Principles of International Law concerning Friendly Relations and Co-operation among
States in accordance with the Charter of the United Nations. Il testo della Dichiarazione è reperibile in
http://www.un-documents.net/a25r2625.htm.
dell’integrità del territorio nazionale e non risultavano quindi in contrasto con il
principio di autodeterminazione dei popoli, sulla base anche di quanto affermato
dalla suddetta Dichiarazione dell’Assemblea Generale 56.
In merito al decreto presidenziale n. 2137 del 30 novembre 1994, la Corte ritenne
che esso non avesse violato i diritti e le libertà dei cittadini russi poiché nel periodo
intercorso tra la sua promulgazione e la sua abrogazione a favore del decreto n. 2169
dell’ 11 dicembre 1994, le misure in esso previste non erano state di fatto applicate
57
. La Corte nella sua sentenza ritenne dunque il decreto n. 2137 non passibile di
violare la Costituzione.
In merito al decreto presidenziale n. 2166 del 9 dicembre 1994, la Corte lo
ritenne conforme alle norme costituzionali che limitano i poteri presidenziali 58. Con
riguardo a tale decreto, i ricorrenti denunciavano un abuso di potere del Presidente, il
quale, violando i limiti previsti dalla Costituzione, aveva incaricato il governo di
utilizzare le forze armate sul territorio federale a protezione della sovranità e
dell’integrità dello Stato. Ad avviso dei ricorrenti, l’incostituzionalità di tali misure
doveva rintracciarsi nella mancata instaurazione di uno stato d’emergenza sul
territorio ceceno. In proposito, la Corte affermò che non fosse possibile rinvenire
nella Costituzione il vincolo dello stato d’emergenza come unica situazione in cui il
Presidente della Federazione può disporre di mezzi e misure volti a preservare
l’integrità territoriale della nazione. La Corte dichiarò dunqueche il decreto
presidenziale n. 2166 rispettava la Costituzione 59.
La Corte inoltre verificò la conformità del decreto n. 2166 alla luce dei principi
generali internazionali universalmente riconosciuti e delle norme internazionali
56
Si veda in particolare quanto affermato nella Dichiarazione secondo cui « Nothing in the foregoing paragraphs
shall be construed as authorizing or encouraging any action which would dismember or impair, totally or in part,
the territorial integrity or political unity of sovereign and independent States conducting themselves in
compliance with the principle of equal rights and self-determination of peoples as described above and thus
possessed of a government representing the whole people belonging to the territory without distinction as to race,
creed or colour» in http://www.unhcr.org/refworld/topic,459d1 7822,459d17a82 ,3dda1f104,0.html.
57
Cfr. par. 3, della sentenza in cui si afferma che « […] measures it provided for that could affect citizens’
constitutional rights and freedoms were not realised, so the decree did not lead to their restriction or violation ».
58
Per di più il decreto fu ritenuto conforme anche all’art. 90, par. 2, della Costituzione, in cui si dichiara che « i
decreti e le disposizioni del Presidente della Federazione Russa sono obbligatori per l’esecuzione su tutto il
territorio della Federazione Russa ». Il decreto fu conforme anche all’art. 13, par. 5, della Costituzione, in cui si
afferma che « E’ proibita la costituzione e l’attività di organizzazioni sociali i cui fini e la cui attività siano dirette
al cambiamento violento dei princìpi del sistema costituzionale ed alla violazione dell’integrità della Federazione
russa, al sovvertimento della sicurezza dello Stato, alla costituzione di formazioni armate, all'incitamento alla
discordia sociale, razziale, nazionale e religiosa ».
59
Sulla base di diversi articoli della Costituzione, secondo i quali il Presidente della Federazione ha sufficienti
poteri per adottare misure volte a salvaguardare l’integrità dello Stato. Cfr., par. 4, della sentenza.
pattizie vincolanti la Federazione russa, sulla base dell’art. 15, par. 4 della
Costituzione, con particolare riguardo al secondo Protocollo addizionale alle
Convenzioni di Ginevra del 1949 60 sulla protezione delle vittime dei conflitti armati
di carattere non internazionale, di cui la Federazione russa era al momento dei fatti
Parte contraente. In proposito, la Corte ravvisò come le disposizioni sancite nel
secondo Protocollo, non fossero state adeguatamente adottate nella legislazione
interna
61
. Questa lacuna legislativa interna aveva portato, a giudizio della Corte,
all’inosservanza dei principi del Protocollo, secondo i quali l’uso della forza doveva
risultare proporzionale agli obiettivi e dovevano essere fatti tutti gli sforzi per evitare
che fossero perpetrati danni ai civili e ai loro beni 62.
Al riguardo, la Corte dichiarò che l’Assemblea Federale dovesse provvedere ad
adeguare la propria legislazione interna al secondo Protocollo addizionale decidendo
altresì, in conformità agli articoli 52 e 53 della Costituzione e al Patto internazionale
sui diritti civili e politici, che fossero stabiliti dei mezzi efficaci di protezione
giudiziaria e di compensazione dei danni subiti durante il conflitto dalle vittime 63.
Per quanto riguarda il decreto presidenziale n. 1833, la Corte dichiarò che esso
non contenendo disposizioni di carattere normativo, non potesse essere oggetto di
verifica costituzionale 64.
In merito invece alla risoluzione del governo n. 1360, la Corte dichiarò di
riconoscere l’incostituzionalità di alcune sue disposizioni. Il contrasto con la
Costituzione emerse per le disposizioni riportate nella Parte V, par. 1, punto 3, che
riguardavano l’espulsione dalla Repubblica di Cecenia di chiunque non ne fosse
60
Così come del primo Protocollo addizionale e delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949. L’Unione
Sovietica ratificò entrambi i Protocolli il 29 settembre 1989, rendendoli effettivi il 29 marzo 1990. La
Federazione russa depositò una notifica di continuazione il 13 gennaio 1992.
61
Infatti al momento della promulgazione del decreto n. 2166 del 9 dicembre 1994, la legislazione interna
ammetteva ancora l’utilizzo delle forze armate della Federazione russa per la protezione dell’integrità dello Stato
non soltanto contro la minaccia esterna ma anche per la protezione della popolazione, del territorio, della
sovranità e per la protezione contro le minacce interne dirette contro l’individuo, la società, lo Stato, il suo regime
costituzionale, la sovranità e l’integrità territoriale. Inoltre il Presidente della Federazione, in qualità di
Comandante Supremo in Capo delle forze armate ne poteva esercitare la direzione generale secondo i termini
previsti dalla legge, e poteva prendere decisioni in merito ad assicurare l’integrità dello Stato. La Corte inoltre
affermò che l’utilizzo delle forze armate sul territorio federale non fosse limitato alla sola instaurazione dello
stato d’emergenza, sulla base dell’art. 11 della legge della Federazione russa sulla sicurezza e sulla difesa, e degli
articoli 71, lett. M; art. 78, par. 4; art. 80, par. 2; art. 82, par. 1; art. 90, par. 1, par. 3; art. 114, par. 1 lett. G, della
Costituzione della Federazione russa.
62
Cfr. par. 5, della sentenza.
63
Il Patto internazionale sui diritti civili e politici è stato adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il
16 dicembre 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo 1976.
64
Sulla base dell’art. 43 e dell’art. 68 della legge costituzionale sulla Corte costituzionale russa, cfr. par. 7, della
sentenza.
residente e rappresentasse una minaccia alla sicurezza pubblica e personale dei
cittadini. La Corte inoltre ravvisò l’incostituzionalità delle misure previste nella Parte
V, par. 2, punto 6 della stessa risoluzione, che prevedevano l’interdizione dal lavoro
dei giornalisti operanti in Cecenia, ritenuti colpevoli dalla Federazione russa di
compiere atti di propaganda a favore delle forze militari irregolari cecene 65.
In merito a queste ultime disposizioni, la Corte affermò che le disposizioni
presenti nella risoluzione governativa violavano i diritti costituzionali dei cittadini
russi, in particolare il diritto a muoversi liberamente sul territorio nazionale ed il
diritto a scegliere il loro luogo di residenza. Inoltre, ad avviso della Corte, ad essere
violata era stata anche il loro diritto a ricevere o trasmettere liberamente le
informazioni, così come garantito dalla Costituzione 66.
In conclusione, la Corte riconobbe l’incostituzionalità solo di alcune parti della
risoluzione del Governo n. 1360, stabilendo invece la conformità costituzionale degli
altri decreti presidenziali. La Corte negò, da un lato, alla Repubblica cecena la
titolarità del diritto all’autodeterminazione dei popoli e, dall’altro, indirizzò il
legislatore russo ad adeguare il sistema normativo interno alle norme previste nel
secondo Protocollo addizionale prevedendo forme di tutela e di compensazione per
quegli individui che fossero rimasti di violazioni durante il conflitto.
65
Tali disposizioni risultarono in contrasto con l’art. 27, par. 1; l’art. 29, par. 4 e par. 5; l’art. 55, par. 3 e l’art. 56
della Costituzione;. L’art. 27, par. 1 afferma che «Ciascuno che si trovi legalmente sul territorio della Federazione
Russa ha diritto di spostarsi liberamente e di scegliere il luogo di soggiorno e di residenza »; l’art. 29, par. 4 e par.
5 affermano che « Ciascuno ha diritto di cercare, ricevere, trasmettere, produrre e diffondere liberamente
l'informazione con ogni mezzo legale. L’elenco delle informazioni che costituiscono segreto di Stato è
determinato dalla Legge federale. E’ garantita la libertà dell'informazione di massa. La censura è proibita»; l’art.
55, par. 3 riporta che « i diritti e le libertà dell’uomo e del cittadino possono essere limitati dalla legge federale
solo nella misura in cui ciò sia necessario ai fini della difesa dei princìpi del sistema costituzionale, della morale,
della salute, dei diritti e degli interessi legittimi di altre persone e per assicurare la difesa del Paese e la sicurezza
dello Stato l’art. 56 « 1. In condizioni di stato di emergenza per salvaguardare la sicurezza dei cittadini e la difesa
del sistema costituzionale, in conformità con la Legge costituzionale federale, possono essere imposte particolari
restrizioni dei diritti e delle libertà con l'indicazione dei limiti e dei termine della loro validità. 2. Lo stato di
emergenza su tutto il territorio della Federazione Russa ed in sue singole aree può essere introdotto in presenza
delle circostanze e secondo le modalità stabilite dalla Legge costituzionale federale. 3. Non sono soggetti a
restrizione i diritti e le libertà contemplate dagli articoli 20, 21, 23 (parte 1) 24, 28, 34 (parte 1), 40 (parte 1), 4654 della Costituzione della Federazione Russa ».
66
Cfr. par. 8, della sentenza, secondo il quale « Thereby Part II , point 6 of the said resolution introduces new
grounds and a new procedure of depriving a journalist of his accreditation that are not provided for by law. This
contradicts Article 29, Parts 4 and 5 that establishes the right to free information, Article 46 that guarantees
judicial protection of rights and freedoms, as well as Article 55, Part III of the Constitution of the Russian
Federation. In accordance with Part V, Article 48 of the Law of the Russian Federation of 27 December 1991
“On the Mass Media” a journalist may be deprived of his accreditation if he or his media outlet violate the
established regulations of accreditation or circulate information that does not correspond to reality, that smear the
honour and dignity of the organisation that accredited the journalist, this being confirmed by a court ruling
entered into force […] Thereby Part II , point 6 of the said resolution introduces new grounds and a new
procedure of depriving a journalist of his accreditation that are not provided for by law. This contradicts Article
29, Parts 4 and 5 that establishes the right to free information, Article 46 that guarantees judicial protection of
rights and freedoms, as well as Article 55, Part III of the Constitution of the Russian Federation » .
4.1 Opinioni dissenzienti dalla sentenza della Corte Costituzionale russa
E’ opportuno precisare che la sentenza della Corte Costituzionale non fu adottata
all’unanimità, alcuni giudici espressero infatti opinioni dissenzienti su alcuni punti.
Al fine di avere un quadro completo della vicenda, riteniamo dunque appropriato
analizzare le opinioni più rilevanti 67.
E’ da esaminare anzitutto l’opinione del giudice Vitruk, il quale dopo aver
ricostruito brevemente il contesto nel quale furono approvati i decreti presidenziali e
la risoluzione del Governo, criticò l’approccio analitico seguito dalla Corte in merito
alla costituzionalità dei decreti e della risoluzione governativa. Secondo il giudice, la
considerazione della Corte, secondo cui i testi analizzati dovessero considerarsi come
un unico corpus normativo, aveva impedito di verificare la costituzionalità di ogni
singolo atto nonché di analizzare dettagliatamente la loro natura giuridica.
Il giudice riscontrò una netta discrepanza tra gli obiettivi riportati nei preamboli
dei decreti e della risoluzione governativa rispetto alle misure previste al loro
soddisfacimento. Egli affermò come i preamboli non si ponessero in contrasto con la
Costituzione, poiché perseguivano obiettivi garantiti dalla stessa Costituzione russa.
Le misure volte al loro soddisfacimento però, secondo tale giudice, risultavano essere
incostituzionali. A tal proposito egli affermò che:
« If the objectives set out in the preambles of the texts are examined independently of
the measures they involve, they can be seen to be inconformity with the Constitution of the
Russian Federation. They are designed in particular to restore constitutional legality (decree
No. 2137), ensure national security, safeguard the rights and freedoms of citizens (decree
No. 2166) etc. On the other hand, the measures for which the texts provide inorder to attain
those goals are a violation of the terms of the Constitution »68.
L’intento degli organi esecutivi federali era finalizzato, ad avviso del giudice, a
ristabilire la legalità costituzionale e l’ordine nel territorio della Repubblica di
Cecenia attraverso la creazione di un regime che non pareva considerarsi ascrivibile
allo stato d’emergenza né ad uno stato di guerra. Esso piuttosto doveva considerarsi,
67
Per una sintesi delle opinioni dissenzienti Cfr. Summary of dissenting opinions: Judgment of the Constitutional
Court of the Russian Federation on the constitutionality of certain presidential decrees and governmental orders:
Summary of the dissenting opinions of six judges of the Constitutional Court of the Russian Federation, in
http://www.venice.coe.int/docs/1995/CDL(1995)068add-e.asp?PrintVersion= True&L=E.
68
Ibidem, p. 2.
riprendendo i termini utilizzati dalla Corte, come un “intervento federale” 69 che non
trovava riscontro nelle norme costituzionali russe. Secondo il giudice, si sarebbe
dunque dovuto adottare una legge federale ad hoc, che disciplinasse l’uso delle forze
armate sul territorio nazionale, dal momento che non esisteva alcuna base normativa
in merito alla gestione delle forze armate impiegate in un conflitto interno al paese.
Il giudice Vitruk mosse anche un’altra critica alla sentenza della Corte,
evidenziando come i decreti n. 2137, n. 2166 e n. 2169 fossero stati adottati in
violazione dei limiti costituzionali previsti ai poteri del Presidente della Federazione
70
. Infatti dai decreti erano stati desunti una serie di poteri impliciti del Presidente
della Federazione, che ne avevano esteso illegittimamente i poteri rispetto a quelli
riconosciutigli dalla Costituzione 71. Il giudice ritenne inoltre che, grazie al decreto n.
2166, il Presidente della Federazione russa, avendo delegato al governoi propri
poteri, aveva violato la Costituzione alla luce della separazione dei poteri tra il
Presidente della Federazione e il governo.
Infine, i decreti presidenziali, sempre secondo il giudice, si erano posti in
contrasto con l’art. 2 della Costituzione, che garantiva la priorità assoluta alla tutela
dei diritti dell’uomo e alle sue libertà fondamentali, in accordo con l’art. 18
72
.
Perdipiù, nessuno dei decreti aveva previsto misure a salvaguardia dei potenziali
abusi che le forze armate avrebbero potuto compiere nella Repubblica di Cecenia.
Anche il giudice Gadzhiyev e il giudice Ebzeyev, esaminando il decreto n. 2166,
dichiararono anch’essi la violazione delle norme costituzionali 73. Essi evidenziarono
come il potere concesso dal Presidente della Federazione al governo avesse
comportato un mancato rispetto dei principi di separazione dei poteri, dei ruoli e
69
Ibidem.
I limiti ai poteri presidenziali sono previsti agli articoli 83 e 90 della Costituzione della Federazione russa.
71
A detta del giudice quindi, ci si pose in contrasto con l’art. 15, par. 1, della Costituzione, che nega la possibilità
di interpretare in maniera arbitraria le norme previste in essa.
72
L’art. 18 della Costituzione sancisce che i diritti umani e le libertà dei cittadini sono considerate norme selfexecuting.
73
I giudici denunciarono la violazione degli articoli 1, par. 1, dell’art. 10 e dell’art. 55 della Costituzione. L’art.
1, par. 1 sancisce che « La Federazione Russia – la Russia – è uno Stato di diritto, federativo, democratico con
forma di Governo repubblicana »; l’art. 10 della Costituzione dichiara che « Il potere statale nella Federazione
Russa si esercita sulla base della divisione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Gli organi dei potere
legislativo, esecutivo e giudiziario sono indipendenti »; l’art. 55 prevede che « 1. L’enumerazione nella
Costituzione della Federazione Russa dei diritti e delle libertà fondamentali non deve essere interpretata come
diniego o come limitazione degli altri diritti di libertà dell'uomo e dei cittadino generalmente riconosciuti. 2.
Nella Federazione Russa non devono essere pubblicate leggi che aboliscano o limitino i diritti e le libertà
dell'uomo e del cittadino . 3. I diritti e le libertà dell’uomo e del cittadino possono essere limitati dalla Legge
federale solo nella misura in cui ciò sia necessario ai fini della difesa dei princìpi del sistema costituzionale, della
morale, della salute, dei diritti e degli interessi legittimi di altre persone e per assicurare la difesa del Paese e la
sicurezza dello Stato ».
70
delle competenze istituzionali; nonché dei diritti e delle libertà dei cittadini, garantiti
dalla Costituzione 74.
Infine, particolarmente signicative risultano essere le osservazioni del giudice
Zorkin, il quale pur concordando con la Corte sulla necessità di intraprendere una
missione militare in Cecenia per poter ristabilire la sicurezza collettiva e l’ordine
costituzionale, riteneva che la Corte costituzionale non avesse sottolineato la
mancanza di proporzionalità delle misure adottate rispetto agli scopi che esse si
prefiggevano, ovvero il ripristino della sicurezza nazionale e dell’integrità territoriale
in Cecenia. Non erano state prese in adeguata considerazione, ad avviso del giudice,
le gravi conseguenze derivanti dall’applicazione delle misure coercitive e la mancata
adozione, da parte delle autorità federali, delle misure per tutelare i diritti e le libertà
dei cittadini.
5. Commento alla sentenza della Corte Costituzionale del 31 luglio 1995 e
considerazioni conclusive al capitolo
Il primo aspetto della sentenza che ci preme analizzare riguarda il mancato
riconoscimento alla Repubblica cecena di godere del diritto di autodeterminazione
dei popoli, tema che sarà ripreso più approfonditamente nel secondo capitolo del
presente lavoro. E’ tuttavia importante fin da ora precisare le diverse critiche che
sono state mosse alla Corte per non aver interpretato correttamente la Dichiarazione
delle Nazioni Unite sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra Stati, laddove
dichiara che:
« Nothing in the foregoing paragraphs shall be construed as authorizing or encouraging
any action which would dismember or impair, totally or in part, the territorial integrity or
political unity of sovereign and independent States conducting themselves in compliance
with the principle of equal rights and self-determination of peoples as described above and
thus possessed of a government representing the whole people belonging to the territory
without distinction as to race, creed or colour » 75.
Nel presente paragrafo, si afferma come i principi sanciti dalla Dichiarazione
74
In tale occasione il giudice Ebzeyev dichiarò che «Given the causal links between the said decisions, on the one
hand, and the victims and destruction in the Chechen Republic, on the other, it must be concluded that the
decisions and the measures for implementing them were incompatible with the requirements of the restoration of
the constitutional order; and this confers on those very decisions the character of a violation of the constitutional
order of the Russian Federation». Cfr. p. 4, supra nota 67.
75
Cfr. par. 1/b della Dichiarazione, cit., supra nota 55.
non possono essere fatti strumento di legittimazione delle azioni che minano
l’integrità territoriale di uno Stato, a condizione però che quest’ultimo garantisca ai
propri cittadini un governo rappresentativo e la possibilità di godere di equi diritti
senza nessuna distinzione di razza, di credo o di colore.
Nel caso di specie, la Corte, dando per scontato che la Federazione russa fosse
rispettosa dei diritti sopra elencati, aveva ritenuto che i decreti presidenziali e la
risoluzione governativa fossero da considerarsi leciti poichè miravano a preservare
l’integrità territoriale dello Stato. La sentenza della Corte è dunque anzitutto
criticabile dal momento che ha mancato di verificare realmente se la Federazione
russa applicasse i principi sanciti nella Dichiarazione.
Un ulteriore critica che può essere mossa riguarda la decisione della Corte di non
verificare se le forze armate russe avessero violato concretamente il diritto
internazionale umanitario durante le operazioni militari. In proposito la Corte aveva
dichiarato infatti che
« The examination of the practical actions of the parties in the course of the armed
conflict from the point of view of compliance with the additional protocol to the Geneva
Conventions of 12 August 1949, with regard to protection of the victims of non-international
armed conflicts, Protocol 2, in accordance with Article 125 of the Constitution of the
Russian Federation, and Parts I, II and III of Article 3 of the Federal Constitutional Law on
the Constitutional Court, may not be a subject for consideration by the Constitutional Court
of the Russian Federation and ought to be performed by other competent organs » 76.
La Corte aveva dunque analizzato la costituzionalità dei decreti e della
risoluzione del governo solo dal punto di vista normativo, senza considerare la loro
reale attuazione 77.
Nel giudizio finale della Corte, vi è inoltre una questione di natura terminologica
che richiede un appropriato approfondimento. Il conflitto nella Repubblica di
Cecenia fu definito dalla stessa Federazione russa una guerra civile, intesa come un
conflitto armato interno, prolungato e di grande intensità 78, rientrando così a pieno
titolo tra quelli ai quali si applica il secondo Protocollo addizionale 79. La Corte non
ha specificato tuttavia il perchè a suo parere il conflitto assumesse una tale natura.
Infatti il conflitto avrebbe potuto essere definito in diverse altre maniere come ad
76
Cfr. par. 5, della sentenza, corsivo aggiunto.
Per un’analisi più specifica della sentenza della Corte costituzionale Cfr. GAETA P., The Armed Conflict in
Chechnya before the Russian Costitutional Court, in European Journal International Law, cit., supra nota 35.
78
Ibidem, in part p. 568.
79
Si veda l’art. 1, par. 1, del secondo Protocollo.
77
esempio, sulla base dell’art. 3 comune alle quattro le Convenzioni di Ginevra del
1949 « as a civil war of short duration and with a low thereshold of intensity »
evitando così che si applicassero le norme del secondo Protocollo.
Avrebbe potuto altresì essere inteso « as an instance of internal disturbance and
tension to wich no humanitarian international rule would apply », in base all’art. 1,
par. 2, del secondo Protocollo addizionale oppure come una guerra di liberazione
nazionale ed essere pertanto regolata dal primo Protocollo addizionale.
Secondo il ragionamento della Corte, se da una parte non si poteva applicare
nessun’altra definizione alla guerra in Cecenia in ragione della sua intensità e durata,
dall’altra parte, la ragione per cui non era stato definito un conflitto di liberazione
nazionale risiedeva nel fatto che ciò avrebbe significato il riconoscimento alla
popolazione cecena del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Ciò avrebbe
complicato indiscutibilmente il quadro normativo da applicare rendendo la fattispecie
difficilmente gestibile e esponendo la Federazione russa ad un vero e proprio
processo di scissione territoriale.
In conclusione, vorremo sottolineare la rilevanza che tale sentenza ha avuto per il
sistema giuridico e politico della Federazione russa. La Corte Costituzionale è uscita
da questa sentenza rafforzando il proprio ruolo di mediatore tra la legislazione
interna e quella internazionale: in tale prospettiva infatti deve essere letto l’invito
rivolto dalla Corte al legislatore russo nel senso di migliorare e completare
l’adeguamento del sistema normativo al secondo Protocollo addizionale. La Corte
invitò il Parlamento russo ad adeguare la legislazione interna al secondo Protocollo
addizionale, in modo da poter dare effettiva applicazione nel proprio sistema
giuridico alle norme di diritto internazionale umanitario. Inoltre dichiarò che, in
accordo con il Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, le vittime di
qualsiasi violazione, crimine o abusi di potere, dovessero usufruire di tutti i mezzi
giuridici messi a disposizione dalla Federazione russa affinché fossero garantiti i loro
diritti.
L’altro aspetto rilevante della sentenza costituzionale, di cui già abbiamo
accennato in precedenza, riguarda il dibattito che ruota attorno alla titolarità della
Repubblica di Cecenia a secedere o meno dalla Federazione russa, sulla base del
principio dell’autodeterminazione dei popoli. Si discute infatti se la Repubblica
cecena possa separarsi dalla Federazione russa o se abbia solo il diritto
all’autodeterminazione interna. Nel prossimo capitolo dunque, analizzeremo tale
aspetto, cercando di comprendere se è possibile applicare questo principio al caso di
specie.
CAPITOLO II
IL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI: IL CASO
CECENO
SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Il principio di autodeterminazione dei popoli; 2.1
L’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli nell’ambito delle Nazioni
Unite; 2.2 L’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli nella prassi della
Corte internazionale di giustizia; 3. Il diritto all’autodeterminazione esterna del popolo
ceceno; 3.1. I fatti storici; 3.2. Il rapporto istituzionale tra la Federazione russa e le sue
Repubbliche; 4. Le posizioni in dottrina in merito allo status da riconoscere al popolo
ceceno; 4.1 Il precedente delle Repubbliche baltiche; 4.2. Le gravi violazioni dei diritti
umani; 4.3. Lo status speciale della Repubblica cecena; 4.4 Un referendum per
determinare lo status della Repubblica cecena; 4.5 La Repubblica cecena: uno Stato de
facto; 4.6. Considerazioni finali al paragrafo; 5. Il diritto all’autodeterminazione interna
del popolo ceceno; 5.1 La Costituzione della Repubblica di Cecenia analizzata sulla
base del rapporto della Commissione Venezia del 15 marzo 2003; 5.1.1 Aspetti generali;
5.1.2 La lingua nazionale della Repubblica cecena; 5.1.3. La tutela dei diritti umani nella
Costituzione cecena; 5.2 Considerazioni finali al paragrafo; 6. La Comunità
internazionale e la legittimazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli in un
contesto post-coloniale: il caso del popolo ceceno, kosovaro e timorese; 6.1 Il caso
ceceno e quello kosovaro; 6.2 Il caso dell’isola di Timor Est; 7. Considerazioni
conclusive.
1. Introduzione
Nel capitolo precedente abbiamo approfondito le fasi del processo di
adeguamento del sistema giuridico russo al diritto internazionale, in riferimento ai
trattati riguardanti la tutela dei diritti umani ed il diritto internazionale umanitario.
Dall’analisi della sentenza della Corte costituzionale del 31 luglio 1995, sono emersi
in particolare due aspetti: il primo, riguardante l’adeguamento del sistema giuridico
russo al diritto internazionale umanitario che è stato esaminato appunto
precedentemente; il secondo, concernente il diritto all’autodeterminazione del popolo
ceceno 80.
Nel presente capitolo approfondiremo quest’ultimo aspetto analizzando lo status
della Repubblica cecena nella Federazione russa. Nella prima parte del capitolo
ripercorreremo l’evolversi del principio di autodeterminazione dei popoli nel corso
degli anni, analizzando la prassi della Corte internazionale di giustizia e le
disposizioni normative contenute nella Carta delle Nazioni Unite. Inoltre,
analizzeremo le circostanze in presenza delle quali il diritto internazionale riconosce
ad un popolo il diritto di secedere dal territorio di uno Stato sovrano approfondendo
il rapporto che intercorre tra il diritto all’autodeterminazione dei popoli e il diritto
all’integrità territoriale di uno Stato.
Nella seconda parte l’attenzione sarà focalizzata sul caso ceceno, per cui sarà
compiuta un’analisi riguardante il diritto del popolo ceceno a secedere
territorialmente dalla Federazione russa. Dopo aver ricostruito brevemente il contesto
storico in Cecenia degli anni Novanta del XX secolo, definiremo in base alla
Costituzione della Federazione russa, quale sia lo status giuridico-istituzionale delle
Repubbliche federali, e quali siano le libertà ed i diritti a loro concessi. In seguito,
sarà approfondito il dibattito in dottrina riguardante quale sia lo status giuridico della
Cecenia in base al diritto internazionale e se questa abbia diritto a secedere dalla
Federazione russa in base al principio di autodeterminazione esterna dei popoli.
Vedremo
anche
se
la
Federazione
russa
abbia
violato
il
diritto
all’autodeterminazione interna del popolo ceceno, focalizzando l’attenzione sulla
legittimità del referendum costituzionale ceceno del 23 marzo 2003. Ma soprattutto
analizzeremo il rapporto richiesto dal Presidente dell’Assemblea Parlamentare del
Consiglio d’Europa alla Commissione Venezia, in merito alla democraticità del
disegno costituzionale della Repubblica della Federazione russa.
Infine nell’ultimo paragrafo approfondiremo le circostanze in base alle quali
secondo una parte della dottrina, sarebbe legittimo per un popolo secedere dal
territorio del proprio Stato d’appartenenza in un contesto post-coloniale. A tal
proposito saranno analizzati in maniera comparata le circostanze entro le quali il
popolo ceceno, quello kosovaro e quello timorese hanno rivendicato il loro diritto
all’indipendenza.
80
Cfr. Cap. I, par. 4, del presente lavoro.
2. Il principio di autodeterminazione dei popoli
Il principio di autodeterminazione dei popoli è considerato dal diritto
internazionale una norma di natura consuetudinaria, avente carattere cogente ed erga
omnes 81, così come dichiarato dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza
relativa al caso tra Portogallo c. Australia del 30 giugno 1985 82.
La dottrina ha discusso ampiamente in merito a chi dovesse essere attribuita la
titolarità del diritto all’autodeterminazione dei popoli, se al “popolo” in quanto tale,
che aspira ad ottenere l’indipendenza, oppure agli Stati nei rapporti inter se. Nel
diritto internazionale classico il “popolo”, inteso come entità complessa che aspira a
divenire uno Stato indipendente e sovrano, non è considerato un soggetto di diritto
internazionale
83
. Il titolare effettivo di questo diritto è lo Stato, la parola “popolo”
sarebbe utilizzata in maniera puramente enfatica. Si darebbe rilevanza giuridica al
popolo, solo nel caso in cui si concepisse lo Stato, soggetto di diritto internazionale,
come Stato-comunità e non più come Stato-apparato 84.
E’ importante ricordare, in materia di autodeterminazione dei popoli, la
Dichiarazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 14 dicembre 1960 n.
1514, relativa alla concessione dell’indipendenza ai popoli e ai paesi colonizzati,
nella quale è stato affermato che
« […] All peoples have the right to self-determination; by virtue of that right they freely
determine their political status and freely pursue their economic, social and cultural
development […] All armed action or repressive measures of all kinds directed against
dependent peoples shall cease […] Any attempt aimed at the partial or total disruption of the
81
L’art. 53 della Convenzione di Vienna sui trattati internazionali del 1969, stabilisce che « a peremptory norm of
general international law is a norm accepted and recognized by the international community of States as a whole
as a norm from which no derogation is permitted and which can be modified only by a subsequent norm of
general international law having the same character ». Una norma di ius cogens è un norma dunque che è stata
accettata e riconosciuta dalla Comunità internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma alla quale non
è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale
generale avente lo stesso carattere. Inoltre anche l’art. 64 della Convenzione afferma che qualora sopravvenga
una nuova norma imperativa di diritto internazionale generale, qualsiasi trattato esistente che contrasti con tale
norma diventa nullo. Per la versione in inglese della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, si
veda in http://untreaty.un.org/ilc/texts/ instruments/english/conventions/1_ 1_ 1969.pdf.
82
Si veda il par. 29, della sentenza della Corte internazionale di giustizia relativa al caso Portogallo c. Australia
in http://www.icj-cij.org/docket/files/84/6949.pdf.
83
Cfr. FOCARELLI C., Lezioni di diritto internazionale I. Il sistema degli Stati e i valori comuni dell’umanità,
Padova, 2008, pp. 46-50, in part. p. 46.
84
In proposito, si è tuttavia affermato che « […] il discorso è diverso, invece, quando di un diritto dei popoli si
parla in relazione a norme che si occupano del popolo come contrapposto allo Stato […] che tendono a tutelare il
popolo rispetto all’apparato che lo governa » Cfr. CONFORTI B., Diritto internazionale, Napoli, 2006, p. 23.
national unity and the territorial integrity of a country is incompatible with the purposes and
principles of the Charter of the United Nations […] All States shall respect for the sovereign
rights of all peoples and their territorial integrity » 85.
Sulla base di quanto riportato nella presente Dichiarazione, tutti i popoli hanno
diritto a godere del principio di autodeterminazione, stabilendo autonomamente il
proprio status politico, economico e sociale in caso di (a) dominazione coloniale, (b)
segregazione razziale e (c) occupazione straniera.
Alla Dichiarazione del 1960 delle Nazioni Unite, ha fatto seguito la prassi della
Corte internazionale di giustizia. In particolar modo risultano significativi i pareri
consultivi della Corte in merito al caso della Namibia del 1971 e del Sahara
Occidentale del 1975 86.
Il diritto all’autodeterminazione esterna dei popoli è oggetto di numerosi limiti:
un popolo infatti è legittimato a secedere da uno Stato solo se rientra nelle tre ipotesi
già citate. Inoltre sia il punto (a), cosi come il punto (b), si riferiscono a delle
situazioni storiche difficilmente riproponibili ai giorni nostri e questo ne limita
fortemente l’applicazione in contesti di tipo post-coloniale. Mentre il terzo punto «
presuppone una situazione di occupazione straniera sopravvenuta che non si riscontra
nella gran parte delle situazioni secessionistiche odierne » 87.
Il principio di autodeterminazione dei popoli è limitato ulteriormente dalla
propria irretroattività. Esso infatti non si applica alle occupazioni straniere che
risalgono a prima della fine della seconda guerra mondiale, ad eccezione dei territori
coloniali. In dottrina si ritiene infatti che tale principio abbia assunto valenza
giuridica solo a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale 88.
Per autodeterminazione interna di un popolo si intende il diritto ad eleggere
liberamente i propri rappresentanti e ad avere un governo che lo rappresenti senza
nessun genere di discriminazione. Questo diritto è oggetto di dibattito in dottrina: si
discute infatti se lo si possa riconoscere come il diritto di un popolo a godere di un
governo democratico, o se l’autodeterminazione interna comporti, al pari di quella
85
Il testo in inglese della Dichiarazione dell’Assemblea Generale in merito all’indipendenza dei paesi coloniali
del 1960, adottata con la ris. n. 1514 è reperibile in http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp? Symbol=A/RES
/1514(XV).
86
Per una lettura più approfondita dei commenti ai seguenti pareri v. FOCARELLI C., Lezioni di diritto
internazionale II. Prassi, Padova, 2008, in part. p. 24.
87
Cfr. FOCARELLI C., Lezioni di diritto internazionale, cit., supra nota 83, p. 48.
88
Cfr. CONFORTI B., Diritto Internazionale, cit., supra nota 84.
esterna, il diritto di un popolo a secedere dallo Stato di appartenenza
89
. A tal
proposito, va osservato che nè la prima né la seconda ipotesi trovano riscontro sul
piano internazionale 90.
2.1. L’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli nell’ambito
delle Nazioni Unite
Per comprendere in maniera esauriente l’argomento trattato in questo capitolo,
conviene soffermarsi ad analizzare il percorso evolutivo che il principio di
autodeterminazione dei popoli ha avuto a partire dalla Carta delle Nazioni Unite fino
alle recenti sentenze della Corte internazionale di giustizia.
Il capitolo XI dello Statuto delle Nazioni Unite riguarda i territori non autonomi.
In particolare, l’art. 73 e l’art. 74 sanciscono l’impegno dei membri delle Nazioni
Unite a porre in essere tutte le misure affinché concedano ai cittadini dei territori, che
non hanno raggiunto una piena autonomia, di promuoverne al massimo il loro
benessere, affinché possano godere del loro progresso ecoomico, sociale, politico ed
educativo 91. L’art. 73 della Carta delle Nazioni Unite, riferendosi a tutti i popoli che
vivevano nei territori coloniali esistenti alla fine della seconda guerra mondiale,
intese legittimare il processo di decolonizzazione in atto al tempo. Tuttavia, una parte
della dottrina ha ritenuto che il principio di autodeterminazione dei popoli, così come
riportato dalla Carta delle Nazioni Unite, non concedeva la possibilità ai popoli di
ottenere l’indipendenza in maniera unilaterale
89
92
. La concessione dell’indipendenza
Cfr. FOCARELLI C., Lezioni di diritto internazionale, cit., supra nota 83, p. 49.
Ibidem p. 50.
91
In base all’art. 73 dello Statuto delle Nazioni Unite « I Membri delle Nazioni Unite, i quali abbiano od
assumano la responsabilità dell’amministrazione di territori la cui popolazione non abbia ancora raggiunto una
piena autonomia, riconoscono il principio che gli interessi degli abitanti di tali territori sono preminenti, ed
accettano come sacra missione l’obbligo di promuovere al massimo, nell’ambito del sistema di pace e di
sicurezza internazionale istituito dal presente Statuto, il benessere degli abitanti di tali territori, e, a tal fine,
l’obbligo a. di assicurare, con il dovuto rispetto per la cultura delle popolazioni interessate, il loro progresso
politico, economico, sociale ed educativo, il loro giusto trattamento e la loro protezione contro gli abusi; b. di
sviluppare l'autogoverno delle popolazioni, di prendere in debita considerazione le aspirazioni politiche e di
assisterle nel progressivo sviluppo delle loro libere istituzioni politiche, in armonia con le circostanze particolari
di ogni territorio e delle sue popolazioni, e del loro diverso grado di sviluppo; c. di rinsaldare la pace e la
sicurezza internazionale; d. di promuovere misure costruttive di sviluppo, di incoraggiare ricerche, e di
collaborare tra loro, e, quando e dove ne sia il caso, con gli istituti internazionali specializzati, per il pratico
raggiungimento dei fini sociali, economici e scientifici enunciati in questo articolo […] ». Il testo dello Statuto è
reperibile in http://www.un.org/ en/documents/charter/.
92
Cfr. MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its
Relatioship to the Law of Self-Determination, in Boston College International and Comparative Law Revue, pp.
179-195, in part. p. 187.
90
rimase una competenza esclusiva dei paesi mandatari, e l’autodeterminazione dei
popoli fu riconosciuta solo come il diritto di un popolo a godere di una qualche
forma di “self-government” 93.
Nella seconda metà del XX secolo la prassi internazionale si è tuttavia
indirizzata verso un pieno riconoscimento del diritto all’autodeterminazione per i
popoli coloniali.
Un passaggio importante di tale processo è sicuramente la già citata
Dichiarazione dell’Assemblea Generale sulla concessione dell’indipendenza ai paesi
coloniali del 1960. Con essa fu riconosciuto a tutti i popoli il diritto ad
autodeterminarsi, così da poter liberamente stabilire il loro status politico ed
economico, nonché la loro crescita sociale e culturale, a condizione che venisse
rispettato il diritto all’integrità territoriale di ciascuno Stato 94.
Tale principio venne ribadito dall’Assemblea Generale che approvò con la ris. n.
2625 del 1970 la Dichiarazione sui principi di diritto internazionale sulle relazioni
amichevoli tra Stati 95, nella quale venne ribadita l’illegittimità di qualunque azione
compiuta, sulla base del principio di autodeterminazione dei popoli, al fine di
secedere da uno Stato. La risoluzione pose tuttavia delle specifiche affinché il diritto
all’integrità territoriale si ponesse in accordo con il principio di autodeterminazione
dei popoli 96. A tal proposito l’Assemblea Generale dichiarò che solo gli Stati
« conducting themselves in compliance with the principle of equal rights and selfdetermination of peoples […] possessed a government representing the whole people
belonging to the territory without distiction as to race, creed or colour » 97 .
Nella presente disposizione si è voluto affermare quindi che solo gli Stati che
rispettano il principio di autodeterminazione dei popoli e che possiedono un governo
rappresentativo, che non compie cioè discriminazioni né di razza, né di credo o di
colore, possono reprimere ogni tentativo di secessione dal proprio territorio statale, in
93
Ibidem.
La Dichiarazione sulla concessione dell'indipendenza ai paesi ed ai popoli è stata adottata dall’Assemblea
Generale con la ris. n. 1514, nel 1960. Il testo è reperibile in http://daccessdds.un.org/
doc/RESOLUTION/GEN/NR0/152/88/IMG/NR015288.pdf?OpenElement. Corsivo aggiunto.
95
La Dichiarazione sui principi di diritto internazionale sulle relazioni amichevoli tra Stati in accordo con la
Carta delle Nazioni Unite è stata adottata dall’Assemblea Generale con la ris. 2625, nel 1970. Il testo della
Dichiarazione è reperibile in http://www.un-documents.net/a25r2625.htm.
96
Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, in Columbia Journal of
Transnational Law, 2004, pp. 575-615, in part. p. 580.
97
Cfr. Declaration on Principles of International Law concerning Friendly Relations and Co-operation among
States in accordance with the Charter of the United Nations, cit., supra nota 55. Corsivo aggiunto.
94
virtù del principio di integrità territoriale.
In proposito, deve essere peraltro osservato come una parte autorevole della
dottrina abbia ritenuto che tale disposizione potrebbe sollevare un problema di natura
interpretativo. Se infatti i criteri di « race, creed or colour » fossero da intendersi
come gli unici requisiti per l’applicazione di tale principio, ciò comporterebbe un
ulteriore limite alla sua applicazione. Infatti ne rimarrebbero esclusi tutti quei popoli
che si identificano, ad esempio, su una base linguistica o nazionale 98.
Anche il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto internazionale
sui
diritti
economici,
sociali
autodeterminazione dei popoli
e
culturali
disciplinano
il
principio
di
99
. Essi, essendo stati ratificati da numerosi Stati,
rappresentano due tra i principali trattati internazionali di riferimento in
materia
100
.
L’art. 1, comune ad entrambi, cita esattamente la definizione del principio di
autodeterminazione dei popoli così come riportata nella ris. n. 1514 delle Nazioni
Unite
101
. Tuttavia si ritiene che l’applicazione dell’art. 1 del Patto sui diritti civili e
politici sia limitata dall’art. 27 del medesimo Patto
102
, nella misura in cui stabilisce
che
« in those States in which ethnic, religious or linguistic minorities exist, persons
belonging to such minorities shall not be denied the right, in community with the other
members of their group, to enjoy their own culture, to profess and practice their own
religion, or to use their own language » 103.
Sulla base di quanto disposto dunque, non è riconosciuta alle minoranze
linguistiche, etniche o religiose alcun tipo di autonomia economica, politica o
sociale, ma solamente il diritto ad esprimere la loro cultura, a professare e praticare
la propria religione o a parlare liberamente la propria lingua.
La correttezza di tale interpretazione risulta confermata anche dalla lettura di
98
Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96.
Sia il Patto sui diritti civili e politici che quello sui diritti economici, sociali e culturali sono stati adottati
dall’Assemblea Generale il 16 dicembre 1966 con la ris. n. 2200. I testi sono reperibili in
http://www2.ohchr.org/english/law/pdf/cescr.pdf e in http://www2.ohchr.org/english/law/pdf/ccpr.pdf.
100
Per l’elenco degli Stati che hanno ratificato il Patto sui diritti civili e politici si veda http://
www.hrweb.org/legal/cprsigs.html.
101
L’art. 1 comune ad entrambe i trattati riporta « All peoples have the right to self-determination; by virtue of
that right they freely determine their political status and freely pursue their economic, social and cultural
development ».
102
Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96 ed anche
Cfr. CASSESE A., Self-Determination of Peoples: A Legal Reappraisal, Cambridge, 1995.
103
Art. 27, par. 1, del Patto sui diritti civili e politici.
99
altri documenti adottati al di fuori dell’ambito delle Nazioni Unite. A tal proposito ci
sembra doveroso citare il paragrafo VIII dell’Atto finale della Conferenza sulla
sicurezza e sulla cooperazione in Europa, il quale sancisce che
« by virtue of the principle of equal rights and self-determination of peoples, all peoples
always have the right, in full freedom, to determine, when and as they wish, their internal
and external political status, without external interference, and to pursue as they wish their
political, economic, social and cultural development » 104 .
Il paragrafo VIII, prevedendo la possibilità per tutti i popoli di godere del
principio di autodeterminazione dei popoli e di uno sviluppo politico, sociale,
economico senza nessuna interferenza esterna, non impone nessun limite esplicito
all’applicazione di siffatto principio
105
. Tuttavia, i limiti all’applicazione del diritto
all’autodeterminazione dei popoli sono riportati ai paragrafi III e IV, per i quali si
prevede l’obbligo di tutelare l’integrità territoriale degli Stati e il rispetto dei loro
confini 106.
2.2 L’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli nella prassi
della Corte internazionale di giustizia
La prassi della Corte internazionale di giustizia dimostra che il principio di
autodeterminazione dei popoli ha acquistato, nell’ambito del diritto internazionale,
un carattere erga omnes e sia diventato a tutti gli effetti un principio di jus cogens.
Prima di affrontare nel dettaglio il caso ceceno, è opportuno visionare alcune
sentenze della Corte internazionale di giustizia, così da analizzare l’evoluzione del
principio di autodeterminazione nella prassi della Corte.
104
L’Atto finale della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa è stato firmata a Helsinki il 1°
agosto 1975 anche dall’Urss. Il testo originale della Conferenza è reperibile in http://www.osce.org/
documents/mcs/ 1975/08/4044_en.pdf.
105
Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96.
106
Si veda infatti quanto riportato dal par. III « The participating States regard as inviolable all one another’s
frontiers as well as the frontiers of all States in Europe and therefore they will refrain now and in the future from
assaulting these frontiers. Accordingly, they will also refrain from any demand for, or act of, seizure and
usurpation of part or all of the territory of any participating State » e dal par. IV « The participating States will
respect the territorial integrity of each of the participating States. Accordingly, they will refrain from any action
inconsistent with the purposes and principles of the Charter of the United Nations against the territorial integrity,
political independence or the unity of any participating State, and in particular from any such action constituting a
threat or use of force. The participating States will likewise refrain from making each other's territory the object
of military occupation or other direct or indirect measures of force in contravention of international law, or the
object of acquisition by means of such measures or the threat of them. No such occupation or acquisition will be
recognized as legal ».
Anzitutto è da ricordare il parere della Corte internazionale di giustizia del 21
luglio 1971 in merito alle Conseguenze giuridiche per gli Stati della continua
presenza dell’Africa del Sud in Namibia 107.
Il parere trae origine dalla fine del mandato del Sud Africa in Namibia, deciso il
27 ottobre 1966, con la ris. 2145, dall’Assemblea Generale, in seguito alla negazione
del diritto all’autodeterminazione del popolo namibiano ed all’utilizzo del suo
territorio come base militare per gli attacchi agli Stati confinanti. A causa del
persistere sul territorio namibiano del Sud Africa, il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite adottò il 30 gennaio 1970 la ris. 276 con la quale si imponevano delle
sanzioni di natura economica da parte dei Paesi membri delle Nazioni Unite nei
confronti del Sud Africa.
Il parere della Corte internazionale di giustizia assume una grande importanza ai
fini del nostro discorso soprattutto per quel che riguarda la parte dedicata
all’autodeterminazione dei popoli. La Corte ne ha infatti riconosciuto un’effettiva
evoluzione affermando che
« […] the subsequent development of international law in regard to non-self-governing
territories, as enshrined in the Charter of the United Nations, made the principle of selfdetermination applicable to all of them. The concept of the sacred trust was confirmed and
expanded to all “territories whose peoples have not yet attained a full measure of selfgovernment” (Art. 73) » 108.
A giudizio della Corte dunque, lo sviluppo del diritto internazionale ha reso
applicabile il diritto all’autodeterminazione dei popoli nei confronti di tutti i territori
non autonomi. Inoltre, ai sensi dell’art. 73, par. 1, dello Statuto delle Nazioni Unite, «
l’obbligo per gli Stati di promuovere al massimo […] il benessere degli abitanti di
tali territori » è stato ripreso ed esteso a tutti i territori che non si amministrano in
maniera autonoma.
Secondo la Corte, una tappa fondamentale di tale evoluzione è data dalla
Dichiarazione dell’Assemblea Generale sulla concessione dell’indipendenza ai paesi
e ai popoli colonizzati, adottata con la risoluzione 1514 del 14 dicembre 1960. In
proposito La Corte ha affermato che occorre
107
Il testo originale del parere della Corte Internazionale di giustizia è reperibile in http://www.icj-cij.org/docket
/files/53/5595.pdf.
108
Par. 52 del parere.
« […] take into account the fact that the concepts embodied in Article 22 of the
Covenant “the strenuous conditions of the modern world” and “the well-being and
development” of the peoples concerned-were not static, but were by definition evolutionary,
as also, therefore, was the concept of the “sacred trust” […] the Court must take into
consideration the changes which have occurred in the supervening half-century, and its
interpretation cannot remain unaffected by the subsequent development of law, through the
Charter of the United Nations and by way of customary law »109.
La Corte ha dunque dichiarato che l’intento della ‘missione sacra di
civilizzazione’, così come riportato dall’art. 73 della Carta, fu da sempre quello di
concedere a questi territori il diritto alla propria indipendenza e autodeterminazione.
Un altro parere di importanza fondamentale in tema di autodeterminazione è
stato quello pronunciato dalla Corte internazionale di giustizia il 3 gennaio 1975 sul
Sahara Occidentale, nel quale la Corte ha dichiarato che
« General Assembly resolution 1514 (XV) provided the basis for the process of
decolonization which has resulted since 1960 in the creation of rnany States which are today
Members of the United Nations. It is complernented in certain of its aspects by General
Assernbly resolution 1541(XV), which has been invoked in the present proceedings. The
latter resolution contemplates for non-self-governing territories more than one possibility,
namely: (a) emergence as a sovereign independent State; (b) free association with an
independent State; or (c) integration with an independent State » 110
In tale occasione, la Corte ha osservato che la ris. n. 1514 dell’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite ha costituito la base del processo di decolonizzazione
iniziato a partire dalla seconda metà del XX secolo. Essa ha inoltre stabilito che la
ris. n. 1541 dell’Assemblea Generale, avendo precisato il principio di
autodeterminazione dei popoli, ha completato la ris. n. 1514. La ris. 1541 infatti ha
stabilito quali dovessero essere le modalità sulla base delle quali un territorio non
autonomo poteva conseguire una piena autonomia, prevedendo in proposito tre
ipotesi: la prima prevedeva la possibilità per un territorio di diventare indipendente e
sovrano; la seconda prevedeva la possibilità di associarsi ad uno Stato indipendente e
sovrano; l’ultima prevedeva la possibilità di integrarsi in un altro Stato.
La Corte internazionale di giustizia è tornata ad occuparsi di autodeterminazione
dei popoli nella sentenza del 30 giugno 1995, nel caso relativo all’isola di Timor Est
(Portogallo c. Australia) dichiarando che
109
110
Par. 53 del parere della Corte.
Si veda il par. 57 del parere in http://www.icj-cij.org/docket/files/61/6195.pdf.
« [In the Court’s view] Portugal’s assertion that the right of peoples to selfdetermination, as it evolved from the Charter of the United Nations and from United Nations
practice, has an erga omnes character, is irreproachable » 111.
In tale caso, la Corte ha dunque riconosciuto che il principio dei popoli ad
autodeterminarsi, così come ritenuto dal Portogallo, ha assunto carattere erga omnes
ed è stato riconosciuto dalla Carta e dalla prassi delle Nazioni Unite come uno dei
principi essenziali del diritto internazionale.
La stessa Corte ha inoltre aggiunto nel parere consultivo del 9 luglio 2004,
relativo alle Conseguenze giuridiche derivanti dalla costruzione del muro nei
territori palestinesi occupati dallo Stato di Israele, che il principio di
autodeterminazione dei popoli ha inoltre carattere erga omnes
112
. In tale occasione,
la Corte ha infatti affermato che
« The obligations erga omnes violated by Israel are the obligation to respect the right of
the Palestinian people to self-determination, and certain of its obligations under international
humanitarian law […] the Court recalls its previous case law, which emphasized that current
developments in “international law in regard to non-self-governing territories, as enshrined
in the Charter of theUnited Nations, made the principle of self-determination applicable to
all [such territories]”, and that the right of peoples to self-determination is today a right erga
omnes » 113.
La Corte ha osservato che gli obblighi erga omnes violati da Israele
riguardavano sia il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione sia obblighi
di diritto internazionale umanitario. Nel suddetto parere, la Corte, richiamando la sua
precedente giurisprudenza, ha ribadito che lo sviluppo del diritto internazionale in
merito al principio di autodeterminazione dei popoli, lo ha reso applicabile a tutti i
popoli, riconoscendogli così un carattere erga omnes.
La Corte, nel caso di specie, ha riconosciuto l’obbligo per Israele di cessare
immediatamente i lavori di costruzione del muro nei territori palestinesi occupati, e
lo smantellamento immediato delle parti del muro situata all’interno del territorio
palestinese 114.
È importante sottolineare come la Corte abbia inoltre affermato l’obbligo per
tutti gli Stati di riconoscere l’illegalità della costruzione del muro nei territori
111
Par. 29 della sentenza. Per il testo del caso Portogallo c. Australia della Corte internazionale di giustizia, si
veda http://www.icj-cij.org/docket/files/84/5331.pdf.
112
Par. 88 del parere consultivo. Per il testo del parere si veda http://www.icj-cij.org/docket/ files/131/1677. pdf.
113
Par. 88 e par. 158 del parere.
114
Par 157 del parere.
palestinesi occupati, in ragione del carattere erga omnes del diritto di
autodeterminazione 115.
3. Il diritto all’autodeterminazione esterna del popolo ceceno
Fino a questo momento ci siamo soffermati sul principio di autodeterminazione
dei popoli, così come inteso nel diritto internazionale. Ne abbiamo analizzato
l’evoluzione sia nella Carta delle Nazioni Unite sia nella prassi della Corte
internazionale di giustizia. A questo punto ci sembra opportuno analizzare il caso
specifico della Repubblica di Cecenia, approfondendo la storia e i rapporti
istituzionali che la legano alla Federazione russa, per comprendere così se esso goda
del diritto a secedere dalla Federazione russa in base al principio di
autodeterminazione esterna dei popoli.
3.1 I fatti storici
In seguito alla caduta dell’Urss, la Repubblica cecena si era dichiarata uno Stato
indipendente e sovrano, sulla base del risultato emerso dal referendum del 27 ottobre
1991 116. Al termine della prima guerra russo-cecena, nel 1996 fu firmato un accordo
di pace tra il Capo del Consiglio di Sicurezza della Federazione russa, il Generale
115
In particolare si veda quanto affermato dalla Corte al par. 159, in cui « Given the character and the importance
of the rights and obligations involved, the Court is of the view that all States are under an obligation not to
recognize the illegal situation resulting from the construction of the wall in the Occupied Palestinian Territory,
including in and around East Jerusalem. They are also under an obligation not to render aid or assistance in
maintaining the situation created by such construction. It is also for all States, while respecting the United
Nations Charter and international law, to see to it that any impediment, resulting from the construction of the
wall, to the exercise by the Palestinian people of its right to self-determination is brought to an end. In addition,
all the States parties to the Geneva Convention relative to the Protection of Civilian Persons in Time of War of 12
August 1949 are under an obligation, while respecting the United Nations Charter and international law, to ensure
compliance by Israel with international humanitarian law as embodied in that Convention ».
116
Il referendum costituzionale era stato indetto dall’ex militare dell’aereonautica sovietica, D. Dudaev, neo
eletto Presidente della Repubblica di Cecenia e Inguscezia nell’ottobre del 1991. Nello stesso anno l’Inguscezia si
era separata dalla Cecenia. Il 12 marzo 1992, la Cecenia ha adottato una propria Carta costituzionale. Dal
novembre 1991 fino al dicembre 1994, la Repubblica di Cecenia è stata considerata uno Stato de facto. La
Federazione russa è ricorsa all’intervento armato al fine di ristabilire l’ordine costituzionale nel territorio
caucasico Cfr. OLIVIER DUPUIS, Cecenia, nella morsa dell’Impero, Milano, 2003, pp. 165-170, in part. p. 166. Cfr.
MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its relationship
to the Law of Self-Determination, cit., supra nota 92, p. 182, supra nota 92. Cfr. NICHOLAS V. RIASANOVSKY,
Storia della Russia, Milano, 2008, pp. 638-642, in part. p. 638.
Lebed e A. Maskhadov, Presidente della Repubblica cecena, con il quale si stabiliva
che la Repubblica cecena avrebbe dovuto definire il proprio status di soggetto della
Federazione russa entro cinque anni dal termine del conflitto armato.
Il 23 marzo 2003, dopo la fine della seconda guerra russo-cecena, fu indetto un
ulteriore referendum, con il quale si decretò ufficialmente lo status politicoistituzionale della Cecenia, e cioè quello di una Repubblica autonoma della
Federazione russa 117.
Al fine di verificare se vi è stata una violazione del diritto all’autodeterminazione
dei popoli da parte della Federazione russa in Cecenia, è opportuno analizzare i
rapporti istituzionali intercorrenti tra i due enti.
3.2. Il rapporto istituzionale tra la Federazione russa e le sue Repubbliche
La Carta Costituzionale russa afferma nel preambolo che
« Noi, popolo plurinazionale della Federazione Russa, […] conservando l’unità dello
Stato storicamente costituita, basandoci sui principi universalmente riconosciuti di
uguaglianza dei diritti e di autodeterminazione dei popoli […] adottiamo la Costituzione
della Federazione russa » 118.
Il preambolo della Costituzione russa sancisce che i principi della tutela
dell’unità territoriale della Federazione russa, insieme a quelli universalmente
riconosciuti di uguaglianza dei diritti e di autodeterminazione dei popoli
costituiscono la base dell’ordinamento nazionale.
Ai sensi dell’art. 5 della Costituzione, la Federazione russa basa la propria
struttura federativa sul principio dell’integrità territoriale, sulla delimitazione delle
materie di competenza tra gli organi del potere centrale e gli organi dei soggetti della
Federazione, sull’uguaglianza dei diritti e sull’autodeterminazione dei popoli.
La Repubblica di Cecenia, così come gli altri soggetti della Federazione russa, è
considerata parte integrante del territorio federale
119
. Sulla base dell’art. 66, par. 1,
lo status delle Repubbliche della Federazione è determinato dalla Costituzione russa
117
Cfr. NICHOLAS V. RIASANOVSKY, Storia della Russia, cit., supra nota 116, p. 639.
Cfr. Preambolo alla Costituzione russa. Corsivo aggiunto. Il testo in italiano dellaa Costituzione della
Federazione russa è reperibile in http://didattica.spbo.unibo.it/adon/files/costituzione_russa.pdf.
119
Cfr. Art. 65, Cost.
118
in accordo con le Costituzioni delle singole Repubbliche
120
. La modifica di tale
status costituzionale è possibile solo previo accordo tra la Federazione russa e le
Repubbliche stesse, in conformità con la legge costituzionale federale.
L’integrità territoriale e la sua inviolabilità sono garantite dalla Federazione sulla
base dell’art. 4 della Costituzione. Tale articolo vieta inoltre la formazione e l’attività
di organizzazioni i cui fini siano diretti al cambiamento violento dei principi del
sistema costituzionale ed alla violazione dell’integrità territoriale della Federazione
russa, al sovvertimento della sicurezza dello Stato, alla costituzione di formazioni
armate, all’incitazione alla discordia sociale, razziale, nazionale e religiosa. Il
Presidente della Federazione inoltre si rende garante dell’integrità territoriale, sulla
base di quanto sancito dalla Costituzione 121.
Sulla base dell’art. 67 della Costituzione, il territorio della Federazione russa
« […] comprende i territori dei suoi Soggetti, le acque interne, il mare territoriale e lo
spazio aereo che li sovrasta. Gode di diritti sovrani ed esercita la giurisdizione sulla
piattaforma continentale e sulla zona economica esclusiva della Federazione Russa, secondo
le modalità specificate dalla Legge federale e dalle norme del diritto internazionale » 122.
Poiché il territorio dei soggetti federali è territorio della Federazione russa, le
Repubbliche federali non vi esercitano una piena sovranità. Sulla base dell’art. 69
della Costituzione, la Federazione garantisce i diritti delle popolazioni indigene in
conformità con i principi universalmente riconosciuti, le norme di diritto
internazionale e i trattati internazionali della Federazione russa.
Le questioni relative al possesso, all’uso ed alla disponibilità delle terre, del
sottosuolo, delle acque e delle altre risorse naturali, così come la delimitazione della
proprietà statale risultano tuttavia materia congiunta tra i soggetti della Federazione
russa e quest’ultima. La Costituzione federale separa infatti le materie che sono di
competenza esclusiva della Federazione da quelle esercitate congiuntamente con le
singole Repubbliche
123
. Ad esempio, è di competenza esclusiva della Federazione
russa sia l’organizzazione federativa che quella territoriale. Sempre la Federazione
definisce sia lo status, sia la difesa della frontiera statale, del mare territoriale, dello
spazio aereo, della zona economica esclusiva e della piattaforma continentale della
Federazione russa. Inoltre, una competenza esclusiva della Federazione riguarda la
120
Cfr. Art. 66, par. 1, Cost.
Cfr. Art. 80, par. 2, Cost.
122
Cfr. Art. 67, par. 2, Cost.
123
Cfr. Art. 71, art. 72, Cost.
121
regolamentazione e la tutela dei diritti, delle libertà dell'uomo, del cittadino e delle
minoranze nazionali.
Infine è da notare che la rappresentatività dei soggetti della Federazione russa è
garantita dall’art. 95 della Costituzione, che stabiliva che in uno dei due rami del
Parlamento russo, in particolare il Consiglio della Federazione, siedono i
rappresentanti di ciascun soggetto della Federazione, compresi dunque quelli della
Repubblica di Cecenia.
4. Le posizioni in dottrina in merito allo status da riconoscere al popolo ceceno
Sulla base di quanto affermato nel paragrafo precedente, si evince come la
Costituzione russa non preveda la modifica unilaterale dello status politico dei
soggetti della Federazione, se non nelle modalità costituzionalmente previste. Il
tentativo di secessione della Repubblica di Cecenia dalla Federazione contrasterebbe
dunque con la tutela e la garanzia dell’integrità territoriale federale.
La possibilità di secedere unilateralmente dal territorio di uno Stato sovrano è
vietata anche dal diritto internazionale. A tale proposito, occorre ricordare che nel
parere consultivo del 20 agosto 1998, la Corte Suprema canadese si è espressa in
merito alla sussistenza di un diritto unilaterale di secessione della provincia
francofona del Québec. Essa ha affermato come il diritto internazionale non
attribuisca a nessun territorio la possibilità di secedere unilateralmente dal territorio
di uno Stato sovrano poichè
« a right to secession only arises under the principle of self-determination of people at
international law where “a people” is governed as part of a colonial empire; where “a
people” is subject to alien subjugation, domination or exploitation; and possibly where “a
people” is denied any meaningful exercise of its right to self-determination within the state
of which it forms a part » 124 .
La Corte dunque ha confermato quanto il diritto internazionale stabilisce in
proposito, e cioè che un popolo può secedere dal territorio di uno Stato sovrano nel
caso in cui sia sottomesso ad un regime coloniale (a), sia soggetto ad una
124
Parere consultivo della Corte Suprema canadese del 20 agosto 1998 nel caso della Secessione del Québec, par.
3. Il testo del parere della Corte è reperibile in http://csc.lexum.umontreal.ca/en/1998/199 8scr2-217 /1998scr2217.pdf.
dominazione straniera (b), oppure quando gli venga negato il proprio diritto ad
autodeterminarsi (c).
Nel caso di specie, nessuna delle ipotesi elencate è applicabile alla Repubblica
cecena. Essa infatti non è un territorio sottoposto ad una dominazione coloniale, né
ad una dominazione straniera. Inoltre la Costituzione russa garantisce a tutti i
soggetti della Federazione, la tutela dei diritti e delle libertà, rispettando così il
principio di autodeterminazione dei popoli 125.
In dottrina si dibatte su quale sia lo status politico della Repubblica cecena in
base al diritto internazionale. L’art. 65 della Costituzione, come abbiamo già detto in
precedenza, elenca tutti i soggetti della Federazione russa. Sulla base di quanto
disposto dall’art. 137, par. 1, della Costituzione, le uniche modifiche previste all’art.
65 possono essere introdotte solo da una legge federale che preveda il cambiamento
dello status giuridico-costituzionale di un soggetto della Federazione russa
126
.
Tuttavia in dottrina sono state formulate diverse ipotesi volte a definire lo status della
Repubblica cecena che saranno esaminate più nel dettaglio nei successivi paragrafi.
La prima ipotesi prende in considerazione il caso delle Repubbliche baltiche,
poiché rappresenterebbe un precedente storico che legittimerebbe la secessione della
Repubblica cecena. La seconda ipotesi invece riterrebbe il popolo ceceno soggetto a
gravi violazioni dei diritti umani, come gli atti di genocidio, da parte dell’esercito
federale russo. La terza ipotesi consiste invece, nel poter emendare, sulla base
dell’art. 138 della Costituzione della Federazione russa, l’art. 65 della stessa
Costituzione. Si conferirebbe così alla Repubblica cecena uno status speciale,
diverso dalle altre Repubbliche della Federazione. La quarta ipotesi invece prevede
la possibilità di indire un referendum nazionale, così da definire lo status della
Repubblica cecena. Infine, l’ultima ipotesi valuta se la Repubblica cecena sia
effettivamente secessa dalla Federazione russa e se possa essere definita dal diritto
internazionale come uno Stato indipendente e sovrano. Tali ipotesi, formulate da più
autori in dottrina, saranno analizzate di seguito, con l’intento di individuare quella
che secondo il diritto internazionale generale è la più adeguata al caso ceceno 127.
125
Cfr. MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its
Relationship to the Law of Self-Determination, cit., supra nota 92, in part. p. 190.
126
Art. 137, par. 1, Cost. Corsivo aggiunto.
127
A proposito della prima ipotesi si veda Cfr. HANNUM HURST, Rethinking Self-Determination, in Virginia
Journal of International Law, 1993, pp. 18-19; Cfr. TAPPE N. TRENT, Chechnya and the State of Self-
4.1. Il precedente delle Repubbliche baltiche
Una parte della dottrina considera la Cecenia come un territorio sottoposto ad un
regime di dominazione straniera, sul presupposto che essa sia stata uno Stato de
facto, indipendente e sovrano dal 1991 al 1994
128
. Da ciò conseguirebbe la sua
possibilità a secedere in maniera unilaterale dal territorio della Federazione russa
senza violare il diritto internazionale.
Secondo questa parte della dottrina, il riconoscimento internazionale degli Stati
baltici
129
, avvenuta in maniera unilaterale agli inizi degli anni novanta del XX
secolo, dimostrerebbe che la Repubblica di Cecenia ha diritto a secedere dalla
Federazione russa
130
. Tale tesi sarebbe inoltre supportata dalla continua resistenza
del popolo ceceno al cotrollo politico ed istituzionale sia dell’Urss che della
Federazione russa, culminata con le due guerre degli anni novanta del XX
secolo
131
.
Questa tesi tuttavia verrebbe contestata da un’altra parte della dottrina, che
ritiene il caso delle Repubbliche baltiche differente da quello ceceno per diversi
aspetti. Innazitutto esse sarebbero state degli Stati indipendenti e sovrani per quasi un
ventennio, dal 1920 al 1940
132
; periodo in cui furono riconosciute come tali dalla
Comunità internazionale e divennero membri della Società delle Nazioni
133
. La
stessa Comunità internazionale condannò perdipiù la dominazione sovietica ai danni
Determination, in a Breakway Region of the Former Soviet Union: Evaluating the Legitimacy of Secessionist
Claims, in Columbia Journal Transnational Law, 1996, pp. 255-297. In merito alla seconda ipotesi invece si veda
Cfr. HANNUM HURST, The Right of Self-Determination in the Twenty-First Century, in Washington and Lee Law
Review, 1998, pp. 773-780; Cfr. GRANT D. THOMAS, A Panel of experts for Chechnya: Purposes and Prospects in
Light of International Law, in Virginia Journal of International Law, 1999, pp. 115-191. Per la terza ipotesi
invece si veda Cfr. ATROKHOV W. TURNOFF, The Khasayiurt Accords: Maintaining the Rule of Law and
Legitimacy of Democracy, in the Russian Federation Amidst the Chechen Crisis, in Cornell International Law
Journal, 1999, pp. 367-392, in part. p. 385; Infine per la quarta ipotesi si veda Cfr. WALKER W. WALKER,
Constitutional Obstacles to Peace in Chechnya in East European Constitutional Law, 1997, pp.55-60.
128
Cfr MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its
Relationship to the Law of Self-Determination, cit., supra nota 92.
129
Il 6 settembre 1991 la Repubblica di Lituania e Lettonia divennero due Stati indipendenti e sovrani dall’Urss
mentre il 20 agosto 1991 l’Estonia si separò dall’Urss.
130
Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96, in part. p.
600.
131
Ibidem.
132
La Repubblica di Estonia fu uno Stato indipendente e sovrano dal 2 febbraio 1920 fino all’invasione sovietica
durante la seconda guerra mondiale; la Lituania e la Lettonia invece, divennero indipendenti il 16 febbraio 1918 e
lo rimasero fino all’invasione sovietica nella seconda guerra mondiale.
133
Il trattato della Società delle Nazioni fu firmato il 22 settembre 1921 dall’Estonia, dalla Lettonia e dalla
Lituania.
delle Repubbliche baltiche nella seconda metà del XX secolo continuando a
riconoscere la legittimità dei loro governi in esilio.
Tali aspetti evidenzierebbero dunque una netta differenza tra il caso delle
Repubbliche baltiche e quello della Cecenia: questa infatti non è mai stata
riconosciuta formalmente né dalla Comunità internazionale né tantomeno dalla
Federazione russa. Inoltre la Cecenia non è divenuta un membro delle Nazioni Unite
anche se è stata uno Stato indipendente dal 1991 al 1994 134.
4.2 Le gravi violazioni dei diritti umani
Altri autori della dottrina hanno preso in considerazione l’ipotesi di considerare
il popolo ceceno soggetto a gravi violazioni dei diritti umani da parte della
Federazione russa. I popoli soggetti a tali violazioni infatti, potrebbero secedere
unilateralmente dal territorio dello Stato di appartenenza, responsabile delle
violazioni. In particolare, secondo una parte della dottrina, tre sarebbero le
circostanze in presenza delle quali la secessione sarebbe da ritenersi legittima:
« when authorities (1) persistently refuse to grant partecipatory rights; (2) grossly and
systematically trample upon fundamental rights; (3) deny the possibility of reaching
settlement peaceful settlement within the framework of
state structure […]
» 135 .
Secondo questa parte della dottrina, si potrebbe secedere in maniera legittima dal
territorio di uno Stato sovrano quando quest’ultimo persiste nel negare ad un popolo
il proprio diritto di partecipazione politica e di rappresentanza; quando viola in
maniera grave e sistematica i loro diritti fondamentali, oppure quando nega loro la
possibilità di raggiungere un accordo pacifico con lo Stato nazionale.
L’applicazione di tale teoria è stata tuttavia contestata da altri autori secondo i
quali la situazione politica ed istituzionale della Repubblica cecena è mutata
costantemente. Difatti le condizioni di secessione unilaterale in base alla prima e alla
terza circostanza non sono soddisfatte. La Federazione russa infatti promuovendo
una politica di decentramento sia amministrativo che politico nei confronti dei
134
Ibidem. Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96, in
part. p. 600.
135
Cfr. CASSESE A., Self-Determination of People: A Legal Reappraisal, New York, 1995, pp. 1-366, in part. p.
121.
soggetti della propria Federazione, ha garantito i diritti di partecipazione politica alle
minoranze, pacificando così i conflitti interni. Secondo questa parte della dottrina,
sarebbe improbabile legittimare la secessione della Cecenia dalla Federazione russa
anche in base alla seconda ipotesi. Il popolo ceceno infatti sarebbe stato oggetto della
grave e sistematica violazione dei diritti umani durante le deportazioni di massa in
Asia Centrale degli anni cinquanta del XX secolo da parte dell’Urss. Tuttavia questa
parte della dottrina ha ritenuto improbabile legittimare su tali basi la secessione della
Cecenia, poiché dal 1957, anno in cui il popolo ceceno è stato riabilitato all’interno
dell’Urss, e fino al 1991, anno dell’indipendenza cecena, esso non è stato più oggetto
di simili violazioni 136.
4.3 Lo status speciale della Repubblica cecena
Secondo alcuni autori, la Repubblica cecena dovrebbe godere di uno status
speciale sulla base dell’art. 66, par. 5, della Costituzione. Come abbiamo visto in
precedenza, tale articolo prevede che un soggetto federale può modificare il proprio
status in base ad un accordo con la Federazione russa.
Questa ipotesi trova un riscontro pratico nel precedente accordo tra la
Federazione russa e la Repubblica del Tatarstan. Quest’ultima, si definisce come una
Repubblica autonoma della Federazione russa. Giunta all’indipendenza il 30 agosto
1990, ha firmato il 15 febbraio 1994, un accordo con il governo russo in merito alla
delimitazione dell’autorità federale nella sfera delle sue relazioni economiche con
137
l’estero
. Tale accordo è stato considerato come un riconoscimento
dell’indipendenza del Tatarstan in materia economica da parte della Federazione
Russa
138
. Esso infatti è riconosciuto come uno Stato che può intrattenere rapporti
con l’estero e può concludere accordi con Stati terzi in materia economica. Tuttavia i
trattati internazionali che rientrano nella sfera di competenze della Repubblica del
136
Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96, in part. p.
602 e Cfr. MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its
Relationship to the Law of Self-Determination, cit. supra nota 92, in part. p. 190.
137
Per la versione in inglese dell’accordo sulla delimitazione dell’Autorità nella sfera delle relazioni economiche
all’Estero, si veda in http://www.kcn.ru/tat_en/tatarstan/agree.htm.
138
Si veda il preambolo dell’accordo sulla delimitazione dell’Autorità nella sfera delle relazioni economiche
all’Estero, nella parte in cui si afferma che « The Government of the Russian Federation and the Government of
the Republic of Tatarstan, further referred to as the “Parties”, taking into account the Declarations on State
Sovereignty of the Russian Federation and the Republic of Tatarstan […] ».
Tatarstan non devono contravvenire alle norme federali e alla Costituzione russa.
Questo precedente costituzionale rappresenta dunque un ottimo modello di
indipendenza in materia economica per la Repubblica cecena 139.
Tuttavia il conferimento di uno status speciale alla Repubblica cecena si
presterebbe a non poche difficoltà. Infatti un tale riconoscimento istituzionale
richiederebbe una modifica dell’art. 65 della Costituzione oppure l’emanazione di
una legge federale ad hoc che non infranga le disposizioni costituzionali a garanzia
della sovranità della legge federale su tutto il territorio.
4.4 Un referendum per determinare lo status della Repubblica cecena
Un’altra ipotesi formulata in dottrina prevederebbe la possibilità di indire un
altro referendum nazionale, oltre a quello costituzionale del marzo 2003, per definire
lo status della Repubblica cecena. Le basi giuridiche di questa ipotesi si riscontrano
all’art. 3 della Costituzione russa, secondo la quale
« Titolare della sovranità ed unica fonte del potere nella Federazione Russia è il suo
popolo plurietnico. Il popolo esercita il proprio potere direttamente ed anche attraverso gli
organi del potere statale e gli organidi autogoverno locale. Massima espressione diretta del
potere del popolo sono il referendum e le libere elezioni.Nella Federazione Russa nessuno
può appropriarsi del potere. L’usurpazione del potere o l’approvazionedi poteri
plenipotenziari sono puniti in base alla Legge federale » 140.
L’art. 3 dunque sancisce come il popolo multietnico russo sia l’unica fonte del
potere ed il titolare della sovranità della Federazione; inoltre decreta il referendum e
le libere elezioni essere gli strumenti di massima espressione popolare. Infine anche
gli articoli 135 e 136 della Costituzione sono considerati dalla dottrina la base
normativa sulla quale si poggia l’ipotesi del referendum costituzionale, poiché essi
trattano le modalità del processo di revisione costituzionale 141.
139
Cfr. DANILENKO M. GENNADY, The New Russian Constitution and International Law, in American Journal of
International Law, 1994, pp.451-470, in part. p. 462.
140
Art. 3, Cost. Corsivo aggiunto.
141
L’art. 135 afferma che « […] 3. L’Assemblea Costituzionale o conferma l’immutabilità della Costituzione
della Federazione Russa, oppure elabora un progetto di nuova Costituzione della Federazione Russa che viene
adottato dall’Assemblea Costituzionale con due terzi dei voti del numero complessivo dei suoi Membri, o viene
sottoposta al voto di tutto il popolo. Con l’esercizio dei voto di tutto il popolo la Costituzione della Federazione
Russa è considerata approvata se a favore di essa ha votato più della metà degli elettori che hanno preso parte alla
votazione, a condizione che ad essa abbia partecipato più della metà degli elettori ». L’art. 136 afferma invece
che « Le modifiche ai capi 3-8 della Costituzione della Federazione Russa vengono approvate secondo le
modalità previste per l’approvazione di una Legge costituzionale federale ed entrano in vigore dopo la loro
4.5 La Repubblica cecena: uno Stato de facto
Una parte della dottrina ritiene che la Repubblica cecena non ha mai violato né la
Costituzione russa né il diritto all’integrità territoriale della Federazione poiché non
ha mai fatto parte del territorio federale russo
142
. Infatti, nonostante l’art. 65 della
Costituzione ne definisca lo status di soggetto della Federazione russa, si ritiene che
al momento dell’entrata in vigore della Costituzione, la Cecenia era uno Stato
indipendente e sovrano, ragion per cui non potrebbe essere definita una Repubblica
della Federazione russa
143
. Inoltre, secondo questa parte della dottrina, la Cecenia
non avrebbe preso parte al processo di formazione della Federazione russa poiché
non ha firmato né il suo trattato istitutivo né la Costituzione 144. La Federazione russa
avrebbe violato dunque il diritto all’autodeterminazione del popolo ceceno, sancito
dal preambolo e dall’art. 5, par. 3, della Costituzione federale 145.
Il diritto internazionale generale, incoraggiando il processo di decolonizzazione
del XX secolo, ha posto dei limiti alle rivendicazioni secessioniste avanzate fuori dal
contesto coloniale, ed ha vietato qualunque azione compiuta al fine di minacciare
l’integrità territoriale di uno Stato sovrano 146.
Nel caso di specie, bisogna comprendere quando la Repubblica di Cecenia si sia
costituita come uno Stato indipendente e sovrano, come inteso nel diritto
internazionale generale. A tale proposito, è opportuno fare riferimento alla
Convenzione di Montevideo del 1933 il cui art. 1 stabilisceche
« The state as a person of international law should possess the following qualifications:
(a) a permanent population; (b) a defined territory; (c) government; and (d) capacity to enter
ratifica da parte degli organi del potere legislativo di non meno di due terzi dei Soggetti della Federazione Russa
».
142
Cfr. ATROKHOV TURNOFF W., The Khasavyurt Accords: Maintaining the Rule of Law and Legitimacy of
Democracy in the Russian Federation Amidst the Chechen Crisis, in Cornell International Law Journal, in part.
p. 368
143
Ibidem.
144
Ibidem.
145
Nel preambolo della Costituzione si afferma che « Noi, popolo plurinazionale della Federazione Russa, […]
basandoci sui principi universalmente riconosciuti di uguaglianza dei diritti e di autodeterminazione dei popoli,
[…] adottiamo la costituzione della Federazione russa ». L’art. 5, par. 3 afferma che « La struttura federativa
della Federazione Russa è fondata sulla sua integrità statale, sull’unità del sistema del potere statale, sulla
delimitazione delle materie di competenza e dei poteri tra gli organi del potere statale della Federazione Russa e
gli organi del potere statale dei Soggetti della Federazione Russa sull’uguaglianza dei diritti e
sull’autodeterminazione dei popoli della Federazione Russa ».
146
Dichiarazione sui principi di diritto internazionale sulle relazioni amichevoli tra Stati in accordo con la Carta
delle Nazioni Unite, cit., supra nota 95.
into relations with the other states » 147.
Il diritto internazionale riconosce dunque uno Stato un ente che possiede una
propria popolazione, un proprio territorio, un proprio governo e detiene la capacità di
instaurare relazioni con Stati terzi. La Repubblica cecena dimostra di essere in
possesso di tutti i requisiti per poter essere riconosciuta come uno Stato de facto,
indipendente e sovrano. Tuttavia non è stata in grado di instaurare relazioni
internazionali con Stati terzi, a causa della Federazione russa, che ha sempre
minacciato ripercussioni diplomatiche nei confronti di tutti gli Stati che avessero
riconosciuto la Repubblica cecena come uno Stato
148
. È su quest’ultima
considerazione che parte della dottrina ritiene questa terza ipotesi come la meno
praticabile rispetto alle altre appena trattate.
4.6 Considerazioni finali al paragrafo
Dall’analisi appena compiuta, si evince come il caso della Repubblica cecena
non sia di facile soluzione. Infatti come abbiamo avuto modo di vedere, in dottrina
esistono diverse posizioni in merito alla definizione dello status giuridico da
riconoscere alla Cecenia. Tuttavia, possiamo affermare come gran parte della
dottrina convenga nel ritenere illecito il tentativo della Cecenia di secedere
unilateralmente dalla Federazione russa. Tale ipotesi infatti violerebbe il diritto alla
tutela dell’integrità territoriale federale. Riteniamo che tra le proposte riportate, la
soluzione più adeguata al caso di specie sia quella di conferire uno status speciale
alla Repubblica cecena da parte della Federazione russa. Infatti il mutamento dello
status dei soggetti della Federazione russa, previsto dalla Costituzione federale,
permetterebbe la tutela dell’integrità territoriale russa e garantirebbe alla Repubblica
cecena un elevato livello di autonomia, eliminando le tensioni esistenti tra le parti nel
rispetto anche del principio di autodeterminazione interna dei popoli.
In considerazione di ciò, la Costituzione cecena, entrata in vigore il 2 aprile
2003, ha permesso alla Cecenia di iniziare un processo volto ad ottenere un livello
147
La Convenzione di Montevideo sui diritti e doveri degli Stati, Montevideo, 1933. Il testo originale della
convenzione è reperibile in http://www.taiwandocuments.org/montevideo01.htm.
148
ATROKHOV TURNOFF WENDY, The Khasavyurt Accords: Maintaining the Rule of Law and Legitimacy of
Democracy in the Russian Federation Amidst the Chechen Crisis, cit. supra nota 143, in part. p. 391
sempre maggiore di indipendenza ed autonomia all’interno della Federazione russa.
Nel prossimo paragrafo analizzeremo la Costituzione cecena allo scopo di verificare
se la Federazione russa abbia rispettato il principio di autodeterminazione interna del
popolo ceceno.
5. Il diritto all’autodeterminazione interna del popolo ceceno
Secondo il diritto internazionale, il principio di autodeterminazione dei popoli
non prevede l’obbligo di imporre agli Stati di godere del consenso della maggioranza
dei cittadini, di garantire libere e democratiche elezioni oppure di avallare le
aspirazioni secessionistiche di regioni, province o repubbliche interne allo Stato
149
.
Tuttavia la Comunità internazionale va sempre più insistendo sulla necessità che nel
diritto internazionale si affermino i valori di una genuina democrazia. Diverse
organizzazioni internazionali, sia universali che regionali, propugnano dichiarazioni
volte al raggiungimento di tale scopo, mentre i paesi sviluppati ratificano trattati
internazionali di cooperazione con paesi in via di sviluppo, ponendo come
condizione fondamentale per la cooperazione la democraticità dei governi nazionali
150
.
Tuttavia lo stato effettivo del diritto internazionale generale è ben lungi dal
corrispondere ai valori democratici propugnati nei trattati internazionali
151
. Parte
della dottrina ritiene che sebbene il diritto internazionale non imponga
l’autodeterminazione interna dei popoli, esso obblighi comunque gli Stati a
proteggere quei governi che si sono affermati con libere elezioni
152
. Tuttavia si
osserva che nella prassi internazionale tale obbligo è stato spesso disatteso dagli Stati
153
. Nel diritto internazionale infine rimane la questione centrale se il diritto
all’autodeterminazione interna corrisponda al diritto di un popolo a godere di un
governo democratico, i cui i diritti fondamentali, compresi quelli di rappresentanza
149
Cfr. CONFORTI B., Diritto internazionale,cit., supra nota 84, in part. p. 26.
Nel caso di specie di veda la Dichiarazione di Varsavia « Verso una comunità di democrazie » del 27 giugno
2000, di cui la Federazione russa è parte contraente. Per il testo della Dichiarazione si veda in http://communitydemocracies.org/index.php?option=com_content&view=article&id=16:warsaw-declarati
on&catid=17:ministerial-declarations&Itemid=62. Si veda anche il Documento della riunione di Copenhagen
della CSCE sulla Dimensione Umana del 26 giugno 1990. Il testo del documento è reperibile in
http://www.osce.org/documents/odihr/2006/06/19392_en.pdf.
151
Cfr. CONFORTI B., Diritto internazionale,cit., supra nota 84, in part. p. 26.
152
Ibidem.
153
Ibidem.
150
politica, siano garantiti e se in caso di violazione di tale diritto un popolo ha diritto a
secedere territorialmente dallo Stato.
In tale dibattito si inserisce la questione, che intendiamo in questa sede
analizzare, se il popolo ceceno goda del diritto all’autodeterminazione interna dei
popoli all’interno della Federazione russa. A tal proposito analizzeremo sia
l’adozione della Costituzione cecena avvenuta tramite referendum il 23 marzo 2003
sia un rapporto della Commissione Venezia del 15 marzo del 2003 sulla
democraticità del disegno costituzionale ceceno.
5.1 Il referendum costituzionale ceceno del 23 marzo 2003
In seguito al referendum del 23 marzo 2003, la Repubblica di Cecenia ha
adottato la nuova Costituzione, entrata in vigore il 2 aprile dello stesso anno.
Il referendum si basava su tre quesiti: (a) il primo requisito concedeva la
possibilità al popolo ceceno di scegliere se adottare o meno una nuova Costituzione
per la Repubblica cecena; (b) il secondo requisito invece chiamava i cittadini ceceni
ad approvare un disegno di legge in merito all’elezione del Presidente della
Repubblica; (c) infine, il terzo prevedeva l’approvazione di un disegno di legge per
come eleggere i membri del Parlamento della Repubblica cecena 154.
La possibilità di scegliere se accettare o meno la sovranità della Federazione
russa e quindi lo status di Repubblica federale, rappresentava per il popolo ceceno
una grande possibilità, quella cioè di poter manifestare la propria volontà attraverso
le strutture democratiche federali. Tuttavia non gli fu concessa la possibilità di
secedere dal territorio federale nonostante il progetto costituzionale della Repubblica
cecena, proposto dalla Federazione russa, fosse stato
bocciato 155. La Federazione
russa avrebbe dovuto assicurare dunque il corretto svolgimento del referendum,
poiché in caso contrario, si sarebbe violato il diritto all’autodeterminazione interna
del popolo ceceno.
Una parte della dottrina ritiene che tale referendum, sia da considerarsi
154
nullo
MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its
relatioship to the Law of Self-Determination, cit., supra nota 92, in part. p. 192.
155
Ibidem.
156
. Molte organizzazioni internazionali hanno contestato e posto in dubbio la validità
del referendum per diverse ragioni. Innanzitutto, i soldati dell’esercito russo presenti
sul territorio ceceno poterono votare anch’essi, favorendo così l’adozione della
nuova Costituzione cecena. Inoltre, da rapporti redatti da alcuni organismi
internazionali risulta che i cittadini ceceni hanno subito la pressione e le minacce di
rapimenti, torture o maltrattamenti da parte dei soldati russi, affinché votassero a
favore della Costituzione 157.
Secondo questa parte della dottrina, è evidente come il comportamento del
governo russo e dell’esercito federale sia risultato in violazione del diritto
all’autodeterminazione interna del popolo ceceno. Il Governo infatti non avrebbe
garantito ai cittadini ceceni delle libere e democratiche elezioni.
Alla luce di tali considerazioni, si deve ritenere che la Comunità internazionale
non dovrebbe riconoscere la legalità della nuova Costituzione cecena fintantoché non
venga indetto un nuovo referendum costituzionale che si svolga nel rispetto dei
principi democratici riconosciuti 158.
5.2 La Costituzione della Repubblica di Cecenia analizzata sulla base del
rapporto della Commissione Venezia del 15 marzo 2003.
Il 17 gennaio 2003 il Presidente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio
d’Europa ha chiesto alla Commissione Venezia un’opinione in merito alla
democraticità del disegno costituzionale della Repubblica cecena
159
. Quest’ultima
nel rapporto finale pubblicato il 15 marzo 2003, ha affermato che, prescindendo il
proprio giudizio dal contesto politico e dalle condizioni nelle quali il voto ha avuto
luogo, ha ritenuto il disegno costituzionale ceceno conforme agli standard
democratici europei.
156
Ibidem.
Si veda in proposito la Dichiarazione della House of Representatives della Commissione per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa del 27 marzo 2003. Il testo della Dichiarazione è reperibile in
http://csce.gov/index.cfm?FuseAction=ContentRecords.ViewDetail&ContentRecord_id=184&Region_id=101&I
ssue_id=61&ContentType=S&ContentRecordType=S&CFID=26343215&CFTOKEN=2308365.
158
Cfr. MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its
relatioship to the Law of Self-Determination, cit., supra nota 92, in part. p. 192.
159
La Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, nota come Commissione Venezia, ha
pubblicato le opinioni sulla disegno costituzionale ceceno sia in inglese che in francese. Il presente lavoro si
riferisce alla versione in inglese, Opinion on the Draft Constitution of the Chechen Republic, Strasbourg, 14-15
March 2003, CDL-AD (2003) 2, il cui testo è reperibile in http://www.venice.coe.int/ docs/2003/CDLAD(2003)002-e.asp.
157
Sulla base di tale rapporto, riteniamo opportuno analizzare il testo costituzionale
ceceno affinché si possa verificare se la Federazione russa abbia garantito al popolo
ceceno il diritto alla propria autodeterminazione interna.
5.2.1 Aspetti generali
Nel disegno costituzionale ceceno si è affermato come la Repubblica cecena sia
un soggetto della Federazione russa. Nel preambolo si fa espressamente riferimento
all’unità storica che la Repubblica cecena ha con la Federazione russa, stabilendo che
« Nous fondant sur les principes universellement reconnus d’égalité en droit et
d’autodétermination des peuples, partant de la responsabilité devant le passé, le présent et
l’avenir de la société et du peuple, témoignant de sa communauté historique avec la Russie
et son peuple multinational, confirmant la meilleure tradition des peuples de la République
Tchétchène et de toute la Fédération de Russie » 160.
L’art. 1, par. 1, della Costituzione sancisce che la sovranità della Repubblica
cecena si esprime attraverso l’esercizio della sua autorità legislativa, giudiziaria ed
esecutiva. I suddetti poteri vengono riconosciuti come elementi inalienabili della
Repubblica cecena, da esercitarsi in conformità con i poteri della Federazione russa.
Inoltre il par. 2 afferma che la Repubblica cecena è parte costituente ed indivisibile
della Federazione russa.
Secondo quanto riportato dalla relazione della Commissione Venezia, il termine
“sovranità”, utilizzato nell’art. 1, par. 1, risulta essere inappropriato per un soggetto
federale, tanto che la Corte Costituzionale russa lo ha ritenuto incostituzionale. In
realtà, esso deve essere, ad avviso della Commissione, inteso come sinonimo di
“competenza” o di “potere” 161.
La Commissione Venezia ha analizzato il disegno costituzionale della Repubblica
cecena in parallelo con la Costituzione della Federazione russa, dichiarando in
proposito che
160
Preambolo della Costituzione della Repubblica di Cecenia. Il testo tradotto in francese dell’intera Costituzione
cecena è reperibile in http://www.venice.coe.int/docs/2003/CDL(2003)007-f.pdf. Corsivo aggiunto.
161
Par. 4 del rapporto della Commissione.
« the draft closely follows the model of the Federal Constitution. Not only is the
structure very much the same but large parts of the text are directly copied from the Federal
162
Constitution, in particular but not only in the area of human rights » .
Secondo la Commissione, infatti, il disegno costituzionale ceceno seguirebbe in
maniera fedele non soltanto il modello della Costituzione federale, ma ne
riprenderebbe in gran parte anche il testo. Essa ha ritenuto che l’intento perseguito
dalla Federazione russa è stato quello di sottolineare come la Repubblica cecena non
godrebbe di nessun riconoscimento speciale ma sarebbe ritenuta come un qualunque
altro soggetto del sistema federativo nazionale 163.
5.2.2 La lingua nazionale della Repubblica cecena
Nel suo rapporto, la Commissione ha altresì sottolineato come nel disegno
costituzionale non è stato fatto alcun tipo di riferimento al popolo ceceno come
l’unico popolo nazionale della Repubblica federale. Infatti il preambolo della
Costituzione si riferisce al popolo multinazionale della Repubblica cecena, così come
la Costituzione federale si rivolge al popolo multinazionale della Federazione russa.
La Commissione ha affermato pertanto che
« it is certainly welcome that in this way there is no basis for any discrimination on
ethnic grounds. Nevertheless a reference to the Chechen people or the term “people of the
Chechen Republic” might have facilitated the identification of the Chechen people with the
Republic. The multinational character of the Republic could be underlined in a separate
phrase as is done in other Republics » 164 .
Se da una parte si evita così qualunque tipo di discriminazione di natura etnica,
dall’altra parte però si limita la costruzione di un’identità collettiva del popolo
ceceno che si identifichi con la Repubblica cecena.
Un ulteriore aspetto analizzato dalla Commissione, riguarda il diritto
riconosciuto alle Repubbliche della Federazione russa di stabilire autonomamente le
proprie lingue di Stato. In una società multinazionale, come quella russa, tale aspetto
ricopre un’importanza rilevante a livello sociale e civile. L’art. 68 della Costituzione
162
Par. 5 del rapporto della Commissione.
Si veda il par. 5 del rapporto della Commissione in cui si afferma che « this already seems to indicate that the
purpose of the draft is to underline the future of the Republic as a part of the Russian Federation like any other
without any specific status ».
164
Ibidem par. 7.
163
russa, disciplinando in maniera esaustiva l’argomento, promuove lo sviluppo e lo
studio delle lingue materne delle Repubbliche federali 165.
Nonostante le garanzie costituzionali previste dall’art. 68, la Commissione ha
ritenuto che la Federazione russa non ha riconosciuto pari opportunità linguistiche al
popolo ceceno. Infatti l’art. 10, par. 1 della Costituzione cecena ha previsto che «The
state languages of the Chechen Republic shall be the Chechen and Russian languages
». Quindi sia la lingua russa che quella cecena sono considerate le lingue ufficiali
dello Stato. Tuttavia, al par. 2, si è affermato che « The Russian language shall be the
medium of communication between nations and the language of official office work
in the Chechen Republic »
166
. E’ evidente che l’utilizzo della lingua russa come
unica lingua ufficiale nel settore pubblico ceceno, precluda quanto disposto dal
primo paragrafo, limitando dunque le libertà e i diritti dei cittadini ceceni. In questa
maniera sono state disattese le garanzie costituzionali federali, previste dall’art. 68,
volte allo sviluppo e allo studio della lingua materna delle Repubbliche russe 167.
5.2.3 La tutela dei diritti umani nella Costituzione cecena
Secondo quanto affermato dalla Commissione Venezia, la parte II della
Costituzione cecena, riguardante la tutela e la salvaguardia dei diritti e delle libertà
degli individui, riprenderebbe quasi interamente quella della Costituzione russa
168
.
La Commissione sottolinea tuttavia che tre articoli, che garantiscono i diritti
fondamentali degli individui, differiscono da quelli della Costituzione federale
riducendo così i diritti e le libertà degli individui.
Ai sensi dell’art. 17, che riporta il diritto alla vita, si afferma che « every person
165
L’art. 68 della Costituzione riporta che «1. La lingua di Stato della Federazione Russa in tutto il suo territorio
è la lingua russa; 2. Le Repubbliche hanno il diritto di stabilire le proprie lingue di Stato. Negli organi del potere
statale, negli organi di autogovemo locale e negli enti statali delle Repubbliche esse vengono usate assieme alla
lingua di Stato della Federazione Russa; 3. La Federazione Russa garantisce a tutti i suoi popoli il diritto alla
conservazione della lingua materna e la creazione delle condizioni per il suo studio e sviluppo »
166
Art. 10, par. 2 della Costituzione della Repubblica cecena.
167
La Commissione Venezia ha inoltre criticato l’art. 10 della Costituzione cecena, anche alla luce della firma
della Federazione russa della Carta Europea delle lingue Regionali o Minoritaria. La Federazione russa ha firmato
la Carta Europea delle lingue Regionali o Minoritaria il 10 maggio 2001. La Carta prevede nella parte II, gli
obiettivi e i principi che gli Stati membri devono perseguire. Essi si impegnano infatti a eliminare ogni
distinzione, esclusione o restrizione ingiustificata che minacciano l’uso della lingua regionale o minoritaria. Per la
versione in italiano della Carta si veda in http://conventions.coe.int/ Treaty/ITA/Treaties/ Html/148.htm.
168
Si veda quanto riportato nel par. 14 del parere della Commissione « The draft explicitly opts in Article 3 for
the incorporation of the respective provisions of the Federal Constitution into its text and correspondingly
Articles 14 et seq. are a generally faithful copy of the respective provisions of the Federal Constitution ».
has the right to life. No one can be deprived of life arbitrarily»
169
. La Commissione
ha ritenuto che tale articolo riduce in maniera non intenzionale la protezione dei
diritti dell’individuo poiché potrebbe essere interpretato come legittimante il ricorso
alla pena di morte 170.
Inoltre, il diritto a ricorrere dinanzi agli organi internazionali per la difesa dei
diritti e delle libertà dell’uomo sancito dall’art. 46, par. 3, della Costituzione russa, è
stato omesso nel corrispettivo art. 43 della Costituzione cecena 171.
Infine, l’art. 53 sullo stato d’emergenza, contrariamente al corrispettivo art. 56
della Costituzione federale, non contiene nessuna lista di diritti umani che non
possono essere vietati in caso venisse proclamato uno stato d’emergenza.
La Commissione ha ritenuto dunque che le norme costituzionali sui diritti e sulle
libertà degli individui presentano limitazioni maggiori rispetto a quelle federali.
Tuttavia essa ha dichiarato che
« Nevertheless it has to be acknowledged that the practical relevance of these
shortcomings seems limited since such situations will be determined in any case on the basis
of Federal law » 172.
La Commissione ha lasciato così intendere che, seppure abbia riscontrato una
limitazione delle libertà degli individui rispetto alla Costituzione federale, quella
cecena si presenta come una Costituzione rispettosa degli standard democratici
europei in materia di diritti umani, ed ha affermato che
« The above analysis of the draft has shown that it is mainly guided by the intention to
emphasise the status of the Chechen Republic as a subject of the Federation on an equal
footing with the other subjects. […] the Constitution will allow the establishment of a new
tier of institutions at the level of the Republic which act as a means of legitimate
interlocution between the Republic and the Federal institutions. It may thus be a first step
leading to a further process of devolution of powers to the Republic on the basis of the
possibilities offered by the Federal Constitution » 173 .
Secondo l’analisi della Commissione, la Federazione russa ha enfatizzato lo
status giuridico della Repubblica cecena, ponendolo su un piano di assoluta parità
169
Art. 17 della Costituzione della Repubblica cecena.
Par. 15 del parere della Commissione.
171
La Costituzione federale, in base all’art. 46, par. 3, garantisce, sulla base dei trattati internazionali ratificati
dalla Federazione russa, il diritto di ricorrere dinanzi agli organi inter statuali per la difesa dei diritti e delle libertà
dell’uomo se sono stati esperiti tutti i mezzi disponibili dì tutela giuridica interni allo Stato. Mentre il
corrispondente articolo 43 della Costituzione della Repubblica cecena non prevede una tale possibilità.
172
Par. 15 del parere.
173
Opinion on the Draft Constitution of the Chechen Republic, Strasbourg, 14-15 March 2003, CDL-AD (2003)
2, cit., supra nota 160, par. 39.
170
con gli altri soggetti della Federazione. Tuttavia la Commissione ha ritenuto questo
progetto costituzionale essere uno strumento giuridico necessario alle istituzioni
repubblicane, per poter iniziare un processo di devoluzione dei poteri, dal governo
federale a quello repubblicano, e godere così di un maggiore indipendenza
istituzionale.
5.3 Conclusioni al paragrafo
In quest’ultimo paragrafo abbiamo analizzato, sotto due diversi punti di vista, il
diritto del popolo ceceno all’autodeterminazione interna. Da una parte abbiamo
analizzato le modalità con cui il referendum si è svolto il 23 marzo 2003, dall’altra la
Costituzione cecena, la quale nonostante le critiche ricevute dalla Commissione
Venezia, ha risposto agli standard democratici occidentali.
In conclusione, riteniamo tuttavia che la Federazione russa abbia violato il diritto
all’autodeterminazione interna del popolo ceceno. Infatti nonostante la Costituzione
della Repubblica cecena preveda dei futuri possibili sviluppi istituzionali, che
permetterebbe al popolo ceceno di godere di una maggiore autonomia interna,
riteniamo che la violazione sia avvenuta nel momento in cui il referendum è stato
indetto dal governo russo. Così come ha riportato il 27 marzo 2003 anche dalla
Commissione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, nota anche come
Commissione Helsinki, le modalità in cui il referendum si è svolto sono da
considerarsi illegittime, quindi il referendum doveva considerarsi nullo, poiché le
minacce e le ritorsioni fatte dai militari russi ai civili ceceni avrebbero invalidato il
risultato elettorale 174.
174
La Commissione per la sicurezza e la Cooperazione in Europa è un’agenzia governativa statunitense creata nel
1976 al fine di monitorare e incoraggiare il rispetto dei principi fissati dagli Stati durante l’Atto Finale di Helsinki
e dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Si veda la Dichiarazione della House of
Representatives della Commissione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa del 27 marzo 2003, cit., supra
nota 157.
6.
La
Comunità
internazionale
e
la
legittimazione
del
diritto
all’autodeterminazione esterna dei popoli in un contesto post-coloniale: il caso
del popolo ceceno, kosovaro e timorese.
Rimane ora da analizzare la questione, assai dibattuta in dottrina, se il principio
di autodeterminazione dei popoli, applicato ai contesti di natura post-coloniale. Una
parte della dottrina infatti, ritiene che tale principio non possa essere applicato al di
fuori del periodo di colonizzazione e non possa quindi essere usato come base
giuridica per legittimare i tentativi di secessione di un popolo da uno Stato sovrano;
un’altra parte della dottrina ritiene invece legittima la sua applicabilità anche nel
periodo post-coloniale 175.
Nel nostro caso, poiché il tentativo indipendentistico ceceno rietra perfettamente
all’interno di questo dibattito dottrinale, riteniamo opportuno analizzarlo in maniera
comparata con il caso del popolo kosovaro e con quello del popolo timorese. Il caso
del popolo ceceno e quello del popolo kosovaro presentano diversi aspetti similari,
non soltanto perché hanno avuto luogo nel medesimo contesto temporale, ma perché
entrambi i popoli si identificano come minoranza etnica e rivendicano per tale
ragione un maggiore livello di autonomia e indipendenza dallo Stato di appartenenza.
Anche il caso dell’isola di Timor Est presenta aspetti comuni con i primi due casi,
tuttavia si differenzia da entrambi per alcuni aspetti particolari che saranno affrontati
nel corso di questo paragrafo.
Tale analisi avrà l’obiettivo di ricostruire le diverse reazioni che la Comunità
internazionale ha avuto in merito alle pretese indipendentistiche di ciascuno dei tre
popoli in un contesto post-coloniale. Individueremo i requisiti che, secondo le
Nazioni Unite, sono ritenuti fondamentali affinché si legittimi il tentativo di
secessione di un popolo dal proprio Stato territoriale sulla base del principio di
autodeterminazione dei popoli in un contesto post-coloniale.
175
Per un’ampia analisi del dibattito, Cfr. SIMPSON J. GERRY, The diffusion of Sovereignty: Self-Determination in
the Postcolonial Age, in Stanford Journal of International Law, 1996, pp. 255-287. Cfr. HANNUM HURST, The
Right of Self-Determination in the Twenty-First Century, in Washington and Lee Law Review, 1998, pp. 773-781.
Cfr. LUNG-CHU CHEN, Self-Determination and the World Public Order, in Notre Dame Law Review, 1991,
pp.1287-1302.
6.1 Il caso ceceno e quello kosovaro
È interessante analizzare le reazioni della Comunità internazionale in merito ai
tentativi indipendentistici sia del Kosovo che della Cecenia degli anni Novanta del
XX secolo.
Le Nazioni Unite hanno compiuti maggiori sforzi nei confronti del Kosovo
rispetto alla Cecenia, affinché ottenesse un livello di autonomia maggiore all’interno
del territorio dello Stato sovrano di appartenenza, in tal caso parliamo della ex
Repubblica Federale jugoslava
176
. Non può dirsi altrettanto per quanto riguarda il
caso ceceno 177, in cui le flebili condanne da parte della Comunità internazionale non
hanno fatto alcun tipo di riferimento al diritto all’autodeterminazione del popolo
ceceno 178.
Sulla base di quanto affermato, riteniamo opportuno approfondire l’analisi
comparata dei due casi, in modo da avere una visione più dettagliata dell’argomento.
In entrambi i casi, sia il popolo ceceno che quello kosovaro hanno combattuto
contro gli Stati di appartenenza per molti anni, cercando di affermare la loro identità
etnica, linguistica e culturale al loro interno
179
. I kosovari albanesi riuscirono ad
ottenere dalla Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia (RFSJ) un livello di
autonomia amministrativa maggiore rispetto agli altri soggetti della Federazione. In
seguito però, la neonata Repubblica Federale di Jugoslavia (RFY) revocò tale
176
Si veda a tal proposito il par. 5 della ris. n. 1160 del 1998 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in
cui si afferma che la soluzione al conflitto deve essere prese alla luce del diritto all’integrità della Repubblica
Federale di Jugoslavia ma anche nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite e dell’Atto Finale della Conferenza
di Helsinki sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa del 1975. Tale soluzione tuttavia « must also take into
account the rights of the Kosovar Albanians and all who live in Kosovo, and expresses its support for an
enhanced status for Kosovo which would include a substantially greater degree of autonomy and meaningful selfadministration ». Nella ris. 1199, così come nella ris. 1203 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del
1998, si riafferma quanto sancito nella ris.1160 in merito allo status del Kosovo. Mentre la ris. n. 1244 del 1999
del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, autorizzava « the Secretary-General, with the assistance of
relevant international organizations, to establish an international civil presence in Kosovo in order to provide an
interim administration for Kosovo under which the people of Kosovo can enjoy substantial autonomy within the
Federal Republic of Yugoslavia, and which will provide transitional administration while establishing and
overseeing the development of provisional democratic selfgoverning institutions to ensure conditions for a
peaceful and normal life for all inhabitants of Kosovo ». Le seguenti risoluzioni sono reperibili in
http://www.un.org/ Docs/scres/1998/scres98.htm.
177
Non esiste allo stato attuale nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che condanni
le operazioni militari dell’esercito russo in Cecenia, né altre che abbiano fatto riferimento all’autonomia o ad un
maggior livello di indipendenza della Cecenia all’interno della Federazione russa. Cfr. CHARNEY I. JOHNATAN,
Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, in Vanderbilt Journal Of Transnational
Law, 2001, pp. 455-467.
178
Ibidem.
179
Cfr. JELAVICH BARBARA, History of the Balkans,Vol. 1: Eighteenth and Nineteenth Centuries, New York,
1983, pp. 4-39. Cfr. DUNLOP B. JOHN, Russia Confronts Chechnya Roots of a Separatist Conflict, New York, 1998,
pp. 24-51.
autonomia, reprimendo le libertà e le concessioni amministrative riconosciute alla
provincia kosovara
180
. I kosovari albanesi cercarono invano la risoluzione pacifica
del conflitto con la Repubblica Federale di Jugoslavia, tendando di preservare la loro
autonomia all’interno della Repubblica
181
, solo in extrema ratio si formò l’Esercito
di Liberazione del Kosovo, ricorrendo alla lotta armata per ottenere l’indipendenza
dalla Repubblica jugoslava 182.
Le Nazioni Unite insieme con la Nato tentarono invano la via della risoluzione
pacifica del conflitto interno, prima di optare per l’intervento militare a protezione
della minoranza kosovara. La Nato agì militarmente il 24 marzo 1999 in maniera
unilaterale per pacificare la regione balcanica e per porre fine alle gravi violazioni
dei diritti umani in Kosovo
183
mentre il 10 giugno 1999 il Consiglio di Sicurezza,
con la ris. n. 1244, autorizzò il Segretariato Generale e le organizzazioni
internazionali a stabilire una presenza civile internazionale in Kosovo, al fine di
pacificare la regione e garantire al popolo kosovaro un sostanziale livello di
autonomia all’interno della Federazione jugoslava 184.
Le dinamiche che portarono invece la Repubblica di Cecenia a dichiararsi uno
Stato de facto, furono diverse. Innanzitutto essa, in seguito al referendum del 27
ottobre 1991, si dichiarò indipendente dalla Federazione russa il 1° novembre 1991
in maniera unilaterale, ricorrendo all’uso della forza armata nella stessa maniera con
180
Sulla base della Costituzione della Repubblica Socialista di Jugoslavia, il Kosovo godeva dello status di
provincia autonoma della Repubblica. L’art. 1 della Costituzione infatti afferma che il « Kosovo and Vojvodina
constituent part of the Socialist Republic of Serbia […] the two provinces had their own direct representation on
the federal level, their own constitutions, and broad autonomy in the economic sphere ». La Costituzione del 1989
fu emendata dalla Serbia, la quale ritirò le autonomie di cui godeva il Kosovo, ed iniziò una campagna di pulizia
etnica, deportazioni, arresti di massa e intimidazioni politiche ed economiche. Per una lettura più approfondita
dell’argomento Cfr. HUMAN RIGHTS WATCH, Yugoslavia: Crisis in Kosovo, 1990, il testo è reperibile in
http://www.unhcr.org/refworld/publisher,HRW,SVN, 467fca3a1d,0.html. Cfr. CHARNEY I. JOHNATAN,
Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, cit., supra nota 177, in part. p. 458.
181
Nel 1991 i kosovari albanesi organizzarono un referendum sullo status costituzionale del Kosovo ritenuto
illegittimo dal Governo jugoslavo. Il 99% dei votanti votò a favore dell’indipendeza. Il 24 maggio 1992 per le
elezioni del Parlamento kosovaro parteciparono al voto 821.588 elettori. Per un’analisi dettagliata si veda Cfr.
CHARNEY I. JOHNATAN, Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, cit., supra nota
177, in part. p. 461.
182
Ibidem.
183
Ibidem.
184
Si veda infatti la ris. 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite al par. 10, nel quale si afferma che «
Authorizes the Secretary-General, with the assistance of relevant international organizations, to establish an
international civil presence in Kosovo in order to provide an interim administration for Kosovo under which the
people of Kosovo can enjoy substantial autonomy within the Federal Republic of Yugoslavia, and which will
provide transitional administration while establishing and overseeing the development of provisional democratic
self- governing institutions to ensure conditions for a peaceful and normal life for all inhabitants of Kosovo ».
Corsivo aggiunto. Il testo della ris. 1244 è reperibile in http://www.unmikonline.org/ press/reports/N9917289.pdf.
la quale il Kosovo vi ricorse solo in extrema ratio
185
. Durante gli anni di
indipendenza il governo ceceno fallì nel costruire un apparato statale che avesse il
controllo effettivo del territorio: bande armate organizzate ne presero rapidamente il
controllo, fino a portare parte delle popolazione a delegittimare il governo ceceno 186.
Infine il governo federale russo ricorse all’intervento armato solo in secondo
momento, in occasione della prima guerra cecena (1994-1996), per cercare di
reprimere il tentativo indipendentistico ceceno.
La maggioranza degli Stati condannò le violenze perpetrate dalle forze armate
russe ai danni del popolo ceceno durante le operazioni militari, così come quelle dei
ribelli ceceni. Essa fu però coesa nel ritenere illecito il tentativo indipendentistico
ceceno poiché violava il diritto all’integrità territoriale russa 187.
Una parte della dottrina ha ritenuto importante fare alcuni distinguo tra i due
casi, affinché si potessero individuare le circostanze in presenza delle quali la
Comunità internazionale si è dimostrata propensa a legittimare il tentativo di un
popolo a secedere dal proprio Stato sovrano in un contesto post-coloniale.
Nel caso kosovaro, questa parte della dottrina ha riscontrato come il ricorso
all’uso della forza da parte dei kosovari albanesi, sia stata l’extrema ratio attraverso
la quale si tentò di secedere dalla Federazione jugoslava. Nel caso ceceno gli
indipendentisti hanno invece dato origine ad una rapida escalation di violenze contro
le forze dell’ordine della Federazione russa188. In seguito alle violenze scaturite,
questa parte della dottrina ha riscontrato anche un calo del consenso della
popolazione a favore del movimento indipendentistico ceceno
189
, a differenza di
quello del popolo kosovaro che risultò sempre coeso a favore dell’Esercito di
Liberazione del Kosovo190.
Sulla base di ciò, questa parte della dottrina ha ritenuto possibile affermare che
esiste una tendenza in seno alla Comunità internazionale a legittimare la secessione
di un popolo da uno Stato sovrano in un contesto post-coloniale. Un popolo che
lamenti la violazione del proprio diritto all’autodeterminazione godrebbe del
185
Cfr. SINATTI PAOLO, La Cecenia: una tragedia che viene da lontano, in La Russia e i conflitti del Caucaso,
Torino, 2000.
186
Cfr. DUNLOP B. JOHN, Russia Confronts Chechnya Roots of a Separatist Conflict, cit., supra nota 179.
187
Ibidem.
188
Cfr. SINATTI PAOLO, La Cecenia: una tragedia che viene da lontano, cit., supra nota 185.
189
Ibidem.
190
Cfr. CHARNEY I. JOHNATAN, Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, cit., supra
nota 177.
supporto della Comunità internazionale qualora si riscontrasse l’esaurimento di tutte
le vie interne di risoluzione pacifica delle dispute tra il governo nazionale ed il
popolo richiedente; in secondo luogo, qualora si dimostrasse che i rappresentanti del
popolo richiedente rappresentino realmente l’intero popolo; infine, qualora si
dimostrasse che l’utilizzo dell’uso della forza sia stato l’ultimo mezzo al quale si è
ricorsi per ottenere l’indipendenza 191.
Sulla base di quanto affermato, questa parte della dottrina ha precisato come tali
considerazioni non impediscono al popolo ceceno di godere del diritto
all’autodeterminazione, evidenziando tuttavia le circostanze in presenza delle quali la
Comunità internazionale sembrerebbe legittimare l’applicabilità del principio di
autodeterminazione dei popoli in contesti post-coloniali.
6.2. Il caso dell’isola di Timor Est
In base alle conclusioni a cui siamo giunti nel paragrafo precedente, è opportuno
analizzare anche il caso di Timor Est. In seguito alla caduta dell’impero coloniale
portoghese nel 1975, l’isola di Timor Est dichiarò la sua indipendenza dal Portogallo
sulla base del principio di autodeterminazione esterna dei popoli. Tuttavia l’esercito
indonesiano, nove giorni dopo tale dichiarazione d’indipendenza, occupò
militarmente l’isola
192
. Tale azione fu immediatamente condannata dalle Nazioni
Unite 193.
Nel caso di specie, si riscontrano le condizioni per la diretta applicazione del
principio di autodeterminazione esterna dei popoli nella misura in cui il popolo
timorese è stato soggetto ad un regime di occupazione militare. Tuttavia, se si
analizza la questione anche alla luce di quanto discusso precedentemente, possiamo
riscontrare la presenza di tutti i requisiti ritenuti fondamentali dalla Comunità
internazionale, per legittimare l’applicabilità del principio di autodeterminazione dei
popoli applicata in un contesto post-coloniale.
Innanzitutto il popolo timorese esaurì tutti i tentativi possibili di risoluzione
191
Ibidem.
Ibidem, in part. p. 465.
193
Si veda in proposito il par. 5 della ris. n. 389 del 1976 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella
quale si invitavano gli Stati membri al rispetto dell’integrità territoriale dell’Isola, in primis da parte
dell’Indonesia. Il testo della risoluzione è reperibile in http://daccess-dds-ny.un.org/doc/RESOLUTION/
GEN/NR0/294/77/IMG/NR029477.pdf?OpenElement.
192
pacifica del conflitto con il Governo indonesiano: gli sforzi più significativi per
godere di un livello di autonomia maggiore dall’Indonesia, furono compiuti
ricorrendo agli strumenti costituzionali nazionali ed a quelli internazionali 194.
Inoltre, anche il movimento indipendentista timorese era legittimato dall’intera
popolazione dell’isola, ad eccezione fatta della Milizia di Timor-Est, la quale era
favorevole all’integrazione territoriale con l’Indonesia dal momento che era da
questa sia finanziata che supportata militarmente 195.
Infine, il ricorso alla violenza fu minimo, solo piccole frange della popolazione
imbracciarono le armi e solo nelle prime fasi dell’occupazione indonesiana. In
proposito, va ricordato che il popolo timorese non ricorse all’utilizzo della forza
armata organizzata, come avenne per l’Esercito di Liberazione del Kosovo, poiché fu
costantemente soggetto alle violenze e ai maltrattamenti da parte dell’esercito
indonesiano
196
. Il ricorso all’uso della forza avvenne dunque solamente in extrema
ratio, in risposta alle violenze perpetrate ai danni della popolazione timorese da parte
delle milizie timoresi, sostenute dal governo indonesiano, da parte delle forze
internazionali delle Nazioni Unite 197.
Nel caso in questione, la Comunità internazionale condannò le violenze
194
Si veda a tal proposito l’Accordo tra la Repubblica indonesiana e la Repubblica portogese del 5 maggio 1999,
nel quale si stabiliva all’art. 1 « a constitutional framework providing for a special autonomy for East Timor
within the unitary Republic of Indonesia to the East Timorese people […] » e all’art. 2 che « the SecretaryGeneral to establish, an appropriate United Nations mission in East Timor to enable him to effectively carry out
the
popular
consultation».
Il
testo
dell’Accordo
è
reperibile
in
http://www.un.org/peace/etimor99/agreement/agreeFrame_Eng01.html. Si veda anche la ris. 1246 del 11 giugno
1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in cui si afferma al par. 3 che « Decides to establish until 31
August 1999 the United Nations Mission in East Timor (UNAMET) to organize and conduct a popular
consultation, scheduled for 8 August 1999, on the basis of a direct, secret and universal ballot, in order to
ascertain whether the East Timorese people accept the proposed constitutional framework providing for a special
autonomy for East Timor within the unitary Republic of Indonesia or reject the proposed special autonomy for
East Timor, leading to East Timor’s separation from Indonesia ». Per il testo della risoluzione si veda in
http://daccess-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N99/174 /13/ PDF/N9917413.pdf ?OpenElement.
195
Cfr. CHARNEY I. JOHNATAN, Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, cit., supra
nota 177.
196
A tal riguardo si leggano le denuncie fatte da HUMAN RIGHTS WATCH, Indonesia/East Timor: Forcedn
Expulsions To West Timor and the Refugee Crisis, 1999. Il testo del report è reperibile in http://www.hrw.org/
legacy/reports/1999/wtimor/. Cfr. CHARNEY I. JOHNATAN, Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo,
and East Timor, cit., supra nota 177.
197
A tal riguardo si veda il par. 3 della ris. 1264 del 15 settembre del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite,
in cui si afferma che «Authorizes the establishment of a multinational force under a unified command structure,
pursuant to the request of the Government of Indonesia conveyed to the Secretary-General on 12 September
1999, with the following tasks: to restore peace and security in East Timor, to protect and support UNAMET in
carrying out its tasks and, within force capabilities, to facilitate humanitarian assistance operations, and
authorizes the States participating in the multinational force to take all necessary measures to fulfil this mandate
». La ris. 1272 del 25 ottobre 1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella parte in cui « Decides to
establish, in accordance with the report of the Secretary General, a United Nations Transitional Administration in
East Timor (UNTAET), which will be endowed with overall responsibility for the administration of East Timor
and will be empowered to exercise all legislative and executive authority, including the administration of justice
».
compiute dall’esercito indonesiano ai danni della popolazione dell’isola, la
violazione del loro diritto all’autodeterminazione, nonché l’Indonesia stessa,
invitandola a rispettare i diritti e le libertà del popolo timorese. Tuttavia in seguito ai
continui rifiuti dell’Indonesia di rispettarne il diritto all’indipendenza, decise di
appoggiare concretamente il movimento indipendentistico timorese. Infatti nel 1999
il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite autorizzò il Segretario Generale a dare
inizio sull’isola di Timor Est alla missione UNTAET 198.
7. Considerazioni conclusive
Nel corso di questo secondo capitolo abbiamo dunque analizzato in dettaglio il
diritto all’autodeterminazione del popolo ceceno. L’analisi è stata strutturata su più
livelli:
inizialmente
abbiamo
analizzato
l’evoluzione
del
principio
di
autodeterminazione dei popoli sia all’interno delle Nazioni Unite e sia nella prassi
della Corte internazionale di giustizia. Da questa analisi è stato riscontrato come dal
capitolo XI della Carta delle Nazioni Unite, il diritto di un popolo a godere della
propria autodeterminazione ha acquistato un carattere erga omnes e sia diventato a
tutti gli effetti un principio di jus cogens. Lo stesso si evince anche dalle sentenze e
dai pareri rilasciati dalla Corte internazionale di giustizia, anch’essi analizzati nel
corso del capitolo.
L’analisi si è poi spostata al caso specifico ceceno, ricostruendone il contesto
storico ed il rapporto istituzionale intercorrente tra la Repubblica di Cecenia e la
Federazione russa al fine di verificare se quest’ultima avesse violato il diritto
all’autodeterminazione sia esterna che interna del popolo ceceno. Analizzando le
diverse posizioni rinvenute in dottrina, abbiamo cercato di comprendere se il
tentativo di secessione ceceno dal territorio della Federazione russa fosse da ritenersi
lecito secondo il diritto internazionale. In base ad una prima analisi, poiché il popolo
ceceno non sarebbe né soggetto ad una dominazione coloniale, né ad una
segregazione razziale e né tantomeno ad un’occupazione straniera, sarebbe da
considerare illecito. Tuttavia, in proposito è da osservare che non esite in dottrina una
198
Al riguardo si vedano la ris.1257, la ris. 1262, la ris. 1264, e la ris. 1272 del 1999 del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite, le quali autorizzarono e definirono i compiti della UNTAET, United Nations Transitional
Administration in East Timor, al fine di instaurare un sistema amministrativo volto all’indipendenza del popolo
timorese.
posizione unanime a favore o contro la liceità della secessione cecena.
In seguito, abbiamo preso in considerazione la questione se la Federazione russa
avesse violato il diritto all’autodeterminazione interna del popolo ceceno. Anche in
questo caso, dopo aver esaminato sia la Costituzione della Repubblica cecena sia le
modalità con le quali questa essa è stata adottata, si è riscontrata una spaccatura tra
gli autori in dottrina. Infatti, se da una parte la Costituzione cecena è stata ritenuta
conforme agli standard democratici dei paesi occidentali, dall’altra le modalità con
cui è stato indetto il referendum costituzionale del 23 marzo 2003, inducono una
parte autorevole della dottrina a dichiararlo invalido e a ritenere il principio di
autodeterminazione interna ceceno violato dalla Federazione russa.
Infine abbiamo ritenuto opportuno approfondire un ultimo aspetto, quello
inerente all’applicazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli in un contesto
post-coloniale. Analizzando in maniera comparata il caso ceceno insieme a quello
kosovaro e timorese, è stato possibile riscontrare elementi comuni che hanno fatto
ritenere ad una parte della dottrina come le Nazioni Unite abbiano ritenuto legittima
l’applicabilità di tale diritto in un contesto post-coloniale in presenza di determinati
prerequisiti. Tali requisiti, come abbiamo visto, sarebbero: l’esaurimento dei ricorsi
pacifici interni ed internazionali del popolo richiedente l’indipendenza per risolvere
lo stato di crisi interna; il ricorso alla forza armata solo come extrema ratio per
conseguire l’indipendenza; infine, il godimento da parte del movimento
indipendentista del pieno consenso popolare.
Concludendo, possiamo affermare come il dibattito in dottrina attorno allo status
che la Repubblica di Cecenia dovrebbe avere all’interno o all’esterno della
Federazione russa è ancora aperto e soggetto a mutamenti. Del resto riteniamo che si
possa affermare come non sussistano le condizioni giuridiche e politiche affinché la
Cecenia possa secedere territorialmente dalla Federazione russa.
D’altra parte, in seguito alle modalità con le quali si è svolto il referendum
costituzionale ceceno del 23 marzo 2003, e sulla base della dottrina analizzata,
riteniamo che il diritto all’autodeterminazione interna del popolo ceceno sia stato
violato dalla Federazione russa. Tuttavia, dopo aver analizzato il testo della
Costituzione della Repubblica cecena e sulla base del rapporto della Commissione
Venezia, concordiamo con il giudizio finale di quest’ultima, secondo la quale, tale
Costituzione è conforme agli standard democratici europei di garanzia e di tutela dei
diritti e delle libertà fondamentali del popolo ceceno.
Con il presente capitolo, concludiamo anche la prima parte di questo lavoro nella
quale abbiamo ricostruito la situazione giuridico e politica della Repubblica di
Cecenia all’interno dell Federazione russa. Abbiamo ritenuto opportuno e necessario
compiere tale ricostruzione prima di affrontare la questione, che sarà analizzata nella
seconda parte del lavoro, delle violazioni dei diritti umani compiute ai danni dei
cittadini ceceni durante il conflitto armato del 1999. In questa parte, esamineremo la
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in merito al caso ceceno,
analizzando le sentenze più importanti pronunciate dalla Corte europea in materia, la
legittimità della Corte a pronunciarsi in merito ai ricorsi presentati, l’effettività dei
giudizi della Corte e la collaborazione della Federazione russa al corretto
svolgimento dei processi.
CAPITOLO III
La Corte europea dei diritti dell’uomo e la Federazione russa: i casi Khashiyev e
Akayeva; Isayeva, Yusupova e Bazayeva; e Isayeva
SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Il conflitto ceceno: quadro giuridico applicabile; 3. Una
panoramica delle sentenze; 4. La sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del
24 febbraio 2005; 4.1. Le sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24
febbraio 2005 nel caso Khashiyev e Akayeva c. Federazione russa; 4.1.1 I fatti oggetto
del caso; 4.2 La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005
nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva c. Federazione russa; 4.2.1 I fatti oggetto del
caso; 4.3 La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005 nel
caso Isayeva c. Federazione russa; 4.3.1 I fatti oggetto del caso; 5. Le obiezioni
preliminari; 5.1 Il ragionamento della Corte: le obiezioni preliminari; 6. La violazione
dell’art. 2 della Convenzione europea; 6.1 La violazione dell’art. 2 nel caso Khashiyev e
Akayeva; 6.2 La violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva; 6.3 La
violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva; 7. La violazione dell’art. 3 della Convenzione;
7.1 La violazione dell’art. 3 nel caso Khashiyev e Akayeva; 7.2 La violazione dell’art. 3
nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva; 8. La violazione dell’art. 13 della Convenzione;
9. La violazione dell’art. 1, par. 1 del primo Protocollo della Convenzione; 10. Il rinvio
implicito al diritto internazionale umanitario nelle sentenze cecene; 10.1 La Corte
europea dei diritti dell’uomo e l’applicazione delle norme di diritto internazionale
umanitario; 10.2 L’applicazione dei diritti umani ai conflitti armati interni; 10.3
Considerazioni finali al paragrafo; 11. Considerazioni conclusive.
1. Introduzione
In questo capitolo analizzeremo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo in merito alle violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
da parte della Federazione russa, durante il secondo conflitto russo ceceno.
Dopo aver fatto alcune considerazioni generali, approfondiremo il discorso
analizzando le prime tre sentenze emanate dalla Corte europea il 24 febbraio 2005
rispettivamente
nei
casi
Khashiyev
e
Akayeva
c.
Federazione
russa,
Isayeva,Yusupova e Bazayeva c. Federazione russa e Isayeva c. Federazione russa.
Nei mesi di aprile e maggio 2000, la Corte europea dei diritti dell’uomo è stata
adita da sei cittadini ceceni contro la Federazione russa, in particolare dal sig.
Khashiyev e dalla sig.ra Akayeva nel primo ricorso; nel secondo dalla sig.ra Isayeva,
dalla sig.ra Yusupova e dalla sig.ra Bazayeva; infine nell’ultimo dalla sig.ra Isayeva.
L’analisi delle seguenti sentenze è importante, non solo per le conclusioni alle quali è
giunta la Corte, ma soprattutto per il fatto che esse rappresentano le prime tre
sentenze con le quali il governo russo è stato condannato a livello internazionale per
le violazioni dei diritti umani compiute nel territorio della Repubblica cecena. In
proposito, è opportuno ricordare che il governo russo ha sempre mancato di
collaborare in maniera effettiva con le organizzazioni internazionali per la difesa dei
diritti umani, così come denunciato dal Comitato per la prevenzione della tortura del
Consiglio d’Europa
199
ed anche dal Segretario Generale del Consiglio d’Europa
200
.
La Corte europea dei diritti dell’uomo quindi ha rappresentato il primo organo
internazionale a carattere giurisdizionale che si è pronunciato nel merito.
Il fine di questo capitolo, ed anche del lavoro complessivo, è quello di analizzare
il contributo dato dalla Corte di Strasburgo in merito al caso ceceno, esaminando nel
dettaglio queste tre sentenze e poi, più in generale, la sua giurisprudenza, affinchè si
possano delineare le conseguenze delle sue conclusioni.
2. Il conflitto ceceno: quadro giuridico applicabile
È importante prima di entrare nel merito della questione, cercare di individuare
quale è il quadro giuridico entro il quale la Corte di Strasburgo ha dovuto esprimersi
affinchè si possa comprendere al meglio le circostanze dei fatti e le decisioni prese
dalla Corte.
Il secondo conflitto armato in Cecenia, iniziato nel settembre del 1999, ha visto
contrapporsi l’esercito regolare della Federazione russa ai ribelli ceceni. La Corte di
Strasburgo, riconoscendo sin da subito l’eccezionalità della situazione, ha dichiarato
199
Le dichiarazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e le pene e i trattamenti degradanti ed
inumani del 10 luglio 2001 è reperibile in http://www.cpt.coe.int/documents/rus/2001-15-inf-eng.pdf; la
dichiarazione del 10 luglio 2003 è reperibile in http://www.cpt.coe.int/documents/ rus/2003-33-inf-eng.pdf; infine
quella del del 13 marzo 2007 è reperibile in http://www.cpt.coe.int/ documents/rus/2007-17-inf-eng.pdf.
200
Si veda anche la corrispondenza tra il Segretario Generale del Consiglio d’Europa e il governo russo, ai sensi
dell’art. 52 della Convenzione. Nel documento si evidenzia in maniera chiara la mancata collaborazione della
Federazione
russa
con
le
indagini.
Il
documento
è
reperibile
in
https://wcd.coe.int/
ViewDoc.jsp?id=390787&Site=COE&BackColorInternet=DBDCF2&BackColorIntranet=FDC864&BackColor
Logged=FDC8.
che
« […] the situation that existed in Chechnya at the relevant time called for exceptional
measures by the State in order to regain control over the Republic and to suppress the illegal
armed insurgency » 201.
La Corte dunque ha sempre ritenuto lecito che lo Stato adottasse delle misure
eccezionali affinché fosse ripristinato l’ordine costituzionale nella Repubblica
cecena. Tuttavia la Federazione russa, non dichiarando né lo stato d’emergenza né
alcuna deroga agli articoli della Convenzione europea, così come previsto dall’
articolo 15, ha considerato le azioni militari in Cecenia rientranti nell’ambito delle
operazioni anti-terroristiche. Il quadro giuridico nel quale la Corte di Strasburgo si è
trovata dunque ad operare è stato quello di un “normal legal background”, così come
affermato dal governo russo 202.
Tuttavia è possibile delineare anche un ulteriore quadro giuridico applicabile alla
Repubblica cecena, derivante dal diritto internazionale umanitario, secondo il quale
la situazione in Cecenia non sarebbe più quello di un “normal legal background”,
come sostenuto dal governo russo, bensì quello di un conflitto armato interno 203. Nel
caso della Repubblica cecena, questi due ambiti giuridici si sono spesso sovrapposti,
tanto che in diverse sentenze della Corte, tra cui quelle da noi esaminate nel presente
capitolo, è stato possibile rinvenire l’applicazione di diversi principi di diritto
internazionale umanitario.
La Corte si è sempre rifiutata di entrare nel merito della questione di
complementarietà di questi due ambiti, evitando così di fare espressamente
riferimento al diritto internazionale umanitario. Tuttavia nei ragionamenti svolti dalla
Corte è possibile riscontrare diversi principi del diritto internazionale umanitario
204
.
Questo argomento sarà tuttavia approfondito nel seguito del lavoro, in particolar
modo quando saranno analizzate le sentenze Isayeva, Yusupova e Bazayeva e Isayeva
201
Si veda il par. 180 della sentenza Isayeva c. Federazione russa del 24 febbraio 2005.
Ibidem, par. 191.
203
Così come ritenuto dal Comitato contro le torture delle Nazioni Unite nella raccomandazione del 4 novembre
2006, il cui testo è reperibile in http://daccess-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G07/403/39 /PDF/
G0740339.pdf?OpenElement.
204
Si veda il par. 177, 195,197 e 199 della sentenza Isayeva, Yusupova e Bazayeva c. Federazione russa e il par.
176, 187, 189-191 della sentenza Isayeva c. Federazione russa, entrambe del 24 febbraio 2005. Per una lettura
più approfondita delle relazione tra il diritto internazionale umanitario e quello sui diritti umani Cfr. FRANÇOISE
HAMPSON IBRAHIM SALAMA, Working Paper on the Relationship between Human Rights Law and International
Humanitarian Law, Commission on Human Rights, Sub-Commission on the Promotion and Protection of Human
Rights.
Il
testo
in
inglese
è
reperibile
in
http://daccess-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/
GEN/G05/145/68/PDF/G0514568.pdf?OpenElement.
202
c. Federazione russa del 24 febbraio 2005.
3. Una panoramica sulle sentenze
Per avere una visione completa della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in
merito alle violazioni della Convenzione da parte della Federazione russa,
analizzeremo in maniera generale le sentenze più importanti emesse da questa dal
2005 fino al 2008. Ci riserviamo tuttavia di compiere un’analisi più dettagliata
riguardante le sentenze relative ai casi Khashiyev e Akayeva; Isayeva, Yusupova e
Bazayeva; Isayeva c. Federazione russa del 24 febbraio 2005. Queste sentenze sono
ritenute da una parte autorevole della dottrina le più importanti poiché, essendo state
le prime emesse dalla Corte, da queste essa ha sviluppato la propria giurisprudenza in
merito 205.
Nelle trentasette sentenze emanate dalla Corte in merito al caso caso ceceno, le
violazioni commesse dall’esercito russo nella Repubblica cecena fanno riferimento al
periodo che va dal 2000 al 2004
206
. Tali sentenze sono state tutte emanate dalla
prima sezione della Corte di Strasburgo e molte di esse riguardano l’uccisione di
civili ceceni nel distretto di Staropromyslovsky a Grozny nel gennaio del 2000 207 ed
in quello di Novye Aldy nel febbraio 2000
208
; mentre altre riguardano la scomparsa
di civili ceceni nel villaggio di Novye Atagi nel giugno 2002
209
. Dall’analisi
compiuta inoltre risulta che vi sono almeno due disposizioni della Convenzione che
sono state violate: in trentaquattro casi su trentasette infatti il governo russo è stato
ritenuto responsabile della violazione del diritto alla vita dei propri cittadini (art. 2) e
205
L’analisi della giurisprudenza della Corte europea si basa sul lavoro svolto dal Prof. Philip Leach della
London Metropolitan University. Per una analisi dettagliata si veda Cfr. LEACH PHILIP, The Chechen Conflict:
Analysing the Oversight of the European Court of Human Rights in European Human Rights Law Review, 2008,
pp. 731-762.
206
Infatti ben ventidue sentenze si riferiscono a fatti successi nel 2000, cinque sono le sentenze che si riferiscono
invece a fatti successi nel 2002 ed altre cinque nel 2003; altri quattro casi fanno riferimento a cose accadute nel
2001 mentre solo una si riferisce al 1999.
207
Si vedano in proposito le sentenze Goncharuk; Makhauri; Goygova del 4 ottobre 2007; Khashiyev e Akayeva
del 24 febbraio 2005; Medov del 8 novembre 2007; Tangiyeva c. Federazione russa del 29 novembre 2007. Si
veda inoltre anche HUMAN RIGHTS WATCH, Civilian Killings in Staropromyslovskiy District of Grozny, 2000.
208
Si veda la sentenza della Corte Musayeva e altri c. Federazione russa del 26 luglio 2007. Si veda anche
HUMAN RIGHTS WATCH, February 5: A Day of Slaughter in Novye Aldy, 2000, il cui testo è reperibile In
http://www.hrw.org/legacy/reports/2000/russia_chechnya3/; e MEMORIAL, Mopping-Up, Settlement ofNovye
Aldy, 2000—Deliberate Crimes against Civilians,Memorial, luglio 2000, ed il cui testo è reperibile in
http://www.promolex.md/upload/publications/ro/doc_1257436825.pdf.
209
Si veda la sentenza Imakayeva c. Federazione russa del 9 novembre 2006 e Utsayeva e altri c. Federazione
russa del 29 maggio 2008.
della mancata garanzia ad un ricorso effettivo dinanzi ad un’istanza nazionale (art.
13).
Molte sentenze, riguardanti anche la violazione dell’art. 3 della Convenzione,
presentano diversi elementi comuni con la precedente giurisprudenza della Corte. Ad
esempio, la Corte ha riconosciuto ai ricorrenti di essere rimasti vittima di torture e
maltrattamenti degradanti a causa dell’angoscia e dello shock provati in conseguenza
della morte dei loro familiari. Una tale interpretazione dell’art. 3 della Convenzione
non è una novità per la Corte di Strasburgo, visto che già si espresse in termini
analoghi nelle precedenti sentenze concernenti la Turchia
210
. Inoltre così come per
l’art. 2 della Convenzione, anche le accuse di violazione dell’art. 3 hanno dovuto
garantire un elevato standard probatorio, quello che la Corte ha definito “beyond all
reasonable doubt” e che verrà successivamente approfondito nell’analisi delle tre
sentenze successive.
Nella quasi totalità dei casi la Corte di Strasburgo ha criticato fortemente il
governo russo il quale, nonostante la gravità delle accuse fatte dai ricorrenti, avrebbe
condotto, ad avviso della Corte, in maniera totalmente negligente le indagini interne.
Queste infatti, così come confermato dalla Corte, si sono rivelate essere inefficaci,
ingannevoli ed inadeguate e sempre “afflitte da ritardi inspiegabili” 211.
Una caratteristica importante delle indagini inoltre è stata l’incapacità, o la
mancanza di volontà degli investigatori e dei pubblici ministeri di chiamare in
giudizio gli organi dello Stato a rendere conto dei ritardi nelle indagini. Si sono
potute individuare diverse sentenze in cui la richiesta di informazioni alle autorità
statali è avvenuta con significativo ritardo 212, ed in molte occasioni sono state fornite
210
A tal proposito si veda la sentenza Salaman c. Turchia; la sentenza Cakici c. Turchia del 8 luglio 1999; Ertak
c. Turchia del 9 maggio 2000; Timurtas c. Turchia del 13 giugno 2000.
211
Si veda il par. 121 della sentenza Bazorkina c. Federazione russa del 27 luglio 2006. La Corte in definitiva,
nonostante avesse sottolineato come anche il minimo ritardo nelle indagini poteva essere determinante per
individuare i responsabili di così gravi violazioni, così come riportato al par. 85 della sentenza Betayev e
Betayeva c. Federazione russa del 20 maggio 2008, ha rinvenuto che queste sono sempre iniziate con un ritardo
minimo di qualche giorno fino ad un massimo di qualche anno. A proposito si vedano le sentenze Betayev and
Betayeva (5 giorni), Isigova (5 giorni), Akhmadova and Sadulayeva (11 giorni), Elmurzayev (16 giorni), Luluyev
(20 giorni), Sangariyeva (20 giorni), Gekhayeva (22 giorni), Ibragimov, (30 giorni), Musayev e altri (1 mese),
Kaplanova (1 mese), Estamirov (più di un mese), Musayeva (diversi mesi), Magomadov e Magomadov (più di
due mesi), Alikhadzhiyeva (più di due mesi), Baysayeva (più di due mesi), Musayeva e altri (più di due mesi),
Khashiyev e Akayeva (3 mesi), Makhauri (3 mesi), Akhiyadova (4 mesi), Isayeva, Yusupova e Bazayeva (6
mesi), Atabayeva (7 mesi), Isayeva (7 mesi), Bazorkina (1 anno e 5 mesi), Goncharuk più di quattro anni),
Kukayev (4 anni e 8 mesi).
212
Si vedano le sentenze Atabayeva (più di 2 anni), Aziyevy (più di 4 anni e mezzo), Elmurzayev (durante i primi
6 mesi) c. Federazione russa.
informazioni sbagliate
213
. La Corte di Strasburgo per di più ha individuato in
altrettante sentenze, il mancato porre in essere di indagini effettive anche laddove i
ricorrenti avevano presentato in sede giudiziaria informazioni dettagliate volte a
identificare i militari responsabili delle violazioni 214.
Un altro aspetto da sottolineare riguarda il livello di prova che la Corte ha
richiesto ai ricorrenti affinché potesse rinvenire la responsabilità del governo russo
per le violazioni degli articoli 2 e 3 della Convenzione. Tale criterio, che sarà
approfondito nell’analisi delle prime tre sentenze cecene della Corte, afferma che
uno Stato non può essere ritenuto responsabile per la violazione degli articoli ritenuti
fondamentali della Convenzione, se prima non si riscontrano prove che non lascino il
minimo dubbio alla Corte sulla responsabilità dello Stato 215.
Nelle sentenze analizzate tuttavia, non è stato facile per i ricorrenti ceceni
presentare alla Corte delle prove che risultassero conformi con un tale standard
probatorio, sopratutto perchè il governo russo ha spesso evitato di presentare alla
Corte l’intera documentazione prodotta durante le indagini interne
216
. In queste
sentenze la Corte ha rinvenuto un comportamento reiterato nel tempo del governo
russo a non divulgare il materiale investigativo. Comportamento che il governo russo
ha giustificato affermando che il materiale non presentato alla Corte conteneva
segreti militari che non potevano essere rivelati così come le identità degli agenti
federali che hanno preso parte alle operazioni anti-terroristiche. Il governo russo ha
anche affermato che la documentazione fu in parte omessa perchè ritenuta non
pertinente ai fini del giudizio. Da parte sua, la Corte non ha mai riconosciuto al
governo russo il diritto di poter decidere in maniera unilaterale il tipo di
documentazione da presentarle, ritenendolo così in violazione dell’art. 38, par.1 della
213
Ad esempio nella sentenza Estamirov c. Federazione russa del 12 ottobre 2006, le autorità federali
comunicarono agli organi giudiziari delle informazioni errate a proposito della morte di un familiare del
ricorrente.
214
Si vedano le sentenze Akhmadova e Sadulayeva del 10 maggio 2007, Alikhadzhiyeva del 5 luglio 2007,
Aziyevy del 20 marzo 2008, Bazorkina del 20 luglio 2006, Chitayev e Chitayev del 18 gennaio 2007, Khamila
Isayeva del 15 novembre 2007, Makhauri del 4 ottobre 2007, Musayev e altri del 20 luglio 2007, Musayeva del
20 luglio 2007, Musayeva e altri del 3 luglio 2008, Sangariyeva del 29 maggio 2008, Makhauri del 4 ottobre
2007, Baysayeva del 5 aprile 2007, Betayev e Betayeva del 25 maggio 2008, Isayeva del 24 febbraio 2005,
Isayeva, Yusupova e Bazayeva del 24 febbraio 2005, Sangariyeva del 29 maggio 2008, Elmurzayev del 12
giugno 2008, Luluyev c. Federazione russa del 9 novembre 2006.
215
Si vedano le tre sentenze del 24 febbraio 2005 Khashiyev e Akayeva; Isayeva, Yusupova e Bazayeva; e
Isayeva.
216
Si vedano le sentenze Aziyevy, Betayev e Betayeva, Elmurzayev c. Federazione russa del 12 giugno 2008,
Gekhayeva e altri c. Federazione russa del 29 maggio 2008, Ibragimov e altri c. Federazione russa del 29
maggio 2008 ed infine la sentenza Musayeva e quella Ruslan Umarov del 3 luglio 2008
Convenzione 217.
È quindi già possibile individuare dei punti in comune tra le sentenze cecene
della Corte, che vanno dalle difficoltà avute dalla Corte per accertare i fatti e valutare
le prove secondo un adeguato standard probatorio alla mancanza di comunicazione
tra il governo russo e la Corte di Strasburgo. Nella maggioranza delle sentenze, la
Corte non ha mai rinvenuto la volontà del governo russo di prendere sul serio
l’obbligo giuridico di svolgere indagini adeguate, così come sancito dall’art. 38, par.
1, della Convenzione. Del resto, la Corte ha rinvenuto la sua violazione in quindici
delle trentasette sentenze analizzate, Ed ha ritenuto che tale violazione dovesse
essere interpretata come indicativa di una politica sistematica del governo russo di
non collaborazione con la Corte di Strasburgo.
4. Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005
Le tre sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che andremo ad
analizzare, anche se presentano dinamiche dei fatti diverse, si accomunano per
diversi aspetti. Tutti i ricorrenti hanno denunciato l’uso sproporzionato che l’esercito
russo ha fatto della forza militare. Il governo russo sarebbe di conseguenza
responsabile per la violazione del diritto alla vita dei familiari dei ricorrenti, della
mancata tutela contro la tortura, della mancata tutela dei beni di proprietà dei
ricorrenti ed infine del loro diritto a godere di un ricorso effettivo dinanzi un’istanza
nazionale. Prima di addentrarci nel merito delle violazioni è opportuno riportare i
fatti di ciascuna sentenza, così da contestualizzare le violazioni.
4.1 La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005
nel caso Khashiyev e Akayeva c. Federazione russa
Il presente caso ha avuto origine dal ricorso presentato da due cittadini ceceni, il
sig. Magomed Akhmetovich Khashiyev e la sig.ra Roza Aribovna Akayeva. I due
ricorrenti hanno adito la Corte il 25 maggio e il 20 aprile 2000 contro la Federazione
217
Si veda una per tutti il par. 138 della sentenza Khashiyev e Akayeva c. Federazione russa del 24 febbraio
2005.
russa, in base all’art. 34 della Convenzione
218
. I due sostenevano che i loro parenti
fossero stati torturati e uccisi dai militari dell’esercito federale nel febbraio 2000,
violando così gli art. 2, 3 e 13 della Convenzione. Ad esprimersi nel merito è stata la
prima sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale il 19 dicembre 2002
ha dichiarato ammissibile il ricorso presentato dai ricorrenti ed il 24 febbraio 2005 ha
emesso la sentenza definitiva.
4.1.1 I fatti oggetto del caso
Il sig. Khashiyev viveva nel quartiere di Staropromyslovskiy, a Grozny, e a
causa delle rinnovate ostilità tra gli indipendentisti ceceni e la Federazione russa nel
novembre del 1999, decise di lasciare la città. Anche la sig.ra Akayeva, residente nel
quartiere di Staropromyslovskiy, decise di fuggire da Grozny a causa dei
combattimenti.
Nel dicembre del 1999 l’esercito russo diede inizio alle operazioni militari nella
Repubblica cecena e alla fine del gennaio 2000, ottenne il controllo effettivo su quasi
la totalità della città . Tuttavia rimane ancora incerta la data precisa in cui l’esercito
russo prese il controllo del quartiere di Staropromyslovskiy. I ricorrenti sostenevano
che Grozny, al momento dei fatti, fosse sotto il controllo effettivo dell’esercito russo,
mentre il governo russo riteneva invece che larghe zone della città fossero ancora
nelle mani della resistenza cecena, in particolar modo il quartiere di
Staropromyslovskiy 219.
Il sig. Khashiyev, ritornato a Grozny a fine gennaio, ritrovò il cadavere di sua
sorella insieme a quello del nipote e del fratello della sig.ra Akayeva, riversi a terra
nel cortile di casa 220. I corpi dei loro familiari presentavano ferite d’arma da fuoco e
diverse contusioni, in particolare sul corpo della sorella di Khashiyev furono
218
L’art. 34 della Convenzione stabilisce che « La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona
fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga di essere vittima di una violazione
da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte
Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto ».
219
Dagli inizi di febbraio diverse organizzazioni internazionali sui diritti umani iniziarono a documentare le
esecuzioni sommarie da parte delle forze armate russe dei cittadini ceceni a Grozny. Cfr. HUMAN RIGHTS WATCH,
Civilian Killings in Staropromyslovski District of Grozny. Il report è reperibile in
http://www.hrw.org/legacy/reports/2000/russia_chechnya/. Cfr. AMNESTY INTERNATIONAL, Russian Federation:
Chechnya. For the Motherland, Reported graves breachesof international humanitarian law. Persecution of
ethnic Chechens in Moscow Il report è reperibile in http://www.amnesty.org /en/library/info/EUR46/046 /1999.
220
Par. 17 della sentenza della Corte.
rinvenute 19 coltellate, la rottura di entrambe le braccia e delle gambe, insieme con
l’asportazione di alcuni denti
221
. Il corpo del fratello della sig.ra Akayeva invece
presentava altrettante ferite da arma da fuoco e da taglio e la mascella rotta 222.
Infine, i tribunali interni, nonostante riconobbero al sig. Khashiyev un
risarcimento economico ritenendo l’esercito responsabile per le morti dei loro
familiari, non furono in grado di individuare i militari responsabili delle violazioni.
Pertanto i ricorrenti accusarono il governo russo anche della violazione dell’art. 13
della Convenzione per non aver garantito ai ricorrenti il diritto ad un ricorso effettivo
davanti ad un’istanza nazionale 223.
4.2 La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005
nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva c. Federazione russa
Il caso in questione ha avuto origine dai ricorsi presentati da tre cittadini ceceni,
la sig.ra Medka Chuchuyevna Isayeva, la sig.ra Zina Abdulayevna Yusupova e la
sig.ra Libkan Bazayeva, contro la Federazione russa, rispettivamente il 25, 27 e 26 di
aprile 2000. I ricorrenti affermavano che la Federazione russa, in seguito al
bombardamento aereo di un convoglio civile vicino Grozny il 29 ottobre 1999, aveva
violato gli articoli 2, 3, 13 e 1 del primo Protocollo della Convezione. Durante il
bombardamento erano rimasti uccisi i bambini della sig.ra Medka Chuchuyevna
Isayeva, mentre la sig.ra Zina Abdulayevna Yusupova e la sig.ra Libkan Bazayeva
erano rimaste ferite e l’ultima aveva perso tutti i beni di sua proprietà. Ad esprimersi
nel merito è stata la prima sezione della Corte che ha ritenuto il caso ammissibile il
19 dicembre 2002 pronunciandosi il 24 febbraio 2005.
4.2.1 I fatti oggetto del caso
I ricorrenti affermavano che l’esercito russo aveva annunciato, il 25 ottobre
221
Par. 19 della sentenza, si veda la parte in cui si afferma che « The first applicant submits that the bodies of his
relatives bore marks of numerous stab and gunshot wounds and bruises, and that some bones were broken. In
particular, the body of Lidiya Khashiyeva had 19 stab wounds, her arms and legs were broken and teeth were
missing ».
222
Cfr. ABDEL-MONEM TARIK, Chechens win First Claims in the European Court of Human Rights in Khashiyev
& Akayeva v. Russia, in Cornell International Law Journal, 2006, pp. 171- 180, in part. 172.
223
Si vedano i par. 28-44 della sentenza.
1999, l’apertura di un corridoio umanitario, così da permettere ai civili di evacuare
Grozny, ormai sotto continui bombardamenti, rifugiandosi nella confinante
Repubblica di Inguscezia. Il 29 ottobre 1999, le tre ricorrenti lasciarono la città diretti
verso Nazran in Inguscezia, passando attraverso il corridoio umanitario organizzato
dall’esercito russo. Queste furono fermate, insieme agli altri rifugiati, poco prima del
confine con l’Inguscezia al posto di blocco “Kavkaz-1” dallo stesso esercito russo.
Gli ufficiali dell’esercito presenti sul posto dichiararono che per ragioni di sicurezza
il corridoio umanitario sarebbe rimasto chiuso fino al giorno dopo, ed ordinarono lo
sgombero immediato dell’area. Durante le manovre, due aerei dell’aviazione russa
bombardarono il convoglio civile, provocando diversi morti e numerosi feriti. In
seguito al bombardamento la sig.ra Isayeva perse i suoi due bambini e sua sorella,
mentre lei rimase ferita ad un braccio. Anche la sig.ra Yusupova rimase ferita
dall’esplosione; mentre la sig.ra Basayeva, pur ferita, riuscì ad allontanarsi dal
convoglio poco prima che gli aerei facessero di nuovo fuoco, distruggendole la
macchina e gli altri beni di sua proprietà. Durante i bombardamenti rimasero uccisi
16 civili (tra cui due operatori della Croce rossa internazionale) e 11 persone
rimasero ferite. Il governo russo aveva ritenuto l’attacco legittimo, sostenendo che i
due aerei dell’aviazione russa erano stati precedentemente attaccati dai ribelli ceceni
che si erano nascosti nel convoglio di civili.
I ricorrenti adirono gli organi giudiziari interni, i quali però non furono in grado
di individuare i responsabili del bombardamento
224
. Di conseguenza, i ricorrenti
ricorsero alla Corte di Strasburgo per lamentare le violazioni subite degli articoli 2, 3
e 13 della Convenzione da parte della Federazione russa; alle quali si aggiunse anche
la violazione dell’art. 1 del primo Protocollo della Convenzione per la distruzione dei
beni privati della terza ricorrente.
4.3 La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005
nel caso Isayeva c. Federazione russa
Il caso Isayeva ha avuto origine dal ricorso presentato innanzi la Corte di
Straasburgo dalla sig.ra Zara Adamovna Isayeva il 27 aprile 2000. La ricorrente
224
Si veda il par. 40 della sentenza, in cui il procuratore militare del Caucaso del Nord sottolineò per di più
l’assenza del corpus delicti nelle azioni dei piloti.
lamentava la violazione dell’art. 2 e dell’art. 13 della Convenzione da parte della
Federazione russa, per le morti del figlio e dei suoi tre nipoti, avvenute il 4 febbraio
2000. Il ricorso è stato ritenuto ammisibile il 19 dicembre 2000 dalla prima sezione
della Corte, la quale si è espressa con sentenza definitiva il 24 febbraio 2005.
4.3.1 I fatti oggetto del caso
I ribelli ceceni, in seguito ai continui scontri e dopo essere stati circondati
dall’esercito russo, occuparono il 4 febbraio 2000 il villaggio di Katyr-Yurt 225, che
fu bombardato dalle prime ore della mattina fino al primo pomeriggio quando
l’esercito permise agli abitanti del villaggio di allontanarsi dalle loro abitazioni. La
ricorrente affermava che, giunti in strada gli aerei russi iniziarono a bombardare il
convoglio, provocando la morte del figlio e dei tre nipoti 226.
Da parte sua, il governo russo aveva dichiarato che l’intervento aereo si era reso
necessario per catturare i ribelli ceceni e il ricorso all’uso della forza era stato
proporzionato all’obiettivo perseguito. Inoltre esso dichiarò che erano state prese
anche tutte le misure di sicurezza per garantire l’incolumità della popolazione civile,
organizzando un corridoio umanitario per permettere l’evacuazione dal villaggio
227
.
Infine, secondo la versione fornita dal governo, la responsabilità per le numerose
perdite di civili era da attribuire ai ribelli ceceni dal momento che erano stati loro ad
impedire alla popolazione civile di evacuare il villaggio 228.
Le indagini nazionali, nonostante avessero confermato la versione dei fatti dei
ricorrenti, erano state archiviate per la mancanza del corpus delicti, ritenendo le
azioni militari dell’esercito russo legittime, poiché compiute in risposta agli attacchi
della resistenza cecena.
La ricorrente, nel caso di specie, aveva denuciato la violazione dell’art. 2 e
dell’art. 13 della Convenzione, ritenendo l’esercito russo responsabile della morte dei
225
Par. 15 della sentenza Isayeva c. Federazione russa. Il testo completo della sentenza è reperibile in
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=2&portal=hbkm&action=html&highlight=
Isayeva&sessio
nid=45266654&skin=hudoc-fr.
226
Par. 18 della sentenza.
227
Par. 25 della sentenza. La Corte ha riportato che secondo il governo i civili furono avvisati tramite la radio e
tramite due altoparlanti montati su due elicotteri Mi-8.
228
Ibidem.
suoi familiari in seguito del bombardamento del villaggio e il governo russo
responsabile per non avere garantito un ricorso giuridico effettivo a livello nazionale.
Anche in questa sentenza la ricorrente, come nella sentenza Isayeva, Yusupova e
Bazayeva, aveva citato il rapporto presentato dalla organizzazione non governativa
statunitense Rights International, nel quale si ricordava alla Corte la necessità di
tenere in considerazione le principali norme di diritto internazionale umanitario, al
fine di giudicare l’uso della forza armata nei confronti dei c.d. obiettivi misti, ovvero
obiettivi in cui sono presenti sia civili che militari, durante un conflitto armato
interno, come era quello ceceno 229.
5. Le obiezioni preliminari
In tutte e tre le sentenze il governo russo ha sempre espresso le medesime
obiezioni preliminari, affermando che la mancanza dell’esaurimento dei ricorsi
interni da parte dei ricorrenti avrebbe impedito loro di adire la Corte europea dei
diritti dell’uomo, sulla base dell’art. 35, par. 1 della Convenzione 230.
In ciascuna sentenza, il governo ha affermato che fu comunque garantito a tutti i
cittadini ceceni il diritto ad un ricorso effettivo davanti un’istanza giudiziaria interna,
nonostante le Corti cecene avessero effettivamente cessato ogni attività giudiziaria
nel 1996. Esso ha fatto infatti riferimento alla possibilità di adire sia i tribunali delle
Repubbliche confinanti sia la Corte Suprema la quale svolgeva in quel periodo anche
le funzioni di tribunale di primo grado per le cause civili. Tuttavia ha confermato
anche che nel 2001 le Corti giudiziare in Cecenia ripresero a funzionare
correttamente e poterono essere perciò adite 231 .
Da parte loro, invece, i ricorrenti hanno affermato che i ricorsi legislativi
giurisdizionali interni messi a disposizione dal governo, dovevano considerarsi
229
Par. 167 della sentenza. In tal caso si faceva riferimento all’art. 3 della prima Convenzione di Ginevra del 12
agosto 1949, il cui testo è reperibile in http://www.icrc.org/ihl.nsf/7c4d08d9b287a421412
56739003e636b/fe20c3d903ce27e3c125641e004a92f3.
230
L’art. 35, par. 1 recita che « La Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso
interne, come inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di
sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva ».
231
Parr. 100-102 della sentenza Khashiyev e Akayeva c. Federazione russa. Il governo russo infatti ricordò alla
Corte come i due ricorrenti avessero adito sia il Tribunale distrettuale della città di Malgobek tra il febbraio e
l’aprile del 2000 sia il Tribunale distrettuale di Nazran, il quale aveva riconosciuto al sig. Khashiyev, il 26
febbraio 2003, un risarcimento economico per la morte dei suoi familiari.
ingannevoli, inadeguati e inefficaci 232. Le violazioni infatti erano state perpetrate da
agenti federali
233
, i quali avevano agito in base alla legge federale anti-terroristica
234
. Tale legge, nonostante limitasse fortemente i diritti individuali garantiti dalla
Costituzione federale, non prevedeva nessun tipo di tutela giuridica per i cittadini
vittime di abusi di potere dell’esercito federale. Inoltre il governo russo non adottò
nessun provvedimento per evitare, nonostante ne fosse a conoscenza, il potenziale
rischio di violazione su vasta scala dei diritti umani. In aggiunta, tutti i ricorrenti
avevano fatto presente alla Corte l’esistenza all’interno della Federazione russa, di
una pratica reiterata degli organi giudiziari federali di non indagare sugli abusi
commessi dall’esercito e dalle forze dell’ordine, come del resto testimoniato da
numerose organizzazioni non governative e dallo stesso Consiglio d’Europa 235.
La Corte ha ritenuto che i rimedi predisposti dalla legislazione russa fossero da
considerarsi
ingannevoli,
inadeguati
e
inefficaci
dal
momento
che
non
soddisfacevano i requisiti di effettività espressi dalla Corte di Strasburgo nella sua
passata giurisprudenza. A giudizio dei giudici europei, infatti, la Corte Suprema
federale ed i tribunali interni si erano limitati a concedere un risarcimento economico
senza condannare i responsabili delle violazioni 236.
5.1 Il ragionamento della Corte: le obiezioni preliminari
In merito all’obiezione preliminare presentata dal governo russo, la Corte di
Strasburgo ha anzitutto riconosciuto lecito il ricorso dei ricorrenti ritenendo che i
ricorsi interni non possedessero il requisito dell’efficacia. La Corte ha in ogni caso
deciso di verificarne l’efficacia sulla base delle disposizioni della Convenzione,
232
Il par. 104 della sentenza Khashiyev e Akayeva, il par. 140 della sentenza Isayeva e il par. 132 della sentenza
Isayeva, Yusupova e Bazayeva, riportarono che « […] the remedies referred to by the Government would be
illusory, inadequate and ineffective ».
233
Par. 105-109 della prima sentenza, par.133-137della seconda e 141-150 della terza.
234
Per la lettura del testo della legge federale in questione si veda in http://www.fas.org/irp/world /russia/docs
law_980725.htm.
235
Par. 109 della prima sentenza, par. 137 della senconda e par. 145 della terza.
236
Par. 110-114 della prima sentenza, par. 138-142 della seconda e par. 146-150 della terza. I ricorrenti hanno
invocato in tutte e tre le sentenza un’altra sentenza della Corte di Strasburgo, quella di Akdivar e altri c. Turchia
del 30 agosto 1996. Secondo la Corte un ricorso è effettivo quando è « capable of providing redress in respect of
the applicant's complaint and offered reasonable prospects of success » 236. In questa sentenza, la Corte affermò
che un ricorso ad un organo giudiziario interno può considerarsi effettivo solo quando è accessibile dal ricorrente
ed offre ragionevoli prospettive di successo.
ritenendo che le accuse mosse dai ricorrenti fossero eccessivamente legate ai fatti in
questione 237.
238
Ricordando la disposizione contenuta nell’art. 35 della Convezione
, la Corte
ha ritenuto che questa dovesse essere interpretata “with some degree of flexibility” e
senza un eccessivo formalismo
239
nella misura in cui si doveva tener conto del
contesto nel quale era applicato, quello cioè della protezione dei diritti umani. Inoltre
la Corte ha fatto presente che al momento in cui ha ritenuto il ricorso ricevibile,
nessun tribunale russo si era espresso in merito al caso in questione
240
, osservando
quindi come gli organi giudiziari interni non erano stati in grado di svolgere delle
indagini indipendenti che mirassero ad individuare i colpevoli delle violazioni della
Convenzione
241
. Secondo la Corte dunque, dal momento che un cittadino russo non
poteva godere di un ricorso effettivo interno, i ricorrenti non erano obbligati ad
esaurire i rimedi interni, potendo adire la Corte europea.
6. La violazione dell’art. 2 della Convenzione europea
In tutte e tre le sentenze analizzate i ricorrenti hanno denunciato la violazione
dell’art. 2 della Convenzione da parte del governo russo: nel primo caso per la
intenzionalità con la quale l’esercito russo provocò la morte dei familiari dei
ricorrenti, nel secondo e nel terzo, invece, perché i bombardamenti dell’aviazione
russa furono sproporzionati all’obiettivo perseguito 242.
237
Par. 115 della prima sentenza sentenza, par. 143 della seconda e par. 151 della terza sentenza, in cui la Corte
afferma che « In the present case the Court made no decision about exhaustion of domestic remedies at the
admissibility stage, having found that this question was too closely linked to the merits ».
238
L'art. 35, par. 1, della Convenzione afferma che « La Corte non può essere adita se non dopo l'esaurimento
delle vie di ricorso interne, come inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed
entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva ».
239
Par. 145 della prima sentenza, par. 145 della seconda sentenza e par. 152 della terza sentenza.
240
Par. 147 della sentenza.
241
Ibidem.
242
Nella prima sentenza, i ricorrenti hanno dichiarato che i loro familiari erano stati deliberatamente uccisi dai
soldati dell’esercito federale, e che esistevano prove sufficientemente valide per provarlo, soddisfacendo così lo
standard probatorio stabilito dalla Corte. In particolar modo, in ricorrenti hanno basato le proprie accuse sulle
dichiarazioni di testimoni oculari che videro per l’ultima volta i loro familiari arrestati dalle forze armate russe il
19 gennaio 2000. I loro corpi furono ritrovati in seguito con ferite d’arma da fuoco e con evidenti segni di
percosse su tutto il corpo. A supporto della loro tesi, i ricorrenti hanno sostenuto come all’inizio del 2000, gli atti
di tortura e le esecuzioni extragiudiziali da parte dei soldati dell’esercito russo fossero una pratica molto diffusa a
Grozny. Da parte sua il governo ha sostenuto che le circostanze in presenza delle quali i familiari dei ricorrenti
erano deceduti, non fossero ancora state chiarite. A tal proposito, il governo aveva avanzato anche delle ipotesi
alternative, secondo le quali i familiari dei ricorrenti sarebbero rimaste vittime dei combattenti ceceni, come
punizione per non essersi uniti alle forze armate irregolari; oppure sarebbero caduti in seguito ad uno scontro a
fuoco contro le truppe dell’esercito federale, poiché ritenuti membri della resistenza armata cecena. Infine, il
I ricorrenti non solo hanno lamentato la violazione dell’art. 2 della Convenzione,
ma anche l’insufficienza con la quale le indagini furono poste in essere dalle autorità
federali. La Corte di Strasburgo in tutte e tre le sentenze è giunta alla medesima
conclusione, ritenendo il governo russo responsabile della violazione dell’art. 2 della
Convenzione 243.
In merito alla sua incapacità di assicurare il diritto alla vita, la Corte di
Strasburgo, facendo riferimento alla sua precedente giurisprudenza, ha affermato che
il diritto alla vita rappresenta uno dei diritti fondamentali della Convenzione europea
e che, considerata la gravità delle presunte violazioni, le accuse dovrebbero essere
valutate in maniera dettagliata, stando attenti alle circostanze del caso
244
. In
proposito, la Corte ha precisato che le prove addotte dai ricorrenti dovevano
presentare un determinato standard probatorio affinché potessero essere prese in
considerazione. La Corte, richiamando la propria giurisprudenza, ha affermato che
« As to the facts that are in dispute, the Court recalls its jurisprudence confirming the
standard of proof “beyond reasonable doubt” in its assessment of evidence. Such proof may
follow from the coexistence of sufficiently strong, clear and concordant inferences or of
governo russo aveva sostenuto anche che i presunti illeciti commessi dai soldati russi, non sarebbe nient’altro che
opera della propaganda rivoluzionaria cecena, volta a screditare l’operato delle forze armate russe in Cecenia. Si
veda a proposito i par. 126-129. Nella seconda sentenza invece i ricorrenti hanno affermato che l’organizzazione
e la pianificazione delle operazioni militari violarono l’art. 2 della Convenzione poiché il bombardamento fu
ritenuto volontario, poiché i militari furono a conoscenza della massiccia presenza di civili nell’area. I ricorrenti
hanno denunciato anche come non fosse stato rispettato nemmeno il criterio di proporzionalità tra l’uso della
forza militare e l’obiettivo perseguito dall’esercito, considerandolo così un attacco indiscriminato, in violazione
dell'art. 3 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949. Da parte sua il governo russo non aveva negato che
la causa della morte dei familiari della prima ricorrente e il ferimento della seconda e della terza ricorrente
fossero state causate dal bombardamento del convoglio. Tuttavia riteneva che il bombardamento dovesse
considerarsi legittimo dal momento che era stato compiuto in risposta ad un attacco dei ribelli ceceni nascosti nel
convoglio. In proposito, il governo aveva precisato che ad essere bombardati erano stati solo i due camion dei
ribelli ceceni e che le morti causate tra i civili erano avvenute a causa dell’esplosione dei camion. Il governo
riteneva inoltre che le uccisioni potessero rientrare nell’ipotesi prevista all’art. 2, par. 2, della Convenzione
europea nella misura in cui i piloti dell’aviazione aerea avevano utilizzato la forza armata per difendere i cittadini
ceceni dalla minaccia rappresentata dai ribelli. A tal proposito si vedano i par. 155-160. Nella terza sentenza la
ricorrente ha affermato anch’essa che l’uso della forza militare non era da ritenersi né strettamente necessario, né
strettamente proporzionale all’obiettivo perseguito. Il governo ha rigettato le accuse, poiché ha ritenuto che le
azioni dell’esercito russo furono poste in essere nel rispetto della normativa interna nazionale. Il governo ha
argomentato che l’attacco militare e le conseguenze che ne sono derivate, rientrerebbero nella disposizione
dell’art. 2, par. 2 della Convenzione, secondo il quale in tali circostanze l’uso della forza sarebbe considerato
assolutamente necessario per la protezione della popolazione civile. Infine ha concluso dicendo che i cittadini di
Katyr-Yurt furono adeguatamente avvisati dall’esercito federale della possibilità di abbandonare il villaggio
attraverso un corridoio umanitario messo a disposizione dall’esercito stesso. A tal proposito si vedano i par. 163171.
243
Par. 147 per la prima sentenza, par. 200 per la seconda e par. 201 per la terza.
244
A tal proposito si veda il par. 30 della sentenza Salaman c. Turchia del ; il par. 85 della sentenza Cakici c.
Turchia del 8 luglio 1999; Ertak c. Turchia del 9 maggio 2000; Timurtas c. Turchia del 13 giugno 2000; Irlanda
c. Regno Unito del 18 gennaio 1978 e McKerr c. Regno Unito del 4 maggio 2001.I testi delle sentenze sono
reperibili in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/search.asp?sessionid=4761 4062&skin=hudoc-fr.
similar unrebutted presumptions of fact. In this context, the conduct of the parties when
evidence is being obtained has to be taken into account » 245.
La Corte ha affermato che, sulla base della propria giurisprudenza, solo qualora
le accuse fatte dai ricorrenti fossero state sufficientemente forti, chiare e concordanti
tra loro, si sarebbe potuto continuare nel giudizio 246.
Infine la Corte di Strasburgo si è espressa anche in merito alla violazione degli
obblighi positivi derivanti dall’art. 2 letto in congiunzione con l’art. 1 della
Convenzione, che prevedono l’obbligo per gli Stati di porre in essere delle indagini
ufficiali ed effettive in caso di morte di individui avvenuta in conseguenza dell’uso
della forza 247. Secondo la Corte, il governo avrebbe dovuto condurre direttamente le
indagini finalizzandole all’effettiva individuazione dei responsabili delle violazioni.
In tutte e tre le sentenze la Corte ha ritenuto le indagini insufficienti o incomplete
poiché iniziarono o con eccessivo ritardo o perché furono sospese senza un’eccessiva
giustificazione 248.
6.1 La violazione dell’art. 2 della nel caso Khashiyev e Akayeva
Al fine di valutare la fondatezza delle denunce dei ricorrenti e in considerazione
della natura delle accuse, nella prima sentenza la Corte, ha invitato la Federazione
russa a presentare in sede giudiziaria l’intera documentazione prodotta durante i
245
Par. 134 della sentenza. Corsivo aggiunto.
La Corte europea dei diritti dell’uomo a tal proposito ha citato due sue passate sentenze: la sentenza Avsar
c. Turchia del 10 luglio 2001, par. 382, in cui la Corte afferma che « In assessing evidence, the Court adopts the
standard of proof “beyond reasonable doubt”. Such proof may follow from the coexistence of sufficiently strong,
clear and concordant inferences or of similar unrebutted presumptions of fact. In this context, the conduct of the
parties when evidence is being obtained has to be taken into account ». Il testo della sentenza è reperibile in
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&
portal=hbkm&action=html&highlight=Avsar%20%7C%20v.%20%7C%20Turkey&sessionid=42992653&skin=
hudoc-fr. e anche la sentenza Ireland v. the United Kingdom del 18 gennaio 1978, par. 161, in cui si afferma che
« The Commission based its own conclusions mainly on the evidence of the one hundred witnesses heard in, and
on the medical reports relating to, the sixteen “illustrative” cases it had asked the applicant Government to select.
The Commission also relied, but to a lesser extent, on the documents and written comments submitted in
connection with the “41 cases” and it referred to the numerous “remaining cases” (see paragraph 93 above). As in
the “Greek case” (Yearbook of the Convention, 1969, The Greek case, p. 196, para. 30), the standard of proof the
Commission adopted when evaluating the material it obtained was proof “beyond reasonable doubt” ». Il testo
della
sentenza
è
reperibile
in
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&portal=hbkm&action=html&highlight=Ireland%20%7C%2
0v.%20%7C%20the%20%7C%20United%20%7C%20Kingdom&sessionid=42992784&skin=hudoc-en.
247
Par. 153 della prima sentenza, par. 208 della seconda e par. 209 della terza.
248
Si veda il par. 157 della prima sentenza, il par. 214 della seconda e il par. 216 della terza, in cui il ritardo con il
quale iniziarono le indagini nonché il loro fallimento nell’individuare i responsabili delle violazioni fu
inaccettabile dalla Corte. Cfr. HORTAL CERVELL MARIA JOSÉ, Chechenia vs. Russia: El triunfo de los derechos
humanos (A propòsito de tres sentencias del tribunal europeo de derechos humanos de 24 febrero de 2005), in
Anuario de Derecho International, 2005, pp. 477-491.
246
ricorsi interni. Il governo russo tuttavia, ha presentato solo due terzi della
documentazione prodotta, violando così l’obbligo di fornire tutte le facilitazioni
previste dall’art. 38 della
Convenzione 249.
Entrando nel merito, la Corte ha dovuto per questa ragione analizzare i fatti e le
documentazioni presentate alla Corte dalle parti in causa e valutare se il governo
russo potesse essere ritenuto responsabile per le morti dei familiari dei ricorrenti.
Nonostante nessuna inchiesta fosse stata portata a termine e i responsabili non
fossero stati indentificati, è emerso dal fascicolo dell’inchiesta penale che l’unica
versione dei fatti considerata attendibile e veritiera era stata quella avanzata dai
ricorrenti
250
. Infatti le corti interne, alle quali i ricorrenti si rivolsero, constatarono
che poiché il distretto di Staropromyslovskiy dove vivevano le vittime, era all’epoca
dei fatti sotto il controllo effettivo delle forze federali e che gli omicidi erano
avvenuti durante un’ispezione militare, i responsabili non potevano che essere i
soldati dell’esercito russo. Inoltre la Corte ha osservato che
« Where the events in issue lie wholly, or in large part, within the exclusive knowledge
of the authorities, as in the case of persons within their control in detention, strong
presumptions of fact will arise in respect of injuries and death occurring during that
detention. Indeed, the burden of proof may be regarded as resting on the authorities to
provide a satisfactory and convincing explanation » 251 .
La Corte ha ritenuto che poiché il governo russo era l’unico ad essere a
conoscenza dei fatti, era su di esso che gravava un fondato sospetto di responsabilità
per i maltrattamenti e le morti accadute ai familiari dei ricorrenti posti sotto la sua
249
L’art. 38, par. 1 della Convenzione afferma che « Quando dichiara che il ricorso è ricevibile, la Corte […]
prosegue líesame della questione in contraddittorio con i rappresentanti delle Parti e, se del caso, procede ad
uníinchiesta per il cui efficace svolgimento gli Stati interessati forniranno tutte le facilitazioni necessarie ». Si
veda inoltre i parr. 136-137 della sentenza in cui la Corte ha affermato che la restante parte del materiale
d’indagine non era stato presentato in sede di giudizio, poiché sarebbe risultata secondo il governo russo
giuridicamente non importante. La Corte decise di proseguire lo stesso nel proprio giudizio, nonostante la
mancata collaborazione della Federazione russa con la Corte. A tal proposito la Corte ha ricordato anche la
propria giurisprudenza passata, citando il par. 70 della sentenza Tanrikulu c. Turchia del 8 luglio 1999, in cui si è
affermato che « The Court would observe that it is of the utmost importance for the effective operation of the
system of individual petition instituted under former Article 25 of the Convention (now replaced by Article 34)
not only that applicants or potential applicants should be able to communicate freely with the Convention organs
without being subject to any form of pressure from the authorities, but also that States should furnish all
necessary facilities to make possible a proper and effective examination of applications (see former Article 28 § 1
(a) of the Convention, which concerned the fact-finding responsibility of the Commission, now replaced by
Article 38 of the Convention as regards the Court’s procedures) ». Il testo della sentenza è reperibile in
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=2&portal=hbkm&action=
html&highlight=Tanrikulu&sessionid=47614062&skin=hudoc-fr.
250
Parr. 142-144 della sentenza. La Corte ha anche preso in considerazione le relazioni delle organizzazioni
internazionali che sono state presentate in sede giudiziaria, le quali sostenevano la versione presentata dai
ricorrenti.
251
Par. 133 della sentenza. Corsivo aggiunto.
custodia. Inoltre, il governo russo avrebbe dovuto fornire delle spiegazioni
soddisfacenti ed esaurienti alla Corte 252.
In conclusione, la Corte, sulla base delle informazioni in suo possesso e dopo
aver osservato che il governo russo non aveva fornito alcun tipo di spiegazione in
merito alle circostanze dei fatti, ha ritenuto che i decessi dei familiari dei ricorrenti
fossero stati commessi dall’esercito russo. Pertanto essa ha ritenuto il governo russo
responsabile della violazione dell’art. 2 della Convenzione.
6.2 La violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva
In merito alla violazione dell’art. 2 della Convenzione, la Corte europea dei
diritti dell’uomo ha ascoltato a favore dei ricorrenti anche alcune dichiarazioni della
ong americana Rights International, la quale, riferendosi alla sentenza Banković e
altri c. Belgio e 16 altri Paesi contraenti, ha dichiarato che la Corte, nell’interpretare
la Convenzione, avrebbe dovuto tener conto di tutte le norme di diritto internazionale
umanitario che regolano i conflitti armati interni e che disciplinano lo status dei
combattenti e quello dei civili 253. In particolare, secondo il rapporto presentato dalla
ong, si doveva anzitutto applicare al caso ceceno l’art. 3 della prima Convenzione di
Ginevra del 1949
254
, in base al quale, in caso di conflitto armato interno, le parti
contraenti la Convenzione si impegnano al rispetto di un trattamento umano alle
persone partecipanti alle ostilità, con particolare riferimento al divieto della violenza
sugli individui, sui bambini, ed imponendo il divieto a mutilazioni e a trattamenti
degradanti.
252
Si veda la sentenza Salman c. Turchia del 27 giugno 2000, par. 100; la sentenza Çakici c. Turchia del 8 luglio
1999, par. 85; la sentenza Ertak c. Turchia del 9 maggio 2000, par. 32; ed infine la sentenza Timurtaş c. Turchia
del 13 giugno 2000, par. 82. in cui si afferma che « In assessing evidence, […] Where the events in issue lie
wholly, or in large part, within the exclusive knowledge of the authorities, as in the case of persons within their
control in custody, strong presumptions of fact will arise in respect of injuries and death occurring during such
detention. Indeed, the burden of proof may be regarded as resting on the authorities to provide a satisfactory and
convincing
explanation
».
I
testi
delle
sentenze
sono
reperibili
in
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/portal.asp?sessionId=42992653&skin=hudoc-fr& action=request.
253
Par. 161 della sentenza.
254
Il quale sancisce che « In the case of armed conflict not of an international character occurring in the territory
of one of the High Contracting Parties, each Party to the conflict shall be bound to apply, as a minimum, the
following provisions: (1) Persons taking no active part in the hostilities […] shall in all circumstances be treated
humanely […] To this end the following acts are and shall be prohibited at any time and in any place whatsoever
with respect to the above mentioned persons: (a) violence to life and person in particular murder of all kinds,
mutilation, cruel treatment and torture […] » . Il testo in inglese della Convenzione è reperibile in
http://www.icrc.org/ihl.nsf/7c4d08d9b287a42141256739003e636b/fe 20c3d90 3ce27e3c125641e004a92f3.
Così come già ribadito nella sentenza precedente, la Corte ha riaffermato il
valore fondamentale che l’art. 2 ricopre all’interno della Convenzione, andando a
verificare se le operazioni militari compiute dall’esercito russo fossero state
pianificate e organizzate in modo da provocare il minor numero di vittime tra i civili
e se le autorità federali fossero state negligenti nella scelta delle loro azioni 255.
La Corte, considerando le circostanze “eccezionali” entro le quali il conflitto in
Cecenia ha avuto luogo, ha ritenuto lecito la decisione del governo russo di adottare
delle misure altrettanto eccezionali per riportare l’ordine costituzionale nella regione
256
. Tuttavia la Corte non ha mancato di sottolineare come la sua capacità di
effettuare una valutazione sulla legittimità del bombardamento fosse stata fortemente
ostacolata dalla mancanza di informazioni ricevute da parte del governo russo 257.
La Corte ha dapprima valutato se il bombardamento dell’esercito russo potesse
rientrare nelle eccezioni previste dall’art. 2, par. 2, della Convenzione così come
ritenuto dal governo. Quest’ultimo aveva affermato che le vittime tra i civili erano
state causate dalla loro prossimità agli obiettivi colpiti dai piloti, i quali non
avrebbero visto il convoglio se non solo dopo aver lanciato i primi missili. La Corte
non ha accettato tale versione dei fatti escludendo il danno accidentale poiché anche
255
Par. 171 della sentenza.
Par. 178 della sentenza.
257
Il governo russo infatti non ha portato a conoscenza la Corte né di come l’operazione militare fosse stata
organizzata e pianificata, né se si fossero calcolati i potenziali danni ai civili. Le versioni rilasciate dai due piloti e
dal controllore del traffico aereo russo risultarono inattendibili e costruite, infatti si veda al par. 179 della
sentenza, in cui si afferma che « These testimonies were collected in October and December 2000, i.e. over a year
after the attack. They are incomplete and refer to other statements made by these witnesses during the course of
the investigation, which the Government failed to disclose. They are made in almost identical terms and contain a
very brief and incomplete account of the events. Their statements quoted in the document of 5 May 2004 submit a
somewhat different account of the circumstances of the attack at the planes from the trucks, the height from
which the pilots fired at the first truck and the presence of other vehicles on the road (see §§ 90-97). In the
absence of all the pilots' statements and lack of explanation of the obvious inconsistencies contained in them the
Court puts into question the credibility of their statements ». Si veda inoltre ai parr. 79-82 che « The air controller
identified […] submitted that on the evening on 28 October 1999 he was informed […] about an aviation mission
for the following day. The mission was to prevent the movement along the road towards Grozny of heavy
vehicles, possibly carrying weapons, fighters and other supply equipment for the “illegal armed groups”
defending the city. On the same evening he informed two pilots of the mission. Neither on 28-29 October 1999,
nor later, until the questioning, had he been informed of a “humanitarian corridor” for civilians […] ». Entrambi i
piloti hanno invece affermato che « On the road near Shaami-Yurt, about 100 metres from the bridge, he
observed a dark-green Kamaz truck with a canvass cover. He descended from 1500 metres to 200 metres for a
closer look. The pilot could see the truck very clearly, was certain of its mark and was sure that it did not bear any
signs of the Red Cross. When asked, he responded that had he seen the Red Cross signs, he would not have fired
at the vehicle. He was also certain that there were no other vehicles on the road at that time. The wingman
reported fire from the truck, and the pilot requested the ground controller's permission to open fire. Permission
was granted […] at the crossroads near the village of Kulary he noted a second solitary Kamaz truck, also darkgreen, and a group of armed persons dressed in camouflage near it, firing at the planes with sub-machine guns.
[…] No other cars were on the road at the time. On 10 October 2000 a pilot identified as “Petrov” was questioned
as a witness. […] He repeated, almost word for word, the first pilot’s submissions about the circumstances of the
attack on 29 October 1999 ». Corsivo aggiunto.
256
altri veicoli erano stati direttamente colpiti, come ad esempio quello della Croce
Rossa internazionale. Inoltre gli stessi operatori della Croce Rossa affermarono che il
bombardamento durò in maniera continuata per circa quattro ore, smentendo la
versione sostenuta dal governo russo secondo cui ci furono solo due bombardamenti
della durata di pochi minuti ciascuno
258
. Del resto la Corte ha affermato che anche
se così fosse stato, tra il primo e il secondo bombardamento, i piloti si sarebbero
dovuti accorgere delle migliaia di civili in strada
259
. La Corte dunque è giunta alla
conclusione che l’esercito russo avrebbe dovuto essere a conoscenza della presenza
dei civili presenti nel tratto di strada; ed è su tali basi che ha ritenuto la Federazione
russa responsabile della violazione dell’obbligo di proteggere il diritto alla vita dei
tre ricorrenti e dei due figli della prima ricorrente.
In merito alla violazione degli obblighi derivanti dalla lettura dell’art. 2 in
congiunzione con l’art. 1 della Convenzione, ricostruendo l’iter legislativo interno, la
Corte ha riscontrato come non fossero stati rispettati i criteri di efficacia, secondo cui
un procedimento interno può definirsi valido 260. In proposito, la Corte ha richiamato
la sentenza relativa al caso Kaya c. Turchia del 19 febbraio 1998 e quella riguardante
il caso Ogur c. Turchia del 20 maggio 1999, osservando che le indagini avrebbero
dovuto stabilire se la forza militare utilizzata nel caso di specie fosse stata giustificata
in base alle circostanze del caso, oltre ad identificare e punire i responsabili
261
. Nel
caso specifico questi criteri non erano stati rispettati dal governo russo, tanto che il
ricorso presentato dalla Croce Rossa e da una vittima del bombardamento al
Procuratore militare nel dicembre 1999, era stato rifiutato ritenendo che le accuse
fossero infondate, ancorchè presentassero, ad avviso dello stesso Procuratore, un
corpus probatorio importante. Concludendo, la Corte di Strasburgo ha dunque
258
Par. 194 della sentenza. Il governo ha dichiarato che gli attacchi furono solo due: uno dalle 14.05 fino alle
14.15 e un altro dalle 15.30 alle 15.35.
259
Par. 193-195 della sentenza.
260
Par. 215 della sentenza.
261
Si legga in proposito il par. 87 della sentenza Kaya c. Turchia « The Court observes that the procedural
protection of the right to life inherent in Article 2 of the Convention secures the accountability of agents of the
State for their use of lethal force by subjecting their actions to some form of independent and public scrutiny
capable of leading to a determination of whether the force used was or was not justified in a particular set of
circumstances
».
Il
testo
della
sentenza
è
reperibile
in
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&portal=hbkm&action=html&highlight=kaya&sessionnid=4
5187896&skin=hudoc-en. Si veda anche il par. 88 della sentenza Ogur c. Turchia, in cui la Corte afferma che «
This investigation should be capable of leading to the identification and punishment of those responsible ». Il
testo
della
sentenza
è
reperibile
in
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?
item=1&portal=hbkm&action=html&highlight=ogu r&sessionid=45188468&skin=hudoc-en.
ritenuto il governo responsabile per non aver condotto delle indagini effettive ai sensi
dell’art. 2, letto in congiunzione con l’art. 1 della Convenzione.
6.3 La violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva
In merito alla violazione dell’art. 2 della Convenzione, la Corte ha ritenuto che la
morte dei familiari della ricorrente, avvenuta in occasione del bombardamento del
villaggio di Katyr-Yurt, fosse imputabile all’esercito russo. La Corte ha dovuto
verificare se tale attacco militare rientrasse nelle circostanze previste dall’art. 2, par.
2 della Convenzione, come ritenuto dal governo russo, oppure lo violava, così come
ritenuto dalla ricorrente. Analizzando le circostanze del caso, la Corte ha riscontrato
che vi era nella Repubblica cecena una situazione di estremo pericolo, che richiedeva
l’uso, talvolta anche intenso, della forza armata militare russa per reprimere qualsiasi
tipo di pericolo. Tuttavia la Corte ha dovuto verificare se le misure adottate
dall’esercito russo fossero state assolutamente necessarie e proporzionali
all’obiettivo perseguito.
In base alle testimonianze raccolte e alla documentazione ricevuta dalle parti, la
Corte ha avuto modo di constatare inizialmente che la decisione di bombardare il
villaggio era stata pianificata ed organizzata per tempo dall’esercito russo in modo da
eliminare la resistenza cecena nell’area 262. L’esercito inoltre, organizzando delle vie
di fuga dal villaggio, aveva messo in atto dei piani per ridurre al minimo le eventuali
vittime tra i civili. Tuttavia, la Corte ha rilevato che al momento dell’inizio dei
bombardamenti, gran parte della popolazione era ancora lungo la strada per lasciare
il villaggio e nonostante l’esercito ne fosse a conoscenza, non fece nulla per
interrompere l’attacco.
È su tali basi che la Corte ha rinvenuto la violazione da parte del governo russo
dell’art. 2 della Convenzione nella misura in cui l’esercito russo, pur perseguendo un
obiettivo ritenuto legittimo dalla Corte, non aveva adottato sufficienti ed adeguate
misure volte alla protezione del diritto alla vita della popolazione civile 263.
In merito all’inefficacia delle indagini poste in essere dal governo russo, alla luce
del già citato art. 2 letto in congiunzione con l’art. 1 della Convenzione, la Corte ha
262
263
Par. 184-188 della sentenza.
Par. 200 della sentenza.
fatto riferimento alla sentenza McCann e altri c. Regno Unito del 19 febbraio 1998
264
e alla sentenza Kaya c. Turchia
265
. In queste sentenze la Corte ha affermato che
gli Stati hanno l’obbligo di porre in essere delle indagini effettive qualora si ritenga
violato l’art. 2 della Convenzione, laddove per ‘effettive’ si intende la capacità di un
tribunale di individuare e condannare il responsabile del reato e qualora ciò avvenga
in un contesto di indipendenza dalle parti coinvolte nel merito
266
. In base a quanto
affermato la Corte ha dunque ritenuto il governo russo responsabile per non aver
posto in essere delle indagini effettive, in violazione dell’art. 2 letto in congiunzione
con l’art. 1 della Convenzione.
7. La violazione dell’art. 3 della Convenzione
Nelle prime due sentenze analizzate, i ricorrenti hanno lamentato la violazione
dell’art. 3 della Convenzione europea, mentre nell’ultima sentenza, Isayeva c.
Federazione russa, la ricorrente ha denunciato la sola violazione dell’art. 2 e 13 della
Convenzione.
Nelle prime due sentenze i ricorrenti hanno chiesto alla Corte di dichiarare il
bombardamento aereo russo contro il convoglio di civili (sentenza Isayeva, Yusupova
e Bazayeva) e i trattamenti degradanti inflitti ai loro familiari prima della loro morte
(sentenza Khashiyev e Akayeva) come contrari all’art. 3 della Convenzione.
7.1 La violazione dell’art. 3 nel caso Khashiyev e Akayeva
La Corte di Strasburgo nella prima sentenza ha ritenuto che le circostanze e le
modalità con le quali i familiari dei ricorrenti furono uccisi, non erano sufficienti per
ritenere il governo russo responsabile della violazione dell’art. 3 della Convenzione.
264
Par. 161 della sentenza, in cui la Corte ha affermato che « […] confines itself to noting, like the Commission,
that a general legal prohibition of arbitrary killing by the agents of the State would be ineffective, in practice, if
there existed no procedure for reviewing the lawfulness of the use of lethal force by State authorities. The
obligation to protect the right to life under this provision (art. 2), read in conjunction with the State's general duty
under Article 1 (art. 2+1) of the Convention to “secure to everyone within their jurisdiction the rights and
freedoms defined in [the] Convention”, requires by implication that there should be some form of effective
official investigation when individuals have been killed as a result of the use of force by, inter alios, agents of the
State ».
265
Par. 87 della sentenza Kaya c. Turchia.
266
A tal proposito la Corte giunge alla medesima conclusione anche in altre sentenze come le sentenze del 2001
dell’Irlanda del Nord per i casi McKerr c. Regno Unito, par. 128 della sentenza; Hugh Jourdan c. Regno Unito,
par. 120 della sentenza; ed infine Kelly e altri c. Regno Unito, par. 114 della sentenza.
I ricorrenti infatti, nonostante avessero riferito alla Corte che i corpi delle vittime
erano stati fatti oggetto di tortura e presentavano tracce vistose di maltrattamenti 267,
si sono viste rigettare tale tesi poiché la Corte, riaffermando l’importanza di tale
articolo, ha ribadito che proprio per questa ragione le accuse di maltrattamento e
tortura devono essere sostenute da adeguate prove e che queste devono essere
valutate dalla Corte attraverso il criterio della “beyond all reasonable doubt”
268
.
Poiché l’unica documentazione presentata alla Corte era stata quella delle autorità
federali, secondo le quali le vittime presentavano solo ferite da colpi di arma da
fuoco, la Corte ha dichiarato di non aver riscontrato, al di là di ogni ragionevole
dubbio, la violazione dell’art. 3 della Convenzione da parte del governo russo 269.
L’atteggiamento avuto dalla Corte dal punto di vista del criterio della prova
“beyond all reasonable doubt” ha suscitato diverse critiche in dottrina, tra cui anche
quelle di alcuni giudici della Corte
270
. In particolare, è stata criticata la persistenza
dimostrata dalla Corte a rifiutare l’utilizzo del criterio di presunzione di colpevolezza
per l’art. 3 della Convenzione
271
. Tale criterio è stato invece già applicato più volte
all’art. 2 della Convenzione, così come si evince dall’analisi della giurisprudenza
della Corte272. In proposito, appare ragionevole la tesi di quella parte della dottrina
che ritiene che tale criterio debba essere applicato anche all’art. 3 della Convenzione
affinché
267
questo
possa
trovare
una
maggiore
applicazione
senza
essere
Si veda il par. 51 della sentenza in cui si afferma che « Movlatkhan Bokova further testified that she had
washed Lidiya Khashiyeva's body before burial, and had seen numerous (about 20) stab and gunshot wounds on
her body. Her left arm was broken and front teeth were missing. She further testified that Anzor Taymeskhanov's
head bore numerous blow marks and that his jaw had been broken ».
268
Par. 171 della sentenza.
269
Par. 172-174 della sentenza.
270
Cfr. TIGROUDJA HÉLÈNE, La Cour européenne des droits de l’homme face au conflit en Tchetchénie in Revue
trimestrelle des droits de l’homme, 2006, pp.111-140; Cfr. HORTAL CERVELL MARIA JOSÉ, Chechenia vs. Russia:
El triunfo de los derechos humanos (A propòsito de tres sentencias del tribunal europeo de derechos humanos de
24 febrero de 2005), cit., supra nota 248. Per le opinioni dissidenti dei giudici della Corte si veda la sentenza
Labita c. Italia del 6 aprile 2000. Il testo della sentenza è reperibile in http://
cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=2&portal=hbkm&action=html&highlight=labita& sessionid=47.
271
Ibidem.
272
A tal riguardo si veda il par. 86 della sentenza Timurtas c. Turchia del 13 giugno 2000 e il par. 87 della
sentenza Çakici c. Turchia del 8 luglio 1999, in cui la Corte ha affermato che « For the above reasons, the Court
is satisfied that Abdulvahap Timurtaş must be presumed dead following an unacknowledged detention by the
security forces. Consequently, the responsibility of the respondent State for his death is engaged. Noting that the
authorities have not provided any explanation as to what occurred after Abdulvahap Timurtaş's apprehension and
that they do not rely on any ground of justification in respect of any use of lethal force by their agents, it follows
that liability for his death is attributable to the respondent State. Accordingly, there has been a violation of
Article 2 on that account ».
eccessivamente ostacolato dall’alto livello dello standard probatorio richiesto dalla
Corte 273.
7.2 La violazione dell’art. 3 nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva
In questa sentenza invece la Corte di Strasburgo ha deciso di non pronunciarsi in
merito alla disposizione della Convenzione, avendo già esaminato i fatti e ritenendo
che le conseguenze del bombardamento rientrassero nell’ambito delle disposizioni
contenute nell’art. 2 e non in quelle contenute nell’art. 3 della Convenzione 274.
Tuttavia una parte della dottrina ritiene che il ragionamento avuto dalla Corte sia
da ritenere in qualche maniera incompleto seppur concorde con la sua passata
giurisprudenza
275
. Secondo alcuni autori infatti, la Corte, ritenendo solo l’art. 2 e
non anche l’art. 3 della Convenzione violato da parte del governo russo, avrebbe
omesso di considerare alcuni aspetti ritenuti sufficientemente importanti da poter
essere approfonditi. Si fa qui riferimento alla possibilità di intendere l’utilizzo
strumentale che l’esercito russo avrebbe fatto del convoglio di civili. Alcuni autori
ritengono che, seppur non esistono prove certe che testimonino la volontà
dell’esercito russo di attirare volontariamente il più alto numero di civili tramite
l’apertura di un corridoio umanitario per poi bombardarli, essi ritengono che la
cronologia e lo svolgimento dei fatti inducano un osservatore oggettivo a nutrire
diversi dubbi sulla versione fornita dal governo russo e sulla decisione della Corte di
Strasburgo
276
. Tuttavia anche se è evidente che i ricorrenti non potevano provare
l’intenzionalità dei militari russi a compiere un tale gesto, riteniamo che la Corte
avrebbe dovuto tuttavia esaminare in maniera più attenta la violazione dell’art. 3
della Convenzione.
273
Cfr. TIGROUDJA HÉLÈNE, La Cour européenne des droits de l’homme face au conflit en Tchetchénie, cit., supra
nota 270, in part. p. 126.
274
Par. 229 della sentenza.
275
Cfr. TIGROUDJA HÉLÈNE, La Cour européenne des droits de l’homme face au conflit en Tchetchénie, cit., supra
nota 270, in part. p. 126.
276
Ibidem; Cfr. HORTAL CERVELL MARIA JOSÉ, Chechenia vs. Russia: El triunfo de los derechos humanos (A
propòsito de tres sentencias del tribunal europeo de derechos humanos de 24 febrero de 2005), cit., supra nota
248.
8. La violazione dell’art. 13 della Convenzione
Come abbiamo avuto modo già di accennare nel corso del capitolo, la Corte di
Strasburgo ha ritenuto i ricorsi interni della Federazione russa essere ingannevoli,
inefficaci e inadeguati. Tuttavia la Corte, ritenendo questo aspetto eccessivamente
legato ai fatti in questione, ha deciso di non analizzarlo in sede preliminare bensì
sulla base delle disposizioni della Convenzione ed ha ritenuto che l’art. 13 della
Convenzione che sancisce appunto il diritto di ogni individuo a godere di un ricorso
effettivo davanti ad un’istanza nazionale, fosse stato violato dal governo russo in tutti
e tre i casi.
La Corte ha voluto sottolineare tuttavia come l’ambito di questo diritto varia a
seconda della natura dei ricorsi presentati, esigendo comunque sempre un loro
effettivo soddisfacimento
277
. Infatti la Corte, leggendo l’art. 13 in congiunzione con
l’art. 2 e l’art. 3 della Convenzione, ha affermato che
« The scope of the obligation under Article 13 varies depending on the nature of the
applicant’s complaint under the Convention. Given the fundamental importance of the rights
guaranteed by Articles 2 and 3 of the Convention, Article 13 requires, in addition to the
payment of compensation where appropriate, a thorough and effective investigation capable
of leading to the identification and punishment of those responsible for the deprivation of life
and infliction of treatment contrary to Article 3, including effective access for the
complainant to the investigation procedure » 278.
La Federazione russa dunque, data l’importanza degli articoli violati nei casi in
questione, avrebbe dovuto porre in essere delle indagini effettive volte ad identificare
i responsabili dell’assassinio e delle torture subite dai familiari dei ricorrenti
279
,
consentendo inoltre l’accesso all’intera documentazione prodotta per il caso di
specie. Tuttavia la Corte non avendo riscontrato tale indagine in nessuna delle tre
sentenze, ha ritenuto che la Federazione russa avesse così violato anche l’art. 13 della
Convenzione 280.
277
Par. 182 della prima sentenza; par. 236-237 della seconda e par. 226 della terza sentenza.
Par. 183 della prima sentenza.
279
Par. 182 della prima sentenza; par. 237 della senconda e par. 227 della terza
280
Par. 184-186 della prima sentenza; parr. 239-240 della seconda e parr. 229-230 della terza sentenza.
278
9. La violazione dell’art. 1, par. 1 del primo Protocollo della Convenzione
Nella seconda sentenza, la terza ricorrente sosteneva che il governo russo avesse
violato l’art. 1 del primo Protocollo della Convenzione, il quale sancisce la tutela dei
beni privati dei singoli individui e ne garantisce la tutela ed il godimento. La sua
privazione è concessa solo quando si rinviene un pubblico interesse ritenuto
preminente rispetto a quello privato oppure quando sussistono le condizioni previste
dalla legge o dai principi generali di diritto internazionale
281
. Il governo russo ha
ritenuto che all’epoca dei fatti sussistevano tali condizioni, per cui il bombardamento
era da ritenersi lecito alla luce dello stesso art. 1 del primo Protocollo 282.
In conclusione, la Corte, citando il caso Bilgin c. Turchia del 16 novembre 2000
283
, ha ritenuto il governo russo responsabile della violazione dell’art. 1 del primo
Protocollo nella misura in cui il bombardamento aereo aveva costituito, oltre che una
violazione dei precedenti articoli, anche una grave e ingiustificata interferenza con il
diritto della ricorrente a godere della propria riservatezza familiare e del godimento
dei propri beni 284.
10. Il rinvio implicito al diritto internazionale umanitario nelle sentenze cecene
In due delle tre sentenze del 24 febbraio 2005, la Corte ha concluso che la
Federazione russa era responsabile della violazione dell’art. 2 della Convenzione a
causa del mancato rispetto del criterio di proporzionalità nell’uso della forza
285
. La
Corte non ha contestato la legittimità degli attacchi da parte delle forze militari russe,
281
L’art. 1 del primo Protocollo della Convenzione afferma che « Every natural or legal person is entitled to the
peaceful enjoyment of his possessions. No one shall be deprived of his possessions except in the public interest
and subject to the conditions provided for by law and by the general principles of international law.The preceding
provisions shall not, however, in any way impair the right of a State to enforce such laws as it deems necessary to
control the use of property in accordance with the general interest or to secure the payment of taxes or other
contributions
or
penalties
».
Per
il
testo
completo
del
Protocollo
si
veda
in
http://www.hri.org/docs/ECHR50.html#P1.
282
Par. 232 della sentenza.
283
Si veda il par. 108 della sentenza in questione, in cui la Corte ha affermato che « The Court has found it
established that the applicant’s home and possessions were destroyed by the security forces, thus depriving the
applicant of his livelihood and forcing him and his family to leave Yukarıgören. There can be no doubt that these
acts constituted grave and unjustified interferences with the applicant’s rights to respect for his private and family
life and home, and to the peaceful enjoyment of his possessions ». Per il testo della sentenza di veda in
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&portal=hbkm&
action=html&highlig
ht=Bilgin&sessionid=45243755&skin=hudoc-en.
284
Par. 233 della sentenza.
285
Si veda in proposito il par. 201 delle sentenze in questione.
piuttosto la maniera con la quale sono stati condotti ed eseguiti. Pertanto, si può
osservare che ciò che la Corte ha condannato in realtà è stata la violazione di diversi
principi di diritto internazionale umanitario come l’obbligo per i belligeranti di non
causare mali superflui o danni eccessivi, il principio della proporzionalità così come
quello della distinzione tra obiettivi civili e quelli militari, di cui la Corte
internazionale di giustizia aveva affermato l’importanza nel parere sulla Liceità
della minaccia o dell’uso delle armi nucleari del 1996 286.
Nella sentenza Isayeva e altri, la Corte ha condannato l’uso dei missili terra aria
teleguidati che « […] on explosion, each missile creates several thousand pieces of
shrapnel and its impact radius exceeds 300 metres », sottolineando l’ « apparent
disproportionality in the weapons » 287.
La Corte ha condannato l’uso di queste armi per le conseguenti violazioni del
diritto alla vita degli individui, secondo l’art. 2 della Convenzione, e per gli attentati
gravi e ingiustificati al diritto di proprietà, come sancito dall’art. 1 del primo
Protocollo nonché dal diritto internazionale consuetudinario concernente l’immunità
di cui godono i beni privati durante un conflitto armato 288.
Nella sentenza Isayeva, la Corte sembra essere giunta a ritenere il governo russo
responsabile per la violazione del principio di proporzionalità da parte dell’esercito
per non aver distinto gli obiettivi civili da quelli militari.
La Corte ha infatti ritenuto che
« […] that using this kind of weapon in a populated area, outside wartime and without
prior evacuation of the civilians, is impossible to reconcile with the degree of caution
expected from a law-enforcement body in a democratic society. No martial law and no state
of emergency has been declared in Chechnya, and no derogation has been made under
289
Article 15 of the Convention (see § 133) » .
In proposito il governo russo ha osservato come il bombardamento del villaggio
avesse come unico obiettivo quello di proteggere la popolazione locale dai ribelli
286
Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of International Armed Conflict: The European Court of Human
Rights in Chechnya, in European Journal of International Law, 2005, pp. 741-767.
287
Si veda il par. 195 e 197 della sentenza.
288
Infatti la distruzione non giustificata dei beni civili avvenuta per necessità militari costituisce un crimine di
guerra ai sensi dell’art. 6 dello Statuto del Tribunale militare di Norimberga, ai sensi dell’art. 3 dello Statuto del
Tribunale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia e dell’art. 8 dello Statuto della Corte penale
internazionale. Sempre in base al diritto internazionale consuetudinario esistono delle limitazioni a tale diritto che
tuttavia la Corte di Strasburgo ha ritenuto non applicabili. La Corte ha infatti rigettato la tesi difensiva della
Federazione russa secondo la quale la privazione della proprietà privata della ricorrente sarebbe avvenuta per
perseguire un fine pubblico secondo le modalità previste dalla legge.
289
Si veda l’art. 191 della sentenza.
ceceni che si erano nascosti nel villaggio. Ma sul punto la Corte ha ritenuto che
« The operation in question therefore has to be judged against a normal legal
background. […] The massive use of indiscriminate weapons stands in flagrant contrast with
this aim and cannot be considered compatible with the standard of care prerequisite to an
290
operation of this kind involving the use of lethal force by State agents »
.
Dal punto di vista di diritto internazionale umanitario, la Federazione russa non
avrebbe dunque rispettato l’obbligo consuetudinario di non causare mali superflui o
danni eccessivi alla popolazione civile. Non è difficile osservare come in queste
sentenze siano presenti dei ragionamenti e delle logiche proprie del diritto
internazionale umanitario (il prinicipio di proporzionalità; l’immunità della
popolazione civile e dei loro beni) e dei principi generali che caratterizzano questa
branca del diritto.
10.1 La Corte europea dei diritti dell’uomo e l’applicazione delle norme di
diritto internazionale umanitario
Come abbiamo avuto modo di vedere, sia nella sentenza Isayeva, Yusupova e
Bazayeva che nell’altra Isayeva c. Federazione russa del 24 febbraio 2005
291
, la
Corte di Strasburgo ha dovuto esaminare la condotta delle ostilità da parte della
Federazione russa durante il conflitto armato nella Repubblica cecena; un ambito
questo ritenuto di specifica applicazione del diritto internazionale umanitario.
Secondo quanto ritenuto da una parte della dottrina, in caso di conflitto armato
interno, le norme internazionali umanitarie prevarrebbero su quelle a tutela dei diritti
umani in base al principio lex specialis derogat lex generali 292.
Dall’analisi fatta della recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, si evince
come questa abbia applicato direttamente le norme a tutela dei diritti umani durante
un conflitto armato interno, quello ceceno appunto.
290
Ibidem.
Senteza Isayeva. Yusupova e Bazayeva e la sentenza Isayeva c. Federazione russa.
292
Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of International Armed Conflict: The European Court of Human
Rights in Chechnya, cit., supra nota 286. Inoltre è da citare anche il parere consultivo rilasciato dalla Corte
internazionale di giustizia l’8 luglio 1996 sulla Liceità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari, con il quale
la Corte ha affermato che l’efficacia della Patto internazionale sui diritti civili e politici non cessa in tempo di
guerra, poiché il diritto a non essere privato in maniera arbitraria del diritto alla vita viene rispettato anche
durante un conflitto armato. Tuttavia i modi in cui tale diritto viene rispettato è determinato dal diritto
internazionale umanitario che agisce sulla base del principio lex specialis derogat lex generali. Si vedano i par.
24-25 della Convenzione, il cui testo è reperibile in http://www.icj-cij.org/docket/files/95/7495.pdf.
291
Una parte autorevole della dottrina ritiene che, nonostante si infranga il principio
della lex specialis applicato al diritto internazionale umanitario durante un conflitto
armato interno, l’applicazione delle norme per la tutela dei diritti umani in tali
contesti non comporterebbe nessuna modifica al diritto internazionale generale. Si
afferma infatti che il diritto internazionale umanitario, pur regolando in maniera
specifica i conflitti armati internazionali, non disciplinerebbe allo stesso modo i
conflitti armati interni
293
. Infatti questa parte della dottrina, ritiene che nella
maggioranza dei conflitti armati interni l’unica norma applicabile sia l’art. 3 comune
alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949
294
. Esso è finalizzato alla protezione
degli individui che non prendono parte alle ostilità, compresi i membri delle forze
armate che hanno chiesto la resa. Tuttavia questa parte della dottrina afferma che
quanto disposto da tale articolo sarebbe disciplinato anche dall’art. 2 letto in
congiunzione con l’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
295
. A tal
proposito questa parte della dottrina, osservando come sia « difficult to see how
Common Article 3 is ‘more specific’, ‘more to the point’, or ‘more effective’ than
the ECHR or other human rights instruments »
296
, ritiene difficile intenderlo come
lex specialis rispetto alle norme per la tutela dei diritti umani della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo 297.
Secondo quanto affermato da questa parte della dottrina, l’art. 3 comune alle
quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, non regolerebbe in alcuna maniera la
condotta delle ostilità durante un conflitto armato interno mentre il secondo
293
Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of International Armed Conflict: The European Court of Human
Rights in Chechnya, cit., supra nota 286. 294
L’art. 3 della Convenzione afferma che « [...] Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità,
compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da
malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna
distinzione di carattere sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla credenza, al sesso, alla
nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo. A questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni
tempo e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate: a. le violenze contro la vita e l’integrità corporale [...];
b. la cattura di ostaggi; c. gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti; d.
le condanne pronunciate e le esecuzioni compiute senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito »
295
L’art. 2 della Convenzione tutela il diritto alla vita di ogni individuo e ne elenca i casi in cui la sua privazione
è ritenuta legittima; mentre l’art. 14 sancisce che « Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella
presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul
sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o
sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione ».
296
Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of International Armed Conflict: The European Court of Human
Rights in Chechnya, cit., supra nota 286. 297
Ibidem.
298
Protocollo addizionale del 1977
disciplinerebbe in maniera più esaustiva tali
conflitti. Tuttavia anch’esso è ritenuto di applicabilità limitata poiché disciplinerebbe
la condotta delle ostilità nei conflitti armati interni solo in riferimento ai civili 299. In
definitiva, questa parte della dottrina ritiene che sia l’art. 3 della Convenzione di
Ginevra sia il secondo Protocollo addizionale del 1977 produrrebbero una lacuna
legislativa legata alla mancata disciplina della condotta delle ostilità durante un
conflitto armato interno 300.
In considerazione di quanto detto, secondo tali autori, che la Corte europea dei
diritti dell’uomo avrebbe colmato con la propria giurisprudenza questa lacuna
lasciata dal diritto internazionale umanitario, iniziando ad applicare direttamente le
norme a tutela dei diritti umani alla condotta delle ostilità nei conflitti interni 301.
Un’altra parte della dottrina ha invece affermato che il diritto internazionale
consuetudinario avrebbe colmato questa lacuna
302
. Nel corso degli ultimi decenni
infatti, si sarebbe riscontrato un notevole aumento da parte degli Stati a rispettare le
norme del diritto internazionale umanitario nei conflitti armati interni, tanto che le
disposizioni riportate dal secondo Protocollo addizionale del 1977 avrebbero assunto
un carattere consuetudinario
298
303
. A supporto di ciò, vi sarebbe anche quanto
Per una lettura più approfondita del secondo Protocollo addizionale del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del
1949, si veda in http://www.icrc.org/ihl.nsf/7c4d08d9b287a42141256739003e636b/ d67c3971bcff1c10c1
25641e0052b545.
299
Anche se alcuni autori ritengono che la disposizione presente nell’art. 3 comune alle quattro Convenzioni di
Ginevra proibisca lo stesso il coinvolgimento dei civili nelle operazioni militari, la maggior parte della dottrina
ritiene che il campo di applicazione dell’art. 3 sia limitato alle sole parti coinvolte nei combattimenti e non
disciplina la condotta delle ostilità nei conflitti armati interni. Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of
International Armed Conflict: The European Court of Human Rights in Chechnya, cit., supra nota 297. Cfr.
ICRC, Commetary on the Additional Protocols of 8 june 1977 to the Geneva Conventions of 12 Agoust 1949,
1987,
in
part.
1325.
Il
testo
è
reperibile
in
http://www.loc.gov/rr/frd/Military_Law/pdf/
Commentary_GC_Protocols.pdf.
300
Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of International Armed Conflict: The European Court of Human
Rights in Chechnya, cit., supra nota 286.
301
Ibidem.
302
Ibidem.Cfr. HENCKAERTS JEAN MARIE, Study on Customary International Humanitarian Law: A Contribution
to the Understanding and Respect for the Rule of Law in Armed Conflict, in International Review of the Red
Cross, 2005, pp. 175-212. Il testo è reperibile in http://www.icrc.org/Web/eng/siteeng0 .nsf/htmlall/review-857p175/$File/irrc_857_Henckaerts.pdf. Cfr. BOETHE M., New Rules for Victims of Armed Conflicts: Commentary on
the Two 1977 Protocols Additional to the Geneva Conventions of 1949, Dordrecht,1982.
303
Si vedano infatti le norme che vietano glii attacchi contro i civili; il rispetto e la protezione del personale
medico e religioso, nonché delle loro unità e dei loro mezzi di trasporto; il diritto alla tutela contro la fame, il
diritto alla protezione contro gli attacchi ai beni indispensabili per la sopravvivenza della popolazione civile;
l'obbligo di rispettare le garanzie fondamentali dei civili e delle persone hors de combat; l'obbligo per la ricerca, il
rispetto e la protezione dei feriti, dei malati e dei naufraghi; l'obbligo per la ricerca e la protezione dei morti;
l'obbligo di proteggere le persone private della libertà; il divieto di spostamento forzato dei civili e la protezioni
offerte alle donne e ai bambini, Cfr.HENCKAERTS JEAN MARIE, Study on Customary International Humanitarian
Law: A Contribution to the Understanding and Respect for the Rule of Law, cit., supra nota 110.
affermato dalla Commissione internazionale della Croce Rossa sullo stato del diritto
internazionale umanitario consuetudinario, secondo cui
« The gaps in the regulation of the conduct of hostilities in Additional Protocol II have,
however, largely been filled through State practice, which has led to the creation of rules
parallel to those in Additional Protocol I, but applicable as customary law to noninternational armed conflicts » 304.
Anche se non si è ancora giunti ad un trattato internazionale che disciplini la
fattispecie in questione, si afferma dunque che la prassi degli Stati avrebbe ovviato a
questa empasse giuridica tramite lo sviluppo di un diritto internazionale
consuetudinario nel corso degli anni.
10.2 Considerazioni finali al paragrafo
A conclusione di questo paragrafo, riteniamo che, in accordo con una parte
autorevole della dottrina, la Corte di Strasburgo avrebbe dovuto interpretare la
Convenzione europea dei diritti dell’uomo in base al diritto internazionale
umanitario, così da poter meglio applicarla ai fatti che accadono durante i conflitti
armati interni 305.
La Corte di Strasburgo, mancando di ricorrere alle fonti del diritto internazionale
umanitario per interpretare la Convenzione, ha dato un’analisi della situazione in
Cecenia che ha suscitato le critiche di una parte autorevole della dottrina. La Corte
infatti ha riconosciuto che
« the situation that existed in Chechnya at the relevant time called for exceptional
measures by the State in order to regain control over the Republic and to suppress the illegal
armed insurgency. Given the context of the conflict in Chechnya at the relevant time, those
measures could presumably include the deployment of army units equipped with combat
weapons, including military aviation and artillery » 306
In particolare, tale punto di vista è stato criticato nella misura in cui la Corte,
affermando ciò, avrebbe legittimato il governo russo ad adottare delle misure
eccezionali per ristabilire l’ordine costituzionale in Cecenia, tralasciando tuttavia
l’adozione delle altrettanto necessarie misure per la protezione dei civili che non
304
Ibidem.
Ibidem.
306
Si veda il par. 180 della sentenza Isayeva c. Federazione russa.
305
partecipavano al conflitto. La Corte inoltre ha evidenziato aspetti ritenuti importanti,
come la sistematicità delle violazioni nonché la loro gravità. In proposito, è da
ricordare che le vittime delle operazioni militari in Cecenia furono tutte civili e
furono tutte soggette a gravi maltrattamenti prima di essere uccise 307.
11. Considerazioni conclusive
Come abbiamo visto in questo capitolo, le tre sentenze analizzate presentano
diversi aspetti in comune, non solo il medesimo contesto giuridico nel quale i fatti
hanno avuto luogo ma anche le medesime violazioni della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo. In ciascuna delle sentenze, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la
Federazione russa responsabile della violazione dell’art. 2 e dell’art. 13 della
Convenzione. In merito alla violazione dell’art. 3 invece, la Corte ha ritenuto nella
prima sentenza il governo russo non responsabile poiché, come già detto, le prove
non soddisfacevano lo standard probatorio della Corte. Nella seconda sentenza
invece ha ritenuto che le conseguenze derivanti dal bombardamento del convoglio
civile ricadessero sotto l’ambito dell’art. 2 piuttosto che dell’art. 3 della
Convenzione.
Anzitutto è da osservare che la Corte di Strasburgo ha risolto il caso in linea con
la sua precedente giurisprudenza. Infatti, già nelle precedenti sentenze relative ai casi
Çakici c. Turchia e Timurtas c. Turchia, la Corte era giunta alle medesime
conclusioni in merito alle violazioni degli articoli 2, 3 e 13 da parte della Turchia
durante le operazioni militari contro i separatisti curdi 308. Tali sentenze presentavano
scenari e circostanze simili al caso Khashiyev e Akayeva, poiché anch’esse si
caratterizzavano per la presenza delle forze armate statali, operanti nelle aree civili,
rimaste impunite in seguito alle violazioni dei diritti umani a danno della
popolazione curda. Anche in queste sentenze la Corte ha ritenuto la Turchia
307
Si vedano la sentenza Khashiyev e Akayeva; Isayeva, Yusupova e Bazayeva; Isayeva c. Federazione russa del
24 febbraio 2005.
308
Cfr. TARIK ABDEL-MONEM, Chechens Win First Claims in the European Court of Human Rights in Khashiyev
& Akayeva v. Russia, cit., supra nota 222, in part. 178.
responsabile per gli omicidi extragiudiziali compiuti dal proprio esercito solo sulla
base di prove e circostanze evidenti 309.
Le circostanze del caso Khashiyev e Akayeva risultano analoghe anche a quelle
del caso Çicek c. Turchia del 1 novembre 1999 310. Anche in questa sentenza la Corte
ha ritenuto che dei civili curdi, detenuti dalle forze armate turche e poi scomparsi,
fossero stati presumibilmente uccisi dalle forze di sicurezza nazionali. Anche in
questo caso la Corte ha basato il proprio giudizio sulle dichiarazioni di testimoni
oculari che avevano visto i familiari dei ricorrenti vivi per l’ultima volta nelle mani
delle forze armate turche, scomparire per oltre sei anni
sentenza Khashiyev è rimasta coerente con la sua
311
. La Corte quindi, nella
precedente giurisprudenza,
ritenendo gli omicidi extragiudiziali, contestati dai ricorrenti, riconducibili alla
Federazione russa, poiché le testimonianze addotte erano risultate sufficientementi
evidenti a dimostrare che le vittime erano ancora in vita al momento della
detenzione.
Inoltre in tutte e tre le sentenze la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ribadito
ulteriormente il rispetto degli obblighi positivi degli Stati derivanti dall’art. 2 e
dall’art. 3 della Convenzione. Tali articoli, letti in maniera congiunta con l’art. 1
della Convenzione, prevedono l’obbligo positivo per gli Stati di porre in essere delle
indagini effettive in seguito alla morte e alla tortura di qualsiasi individuo, causata
dall’uso della forza da parte degli agenti statali. Nel caso di specie, la Federazione
russa, non avendo dimostrato in maniera completa ed esaustiva di aver posto in
essere delle indagini effettive, volte ad identificare e condannare i colpevoli dei reati,
è stata ritenuta responsabile dalla Corte di Strasburgo. Il ragionamento fatto dalla
Corte è risultato essere compatibile con la sua giurisprudenza, così come lo dimostra
309
Nella sentenza Çakici c. Turchia del 8 luglio 1999, par. 156, la Corte ha affermato che « finding that
sufficient circumstantial evidence existed to find Turkey had executed an individual it had taken into custody ».
Il testo della sentenza è reperibile inhttp://www.echr.coe.int/eng/Press/1999/Jul_Aug/Cakici %20epresse.htm.
Nella sentenza Timurtas c. Turchia del 13 giugno 2000, par. 133 invece la Corte ha affermato che « finding that
missing Kurdish man had been detained and presumed killed by Turkish forces based on witness testimony,
duration of time the man had been missing, and the overall lawless enviroment of South-eastern Turkey at the
time of the killing ». Il testo della sentenza è reperibile in http://www.echr.coe.int/eng/ Press/2000/Jun/Timurtas
%20jud%20epress.htm.
310
La sentenza Çicek è reperibile in http://www.echr.coe.int/Eng/Press/2001/Feb/Cicekjudepress.htm.
311
Cfr. TARIK ABDEL-MONEM, Chechens Win First Claims in the European Court of Human Rights in Khashiyev
& Akayeva v. Russia, cit., supra nota 222.
il continuo rimando da parte della Corte stessa alla sentenza Kaya c. Tuchia, Ogur c.
Turchia, Gülec c. Turchia oppure McCann c. Regno Unito 312.
Nonostante le tre sentenze non abbiano apportato nulla di nuovo alla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo, l’aspetto più significativo ci sembra essere
il richiamo implicito parte della Corte dei principi al diritto internazionale
umanitario.
Nonostante la Corte non si è espressa in merito, in base all’art. 32 della
Convenzione 313, è stato possibile riscontrare nella sua decisione finale il riferimento
ad alcuni principi di diritto internazionale umanitario, come la non necessarietà
dell’attacco armato dell’esercito russo, la sua proporzionalità in base all’obiettivo
perseguito e l’uso indiscriminato delle armi per ottenerlo 314.
Nella sentenza Isayeva c. Federazione russa invece, la Corte ha fatto riferimento
all’uso delle armi convenzionali proibite dal diritto internazionale in caso di attacchi
ad obiettivi misti nei conflitti armati interni, ed ha affermato che, nel caso di specie,
il bombardamento, oltre a violare l’art. 2 della Convenzione, violava anche il diritto
internazionale umanitario. La Corte ha affermato che l’utilizzo di tali armi da parte
dell’esercito russo in una zona popolata da civili e non esposta ai combattimenti, ha
comportato da parte del governo russo il mancato rispetto di un grado sufficiente di
prevenzione che uno Stato in una società democratica deve prendere.
In definitiva, è importante sottolineare ai fini del nostro discorso un ulteriore
aspetto emerso dalle sentenze e cioè, la Corte di Strasburgo è stato l’unico organo
internazionale a cui i ricorrenti si sono potuti appellare per ottenere giustizia,
nonostante fossero stati minacciati dal governo russo 315.
312
Cfr. TARIK ABDEL-MONEM, Chechens Win First Claims in the European Court of Human Rights in Khashiyev
& Akayeva v. Russia, cit., supra nota 222, in part. p. 179.
313
L’art. 32 della Convenzione stabilisce che « La competenza della Corte si estende a tutte le questioni
concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa
alle condizioni previste dagli articoli 33, 34 e 47. In caso di contestazione sulla competenza della Corte, è la Corte
che decide ».
314
Cfr. HORTAL CERVELL MARIA JOSÉ, Chechenia vs. Russia: El triunfo de los derechos humanos (A propòsito de
tres sentencias del tribunal europeo de derechos humanos de 24 febrero de 2005), cit., supra nota 248.
315
Diverse Ong, come ad esempio Human Rights Watch hanno denunciato, come già detto, le minaccie subite dai
potenziali ricorrenti alla Corte. Per una più specifica consultazione dell’argomento si veda in
http://www.hrw.org/legacy/english/docs/2005/03/10/russia10298.htm. Anche il Consiglio d’Europa ha
denunciato tali violenze con la ris. 1455 dell’Assemblea Parlamentare del 2005, in particolare al p. 13, ha
affermato che « with regard to the conflict in the Chechen Republic, comply with the recommendations contained
in Resolution 1403 (2004) and notably take effective action to put an immediate end to the ongoing
“disappearances”, torture, arbitrary detentions, incommunicado detention in illegal and secret detention facilities,
and unlawful killings, bring to justice those found responsible for human rights violations, seek to end the conflict
by peaceful means, strictly respect the provisions of international humanitarian law, prosecute any attempt to
Il Consiglio d’Europa infatti è stato uno di quei pochi organi internazionali che
ha dato visibilità al caso ceceno e alle violazioni dei diritti umani da parte
dell’esercito russo. Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa già nel
maggio 2002 aveva espresso la sua inquietudine per lo scarso rispetto dei diritti
umani da parte del governo e dell’esercito russo
316
. Così come l’Assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa che, con la ris. 1403 del 20 settembre 2004, ha
condannato in maniera esplicita la violazione dei diritti umani nella Repubblica
cecena
317
. Le Nazioni Unite invece, come abbiamo visto nel capitolo precedente,
non hanno ricoperto un ruolo decisivo a livello internazionale per la risoluzione del
caso di specie. Esse infatti, si sono espresse solo tramite alcune risoluzioni della
Commissione per i diritti umani la quale, dopo aver condannato l’operato della
Federazione russa, auspicava l’inizio di un dialogo tra le parti, la creazione di
commissioni nazionali di indagine oppure la possibilità per gli organismi
internazionali come l’Alto Commissariato per i Diritti Umani e la Croce Rossa
internazionale di accedere nella regione per indagare sulle violazioni commesse 318.
A conclusione di questo capitolo tuttavia, rimangono ancora alcuni aspetti che
riteniamo opportuno analizzare e che riguardano l’efficacia delle sentenze della
Corte di Strasburgo a risolvere la permanente violazione dei diritti umani nella
regione cecena. Questi argomenti verranno discussi e analizzati nell’ultimo capitolo
di questo lavoro, al fine di avere una visione completa ed esaustiva del contesto nel
quale la Corte di Strasburgo si è trovata ad operare e dell’efficacia che le sue
sentenze hanno avuto con riguardo alla situazione cecena.
intimidate and harass human rights activists and applicants to the European Court of Human Rights, implement
the recommendations contained in the reports of the European Committee for the Prevention of Torture and
Inhuman or Degrading Treatment or Punishment and consider their publication » Il testo completo della
risoluzione è reperibile in http://assembly.coe.int/ Main.asp?link=/Documents/Adopted Text/ta05/ERES1455.htm.
316
Per una lettura più approfondita del rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa si
veda in https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=979649&Site=COE.
317
Il testo della ris. 1403 dell’Assemblea Parlamentare è reperibile in http://assembly.coe.int/Main. asp?link=/
Documents/AdoptedText/ta04/ERES1403.htm#_ftn1.
318
In merito alle risoluzioni dell’Alto Commissariato per i diritti umani si veda quella del 2000/58 del 25 aprile e
la 2001/24 del 20 aprile si veda in http://ap.ohchr.org/documents/E/CHR/resolutions/E-CN_4-RES-2000-58.doc e
in http://www.unhchr.ch/huridocda/huridoca.nsf/(Symbol)/E.CN .4.RES.2001.24.En? Opendoc ument.
CAPITOLO IV
IL CONSIGLIO D’EUROPA E IL CASO CECENO
SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Il carattere grave e sistematico delle violazioni; 2.1
L’azione di controllo da parte degli organi giurisdizionali; 2.2 L’azione di controllo da
parte degli organi non giurisdizionali; 3. La debolezza degli organi del Consiglio
d’Europa; 3.1 L’Assemblea parlamentare; 3.2 Il Comitato dei Ministri; 4. Conclusioni
al capitolo.
1. Introduzione
Nel capitolo precedente, analizzando la giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo, abbiamo visto come essa sia stata l’unico organo giudiziario che a
livello internazionale ha dato la possibilità ai cittadini ceceni di poter presentare
ricorso dinanzi ad un’istanza internazionale, per le violazioni commesse dalla
Federazione russa. In questo quarto ed ultimo capitolo, concluderemo il nostro
discorso analizzando l’efficacia delle misure adottate dal Consiglio d’Europa nei
confronti della Federazione russa.
La Federazione russa è membro del Consiglio d’Europa dal 28 febbraio 1996, ed
è obbligata al rispetto degli obblighi derivanti dalla Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali 319.
Tuttavia non sempre l’accettazione di un obbligo internazionale da parte di uno
Stato, implica necessariamente la sua volontà a sottomettersi anche ad un organo di
319
Oltre agli obblighi previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali e del suo Protocollo n° 11, si fa riferimento anche alle risoluzioni dell’Assemblea parlamentare del
Consiglio d’Europa in merito alle violazioni dei diritti umani nella Repubblica cecena e quelle del Comitato dei
Ministri del Consiglio d’Europa. Le risoluzioni dell’Assemblea parlamentare in merito al caso di specie sono
reperibili in http://assembly.coe.int/ASP/Search/PACEWebItemSearch Doc_E.asp; mentre per le risoluzioni del
Comitato dei Ministri si veda in http://www.coe.int/t/cm/ WCD/fulltext Search_en.asp#.
controllo internazionale, che verifichi il rispetto degli obblighi contratti 320. Nel caso
di specie però, la Convenzione europea ha istituito un organo, la Corte europea dei
diritti dell’uomo, con il compito di assicurare il rispetto della Convenzione stessa, ed
un organo statutario, come il Comitato dei Ministri, con il compito di visionare
l’esecuzione delle sentenze emesse dalla Corte 321.
Il controllo esercitato dagli organi del Consiglio d’Europa è allo stesso tempo sia
preventivo che correttivo. Il controllo preventivo è per sua natura antecedente alla
violazione della Convenzione ed è finalizzato a far rispettare gli obblighi
convenzionali da parte degli Stati in seno al Consiglio d’Europa. Esso è esercitato ad
esempio nell’ambito del Consiglio d’Europa, della Convenzione europea per la
prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti, dal
Commissario dei diritti umani e dall’Assemblea parlamentare, così come sancito
dallo stesso Statuto del Consiglio. Il controllo correttivo invece si applica in seguito
alla violazione commessa, ed è finalizzato ad individuare la giusta sanzione da
applicare allo Stato responsabile della violazione. La funzione correttiva è esercitata
sia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sia dal Comitato dei Ministri. L’efficacia
della funzione di controllo correttivo è strettamente legata al rispetto delle sentenze e
delle sanzioni emesse dalla Corte o delle decisioni del Comitato, da parte di uno
Stato membro del Consiglio d’Europa. In caso di mancato rispetto di tali obblighi, si
ritiene che la funzione esercitata da questi due organi sia stata inefficace 322.
Nel caso in questione, verificheremo l’efficacia della funzione di controllo
correttiva e di quella preventiva esercitate dagli organi del Consiglio d’Europa.
Analizzeremo se esse sono riuscite ad influenzare il comportamento della
Federazione russa e se le misure poste in essere siano state efficaci al fine del non
ripetersi della violazione dei diritti umani nella Repubblica cecena. Piuttosto che
esaminare separatamente le numerose procedure di controllo dei singoli organi del
320
Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, in Annuaire
Français de droit international, 2004, pp. 755-777. In generale, la funzione di controllo consiste nell’impegno
assunto dagli organi delle varie organizzazioni internazionali a garantire il rispetto delle norme contenute nella
loro Carte costitutive, e che gli Stati membri si sono impegnati a rispettare. Nella maggioranza dei casi,
quest’operazione è possibile solo quando gli Stati accettano volontariamente di sottoporsi al controllo di un
organo giudiziario, che li vincoli al rispetto dello Statuto dell’organizzazione internazionale di cui fanno parte.
321
Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du
Conseil de l’Europe, in Revue trimestrelle de droits de l’homme, 2004, pp. 385-428. Il testo è altresì reperibile in
http://www.rtdh.eu/pdf/2000385.pdf.
322
Ibidem.
Consiglio d’Europa
323
, faremo delle osservazioni generali su alcune sfide che il
conflitto in Cecenia ha riservato al Consiglio d’Europa in merito al carattere
generalizzato delle violazioni e all’efficacia dei rimedi posti in essere da quest’ultimo
e all’influenza del peso politico della Federazione russa in seno al Consiglio
d’Europa.
2. Il carattere grave e sistematico delle violazioni
Da quanto si è avuto modo di rilevare nel capitolo precedente, la Corte di
Strasburgo ha rinvenuto la responsabilità della Federazione russa per le violazioni
delle norme e degli obblighi sanciti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo
durante il secondo coflitto russo-ceceno. In proposito, una parte della dottrina ha
ritenuto che tali violazioni hanno avuto un carattere grave e sistematico, nella misura
in cui si sono manifestate in maniera persistente e prorogata nel tempo 324.
Nel presente paragrafo analizzeremo come la Corte europea dei diritti dell’uomo,
nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale e come il Comitato dei Ministri, al
quale spetta il compito di assicurare che gli Stati ottemperino le sentenze della Corte,
non sono stati in grado di individuare il carattere generalizzato delle violazioni.
Diversamente, il Segretario generale, il Commissario per i diritti umani nonché
l’Assemblea parlamentare, sono stati in grado di inviduare, nell’esercizio della loro
funzione di controllo non giurisdizionale, il carattere grave e sistematico di queste
violazioni.
2.1 L’azione di controllo da parte degli organi giurisdizionali
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha il compito di rinvenire le violazioni
della Convenzione e dei suoi Protocolli aggiuntivi commesse dagli Stati membri del
Consiglio d’Europa
325
. Tuttavia prima di potersi esprimere su una determinata
323
Per una visione completa dei principali organi di controllo del Consiglio d’Europa in merito alla situazione
creatasi nella Repubblica cecena Cfr. FRANCIS CÉLIN, La guerre en Tchétchénie: quelle efficacité du Conseil de
l’Europe face à des violations massives des droits de l’homme?, in Revue Trimestrielle des Droits de l’Homme
droit international et de droit comparé, 2003, pp. 83-97.
324
Ibidem.
325
Alla luce dell’art. 41 e dell’art. 46, par. 1 della Convenzione si afferma che « Se la Corte dichiara che vi è stata
violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se
fattispecie, la Corte deve essere adita tramite un ricorso interstatale oppure un ricorso
individuale 326.
Nel caso particolare della Repubblica cecena, secondo una parte autorevole della
dottrina, il ricorso interstatale sarebbe stato a priori la via migliore per far fronte al
tipo di violazioni commesse, aventi cioè un carattere di sistematicità e di estrema
gravità. Si ritiene infatti che a differenza del singolo ricorrente, il quale si rivolge alla
Corte per la violazione dei propri diritti individuali, uno Stato può adire la Corte a
difesa anche dei diritti della generalità degli individui
327
. Tuttavia in accordo con
una parte della dottrina, riteniamo essere difficile per uno Stato adire la Corte contro
un altro Stato membro, se non sussistano forti interessi nel farlo
328
. Tuttavia,
analizzando la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, individuiamo alcuni casi in
cui gli Stati membri del Consiglio d’Europa, pur senza avere un interesse specifico,
hanno adito la Corte di Strasburgo in seguito alle gravi e sistematiche violazioni
degli articoli della Convenzione commessi da altri Stati membri. È il caso dei ricorsi
presentati dalla Danimarca, Norvegia, Svezia insieme ai Paesi Bassi in seguito al
colpo di Stato militare in Grecia nel 1967 per le violazioni della Convenzione
commesse da parte dell’allora nuovo governo militare greco
329
. Gli stessi Stati, con
l’aggiunta della Francia, hanno di nuovo adito la Corte in seguito al colpo militare in
Turchia nel 1980, per denunciare le violazioni commesse dall’allora nuovo governo
turco 330.
Tuttavia, come è stato correttamente rilevato da una parte della dottrina, è da
specificare che sia il caso greco che quello turco differiscono da quello ceceno da
non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa
soddisfazione alla parte lesa ». La Corte continua affermando che « Le Alte Parti contraenti si impegnano a
conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti ».
326
Si veda quanto riportato dagli art. 33 e 35 della Convenzione.
327
Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du
Conseil de l’Europe, cit., supra nota 321, in part. p. 763
328
Ibidem. A supporto di questa tesi sono da citare ad esempio, le sentenze della Corte europea adita dall’Irlanda
contro il Regno Unito in merito allo status dell’Irlanda del Nord, così come la Repubblica di Cipro contro la
Turchia a causa dello status della Repubblica turca di Cipro del nord. Le sentenze in questioni sono reperibili a
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/search.asp?skin=hudoc-fr. Allo stato attuale delle cose, risulta che il 17
maggio 2001 solo il Parlamento danese ha proposto la possibilità di adire la Corte di Strasburgo in merito alle
violazioni dei diritti umani in Cecenia. Il governo danese tuttavia si è rifiutato di continuare in tale direzione a
causa della mancato sostegno degli altri Stati membri del Consiglio d’Europa, si veda Cfr. DRZEMCZEWSKI
ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du Conseil de l’Europe, cit.,
supra nota 321, in part. p. 763.
329
Si fa riferimento alle così dette “sentenze greche” n. 3321-23 e n. 3344 del 1967 il cui testo è reperibile in
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/search.asp?sessionid=48397047&skin=hudoc-fr.
330
In tal caso si fa riferimento alle sentenze n. 9940-44 del 1982 della Corte di Strasburgo, il cui testo è reperibile
in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/search.asp?sessionid=48397047&skin=hudoc-fr.
una parte per il fatto che nella Federazione russa non è avvenuto un colpo militare
che causò « une disparition brutale de la légitimité democratique, si importante au
sein du Conseil de l’Europe »
331
, aspetto invece ritenuto alla base dei ricorsi
presentati da questi Stati. Dall’altra parte, va sottolineato che quando le violazioni
furono commesse in Grecia e in Turchia, la Corte di Strasburgo poteva essere adita
solo dagli Stati membri dal momento che il ricorso individuale non era ancora
permesso
332
. A tal riguardo, è lecito supporre, in accordo con una parte della
dottrina, che gli Stati membri non hanno adito la Corte di Strasburgo contro la
Federazione russa, poiché hanno ritenuto i ricorsi individuali sostitutivi di quelli
interstatali. Tuttavia i ricorsi individuali, come già accennato in precedenza,
riguardando le violazioni personali subite dai ricorrenti, non hanno permesso alla
Corte di pronunciarsi a livello generale sulla gravità e sulla sistematicità delle
violazioni accorse in Cecenia.
A tale proposito, deve ricordarsi che la Corte in passato si è espressa sulla
sistematicità delle violazioni da parte di uno Stato. È il caso relativo, ad esempio, alla
sentenza Broniowski c. Polonia del 22 giugno 2004. In questa sentenza infatti, la
Corte ha ritenuto che le violazioni commesse dalla Polonia traevano origine da un
problema strutturale dello Stato. Di conseguenza lo Stato fu obbligato a porre in
essere delle misure generali affinché si garantisse a ciascun individuo, nella
medesima situazione dei ricorrenti della sentenza Broniowski, la garanzia della
tutela dei diritti umani 333.
Trattandosi di due situazioni molto diverse tra loro, la Corte non ha trasposto la
linea interpretativa espressa nella sentenza Broniowski c. Polonia in quelle cecene
poichè ciascun ricorso individuale è stato giudicato singolarmente senza che venisse
individuata una violazione sistematica e generalizzata degli articoli della
Convenzione europea
334
. A tal riguardo è opportuno sottolineare come questa
posizione assunta dalla Corte sia stata criticata da una parte della dottrina nella
misura in cui la Corte, non seguendo la raccomandazione n. 3 del 12 maggio 2004
331
Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du
Conseil de l’Europe, cit., supra nota 321, in part. p. 763.
332
É solo dal 1° gennaio 1994, con l’entrata in vigore del Protocollo aggiuntivo n. 9, che la Corte può essere adita
anche attraverso i ricorsi individuali.
333
Si veda i par. 188-194 della sentenza Broniowski c. Polonia del 22 giugno 2004.
334
Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du
Conseil de l’Europe, cit., supra nota 321, in part. p. 764.
del Comitato dei Ministri di individuare all’interno delle sentenze cecene un
problema strutturale della Federazione russa, avrebbe perso l’occasione di attirare
l’attenzione degli Stati membri e degli organi di controllo del Consiglio d’Europa sul
caso ceceno 335.
2.2 L’azione di controllo da parte degli organi non giurisdizionali
Il Comitato dei Ministri è considerato l’organo esecutivo dell’organizzazione, ed
è composto dai Ministri degli affari esteri di ciascun Paese membro o dai loro
delegati. Esso svolge una funzione di controllo sul rispetto degli obblighi
convenzionali degli Stati in base all’art. 9 e all’art. 8 dello Statuto del Consiglio
d’Europa e sul rispetto delle sentenze emanate dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo in base all’art 46, par. 2, della Convenzione stessa 336.
In merito al caso di specie, il Comitato ha tenuto un comportamento di maggiore
intransigenza rispetto a quello avuto nei confronti della Federazione russa durante la
prima guerra russo cecena del 1991, occasione nella quale il governo russo fu
ritenuto dagli organi del Consiglio d’Europa responsabile per le gravi e sistematiche
violazioni dei diritti umani
337
. Le misure adottate dal Comitato dei Ministri sono
state infatti finalizzate non solo al controllo del rispetto delle sentenze della Corte di
Strasburgo ma anche all’istituzione di una commissione speciale nel giugno 2001
incaricata di verificare la confomità agli standard democratici della legge federale
russa sull’antiterrorismo 338.
335
Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du
Conseil de l’Europe, cit., supra nota 321, in part. p. 764. Il testo della risoluzione n° 3 del 2004 del Comitato dei
Ministri del Consiglio d’Europa è reperibile https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id= 743257&La ng=fr.
336
L’art. 8 dello Statuto riporta che « Ogni Membro del Consiglio d’Europa che contravvenga alle disposizioni
dell’articolo 3, può essere sospeso dal diritto di rappresentanza e invitato dal Comitato dei Ministri a recedere
nelle condizioni di cui all’articolo 7. Il Comitato può risolvere che il Membro, il quale non ottemperi a tale invito,
cessi d’appartenere al Consiglio dal giorno stabilito dal Comitato stesso ». L’art. 9 invece riporta che « Il
Comitato può sospendere dal diritto di rappresentanza nel Comitato e nell’Assemblea Consultiva il Membro che
non soddisfaccia agli obblighi finanziari, fintanto che non li abbia adempiuti ». L’art. 46, par. 2 riporta che « La
sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione ».
337
Cfr. FRANCIS CÉLINE, La Guerre En Tchétchénie: quelle efficacité du Conseil de l’Europe face à des violations
massives des droits de l’homme, cit., supra nota 323. 338
La Comissione ha iniziato però i propri lavori nel 2002 al fine di verificare la conformità della legge sull’antiterrorismo russo alle norme riportate nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Essa ha proposto in
numerose raccomandanzioni misure volte a sanare le lacune giuridiche della legge in questione. SI veda in merito
la riunione 756 del Comitato dei Ministri del 12-14 giungno 2001. Il cui testo è reperibile in
http://www.coe.int/t/cm/WCD/latestDocuments_en.asp.
Secondo quanto sancito dallo Statuto del Consiglio d’Europa, il Segretario
generale svolge solo funzioni amministrative e di collaborazione con l’Assemblea
parlamentare e con il Comitato dei Ministri, senza esercitare una funzione di
controllo correttivo
339
. Tuttavia, in base all’art. 52 della Convenzione, esso ha la
possibilità di poter condurre delle inchieste nei confronti dei governi degli Stati
membri, con lo scopo di verificare il rispetto della Convenzione
340
. Pertanto, nel
caso di specie, il Segretario generale ha chiesto al governo russo spiegazioni in
merito alle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate ai danni dei civili ceceni,
riuscendo a rinvenire la gravità e la sistematicità delle violazioni commesse 341.
Anche il Commissario per i diritti umani è un organo sussidiario del Comitato
dei Ministri che esercita una funzione di controllo non giurisdizionale, promuovendo
tramite raccomandazioni l’educazione e la promozione dei diritti dell’uomo
all’interno degli Stati membri. Così come il Segretario generale, anche il
Commissario ha verificato l’effettiva gravità e la sistematicità delle violazioni
commesse dall’esercito federale in seguito ad alcune visite compiute direttamente
nella Repubblica cecena 342.
Un altro organo del Consiglio d’Europa avente una funzione di controllo
preventivo è il Comitato per la prevenzione della tortura istituito in base all’art. 1
della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti
inumani o degradanti, il quale è competente ad esaminare il trattamento riservato alle
persone che sono state private della libertà da parte delle autorità federali
343
. La
Convenzione, ratificata dalla Federazione russa nel 1998, obbliga il governo russo in
base all’art. 1, ad accogliere il Comitato durante le sue visite di controllo; in caso
339
Cfr. FRANCIS CÉLINE, La Guerre En Tchétchénie: quelle efficacité du Conseil de l’Europe face à des violations
massives des droits de l’homme, cit., supra nota 323. 340
L’art. 52 della Convenzione recita che « Ogni Alta Parte Contraente, su domanda del Segretario Generale del
Consiglio díEuropa, fornire le spiegazioni richieste sul modo in cui il proprio diritto interno assicura líeffettiva
applicazione di tutte le disposizioni della presente Convenzione ».
341
Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du
Conseil de l’Europe, cit., supra nota 321, in part. p. 768. Cfr. RABILLER S., Le pouvoir d’enquête du secrétarie
général du Conseil de l’Europe – À propos de la demande d’explications à la Fédération de Russie concernant la
Tchétchénie in Revue Générale de Droit International Public, 2000, pp. 965-984.
342
Si vedano il rapporto del 10 dicembre 1999, quello del 1 marzo 2000, quello del 28 novembre 2001 e quello
del 4 marzo 2003 del Commissario per i diritti umani. I testi sono reperibili in http://www.coe.int/t/
commissioner/ WCD/docsbycountry_en.asp#. 343
L’art. 1 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o
degradanti afferma che « È istituito un Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o
trattamenti inumani o degradanti (qui di seguito denominato: «il Comitato»). Il Comitato esamina, per mezzo di
sopralluoghi, il trattamento delle persone private di libertà allo scopo di rafforzare, se necessario, la loro
protezione dalla tortura e dalle pene o trattamenti inumani o degradanti ». Il testo della Convenzione è reperibile
in http://conventions.coe.int/Treaty/ita/Treaties/ Html/126.htm.
contrario, il Comitato può sanzionare lo Stato mediante una dichiarazione pubblica di
denuncia delle violazioni commesse 344. Nel caso di specie, il Comitato ha rilasciato
due dichiarazioni riguardanti il comportamento del governo russo, una del 10 luglio
2001 e l’altra del 10 luglio 2003 345. Nella prima, il Comitato ha denunciato il ricorso
agli strumenti di tortura da parte delle forze armate federali nei centri di detenzione
in Cecenia; nella seconda, il Comitato ha criticato aspramente la mancata
collaborazione da parte delle autorità federali con i tribunali interni federali affinché
si agevolasse il corretto svolgimento delle indagini. Così come sottolineato da una
parte della dottrina, il ruolo svolto dal Comitato ha prodotto considerevoli risultati, in
quanto tra la prima dichiarazione pubblica rilasciata e la seconda, si sono registrati in
Cecenia considerevoli miglioramenti in merito al rispetto del divieto di ricorso alla
tortura nei confronti dei cittadini ceceni 346.
È infine opportuno menzionare anche l’azione e il supporto dato dall’Assemblea
parlamentare alla prevenzione delle violazioni dei diritti umani in Cecenia.
In caso di violazione dei diritti umani da parte di uno Stato membro,
l’Assemblea può adottare delle risoluzioni o delle raccomandazioni contro lo Stato
ritenuto responsabile, oppure può rifiutarsi di ratificare i poteri della delegazione
parlamentare dello Stato accusato o annullare i poteri di ratifica della delegazione di
rappresentanza, in conformità con l’art. 6 del suo regolamento 347.
L’Assemblea, esprimendosi anch’essa in merito alla situazione in Cecenia, ha
adottato diverse risoluzioni di condanna delle operazioni, rinvenendo anch’essa
344
Il Comitato, è l’unica istituzione che può, in qualunque momento, condurre un’ispezione in un qualsiasi luogo
di detenzione situato in uno degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Alla luce dell’art. 8, par. 1 della
Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti si afferma
che « Il Comitato notifica al governo della Parte interessata il suo intento di procedere ad un sopralluogo. A
seguito di tale notifica il Comitato è abilitato a visitare in qualsiasi momento i luoghi di cui all’articolo 2 ».
Oppure può farlo immediatamente in caso in cui si rinvenissero delle condizioni di eccezionalità, così come
disposto dall’art. 9, per cui « In circostanze eccezionali, le Autorità competenti della Parte interessata possono far
conoscere al Comitato le loro obiezioni al sopralluogo nel momento prospettato dal Comitato o nel luogo
specifico che il Comitato è intenzionato a visitare. Tali obiezioni possono essere formulate solo per motivi di
difesa nazionale o di sicurezza pubblica o a causa di gravi disordini nei luoghi nei quali vi siano persone private
di libertà, dello stato di salute di una persona o di un interrogatorio urgente nell’ambito di un’inchiesta in corso,
connessa ad un reato penale grave ».
345
I testi delle due dichiarazioni rilasciate dal Comitato per la prevenzione dalla tortura sono reperibili in
http://www.cpt.coe.int/en/states/rus.htm.
346
Cfr. FRANCIS CÉLINE, La Guerre En Tchétchénie: quelle efficacité du Conseil de l’Europe face à des violations
massives des droits de l’homme, cit., supra nota 323, in part. 95
347
Si veda anche la risoluzione n. 1115 del 29 gennaio 1997 sulla creazione di una Commissione dell’Assemblea
parlamentare per il rispetto degli obblighi contratti dagli Stati membri del Consiglio d’Europa, il cui testo è
reperibile in http://assembly.coe.int/main.asp?Link=/documents/adoptedtext/ ta06/eres1115.htm.
l’aspetto sistematico delle violazioni dei diritti umani
348
. Ai sensi dell’art. 8 e
dell’art. 9 dello Statuto del Consiglio d’Europa, l’Assemblea può richiedere al
Comitato dei Ministri la sospensione dello Stato dal Consiglio nel caso in cui
persista nella violazione degli obblighi derivanti dalla Convenzione
349
. Nel caso di
specie, l’Assemblea ha richiesto al Comitato dei Ministri, con la raccomandazione n.
1456 del 6 aprile 2000, la sospensione della Federazione russa dal Consiglio
d’Europa per la gravità delle violazioni commesse dall’esercito russo in Cecenia e
per la persistenza dimostrata nel commetterle
350
. Tuttavia, il Comitato dei Ministri
ha deciso il 27 giugno 2000, di non sospendere la Federazione russa dal Consiglio
d’Europa. A tal riguardo essa ha affermato che
« […] dans les circonstances actuelles, une action du Comité dans le cadre de l’Article
8 du Statut n’est pas nécessaire. Le Comité persiste à penser que le Conseil de l’Europe a
une contribution essentielle à apporter pour rétablir les droits de l’homme en République
tchétchène. Dans le même temps, il reconnaît que cette contribution ne peut être apportée
que si la Russie est membre de l’Organisation et qu’elle respecte ses engagements vis-à-vis
de celle-ci » 351 .
Alla luce di quanto detto, occorre sottolineare che, nonostante il Comitato dei
Ministri e la Corte europea dei diritti dell’uomo siano gli organi del Consiglio
d’Europa più competenti a ravvisare ed eventualmente far rispettare le violazioni dei
diritti umani, riteniamo che, nel caso di specie, abbiano in un certo senso mancato di
individuare la gravità, nonché la sistematicità, delle violazioni commesse dal
governo russo in Cecenia
352
. Allo stesso tempo, è opportuno peraltro sottolineare
come questa lacuna sia stata supplita, dall’azione di controllo, seppur non di carattere
giurisdizionale, condotta dagli organi del Consiglio d’Europa, quali il Segretario
348
Per uno studio più dettagliato di quanto detto dall’Assemblea si veda la risoluzione n° 1240 del 25 gennaio
2001, il cui testo è reperibile in http://assembly.coe.int/ASP/Doc/ATListingDetails_E.asp?ATID =10186; e la
risoluzione 1270 del 23 gennaio 2002, il cui testo è reperibile in http://assembly.coe.int/ ASP/Doc/ATListing
Details_E.asp?ATID=10287.
349
Per l’art. 8 dello Statuto e l’art. 9 della Convenzione, si veda cit., supra nota 350.
350
Si veda in particolar modo si veda il par. 24 (iii) della raccomandazione dell’Assemblea n° 1456 del 6 aprile
2000, in cui si afferma che « [...] si des progrès substantiels, s’accélérant et démontrables n’étaient pas accomplis
immédiatement en ce qui concerne les exigences formulées au paragraphe 19, d’entamer sans tarder conformément à l’article 8 du Statut - la procédure visant à suspendre le droit de représentation de la Fédération
de Russie auprès du Conseil de l’Europe [...] ». Si veda anche la raccomandazione n. 1478 del 29 giugno 2000. I
testi
delle
presenti
raccomandazioni
sono
reperibili
in
http://assembly.coe.int/ASP/Search/
PACEWebItemSearchDoc_E.asp.
351
Si veda al riguardo la risposta del Comitato dei Ministri del 27 giugno 2000, il cui testo è reperibile in
https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=363041&Site=CM&BackColorInternet=C3C3C3&BackColorIntranet=EDB
021&BackColorLogged=F5D383.
352
Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, cit. supra nota 320,
in part. p. 765.
generale, l’Assemblea parlamentare il Commissario dei diritti umani e il Comitato
per la prevenzione contro la tortura 353.
Una parte della dottrina ritiene che a fronte del carattere sistematico delle
violazioni commesse in Cecenia, le azioni di carattere preventivo poste in essere
dagli organi del Consiglio d’Europa si sarebbero dunque rivelate più efficaci rispetto
a quelli posti in essere dal Comitato dei Ministri o dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo 354.
3. La debolezza degli organi del Consiglio d’Europa
La delicatezza politica del conflitto in Cecenia ha rappresentato un grande
problema per gli organi di controllo del Consiglio d’Europa, i cui tentativi di porre
rimedio alle violazioni perpetrate si sono scontrati con la forte influenza politica
della Federazione russa. Una parte autorevole della dottrina ha ritenuto infatti che la
funzione di controllo propria degli organi del Consiglio d’Europa si sarebbero
rivelate inefficaci, nella misura in cui avrebbero tenuto in considerazione il peso
politico che la Federazione russa esercita in seno al Consiglio d’Europa 355.
3.1 L’Assemblea parlamentare
Pur non volendo addentrarci nel campo specifico delle relazioni internazionali, ci
sembra opportuno analizzare il rapporto che è intercorso tra il Consiglio d’Europa e
la Federazione russa per analizzare più compiutamente l’efficacia delle misure
adottate per porre fine alla violazione generalizzata dei diritti umani in Cecenia. Da
questo punto di vista, analizzeremo, a titolo d’esempio, il comportamento avuto
dall’Assemblea parlamentare in merito al caso ceceno in quanto principale organo
legislativo del Consiglio d’Europa.
353
Ibidem.
Cfr. CHARPENTIER J., Le Contrôle par les organizations internationales de l’exécution des obligations des
États, in Recueil des Cours de l'Académie de droit international de la Haye, 1983. Cfr. CASSESE A., A New
Approach to Human Rights: the Eropean Convention for the Prevention of Torture, in American Journal of
International Law, 1989. Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en
Tchétchénie, cit., supra nota 321.
355
Ibidem. 354
In seno all’Assemblea parlamentare, il 25 gennaio 2001 è stato istituito con ris.
n. 1240, un gruppo di lavoro misto formato dai rappresentanti dell’Assemblea
parlamentare e dai membri della Duma di Stato 356, con l’intento di porre rimedio alle
violazioni dei diritti umani in Cecenia attraverso una politica di collaborazione tra il
Consiglio d’Europa e il governo russo. La formazione di questa Commissione si è
resa necessaria a causa del ricorso che la delegazione russa faceva del suo diritto di
veto in seno all’Assemblea. A causa della sua formazione mista, la Federazione russa
è riuscita tuttavia ad impedire lo stesso l’efficace svolgimento dei lavori, tanto che
nella risoluzione n. 9440 del del 7 maggio 2002, l’Assemblea parlamentare ha
affermato che
« par le jeu de la règle du consensus, donne de fait à la délégation de Russie un droit de
veto sur tout projet de document. De cette manière, la procédure de suivi indépendante a été
remplacée par une procédure spéciale, qui est plutôt irrégulière, puisqu'un Etat membre du
Conseil de l'Europe peut s’auto-juger […] invite le Comité des Ministres à rechercher plus
généralement comment il pourrait être mis fin à la Seconde guerre de Tchétchénie par des
moyens plus efficaces que le Groupe de travail » 357.
In seguito all’ostruzionismo della delegazione russa dunque, la funzione di
controllo esercitata dall’Assemblea parlamentare era ridotta alla mera adozione di
risoluzioni e raccomandazioni, le quali non riuscivano a produrre effetti significativi
358
. Durante le fasi iniziali del conflitto infatti, l’Assemblea non si era riuscita ad
esprimere in merito ai fatti, limitandosi a raccogliere informazioni e condannando, in
termini generali, le operazioni militari senza prendere nessuna decisione in merito
359
. Succesivamente, in seguito alla costante mancanza di collaborazione con il
governo russo, l’Assemblea ha deciso di adottare una linea più intransigente nei suoi
confronti, sospendendo il diritto al voto della delegazione russa presso l’Assemblea
360
. Tuttavia sperando di incoraggiare la Federazione russa verso una soluzione
pacifica del conflitto rispettosa dei diritti dell’uomo 361, l’Assemblea ha poi ricercato
356
Si veda la ris. n. 1240 del 25 gennaio 2001, il cui testo è reperibile in http://assembly.coe.int//main.as
p?link=http://assembly.coe.int/documents/adoptedtext/TA01/FRES1240.htm.
357
Si veda a tal proposito la risoluzione n. 9440 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa del 7
maggio 2002, il cui è reperibile in http://assembly.coe.int/main.asp?Link=/documents/workingdocs
/doc02/fdoc9440.htm.
358
Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, cit. supra nota 333. 359
Si veda a tal proposito la ris. n. 1201 del 4 novembre 1999. Per il testo della risoluzione si veda in
http://assembly.coe.int/main.asp?Link=/documents/adoptedtext/ta99/fres1201.htm. Si veda anche la ris. n. 1444
del 27 gennaio 2000, il cui testo è reperibile in http://assembly.coe.int//main.asp?link=http:// assembly
.coe.int/documents/adoptedtext/ta00/FREC1444.HTM.
360
Si veda la risoluzione n. 1478 del 29 giugno 2000, cit., supra nota 364.
361
A tal proposito si veda la risoluzione n° 1240 del 25 gennaio 2001 e la risoluzione n° 1270 del 23 gennaio
2002, i cui testi sono reperibili in http://assembly.coe.int/ASP/Search/PACEWebItem SearchDoc_E.asp.
una linea di maggiore cooperazione, riattribuendo i poteri di voto alla delegazione
russa. Ciò nonostante, la linea di cooperazione con la Federazione russa è fallita
nuovamente a causa della mancata collaborazione del governo russo
con il
Consiglio d’Europa per porre fine alla violazione dei diritti umani in Cecenia 362.
In definitiva, è possibile rinvenire due strategie principali dell’Assemblea
parlamentare: da una parte la via della cooperazione e della collaborazione con la
Federazione russa, dall’altra la via delle sanzioni
363
. È tuttavia da sottolineare che
nessuna di queste due strategie si è rivelata efficace a causa del forte peso politico
esercitato dalla Federazione russa 364.
3.2 Il Comitato dei Ministri
Nel capitolo abbiamo visto come il Comitato dei Ministri ricopra un ruolo
importante all’interno del Consiglio d’Europa non solo per i poteri esercitati
365
, ma
anche perché è l’organo esecutivo dell’organizzazione composto dai delegati dei
Ministri degli Stati membri
366
. In ragione della sua composizione politica il
Comitato dei Ministri è dunque un organo di notevole influenza nei confronti degli
Stati membri. Tuttavia, è stato altresì sottolineato che proprio la sua dimensione
“politica” comporterebbe un’applicazione non obiettiva delle norme della
Convenzione, soprattutto quando a violarle è uno Stato con una forte rilevanza
politica 367.
A tal proposito, una parte rilevante della dottrina ritiene che, nel caso di specie,
la maniera con la quale il Comitato dei Ministri ha esercitato la propria funzione di
controllo, dimostri come abbia risentito del forte potere politico della Federazione
362
Si veda la ris. n. 1323 del 2 aprile 2003 i cui l’Assemblea afferma che « […] the Russian Federation
Government, administration and judicial system and the successive Chechen regimes – has failed dismally to
provide such protection from human rights abuses ». Il testo della risoluzione è reperibile in
http://assembly.coe.int//main.asp?link=http://assembly.coe.int/documents/adoptedtext/ta03/ERES1323.htm.
363
Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, cit. supra nota 320.
364
Ibidem; Cfr. CASSESE A., A New Approach to Human Rights: the European Convention for the Prevention of
Torture, cit., supra nota 354.
365
Il Comitato dei Ministri infatti può ricorrere a misure che vanno dal richiedere informazioni in merito ad una
specifica fattispecie fino all’esclusione dello Stato convenuto dal Consiglio d’Europa. Si veda quanto riportato
nell’art. 8 e nell’art. 9 dello Statuto del Consiglio d’Europa , cit., supra nota 361.
366
Cfr. CHARPENTIER J., Le Contrôle par les organizations internationales de l’exécution des obligations des
États, cit., supra nota 354, in part. 190-191
367
Cfr. CASSESE A., A New Approach to Human Rights: the Eropean Convention for the Prevention of Torture,
cit., supra nota 354.
russa 368. Infatti si ritiene che la risposta data dal Comitato dei Ministri alle violazioni
delle norme della Convenzione da parte del governo russo è stata del tutto
insoddisfacente, non avendo adottato nessuna decisione rilevante nei confronti del
governo russo, nonostante fosse a conoscenza delle violazioni commesse in Cecenia,
grazie ai rapporti che il Segretario generale gli forniva periodicamente 369.
4. Conclusioni al capitolo
In conclusione, possiamo affermare che gli organi del Consiglio d’Europa che
esercitano una funzione di controllo non giurisdizionale sono stati gli unici ad aver
saputo individuare il carattere generalizzato delle violazioni dei diritti umani
commesse in Cecenia.
Si è altresì osservato che le azioni poste in essere dal Consiglio d’Europa hanno
un carattere sia preventivo che correttivo. Le prime sono poste in essere dagli organi
che svolgono funzioni non giurisdizionali, mentre le seconde sono attuate
dall’organo giurisdizionale del Consiglio, la Corte europea dei diritti dell’uomo.
Dalla nostra analisi è emerso che entrambi i tipi di azioni non sono stati in grado di
porre fine alle violenze arrecate al popolo ceceno, poiché per porvi fine, nelle
circostanze in cui si sono sviluppati i fatti, si sarebbe resa necessaria la presenza di
una forza stabile e duratura sul territorio che permettesse un controllo preventivo
delle operazioni militari.
Infine, dall’analisi compiuta in merito al rapporto intercorrente tra il Consiglio
d’Europa e la Federazione russa si evince come l’influenza politica esercitata da
quest’ultima
ha
avuto
un
forte
peso
sul
funzionamento
degli
organi
dell’organizzazione.
A conclusione del capitolo, si deve dunque osservare come gli strumenti posti in
essere dal Consiglio d’Europa si sono rivelati essere inefficaci a fermare le violenze
commesse in Cecenia. A questo punto, gli unici strumenti utili a far fronte a tali
368
Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, cit., supra nota 320.
Si veda a proposito il par. 1.7 della decisione del Comitato dei Ministri n. 725 del 10 ottobre 2000 nella parte
in cui si richiede al Segretario generale di informare periodicamente il Comitato della situazione in Cecenia. Il
testo
della
decisione
è
reperibile
in
https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp
?Ref=CM/Del/Dec(2000)725&Language=lanEnglish&Site=COE&BackColorInternet=DBDCF2&BackColorInt
ranet=FDC864&BackColorLogged=FDC864. Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du
Conflit en Tchétchénie, cit., supra nota 320. 369
violazioni dei diritti umani, potrebbero essere quelli della sospensione o
dell’esclusione della Federazione dall’organizzazione. Tuttavia riteniamo, in accordo
con una parte della dottrina, che questi strumenti siano difficilmente applicabili al
caso di specie, nella misura in cui escludere totalmente la Federazione russa dal
controllo del Consiglio d’Europa significherebbe perdere ogni tipo d’influenza su di
essa. In proposito è significativo quanto dichiarato dal Comitato dei Ministri secondo
cui
« The Committee believes that, in the present circumstances, there is no need for the
Committee to act in the context of Article 8 of the Statute. The Committee remains of the
view that the Council of Europe has a major contribution to make to the restoration of human
rights in the Chechen Republic. At the same time, it recognizes that the contribution can
only be made on the basis of Russia being a member of the Organisation and fulfilling its
commitments to the Organisation » 370.
In definitiva però, riteniamo opportuno fare un’ultima considerazione in merito
all’efficacia delle misure adottate dal Consiglio d’Europa per fermare le violazioni
dei diritti umani in Cecenia. Si ritiene che i ricorsi individuali presentati alla Corte di
Strasburgo, nonostante non siano stati degli utili strumenti per individuare i caratteri
di gravità e sistematicità di tali violazioni, hanno tuttavia offerto alla Corte la
possibilità di pronunciarsi sui singoli casi e accertare in quelle circostanze l’avvenuta
violazione dei diritti umani. La funzione di controllo del Consiglio d’Europa, in
riferimento almeno a quella esercitata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, non
deve essere dunque sottostimata poiché, nonostante le molteplici difficoltà del caso,
la Corte di Strasburgo, esprimendosi nel merito, ha dato la possibilità ai cittadini
ceceni di ottenere giustizia, nonostante il forte peso politico esercitato dalla
Federazione russa in seno al Consiglio d’Europa.
370
A tal proposito si veda il par. 44 della risposta del Comitato dei Ministri del 27 giugno 2000 alla
raccomandanzione del 6 aprile 2000 dell’Assemblea parlamentare, il cui testo è reperibile in
https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=363031&Site=CM&BackColorInternet=C3C3C3&BackColorIntranet=EDB
021&BackColorLogged=F5D383.
CONCLUSIONI
Nel lavoro si è esaminata la questione delle violazioni dei diritti umani
commesse dalla Federazione russa durante il conflitto russo-ceceno e dell’efficacia
degli strumenti posti in essere dal Consiglio d’Europa per porre fine a tali violazioni.
Prima di trattare questi argomenti in maniera specifica, abbiamo fatto un excursus in
merito alla situazione giuridica della Repubblica cecena in seno alla Federazione
russa, analizzando alcuni aspetti particolarmente rilevanti ai fini della comprensione
del quadro giuridico nel quale ci siamo addentrati.
Da quanto analizzato nel primo capitolo, ricostruendo il processo di
adeguamento della Federazione russa al diritto internazionale, riteniamo che la
Federazione russa si sia adeguata agli standard democratici “occidentali”, con
particolare riferimento al diritto internazionale umanitario e alle norme a tutela dei
diritti umani. Tuttavia riteniamo che il comportamento della Federazione russa in
merito al rispetto di queste norme sia stato abbastanza ambiguo e discontinuo. A
supporto di questa tesi, nel primo capitolo abbiamo analizzato la sentenza del 31
luglio
1995
della
Corte
Costituzionale
russa,
la
quale,
esprimendosi
sull’incostituzionalità di alcuni decreti presidenziali in merito all’uso della forza
militare nella Repubblica cecena, ha affermato che, nonostante l’impegno profuso
dalla Federazione russa, il legislatore federale doveva ancora adeguare pienamente il
sistema normativo interno al rispetto del diritto internazionale umanitario.
L’analisi della sentenza della Corte Costituzionale, ci ha permesso di analizzare
un altro importante aspetto, quale il diritto della Repubblica cecena a secedere
territorialmente dalla Federazione russa, che abbiamo ritenuto opportuno
approfondire nel secondo capitolo.
Dopo aver ricostruito l’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli
sia nell’ambito delle Nazioni Unite sia nella prassi della Corte internazionale di
giustizia ed aver riscontrato il suo carattere erga omnes nonché il suo essere
diventato un principio di jus cogens, abbiamo esaminato se il tentativo di secessione
cecena potesse essere legittimato alla luce di tale principio. Analizzando le varie
posizioni in dottrina in merito a quale dovesse essere lo status giuridico da
riconoscere alla Repubblica cecena, siamo giunti alla conclusione che non è possibile
ritentere lecito il tentativo di secessione territoriale dalla Federazione per diverse
ragioni: innanzitutto perché nella Repubblica cecena non sono rinvenibili le
circostanze riportate nella Dichiarazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite del 14 dicembre 1960 n. 1514, quelle cioè di dominazione coloniale,
segregazione razziale ed occupazione straniera, che renderebbe lecito la secessione.
Inoltre, la secessione territoriale da uno Stato sovrano deve avvenire nel pieno
rispetto del suo diritto all’integrità territoriale, così come sancito sempre
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella dichiarazione n. 1514, prima
ricordata. Nel caso di specie, riteniamo che il tentativo di secessione della Cecenia
violerebbe il diritto all’integrità territoriale della Federazione russa, rendendolo
pertanto illecito a livello internazionale. Infine, da quanto abbiamo potuto esaminare
nel secondo capitolo, la secessione cecena dalla Federazione russa deve essere
considerata illecita anche dal punto di vista dei requisiti che permettono di ritenere
legittima l’applicabilità del diritto all’autodeterminazione esterna in un contesto postcoloniale. Tali requisiti, come già ricordato, sono: l’esaurimento dei ricorsi pacifici
interni ed internazionali del popolo richiedente l’indipendenza per risolvere lo stato
di crisi interna; il ricorso alla forza armata solo come extrema ratio per conseguire
l’indipendenza; infine, il godimento da parte del movimento indipendentista del
pieno consenso popolare.
Dal momento che la Repubblica cecena non può, a nostro avviso secedere dalla
Federazione russa, abbiamo esaminato invece se fosse stato garantito al popolo
ceceno il diritto a godere della propria autodeterminazione interna da parte del
governo russo. Nel far ciò abbiamo sia analizzato la Costituzione cecena approvata
tramite il referendum costituzionale del 23 marzo 2003, sia le modalità con le quali
tale referedum è stato svolto. In merito all’analisi della Costituzione ci riteniamo in
accordo con l’opinione espressa dalla Commissione Venezia, la quale ha ritenuto
soddisfatti nel testo costituzionale ceceno gli standard di democraticità richiesti dal
Consiglio d’Europa. Tuttavia l’analisi compiuta ha mancato di considerare le
condizioni e le modalità in cui si è svolto il referendum, che invece riteniamo
determinanti per valutare se il diritto all’autodeterminazione interna del popolo
ceceno sia stato violato. In proposito, ci troviamo in accordo con quella parte della
dottrina
seconda
cui
la
Federazione
russa
avrebbe
violato
il
diritto
all’autodeterminazione interna del popolo ceceno poiché le modalità con le quali il
referendum si è svolto hanno costretto i cittadini ceceni ad adottare la Costituzione,
privandoli così della possibilità di rifiutarla e di non poter dunque scegliere
liberamente la forma di governo e di rappresentanza.
Dopo aver ricostruito il quadro giuridico della Repubblica cecena e dopo aver
analizzato il diritto del suo popolo a secedere o meno dalla Federazione russa,
abbiamo analizzato la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in
merito alle violazioni commesse dal governo russo e ne abbiamo approfondito alcuni
aspetti. Dalle sentenze emesse dalla Corte sono emerse diverse violazioni comuni
alle sentenze, tra cui la violazione dell’art. 2 e dell’art. 13 della Convenzione
europea. Come abbiamo visto, le sentenze cecene non hanno apportato alcuna
“novità” alla giurisprudenza della Corte in merito alla violazione del diritto alla vita
o alla tutela contro la tortura. Tuttavia, riteniamo in accordo con una parte della
dottrina, che una “novità” alla giurisprudenza sia data dall’applicazione e dal
conseguente rapporto tra le norme a tutela dei diritti umani e quelle di diritto
internazionale umanitario durante un conflitto armato interno, come è stato
interpretato dalla Corte. Dalle sentenze cecene infatti si potrebbe delineare la
tendenza della Corte ad applicare direttamente le norme a tutela dei diritti umani per
regolare la condotta delle ostilità durante i conflitti armati interni, senza rispettare il
principio della lex specialis derogat lex generali riconosciuto alle norme di diritto
internazionale umanitario durante i conflitti armati.
Oltre alle sentenze emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, il Consiglio
d’Europa ha attuato diverse misure volte a interrompere la grave e sistematica
violazione dei diritti umani in Cecenia. Nell’ultimo capitolo abbiamo tentato di
verificare l’efficacia delle misure poste in essere dal Consiglio d’Europa per
individuare il carattere grave e sistematico delle violazioni. Nell’esaminare tali
misure adottate dai vari organi del Consiglio, riteniamo che questi ultimi abbiano
risentito dell’influenza “politica” esercitata dalla Federazione russa in seno del
Consiglio d’Europa, che ha comportato una scarsa efficacia delle misure adottate. In
definitiva, nonostante l’influenza esercitata dalla Federazione russa, riteniamo che il
carattere di gravità e sistematicità è stato individuato dagli organi del Consiglio
d’Europa, ad eccezione della Corte europea dei diritti dell’uomo e dal Comitato dei
Ministri. La Corte di Strasburgo infatti non è stata in grado di individuare tale
carattere a causa della natura dei ricorsi pervenutele: i ricorsi individuali infatti
hanno condotto la Corte ad esprimersi singolarmente per ogni ricorso ma non le
hanno permesso di individuare il carattere generalizzato delle violazioni. Il Comitato
dei Ministri invece, come già detto nel corso dell’elaborato, ha risentito
dell’influenza “politica” della Federazione russa.
In conclusione, nonostante gli strumenti posti in essere dal Consiglio d’Europa
non siano risultati totalmente efficaci a riconoscere la gravità immediata delle
violazioni e ad attuare delle misure in grado di porvi fine, si ritiene che i ricorsi
individuali presentati alla Corte di Strasburgo, le abbiano offerto la possibilità di
pronunciarsi sui singoli casi e accertare in quelle circostanze l’avvenuta violazione
dei diritti umani. La funzione di controllo esercitata dagli organi del Consiglio
d’Europa dunque non deve essere sottostimata, poiché nonostante le molteplici
difficoltà del caso, si è data la possibilità ai cittadini ceceni di ottenere giustizia
tramite il ricorso alla Corte di Strasburgo, laddove a livello nazionale non ne avevano
avuto la possibilità.
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