Keith Haring ei suoi Untitled

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Keith Haring ei suoi Untitled
34 UN GIORNALE NEL GIORNALE il Popolo Cattolico
SABATO
17
DICEMBRE
2005
A CURA DELLA REDAZIONE DEL LICEO SCIENTIFICO E LINGUISTICO ‘GALILEO GALILEI’ DI CARAVAGGIO - COORDINAMENTO EDITORIALE DANIELA CIOCCA
EDITORIALE
GIOVANI,
TECNOLOGIA
E INSICUREZZE
Il sesto recente Rapporto nazionale sulla
condizione dell’infanzia e dell’adolescenza ha
dimostrato che tra i giovani c’è una tendenza
ad anticipare il periodo dell’adolescenza accompagnata da un bagaglio di insicurezze e
incertezze interiori. Ma in questa situazione la
famiglia può servire come appoggio fino ad un
certo punto. Certo, perché le esperienze che
gli adolescenti precoci vivono sono quelle extrafamiliari, ed è proprio lì che l’infanzia si tramuta in crescita.
I media, la tivù, internet sono strumento di
evoluzione tecnologica ma, d’altro canto, sono neutralizzatori della semplice quotidianità
trasformata in un vortice di sms, mms e chat
in rete. E coloro che risentono di questo cambiamento dell’ultima generazione sono proprio i più giovani, che si rivelano pienamente
confacenti alla moda e trascurano le tradizionali “sane abitudini” (lettura, scrittura, informazione). Il trash che la tivù ci mostra ogni
giorno è entrato ormai nel dna di chi è internet-dipendente o cellulare-abbonato. E questa modalità di crescita è un progetto ben studiato da chi di business e di tendenza ne sa
molto: lo scopo è proiettare l’ultima generazione in questo mondo virtuale. Se infatti osserviamo la vita di un normale adolescente questi effetti voluti sono ampiamente visibili, e le
statistiche ne sono una prova: il telefonino è
lo strumento preferito degli adolescenti nel
96,4%, una percentuale altissima.
Chattare in Internet ormai fa tendenza.
Districarsi tra le strade di Milano con i pantaloni quasi all’altezza del ginocchio e con un lettore mp3 o un I-pod è la moda di oggi. Dietro
questo rapporto univoco giovane-cellulare si
viene a formare però, come conseguenza negativa, una specie di schermo con il mondo o
verso le persone circostanti. Chi passa gran
parte del proprio tempo in internet, sul telefonino o incollato davanti alla tv, si isola da ciò
che lo circonda e taglia i rapporti umani.
Questa tecnologia, infatti, se da un lato testimonia un progresso tecnologico, dall’altro
toglie quello che c’è di fondamentale tra giovani e famiglia e tra giovani e giovani: la comunicazione diretta. I giovani d’oggi si imbarazzano, non sanno articolare discorsi senza provare ansia anche quando stanno in mezzo ad un
piccolo gruppo di persone.
Sono però abilissimi nel chattare o inviare
sms: questo dà loro sicurezza. Forse, mettendo un argine alla cellulare-mania e alla internet-dipendenza può esserci un ritorno a quello che ci è sempre sembrata la cosa più normale del mondo: parlarsi direttamente, incontrarsi, senza nascondersi dietro la schermata
dello screen saver multicolore.
Michela Brambilla
IL LICEO ALLA TRIENNALE DI MILANO, MOSTRA APERTA FINO AL 29 GENNAIO
Keith Haring e i suoi Untitled
Non è raro sentire, a commento di una qualche opera
d’arte contemporanea, affermazioni come: «Le sa fare
anche un bambino», oppure: «Io le farei meglio». E senza
dubbio Keith Haring, artista a cui è dedicata la sezione
della Triennale visitata da alcune delle classi del nostro liceo, si presta perfettamente a questo genere di critiche
per la sua tecnica fumettistica e apparentemente ingenua.
Nato in Pennsylvania, cresciuto con la passione per
l’arte, dopo aver studiato a Pittsburgh si trasferisce a New
York, dove conosce tra gli altri artisti anche Basquiat e
Warhol. Dalla cultura hip-hop a cui si sente legato, nasce
l’amore di Haring per la musica rap e per la break dance
(era tra l’altro un ottimo ballerino), che raffigurerà spesso
nelle sue opere. La corrente che influenzerà di più la sue
esperienza artistica sarà però il graffitismo, da cui si
discosterà nondimeno per molti aspetti. Dopo un’intensa attività anche all’estero negli anni ’80, morirà nella
Grande Mela a soli trentun anni, per aver contratto il virus dell’AIDS.
La sua arte, giocosa e infantile, cela sotto l’apparente
semplicità delle composizioni un’idea precisa, un progetto ben definito (tanto che di solito traccia una “cornice”,
un riquadro dentro cui racchiude il disegno), una critica
sociale spesso feroce, una conoscenza profonda della
storia dell’arte (richiami e citazioni di altre opere sono frequenti), una vera e propria filosofia artistica nascosta dietro i suoi pupazzetti e le sue figure surreali.
Particolare è il rapporto che Haring instaura con le proprie opere: per dipingere stende spesso per terra il supporto e mentre lavora vi cammina sopra, divenendo un
tutt’uno con loro.
Ognuna di esse è completata in una sola seduta:
ognuna è frutto dell’emozione di quel momento, non po-
trebbe essere conclusa se l’autore se ne distaccasse,
perché al suo ritorno questi non potrebbe più avere le
stesse emozioni che l’hanno spinto a darle inizio. Ne sono testimonianza alcune opere lasciate incompiute per
questo motivo.
La maggior parte dei lavori è “Untitled”, Senza Titolo:
una scelta dovuta alla volontà di rendere l’osservatore
protagonista e non ricettore passivo. Egli è “costretto” a
interpretare ciò che vede, e stabilisce così un contatto
con l’opera dovuto al suo sforzo intellettuale.
La mostra può essere un’occasione per sfatare il luogo comune che vede l’arte moderna come “non-arte”,
creata da gente incapace e alquanto bizzarra, che per uno
strano gioco della critica (quella artistica, s’intende) viene valorizzata contro ogni buon senso.
Al contrario, bisogna sapere che un’opera d’arte è
“bella” non se appare piacevole agli occhi, ma se con determinati linguaggi, colori e forme sa bene esprimere il
pensiero del suo autore, che in un certo modo è sempre
il riflesso della cultura del suo tempo. Se l’arte moderna
non è “piacevole” perché non ritrae gli oggetti come ci
appaiono, non significa per questo che non esprima nulla: una volta mutato l’humus culturale della società, per
esprimere concetti diversi occorre esprimerli in linguaggi diversi, sempre che li si voglia esprimere bene (cioè in
modo artistico).
Riconoscere quindi il valore delle opere contemporanee non va contro il buon senso: ciò non toglie che, pur
facendo questo, non si possano preferire altri stili o generi più tradizionali. Ma sarà in quel caso una preferenza
consapevole, senza l’alone di ridicolo che l’ignoranza e il
luogo comune si trascinano dietro.
Alla figura di Keith Haring (Reading, Pennsylvania, 1958 – New York, 1990), in occasione del quindicesimo anniversario dalla morte, è dedicata presso
la Triennale di Milano (viale Alemagna, 6) una delle
più grandi retrospettive al mondo sul celebre artista
contemporaneo: “The Keith Haring Show”.
La mostra, aperta tutti i giorni (escluso il lunedì)
dalle 10.30 alle 20.30, propone, fino al 29 gennaio
2006, oltre cento dipinti, quaranta disegni, sculture
e opere su carta. Per reperire informazioni, telefonare al numero 02 724341 (Triennale di Milano), oppure visitare il sito www.triennale.it.
Angelo Rinaldi
LAVORI IN CORSO A FONTANELLA
IL CONCERTO DELLA BANDA NELLA PARROCCHIALE
S. Cassiano in restauro Auguri in musica
Fontanella – Restauro in corso per la chiesa parrocchiale di S. Cassiano a Fontanella: tutto l’edificio è ora oggetto dei lavori che la miglioreranno e garantiranno la salvaguardia delle
opere d’arte in esso contenute. Secondo il progetto approvato in settembre dal Ministero dei
Beni Culturali, i lavori cominceranno con la ristrutturazione della struttura esterna. È in corso
di sostituzione in questi giorni la copertura del tetto; verranno inoltre ridipinti i muri perimetrali e l’abside; i canali di scolo per l’acqua piovana verranno sostituiti. Dalla scorsa domenica
i fedeli possono ammirare, all’interno della chiesa, la croce in ferro battuto che verrà collocata sulla facciata. Per risolvere il problema delle barriere architettoniche le scale di uno degli ingressi laterali verranno sostituite con una rampa adatta alle carrozzelle. Subito dopo i lavori
continueranno con l’intervento sull’interno della chiesa. Si comincerà con il risanamento delle fondamenta, per poi installare il riscaldamento a pavimento; si sostituirà inoltre la pavimentazione attuale in cotto con una marmorea. Verranno inoltre rimpiazzati gli impianti di illuminazione e di amplificazione oggi in funzione con altri che rispettino le leggi vigenti nella Comunità Europea. Si procederà infine alla tinteggiatura dell’interno dei muri perimetrali e al restauro degli affreschi, perché buona parte dei quadri di valore è già stata restaurata a spese
dalla Sovrintendenza alle Belle Arti: l’ultimo in ordine di tempo è stato “L’ultima cena” dei fratelli Vincenzo e Antonio Campi, noti pittori cremonesi.
Si attende a breve l’intervento della Sovrintendenza per dare avvio al restauro de “Il transito
di S. Giuseppe” di Vincenzo Moretti da Caravaggio. Sono in attesa di ristrutturazione anche il
coro ligneo che si trova nell’abside, dietro l’altar maggiore, e la sagrestia bassa. È in sospeso
invece il restauro del presbiterio in attesa di decisioni da prendersi secondo le norme liturgiche.
Desta preoccupazione al parroco don Libero Salini il restauro interno, in quanto la Parrocchia
non ha a disposizione un’altra chiesa di dimensioni sufficienti per contenere tutti i fedeli. La soluzione più probabile è quella di montare una tensostruttura nel cortile del centro parrocchiale
in cui verranno celebrate le messe, perché la chiesa dei Disciplini può contenere solo una cinquantina di persone. Il parroco spera che, nonostante il cambiamento di luogo, non vengano
meno il raccoglimento e la partecipazione dei fedeli alla Messa.
Il Ministero dei Beni Culturali ha garantito il rimborso su fattura del 40% delle spese; la restante cifra sarà a carico della Parrocchia, che si affida alla generosità dei suoi parrocchiani.
Alessia Olivini & Linda Taietti
PROGETTI
IN
Brignano – Oggi, sabato 17 dicembre, si terrà nella Chiesa Parrocchiale del paese
il consueto Concerto di Natale del Corpo Musicale S. Cecilia. Dalle 21.00 circa, orario
di inizio, la chiesa risuonerà per un paio di ore della musica che i circa quaranta strumentisti della banda del paese, più qualche esterno, proporranno al pubblico.
In scaletta, oltre ai classici natalizi, numerosi brani: si spazia da “Solemn and Festive Music”, raccolta di 4 brani barocchi del 1600, al celebre “Second Waltz” di Dimitri
Shostakovitch, colonna sonora del film “Eyes Wide Shut”, ultimo capolavoro di Stanley
Kubric. Seguiranno brani moderni: “Condacum”, “La danza del Sole”, “Harmony
March”, “Happy Day” e “Jewish Folksong Suite”, raccolta di brani di Roland Kernen
ispirati alla musica popolare ebraica.
Sulla pedana del maestro ci sarà, quest’anno, Christian Ernani Locatelli, al primo
concerto con questa banda, che sostituisce il maestro Paolo Belloli alla guida del complesso. Il Corpo Musicale S. Cecilia vanta ormai ben 101 anni di vita, affermandosi così tra le associazioni più longeve del paese.
Non si hanno notizie certe sulla nascita del complesso, se non che è stato costituito all’inizio del secolo scorso da una decina di musicisti che provavano nella stalla di una
cascina, forse per emulare un gruppo musicale precedente, l’”Agenzia”, di stampo enologico-socialista, che suonava nelle osterie del paese in cambio di qualche fiasco di vino.
Oggi, oltre all’attività concertistica, la banda si occupa di servizi civili e religiosi, e gestisce una scuola allievi molto popolosa con 32 iscritti. La scuola è articolata in un corso di teoria e solfeggio che precede, per poi affiancare, i corsi di clarinetto, sax, percussioni, flauto e ottoni. Prima dell’entrata nella banda vera e propria, gli allievi partecipano alla Junior Band, e cominciano a suonare nei servizi e nelle gelide notti delle “pastorali”, dal 22 dicembre alla vigilia di Natale.
Il Corpo Musicale ha deciso di diventare associazione entro la fine dell’anno. Con il
concerto di sabato presenterà il frutto di 4 mesi di lavoro e di prove serali nella sede sociale, chiudendo un altro anno di attività, tra fatica, divertimento, e buona musica. L’ingresso, oltre che raccomandato, è gratuito
Davide D’Adda
MARCIA
Parco delle mie brame
Arcene - Sei anni fa è stato creato un consorzio
tra i comuni di Arcene, Canonica, Ciserano, Fara,
Pontirolo e Treviglio, con l’obiettivo di salvaguardare
il territorio che essi condividono da ulteriori squilibri
ambientali. Il progetto prevedeva la creazione di un
parco intercomunale destinato a conservare il patrimonio naturale e a difenderlo da interventi invasivi
per l’ambiente.
La zona di cui stiamo parlando è quella che circonda la strada Arcene-Pontirolo-Treviglio.
Qui sono già presenti due cave a cielo aperto e
una discarica, che fanno temere eventuali effetti negativi.
La Provincia - come ci spiega il sindaco Michele Luccisano - vuole destinare un lotto di terreno
in territorio arcenese per la creazione di un’altra cava. La Regione avrebbe l’intenzione di ampliare la
cava per tutto il territorio tra Pontirolo e la nuova stazione ferroviaria di Arcene.
“E tutto questo” – spiega il sindaco - “molto probabilmente non sarà fermato con la creazione del
parco perché il piano ‘cave’ approvato dalla Regione ha priorità su tutto il resto”. Questo fatto preoccupa i sindaci della Bassa che si sono attivati con
una viva protesta per salvaguardare le campagne
della Bassa dal punto di vista ambientale.
In ogni modo l’iter per la realizzazione del parco
continua anche se con tempi molto lunghi. “Treviglio, che doveva avere la figura del comune-guida e
che ha il maggior numero di chilometri quadrati nel
progetto del parco, non ha ancora chiarito la sua posizione in merito al piano di lavori per la creazione
del territorio protetto”.
Gli assessori dei comuni del consorzio che hanno aderito al parco si sono riuniti ai primi del mese
scorso a Ciserano dove hanno dato il via al progetto con la verifica, da parte di esperti, dei vari Piani
Regolatori per vedere se le zone interessate sono
vincolate. Il passo successivo sarà la stesura della
planimetria e la regolamentazione del parco stesso
che dovranno poi essere approvate in Consiglio Provinciale.
Speriamo, con il sindaco, che si possa realizzare
al più presto questa zona protetta per poter salvare
quel poco di natura della Bassa che è fortunatamente rimasta.
Martina Sparro
SABATO
17
DICEMBRE
2005
MASSIMO CARRERA
(sulla melodia di ‘Maledetta Primavera’ di Loretta Goggi)
Arde Vieri e Nesta a zögà
L’è piö l’tép che pàsa a sircà ‘petenàs
I sistema ol cerchiètto coi mà
Al party mondano
Col telefunino in mano
Che ‘mporta di un sogno ‘rotico se
Al risveglio non c’è Massimo Carrera
Anche quest’anno per me
L’ìa mèi sa lü l’ghera
Caegia, bàla, èrba e tèra
Cuntra l’Messina
A tlo edìet po’ dàs de fa
Se per innamorarmi ancora
Tornerai Supermassimo Carrera
Che importa se ha un’autonomia di un quarto d’ora
L’è öna bandera
Grande Massimo Carrera
Al sarès mèi dì “l’era”
Ma per cünt mé l’è amò ché
I l’à endìt al Napoli de fà
Per dàga a Vugrineç de bìf e de maià
Adès ca ‘nsè ‘ndacc an serie A
Al sarès amò ‘mportante
Ciapanne poche e dan fò tante
Carrera attaccante
E diga a Doni ‘daga là!
Se per innamorarmi ancora
Tornerai Supermassimo Carrera
Che importa se ha un’autonomia di un quarto d’ora
L’è öna bandera, Grande Massimo Carrera
Al sarès mèi dì “l’era”
Ma per cünt mé l’è amò ché
Glenn-Peter Stromberg
Evair, Magnocavallo, Rustico e Gallo
Zögadùr de tègn a mà…
Che importa se ha un’autonomia di un quarto d’ora
L’è öna bandiera Grande Massimo Carrera
Al sarès mèi dì “l’era”
Ma ‘l piö grant ta sé amò té!
il Popolo Cattolico
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FANTASTICO CONCERTO DE ‘IL BEPI & THE PRISMAS’ AL PALACREBERG
Ma chi el ol Tongion? (ma chi è Elton John?)
Per due ore e mezzo trasportati nel magico mondo del
Bepi! Questa è stata la fortuna di noi diciassette barianesi che, insieme ad altre millecinquecento persone, siamo andati a vedere il concerto del Bepi al PalaCreBerg
(Bergamo), il 10 dicembre scorso.
Il Bepi, ovvero Tiziano Incani, va ad aggiungersi agli altri artisti che negli ultimi anni hanno sfondato le frontiere della musica in dialetto, come il bergamasco Alberto
Ravasio, divenuto famoso con L’è de Albì (Let it Be); il
lecchese Davide Van de Sfroos e i bresciani Charlie and
the Cats.
Ad affiancarlo in questo concerto, come pure negli altri, The Prismas, gruppo composto da persone dai nomi
improponibili come Mauro Sét Carico (basso), Guidone
Orobico (batteria), Cochet Coscrét (chitarra), Ray Rìturnel (tastiere), Fabrézze ol Postumo (percussioni), Simù
da Erfa e Luisa Contadinella Ucraina (cori). In via del tutto eccezionale, a questo concerto c’erano anche i due
chitarristi che avevano sostituito Cochet Coscrét l’estate scorsa, il bresciano “bergamaschizzato” Marco di Pa
& Ansia ed il milanese “atalantizzato” Simù de Milà.
Al concerto il Bepi ha cantato molte delle canzoni contenute nei CD “Nömer ü” e “Nömer dù”, come il “Bepijouer”, costruito sulla falsariga del “Giocajouer” di Cecchetto, “Co’ de Goma” (eseguita per ben due volte: la
prima, all’inizio, con il Bepi in giacca e cravatta; la seconda cantata dal Guidone Orobico con il Bepi che faceva la
‘lap-dèns’ in minigonna), “Kentucky”, che ci presenta il
Bepi in una nuova versione, il chitarrista, e la mitica
“Massimo Carrera” (sulla musica di “Maledetta Primavera”), di cui riporto il testo.
Oltre che con queste, il Bepi ci ha voluti deliziare con
altre canzoni, che interpreta solo nei live: “Bastardèi”
(“Yesterday” dei Beatles), “La Erika” (“America” dei
Rammstein), e l’inedita “Brenner Autobahn (o A vintedù)”.
Qualunque musica vi piaccia, comunque “Scultì ‘l Bepi di-gèi \ pò a sà ‘n’s’è sèmper chèi \ a Setèmber mi stà
töcc mèi!” (L’è sà l’Estat).
Un’ultima cosa! Non bisogna confondere questo Be-
pi, il vero Bepi, con quello di “Pota pota pota”. Infatti quest’ultimo è un ragazzo svizzero che, senza sapere che
esistesse un “vero” Bepi, ha cominciato la sua parodia
bergamasca di “Tanto tanto tanto” di Jovanotti con le
parole “Come ti chiami? Bepi \ Che cosa fai? L’alpino \
Da dove vieni? Bèrghem”.
Davide Danelli
A MARGINE DELLA CONFERENZA DEL PROF. PAOLO BRANCA
INIZIATI DAL CAMPANILE I LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE
Le campane sotto i riflettori
Inzago - Ricordate la questione sempre aperte fra
Peppone e don Camillo del campanile da restaurare perché non cadesse sulla canonica? Beh, a Inzago non ci
sono parroci che chiedono soldi a sindaci, ma un campanile in grave pericolo sì.
Sono infatti iniziati proprio dal campanile gli attesi lavori di ristrutturazione della chiesa parrocchiale, dedicata a Santa Maria Assunta. Il campanile è la parte più delicata di una chiesa: alto, soggetto al dondolare violento
delle campane e a pericolosi fenomeni di risonanza. Per
questo già cinque anni fa era stata segnalata l’assoluta
urgenza di una radicale ristrutturazione.
I ponteggi hanno avvolto la torre campanaria già durante l’ultima settimana di novembre, celando alla vista
dei cittadini uno dei simboli di Inzago. Ma solo venerdì 2
dicembre hanno avuto inizio i lavori: sono state rimosse
le sette campane. Una poderosa gru le ha tolte dalla loro sede, nella quale erano state collocate 93 anni fa da
un sistema di argani e funi.
Ma prima di partire in direzione ‘officina di restauro’,
le sette campane si sono messe in mostra. Sul sagrato
della chiesa è stato parcheggiato un TIR (lo stesso con
il quale sono poi state portate in riparazione) che le ha
ospitate per tre giorni. Un impianto di illuminazione ha
permesso di godersi lo spettacolo anche nei bui pomeriggi e nelle lunghe sere di inizio dicembre.
Per ogni inzaghese uno spettacolo davvero unico: vedere le sue campane, quelle campane che tante volte lo
hanno chiamato a messa, hanno pianto la scomparsa di
un compaesano, festeggiato la gioia della Resurrezione
del Signore. O semplicemente indicato l’ora a chi era
senza orologio o ,con i loro rintocchi, angosciato ancora
di più chi, insonne, non riusciva a dormire. Chi non ha
avuto la fortuna di salire sulla torre per annunciare alle tre
del Venerdì Santo :”L’è mort al Signur!”, non le aveva mai
potute vedere prima d’ora. E allora eccole in piazza, corredate di dati tecnici puntigliosi: diametro, peso, intonazione. Ma, soprattutto, accompagnate ciascuna dal proprio nome. “Al campanun”, la maggiore, è la campana
UN GIORNALE NEL GIORNALE
L’identità e l’incontro
Arcene - La Vergine contempla benevola un “Pargol divin” di plastica e luci psichedeliche illuminano il cielo della
Betlemme in miniatura sui mobiletti di milioni di case. Insieme al presepe tornano come
ogni anno le polemiche sull’atmosfera natalizia: polemiche
che purtroppo si alimentano
anche perché le contrapposizioni talvolta sono poco fondate sul piano religioso e storico.
Eccessi sbagliati, almeno secondo il Prof. Paolo Branca,
ricercatore e docente di lingua
araba all’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano, invitato il 2 dicembre dal comune di Arcene a riflettere con i
cittadini sulla possibilità di integrazione dei musulmani in Italia.
Ignorare l’identità cattolica
di una maggioranza che è
schiacciante è tanto scorretto
quanto individuare tutti i musulmani come una minaccia a
questa identità, piuttosto radicata in 2000 anni di storia. E
probabilmente, più che sentita
dagli interessati, la proclamata
sensibilità degli islamici è stata
brandita dai fanatici: dagli uni
per colpire l’irriverenza degli
italiani; dagli altri per dimostra-
del Sacro Cuore. La seconda prende il nome della patrona della chiesa, l’Assunta, ed è subito seguita dallo
sposo, San Giuseppe. Fra le altre campane, tre sono dedicate ai patroni della diocesi, Sant’Ambrogio, San Carlo Borromeo e San Galdino. E la settima? È dedicata a
San Giacomo, patrono del parroco in carica nel 1912.
Dicono che simili appropriazioni di dedica siano frequenti…
Intorno alle campane si è per tre giorni creata un’allegra atmosfera prenatalizia. Sono stati aperti tre banchetti di vendita di decorazioni e torte per finanziare l’accoglienza dei bambini bielorussi il prossimo maggio, mentre molti curiosi affollavano il sagrato.
L’insolito soggetto ha attirato anche il gruppo locale
di fotografi, che si sono dati i turni per fotografare le campane al variare della luce lungo la giornata.
Nell’attesa che le campane tornino, rimesse a nuovo,
su un nuovo campanile, il tempo verrà segnato ad Inzago da un austero concerto di campane tedesche registrato. E già tutti rimpiangono le buone vecchie “sette”.
Jonas F. Erulo
COSTUMI
E
re le presunte intenzioni sovvertitrici degli “infedeli”.
Proprio Natale dovrebbe, invece, essere un’occasione per
scoprire il filo conduttore tra le
due realtà: il presepe, ad
esempio, non offende nessun
musulmano.
Diversa, ricordava Branca, è
la condizione di nazioni come
la Francia, che della laicità ha
sempre fatto una bandiera: l’Italia ha sempre insistito sulle
proprie ragioni religiose. L’integrazione deve cominciare dal
basso, dalla vita quotidiana;
qualsiasi tentativo di forzarla,
come “l’abolizione” del Natale,
sarebbe controproducente e
offrirebbe argomenti a chi questa integrazione non la vuole.
Se ci allontaniamo dalla delicata questione religiosa possiamo partire dai punti di contatto tra la civiltà occidentale e
quella araba.
Quest’ultima vanta generazioni di grandi scienziati, matematici e filosofi che nel Medioevo sono stati maestri per
gli intellettuali europei e di cui
troviamo tracce nella nostra
letteratura. Persino tra le fonti
della Divina Commedia gli studiosi hanno riconosciuto il “Libro della Scala di Maometto”
SOCIETÀ
La buona educazione
La maggior parte di noi, attualmente, ritiene che
gran parte delle regole sia fatta per essere infranta; invece, analizzando i pro e i contro di questo spasmodico modo per evadere, si può comprendere che è
rassicurante stare all’interno di determinati parametri;
nella nostra quotidianità, senza accorgercene, compiamo gesti che, più che per necessità, sono spinti
dall’abitudine ad essere praticati. Masticare gomme
durante le lezioni, spintonarsi e sgomitare per arrivare primi a prendere la merenda, inveire in modo volgare quando un compagno ci urta in corridoio, sputare per terra. Quest’ultima abitudine sembra essere
tornata tra i ragazzi; capita di frequente, ad adulti e
non, di osservare per strada segni di sputo e di domandarsene il motivo: salivazione troppo forte? Non
lo sanno nemmeno i giovani che, considerandola una
cosa ormai ovvia nel proprio repertorio comportamentale, non la trovano criticabile. Attualmente valutare
quali siano gli atteggiamenti più corretti è diventato
soggettivo: alcuni, come il fumo o l’alcool, sono per
tutti da nascondere al giudizio perentorio degli adulti;
altri invece, come le espressioni del linguaggio o il saluto, sono diventati trascurabili. Siamo nel 2005, lontani quindi di molti anni dall’epoca del rigore e della
formalità; i ragazzi vivono in un contesto diverso, che
li vede più liberi di dare espressione alla propria per-
che narrava la discesa agli inferi del Profeta.
Prove del passato contatto
tra le due culture si rintracciano anche nei termini più comuni della nostra lingua derivati da
quella araba: dai vocaboli della
cucina come arancio, limone,
melanzana e zucchero a quelli
più generici quali algebra, magazzino, sciroppo, materasso e
talco.
Nella storia più recente i
ruoli si sono ribaltati, tanto che
ora sono i paesi arabi ad attingere alle nostre risorse tecnologiche.
Nel frattempo l’Italia ha subito una metamorfosi profonda
divenendo un Paese industrializzato e ha rivoluzionato i suoi
costumi che fino a qualche generazione fa forse non erano
così profondamente diversi da
quelli che contestiamo oggi
agli immigrati.
Questo non è sicuramente il
tentativo di impastare le due civiltà in un’unica “pappa” e rivenderle come identiche. In un
paese civile le differenze non
sono, però, inconciliabili se lo
sforzo è bilaterale.
Laura Maiorino
sonalità, di dire la propria opinione, di gestirsi e controllarsi in modo autonomo. Sta ai singoli sfruttare
l’opportunità, che li vede protagonisti ed antagonisti
di questo aspetto della propria vita: protagonisti, nel
caso in cui essi sappiano fare buon uso della libertà
educativa, antagonisti nel caso in cui essi ne oltrepassino i limiti, rendendola controproducente verso se
stessi.
Le situazioni che capitano più spesso nel conflitto
genitori-figli si verificano per la pressante attenzione
dei genitori alle attività degli adolescenti, molti dei
quali non si sono mai chiesti il perché di questa mancanza di fiducia nei propri confronti e la interpretano
come preoccupazione fine a se stessa. La chiave per
evitare la rigidità degli adulti è da ricercare nell’immagine che ognuno fornisce della propria persona, immagine che non va intesa come maschera, ma come
insieme degli atteggiamenti che la rappresenta. Essere vincolati dai principi di un comportamento accettabile da tutti, a volte, fa sentire più liberi di quanto non
ci si senta cercando in continuazione una via per sfuggirne.
Arianna Braccia