DIRITTO PENALE E PROCESSO - SPECIALE COOPERAZIONE
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DIRITTO PENALE E PROCESSO - SPECIALE COOPERAZIONE
IPSOA Diritto penale e processo Mensile di giurisprudenza, legislazione e dottrina 2016 ANNO XXI - Direzione e redazione Strada 1 Palazzo F6 20090 Milanofiori Assago (MI) edicolaprofessionale.com/DPP Cooperazione giudiziaria: le novità del recepimento delle fonti sovranazionali ESTRATTO DA DIRITTO PENALE E PROCESSO FASCICOLI NN. 8 E 9 DEL 2016 a cura di Luigi Kalb contributi di: Gian Marco Baccari Andrea Bigiarini Donatello Cimadomo Girolamo Daraio Luigi Giordano Felice Pier Carlo Iovino Massimo Perrotti Angelo Alessandro Sammarco Roberta Troisi o t t a r t s E DIREZIONE SCIENTIFICA Giorgio Spangher Paolo Pisa (condirettore) COMITATO SCIENTIFICO Roberto Bartoli Paolo Ferrua Luigi Kalb Antonella Marandola Francesco Palazzo Marco Pelissero Sergio Seminara Paolo Tonini SPECIALE COOPERAZIONE GIUDIZIARIA COOPERAZIONE GIUDIZIARIA: LE NOVITÀ DEL RECEPIMENTO DELLE FONTI SOVRANAZIONALI Presentazione a cura di Luigi Kalb 989 UNA NORMATIVA LACUNOSA E DAL SAPORE RÉTRO PER I CASI DI CONFLITTO DI GIURISDIZIONE IN AMBITO EUROPEO di Gian Marco Baccari 991 MANDATO DI ARRESTO EUROPEO E RECIPROCO RICONOSCIMENTO DELLE SENTENZE PENALI NEI PROCESSI IN ABSENTIA di Andrea BigiarinI 999 SQUADRE INVESTIGATIVE COMUNI IN AMBITO EURO UNITARIO. DALLA DECISIONE QUADRO ALLA NORMATIVA NAZIONALE di Massimo Perrotti 1007 RECIPROCO RICONOSCIMENTO E “MISURE ALTERNATIVE” ALLA DETENZIONE CAUTELARE di Donatello Cimadomo 1015 L’ATTUAZIONE DELLA DECISIONE QUADRO SUL RECIPROCO RICONOSCIMENTO DELLE SANZIONI PECUNIARIE di Luigi Giordano 1024 L’ATTUAZIONE DELLA D.Q. 577/2003 SUL RECIPROCO RICONOSCIMENTO DEI PROVVEDIMENTI DI SEQUESTRO A FINI DI PROVA O DI CONFISCA di Girolamo Daraio 1133 GLI EFFETTI DEL RECIPROCO RICONOSCIMENTO PER L’ESECUZIONE DELLE MISURE DI SOSPENSIONE CONDIZIONALE E DELLE SANZIONI SOSTITUTIVE di Felice Pier Carlo Iovino 1148 LA CONSIDERAZIONE DEI PRECEDENTI PENALI “EUROPEI” NELL’ORDINAMENTO INTERNO di Roberta Troisi 1159 L’INTRODUZIONE DEL CASELLARIO GIUDIZIALE EUROPEO NEL PROCESSOPENALE ITALIANO di Angelo Alessandro Sammarco 1165 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Cooperazione giudiziaria: le novità del recepimento delle fonti sovranazionali a cura di Luigi Kalb Presentazione Gli studiosi come gli operatori del settore hanno da tempo colto quanto sia divenuto preminente il peso delle fonti sovranazionali e della stessa giurisprudenza delle Corti europee sulla legislazione nazionale e sulle decisioni del giudice italiano. Non a caso si è segnalato più volte il pericolo che i continui adeguamenti legislativi e i nuovi orientamenti giurisprudenziali finissero per essere sottovalutati, in quanto è apparsa piuttosto netta la sensazione che i segnali così percepiti dalle nuove fonti rischiassero di rimanere in “qualche modo atomizzati e sparsi, incapaci, cioè, di essere complessivamente e compiutamente riconducibili ad unità” (1). La scelta compiuta dal Comitato scientifico della Rivista muove da questa duplice premessa, al fine di offrire al lettore una prima informazione di dettaglio sulla più recente produzione legislativa destinata al recepimento di una serie di decisioni quadro avvenuto ben oltre i termini programmati dal legislatore europeo (2). L’obiettivo progettato, pertanto, intende offrire un primo commento alle novità conseguenti al recepimento delle indicazioni risultanti nelle fonti sovranazionali e, al contempo, ridisegnare il nuovo quadro normativo di riferimento attraverso una lettura ragionata e sistematica delle innovazioni apportate. A tal fine, tutti i commenti sono strutturati secondo un unico modello espositivo, in modo che il lettore possa cogliere la ragion d’essere delle novità in ragione delle sollecitazioni formulate nelle singole decisioni quadro, i contenuti delle nuove previsioni in relazione agli organi legittimati, al procedimento attivato e alle regole da ottemperare, le riflessioni finali suscitate da una valutazione prognostica riguardante l’operatività delle specifiche novità. Attesa la corposità dell’intervento legislativo nel suo complesso, i commenti allestiti sono pubblicati (1) V. Spangher, Presentazione, in Gaito, Procedura penale e garanzie europee, Torino, 2006. (2) V., sul punto, AA.VV., “Spazio europeo di giustizia” e pro- Diritto penale e processo 8/2016 in due numeri della Rivista. In questo numero sono oggetto di approfondimento il recepimento della decisione quadro 2009/948/GAI del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali (D.Lgs. n. 29/2016), a cura del Prof. Gianmarco Baccari; l’attuazione della decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, volta a rafforzare i diritti processuali delle persone e a promuovere l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo (D.Lgs. n. 31/2016), a cura del Dr. Andrea Bigiarini; l’attuazione della decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa alle squadre investigative comuni (D.Lgs. n. 34/2016), a cura del Cons. Massimo Perrotti; il recepimento della decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’UE del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare (D.Lgs. n. 36/2016), a cura del Dr. Donatello Cimadomo; l’attuazione della decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’UE del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie (D.Lgs. n. 37/2016), a cura del Cons. Luigi Giordano. Nel successivo numero della Rivista saranno pubblicati i commenti all’attuazione della decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio (D.Lgs. n. 35/2016), a cura del Dr. Girolamo Daraio; al recepimento della decisione quacedimento penale italiano. Adattamenti normativi e approdi giurisprudenziali, a cura di Kalb, Torino, 2012. 989 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria dro 2008/947/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive (D.Lgs. n. 38/2016), a cura del Prof. Felice Pier Carlo Iovino; all’attuazione della decisione quadro 2008/675/GAI, relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell’Unione europea in occasione di un 990 nuovo procedimento penale (D.Lgs. n. 73/2016), a cura dell’Avv. Roberta Troisi; all’attuazione della decisione quadro 2009/315/GAI, relativa all’organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario (D.Lgs. n. 74/2016) e alla connessa attuazione della decisione 2009/316/GAI che istituisce il Sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS) (D.Lgs. n. 75/2016), a cura del Prof. Alessandro Sammarco. Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Conflitto di giurisdizione Una normativa lacunosa e dal sapore rétro per i casi di conflitto di giurisdizione in ambito europeo di Gian Marco Baccari (*) Il legislatore delegato italiano ha recepito con poche integrazioni l’iter procedimentale delineato dalla Decisione Quadro 2009/948/GAI per contenere il fenomeno della pendenza di procedimenti penali de eadem re et persona in più Paesi dell’Unione. Il D.Lgs. n. 29 del 2016 impone alle autorità giudiziarie nazionali obblighi di cooperazione (ma non di risultato) con le autorità straniere, attraverso una procedura bifasica che difetta totalmente di garanzie per la difesa. L’auspicio è che si tratti di un primo passo verso una più compiuta realizzazione del diritto dell’accusato all’unicità della giurisdizione penale nell’ambito dello spazio giuridico europeo. Decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 Prevenzione e risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali. D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 29 G.U. 7 marzo 2016, n. 55 (in vigore 22 marzo 2016). Modifiche Non si rilevano modifiche al c.p.p. Per coordinamenti di ordine sistematico v. art. 10 (sospensione del procedimento) e art. 11 (computo della custodia cautelare sofferta all'estero ai sensi degli artt. 303, comma 4, 304 e 657 c.p.p.). Il tema della litispendenza penale (1) all’interno dello spazio giudiziario europeo ha iniziato a ricevere la dovuta attenzione soltanto agli albori del nuovo millennio (2). Per lungo tempo, infatti, il dibattito è stato polarizzato sul riconoscimento transnazionale del principio del ne bis in idem (3), culminato dapprima negli enunciati degli artt. 5458 della Convenzione del 1990 applicativa degli Accordi di Schengen (CAAS) e poi nella solenne proclamazione del ne bis in idem quale diritto fondamentale dell’UE dall’art. 50 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione (c.d. Carta di Nizza) (4). (*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee. (1) Il termine litispendenza è qui utilizzato per indicare la contemporanea pendenza di una pluralità di procedimenti nei confronti della medesima persona accusata degli stessi fatti, quando non risulti violata una regola di competenza: in questo senso cfr. D. Grosso, L’udienza preliminare, Milano, 1991, 129. (2) In seguito al Consiglio di Tampere del 1999, la Commissione europea aveva inserito il tema della prevenzione e risoluzione dei conflitti di giurisdizione nell’agenda delle iniziative da concretizzare nell’ambito del vasto programma di attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie penali. (3) Sul tema si veda il fondamentale lavoro monografico di N. Galantini, Il principio del “ne bis in idem” internazionale nel processo penale, Milano, 1984. (4) Come noto, alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE è stato attribuito lo stesso valore giuridico dei Trattati (art. 6, par. 1, TUE nella versione consolidata in base al Trattato di Lisbona). Sul piano nazionale le Sezioni Unite della Cassazione, La decisione quadro 2009/948/2009 Diritto penale e processo 8/2016 991 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Soltanto dopo questi importanti approdi l’attenzione si è concentrata (5) anche sulla diversa, ma strettamente connessa, problematica dell’esercizio simultaneo delle pretese penali in idem quando ancora non sia intervenuta una decisione definitiva. Si tratta di un fenomeno in continua espansione a causa di una molteplicità di fattori quali la marginalizzazione nel diritto penale del principio di territorialità, la crescente dimensione transnazionale del crimine, specie di quello organizzato, e l’eliminazione delle frontiere tra numerosi Stati (6). Nel tentativo di superare la rozza logica del “premier arrivé, premier servi” (7), sono state assunte in ambito europeo varie iniziative di portata generale finalizzate alla composizione dei conflitti di giurisdizione. Il primo testo europeo dichiaratamente orientato alla risoluzione dei conflitti di giurisdizione risale alla proposta di decisione quadro formulata nel 2003 dalla Repubblica ellenica (8), al quale ha fatto seguito poco dopo, nel 2005, il Libro verde “sui conflitti di giurisdizione e il principio del ne bis in idem” (9). Quest’ultimo è stato redatto dalla Commissione europea in attuazione degli obiettivi strategici concordati dal Consiglio dell’Unione nel Programma dell’Aja del 2004 (10). Ben quattro anni dopo, il 30 novembre 2009, il giorno prima dell’entrata in vigore del Trattato di in una celebre pronuncia (SS.UU., 28 giugno 2005, Donati, in Cass. pen., 2006, 66), dopo aver desunto dall’ordinamento interno l’esistenza di una preclusione ad un nuovo esercizio dell’azione penale de eadem re anche prima della sentenza irrevocabile, hanno affermato che la duplicazione del processo su gli stessi fatti costituisce una violazione dei diritti dell’individuo. Sul tema v. C. Conti, Harmonized precedents: le Sezioni Unite tornano sul principio di preclusione, in questa Rivista, 2011, 697 ss.; E. M. Mancuso, Il giudicato nel processo penale, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Ubertis - G.P. Voena, Milano, 2012, 426 ss.; L. Marafioti, Preclusione: un principio senza qualità?, in R. Del Coco - L. Marafioti (a cura di), Il principio di preclusione nel processo penale, Torino, 2012, 171 ss.; R. Orlandi, Principio di preclusione e processo penale, in PPG, 2011, 5, 1 ss. (5) Cfr. T. Rafaraci, Le misure contro i procedimenti penali “paralleli” nella decisione-quadro 2009/948/GAI, in P. Corso- E. Zanetti (a cura di), Studi in onore di Mario Pisani, II, Piacenza, 2010, 515, il quale, tra l’altro, ricorda la Risoluzione del 18 settembre 2004 della IV Sezione del XVII Congresso internazionale dell’A.I.D.P. Tale risoluzione può essere letta nella versione tradotta da M. Pisani in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, 502. (6) In tal senso cfr. N. Recchia, Il ne bis in idem transnazionale nelle fonti eurounitarie: questioni risolte e nodi problematici alla luce delle recenti sentenze della corte di giustizia UE, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1373 ss. Sul tema v. M. Pisani, Il ne bis in idem internazionale e il processo penale italiano, in Studi di diritto processuale civile in onore di Giuseppe Tarzia, I, Milano, 2005, 553 ss. (7) L’espressione è comunemente utilizzata per indicare la cessazione della litispendenza per effetto della preclusione prodotta dal giudicato estero: l’autorità giudiziaria che per prima perviene ad una decisione definitiva impedisce la prosecuzione dei procedimenti de eadem re et persona che si stanno svolgendo altrove. Si tratta di un criterio insoddisfacente, legato ad una decisione definitiva assunta all’esito di un giudizio più celere magari perché assistito da minori garanzie per l’imputato. Per queste osservazioni e, più in generale, per una approfondita analisi dell’argomento v. L. Lupária, La litispendenza internazionale tra ne bis in idem e processo penale italiano, Milano, 2012, 74 ss., il quale, tra l’altro, mette bene in luce le pesanti ricadute negative delle multiple prosecutions sull’effettivo esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato e sull’attendibilità dell’accertamento processuale. In argomento cfr. anche E. Calvanese - G. De Amicis, La decisione quadro del Consiglio dell’U.E. in tema di prevenzione e risoluzione dei conflitti di giurisdizione, in Cass.pen., 2010, 3595. (8) Proposta della Repubblica ellenica per l’adozione di una Decisione Quadro del Consiglio concernente l’applicazione del principio “ne bis in idem”, in G.U.C.E, n. C100, 26 aprile 2003. Per un commento di tale proposta v. C. Amalfitano, Conflitti di giurisdizione e riconoscimento delle decisioni penali nell’Unione Europea, Milano, 2006, 265 ss. Tale iniziativa prevedeva procedure di contatto e di consultazione tra le autorità procedenti al fine di individuare di comune accordo il foro che meglio potesse garantire l’amministrazione della Giustizia (giudice mieux placé), in virtù di alcuni criteri “di precedenza” espressamente indicati, anche se non ordinati secondo una scala gerarchica (art. 3, lett. a). Nello stesso anno era stato messo a punto da alcuni studiosi del Max Planck Institute di Friburgo un progetto che si distingueva da quello ellenico principalmente per due aspetti: in primo luogo, per la previsione di termini abbastanza brevi per la composizione del conflitto (sei mesi); in secondo luogo per la possibilità dell’imputato di adire la Corte di Giustizia, in caso di designazione di una autorità non in grado di assicurare la migliore amministrazione della Giustizia. Alla Corte di Lussemburgo, inoltre, veniva affidata la determinazione dell’autorità legittimata a procedere in caso di fallimento delle consultazioni. Cfr. A. Biehler - R. Kniebühler - J. Lelieur-Fischer - S. Stein, Freiburg Proposal on Concurrent Jurisdictions and the Prohibition of Multiple Prosecutions in the European Union, Iuscrim, 2003. Per la traduzione in italiano si veda E. Zanetti, Giurisdizioni concorrenti e divieto di azioni multiple: una proposta da Friburgo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 374 ss. (9) COM (2005) 696. Sui contenuti del Libro verde cfr. l’analisi di T. Rafaraci, Ne bis in idem e conflitti di giurisdizione in materia penale nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione Europea, in Riv. dir. proc., 2007, 637 ss. (10) “La messa a punto di una procedura che permetta di stabilire il luogo più adeguato per l’esercizio delle azioni penali si rivela perciò sempre più necessaria e costituirà un elemento essenziale per agevolare l’attuazione del principio di reciproco riconoscimento”: così la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, Comunicazione sul reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale e il rafforzamento della reciproca fiducia tra gli Stati membri, Bruxelles, 19 maggio 2005, COM (2005) 195 def., 8. In premessa al Libro verde la Commissione evidenziava, da un lato, la necessità dello scambio di informazioni tra le autorità interessate a perseguire il medesimo illecito; dall’altro, la facoltà dell’autorità giudiziaria di rinunciare all’esercizio della giurisdizione in favore di altro Stato membro. Le difficoltà di recepimento di una simile indicazione per gli Stati nei quali la Carta costituzionale impone l’obbligatorietà dell’azione penale non erano sottaciute. Sotto il profilo procedurale, il meccanismo delineato nel Libro verde per la risoluzione dei conflitti di giurisdizione si presentava più articolato rispetto ai testi precedenti. In particolare, si prevedeva che ad una prima fase di scambio di informazioni seguissero consultazioni finalizzate a raggiungere un accordo in ordine al giudice mieux placé. In mancanza di accordo il documento della Commissione europea auspicava l’intervento di un organismo creato appositamente oppure di Eurojust, che dopo la sua istituzione (d.q. 2002/187/GAI) ha rappresentato l’unica autorità europea di riferimento per la composizione 992 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Lisbona, il Consiglio dell’UE ha approvato la D.Q. 2009/948/GAI “sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali” (11). Gli obiettivi dichiarati nel titolo, tuttavia, sono ben più ambiziosi dei reali contenuti del provvedimento, nel quale non sono previsti rimedi preventivi dei conflitti positivi di giurisdizione (12). In base alla decisione quadro, le autorità che conducono giudizi concorrenti de eadem re et persona sono obbligate ad effettuare uno scambio di informazioni e, successivamente, a svolgere consultazioni per giungere ad una soluzione consensuale che eviti le conseguenze negative derivanti dall’esistenza di procedimenti paralleli (art. 2): l’obiettivo finale è quello di realizzare (“eventualmente”) la concentrazione di essi in un unico Stato membro (art. 10). Sin da subito le previsioni della decisione quadro sono apparse assai timide e dal “respiro corto” (13), volte a instaurare “un sistema non vincolante” (14) e residuale (15). Si è parlato di un sicuro “passo indietro” (16), dovuto ancora una volta alla riluttanza dei singoli Stati membri a privarsi di una forma espressiva di sovranità: ciò emerge chiaramente dal considerando n. 11 della decisione quadro, ove si legge che “nessuno Stato membro dovrebbe essere obbligato a rinunciare o a esercitare la competenza giurisdizionale contro la sua volontà”. Dopo che il 1° dicembre 2014 è scaduto il periodo transitorio quinquennale previsto dal Trattato di Lidei conflitti, sia pure limitatamente alle gravi forme di criminalità transnazionale di sua competenza: cfr. M.L. Di Bitonto, Eurojust e i conflitti di giurisdizione, in L. Filippi - P. Gualtieri - P. Moscarini - A. Scalfati (a cura di), La circolazione investigativa nello spazio giuridico europeo: strumenti, soggetti, risultati, Padova, 2010, 31 ss. (11) Pubblicata in G.U.U.E., L 328 del 15 dicembre 2009, 42 ss. Il testo della decisione quadro si differenzia sotto alcuni profili da una proposta elaborata nel gennaio del 2009 da Repubblica Ceca, Repubblica di Polonia, Repubblica di Slovenia, Repubblica Slovacca e Regno di Svezia (in G.U.U.E., C 39 del 18 febbraio 2009, 2 ss.). Su tale iniziativa cfr. l’ampia analisi condotta da C. Amalfitano, La risoluzione dei conflitti di giurisdizione in materia penale nell’Unione europea, in questa Rivista, 2009, 1293 ss.; v. anche S. Catalano, Appunti a margine di una proposta di decisione quadro sui conflitti di giurisdizione, in Quad. Cost., 2009, 425 ss. (12) La D.Q. 2009/948 non prende in considerazione i conflitti negativi di giurisdizione, che danno luogo a minori problematiche. (13) Così T. Rafaraci, Le misure contro i procedimenti penali “paralleli” nella decisione-quadro 2009/948/GAI, cit., 513. (14) S. Fasolin, Conflitti di giurisdizione e ne bis in idem europeo, Padova, 2015, 30, la quale osserva che molti contenuti della proposta del gennaio 2009 sono stati spostati “dal corpo dell’articolato ai consideranda che lo anticipano, rinunciando in tal modo al loro carattere vincolante”. (15) Nel considerando n. 15 si legge che la decisione quadro non pregiudica la Convenzione europea sul trasferimento dei procedimenti penali di Strasburgo del 15 maggio 1972 (fir- Diritto penale e processo 8/2016 sbona per la materia della cooperazione giudiziaria penale, il Parlamento italiano con la L. 9 luglio 2015, n. 114, stante anche il rischio di incorrere in un procedimento d’infrazione da parte della Commissione europea, ha delegato il Governo ad adottare, tra le altre, le norme occorrenti per l’attuazione della D.Q. 2009/948/GAI (art. 18, comma 1, lett. g, L. n. 114/2015) (17). Il che è avvenuto, sia pure con tre mesi di ritardo rispetto al termine fissato dalla legge delega, con il D.Lgs. n. 29 del 15 febbraio 2016, entrato in vigore il 22 marzo scorso (18). Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 29 La procedura delineata dal D.Lgs. n. 29/2016: l’obbligo di contatto diretto tra le autorità competenti Il contenuto del decreto legislativo si mantiene rigorosamente entro le linee direttive della D.Q. 2009/948/GAI, riproducendone spesso quasi alla lettera i contenuti, a cominciare dalla definizione di “procedimenti paralleli”, premessa indefettibile per l’attivazione del congegno ideato. Tale situazione ricorre quando in Stati membri diversi siano pendenti più procedimenti penali, sia nelle fasi investigative che in quelle processuali, per “gli stessi fatti” e “nei confronti della medesima persona” (art. 2, D.Lgs. 29/2016 e art. 3, D.Q. 2009/948/GAI) (19). Il meccanismo, dunque, non sembra operare ove non vi sia una perfetta corrispondenza “soggettiva”, come mata dall’Italia soltanto il 26 maggio 2000), nonché altri accordi riguardanti il trasferimento dei procedimenti penali tra gli Stati membri. Questi ultimi, peraltro, possono continuare ad applicare accordi o intese bilaterali o multilaterali già vigenti ovvero stipularne altri per raggiungere gli obiettivi stabiliti nella D.Q. 2009/948 (art. 15). (16) Così L. Lupária, La litispendenza internazionale, cit., 105. (17) La D.Q. 2009/948 avrebbe dovuto trovare attuazione entro il 15 giugno 2012. Dalla relazione della Commissione europea del 2014 (2014/0313) risultava che soltanto quindici paesi dell’UE ne avevano recepito i contenuti nella loro legislazione nazionale. La Commissione, visto che “il livello di attuazione di questo importante strumento legislativo è tutt’altro che soddisfacente ... e ostacola l’efficace funzionamento dello spazio europeo di giustizia”, esortava tutti i Paesi ad un rapido recepimento della decisione quadro. (18) Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 29 è stato pubblicato in G.U. 7 marzo 2016, n. 55. Per un primo commento v. M. Castellaneta, Dialogo diretto per la regolazione dei conflitti tra autorità, in Guida dir., 2016, 14, 76 ss. (19) S. Buzzelli, Procedimenti paralleli, spazio di giustizia, Unione europea: il contesto normativo e gli aspetti problematici, in Arch. pen., 2012, 1, mette in rilievo che l’espressione “procedimenti paralleli” utilizzata dalla D.Q. 2009/948 non ricorreva né nella proposta ellenica del 2003 - in cui si impiegava la perifrasi “cause transfrontaliere multilaterali”- né nel Libro verde, nel quale si alternava la locuzione “procedimenti molteplici” a quella di “conflitti positivi di giurisdizione”. 993 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria nel caso in cui in uno dei Paesi membri si stia procedendo nei confronti di una pluralità di persone. L’iter procedurale delineato dal provvedimento governativo prevede una prima fase preliminare, nella quale le autorità giudiziarie nazionali devono entrare in comunicazione diretta con quelle degli altri Stati membri ai fini di un primo scambio di informazioni (20). Il presupposto della presa di contatto è che via sia un fondato motivo di ritenere che in un altro Stato membro sia in corso un “procedimento parallelo”. In tal caso l’autorità giudiziaria italiana procedente - che durante le indagini preliminari è il pubblico ministero - ha l’obbligo di contattare con atto scritto (21) l’autorità competente dell’altro Stato membro per verificare la effettiva pendenza di “procedimenti paralleli” (art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 29/2016). L’obbligo in parola, dunque, sorge soltanto quando il conflitto si pone in concreto, ossia nel momento in cui vi siano già procedimenti penali in corso (22). In caso di incertezza nell’individuazione dell’autorità estera da contattare, l’autorità italiana è obbligata a compiere i necessari accertamenti, avvalendosi anche dei punti di contatto della rete giudiziaria europea (art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 29/2016). Non è stata riprodotta, invece, nel testo attuativo la previsione della decisione quadro secondo la quale la procedura di contatto non si osserva se le autorità competenti siano già state informate dei procedimenti paralleli con qualsiasi altro mezzo (art. 5, comma 3, D.Q. 2009/948/GAI). L’omissione nel decreto legislativo pare significare che la procedura di contatto per l’autorità italiana sia in ogni caso ineludibile, in modo che vi sia sempre una traccia scritta dei contatti intercorsi. Se è vero che la procedura di contatto ha carattere obbligatorio, è innegabile che l’autorità procedente gode di ampi margini di discrezionalità nell’avvio della procedura. Invero, mancano in entrambi i testi chiare indicazioni su cosa debba intendersi per identità del fatto, nonostante si tratti di un punto assolutamente cruciale per il funzionamento del meccanismo predisposto. Al riguardo, sono da condividere le opinioni di coloro (23) che, per superare l’impas- se, si richiamano alla giurisprudenza della Corte di Giustizia formatasi con riguardo al principio del ne bis in idem sancito dall’art. 54 della Convenzione di Applicazione degli Accordi di Schengen (CAAS). Stando alla nozione europea elaborata dal giudice di Lussemburgo, in sintesi, l’idem factum richiede “un insieme di fatti inscindibilmente collegati tra loro, indipendentemente dalla qualificazione giuridica di tali fatti o dall’interesse giuridico tutelato” (24). Un altro profilo di incertezza, che finisce per concedere ampia libertà all’autorità contattante in ordine all’attivazione della procedura, concerne gli elementi dai quali possa essere desunto il fumus di litispendenza; al riguardo, non appare di particolare aiuto il considerando n. 5 della decisione quadro, che indica come “fondati motivi” situazioni fin troppo lampanti come l’eccezione di litispendenza fatta valere in modo dettagliato dallo stesso imputato ovvero la richiesta di assistenza giudiziaria proveniente dall’autorità di un altro Stato membro. Sembra comunque difficile che l’autorità contattante possa esimersi dall’avviare la procedura ogni qual volta la vicenda presenti evidenti indici di transnazionalità. Tra la fonte europea da attuare e il decreto legislativo si nota qualche differenza con riguardo al contenuto che deve avere la richiesta scritta da inviare all’autorità dell’altro Stato. In particolare, l’art. 6 del provvedimento governativo stabilisce che la richiesta dell’autorità giudiziaria italiana deve contenere, oltre alla autorità competente (lett. a) e alla descrizione dei fatti oggetto del procedimento (lett. b), gli estremi dell’identità dell’indagato o dell’imputato (lett. c). Sulla base di tale elemento testuale sembra da escludere, quindi, che gli obblighi di contatto siano operanti quando si sta procedendo contro ignoti: il dubbio poteva scaturire dalla corrispondente formulazione accolta dalla decisione quadro, che contempla la trasmissione di “tutti gli elementi rilevanti in merito all’identità dell’indagato o dell’imputato”. Peraltro, la richiesta di informazioni inviata dall’autorità italiana potrà contenere “se del caso” la identità delle persone offese e di quelle danneggiate, là dove l’atto europeo utiliz- (20) In base alla D.Q. 2009/948, ciascuno Stato è tenuto ad indicare in una dichiarazione da depositare presso il segretariato generale del Consiglio quali lingue, tra quelle ufficiali delle Istituzioni dell’Unione, intenda impiegare nel corso della procedura di contatto (art. 14, comma 1). (21) Cfr. art. 7 della D.Q. 2009/948 in base al quale “le autorità contattante e contattata comunicano con mezzi che consentano di conservare una traccia scritta”. (22) Nella proposta originaria elaborata nel gennaio del 2009 da Repubblica Ceca, Repubblica di Polonia, Repubblica di Slovenia, Repubblica Slovacca e Regno di Svezia, la procedura di scambio delle informazioni era prevista anche nell’ipotesi di conflitti di giurisdizione “in astratto”. (23) Cfr. C. Amalfitano, La risoluzione dei conflitti di giurisdizione in materia penale nell’Unione europea, cit., 1298 e, più di recente, S. Fasolin, Conflitti di giurisdizione e ne bis in idem europeo, cit., 32. (24) Si tratta di un filone interpretativo inaugurato con la sent. 9 marzo 2006, Van Esbroeck, C-436/04, in Raccolta, I2333. Sul punto, in generale, v. N. Galantini, Il “fatto” nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1205 ss. Per una approfondita disamina dei diversi casi trattati nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, cfr. T. Rafaraci, Ne bis in idem e conflitti di giurisdizione in materia penale nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione Europea, cit., 621 ss. 994 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria za - come di consueto - il più ampio termine di “vittime” (art. 8, lett. e, D.Q.). Il riferimento alle persone “danneggiate” dall’illecito e non alle parti civili lascia intendere che l’indicazione di tali persone potrà avvenire indipendentemente dalla loro partecipazione formale al procedimento penale, che magari si trova ancora nella fase delle indagini preliminari in cui ai danneggiati non è dato spazio. Una perfetta uniformità tra i due testi si registra, viceversa, in merito alla necessità di indicare se l’indagato o imputato sia sottoposto “a custodia cautelare” (art. 6, lett. e), circostanza che - come vedremo tra breve - assume rilievo ai fini della cadenza temporale di tutta la procedura in corso di svolgimento. In aggiunta a quanto richiesto dalla decisione quadro, il provvedimento italiano rimette alla valutazione dell’autorità giudiziaria contattante l’indicazione di “ogni altra informazione che si ritenga opportuno fornire”: il pensiero corre all’eventuale indicazione di elementi di prova, nel rispetto ovviamente delle esigenze di segretezza proprie della fase procedimentale in corso. Lo scambio di informazioni dovrebbe esaurirsi in tempi molto stretti. Tuttavia, la durata temporale della procedura di contatto, in entrambi i testi normativi in esame, è affidata in modo inopportuno alla assoluta discrezionalità dei soggetti coinvolti. L’autorità contattante può fissare un termine - purché “ragionevole”, a detta della fonte europea - entro il quale l’altra dovrebbe rispondere; in mancanza di un’indicazione espressa, l’autorità contattata è tenuta a rispondere “senza indebito ritardo” (art. 6, comma 1, D.Q. e art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 29/2016), una formula così generica e poco stringente che finisce per affidare alla totale disponibilità degli organi coinvolti l’estensione temporale della procedura in esame, in spregio ai diritti della difesa dell’imputato che nel frattempo è sottoposto a più procedimenti paralleli (25). Balza evidente una difformità tra i due testi di cui ci stiamo occupando. Mentre la Decisione Quadro impone di trattare con urgenza la richiesta quando l’autorità contattante abbia informato l’autorità contattata che l’imputato è sottoposto “ad una misura detentiva preventiva o custodia cautelare”, il decreto legislativo in esame prevede soltanto che l’autorità italiana tratti con urgenza la richiesta se nel procedimento pendente dinanzi ad essa “l’imputato sia sottoposto a misura cautelare”: con il risultato paradossale che l’autorità italiana dovrebbe trattare la richiesta con urgenza nel caso di imputa(25) A questa esigenza non era rimasto insensibile, in precedenza, il Parlamento europeo che nella Risoluzione dell’8 ottobre del 2009 raccomandava la fissazione di un termine mas- Diritto penale e processo 8/2016 to sottoposto nel nostro Paese ad una qualsiasi misura cautelare, anche di tipo non custodiale se non addirittura di natura reale, mentre dovrebbe procedere “senza indebito ritardo” se l’imputato si trovi in vinculis in altro Stato membro della UE. L’autorità italiana, se non è in grado di rispettare il termine assegnato, deve spiegarne le ragioni; una previsione alquanto stravagante aggiunge che in tal caso l’autorità italiana fissa - a sé stessa dunque - un nuovo termine per adempiere (art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 29/2016). Non è stabilito nulla, invece, per quanto riguarda le conseguenze della mancata risposta, a differenza della proposta originaria di decisione quadro del gennaio del 2009, che prevedeva almeno la possibilità di segnalare ad Eurojust la mancata comunicazione delle notizie richieste. Per quanto attiene al contenuto minimo della risposta da fornire alla richiesta proveniente dall’autorità di altro Stato membro, si registra una quasi perfetta corrispondenza tra i due atti normativi. L’autorità giudiziaria italiana, nel rispondere alla sua omologa, deve indicare se è in corso o se è stato definito un procedimento penale nei confronti della stessa persona per alcuno o per tutti i fatti oggetto del procedimento parallelo; l’indicazione dell’autorità “competente”; la fase, lo stato o il grado del procedimento italiano e l’eventuale decisione adottata e il suo contenuto (art. 7, D.Lgs. n. 29/2016). Non è, altresì, imposto che l’autorità italiana contattata, nel fornire ulteriori informazioni, dia conto dell’esistenza di eventuali fatti connessi a quelli oggetto del procedimento estero, anche se un’indicazione del genere sarebbe quanto mai opportuna per chiarire meglio i possibili confini della sovrapposizione tra le regiudicande (cfr. art. 9, comma 2, D.Q. 2009/948.). Come del tutto ovvio, se il procedimento parallelo non si sta svolgendo dinanzi all’autorità giudiziaria italiana contattata, quest’ultima ha l’obbligo di trasmettere “senza ritardo la richiesta all’autorità giudiziaria competente, dandone comunicazione all’autorità contattante” (art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 29/2016). La seconda fase: l’obbligo delle consultazioni dirette e l’intervento del Ministro della Giustizia Quando è accertata l’esistenza di procedimenti in idem, le autorità competenti degli Stati interessati hanno l’obbligo di avviare la seconda fase, ossia le “consultazioni dirette”, al fine dichiarato di pervenire ad un accordo per la “concentrazione dei procedisimo di trenta giorni per la risposta alla richiesta di informazioni. 995 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria menti paralleli in un solo Stato” (art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 29/2016) e di evitare così le conseguenze negative della litispendenza (art. 10 della D.Q.). Il legislatore delegato italiano ha stabilito che alle suddette consultazioni deve provvedere il procuratore generale presso la Corte d’Appello nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria italiana contattante o contattata e su richiesta di quest’ultima (artt. 3 e 8, comma 1, D.Lgs. n. 29/2016). Si tratta di una scelta condivisibile, date le funzioni attribuite dal nostro ordinamento a tale organo anche in altri settori della cooperazione giudiziaria. Merita osservare, tuttavia, che l’individuazione della procura generale legittimata alle consultazioni viene collegata al luogo ove ha sede l’autorità contattata (26) e non a quello in cui è pendente il procedimento parallelo: come abbiamo visto poco sopra, è lo stesso legislatore italiano a contemplare l’ipotesi che si possa trattare di autorità diverse. Ebbene, in casi del genere, appare irragionevole che le consultazioni siano condotte da una procura generale del tutto svincolata dal luogo ove il procedimento penale è in corso di svolgimento. Il dato letterale andrebbe, quindi, superato in via interpretativa, anche se l’operazione non si presenta agevole. Come per la procedura di scambio di informazioni, non sono previsti limiti temporali stringenti neppure per la fase delle consultazioni dirette, nonostante la più volte sottolineata esigenza di risolvere in tempi celeri il conflitto di giurisdizione nell’interesse dell’amministrazione della giustizia e, ancor più, per tutelare le persone a qualsiasi titolo coinvolte dalle multiple prosecutions. Dell’avvio delle consultazioni il procuratore generale deve dare notizia al Ministro della Giustizia, “inviandogli la documentazione pertinente e le proprie osservazioni” (art. 8, comma 1). La formula impiegata desta forti perplessità perché sembra consentire una selezione da parte della procura generale degli atti da trasmettere al Guardasigilli. Dato il tipo di determinazioni che l’autorità politica è chiamata ad effettuare nella vicenda, sarebbe stata più appropriata una previsione che obbligasse la procura generale a trasmettere tutti gli atti del procedimento, anche quelli coperti dal segreto investigativo in deroga all’art. 329 c.p.p., al Ministro della Giustizia. Quest’ultimo, entro dieci giorni, può disporre che non si dia corso alla concentrazione dei procedimenti in altro Stato membro, qualora rilevi che dal “mancato esercizio della giurisdizione in Italia possano essere compromessi la sicu- rezza o altri interessi essenziali dello Stato” (art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 29/2016). L’elevato tasso di discrezionalità giustifica l’attribuzione all’autorità politica della decisione sulla rinuncia o meno alla giurisdizione italiana, sulla falsariga di quanto già previsto dalla L. 20 dicembre 2012, n. 237, relativa all’adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale. Si può notare piuttosto che, in maniera alquanto discutibile, mentre al rappresentante del pubblico ministero non viene rivolto neppure un generico invito a provocare rapidamente l’intervento dell’autorità politica, al Ministro della Giustizia si impone di prendere una decisione su una questione così delicata entro il breve termine (ordinatorio) di dieci giorni, decorrenti dalla comunicazione dell’avvio delle consultazioni dirette. Ma le singolarità non finiscono qui. Nel decreto attuativo si afferma che, durante le consultazioni dirette, il procuratore generale deve scambiare con l’autorità competente dell’altro Stato membro interessato informazioni sugli atti rilevanti compiuti nel processo (art. 8, comma 5, D.Lgs. n. 29/2016) (27). Si aggiunge poi che lo stesso procuratore generale può rifiutare la trasmissione di specifiche informazioni “quando la loro comunicazione possa compromettere interessi nazionali essenziali in materia di sicurezza o la sicurezza di una persona”. Stranamente, dunque, pur essendo previsto l’intervento nella procedura de qua del Ministro della Giustizia, la valutazione su quali informazioni raccolte nella vicenda processuale possano compromettere la sicurezza nazionale è affidata al rappresentante del pubblico ministero. Per evitare l’assurdo, e cioè che il “veto” del Ministro sulla cessione della giurisdizione italiana arrivi tardi, dopo l’avvenuto scambio di informazioni “sensibili” per la sicurezza nazionale, è auspicabile quanto meno che le consultazioni dirette siano di fatto sospese nelle more della decisione del Guardasigilli. In merito ai criteri da seguire ai fini della concentrazione dei procedimenti paralleli in un unico Stato membro, il legislatore delegato si è rifatto quasi integralmente al considerandum n. 9 della decisione quadro, che - come si evince dalla Relazione illustrativa al decreto - contiene un “catalogo “aperto” di criteri puramente orientativi, non vincolanti, né gerarchicamente ordinati”. Al comma 4 dell’art. 8 il testo italiano menziona espressamente i criteri del luogo in cui si è verificata la maggior parte dell’azione, dell’omissione o dell’evento (lett. a) o della maggior parte delle conseguenze dannose (lett. b), del luogo (26) L’art. 2 lett. d), D.Lgs. n. 29/2016, al pari dell’art. 3 della D.Q. 2009/948, definisce l’autorità contattata come “l’autorità di uno Stato membro cui l’autorità di altro Stato membro chiede di confermare l’esistenza di procedimenti paralleli”. (27) Non è inutile sottolineare che oggetto di scambio sono le informazioni e non gli atti processuali. 996 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria in cui risiede, dimora o è domiciliato l’indagato (lett. c), della prognosi maggiormente favorevole di consegna o di estradizione in altre giurisdizioni (lett. d), della maggior tutela delle “parti offese e minor sacrificio dei testimoni” (lett. e). A conferma del carattere non tassativo dell’elenco in esame, viene prevista in ultimo anche una clausola aperta, che attribuisce al procuratore generale durante le consultazioni il potere di tenere conto di “ogni altro fattore ritenuto pertinente” (lett. g). Siamo di fronte all’aspetto certamente più critico della normativa di attuazione. L’assenza di tassatività di tali criteri, unita alla constatazione del mancato coinvolgimento della difesa nella scelta della giurisdizione più idonea a procedere, rende assai problematica la compatibilità della procedura in esame con alcuni princìpi fondamentali di rango costituzionale, quali l’inviolabilità del diritto di difesa (art. 24, comma 2, Cost.) e l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.). europeo” (31) nella lotta contro le più gravi forme di criminalità transfrontaliere. Nella procedura di risoluzione dei conflitti di giurisdizione Eurojust può intervenire soltanto dietro espressa richiesta delle autorità nazionali competenti a svolgere le consultazioni; la sua pronuncia assume la valenza di un suggerimento autorevole, ma non vincolante. Mentre però la D.Q. 2009/948/GAI configura il ricorso a Eurojust come un passaggio quasi inevitabile, nelle materie suddette, qualora non si sia raggiunto un accordo (art. 12, comma 2 e considerando n. 4, D.Q. 2009/948), il testo italiano si limita a prevedere in modo generico, e anche più scontato, che “in ogni momento le autorità coinvolte nelle consultazioni dirette possono sottoporre la questione sulla risoluzione del conflitto di giurisdizione a Eurojust” (art. 9, D.Lgs. n. 29/2016). La differente formulazione pare dovuta alla volontà del legislatore delegato di non elevare Eurojust a organo di “ultima istanza” nella procedura di risoluzione della litispendenza penale. Terminate le consultazioni dirette, il procuratore generale presso la corte d’appello dovrà riferirne gli esiti al Ministro della Giustizia “in ogni caso”, sia quando i procedimenti penali sono concentrati in Italia, sia quando la giurisdizione viene accordata all’autorità giudiziaria di un altro Paese membro dell’Unione (art. 11, comma 3, D.Lgs. n. 29/2016 con riferimento all’art. 13, D.Q. 2009/948). La cooperazione con Eurojust Qualche altra osservazione può farsi con riguardo all’intervento di Eurojust, al quale la decisione quadro 2009/948 ha attribuito in definitiva il ruolo di “mediatore privilegiato” (28), anche se pur sempre nei limiti della sua “competenza per materia”, ossia nei casi in cui i procedimenti paralleli riguardino le gravi forme di criminalità indicate dall’art. 4, D.Q. 2002/187/GAI, nella versione modificata dalla D.Q. 2009/426/GAI. Molto è già stato scritto a proposito della scelta di far intervenire nella procedura di risoluzione dei conflitti di giurisdizione un organismo dalla natura controversa, ma più assimilabile ad un organo inquirente che giurisdizionale (29). Non è questa la sede per riprendere la discussione sul punto (30), ma va qui ricordato che tale organismo è nato proprio per facilitare l’interazione tra le diverse autorità giudiziarie nazionali e per favorire quella logica di integrazione tra le giurisdizioni degli Stati membri “idonea a realizzare un salto di qualità nei procedimenti di collaborazione giudiziaria in ambito Le ricadute della procedura di consultazione sul procedimento penale in corso Il capo II del D.Lgs. 29/2016 contiene due disposizioni che regolano i rapporti tra la speciale procedura incidentale in esame e il procedimento penale italiano coinvolto nel conflitto. La prima di esse riguarda gli effetti della procedura di consultazione. In conformità al considerando n. 11 della decisione quadro, si stabilisce che il procedimento penale italiano non resta sospeso durante lo svolgimento delle consultazioni dirette (32). È fatto divieto, tut- (28) Così G. De Amicis - G. Santalucia, La vocazione giudiziaria dell’Eurojust tra spinte sovranazionali e timidezze interne, in Cass. pen., 2011, 2968. Peraltro, l’art. 85, par. 1, lett. c, del Trattato di Lisbona stabilisce che tra i compiti di Eurojust vi è anche il potenziamento della cooperazione giudiziaria mediante la composizione dei conflitti di competenza [giurisdizione]. (29) L’attribuzione di un compito del genere ad Eurojust era stato prospettato già prima della sua stessa istituzione. Si veda l’art. 13.1 della Comunicazione n. 495 del 26 luglio 2000 (COM(2000) 495 def., 29 luglio 2000) della Commissione, sul riconoscimento reciproco delle decisioni definitive in materia penale: “una soluzione utile per dirimere i conflitti di competenze tra Stati membri e per evitare, di conseguenza, procedimenti molteplici, sarebbe di elaborare dei criteri di priorità relativi all’attribuzione della competenza e d’incaricare un organismo, già esistente o da istituire, di decidere caso per caso quale Stato membro è competente in funzione di tali criteri. Tale compito potrebbe per esempio essere assunto da Eurojust, dalla Corte di giustizia o da un altro organismo”. In argomento cfr. J.P. Pierini, Territorialità europea, conflitti di giurisdizione e ne bis in idem, in T. Rafaraci (a cura di), L’area di libertà sicurezza e giustizia: alla ricerca di un equilibrio fra priorità repressive ed esigenze di garanzia, Milano, 2007, 118 ss. (30) Si veda al riguardo C. Amalfitano, La risoluzione dei conflitti di giurisdizione in materia penale nell’Unione europea, cit., 1299 ss. (31) Cfr. F. Spiezia, Il coordinamento giudiziario sovranazionale: problemi e prospettive alla luce della nuova Decisione 2009/426/GAI che rafforza i poteri di Eurojust, in Cass. pen., 2010, 274. (32) L’opportunità della sospensione, al contrario, era stata a suo tempo suggerita dalla Commissione europea nel Libro Diritto penale e processo 8/2016 997 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria tavia, al giudice di pronunciare sentenza (art. 10, comma 1, D.Lgs. n. 29/2016). Si tratta a ben vedere soltanto di una stasi di breve durata, perché il legislatore delegato si affretta a precisare, in ossequio alle esigenze di ragionevole durata del processo, che “la sospensione del processo conseguente al divieto di pronunciare sentenza (...) non può avere durata superiore a venti giorni” (art. 10, comma 2, D.Lgs. n. 29/2016). Potrebbe accadere, quindi, che, nelle more della composizione del conflitto, il giudice italiano pronunci sentenza, con tutte le conseguenze negative del caso soprattutto per i soggetti coinvolti. L’altra disposizione concerne gli effetti del perfezionamento dell’accordo sul procedimento penale in corso. Se viene raggiunto un consenso sulla giurisdizione italiana, in conformità al principio del mutuo riconoscimento, gli atti probatori compiuti all’estero conservano efficacia e sono utilizzabili nel processo italiano (art. 11, comma 1, D.Lgs. n. 29/2016): riteniamo, però, che il giudice dovrà verificare se tali atti siano stati compiuti nel rispetto dei diritti della difesa. Inoltre, si prevede che il periodo di custodia cautelare eventualmente sofferto all’estero viene computato ai fini dei termini di durata massima della custodia cautelare (art. 303, comma 4, c.p.p.), ai fini della sospensione di detti termini (art. 304 c.p.p.) e per il calcolo dell’eventuale pena espiata senza titolo (art. 657 c.p.p.). In caso di raggiungimento di un accordo con rinuncia alla giurisdizione da parte dello Stato italiano, il D.Lgs. n. 29/2016 introduce una nuova specifica causa di improcedibilità (art. 11, comma 2), che a nostro avviso impone l’adozione di un provvedimento di archiviazione da parte del giudice, se l’intesa viene raggiunta nel corso delle indagini preliminari, ovvero di una sentenza di non luogo o di non doversi procedere a seconda della fase pro- cessuale in cui matura la rinuncia alla giurisdizione (33). verde. (33) Un meccanismo analogo è già operante nel procedimento a carico degli enti. Sul punto cfr. G. Varraso, Il procedimento per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Ubertis - G.P. Voena, Milano, 2012, 124. (34) Nel considerando n. 12 della D.Q. 2009/948 si legge che nello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia il principio di obbligatorietà dell’azione penale, accolto a livello costituzionale da alcuni Stati membri, deve essere ritenuto rispettato “quando ogni Stato membro garantisce l’azione penale in relazione ad un determinato” fatto. L’argomento è ribadito nel- la Relazione di accompagnamento del D.Lgs. n. 29/2016, ove si sottolinea la superfluità di un processo sugli stessi fatti per i quali è già avviata un’iniziativa penale in un altro Paese dell’Unione. In questa prospettiva cfr. Il tema è stato affrontato, tra gli altri, da G. De Amicis, Ne bis in idem, giurisdizioni concorrenti e divieto di azioni multiple nell’UE: il ruolo dell’Eurojust, in Cass. pen., 2006, 1176 ss.; M.L. Di Bitonto, La composizione dei conflitti di giurisdizione in seno ad Eurojust, in Cass. pen., 2010, 2896 ss.; L. Lupária, La litispendenza internazionale, cit., 125; B. Piattoli, Ne bis in idem, alt ai conflitti Ue. Le linee guida targate Bruxelles, in D&G, 2006, 20, 121. 998 Riflessioni conclusive Al termine di questa rassegna, è opportuno formulare qualche osservazione conclusiva. Al di là dei singoli rilievi già mossi qua e là, è l’impianto complessivo della normativa di attuazione a non convincere. Il legislatore delegato è voluto rimanere molto fedele alla decisione quadro, con la conseguenza che il prodotto attuativo riproduce sul versante interno le pecche della normativa europea. La più grave è certo la totale mancanza di diritti di informativa e di partecipazione per l’imputato, che non è mai posto in grado di interloquire con le autorità procedenti su una questione cruciale quale è quella di individuare l’unica giurisdizione davanti alla quale sarà giudicato. D’altra parte, il sacrificio degli elementari diritti difensivi non avviene neppure a vantaggio della rapidità e dell’efficienza della procedura, il cui “ritmo” non è scandito da brevi e perentori termini, ma è all’opposto lasciato alla discrezionalità delle autorità procedenti. Da tempo, inoltre, il meccanismo ideato a livello europeo di rinuncia alla giurisdizione nazionale, caso per caso, secondo criteri fluidi, è ritenuto di dubbia compatibilità con i nostri princìpi costituzionali (34). Sotto questo profilo, la normativa di attuazione avrebbe dovuto specificare meglio i contenuti della decisione quadro e predeterminare i criteri di devoluzione di giurisdizione in modo rigido secondo un altrettanto rigido ordine gerarchico. Perplessità di questa portata, che schiudono orizzonti di incertezza sui destini della normativa di attuazione italiana, fanno passare in secondo piano i dubbi, pur esistenti, sulla reale efficacia del congegno predisposto per il raggiungimento dello scopo perseguito. Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Assenza dell’imputato Mandato di arresto europeo e reciproco riconoscimento delle sentenze penali nei processi in absentia di Andrea Bigiarini (*) Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 31, di attuazione della decisione quadro 2009/299/GAI, si connota per una doppia anima: “pratica”, laddove enuncia tra i propri obiettivi quello di facilitare la cooperazione giudiziaria in materia penale e, in particolare, di migliorare il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie emesse in absentia tra gli Stati membri dell’Unione europea; “garantista”, laddove, viceversa, persegue lo scopo di rafforzare i diritti processuali dell’imputato non presente al procedimento penale a suo carico. A tal fine, sono state introdotte una serie di condizioni, volte a garantire la conoscenza del processo penale all’imputato assente, ricorrendo le quali la corte di appello, quale autorità di esecuzione, procede alla consegna della persona oggetto di un mandato di arresto europeo allo Stato emittente (art. 19, comma 1, lett. a, L. n. 69 del 2005) ovvero riconosce la sentenza penale pronunciata in un altro Paese dell’Unione europea, dando ad essa esecuzione (art. 13, comma 1, lett. i, D.Lgs. n. 161 del 2010). Decisione quadro 2009/299/GAI del 26 febbraio 2009 Rafforzamento dei diritti processuali delle persone e promozione dell’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo. D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 31 G.U. 8 marzo 2016, n. 56 (in vigore 23 marzo 2016). Modifiche L. 22 aprile 2005, n. 69: art. 19, comma 1, lett. a); art. 30, comma 1, D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161: art. 2, comma 1, lett. n); art. 13, comma 1, lett. i). Con il D.Lgs. n. 31 del 2016 il legislatore italiano ha finalmente dato attuazione alla decisione quadro 2009/299/GAI (1), modificativa delle decisioni quadro 2002/584/GAI (2), relativa al mandato di arresto europeo (attuata in Italia con L. 22 aprile 2005, n. 69), e 2008/909/GAI (3), relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali (attuata con D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161) (4). Il legislatore italiano, in aderenza alla decisione quadro, è intervenuto sulla disciplina interna in (*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee. (1) Decisione quadro del 26 febbraio 2009, in GU L 81 del 27 marzo 2009, 24. (2) Decisione quadro del 13 giugno 2002, in GU L 190 del 18 luglio 2002, 1. (3) Decisione quadro del 27 novembre 2008 GU L 327 del 5 dicembre 2008, 27. (4) Le decisioni quadro citate sono quelle che interessano in questa sede. Giova segnalare che la decisione quadro 2009/299/GAI impatta altresì sulle decisioni quadro 2005/214/GAI, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie (in GU L 76 del 22 marzo 2005, 16), 2006/783/GAI, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca (in GU L 328 del 24 novembre 2006, 59), 2008/947/GAI, re- La decisione quadro 2009/299/GAI Diritto penale e processo 8/2016 999 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria materia di mandato di arresto europeo (M.a.e.) e mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale, al fine di rafforzare i diritti processuali delle persone e di promuovere l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo. Prima di passare all’analisi dell’impatto della riforma sull’ordinamento interno, occorre brevemente cennare allo strumento comunitario cui il D.Lgs. n. 31 del 2016 dà attuazione: la decisione quadro 2009/299/GAI (5). La doppia anima della decisione quadro Il legislatore europeo muove dal presupposto che le varie decisioni quadro che applicano il principio del reciproco riconoscimento alle decisioni giudiziarie definitive non affrontano in modo uniforme la questione delle decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l’interessato non è comparso personalmente. Di talché, al fine di rimuovere gli ostacoli alla cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, si reputa necessario prevedere motivi chiari e comuni per il non riconoscimento delle decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l’interessato non è comparso personalmente (6). A tale obiettivo di carattere marcatamente pratico ed efficientistico si affianca il ben più pregevole scopo di garantire all’imputato la conoscenza del processo instaurato a suo carico. Non va sottaciuto, infatti, che il diritto dell’imputato a comparire personalmente al procedimento rientra nel diritto a un equo processo previsto dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo (7). A tal fine, lo strumento comunitario in parola interviene sulle altre decisioni quadro sopra citate, fissando le condizioni in base alle quali il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione pronunciata al termine di un processo a cui l’interessato non è comparso personalmente non dovrebbero essere rifiutati. Si tratta di condizioni alternative che dovrebbero essere sufficienti a garantire l’esecuzione della decisione in base al principio del reciproco riconoscimento, oltre che la conoscenza del procedimento da parte del soggetto interessato (8). Per quanto interessa in questa sede, di particolare rilevanza risulta in primo luogo l’introduzione di un nuovo art. 4 bis nella decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo. Tale disposizione, rubricata “Decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l’interessato non è comparso personalmente”, concerne una serie di ipotesi (quattro) in cui l’autorità giudiziaria destinataria di un M.a.e., emesso nei confronti di un imputato non comparso personalmente al processo terminato con la decisione, non può rifiutarne la consegna. Ciò perché l’integrazione di almeno una di tali condizioni è reputata sufficiente a garantire la conoscenza del processo da parte dell’imputato assente. Ne consegue che anche il modulo allegato alla decisione quadro 2002/584/GAI, da compilare da parte dell’autorità emittente del M.a.e., viene modificato tenendo conto di tali indicazioni. Nello stesso senso vanno lette le modifiche apportate dallo strumento in parola alla decisione quadro 2008/909/GAI sul riconoscimento reciproco delle sentenze penali, mercé la sostituzione dell’art. 9, par. 1, lett. i), recante l’enumerazione delle ipotesi (tre) in cui si deve ritenere soddisfatto l’onere di informazione dell’imputato ai fini del riconoscimento del provvedimento a suo carico, nonché l’aggiornamento del certificato allegato. Rinviando lo studio di dette condizioni all’analisi del D.Lgs. n. 31 del 2016, rappresentando esse il cuore dell’intervento riformatore, occorre evidenziare che il legislatore ha dato attuazione alla normativa in parola con grave ritardo. La data fissata p e r i l re c e p i m e n t o d e l l a d e c is i o ne q u a d r o 2009/299/GAI, ai sensi dell’art. 8 par. 1, era il 28 marzo 2011, salvo dichiarazione del singolo Stato membro di avere seri motivi di supporre che non sarebbe stato in grado di ottemperare alle disposizioni in essa previste a tale data (art. 8, par. 3); caso nel quale la decisione quadro avrebbe dovuto trovare applicazione al più tardi entro il 1° gennaio 2014. Il nostro Paese si è avvalso di siffatta proroga ma, come detto, le misure necessarie per conformarsi alle disposizioni della decisione quadro sono state adottate solo con il D.Lgs. n. 31 del 2016, pubblicato in G.U. in data 8 marzo 2016. lativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive (in GU L 337 del 16 dicembre 2008, 102). (5) Per un’analisi approfondita della decisione quadro cfr. A. Chelo, Nuove regole per l’esecuzione delle sentenze emes- se in absentia, in questa Rivista, 2010, 111. (6) Cfr. considerando nn. 2 e 4 della decisione quadro 2009/299/GAI. ( 7 ) C f r. c o n s i d e r a n d o n . 1 d e l l a d e c i s i o n e q u a d r o 2009/299/GAI. (8) Cfr. considerando nn. 6 e 7 della decisione quadro 2009/299/GAI. 1000 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Il quadro storico e giuridico di riferimento Ai fini di una migliore comprensione della materia oggetto di studio, non può prescindersi da una, pur breve, ricostruzione del quadro giuridico-sistematico in cui si colloca lo strumento comunitario in commento. L’adozione della decisione quadro 2009/299/GAI risale ad un periodo storico nel quale gli interventi del legislatore europeo in materia di diritto e processo penale erano animati per lo più da esigenze di celerità ed efficienza nella collaborazione tra gli Stati membri. Le garanzie processuali della persona sottoposta ad indagini o imputata, viceversa, rimanevano sullo sfondo. Come noto, il mandato di arresto europeo costituisce il primo banco di prova del principio del c.d. mutuo riconoscimento. Non potendo contare su discipline penali e processuali comuni, e nella conseguente impossibilità di adottare un modello processuale penale omogeneo, il legislatore comunitario, fin dal Consiglio europeo di Tampere del 1999, ha concentrato tutti i suoi sforzi nell’implementazione di una cooperazione giudiziaria, che non può prescindere da una fondamentale fiducia reciproca tra gli Stati membri. Su tale pactum fiduciae si fonda il modello del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie interne, di cui la decisione quadro sul M.a.e. (2002/584/GAI) è la prima e forse più famosa espressione (9). La dottrina unanime evidenzia il prevalente carattere repressivo e di difesa sociale, con conseguente scarsa attenzione ai diritti dell’imputato/indagato, che ha sempre informato gli strumenti europei in materia di processo penale (almeno fino all’adozio- ne del Trattato di Lisbona del 2009), in primis la decisione quadro sul M.a.e. (10). In questo quadro di riferimento, dunque, si colloca lo strumento comunitario in parola. E tuttavia, non può non evidenziarsi la natura “bifronte”, e per certi versi garantista, della decisione quadro 2009/299/GAI, che espressamente enuncia tra i propri obiettivi non solo quello di facilitare la cooperazione giudiziaria in materia penale e, in particolare, di migliorare il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra gli Stati membri, ma anche lo “scopo di rafforzare i diritti processuali delle persone sottoposte a procedimento penale” (art. 1, par. 1) (11). Successivamente all’adozione del Trattato di Lisbona, ed alla conseguente abolizione della struttura a pilastri dell’Unione europea, il potenziamento dei diritti dell’indagato/imputato nel procedimento penale ha assunto il carattere di obiettivo autonomo, sganciato dalla prospettiva della mera cooperazione giudiziaria (12). In questo quadro si colloca l’adozione delle direttive 2010/64/UE (13) e 2012/13/UE (14), rispettivamente sul diritto all’interpretazione e alla traduzione e sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, nonché della Dir. 2013/48/UE (15) sul diritto di accesso a un difensore nel procedimento penale e sul diritto di comunicare al momento dell’arresto (16). L’espressione più recente di questo new deal europeo è la Dir. 2016/343/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (17) sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (18). È appena il caso di rilevare che l’intero Ca- (9) In argomento, cfr. le considerazioni di A. Pagliano, Limiti e garanzie del principio del “mutuo riconoscimento”. Riflessioni in tema di mandato d’arresto europeo, in Cass. pen., 2012, 345. (10) Cfr., sul punto, le riflessioni di F. Romoli, Le sentenze Radu e Melloni: due pronunce “conservatrici”, in www.archiviopenale.it, 2013, 2, 8. (11) Un primo riconoscimento delle garanzie processuali dell’“accusato” (termine impiegato nell’art. 6 Cedu) in ambito comunitario si è avuto con l’adozione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE del 2000, i cui artt. 47 e 48 sono rubricati rispettivamente “Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale” e “Presunzione di innocenza e diritti della difesa”. La c.d. Carta di Nizza, tuttavia, ha assunto valore giuridico vincolante solo con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 2009. In precedenza, come sopra evidenziato, alcune disposizioni dedicate specificamente ai diritti processuali dell’imputato avevano trovato spazio esclusivamente in testi volti a migliorare la cooperazione transfrontaliera tra gli Stati membri in materia penale. Ciò a causa delle difformità di vedute, oltre che di sistemi giudiziari, dei diversi Paesi membri. L’impossibilità di raggiungere un accordo su una materia tanto ampia e delicata ha spinto il Consiglio ad adottare un approccio graduale. Con risoluzione del 30 novembre 2009 il Consiglio ha, infatti, adottato una tabella di marcia (roadmap) per il rafforzamento dei diritti di indagati o imputati in procedimenti penali, che si articola in cinque misure, ciascuna dedicata ad una garanzia processuale: diritto di traduzione ed interpretazione (misura A); diritto ad informazioni relative ai diritti e all’accusa (misura B); diritto alla consulenza legale e all’assistenza legale gratuita (misura C); diritto alla comunicazione con familiari, datori di lavoro e autorità consolari (misura D); garanzie speciali per indagati o imputati vulnerabili (misura E). (12) È, tuttavia, innegabile che l’adozione di norme minime all’interno dell’UE per la tutela delle garanzie processuali dell’indagato/imputato costituisce la premessa necessaria per il rafforzamento della fiducia reciproca tra gli Stati membri, in vista della piena attuazione del principio del mutuo riconoscimento. (13) Direttiva del 20 ottobre 2010, in G.U. L 280 del 26 ottobre 2010, 1. (14) Direttiva del 22 maggio 2012, in G.U. L 142 del 1° giugno 2012, 1. (15) Direttiva del 22 ottobre 2013, in G.U. L 294 del 6 novembre 2013, 1. (16) Mercé l’adozione di tali direttive si è dato seguito alla tabella di marcia, menzionata nelle note precedenti, fissata dal Consiglio. (17) Direttiva del 9 marzo 2016, in G.U. L 65 del 11 marzo 2016, 1. (18) Essa fa parte di un nuovo “pacchetto” di norme (nel Diritto penale e processo 8/2016 1001 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria po III della direttiva citata, per quanto interessa in questa sede, concerne il diritto dell’imputato di essere presente al processo; si può procedere in absentia solo se l’imputato sia stato informato in un tempo adeguato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione e sia comunque rappresentato da un difensore (di fiducia ovvero d’ufficio) (19). Il giusto processo in absentia Come accennato in esordio, l’attenzione del diritto europeo (ampiamente inteso) per le garanzie dell’imputato assente nel procedimento penale a suo carico è dimostrata altresì dalla copiosa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia. Meritano particolare menzione le pronunce con le quali i giudici di Strasburgo hanno condannato l’Italia per violazione dell’art. 6 Cedu, a causa della inidoneità del “vecchio” istituto interno della contumacia a garantire la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato (20). In estrema sintesi, ai fini del rispetto dell’art. 6 Cedu, occorre che l’ordinamento interno garantisca ex ante all’imputato assente una piena conoscenza del procedimento instaurato nei suoi confronti, di talché si possa procedere solo qualora l’assenza sia consapevole (21). In caso contrario, è necessario quantomeno che - ex post - all’imputato ignaro sia offerto un rimedio idoneo ed effettivo al fine di ottenere un nuovo procedimento (o la riapertura dello stesso). cui ambito vanno ricondotte altresì le proposte di direttiva sui diritti procedurali dei minori indagati o imputati e sull’accesso al gratuito patrocinio), che si inscrive nella sopra citata tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali. (19) Per considerazioni più approfondite al riguardo cfr. O. Mazza, Presunzione d’innocenza e diritto di difesa, in questa Rivista, 2014, 1401; nonché, volendo, A. Bigiarini, Presunzione di innocenza e diritto al silenzio nella nuova direttiva UE, in www.ilpenalista.it, 11 marzo 2016. (20) A seguito del caso Somogyi c. Italia (Corte eur. dir. uomo, Somogyi c. Italia, 18 maggio 2004, in www.echr.coe.int) la Corte di Cassazione ha ritenuto utilizzabile in via estensiva contro la sentenza di condanna passata in giudicato l’istituto della restituzione in termini per la proposizione dell’impugnazione (art. 175, comma 2, c.p.p., nel testo precedente alla riforma), al fine di porre rimedio alla violazione convenzionale intervenuta in un processo contumaciale; segnatamente, del diritto dell’imputato a comparire e difendersi, qualora non vi abbia rinunciato in modo non equivoco (Cass., Sez. I, 12 luglio 2006, n. 32678, Somogyi, in CED, n. 235035-6). Sul punto cfr., amplius, E. Aprile, I “meccanismi” di adeguamento alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nella giurisprudenza penale di legittimità, in Cass. pen., 2011, 3220 ss. Una inadempienza simile è stata riscontrata altresì nella sentenza Sejdovic c. Italia (Cedu, Sejdovic c. Italia, 10 novembre 2004, in www.echr.coe.int). Poiché la violazione in parola derivava dalla (corretta) applicazione della normativa interna in materia di 1002 Il giusto processo contumaciale, come ricostruito dalla giurisprudenza della Corte europea, ha trovato compiuta definizione nella recente L. n. 67 del 2014, che ha determinato la soppressione della contumacia, sostituita dagli istituti della sospensione del processo nei confronti degli irreperibili e dell’assenza “consapevole”. La nuova normativa, ispirata dal nobile intento di garantire già ex ante (e non solo ex post) l’imputato inconsapevole del procedimento a suo carico mercé la sospensione del processo, non va tuttavia esente da critiche, che saranno sviluppate nel prosieguo. Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 31 Il D.Lgs. n. 31 del 2016 rispecchia fedelmente la doppia anima della decisione quadro 2009/299/GAI, come sopra rappresentata. Ed infatti, ai sensi dell’art. 1 del testo normativo in commento, espressamente si fa riferimento, quali disposizioni di principio, da un lato al rafforzamento dei diritti processuali delle persone, dall’altro alla promozione del reciproco riconoscimento delle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo. Come sopra anticipato, il decreto in parola attua la decisione quadro 2009/299/GAI, nella parte in cui modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI e 2008/909/GAI. Al fine di adeguare l’ordinamento interno allo strumento comunitario si è reso, dunque, necessario un intervento correttivo sui testi normativi che a quelle decisioni quadro danno attuazione: la L. n. 69 del 2005 sul processo contumaciale, è risultato necessario l’intervento del legislatore, al fine di scongiurare ulteriori condanne del nostro Paese in ipotesi analoghe. Con D.L. n. 17 del 2005 (conv. con modificazioni in L. n. 60 del 2005) l’Italia ha tentato di porre rimedio a siffatta violazione strutturale, attraverso la modifica dell’art. 175 c.p.p. (oggi ulteriormente modificato ad opera della L. n. 67 del 2014). Nel caso di sentenza di condanna emessa nei confronti del contumace inconsapevole, non poteva considerarsi valido titolo esecutivo quella decisione del giudice che non era stata impugnata nei termini a causa di un difetto di conoscenza del condannato. Ai sensi dell’art. 175 c.p.p. pre-riforma, il condannato poteva presentare richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, adducendo la mancata conoscenza del provvedimento o del processo, con inversione dell’onere della prova a carico dello Stato. Risponde alla medesima ratio l’odierna rescissione del giudicato ex art. 625 ter c.p.p., introdotta con L. n. 67 del 2014, su cui cfr. C. Carvelli, Rescissione del giudicato e reformatio in peius, in questa Rivista, 2014, 1043, nonché M. Bargis, La rescissione del giudicato ex art. 625 ter c.p.p.: un istituto da rimeditare, in www.penalecontemporaneo.it, 16 gennaio 2015. (21) Cfr. amplius P. Tonini - C. Conti, Il tramonto della contumacia, l’alba radiosa della sospensione e le nubi dell’assenza “consapevole”, in questa Rivista, 2014, 509; C. Conti, Processo in absentia a un anno dalla riforma: praesumptum de presumpto e spunti ricostruttivi, ivi, 2015, 461; P. Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2015, 608. Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria mandato di arresto europeo ed il D.Lgs. n. 161 del 2010 sull’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale. Le modifiche della L. n. 69 del 2005 Come anticipato, di particolare rilevanza risulta l’inserimento nella decisione quadro 2002/584/GAI di un nuovo art. 4 bis, attuato nell’ordinamento interno mercé la sostituzione della lett. a dell’art. 19, L. n. 69 del 2005 (rubricato “Garanzie richieste allo Stato membro di emissione”). È appena il caso di rilevare che la novella in parola attiene alla procedura c.d. passiva di consegna (22), allorquando lo Stato italiano sia destinatario, in attuazione di un M.a.e, di una richiesta di consegna da parte di uno degli Stati membri dell’Unione. Ai sensi della norma in parola, come novellata, la corte d’appello (23) destinataria di un M.a.e., emesso nei confronti di un soggetto non comparso personalmente nel processo a suo carico per l’esecuzione di una sentenza o di una misura di sicurezza, può rifiutarne la consegna. Si può comunque dare luogo alla consegna in presenza di quattro condizioni alternative, la cui presenza deve essere attestata dal certificato: 1) l’interessato è stato citato tempestivamente e personalmente ed è stato informato circa la data ed il luogo del processo concluso con decisione in absentia (24); 2) l’interessato, informato del processo, è stato rappresentato da un difensore di fiducia o d’ufficio; 3) l’interessato, ricevuta notifica della decisione e informato della possibilità di ottenere un nuovo processo o di dare inizio al giudizio di appello, in cui ha il diritto di partecipare e che consente il riesame del merito della causa e l’allegazione di nuove prove che possono condurre alla riforma della decisione oggetto di esecuzione, ha dichiarato espressamente di non opporsi a tale decisione e non ha (22) Sul tema cfr., amplius, E. Aprile, Sulla procedura passiva di consegna e sulle garanzie richieste dal giudice italiano allo Stato di emissione del mandato di arresto europeo, in Cass. pen., 2012, 1415; G. Colaiacovo - G. De Amicis - G. Iuzzolino (a cura di), Parte speciale. Mandato di arresto europeo, in G. Lattanzi - E. Lupo, Codice di procedura penale: rassegna di giurisprudenza e di dottrina, XIII, Milano, 2013, 56; A. Chelo, Il mandato di arresto europeo, Milano, 2010, 2; M. Bargis, Libertà personale e consegna, in R. E. Kostoris (a cura di), Manuale di procedura penale europea, Milano, 2014, 262; nonché, volendo, A. Bigiarini, Procedura passiva di consegna e clausola di rinvio in tema di m.a.e., in questa Rivista, 2015, 191. (23) Si ricordi, infatti, che il legislatore italiano ha individuato nella corte di appello nel cui distretto l’imputato o il condan- Diritto penale e processo 8/2016 chiesto la rinnovazione del processo né ha impugnato il provvedimento; 4) l’interessato, non raggiunto dalla notifica della decisione, la riceverà personalmente e senza indugio una volta consegnato allo Stato membro emittente e sarà informato dei termini entro i quali potrà esercitare il diritto a un nuovo processo o la facoltà di dare inizio al giudizio di appello, in cui ha il diritto di partecipare e che consente il riesame del merito della causa e l’allegazione di nuove prove che possono condurre alla riforma della decisione oggetto di esecuzione. La rilevanza di tale intervento, che rafforza le garanzie del soggetto nei cui confronti è stato emesso un M.a.e. dall’autorità procedente di uno Stato membro, si coglie sol che si consideri la formulazione precedente dell’art. 19, comma 1, lett. a), L. n. 69 del 2005. Ed infatti, nel testo previgente, la consegna era subordinata alla mera condizione che l’autorità giudiziaria emittente fornisse assicurazioni circa il rispetto del diritto della persona oggetto del M.a.e. di chiedere un nuovo processo e di essere presente al giudizio (25). Giova sottolineare l’eccentricità (rispetto alle altre) della quarta condizione sopra menzionata, la quale non garantisce all’interessato una piena conoscenza del procedimento a suo carico prima della consegna (26). Un’interpretazione estensiva della norma in parola potrebbe condurre a ritenere siffatta condizione equiparabile alle mere assicurazioni da parte dell’autorità procedente di cui al testo pre-riforma, con il rischio di porre nel nulla l’intento garantista della novella. Si ricordi, infatti, che le condizioni sono alternative ed all’autorità straniera basterebbe, dunque, “rassicurare” la corte di appello destinataria della richiesta circa la futura notificazione ed informativa sul diritto di appello per ottenere la consegna dell’interessato. Una simile interpretazione appare, tuttavia, temperata dall’impiego nel nuovo testo dell’art. 19, comma 1 lett. a del verbo “potere” (“la corte di appello può, comunque, dar luogo alla consegna”), che, a nato ha la residenza, la dimora o il domicilio al momento in cui il provvedimento è ricevuto dall’autorità giudiziaria, il soggetto competente a decidere sulla consegna, ai sensi dell’art. 5 della L. n. 69 del 2005. (24) Ed è stato altresì informato del fatto che una tale decisione avrebbe potuto essere presa anche in absentia. (25) Per un’analisi del testo pre-riforma si rinvia a G. Colaiacovo - G. De Amicis - G. Iuzzolino (a cura di), Parte speciale. Mandato di arresto europeo, cit., 185. (26) Per considerazioni simili cfr. A. Chelo, L’attuazione della decisione quadro Ue sul riconoscimento dei provvedimenti assunti in absentia: meglio tardi che mai..., in www.ilpenalista.it, 31 marzo 2016. 1003 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria differenza del testo previgente (in cui si statuiva: “la consegna è subordinata alla condizione che...”), sembra rimettere la consegna dell’interessato alla discrezionalità della corte di appello. Il punto merita un maggiore approfondimento, atteso che l’attribuzione di una discrezionalità siffatta alla corte di appello potrebbe comportare conseguenze di non poco momento sul piano pratico. Ed infatti, un’eccessiva libertà della corte nel decidere se ottemperare o meno alla richiesta dell’autorità estera emittente sembrerebbe confliggere con lo scopo della decisione quadro, che mira ad eliminare gli ostacoli alla cooperazione giudiziaria transfrontaliera. In costanza della formulazione previgente della norma in parola nessuno dubitava dell’obbligatorietà della condizione di cui alla lett. a) dell’art. 19 (27). Il testo risultante dall’intervento del D.Lgs. n. 31 del 2016, viceversa, non può ritenersi altrettanto chiaro. Non è fuori luogo ritenere, infatti, che la scelta del legislatore italiano di qualificare la consegna dell’interessato, ancorché in presenza di una delle summenzionate condizioni, in termini di facoltà e non di obbligo della corte di appello, sia espressione di una certa qual diffidenza nei confronti degli ordinamenti processuali (e delle garanzie da essi apprestate nei confronti dell’imputato) degli altri Stati membri (28). Certo è che una simile interpretazione potrebbe frustrare quello che è un obiettivo precipuo dello strumento comunitario: la celerità ed il rafforzamento della reciproca fiducia tra gli Stati membri nell’esecuzione di un M.a.e. Una lettura alternativa, che miri a confermare la natura obbligatoria della condizione di cui all’art. 19, comma 1, lett. a) (oggi ramificatasi nelle quattro condizioni alternative sopra descritte), è possibile se si valorizza l’incipit della norma in parola, che resta invariato rispetto al testo previgente: “L’esecuzione del mandato d’arresto europeo da parte dell’autorità giudiziaria italiana, nei casi sotto elencati, è subordinata alle seguenti condizioni (...)” (29). Così ragionando, si potrebbe affermare la prevalenza di tale previsione, che “regge” l’elenco delle condizioni di cui alle lett. a, b e c, e conseguentemente ridimensionare la portata dell’impiego del verbo “potere” da parte del legislatore nel nuovo testo della lett. a). La disciplina appena descritta, come cennato, concerne la procedura c.d. passiva di consegna. Il D.Lgs. n. 31 del 2016, viceversa, non incide sulla procedura c.d. attiva di consegna, laddove sia l’autorità giudiziaria italiana ad emettere un M.a.e. per ottenere la consegna di una persona che si trovi nel territorio di un altro Stato membro. L’unico intervento che si registra concerne l’adeguamento del modello da compilare da parte dell’autorità giudiziaria italiana all’atto di emissione di un M.a.e., mercé la sua sostituzione con quello allegato al decreto (Allegato I) (30). Occorre, peraltro, evidenziare la rilevanza nella materia in esame della recente riforma della disciplina del processo in absentia, operata con la sopra citata L. n. 67 del 2014. In proposito, le modifiche introdotte parrebbero sufficienti a prevenire un eventuale rifiuto da parte dello Stato estero di consegnare la persona oggetto di M.a.e., in caso di richiesta delle autorità italiane (31). Non dovrebbero, conseguentemente, ripetersi vicende simili al noto caso “Melloni” (32), a mente del quale l’autorità giudiziaria spagnola si era rifiutata di procedere alla consegna all’autorità giudiziaria italiana dell’interessato, condannato in contumacia nel nostro Paese, sul presupposto che l’ordinamento italiano non prevedeva, a differenza di quello spagnolo, la possibilità di sottoporre a revisione la sentenza di condanna. Peraltro, la Corte di Giustizia ha precisato che l’art. 4 bis della decisione quadro 2002/584/GAI, sopra citato, deve essere interpretato nel senso che non consente a uno Stato membro di subordinare la consegna di una persona con- (27) Per agevolare la comprensione si riporta il testo della disposizione nel testo previgente: “L’esecuzione del mandato d’arresto europeo da parte dell’autorità giudiziaria italiana, nei casi sotto elencati, è subordinata alle seguenti condizioni: a) se il mandato d’arresto europeo è stato emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza comminate mediante decisione pronunciata in absentia, e se l’interessato non è stato citato personalmente né altrimenti informato della data e del luogo dell’udienza che ha portato alla decisione pronunciata in absentia, la consegna è subordinata alla condizione che l’autorità giudiziaria emittente fornisca assicurazioni considerate sufficienti a garantire alle persone oggetto del mandato d’arresto europeo la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato membro di emissione e di essere presenti al giudizio (...)”. (28) Sul punto, è appena il caso di rilevare che la dottrina aveva criticato la scelta del legislatore italiano di rendere obbligatoria la consegna, privando così l’autorità giudiziaria di esecuzione del potere di decidere caso per caso se rifiutare o meno la consegna. Cfr. M. Bargis, Libertà personale e consegna, cit., 279. (29) Pare accogliere questa ricostruzione A. Chelo, L’attuazione della decisione quadro Ue sul riconoscimento dei provvedimenti assunti in absentia, cit. (30) Si veda l’attuale formulazione dell’art. 30 della L. n. 69 del 2005, nonché l’Allegato I al D.Lgs. n. 31 del 2016. (31) Per tali considerazioni, cfr. M. Bargis, Il mandato di arresto europeo dalla decisione quadro del 2002 alle odierne prospettive, in www.penalecontemporaneo.it, 19 maggio 2015. (32) Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 26 febbraio 2013, causa C-399/11. 1004 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Le modifiche del D.Lgs. n. 161 del 2010 Il secondo intervento di sicura rilevanza, operato dal D.Lgs. n. 31 del 2016 in attuazione degli obblighi comunitari sopra cennati, consiste nella sostituzione della lett. i) dell’art. 13, D.Lgs. n. 161 del 2010 (rubricato “Motivi di rifiuto del riconoscimento”). Anche in questo caso, sulla scorta di una più marcata attenzione alle garanzie processuali della persona giudicata in absentia (35), si prevede che la corte di appello debba rifiutare il riconoscimento di una sentenza di condanna emessa all’e- stero se l’interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione da eseguire, salvo che ricorra - ed il relativo certificato ne attesti la presenza - almeno una delle tre condizioni (la sovrapponibilità è pressoché totale) sopra menzionate in materia di M.a.e. ai nn. 1), 2) e 3). In particolare, trattasi delle ipotesi in cui l’interessato: a) a tempo debito, è stato citato personalmente e, pertanto, informato della data e del luogo fissati per il processo o ne è stato di fatto informato ufficialmente con altri mezzi, idonei a comprovare inequivocabilmente che ne era al corrente, nonché è stato informato del fatto che una decisione poteva essere emessa in caso di mancata comparizione in giudizio; b) essendo al corrente della data fissata per il processo, aveva conferito un mandato ad un difensore, di fiducia o d’ufficio, da cui in effetti è stato assistito in giudizio; c) dopo aver ricevuto la notifica della decisione ed essere stato espressamente informato del diritto a un nuovo processo o ad un ricorso in appello con possibilità di parteciparvi per ottenere un riesame nel merito della imputazione, compresa l’assunzione di nuove prove, ha dichiarato espressamente di non opporsi alla decisione o non ha richiesto un nuovo processo o presentato ricorso in appello entro il termine a tal fine stabilito. L’esclusione del riferimento alla quarta condizione sopra prospettata in tema di M.a.e. si giustifica sol che si consideri l’ambito di applicazione della decisione quadro 2008/909/GAI, cui il D.Lgs. n. 161 del 2010 dà attuazione. Scopo precipuo dello strumento in parola, infatti, è quello di garantire l’espiazione della pena nello Stato di cittadinanza, residenza o dimora del condannato, sulla base del riconoscimento della sentenza emessa in un altro Stato membro (36). La disciplina del mutuo rico- (33) Numerose le critiche dottrinali a tale arresto. Si segnalano in particolare i contributi di F. Romoli, Le sentenze Radu e Melloni: due pronunce “conservatrici”, cit.; S. Civello Conigliaro - S. Lo Forte, Cooperazione giudiziaria in materia penale e tutela dei diritti fondamentali nell’Unione europea. Un commento alle sentenze Radu e Melloni della Corte di giustizia, in www.penalecontemporaneo.it, 3 giugno 2013; C. Amalfitano, Mandato d’arresto europeo: reciproco riconoscimento vs diritti fondamentali? Note a margine delle sentenze Radu e Melloni della Corte di Giustizia, in www.penalecontemporaneo.it, 4 luglio 2013; T. Epidendio, Il caso “Melloni”: il nodo irrisolto del massimo standard di tutela dei diritti fondamentali, in Quad. cost., 2013, 451. (34) Cfr., al riguardo, P. Tonini - C. Conti, Il tramonto della contumacia, cit., in questa Rivista, 2014, 509; C. Conti, Processo in absentia, ivi, 2015, 461; P. Tonini, Manuale di procedura penale, cit., 608. Per alcuni spunti, anche in riferimento al D.Lgs. n. 31 del 2016, cfr. A. Chelo, L’attuazione della decisione quadro Ue sul riconoscimento dei provvedimenti assunti in absentia, cit. (35) Si vedano, sul punto, le considerazioni svolte da A. Mangiaracina, Sentenze contumaciali e cooperazione giudiziaria, in questa Rivista, 2009, 120. (36) La decisione quadro, in realtà, persegue due obiettivi contrapposti: da un lato, l’interesse dello Stato che ha emesso la sentenza di condanna a vederla eseguita; dall’altro lato, l’interesse del condannato ad iniziare un processo di risocializzazione nel Paese di provenienza. Per queste considerazioni cfr. P.P. Paulesu, Profili esecutivi, in R. E. Kostoris (a cura di), Manuale di procedura penale europea, Milano, 2014, 371. Più in generale, sul tema del riconoscimento delle sentenze penali nello spazio giudiziario europeo, cfr. C. Amalfitano, Spazio giudiziario europeo e libera circolazione delle decisioni penali, in S. Carbone - M. Chiavario (a cura di), Cooperazione giudiziaria civile e penale nel diritto dell’Unione europea, Torino, 2008, 700; N. Plastina, L’esecuzione delle pene detentive, in L. Kalb (a cura di), Spazio europeo di giustizia e procedimento penale italiano, Torino, 2012, 591. dannata in absentia alla condizione che la sentenza di condanna possa essere oggetto di revisione nello Stato membro emittente. La Corte ha così affermato il primato del diritto europeo, e delle sottostanti esigenze di efficienza della collaborazione e di sicurezza della collettività, rispetto ad un diritto interno maggiormente attento alla tutela dei diritti di difesa della persona. Ciò, a dispetto del generale principio della maggior protezione espresso dall’art. 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (33). La dottrina ha, tuttavia, evidenziato come la L. n. 67 del 2014 abbia promesso più di quanto abbia poi effettivamente mantenuto (34): la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato assente, lungi dall’essere sempre accertata ai fini del proseguimento del processo, si reputa sussistente in una serie di casi (cc.dd. fatti sintomatici) elencati nell’art. 420 bis c.p.p. In presenza di ipotesi siffatte, scatta la presunzione (assoluta) di conoscenza del procedimento; ciò che risulta ben lontano dal canone dell’effettiva conoscenza e del giusto processo in absentia elaborato dalla giurisprudenza della Corte edu. Si potrebbero, pertanto, riproporre problemi nei rapporti con gli altri Paesi membri, in materia non solo di M.a.e. ma anche di reciproco riconoscimento delle sentenze penali. Diritto penale e processo 8/2016 1005 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria noscimento delle decisioni emesse dagli Stati membri dell’Unione attiene a sentenze passate in giudicato. Ed infatti, ai sensi dell’art. 2, D.Lgs. n. 161 del 2010, per sentenza di condanna deve intendersi una decisione definitiva. Di talché, ben si comprende perché il riconoscimento è subordinato ad un accertamento ex post circa l’effettiva conoscenza - determinata dal ricorrere di una delle tre condizioni alternative sopra enumerate - del processo ormai concluso in via definitiva. Peraltro, è appena il caso di sottolineare che, attesa la formulazione della norma, non pare potersi contestare la natura obbligatoria di siffatte condizioni, ricorrendo (almeno una del)le quali la corte di appello è tenuta a riconoscere la sentenza di condanna. Infine, anche in questa materia il legislatore ha dovuto operare la sostituzione del certificato precedentemente richiamato dall’art. 2, lett. n del D.Lgs. n. 161 del 2010 con il modello allegato al D.Lgs. 31 del 2016 (Allegato II) (37), che tiene conto delle modifiche sopra descritte. Riflessioni conclusive Come sopra ampiamente argomentato, la decisione quadro 2009/299/GAI ben si presta ad una lettura evolutiva, che permette di collocarne la portata, al di là dell’origine “pratica” di strumento di cooperazione giudiziaria transfrontaliera, nel solco tracciato dal moderno diritto processuale penale europeo, sempre più attento alle istanze di garanzia e protezione delle persone, e dell’imputato in special modo, all’interno del procedimento penale. Le modifiche introdotte con il testo legislativo in commento vanno salutate con favore, costituendo un ulteriore tassello nel cammino verso una sempre più marcata tutela dell’imputato assente, o comunque non comparso, nel procedimento a proprio carico. Tanto che potrebbe ormai parlarsi di un vero e proprio “statuto europeo” dei diritti processuali dell’imputato nel processo in absentia. Più in generale, è da porre in evidenza la progressiva attenzione del legislatore europeo nei confronti delle garanzie processuali della persona imputata o indagata in un procedimento penale, come testimoniano le numerose direttive adottate in materia cui si è fatto riferimento in esordio. Per quanto concerne i profili di criticità del D.Lgs. n. 31 del 2016, al di là di quanto emerso nel corso del presente scritto, occorre segnalare che il legislatore italiano non ha dato attuazione a parte dell’art. 4 bis della decisione quadro 2002/584/GAI, introdotto dalla decisione quadro 2009/299/GAI. In primo luogo, non ha trovato accoglimento nel nostro ordinamento la disposizione di cui al par. 2 della norma in parola, ai sensi della quale: il soggetto interessato da un M.a.e. emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, non informato ufficialmente dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico, può, una volta informato del contenuto del M.a.e., chiedere che gli sia trasmessa copia della sentenza prima della consegna; di tale sentenza, ancorché sia trasmessa a soli fini informativi, l’interessato ha diritto di ottenere la consegna mercé l’attivazione di una procedura di collaborazione tra autorità emittente ed autorità di esecuzione. In secondo luogo, neppure ha trovato attuazione la norma di cui al par. 3 del medesimo articolo, che concerne il caso in cui la persona non raggiunta dalla notifica della decisione sia stata consegnata dall’autorità di esecuzione in virtù dell’assicurazione che avrebbe ricevuto siffatta notizia personalmente e senza indugio una volta giunta nello Stato membro emittente (è il caso della quarta condizione sopra descritta in materia di M.a.e.) e abbia quivi chiesto un nuovo processo o presentato appello. In tale ipotesi, la detenzione della persona in attesa di tale processo o appello è riesaminata, al fine di sondare la possibilità di sospensione o interruzione della detenzione, a intervalli regolari o su richiesta dell’interessato. Trattasi, dunque, di lacune di una certa rilevanza, se si considera l’afflato garantista delle disposizioni appena descritte. Infine, è da rilevare che, nonostante la decisione quadro 2009/299/GAI nulla (o quasi) disponga in materia di procedura c.d. attiva di consegna, l’occasione sarebbe stata propizia per intervenire altresì sui profili di maggiore oscurità e problematicità emersi in dottrina in questi primi due anni dall’adozione della L. n. 67 del 2014. Ma questo, attesa la funzione meramente adeguatrice agli obblighi comunitari svolta dal D.Lgs. n. 31 del 2016, sarebbe stato, forse, aspettarsi un po’ troppo. (37) Così come determinato dall’art. 3, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 31 del 2016. 1006 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Squadre investigative Squadre investigative comuni in ambito euro unitario. Dalla decisione quadro alla normativa nazionale di Massimo Perrotti (*) Il presente lavoro offre l’opportunità di percorrere, in un quadro d’insieme, le principali innovazioni normative conseguenti al recepimento della decisione quadro 2002/465/GAI relativa alle squadre investigative comuni. Sono esplicitati, in sintesi, i motivi delle opzioni prescelte, sia nelle modalità di recepimento che nella estensione stessa delle indicazioni sovranazionali. Si fa altresì cenno alle eventuali criticità applicative delle quali, tuttavia, solo la pratica processuale potrà rendere epifania, sicuri che la perfettibilità degli strumenti normativi è connotato immanente della creazione di regole e che le norme vivono nella e si nutrono della interpretazione giurisdizionale. Decisione quadro 2002/465/GAI del 13 giugno 2002 Squadre investigative comuni. D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 34 G.U. 10 marzo 2016, n. 58 (in vigore dal 25 marzo 2016). Modifiche Lo schema normativo praticato non è quello della novella, non si interviene su testi già vigenti, ma si propone un testo autonomo, che incide ab externo sugli strumenti processuali esistenti. La decisione quadro 2002/465/GAI I contenuti della decisione-quadro: principi, obiettivi e tempi di recepimento Il 10 marzo 2016 è stato pubblicato in G.U. (Serie Generale n. 58) il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 34, che attua nell’ordinamento italiano la decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa alle squadre investigative comuni. Il recepimento di tale decisione quadro è avvenuto sulla base della delega contenuta nell’art. 18 della L. 9 luglio 2015, n. 114 (c.d. legge di delegazione europea 2014), recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea”. La necessità di dar vita a squadre investigative comuni che consentano, in ambito euro unitario, di superare i tradizionali limiti della cooperazione bilaterale, investigativa e giudiziaria per il contrasto alla criminalità organizzata, al terrorismo internazionale e ai cosiddetti cross-border crimes (es. traffico di stupefacenti, tratta di esseri umani, cyber crimes, pedopornografia, terrorismo internazionale) fu evidenziata già nell’ottobre del 1999 dal Consiglio Europeo di Tampere. L’UE ritenne di disciplinare tali squadre operative prima con la Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 (art. 13), relativa (*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee. Diritto penale e processo 8/2016 1007 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria all’assistenza giudiziaria in materia penale, e quindi con la decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, il cui termine di attuazione, tuttavia, ebbe a cadere nel vuoto il 1° gennaio 2003. Con la raccomandazione del Consiglio dell’8 maggio 2003 fu, infine, adottato anche il modello formale di accordo per la costituzione della squadra di indagine comune, che integrava e completava le disposizioni contenute sia nell’art. 13 della Convenzione, sia nella decisione quadro del Consiglio. Della necessità di provvedere ad una regolamentazione delle squadre investigative comuni è traccia anche: - nell’Accordo di cooperazione giudiziaria in materia penale tra Italia e Svizzera (art. XXI), ratificato con L. 5 ottobre 2001, n. 367 (c.d. legge sulle rogatorie); - nella Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale (art. 19), adottata dall’assemblea generale il 15 novembre 2000, ratificata con L. 16 marzo 2006, n. 146; - nell’accordo sulla mutua assistenza giudiziaria tra gli Stati Uniti d’America e l’UE, firmato il 25 giugno 2003 (art. 5), ratificato con L. 16 marzo 2009, n. 25; - nella Convenzione Onu contro la corruzione (art. 49), adottata dall’Assemblea Generale il 31 ottobre 2003. La decisione quadro, che il decreto legislativo in commento ha attuato, ricalca il contenuto della Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 ed è stata adottata dall’UE per tentare di colmare il ritardo con cui gli Stati procedevano alla ratifica dell’atto pattizio. In base all’art. 5 della decisione quadro, questa cessa di avere effetto a partire dall’entrata in vigore in tutti gli Stati membri della Convenzione di Bruxelles del 2000. La Convenzione è entrata in vigore il 23 agosto 2005 nei confronti degli Stati che hanno provveduto alla relativa ratifica; tra tali Paesi non è presente l’Italia (il percorso di ratifica ha già superato il vaglio del Senato ed il testo attualmente pende innanzi alla Commissione giustizia della Camera), per la quale rimane in vigore la decisione quadro, che necessita, pertanto, di attuazione. Le ragioni di fondo che hanno spinto verso la regolamentazione normativa dello strumento di indagine transfrontaliero sono rappresentate: a) da una criminalità organizzata che si connota per il ricorso a forme sempre più sofisticate di cooperazione fra gruppi criminali di nazionalità diverse, finalizzata alla gestione di mercati illeciti (stupefacenti, contraffazione) e leciti (trasporto su 1008 gomma di alimenti per la grande distribuzione) comuni. È sufficiente richiamare l’attenzione sulle modalità operative delle organizzazioni criminali transnazionali dedite al traffico di stupefacenti e di armi, alla tratta di esseri umani, alla pedopornografia, al terrorismo, alla criminalità informatica; b) da un potenziamento e affinamento delle sinergie criminali su scala internazionale, con il conseguente frazionamento delle correlate attività delittuose in Paesi sottoposti a diverse giurisdizioni nazionali, circostanza che costituisce un oggettivo freno alla capacità investigativa degli organi inquirenti. È, quindi, generalmente avvertita la necessità di superare i tradizionali limiti della cooperazione interstatuale, investigativa e giudiziaria, specialmente nel contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso, alla lotta contro il terrorismo internazionale e ai cosiddetti cross-border crimes. Al fine di offrire ai cittadini dell’UE un elevato livello di sicurezza nell’ambito di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, le attività di accertamento, verifica, dimostrazione processuale e repressione dei fatti-reato aventi dimensioni sovranazionali necessita, pertanto, della diretta partecipazione degli organi titolari della potestà investigativa e dell’azione penale all’attività di indagine da svolgere sul territorio di altro Stato dell’Unione. A tanto si provvede adottando uno strumento specifico, giuridicamente vincolante (la squadra investigativa comune), da applicare nel caso di indagini particolarmente complesse, che hanno un collegamento con altri Stati membri e che postulino, per la loro soluzione processuale, un’attività investigativa coordinata e concertata, che superi e sciolga le rigidità rappresentate dallo strumento rogatoriale, governato dalla burocrazia. Le più ricorrenti fattispecie rispetto alle quali è ipotizzabile un uso delle squadre investigative comuni sono quelle del traffico di stupefacenti, dei reati associativi in genere, del riciclaggio, in abbinamento con tutti i reati presupposto (corruzione, reati associativi di stampo mafioso, frode fiscale, truffe nella erogazione), la tratta di esseri umani e, più in generale, tutte le forme di criminalità organizzata o di reati con finalità di terrorismo, di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater, c.p.p. Nel medio e lungo periodo, la costituzione di squadre investigative comuni potrà determinare la riduzione dei tempi dell’accertamento probatorio all’estero, attualmente solo in parte realizzato attraverso meccanismi di scambio informativo bilaterale agevolati da strutture di coordinamento (Eurojust, Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Direzione Nazionale Antimafia), senza però quelle sinergie operative che solo la squadra può favorire e promuovere. Può dunque ritenersi, alla luce delle indicazioni evidenziate, che il recepimento della decisione quadro rafforzerà, nel medio e lungo termine, il contrasto alla criminalità internazionale e favorirà l’armonizzazione della legislazione interna con quella degli Stati membri dell’UE. Di conseguenza, rafforzerà la fiducia reciproca nei rispettivi sistemi investigativi e di giustizia, presupposto necessario per una effettiva integrazione nel comune amalgama continentale. Nel nostro ordinamento mancava una disciplina processuale delle squadre investigative comuni in ambito europeo. Il termine per il recepimento della Decisione Quadro 2002/465/GAI era inizialmente previsto per il 1° gennaio 2003 ed invano sono trascorsi oltre due lustri senza che il legislatore nazionale avvertisse la necessità di raccogliere l’occasione offerta dagli organi dell’Unione. Il 1° dicembre 2014 sono tuttavia scadute anche le norme che limitavano, da un lato, il controllo giurisdizionale esercitato dalla Corte di Giustizia sulle norme UE relative alla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale e, dall’altro, le prerogative della Commissione europea di controllare l’applicazione del diritto dell’Unione in tale settore. L’entrata in vigore del trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, ha infatti segnato la fine del “terzo pilastro” della legislazione dell’Unione (giustizia e affari interni). Come misura transitoria, tuttavia, il protocollo 36 del trattato di Lisbona ha disposto che fino al 1° dicembre 2014 le attribuzioni della Commissione, ai sensi dell’art. 258 del TFUE (procedure d’infrazione), e le attribuzioni della Corte di giustizia non fossero applicabili agli atti nel settore della cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria in materia penale, adottati prima dell’entrata in vigore del trattato, a meno che non fossero stati abrogati, annullati o modificati. Di qui la cogente e non più prorogabile necessità di provvedere al recepimento delle decisioni quadro e delle direttive lasciate fuori dell’uscio di casa Italia. Inserita, quindi, la decisione quadro nel più vasto alveo della legge di delegazione europea per il 2014, il suo recepimento, ad opera del decreto legislativo in commento, è avvenuto nei termini fissati dalla delega. Diritto penale e processo 8/2016 Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 34 Le novità La principale innovazione è di sistema. Cambia l’approccio alla “investigazione continentale”: attraverso le squadre investigative comuni non si tratta più di prevedere misure di coordinamento tra organi inquirenti dei diversi Stati, bensì di individuare uno specifico ambito di azione comune che consenta di operare nei diversi Stati, direttamente e in tempi reali, superando la penalizzazione di ostacoli di carattere formale. Il decreto legislativo si compone di otto articoli, del tutto autonomi rispetto alla disciplina codicistica. L’art. 1 indica l’obiettivo e l’ambito di applicazione del decreto legislativo, vale a dire quello di attuare nell’ordinamento interno la decisione quadro 2002/465/GAI del 13 giugno 2002, conformemente all’art. 34, par. 2, del Trattato, in materia di squadre investigative comuni. 2. Autorità legittimate e procedimento. L’art. 2 disciplina l’iniziativa del procuratore della Repubblica italiano per la costituzione delle squadre investigative comuni. Al comma 1, sono elencate le fattispecie criminose rispetto alle quali, in considerazione della natura delle condotte criminose e della dimensione transnazionale che sovente assumono, si compie una valutazione aprioristica circa la possibile esigenza, da parte dell’autorità inquirente, di costituire squadre investigative comuni. Si tratta di ipotesi relative ad indagini aventi ad oggetto le più diffuse forme di criminalità organizzata o i reati con finalità di terrorismo, di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater, c.p.p., e degli altri reati che suscitano un grave allarme sociale, di cui agli artt. 51, comma 3 quinquies, e 407, comma 2, lett. a), c.p.p. Sempre al comma 1, è stata prevista la possibilità di costituire squadre investigative comuni nel caso di indagini relative ai delitti per i quali è contemplata la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, in coerenza con il limite edittale di ammissibilità delle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, di cui all’art. 266 c.p.p. È parso, invero, opportuno individuare un criterio razionale e sistematico in base al quale selezionare il novero dei reati per i quali possa ritenersi presunta l’esigenza di dar seguito alla richiesta dell’autorità procedente di costituire una o più squadre investigative comuni. 1009 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Va tuttavia osservato che la decisione quadro non prevedeva, sul punto, una delimitazione del novero dei reati per i quali è possibile attivare la procedura di costituzione delle squadre investigative comuni. Ne consegue che, fuori delle specifiche ipotesi di cui al comma 1, al comma 2 è previsto l’accesso al nuovo strumento investigativo europeo anche per altri reati, qualora l’autorità procedente operi una valutazione, questa volta caso per caso ed in concreto, in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti dalla decisione quadro, delineati dall’art. 1 capoverso, lettere a) e b) (indagini “difficili e di notevole portata che hanno un collegamento con altri Stati membri” e che esigano “un’azione coordinata e concertata”). La costituzione di squadre investigative comuni nei casi previsti dal comma 2 del decreto resta, pertanto, subordinata alla sussistenza del requisito funzionale, costituito dall’“esigenza di compiere indagini particolarmente complesse sul territorio di più Stati o di assicurare il loro coordinamento”, omettendo ogni riferimento al più circoscritto requisito del collegamento tra le indagini, che precluderebbe la possibilità di costituire la squadra anche per un solo procedimento complesso che richieda indagini in altri Stati. Il comma 3 disciplina l’ipotesi in cui l’iniziativa per la costituzione della squadra è formulata d’intesa tra diversi uffici del pubblico ministero, allorquando più procuratori della Repubblica procedano a indagini collegate. In tal caso, la disciplina del coordinamento tra i diversi uffici è assicurata dagli artt. 371 e 371 bis c.p.p. e dall’art. 118 bis delle relative disposizioni di attuazione. Il comma 4 prevede modalità semplificate di trasmissione della richiesta di istituzione della squadra investigativa comune dal procuratore della Repubblica istante alla competente autorità dello Stato membro. Si prevede, inoltre, che l’autorità giudiziaria richiedente informi dell’iniziativa il procuratore generale presso la corte di appello o, se si tratta di indagini relative ai delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis e comma 3 quater, c.p.p., il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, ai fini dell’eventuale coordinamento investigativo. L’art. 3 disciplina, invece, la procedura di costituzione di squadre investigative comuni su richiesta proveniente dall’autorità competente di un altro Stato membro. Il comma 1 prevede che detta richiesta sia trasmessa al procuratore della Repubblica il cui ufficio è titolare di indagini che esigono un’azione coordinata e concertata con quelle condotte all’estero o al 1010 procuratore della Repubblica del luogo in cui gli atti di indagine della squadra investigativa comune devono essere compiuti. Il comma 2 regola il caso in cui il procuratore della Repubblica, che ha ricevuto la richiesta, valuti l’interesse investigativo di un altro ufficio del pubblico ministero, cui deve trasmetterle immediatamente, dandone avviso all’autorità straniera istante. Sempre a fini di coordinamento, il comma 3 prevede un obbligo di informazione, in capo al procuratore della Repubblica che procede, all’autorità sovraordinata, individuata nel Procuratore generale presso la Corte d’Appello, o, per i reati di competenza, nel Procuratore antimafia e antiterrorismo. Trattandosi di una richiesta di costituzione della squadra investigativa che proviene da Stati membri dell’UE, non è stata prevista la trasmissione della richiesta al Ministro della giustizia, giacché deve ritenersi escluso, in seno all’Unione, l’esercizio di un potere di veto politico che si fondi sulla ritenuta compromissione della sovranità, della sicurezza o di altri interessi essenziali dello Stato, come invece stabilito in materia di rogatorie internazionali dagli art. 723, comma 1, e 727, comma 2, c.p.p. In conformità con i principi ispiratori dei criteri di delega in materia di riforma del libro XI del codice di procedura penale, contenuti nel disegno di L. n. 1949 recentemente approvato, con modifiche, dal Senato e trasmesso alla Camera per nuovo esame sul testo oggetto di modifica, s’intende in tal modo promuovere tra gli Stati membri un modello di soluzione che sia in grado di garantire la sostanziale depoliticizzazione del sistema dell’assistenza giudiziaria nell’area circoscritta dall’efficacia degli accordi internazionali stipulati tra Stati dell’UE, in ragione dell’esistenza di un quadro di omogeneità che ormai non soltanto giustifica, ma persino impone, l’abbandono del tradizionale vaglio di opportunità politica. L’opzione alternativa, pure presa in considerazione in fase di studio ed elaborazione dello schema di decreto, consisteva nell’attribuire al Ministro della giustizia il potere di inibire le attività di indagine programmate in casi espressamente previsti, introducendo una sorta di potere di interdizione dell’autorità politica. Come detto, tale opzione alternativa è stata abbandonata, giacché si è ritenuto che l’ambito conoscitivo e valutativo, riguardante la legittimità e conformità ai principi dell’ordinamento interno degli atti di indagine, inerisca più propriamente all’esercizio dell’azione penale e sia, come tale, riservato all’autorità giudiziaria. Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Il comma 4 prevede che il procuratore della Repubblica, sentito il procuratore generale presso la Corte d’Appello o, per i reati di propria competenza, il Procuratore antimafia e antiterrorismo, comunichi, senza ritardo, all’autorità dello Stato estero richiedente la decisione di non dare corso alla richiesta, qualora questa comporti il compimento di atti espressamente vietati dalla legge o contrari ai princìpi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano. Analogo onere informativo è previsto a favore del Ministro della giustizia, al fine di consentire all’organo di indirizzo politico le opportune valutazioni di competenza. Va precisato che il potere di sindacato sulla liceità degli atti di indagine, coerentemente attribuito all’autorità giudiziaria e non all’organo di indirizzo politico, non preclude la possibilità per l’autorità dello Stato membro richiedente di rinnovare la richiesta già reietta, purché la nuova richiesta sia fondata su finalità e azioni investigative conformi ai principi ed alle leggi del nostro ordinamento giuridico. L’art. 4, al comma 1, disciplina le modalità di istituzione della squadra investigativa comune, prevedendo, al fine di coniugare solennità ed evidenza, la forma scritta per la stipula dell’accordo costitutivo. Il comma 2 si occupa del contenuto dell’atto costitutivo della squadra investigativa comune, che deve indicare la composizione ed il direttore della squadra, scelto tra i suoi componenti, e individuare l’oggetto e la finalità dell’indagine, oltre al termine entro il quale le attività devono essere compiute. Quanto alla composizione della squadra, la norma limita la partecipazione alla squadra investigativa ai soli rappresentanti delle autorità competenti degli Stati membri, individuati nei membri nazionali e in quelli “distaccati”, definiti quali componenti della squadra appartenenti ad altri Stati membri e designati in base alle rispettive normative nazionali. L’esclusione dalla composizione della squadra di rappresentanti di altri organismi, anche se istituiti in ambito nazionale o europeo, oltre ad essere consentita dalla decisione quadro (art. 1, par. 12), è imposta -nell’ordinamento interno- dall’obbligo del segreto sugli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, al fine di salvaguardare il buon esito delle stesse (art. 326 c.p., 329 c.p.p.). Il comma 3 prevede che all’atto costitutivo sia allegato un piano di azione operativo, finalizzato a di- Diritto penale e processo 8/2016 sciplinare le misure organizzative e ad indicare le modalità esecutive di dettaglio della squadra. Per la redazione di tale documento, che si occupa della risoluzione di questioni pratiche che dovrà affrontare la squadra, evitando inutili appesantimenti nella stesura dell’atto costitutivo, le parti potranno servirsi, ove lo ritengano necessario, del modello di accordo contenuto nella Risoluzione del Consiglio del 26 febbraio 2010 (in particolare, punto 13 ed appendice IV). I commi 4 e 5 dettano la disciplina per adeguare il funzionamento della squadra investigativa comune alle esigenze, anche di carattere investigativo, che possono sopravvenire in corso d’opera. L’accordo modificativo, sempre con atto scritto, può consentire adattamenti dell’oggetto e delle finalità investigative, del termine di indagine, che può essere prorogato, e della composizione della squadra, al fine di scongiurare inefficienze o la paralisi dell’attività investigativa comune. Quanto, in particolare, al tema della durata delle indagini comuni, ferma la possibilità della proroga del termine entro il quale le attività di indagine devono essere compiute, secondo la normativa nazionale, è stata preferita l’opzione di non limitarne i tempi entro un termine prefissato, così privilegiando il rispetto della disciplina interna relativa ai termini di durata massima delle indagini preliminari, ai sensi degli artt. 405 e seguenti del codice di procedura penale. Inoltre, entro i suddetti limiti, il termine di durata della squadra investigativa verrà concordato tra gli Stati costituenti e sarà indicato nell’atto costitutivo. Si è, dunque, optato per la non istituzione di un meccanismo di autorizzazione alla proroga della legittimazione ad operare della squadra comune, da parte dell’autorità giudiziaria. Il comma 6 prevede che la squadra investigativa comune sia sottoposta alla direzione del pubblico ministero. Esso mira ad attuare l’art. 1, comma 3, della decisione quadro, nella parte in cui, alla lett. b), prevede che la squadra operi “in conformità del diritto dello Stato membro in cui interviene”. Invero, nel caso in cui la squadra investigativa operi sul territorio dello Stato, in applicazione dell’ordinamento processuale interno, dovrà trovare applicazione il principio di cui all’art. 327 c.p.p., per cui “il pubblico ministero dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria”. Il comma 7 specifica che, nel caso previsto dall’art. 2, comma 3 (sussistenza di più indagini facenti capo a diversi uffici del P.M.), il pubblico ministero, 1011 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria sotto la cui direzione opera la squadra, è indicato nell’atto costitutivo. L’art. 5, al comma 1, disciplina lo status e la responsabilità penale dei membri distaccati che operano nel territorio dello Stato, prevedendo che essi assumono la qualifica di pubblici ufficiali, agli effetti della legge penale, e che ad essi sono attribuite le funzioni di polizia giudiziaria nel compimento delle attività di indagine loro assegnate. Il comma 2 prevede che il pubblico ministero che dirige la squadra investigativa comune può, per ragioni particolari e con provvedimento motivato, escludere dal compimento di singoli atti sul territorio italiano i membri distaccati, in conformità a quanto previsto dall’art. 1, par. 5, della decisione quadro. Invero, l’atto costitutivo presenta una spiccata valenza negoziale, sicché, salva diversa previsione, i membri della squadra investigativa comune designati dalla competente autorità di uno Stato membro possono partecipare agli atti di indagine da compiere sul territorio dello Stato italiano, nonché all’esecuzione di provvedimenti dell’autorità giudiziaria, fermo restando che rimane, in capo al titolare delle indagini del Paese ospitante, il potere di esclusione dei membri esterni dal compimento di singoli atti. L’art. 6 disciplina il regime di utilizzazione delle informazioni investigative e degli atti di indagine. In particolare, il comma 1 prevede che la squadra investigativa comune agisca sul territorio dello Stato in base alla legge italiana, conformemente all’art. 1, par. 3, della decisione quadro, nella parte in cui, alla lett. b), stabilisce che essa operi “in conformità del diritto dello Stato membro in cui interviene”. Il comma 2 prevede che, ai sensi dell’art. 431 c.p.p., nel fascicolo per il dibattimento entrano a far parte i verbali degli atti non ripetibili posti in essere dalla squadra investigativa comune. Quanto al regime degli altri atti ripetibili, il comma 3 precisa che essi hanno la stessa efficacia dei corrispondenti atti regolati dalla legge processuale italiana. L’attribuzione dell’efficacia non significa, però, che tali atti siano direttamente ed automaticamente utilizzabili nel processo penale dinnanzi all’autorità giudiziaria italiana, ma soltanto che sono suscettibili di essere valutati, alla stregua degli ordinari parametri probatori, ai fini dell’utilizzabilità processuale. Il comma 4 prevede, in pedissequa attuazione dell’art. 1, par. 10, della decisione quadro, un regime di limitata utilizzabilità delle informazioni legalmente ottenute da un membro o da un membro di- 1012 staccato durante la sua partecipazione a una squadra investigativa comune e non altrimenti disponibili per le autorità competenti dello Stato membro sul cui territorio sono state assunte. Il comma 5, in particolare, attribuisce al procuratore della Repubblica, che ha costituito la squadra, la facoltà di richiedere all’autorità degli altri Stati membri coinvolti di ritardare, per fini investigativi e processuali diversi da quelli indicati nell’atto istitutivo, l’utilizzazione delle informazioni ottenute dai componenti della squadra e non altrimenti disponibili, se essa può pregiudicare indagini o procedimenti penali in corso nello Stato, per un tempo non superiore a sei mesi. In modo speculare, il comma 6 prevede che il procuratore della Repubblica osserva, nei limiti di tempo di cui al comma 5, le condizioni richieste dall’autorità degli altri Stati membri per l’utilizzazione delle informazioni di cui al medesimo comma 1 per fini investigativi e processuali diversi da quelli indicati nell’atto costitutivo della squadra investigativa comune. L’art. 7, in materia di responsabilità civile per danni, al comma 1 limita la responsabilità dello Stato italiano ai soli danni causati dai propri componenti della squadra investigativa comune e derivanti dalle attività della squadra stessa. Al comma 2, si prevede il principio per cui, se i componenti italiani della squadra hanno causato danni a terzi nel territorio di un altro Stato membro, lo Stato italiano rimborsa integralmente a quest’ultimo le somme dal medesimo anticipate per ristorare il danno subìto dalle parti lese. In modo speculare, al comma 3, è previsto un meccanismo di rivalsa dello Stato italiano, che abbia provveduto al risarcimento dei danni causati dal componente del membro distaccato in territorio italiano, limitatamente ai danni derivanti dallo svolgimento della attività della squadra investigativa comune, nei confronti dello Stato di appartenenza. L’art. 8 contiene la clausola di copertura finanziaria, indicando gli oneri derivanti dall’attuazione del provvedimento e i mezzi per farvi fronte. Riflessioni conclusive Il conseguimento delle finalità previste dalla fonte sovranazionale Il regime di limitata utilizzabilità delle informazioni legittimamente ottenute dai componenti della squadra (art. 6 del decreto legislativo in commento) si pone come cartina di tornasole dell’utile Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria marginale che l’intervento normativo riuscirà ad assicurare. Certo è che la possibilità di fare uso delle informazioni ottenute dalla squadra per scongiurare una minaccia immediata e grave alla sicurezza pubblica (art. 6, lett. c), nonché per altri scopi concordemente stabiliti dagli Stati costituenti la squadra investigativa (art. 6, lett. d), lascerà spazi notevoli di manovra agli Stati membri. Tale ultima disposizione, in particolare, funge da clausola di chiusura, consentendo ampia libertà agli Stati nell’uso delle informazioni raccolte per effetto dell’attività di indagine svolta di comune accordo. Quanto ad utilizzabilità processuale, nel nostro ordinamento, degli atti di indagine compiuti all’estero dai membri della squadra investigativa comune, punto di partenza è la scelta del legislatore europeo di adottare il principio della lex loci (art. 1, comma 3, della decisione quadro 2002/465/GAI); principio fatto proprio anche dal legislatore italiano, che all’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 34/2016, prevede che “la squadra investigativa comune opera sul territorio dello Stato in conformità alla legge italiana”. Ne discende che - quantomeno per gli atti di indagine compiuti in Italia sulla base della legge italiana - non dovrebbero porsi problemi di utilizzabilità nel nostro ordinamento. Più incerto appare il destino degli atti di indagine compiuti all’estero dai membri della squadra: all’art. 6, comma 2, si prevede che i verbali degli atti irripetibili possano entrare nel fascicolo del dibattimento ai sensi dell’art. 431 c.p.p. Il che conferisce particolare efficacia dimostrativa agli atti di indagine compiuti oltre confine. Quanto agli atti ripetibili, l’art. 6, comma 3, sembra ammettere un’indiscriminata utilizzabilità di quegli atti compiuti all’estero congiuntamente con l’autorità straniera o nell’ambito delle squadre comuni, che si prevedeva avessero “la stessa efficacia degli atti corrispondenti compiuti secondo le norme del codice di procedura penale”. La disposizione, così formulata, suggerisce una totale parificazione tra gli atti di indagine compiuti in Italia, secondo la legge italiana, e quelli compiuti all’estero, sulla base della lex loci. Tuttavia, pur consapevoli dell’assoluta necessità di favorire la libera circolazione della prova penale nello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, non si può prescindere dal rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento, nonché dall’osservanza di alcune regole cardine in materia di raccolta e formazione della prova, con particolare riferimento alle regole volte a tutelare i diritti fondamentali dei soggetti coinvolti nel procedimento penale. L’utilizzabilità processuale interna di ogni tipo di prova raccolta Diritto penale e processo 8/2016 dalla squadra comune passa, pertanto, necessariamente attraverso il vaglio di compatibilità con la normativa processuale domestica in materia probatoria. I risultati probatori degli atti di indagine compiuti all’estero dai membri della squadra sono quindi utilizzabili, ma “secondo la legge italiana”. Ne discende che tali atti non saranno automaticamente utilizzabili in un processo penale in corso in Italia, ma dovranno costituire oggetto di vaglio da parte dell’autorità giudiziaria, sulla base degli ordinari parametri di ammissione, acquisizione e valutazione probatoria. Questa soluzione, che appare l’unica costituzionalmente compatibile, comporta tuttavia il rischio di determinare la sostanziale inutilizzabilità dello strumento ove l’autorità giudiziaria attivi filtri molto rigidi di valutazione della compatibilità processuale. L’opzione alternativa di procedere alla previa individuazione di modalità condivise di acquisizione probatoria, già con l’accordo costitutivo ed, in particolare, col “piano d’azione operativo”, previsto dall’art. 4, comma 3, è stata scartata, giacché non avrebbe comunque garantito il successo processuale, attesa l’autonomia di valutazione che caratterizza ogni decisione della giurisdizione rispetto a quella assunta nella precedente fase, soprattutto se meramente investigativa. 2. Uno sguardo al panorama complessivo. Il D.Lgs. n. 34/2016 si inserisce in un contesto normativo europeo decisamente mutato rispetto al 2002, anno in cui fu adottata la decisione quadro oggi recepita. Nel corso degli ultimi anni, infatti, l’UE ha cercato di far fronte alla globalizzazione del crimine con una serie di misure volte a rafforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia tra Stati membri. In particolare, nell’ottica di una sempre maggiore fiducia reciproca, si è assistito ad una proliferazione di strumenti di reciproco riconoscimento delle decisioni penali, che hanno talvolta raggiunto risultati considerevoli (si pensi alla decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato d’arresto europeo). Più recentemente, il legislatore europeo ha inteso applicare la logica del reciproco riconoscimento anche alla materia della circolazione delle prove penali. Il progetto si è concretizzato con l’adozione della Dir. 2014/41/UE sull’ordine europeo di indagine penale: si tratta di uno strumento di acquisizione probatoria transnazionale, non ancora recepito nell’ordinamento interno, dotato di un campo di applicazione esteso a tutte le misure investigative ad eccezione delle osservazioni transfrontaliere e della costituzione di una squadra investigativa comune, con la conseguenza che il recepimento in Italia della suddetta direttiva non 1013 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria modificherà il regime relativo all’istituzione delle squadre comuni. In realtà, la disciplina dell’ordine europeo di indagine penale tornerebbe applicabile nel caso in cui servisse l’assistenza di uno Stato membro non partecipante alla squadra; proprio per questo motivo, non aver recepito l’art. 1, comma 8, della decisione quadro 2002/465/GAI, che regolamenta questa specifica ipotesi, costituisce il principale rimpianto per l’occasione perduta. È evidente che il regime di utilizzabilità delle prove allogene nell’ordinamento del foro costituisce il problema cardine di ogni normativa che abbia l’ambizione di disciplinare la materia della circolazione delle prove penali raccolte nel contesto di investigazioni transnazionali. Resta quindi pressante l’esigenza di riflettere sulla necessità, per gli Stati membri, di intraprendere una seria opera di armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di prove penali. Operazione, questa, resa possibile dall’art. 82, par. 2, lett. a), TFUE, quale unico modo per risolvere in modo effettivo e non frammentario la questione dell’utilizzabilità delle prove allogene. Solo superando la profonda eterogeneità delle normative processuali dei vari Stati membri, quanto meno in ordine ai criteri di ammissibilità, si potrebbe infatti garantire la piena efficacia dell’attività delle squadre investigative comuni. Dall’analisi dei flussi di lavoro in materia di rogatorie internazionali estrapolati dalla banca dati della Direzione Nazionale Antimafia, si evince che, relativamente al periodo luglio 2014 - giugno 2015, il numero di rogatorie attive inoltrate dalle Direzioni Distrettuali Antimafia è particolarmente cospicuo (circa 150, in totale). Tenuto conto del fatto che i procedimenti cui si riferiscono le rogatorie sono in molti casi transfrontalieri, ossia relativi a fatti criminali concernenti l’Italia ed altro Stato membro (o più Stati membri), è ipotizzabile la costituzione di squadre investigative comuni, secondo una stima minimalista, in almeno 15 procedimenti investigativi per anno, favorita dal funzionamento dei meccanismi nazionali e sovranazionali di coordinamento. 1014 Quanto alle proiezioni di medio e lungo periodo rispetto ai vantaggi per la collettività, appare certa la positiva incidenza dell’introduzione delle squadre sul tessuto produttivo, in termini di beni sequestrati e confiscati, di migliore funzionalità della macchina giudiziaria e della pubblica amministrazione, più in generale. Sebbene non siano possibili proiezioni precise sul punto, va tenuto presente che vantaggi indiretti per la collettività potranno derivare dalla prevedibile riduzione dei tempi di svolgimento di indagini transfrontaliere, dalla migliore qualità dell’accertamento probatorio, ove le squadre siano opportunamente congegnate e composte e dalla possibilità di attingere a finanziamenti disponibili a livello dell’UE. Sarà inoltre certamente possibile scambiare meglio informazioni direttamente tra membri della squadra, senza dover ricorrere a richieste ufficiali; come pure richiedere misure investigative direttamente tra membri della squadra, senza necessità di accedere a misure rogatoriali, il che ha valenza anche per le richieste di misure cautelari coercitive. Sarà infine possibile per i membri presenziare a perquisizioni domiciliari, audizioni, confronti, individuazioni, accesso a documenti finanziari, in tutte le giurisdizioni partecipanti, il che contribuirà certamente a superare le barriere linguistiche che sempre si formano in occasione di tali atti. Ancora, sarà possibile coordinare iniziative in loco e scambiare conoscenze specialistiche a livello informale, sviluppare e promuovere una fiducia reciproca tra operatori di giurisdizioni e ambienti di lavoro diversi, utilizzare la migliore piattaforma possibile per definire le strategie ottimali di investigazione e di perseguimento dell’azione penale, godere della partecipazione di Europol ed Eurojust, con loro assistenza ed appoggio diretto. Conclusivamente, si deve riconoscere che la partecipazione alla squadra investigativa comune accresce il livello qualitativo delle indagini e ne favorisce l’efficacia funzionale al processo. Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Misure cautelari Reciproco riconoscimento e “misure alternative” alla detenzione cautelare di Donatello Cimadomo (*) Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, rappresenta un ulteriore passo in avanti della cooperazione giudiziaria e di polizia ed è, altresì, uno strumento potenzialmente idoneo ad evitare disparità di trattamento in ragione di un dato meramente fattuale, costituito dalla presenza della persona raggiunta da misura cautelare in uno Stato membro diverso da quello in cui si celebra il processo a suo carico. La previsione di misure alternative alla detenzione cautelare ha il primario obiettivo di considerare la limitazione della libertà personale come extrema ratio e, quindi, di rafforzare la presunzione di innocenza. Decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009 Sull’applicazione tra gli Stati membri dell’UE del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare. D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36 G.U. 11 marzo 2016, n. 59 (in vigore dal 26 marzo 2016). Riferimenti C.p.p. artt. 281-283; L. n. 69/2005, art. 22. La decisione quadro 2009/829/GAI Premessa La decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’UE del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare enfatizza il principio del reciproco riconoscimento che, come espressamente previsto dal Considerando n. 2, deve applicarsi anche alle decisioni che applicano misure cautelari nel corso del procedimento cautelare (1). Il contesto di riferimento della decisione quadro è, dunque, sensibilmente diverso da quello proprio dei provvedimenti dotati del carattere della definitività e prende in considerazione la necessità che il “vivere in sicurezza” dei cittadini in generale non venga compromesso nell’ipotesi in cui alla persona sottoposta a procedimento sia consentita (*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee. Diritto penale e processo 8/2016 la “libera circolazione” in quanto non in stato di “detenzione cautelare”, così come stabilisce il Considerando n. 3. I principi e gli obiettivi tra esigenza di difesa sociale e principio del minor sacrificio della libertà personale L’obiettivo della sorveglianza negli Stati membri dell’UE dei movimenti di una persona sottoposta a procedimento penale impone la ricerca di un punto di equilibrio tra l’obiettivo della protezione dei cittadini - che la decisione quadro, al Considerando n. 3, definisce “preminente” - e la tutela del diritto alla libertà nonché il rispetto della presunzione di innocenza. Le misure previste dalla decisione quadro 2009/829/GAI sono, infatti, dichiaratamente orientate alla promozione, “ove opportuno, del ricorso a misure non detentive come alternativa alla (1) In GUUE, 11 novembre 2009, L 294/20. 1015 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria detenzione cautelare, anche quando, a norma della legislazione dello Stato membro interessato, la detenzione cautelare non potrebbe essere disposta ab initio” (Considerando n. 4); e si aggiunge - rimarcando la scelta della detenzione cautelare come extrema ratio - che “per quanto concerne la detenzione di persone sottoposte a procedimento penale, esiste il rischio di una disparità di trattamento tra coloro che risiedono e coloro che non risiedono nello Stato del processo: la persona non residente nello Stato del processo corre il rischio di essere posta in custodia cautelare in attesa di processo, laddove un residente non lo sarebbe. In uno spazio comune europeo di giustizia senza frontiere interne è necessario adottare idonee misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta a procedimento penale ivi residente” (Considerando n. 5) (2). Ispirata dalla medesima ragion d’essere è la previsione secondo la quale “si potrebbe ricorrere, se del caso, al monitoraggio elettronico per sorvegliare le misure cautelari, conformemente alla legislazione e alle procedure nazionali” (Considerando n. 11), anche se subito dopo si ha modo di puntualizzare che “sebbene la presente decisione quadro riguardi tutti i reati e non sia limitata a quelli di una data tipologia o gravità, le misure cautelari dovrebbero di norma applicarsi ai reati meno gravi. Tutte le disposizioni della decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo, ad eccezione dell’articolo 2, paragrafo 1, dovrebbero quindi applicarsi quando l’autorità competente dello Stato di esecuzione debba decidere in merito alla consegna dell’interessato. Pertanto, in tale caso dovrebbe applicarsi anche l’articolo 5, paragrafi 2 e 3, della decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo” (Considerando n. 13). Si tratta della conferma di un regime cautelare europeo a velocità variabile, che fa salva la possibilità del doppio binario processuale parametrato sul titolo di reato e legittimante, di conseguenza, uno squilibrio del rapporto tra difesa sociale e garanzie individuali, prevalendo sempre la prima sulle seconde in presenza di fattispecie di reato considerate meritevoli di differente “trattamento processua- le”, come, ad esempio, nel caso dei reati di criminalità organizzata. (2) Sul punto v. F.P.C. Iovino, Il procedimento cautelare, in AA.VV., “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano. Adattamenti normativi e approdi giurisprudenziali, a cura di L. Kalb, Torino, 2010, 419. (3) Ad esso si affianca ovviamente lo “Stato di esecuzione”, che è “lo Stato membro in cui le misure cautelari sono sorvegliate”, così come previsto dalla lett. d) dell’art. 4. 1016 Il genus “misure alternative alla detenzione cautelare” L’art. 4, lett. b), della decisione quadro 2009/829/GAI definisce le “misure cautelari” come “gli obblighi e le istruzioni imposti a una persona fisica conformemente al diritto interno e alle procedure dello Stato di emissione”, che è “lo Stato membro in cui è stata emessa una decisione sulle misure cautelari”, come previsto dalla successiva lettera c) dello stesso articolo (3). I “tipi di misure cautelari” sono elencati nell’art. 8, par. 1, ovvero: “a) obbligo della persona di comunicare ogni cambiamento di residenza all’autorità competente dello Stato di esecuzione, in particolare al fine di ricevere la citazione a comparire a un’audizione o in giudizio nel corso del procedimento penale; b) divieto di frequentare determinati luoghi, posti o zone definite nello Stato di emissione o di esecuzione; c) obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite; d) restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato di esecuzione; e) obbligo di presentarsi nelle ore stabilite presso una determinata autorità; f) obbligo di evitare contatti con determinate persone in relazione con il o i presunti reati”. Al paragrafo 2, poi, è precisato che ogni Stato membro, in sede di attuazione della decisione quadro o in una fase successiva, comunica al segretario generale del Consiglio le misure cautelari, oltre a quelle di cui al paragrafo 1, che è disposto a sorvegliare; e si aggiunge che “le misure possono comprendere: a) divieto di esercitare determinate attività connesse con il o i presunti reati, in particolare una determinata professione o attività professionali in un determinato settore; b) divieto di guida di veicoli; c) obbligo di depositare una data somma di denaro o di fornire un altro tipo di garanzia, pagabile in rate stabilite oppure in un’unica soluzione; d) obbligo di sottoporsi a trattamento terapeutico o di disintossicazione; Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria e) obbligo di evitare contatti con determinati oggetti in relazione con il o i presunti reati” (4). Le peculiarità delle singole misure “nazionali” ha indotto il legislatore europeo a prevedere il loro “adattamento” in sede di esecuzione: infatti, “se le misure cautelari sono per loro natura incompatibili con la legislazione dello Stato di esecuzione, l’autorità competente di quest’ultimo può adattarle ai tipi di misure cautelari che si applicano nella propria legislazione a reati equivalenti. La misura cautelare adottata corrisponde, il più possibile, alla misura cautelare disposta nello Stato di emissione” (art. 13). I tempi del recepimento La decisione quadro in argomento indicava agli Stati membri un termine (1° dicembre 2012) entro il quale adottare le misure necessaria per conformarsi alle relative disposizioni. Superfluo rilevare - tenuto conto dei “precedenti” del legislatore italiano - che detto termine è stato abbondantemente superato. Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36 La struttura È il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, a contenere le “Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’UE del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare” (5). L’articolato normativo è composto di quattro capi secondo lo schema classico adottato in occasione del recepimento di altre decisioni quadro: al primo capo (artt. 1-4) dedicato alle disposizioni generali, seguono i Capi secondo (artt. 5-8) e terzo (artt. 916), classicamente ordinati in ragione della provenienza della trasmissione (“all’estero” e “dall’estero”) della decisione sulle misure cautelari, e, così, l’ultimo - il quarto (artt. 17-18) - in merito alle consuete disposizioni finanziarie ed alle norme applicabili “per quanto non previsto” dal decreto in commento (6). Le novità L’art. 4 elenca le misure cautelari alle quali si applica il D.Lgs. n. 36 del 2016; esse sono: (4) Cfr. F.P.C. Iovino, Il procedimento cautelare, cit., 423 s. (5) In GU, 11 marzo 2016, n. 59. (6) Per un’analisi, v. M.F. Cortesi, Reciproco riconoscimento Diritto penale e processo 8/2016 a) obbligo di comunicare ogni cambiamento di residenza, in particolare al fine di assicurare la ricezione della citazione a comparire a un’audizione o in giudizio nel corso del procedimento penale; b) divieto di frequentare determinati luoghi, posti o zone del territorio dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione; c) obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite; d) restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato; e) obbligo di presentarsi nelle ore fissate alla autorità indicata nel provvedimento impositivo; f) obbligo di evitare contatti con determinate persone che possono essere a qualunque titolo coinvolte nel reato per il quale si procede; g) divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali. Il “catalogo” è ampio e consente alcune riflessioni. I vincoli presi in considerazione riguardano tanto la libertà personale, quanto l’esercizio di determinate attività professionali. In particolare, le misure di cui alle lett. b), c), d) e) ed f) limitano, infatti, la prima e sono, dunque, del genus delle misure coercitive (artt. 281, 282, 282 bis, 282 ter e 283 c.p.p.) mentre quella di cui alla lett. g) è propriamente una misura interdittiva (art. 290 c.p.p.). Sul punto va rilevato che non si coglie, però, la perfetta coincidenza tra i tipi di vincolo comparati, dal momento che con riguardo, ad esempio, all’obbligo di evitare contatti con determinate persone di cui alla lett. f), esso appare avere una portata applicativa non limitata a talune fattispecie di reato, come invece previsto dall’art. 282 bis c.p.p. Il dato appena rilevato è uno dei primi profili problematici in sede di trasmissione dall’estero, laddove si prevede, all’art. 10, comma 2, del decreto in commento, l’“adattamento” tenuto conto della natura e della durata della misura, che evoca il tema della legalità cautelare di cui all’art. 272 c.p.p. Si tratta, a ben vedere, di una estensione dei limiti alla libertà della persona e non tanto di adeguamento del vincolo cautelare. A ciò si aggiunga che detti profili problematici sono piuttosto conseguenza della ibridazione dei vincoli in argomento, caratterizzati da logica di prevenzione pura e, perciò, ancorati al diverso requisito della pericolosità sociale. delle misure alternative alla detenzione cautelare: il decreto in G.U., in www.quotidianogiuridico.it. 1017 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Quanto, invece, al vincolo menzionato dalla lettera a), può essere subito rilevato come quella in argomento non sia una vera e propria misura cautelare, quanto una singolare prescrizione processuale, sulla quale si tornerà nel seguito del presente lavoro. Il procedimento di trasmissione all’estero Spetta all’ufficio del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la decisione sulle misure cautelari (individuabile ex artt. 279 e 310 c.p.p.), la competenza (recte, la legittimazione) alla conseguente trasmissione all’autorità competente dello Stato membro in cui l’interessato ha la propria residenza legale e abituale, quando l’interessato abbia manifestato la volontà di fare rientro in quello Stato. Su richiesta dell’interessato, la trasmissione è disposta in favore dell’autorità competente di uno Stato membro diverso da quello della residenza legale e abituale, in cui voglia trasferirsi, e sempre che detta autorità abbia prestato il consenso (art. 5, comma 1). Immediatamente dopo la decisione sulle misure cautelari e, quindi, dopo gli adempimenti previsti dall’art. 92 disp. att. c.p.p., il pubblico ministero ne cura la trasmissione all’estero; a corredo vi è il certificato di cui all’allegato I del D.Lgs. n. 36 del 2016, ove si dà attestazione del consenso dell’interessato e, quando è richiesto, del consenso dell’autorità competente dello Stato di esecuzione (art. 5, comma 2). Conseguentemente, la trasmissione per l’esecuzione all’autorità competente di uno Stato membro diverso da quello della residenza legale e abituale dell’interessato, secondo quanto previsto dall’art. 5, è preceduta dalla verifica del consenso di tale autorità (art. 5, comma 3). Se sono competenti le autorità di più Stati, la decisione è trasmessa alla autorità di un solo Stato di esecuzione per volta (art. 5, comma 4), mentre se ignota l’autorità competente dello Stato di esecuzione, l’autorità giudiziaria procedente compie gli accertamenti necessari, anche tramite i punti di contatto della rete giudiziaria europea (art. 5, comma 5). Quanto alle condizioni per il riconoscimento, è previsto che la trasmissione all’estero è disposta immediatamente dopo la decisione sulle misure cautelari, con l’indicazione del periodo di applica- zione (art. 6, comma 1). Tale indicazione non può che essere quella prevista ex lege per le misure cautelari diverse dalla custodia cautelare - il riferimento è a i termini di fase e massimi (art. 308 c.p.p.) (7)- ovvero quella indicata dal giudice competente quando si tratti di esigenze cautelari con finalità probatoria [artt. 274, lett. a), 292, comma 2, lett. d), 301 c.p.p.] (8); fermo restando che la sospensione feriale dei termini ai sensi dell’art. 240 bis disp. att. c.p.p. non può essere presa in considerazione, non trattandosi di termini processuali. Il pubblico ministero - dopo aver verificato gli eventuali consensi di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 5 - dispone la trasmissione della decisione sulle misure cautelari, corredata del certificato di cui all’allegato I al decreto in commento, ove si dà attestazione del consenso dell’interessato e, quando è richiesto, del consenso dell’autorità competente dello Stato di esecuzione (art. 6, commi 2 e 3). Se sono competenti le autorità di più Stati, la decisione è trasmessa alla autorità di un solo Stato di esecuzione per volta (art. 6, comma 4). Se è ignota l’autorità competente dello Stato di esecuzione, l’autorità giudiziaria procedente compie gli accertamenti necessari, anche tramite i punti di contatto della rete giudiziaria europea (art. 6, comma 5). In merito al procedimento, è previsto l’intervento del Ministero della giustizia, al quale vengono inviati la decisione sulle misure cautelari, il provvedimento con cui è disposta la trasmissione ed il certificato di cui all’allegato I al decreto debitamente compilato; il Ministero provvede, quindi, all’inoltro, con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta, all’autorità competente dello Stato di esecuzione, previa traduzione del testo del certificato nella lingua di detto Stato (art. 7, comma 1). Se la traduzione del certificato non è necessaria o se a questa provvede l’autorità giudiziaria, il provvedimento può essere inviato direttamente all’autorità competente dello Stato di esecuzione; in tale caso, esso è altresì comunicato, per conoscenza, al Ministero della giustizia. La decisione sulle misure cautelari e il certificato sono trasmessi in originale o in copia autentica allo Stato di esecuzione che ne fa richiesta (art. 7, comma 2). A tutela della persona sottoposta a misura cautelare, si stabilisce che il pubblico ministero può ritira- (7) Dovrebbe ritenersi che anche l’ordinanza di sospensione dei termini di durata massima delle misure diverse dalla custodia cautelare (art. 304 c.p.p.) debba essere trasmessa all’estero. (8) Ne consegue che è opportuna anche la trasmissione dell’ordinanza con la quale viene disposta la rinnovazione della misura disposta per le esigenze cautelari previste dall’art. 274, lett. a), c.p.p. 1018 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria re il certificato, purché non abbia avuto inizio l’esecuzione all’estero, quando l’autorità competente dello Stato di esecuzione comunica i termini di durata massima della sorveglianza delle misure cautelari previsti dalla legislazione di quello Stato e questi sono superiori a quelli delle corrispondenti misure previste dalla legge italiana. Allo stesso modo, e sempre che l’esecuzione non abbia avuto inizio, può provvedere quando riceve comunicazione che l’autorità dello Stato di esecuzione ha assunto la decisione di adattare le misure secondo la legislazione di quello Stato (art. 7, comma 3). Del ritiro del certificato è data comunicazione all’interessato, al Ministero della giustizia, se questi ha provveduto a curare la trasmissione, e all’autorità competente dello Stato di esecuzione, con indicazione dei motivi che l’hanno determinata, tempestivamente e comunque nei dieci giorni dalla decisione (art. 7, comma 4). In caso di mancato riconoscimento della decisione sulle misure cautelari, il Ministero della giustizia, quando ne è direttamente informato, ne dà comunicazione all’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento di trasmissione all’estero (art. 7, comma 5). Il primo degli effetti del riconoscimento della decisione sulle misure cautelari da parte dello Stato di esecuzione è che l’autorità giudiziaria italiana non è più tenuta all’adozione dei provvedimenti necessari alla sorveglianza degli obblighi e delle prescrizioni impartiti, salvo nel caso di ritiro del richiamato certificato ai sensi dell’art. 7, comma 3 (art. 8, comma 1). L’autorità giudiziaria italiana riassume l’esercizio del potere di sorveglianza in conseguenza della comunicazione, ad opera dell’autorità competente dello Stato di esecuzione, della cessazione della propria competenza per l’esecuzione in ragione del fatto: a) che l’interessato non ha più la residenza legale e abituale in quello Stato; b) che, a seguito della modifica delle misure cautelari disposta dall’autorità giudiziaria italiana, manca una corrispondenza con quelle previste dalla legislazione di quello Stato; c) che è scaduto il termine massimo di sorveglianza delle misure cautelari stabilito dalla legislazione di quello Stato (art. 8, comma 2). Spetta all’autorità giudiziaria italiana la competenza a decidere in ordine alla proroga, alla revoca della decisione sulle misure cautelari, alla modifica degli obblighi e delle prescrizioni imposti e all’emissione di un mandato di arresto o di qualsiasi al- Diritto penale e processo 8/2016 tra decisione giudiziaria esecutiva avente medesima forza (art. 8, comma 3). Il procedimento di trasmissione dall’estero Più articolata si presenta la disciplina relativa al procedimento di trasmissione dall’estero, caratterizzata dall’intervento dell’autorità giurisdizionale e dalla verifica di questioni diverse da quelle che sono, invece, proprie del procedimento di trasmissione all’estero, in gran parte qualificato da profili di mera esecutività del titolo che dispone il vincolo cautelare. La competenza a decidere sul riconoscimento e sulla sorveglianza di una decisione sulle misure cautelari adottata in altro Stato membro dell’Unione appartiene alla corte di appello nel cui distretto la persona interessata ha la propria residenza legale o abituale o ha manifestato la volontà di trasferire la sua residenza legale e abituale o, comunque di porre in quel luogo la sua dimora in vista dell’esecuzione delle misure cautelari (art. 9, comma 1). Quando la corte di appello rileva la propria incompetenza, la dichiara con ordinanza e dispone la trasmissione degli atti alla corte di appello competente, dandone tempestiva informazione, anche tramite il Ministero della giustizia, all’autorità competente dello Stato di emissione (art. 9, comma 2). La corte di appello riconosce la decisione sulle misure cautelari quando ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) la persona interessata ha la residenza legale e abituale nel territorio dello Stato o ha manifestato la volontà di ivi recarsi per porre la sua dimora in vista dell’esecuzione delle misure cautelari; b) il fatto per cui è stata emessa la decisione sulle misure cautelari è previsto come reato anche dalla legge nazionale, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione del reato, salvo quanto previsto dall’art. 11 in merito alla doppia punibilità; c) la durata e la natura degli obblighi e prescrizioni impartiti sono compatibili con la legislazione italiana, salva la possibilità di un adattamento nei limiti stabiliti dal comma 2 (art. 10, comma 1). Se la natura o la durata degli obblighi e delle prescrizioni impartiti con le misure cautelari sono incompatibili con la disciplina prevista dall’ordinamento italiano per corrispondenti reati, la corte di appello, dandone informazione all’autorità competente dello Stato di emissione, procede ai necessari adeguamenti, con le minime deroghe necessarie rispetto a quanto previsto dallo Stato di emissione. In ogni caso l’adeguamento non può comportare 1019 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria l’aggravamento, per contenuto o durata, degli obblighi e delle prescrizioni originariamente imposti (art. 10, comma 2). Sono anche indicate le deroghe alla doppia punibilità; in particolare, si fa luogo al riconoscimento, indipendentemente dalla doppia incriminazione, se il reato per il quale è chiesta la trasmissione è punito nello Stato di emissione con una pena detentiva o una misura privativa della libertà personale della durata massima non inferiore a tre anni e si riferisce a una di talune fattispecie (art. 11, comma 1) (9). In tale caso, la Corte d’Appello accerta la corrispondenza tra la definizione dei reati per i quali è richiesta la trasmissione, secondo la legge dello Stato di emissione, e le fattispecie medesime (art. 11, comma 2). Spetta alla corte di appello competente ai sensi dell’art. 9 la ricezione delle richieste di riconoscimento di una decisione sulle misure cautelari proposte dall’autorità competente di un altro Stato membro (art. 12, comma 1). La corte di appello, anche tramite il Ministero della giustizia, può richiedere all’autorità competente dello Stato di emissione l’invio di un nuovo certificato di cui all’allegato I del D.Lgs. n. 36 del 2016, fissando a tal fine un termine congruo, in caso di incompletezza del certificato trasmesso, di sua manifesta difformità rispetto alla decisione sulle misure cautelari o comunque di insufficienza del contenuto ai fini della decisione sul riconoscimento. Il termine per la decisione resta sospeso sino alla ricezione del nuovo certificato (art. 12, comma 2). La corte di appello decide senza formalità sull’esistenza delle condizioni per l’accoglimento della richiesta entro il termine - non perentorio - di dieci giorni dalla data di ricevimento della richiesta e degli atti ad essa allegati (art. 12, comma 3). La decisione di riconoscimento emessa dalla corte di appello è trasmessa al procuratore generale per l’esecuzione (art. 12, comma 4). Contro la decisione della corte di appello può essere proposto ricorso per cassazione. Si applicano le disposizioni previste dall’art. 22 della L. 22 aprile 2005, n. 69, in tema di mandato di arresto europeo (art. 12, comma 5) (10). In caso di proposizione del ricorso per cassazione, il termine per il riconoscimento è prorogato di trenta giorni (art. 12, comma 6). Se, per circostanze eccezionali, non è possibile rispettare il termine per la decisione, il presidente della corte di cassazione informa dei motivi, anche tramite il Ministero della giustizia, l’autorità competente dello Stato di emissione. In questo caso il termine è prorogato di venti giorni (art. 12, comma 7). La decisione definitiva è immediatamente trasmessa al Ministero della giustizia che provvede a informarne le autorità competenti dello Stato di emissione (art. 12, comma 8). La corte di appello può rifiutare il riconoscimento della decisione sulle misure cautelari in uno dei seguenti casi: a) se non sussiste una o più delle condizioni di cui all’art. 10, comma 1; b) se il certificato trasmesso dall’autorità competente dello Stato di emissione è incompleto o manifestamente non corrisponde alla decisione sulle misure cautelari e non è stato completato o corretto entro il termine fissato ai sensi dell’art. 12, comma 2; (9) Si tratta di: a) associazione per delinquere; b) terrorismo; c) tratta di esseri umani; d) sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile; e) traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope; f) traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi; g) corruzione; h) frode, compresa la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee ai sensi della convenzione del 26 luglio 1995, relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee; i) riciclaggio; l) falsificazione e contraffazione di monete; m) criminalità informatica; n) criminalità ambientale, compreso il traffico illecito di specie animali protette e il traffico illecito di specie e di essenze vegetali protette; o) favoreggiamento dell’ingresso e del soggiorno illegali di cittadini non appartenenti a Stati membri dell’UE; p) omicidio volontario, lesioni personali gravi; q) traffico illecito di organi e tessuti umani; r) sequestro di persona; s) razzismo e xenofobia; t) furti organizzati o con l’uso di armi; u) traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti d’antiquariato e le opere d’arte; v) truffa; z) estorsione; aa) contraffazione e pirateria in materia di prodotti; bb) falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi; cc) falsificazione di mezzi di pagamento; dd) traffico illecito di sostanze ormonali ed altri fattori di crescita; ee) traffico illecito di materie nucleari e radioattive; ff) traffico di veicoli rubati; gg) violenza sessuale; hh) incendio; ii) reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale; ll) dirottamento di nave o aeromobile; mm) sabotaggio. (10) Così, il ricorso - anche per il merito - può essere proposto, entro dieci giorni, dalla persona interessata, dal suo difensore e dal procuratore generale presso la Corte d’Appello; e il ricorso sospende l’esecuzione del provvedimento di riconoscimento. La corte decide con sentenza entro quindici giorni dalla ricezione degli atti, e le forme del procedimento sono quelle previste dall’art. 127 c.p.p.; l’avviso è notificato o comunicato alle parti almeno cinque giorni prima dell’udienza, mentre la decisione è depositata a conclusione dell’udienza con motivazione contestuale o, in caso di impossibilità, la motivazione è depositata entro cinque giorni dalla pronuncia. Copia del provvedimento è immediatamente trasmessa, anche a mezzo telefax, al Ministero della giustizia. Quando la corte annulla con rinvio, gli atti vengono trasmesso al giudice di rinvio, il quale decide entro venti giorni dalla ricezione. 1020 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria c) se risulta che il riconoscimento della decisione sulle misure cautelari viola il divieto di sottoporre una persona, già definitivamente giudicata, ad un nuovo processo per i medesimi fatti; d) per i reati non elencati nell’art. 11, se i fatti oggetto della decisione non sono previsti come reato anche dalla legislazione italiana. L’esecuzione non può essere rifiutata, in materia di tasse o di imposte, di dogana e di moneta, se la legislazione italiana non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte o non contiene lo stesso tipo di disciplina in materia di tasse o di imposte, di dogana e di moneta, della legislazione dello Stato di emissione; e) se per i fatti per i quali la trasmissione dall’estero è stata chiesta si sia già verificata la prescrizione del reato; f) se sussiste una causa di immunità riconosciuta dall’ordinamento italiano che rende impossibile l’esecuzione; g) se la misura è stata irrogata nei confronti di una persona che, alla data di commissione del fatto, non era imputabile per l’età, secondo la legge italiana (art. 13, comma 1). Nei casi di cui al comma 1, lettere a), b) e c), la corte di appello, prima di decidere di rifiutare il riconoscimento e la sorveglianza, consulta, anche tramite il Ministero della giustizia, con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta, l’autorità competente dello Stato di emissione e richiede ogni informazione utile alla decisione (art. 13, comma 2). In merito, in particolare, alla verifica della violazione del ne bis in idem, questa sarà rimessa anche alla concreta efficienza del sistema di scambio fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario e del sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS) (11). Il primo degli effetti del riconoscimento è l’attribuzione della competenza (recte, legittimazione) per la sorveglianza degli obblighi e delle prescrizioni imposti con la decisione sulle misure cautelari al procuratore generale presso la corte di appello che ha deliberato; la disciplina è quella prevista dalla legge italiana (art. 14, commi 1 e 2). Ne deriva che all’autorità giudiziaria italiana non è attribuita alcuna competenza in merito alla revoca o all’aggravamento della misura cautelare, che è riservata all’autorità dello Stato di emissione. Al procuratore generale - che si avvale della polizia giudiziaria ai fini della sorveglianza, secondo il principio sancito dall’art. 109 Cost. - è conseguentemente attribuito il compito di informare, anche tramite il Ministero della giustizia, l’autorità competente dello Stato di emissione di qualsiasi inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni imposti con la decisione sulla misura cautelare e di qualsiasi altro elemento tale da comportare l’adozione di un provvedimento di revoca della decisione o di modifica degli obblighi e delle prescrizioni imposti, tramite il modulo di cui all’allegato II al decreto in commento (art. 14, comma 3). La competenza per la sorveglianza delle misure cautelari cessa, dandone informazione all’autorità competente dello Stato di emissione: a) se l’interessato ha stabilito la residenza legale e abituale in uno Stato diverso dallo Stato italiano; b) se l’interessato, dopo la trasmissione della decisione sulle misure cautelari e del certificato da parte dello Stato di emissione, non si trova più sul territorio dello Stato italiano; c) se l’autorità competente dello Stato di emissione ha modificato gli obblighi e le prescrizioni delle misure cautelari e, non corrispondendo più questi alle misure previste dalla legislazione italiana, l’autorità italiana procedente ha rifiutato l’esercizio dei poteri di sorveglianza; d) quando sono scaduti i termini massimi, previsti dalla legge italiana, per la sorveglianza delle misure cautelari; e) se l’autorità italiana procedente ha deciso di porre fine alla sorveglianza, in caso di mancato riscontro alla comunicazione, nonostante la fissazione di un termine ragionevole, dell’inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni tale da comportare il riesame, la revoca della decisione sulle misure cautelari o la modifica degli obblighi e delle prescrizioni impartiti (art. 15). È, infine, previsto che sono a carico dello Stato italiano le spese sostenute nel territorio nazionale per la sorveglianza sull’osservanza degli obblighi e (11) Il rinvio è ovviamente al D.Lgs. 12 maggio 2016, n. 74, c o n t e n e n t e l’ “A t t u a z i o n e d e l l a d e c i s i o n e q u a d r o 2009/315/GAI, relativa all’organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario”, in vigore dal 4 giugno 2016 (in G.U., 20 maggio 2016, n. 117); in argomento, v. L. Kalb, Il sistema informativo giudiziario: il casellario e l’anagrafe, in AA.VV., Procedura penale. Teoria e pratica del processo, diretto da G. Spangher - A. Marandola - G. Garuti - L. Kalb, IV, Impugnazioni. Esecuzione penale. Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, a cura di L. Kalb, Torino, 2015, 778 s., e, se si vuole, D. Cimadomo, I casellari e l’anagrafe, in AA.VV., Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, VI, a cura di L. Kalb, Torino, 2009, 360 s.; Id., Il casellario giudiziario, AA.VV., “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano. Adattamenti normativi e approdi giurisprudenziali, cit., 835 s. Diritto penale e processo 8/2016 1021 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria delle prescrizione imposti con la decisione sulle misure cautelari (art. 16). Le garanzie della persona sottoposta a procedimento tra poteri dell’autorità giudiziaria, rimedi consentiti e sanzioni processuali È opportuno avanzare qualche considerazione, in merito, in particolare, alle “misure cautelari” previste dall’art. 4. Il principio di legalità, ricavabile dell’art. 272 c.p.p. e, prima ancora, dall’art. 13 Cost., appare senza dubbio osservato, posto che il “catalogo” non consente alcuna interpretazione estensiva (12); tuttavia si palesano profili di criticità, dal momento che la misura cautelare prevista dalla lettera a) presenta peculiari caratteristiche. A differenza, infatti, delle altre misure, le quali trovano perfetta corrispondenza nelle misure previste dal codice di procedura penale, quella in argomento è un novum unicum dall’indubbia rilevanza. Ciò che segna il percorso interpretativo sono la natura della “misura cautelare” de qua e la possibilità che la prescrizione in essa contenuta elevi il singolare “vincolo” a limitazione non solo della libera determinazione della persona, ma anche delle sue scelte processuali, le quali dovrebbero essere, invece, governate da differente logica. Non è inopportuno chiedersi se tale prescrizione abbia una finalità di tipo meramente processuale, connessa all’esigenza di rapido accertamento del fatto penalmente o, meglio, all’obiettivo di prevenire gli eventuali “ostacoli” alla (formale) conoscenza del procedimento attraverso il meccanismo delle notificazione; obiettivo, quest’ultimo, che appare essere considerato prevalente su quello di protezione dei cittadini - nel rispetto del diritto alla libertà e della presunzione di innocenza - sancito, invece, expressis verbis dalla decisione quadro 2009/829/GAI. Che il codice di procedura penale non contempli una misura cautelare di contenuto analogo a tale “vincolo”, è circostanza certamente indicativa, e consente di rilevare come tale strumento celi una forma di collaborazione coatta della persona sotto(12) Da ultimo v. A. Bassi, La cautela nel sistema penale. Misure e mezzi di impugnazione, Padova, 2016, 2 s. (13) “Il pubblico ministero può ritirare il certificato, purché non abbia avuto inizio l’esecuzione all’estero, quando l’autorità competente dello Stato di esecuzione comunica i termini di durata massima della sorveglianza delle misure cautelari previsti dalla legislazione di quello Stato e questi sono superiori a quelli delle corrispondenti misure previste dalla legge italiana. 1022 posta a procedimento, non destinata a soddisfare l’esigenza di cautela propria del decreto in commento e, prima ancora, dell’attuata decisione quadro. Il profilo evocato è piuttosto quello relativo alle notificazioni e, in particolare, alle regole previste dall’art. 161, comma 1, c.p.p., che impone all’indagato di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto, mentre in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni vengono eseguite mediante consegna al difensore. Nulla, però, è previsto in caso di inosservanza di siffatta prescrizione, dovendosi ritenere che sia certamente inaccettabile immaginare aggravamenti del trattamento cautelare. Può essere proposta una considerazione ulteriore con riguardo all’art. 7, comma 3 (13), che, a ben vedere, prevede una tutela parziale della libertà personale e dell’esercizio dei diritti della persona. La disposizione in argomento non impone al pubblico ministero di ritirare il certificato, ma solo di valutare tale eventualità, e soltanto finché non abbia avuto inizio l’esecuzione, con la conseguenza che in caso di riconoscimento della decisione sulla misura cautelare e dell’inizio dell’esecuzione all’estero, il vincolo cautelare potrebbe protrarsi per un ulteriore periodo, in dispregio del titolo esecutivo e, anche, della legislazione italiana. Sembra, anzi, doversi rilevare che la limitazione della libertà o dell’esercizio di un’attività sia addirittura sine titulo in relazione a tale ulteriore periodo e, comunque, non in forza di atto motivato dell’autorità giudiziaria, come previsto dall’art. 13 Cost. Identica considerazione è da fare se l’autorità dello Stato di esecuzione ha assunto la decisione di adattare le misure secondo la legislazione di quello Stato. Ne deriva che occorrerebbe verificare quali possano essere i rimedi esperibili dalla persona destinataria della decisione, la quale - anche in forza del principio di complementarietà di cui all’art. 18, comma 1, del decreto (14)- dovrebbe avere la possibilità di dolersi dinanzi alla corte di cassazione Allo stesso modo, e sempre che l’esecuzione non abbia avuto inizio, può provvedere quando riceve comunicazione che l’autorità dello Stato di esecuzione ha assunto la decisione di adattare le misure secondo la legislazione di quello Stato”. (14) “Per quanto non previsto dal presente decreto si applicano le disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari, in quanto compatibili”. Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria ex art. 111, comma 7, Cost., mentre di improbabile realizzazione è l’esperimento di un eventuale meccanismo impugnatorio nello Stato di esecuzione. L’esigenza dell’effettiva tutela della persona sottoposta a procedimento imporrebbe di dubitare della legittimità costituzionale di tale norma nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero abbia l’obbligo di ritirare il certificato proprio nell’eventualità prima paventata, e ciò per l’evidente necessità di evitare disparità di trattamento, se si procede a confronto con analoga vicenda processuale “interna” (art. 3 Cost.), nonché in ragione del fatto che la limitazione della libertà o dell’esercizio dell’attività avrebbe luogo in un caso non previsto dalla legge italiana e nemmeno in forza di un atto motivato dell’autorità giurisdizionale (art. 13 Cost.). Con riguardo, infine, alle cause di cessazione della legittimazione per la sorveglianza delle misure cautelari in caso di trasmissione dall’estero, risalta tra esse quella di cui alla lett. d) - “quando sono scaduti i termini massimi, previsti dalla legge italiana, per la sorveglianza delle misure cautelari” - che è certamente coerente con il sistema cautelare improntato alla riserva di legge e di giurisdizione (art. 13 Cost.) - a differenza di quanto previsto dall’art. 7, comma 3, che tollera, invece, la limitazione del- Diritto penale e processo 8/2016 la libertà personale e dell’esercizio di diritti ultra fines quando la trasmissione della decisione sulle misure cautelari è disposta all’estero. Riflessioni conclusive Un ulteriore passo in avanti della cooperazione giudiziaria e di polizia L’intervento legislativo va accolto con favore: per un verso, si persegue ulteriormente l’obiettivo di conservare e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia che si è prefissa l’UE; per altro verso, si previene - come espressamente sottolineato dal Considerando n. 5 della decisione quadro 2009/829/GAI - “il rischio di una disparità di trattamento tra coloro che risiedono e coloro che non risiedono nello Stato del processo, dal momento che la persona non residente nello Stato del processo corre il rischio di essere posta in custodia cautelare in attesa di processo, laddove un residente non lo sarebbe”. Peraltro, il provvedimento legislativo in commento segna il rafforzamento della fiducia reciproca tra gli Stati membri e costituisce occasione del ravvicinamento delle relative legislazioni, sebbene sia ancora lungo il cammino verso una disciplina europea del processo penale. 1023 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Sanzioni pecuniarie L’attuazione della decisione quadro sul reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie di Luigi Giordano (*) La decisione quadro 2005/214/GAI ha esteso il principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie, sul presupposto che, in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, non poter eseguire all’estero le sanzioni pecuniarie leda la libera circolazione delle persone, pregiudicando i diritti dei singoli e della collettività. In data 12 marzo 2016 è stato pubblicato il D.Lgs. n. 37 con cui detta decisione è stata attuata, seppur con molto ritardo rispetto ai tempi originariamente previsti. La nuova normativa si inserisce in un pacchetto di provvedimenti con cui sono state recepite diverse decisioni quadro adottate nell’ambito del terzo pilastro dell’Unione, relativo alla cooperazione giudiziaria in materia penale, prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Decisione quadro 2005/214/GAI del consiglio del 24 febbraio 2005 Applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie, in G.U. dell’UE L 76/16, del 22 marzo 2005. D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 37 G.U. 12 marzo 2016, n. 60 (in vigore dal 27 marzo 2016). Modifiche Non si rilevano modifiche al c.p.p. Si rinvia all’art. 22, L. 22 aprile 2005, n. 69 (art. 11). La decisione quadro 2005/214/GAI Al fine di rafforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia all’interno dell’Unione, le istituzioni europee hanno accentuato negli anni il ricorso al principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie (1). Detto principio, com’è noto, è stato espresso durante il Consiglio europeo di Cardiff del 15 e 16 giugno 1998 e sancito dalle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 (2); successivamente ribadito nel programma dell’Aja del 4 e 5 novembre 2004 (3), è ormai contenuto nell’art. 82 T.F.U.E (4). (*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee. (1) È stato osservato (G. Diotallevi, Sulla mediazione penale e la giustizia riparativa, una sollecitazione europea per il legislatore nazionale, in E. Falletti - V. Piccone, (a cura di), Il nodo gordiano tra diritto nazionale e diritto europeo, 379) che, negli ultimi anni, gli Stati membri, piuttosto che dedicarsi ad un’opera di armonizzazione delle legislazioni nazionali, che si è rivelata difficile, hanno proceduto ad un ampio ricorso allo strumento del mutuo riconoscimento che, di fatto, ha permesso di realizzare il medesimo risultato di incentivare la cooperazione in campo giudiziario. (2) Nel considerandum n. 3 della decisione è sottolineato che, il 29 novembre 2000, il Consiglio ha adottato, conformemente alle conclusioni di Tampere, un programma di misure per l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale (2001/C 12/02), stabilendo come priorità l’adozione di uno strumento che applichi proprio “il principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie (misura n. 18)”. Il programma è stato pubblicato sulla GUCE del 15 gennaio 1999. (3) Il programma è stato adottato dal Consiglio europeo del 4 e 5 novembre 2004. Elencava dieci priorità dell’Unione per rafforzare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia nei successivi cinque anni. Tra queste anche il completamento del programma di reciproco riconoscimento delle decisioni. (4) L’art. 82 del Trattato sul funzionamento dell’UE stabilisce che “la cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione è fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e include il ravvicinamen- Contenuti, principi, obiettivi e tempi dell’avvenuto recepimento 1024 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Per concretizzare il mutuo riconoscimento nel settore dell’esecuzione penale sono intervenuti diversi provvedimenti tra i quali la decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato di arresto europeo; quella 2003/577/GAI, che concerne i provvedimenti di blocco dei beni e di sequestro probatorio; quella 2008/909/GAI del Consiglio del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del suddetto principio alle sentenze penali che infliggono pene detentive o misure restrittive della libertà personale (5); e quella 2008/947/GAI, che riguarda l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive (6). In questo contesto si pone pure la decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005 sul reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie, che è stata attuata dal D.Lgs. 16 febbraio 2016, n. 37, adottato in base all’art. 18, lett. c), L. 9 luglio 2015, n. 114 (7). La decisione è volta all’introduzione di un meccanismo per l’esecuzione delle sanzioni pecuniarie tramite una soluzione concordata fra gli Stati membri e in un’ottica di reciproca fiducia, sulla base della considerazione secondo cui, in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, l’impossibilità di eseguire all’estero una sanzione pecuniaria determina un vulnus alla libera circolazione delle persone, con pregiudizio dei diritti e degli interessi dei singoli nonché della stessa collettività (8). Come per ogni normativa di origine euro-unitaria, le disposizioni iniziali, che contengono le norme definitorie, assumono un ruolo centrale per comprendere l’area operativa del nuovo strumento. Secondo l’art. 1, la decisione quadro 2005/214/GAI si applica ai provvedimenti giudizia- ri definitivi che infliggono una sanzione pecuniaria ad una persona fisica o giuridica e che sono adottati da uno Stato membro, definito “Stato della decisione”. Lo stesso art. 1, par. 1, lett. a), punti i) e ii), precisa che la decisione può essere emessa, a seguito di un fatto che costituisce reato ai sensi della legislazione di detto Stato, da un’autorità giudiziaria dello Stato oppure da un’autorità diversa da quella giudiziaria, purché, in questo secondo caso, alla persona interessata sia stata data la possibilità di essere giudicata “da un’autorità giudiziaria competente, in particolare, in materia penale”. Il margine di azione del mutuo riconoscimento è esteso dalle ulteriori fattispecie contemplate dalla medesima disposizione ai punti iii) e iv). È definita “decisione”, infatti, anche il provvedimento di un’autorità dello Stato diversa da quella giudiziaria, emessa a seguito di atti che sono punibili a norma della legislazione di detto Stato a titolo di infrazioni a regolamenti (dunque, non per violazioni della norma penale), “purché alla persona interessata sia stata data la possibilità di essere giudicata da un’autorità giudiziaria competente, in particolare, in materia penale” (9) nonché quella emessa “da un’autorità giudiziaria competente, in particolare, in materia penale”, qualora la decisione sia stata resa a titolo di infrazioni a regolamenti. Quest’articolata definizione della “decisione” deriva dalle profonde differenze esistenti all’interno dei vari sistemi statali. In diversi ordinamenti europei, a seguito della commissione di un reato, la sanzione pecuniaria può essere inflitta anche da organi diversi da quelli giudiziari, come, ad esempio, da autorità di polizia; dinanzi all’autorità giudiziaria penale, inoltre, talvolta può essere impugnata anche una sanzione pecuniaria di natura non penale (10). to delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei settori di cui al paragrafo 2 e all’articolo 83”. (5) Questa decisione è stata attuata dal D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161. (6) Questa decisione è stata recepita di recente dal D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 38. (7) Si tratta della legge di delegazione europea del 2014. Questa legge, che deve essere presentata alle Camere entro il 28 febbraio, è approvata con cadenza annuale e reca le deleghe al governo per il recepimento di direttive ed altri atti dell’UE (artt. 29, comma 4, e 30 comma 2, L. 234 del 2012). Sulla specifica legge di delegazione europea che ha portato all’attuazione della decisione quadro in tema di mutuo riconoscimento delle sanzioni pecuniarie, si veda S. Monici, Legge di delegazione europea 2014 (l. 9.7.2015, n. 114): le deleghe rilevanti in materia di diritto e procedura penale, in www.lalegislazionepenale.eu, 19 dicembre 2015, 1 ss. (8) La cooperazione giudiziaria in tema di sanzioni pecunia- rie, prima della decisione quadro, era assicurata dalla Convenzione europea sull’efficacia internazionale delle sentenze penali del 28 maggio 1970, entrata in vigore il 26 luglio 1974 e dall’Accordo di cooperazione in materia di infrazioni stradali, approvato dal Comitato esecutivo, con decisione del Comitato esecutivo del 28 aprile 1999. Entrambi gli strumenti, però, ha avuto una limitata rilevanza pratica a causa dello scarso numero di ratifiche. (9) Sulle difficoltà derivanti dall’applicazione del reciproco riconoscimento alle decisioni adottate dall’autorità amministrativa cfr. C. Amalfitano, Conflitti di giurisdizione e riconoscimento delle decisioni penali nell’unione europea, Milano, 2006, 381. (10) Ad esempio, in Svezia, le autorità competenti in materia fiscale o di polizia possono imporre direttamente la sanzione penale, qualora il sospettato ammetta la sua colpa ed accetti la multa, che potrà essere resa esecutiva se non sarà pagata volontariamente, purché non sia superiore ai duecentoventi euro per persona. Così, P. De Pasquale, Sul reciproco ri- Diritto penale e processo 8/2016 1025 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria L’estensione a sanzioni amministrative trova fondamento nel considerandum n. 2 della decisione, secondo cui il principio del mutuo riconoscimento si deve applicare “alle sanzioni pecuniarie comminate dalle autorità giudiziarie o amministrative”, e in quello n. 4, nel quale è previsto che la decisione quadro “dovrebbe includere anche le sanzioni pecuniarie comminate per infrazioni al codice della strada”. Essa, inoltre, mira ad estendere il nuovo strumento di mutuo riconoscimento al c.d. diritto punitivo pubblico, peraltro già oggetto di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri in forza della convenzione di Bruxelles sull’assistenza giudiziaria in materia penale del 29 maggio 2009. La decisione quadro in esame, tuttavia, è stata adottata nell’ambito del c.d. terzo pilastro, relativo alla cooperazione giudiziaria tra gli stati membri, prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Ciò ha imposto la previsione di una specifica limitazione al mutuo riconoscimento delle sanzioni pecuniarie emesse da autorità diverse da quella giudiziaria in senso stretto o comminate per violazioni amministrative (11). Questa limitazione consiste nel fatto che, in tanto il mutuo riconoscimento può trovare applicazione anche delle sanzioni pecuniarie amministrative (o di quelle penali adottate da autorità diverse da quelle giudiziarie), in quanto alla persona interessata sia assicurata la possibilità di essere giudicata da un’autorità competente, in particolare, in materia penale. In altri termini, il dato decisivo per stabilire se una determinata sanzione rientra nell’ambito della cooperazione penale non è rappresentato dalla natura giudiziaria o meno dell’autorità che ha emesso il provvedimento (né, di conseguenza, dalla natura di illecito penale o meno della violazione), ma consiste nella possibilità di impugnare il provvedimento dinanzi ad un’autorità giudiziaria competente, in particolare, in materia penale (12). Per “sanzione pecuniaria”, sempre secondo l’art. 1 della decisione quadro, si deve intendere “l’obbligo di pagare una somma di denaro in seguito a condanna per un illecito imposta da una decisione”. È definito sanzione pecuniaria anche “il risarcimento delle vittime imposto nella decisione irrevocabile di condanna”, ma soltanto “qualora la vittima non sia parte civile nel processo e l’autorità giudiziaria agisca nell’esercizio della sua competenza penale” (13). Costituisce sanzione pecuniaria, inoltre, la somma di denaro da pagare per le spese dei procedimenti giudiziari o amministrativi connessi alla decisione e quella da versare a favore di un fondo pubblico o di organizzazioni di assistenza alle vittime, eventualmente imposta nella stessa decisione. Esulano dalla nozione di sanzione pecuniaria, invece, “gli ordini di confisca degli strumenti o dei proventi di reato” e le “decisioni di natura civilistica scaturite da un’azione di risarcimento di danni e di restituzione” (14), provvedimenti per i quali sono operativi diversi strumenti di cooperazione giudiziaria in ambito europeo. Il destinatario della decisione di condanna può essere anche una persona giuridica. Si tratta di un profilo molto delicato della norma europea, perché alcuni ordinamenti giuridici non prevedono tale forma di responsabilità o hanno provveduto ad introdurla solo in epoca recente. La soluzione scelta dalla decisione quadro consiste nell’obbligo di attuare la sanzione anche per lo Stato di esecuzione che non ammette il principio della responsabilità penale delle persone giuridiche. In questo senso, si comprende come il principio del mutuo riconoscimento dei provvedimenti produca anche una spinta verso l’armonizzazione delle legislazioni. Ai sensi dell’art. 4 della decisione quadro, una decisione definitiva che infligge una sanzione pecuniaria può essere trasmessa direttamente dall’autorità competente dello Stato della decisione a quella dello Stato membro in cui il destinatario dispone conoscimento delle sanzioni pecuniarie tra gli stati membri dell’unione europea, in Dir. un. eur., 2007, 541. (11) G. Iuzzolino, L’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie, in AA.VV, Diritto penale europeo ed ordinamento italiano, Milano, 2006, 125. (12) Secondo Corte di Giustizia UE 14 novembre 2013, causa C-60/12, Mariàn Balàz, in A. Damato - P. De Pasquale - N. Parisi, Argomenti di diritto penale europeo, Torino, 2014, 189, la locuzione “autorità giudiziaria competente in particolare in materia penale” non può essere lasciata all’apprezzamento di ciascun Stato membro ed esige, invece, un’interpretazione uniforme ed autonoma. In questa prospettiva, la natura di organo giurisdizionale presuppone una serie di caratteristiche come il fondamento legale, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, l’indipendenza e l’applicazione di norme giuridiche, senza che sia richiesto che tale autorità disponga di una competenza esclusivamente penale. (13) È stato rilevato (P. De Pasquale, Sul reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie tra gli stati membri dell’unione europea, cit., 541) che una misura “compensativa” di tale genere è prevista nei Paesi di common law ed è stata contemplata dalla decisione quadro in esame soltanto perché nel Regno Unito ed in Irlanda ha natura penale, mentre in tutti gli altri Paesi membri tale sanzione ha natura civile e rientra nell’ambito di applicazione del Reg. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. (14) S. Monici, Legge di delegazione europea, cit., 5. 1026 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria di beni o di un reddito, ha la sua residenza abituale o, nel caso di una persona giuridica, ha la propria sede statutaria. Il rapporto diretto tra le autorità competenti è uno dei pilastri della cooperazione giudiziaria europea. La decisione deve essere corredata da un “certificato”, che consiste in un documento redatto secondo un modello allegato alla norma europea, firmato dall’autorità competente nello Stato della decisione, che deve attestare l’esattezza del suo contenuto (15). In questo documento, redatto nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato di esecuzione (art. 16), lo Stato della decisione può esprimere il proprio consenso all’eventuale applicazione di sanzioni alternative, tra cui pene privative della libertà, nel caso in cui la riscossione della sanzione pecuniaria si rivelasse impossibile (art. 10). Per garantire l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento, per una serie di reati elencati nella decisione stessa non è necessaria la verifica della doppia punibilità del fatto (16). Ai sensi dell’art. 5, par. 1, si tratta dei reati già previsti dalle decisioni in materia di mandato d’arresto europeo, ai quali si aggiungono i seguenti ulteriori illeciti: le infrazioni al codice della strada, alle norme sul trasporto di merci pericolose; il contrabbando di merci; la violazione dei diritti di proprietà intellettuale; le minacce e gli atti di violenza contro le persone anche in occasione di eventi sportivi; il danneggiamento; il furto; i reati stabiliti dallo Stato della decisione e contemplati nell’attuazione degli obblighi derivanti dagli strumenti adottati a norma del trattato CE o del Titolo VI del trattato UE. L’ambito di esclusione del principio della doppia punibilità, dunque, è sensibilmente più ampio di quello del mandato d’arresto europeo e del mandato di sequestro europeo ed è disciplinata anche la procedura per il successivo ampliamento di questo spazio. L’art. 5, par. 3, poi, dispone che lo Stato di esecuzione possa eseguire anche sanzioni pecuniarie per i “reati diversi da quelli elencati nel paragrafo 1”, subordinando il riconoscimento della decisione di condanna alla condizione che si riferisca a una condotta che costituirebbe reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione (c.d. doppia incriminabilità), “indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla sua qualifica”. L’autorità dello Stato di esecuzione riconosce la decisione che le è trasmessa senza richiesta di ulteriori formalità e adotta tutti i provvedimenti necessari alla sua esecuzione. Il rifiuto del riconoscimento della decisione di condanna da parte dello Stato di esecuzione, invece, può avvenire per ragioni formali (“qualora il certificato di cui all’art. 4 non sia prodotto, sia incompleto o non corrisponda manifestamente alla decisione in questione”) e per le seguenti cause sostanziali: 1) esiste una decisione per gli stessi fatti nei confronti della persona condannata (ne bis in idem) nello Stato di esecuzione o in uno Stato diverso dallo Stato della decisione o dallo Stato di esecuzione e, in quest’ultimo caso, la decisione ha ricevuto esecuzione; 2) la decisione si riferisce ad atti che non costituirebbero reato nello Stato di esecuzione, ai sensi dell’art. 5; 3) la sanzione è prescritta, secondo la legge dello Stato di esecuzione; 4) la sanzione si riferisce ad atti considerati dalla legge dello Stato di esecuzione come compiuti interamente o in parte nel suo territorio o come compiuti al di fuori dello Stato dello decisione e la legge dello Stato di esecuzione non consente azioni penali per gli stessi reati quando sono compiuti al di fuori del suo territorio; 5) esiste un’immunità ai sensi della legge dello Stato di esecuzione che rende impossibile l’esecuzione della decisione; 6) la sanzione non è valida perché inflitta ad un minore; 7) la persona interessata non è stata informata dei fatti o non è stata posta in condizione di partecipare personalmente al giudizio (sul punto la decisione quadro del 2005 è stata modificata dalla successiva decisione quadro 2009/299/GAI che promuove l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo); 8) la sanzione è inferiore a euro 70. L’art. 13 della decisione prevede che le somme ottenute in seguito all’esecuzione delle decisioni spettano allo Stato di esecuzione, salvo diverso (15) Il certificato costituisce una nuova species di ordine europeo o euro-ordinanza, trattandosi di un provvedimento tipico, i cui elementi costitutivi sono determinati dalla decisione quadro e che è uniforme in tutti gli Stati membri (cfr. G. Iuzzolino, L’applicazione del principio del reciproco riconoscimento, cit., 130). (16) Nella versione in inglese, in verità, all’art. 5, par. 1 e 3, la decisione quadro impiega il termine “offence” con il quale non si allude solo ai reati, ma più in generale a violazioni o infrazioni. L’art. 1 della decisione quadro, del resto, non fa riferimento solo a sanzioni pecuniarie penali, ma anche a sanzioni amministrative, purché, come si è visto, “alla persona interessata sia stata data la possibilità di essere giudicata da un’autorità giudiziaria competente, in particolare, in materia penale”. Diritto penale e processo 8/2016 1027 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria accordo tra quest’ultimo e lo Stato della decisione (17). Lo Stato della decisione non può trasmettere la decisione a più Stati dell’esecuzione (art. 4), né può procedere all’esecuzione di una decisione che ha trasmesso all’estero ai sensi dell’art. 4 (art. 15), salvo, in quest’ultimo caso, che sia stato informato della mancata esecuzione totale o parziale o del mancato riconoscimento dell’esecuzione (art. 15). Il pagamento spontaneo da parte del condannato, di cui va informato tempestivamente l’Autorità competente dello Stato di esecuzione, invece, determina la necessaria estinzione della procedura. Una previsione peculiare della decisione-quadro è contenuta nell’art. 20, par. 3, secondo cui “ciascuno Stato membro può, se il certificato di cui all’art. 4 solleva la questione di un’eventuale violazione dei diritti fondamentali o dei principi giuridici fondamentali enunciati nell’art. 6 dei trattati, opporsi al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni”. Si tratta di una clausola di chiusura la quale non deve portare all’introduzione di un controllo del giudice dello Stato dell’esecuzione sulla decisione emessa nello Stato di emissione, che non può considerarsi compatibile con il principio del mutuo riconoscimento. La decisione è stata recepita con notevole ritardo. Ai sensi dell’art. 20, par. 1, della stessa decisione quadro, infatti, l’adozione da parte degli Stati membri delle misure necessarie doveva intervenire entro il 22 marzo 2007 (18). Il D.Lgs. 37 del 2016 fa parte di un “pacchetto” di nuove normative con cui sono state attuate numerose decisioni quadro in materia di cooperazione giudiziaria penale in base alle previsioni degli artt. 1 e 18 della legge di delegazione europea 2014 (19). Le nuove disposizioni vanno coordinate con quelle del D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 31, che ha recepito la decisione quadro 2009/299/GAI del 26 febbraio 2009, che modifica le precedenti decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento Le novità; le autorità legittimate; il procedimento; i poteri; le garanzie Il D.Lgs. n. 37 del 15 febbraio 2016 si compone di 17 articoli suddivisi in 4 Capi. Il Capo I, nel quale sono compresi gli articoli da 1 a 3, contiene le disposizioni generali. Esse definiscono le finalità del provvedimento, che consistono nell’attuazione nell’ordinamento interno della decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie nell’Unione europea. Sono quindi fissati i concetti rilevanti ai fini del mutuo riconoscimento. In particolare, oltre alle definizioni di “Stato della decisione” e di “Stato di esecuzione”, l’art. 2 contiene la definizione di “decisione”, stabilendo che si deve trattare di un provvedimento irrevocabile e, dunque, non più impugnabile tramite mezzi ordinari di ricorso, adottato: 1) da un’autorità giudiziaria, che ha emesso un provvedimento penale di condanna; 2) da un’autorità diversa da quella giudiziaria, che si è pronunciata in relazione a un fatto costituente reato, “purché alla persona interessata sia stata data la possibilità di fare ricorso all’autorità giudiziaria penale”; 3) da un’autorità diversa dall’autorità giudiziaria, che si è pronunciata in merito a una violazione amministrativa, anche in questo caso “purché alla persona interessata sia stata data la possibilità di fare ricorso all’autorità giudiziaria penale”; 4) da un’autorità giudiziaria che ha emesso una decisione in merito ad una violazione amministrativa, sempre però che ricorra la condizione dapprima indicata (“purché alla persona interessata sia stata data la possibilità di fare ricorso all’autorità giudiziaria penale”). La prima e la seconda fattispecie riguardano sanzioni pecuniarie derivanti da condanne per fatti che (17) Al contrario, come è stato già indicato, secondo l’art. 10, se lo Stato di esecuzione non riesce a riscuotere le somme dovute, può applicare sanzioni alternative, tra cui pene privative della libertà, se la sua legislazione lo prevede e lo Stato della decisione l’ha consentito nel certificato di cui all’art. 4. (18) L’art. 20, par. 3, peraltro, prevede che ciascuno Stato, per un periodo non superiore a cinque anni poteva limitare l’applicazione del mutuo riconoscimento delle sanzioni pecuniarie al solo art. 1, par. 1, lett. a), punti i) e iv) e, per quanto riguarda le persone giuridiche, alle decisioni che si riferiscono ad una condotta per la quale uno strumento europeo prevede l’applicazione del principio della responsabilità delle persone giuridiche(19) In particolare, l’art. 18 della legge delega specificamente il Governo ad adottare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega e secondo le procedure di cui all’art. 31, commi 2, 3, 5 e 9, L. n. 234 del 2012, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per l’attuazione di un elenco di decisioni quadro, tra le quali è compresa la decisione quadro 2005/214/GAI. (20) M. Castellaneta, L’Autorità competente per il nostro Paese è Via Arenula, in Guida dir., n. 18 del 30 aprile 2016, 89. 1028 alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo (20). Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 37 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria costituiscono illeciti penali. La seconda ipotesi, che ricalca sostanzialmente l’art. 1, par. 1, lett. a), punto ii), della decisione quadro, non concerne provvedimenti adottati nell’ordinamento interno, nel quale non è previsto che un’autorità diversa da quella giudiziaria possa applicare sanzioni pecuniarie giudicando un fatto costituente reato (21). Di conseguenza, può riguardare solo decisioni provenienti dall’estero. La terza e la quarta tipologia di decisione riguardano sanzioni pecuniarie che hanno natura amministrativa e che differiscono solo per il soggetto che le ha emesse (nel primo caso un’autorità non giudiziaria; nel secondo, invece, un’autorità giudiziaria). Lo stesso art. 2 del D.Lgs. n. 37 del 2016, poi, definisce la nozione di “sanzione pecuniaria” da intendersi come obbligo di pagare una somma denaro “a titolo di pena irrogata a seguito di condanna”. A questa ipotesi si affiancano ulteriori tre casi: 1) la somma liquidata dal giudice con la sentenza di condanna come risarcimento delle vittime, se le stesse non si sono costituite parte civile nel processo penale; 2) la somma dovuta a seguito di condanna alle spese nei giudizi penali e amministrativi; 3) la somma, stabilita sempre con la sentenza di condanna, da versare in favore di fondi pubblici o di organizzazioni di assistenza alle vittime. Su questa nozione di sanzione pecuniaria è necessario soffermarsi, perché potrebbe limitare l’area operativa del mutuo riconoscimento. In particolare, nella parte in cui fa riferimento ad una somma di denaro da pagare “a titolo di pena” - e, dunque, impiega il termine “pena” - induce a ritenere che il meccanismo regolato dal decreto legislativo in esame concerna le sole condanne pecuniarie penali (22). In alternativa, dovrebbe ritenersi che il termine “pena”, di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), n. 1), sia stato adoperato in modo generico, come sinonimo di sanzione, ovvero, in forza di un’interpretazione del dato normativo interno “conforme” alla decisione quadro, dovrebbe essere svilito il riferimento letterale alla natura della sanzione e, al contrario, valorizzato il profilo della possibilità di impugnazione dinanzi ad un’Autorità giudiziaria. Su questo specifico aspetto, peraltro, si ritornerà nel prosieguo. Solo qualora le vittime non si sono costituite parte civile nel processo penale, poi, è definita sanzione pecuniaria anche la somma liquidata dal giudice con la sentenza di condanna come risarcimento delle stesse. Questa ipotesi, però, non riguarda condanne irrogate nel nostro Paese, ma solo fattispecie di natura compensativa previste in altri Stati membri. Deve rilevarsi, infatti, che, se il danneggiato dal reato non si è costituito parte civile, esercitando l’azione civile nel processo penale, il giudice penale non adotta alcuna statuizione di condanna al risarcimento del danno. Una considerazione analoga deve svolgersi anche per la somma, stabilita sempre con la sentenza di condanna, da versare in favore di fondi pubblici o di organizzazioni di assistenza alle vittime: la sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro a favore di enti accerta l’esistenza di un diritto di natura civilistica in capo a detto soggetto che deve costituirsi parte civile nel processo. Le autorità competenti vengono individuate dall’art. 3 nel Ministero della giustizia e nell’autorità giudiziaria, secondo le rispettive attribuzioni disciplinate dallo stesso decreto legislativo. Il Capo II disciplina la procedura “attiva”, cioè quella da seguire ai fini del mutuo riconoscimento quando la sanzione pecuniaria sia stata decisa in Italia e debba essere eseguita in altro Stato dell’Unione europea (“trasmissione all’estero”). In particolare, l’art. 4 individua nel pubblico ministero e, in modo specifico, in quello presso il tribunale che ha emesso la decisione sulle sanzioni pecuniarie o nel cui circondario ha sede l’autorità amministrativa che si è pronunciata in merito a detta sanzione amministrativa, l’organo competente a trasmettere la decisione sulla sanzione pecuniaria all’autorità dello Stato membro nel quale la persona condannata risiede, dimora abitualmente, dispone di beni o redditi o, nel caso delle persone giuridiche, ha sede legale. Dalla specificazione relativa alla competenza in caso di sanzioni amministrative si desume che la trasmissione all’estero possa riguardare anche sanzioni pecuniarie che hanno questa natura (e dunque non circoscritta a sanzioni pecuniarie penali). Appare opportuno, però, segnalare che sembra emergere un contrasto con quanto indicato all’art. 2, comma 1, lett. b), norma nella quale, come si è appena visto, è specificato che la sanzione pecuniaria è “una somma di denaro a titolo di pena irrogata a seguito di condanna” (23). (21) P. De Pasquale, Sul reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie tra gli stati membri dell’unione europea, 541. (22) M. Castellaneta, L’Autorità competente per il nostro Paese è Via Arenula, in Guida dir., n. 18 del 30 aprile 2016, 89. (23) La difficoltà interpretativa, ovviamente, sfuma se si ritenesse che l’art. 2, comma 1, lett. b), usa in modo generico il termine “pena”. Diritto penale e processo 8/2016 1029 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria La disposizione prevede la trasmissione diretta della sanzione: il rapporto diretto tra l’autorità, che presuppone la reciproca fiducia, è uno strumento di semplificazione, tipico del sistema del mutuo riconoscimento. Quando la decisione sulla sanzione pecuniaria diviene definitiva, secondo l’art. 5 del decreto legislativo in esame, il pubblico ministero trasmette, con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta, alla competente autorità dello Stato di esecuzione la decisione stessa ed il certificato contenente tutte le informazioni rilevanti ai fini dell’esecuzione, debitamente tradotto. Per l’individuazione dello Stato di esecuzione, il pubblico ministero si può avvalere anche dei punti di contatto della rete giudiziaria europea. Se la competenza per l’esecuzione è di più Stati, la decisione può essere trasmessa solo a uno di essi alla volta. L’art. 7 disciplina gli effetti del riconoscimento della decisione sulla sanzione pecuniaria da parte dello Stato estero che ha ricevuto la richiesta del pubblico ministero italiano. In particolare, a seguito del riconoscimento, l’autorità italiana non può più procedere all’esecuzione della sanzione, avendola rimessa all’autorità estera. Il potere di procedere all’esecuzione è riassunto dalle autorità nazionali nel caso in cui l’autorità estera comunica la mancata esecuzione o l’esecuzione parziale ovvero alla persona condannata è stata concessa l’amnistia o la grazia. Quest’ultima ipotesi è prevista dall’art. 11 della decisione quadro che prevede l’eventualità della concessione della grazia o dell’indulto sia dallo Stato della decisione, che dallo Stato di esecuzione. Nel nostro ordinamento, peraltro, alle ipotesi di grazia e amnistia occorrerebbe aggiungere anche quella di indulto. L’art. 7, comma 2, lett. b), D.Lgs. n. 37 del 2016, inoltre, prevede la riassunzione del potere di eseguire la sanzione pecuniaria da parte dell’autorità italiana quando lo Stato di esecuzione rifiuta il riconoscimento. Quest’ultima disposizione appare inutile perché il comma 1 dell’art. 7 già prevede che tale potere di esecuzione venga meno solo a seguito del riconoscimento; conseguentemente, se il riconoscimento è rifiutato, l’autorità italiana conserva il potere di procedere all’esecuzione. Il Capo III, negli artt. da 8 a 15, disciplina la procedura “passiva”, cioè quella da seguire quando la decisione sulla sanzione pecuniaria sia stata adottata in altro Stato UE e debba essere eseguita in Italia (“trasmissione dall’estero”). L’art. 8 attribuisce la competenza al riconoscimento della decisione alla Corte d’Appello nel cui distretto la persona condannata risiede, dimora abitualmente, dispone di beni o di un reddito. La Corte d’appello procede al riconoscimento se sussiste una condizione di natura soggettiva, relativa alla persona che ha commesso il reato. Specificamente, occorre che la persona disponga sul territorio italiano di beni o di un reddito, ovvero vi risieda e dimori in modo abituale, o vi abbia la propria sede legale. È necessario, poi, secondo l’art. 9, comma 1, lett. b), che il fatto all’origine della decisione di condanna sia previsto come reato dal nostro ordinamento, “indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione”. Per i reati espressamente elencati all’art. 10 del decreto legislativo, tuttavia, è esclusa la verifica della c.d. doppia incriminazione (24). La norma, dunque, contiene il catalogo dei reati per i quali si prescinde da tale presupposto. Anche in tali ipotesi, però, spetta comunque alla Corte d’Appello accertare la corrispondenza tra la fattispecie oggetto della decisione e l’elenco. All’elenco di reati, infine, l’art. 10, comma 1, lett. tt), aggiunge, con una norma di chiusura, “i reati stabiliti dallo Stato della decisione e contemplati nell’attuazione degli obblighi derivanti dagli strumenti adottati a norma dei trattati UE” (25). L’esame congiunto degli artt. 9 e 10 conduce alla conclusione che, sebbene il mutuo riconoscimento sia esteso dall’art. 2, comma 1, lett. a), anche a decisioni definitive di condanna, anche di autorità non giudiziaria, di natura amministrativa, quando la trasmissione proviene dall’estero, l’attuazione della sanzione presuppone che sia stata irrogata per un fatto che nel nostro ordinamento integra un reato (in particolare, contemplato dal catalogo di cui all’art. 10 oppure comunque previsto come reato dal nostro ordinamento, “indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione”). (24) Il D.Lgs. n. 37 del 2016 conferma l’abolizione del principio della doppia incriminazione (o doppia punibilità) per l’esecuzione delle decisioni penali degli Stati membri, introdotta dalla Convenzione del 1996 sull’estradizione tra gli Stati membri e ribadita successivamente dalla decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo che, come è no- to, ha reso più agevole il riconoscimento degli esiti dell’attività giurisdizionale estera. (25) Sulla distinzione tra riconoscimento indiretto “exequatur” e diretto (o “automatico”), cfr. C. Amalfitano, Conflitti di giurisdizione e riconoscimento delle decisioni penali nell’unione europea, cit., 407. 1030 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Anche su questo profilo, peraltro, si tornerà nel prosieguo. L’art. 11 delinea il procedimento da seguire a fronte di una richiesta di riconoscimento di una decisione emessa da uno Stato membro dell’Unione europea, stabilendo che la richiesta - ovvero la decisione e il certificato tradotto in italiano - debba essere indirizzata al Procuratore generale presso la Corte d’Appello, che la trasmetterà alla Corte stessa. Se la documentazione fosse incompleta, attraverso il Ministero della giustizia, l’autorità giudiziaria può chiedere allo Stato di emissione delle integrazioni. Qualora tale Corte dovesse riscontare motivi di incompetenza, con ordinanza trasmette gli atti alla Corte d’Appello competente e ne da comunicazione, anche tramite il Ministero della giustizia, all’autorità dello Stato di decisione. La Corte d’Appello provvede sul riconoscimento in camera di consiglio, nelle forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen. entro venti giorni dalla presentazione della richiesta, prorogabili di ulteriori trenta in presenza di circostanze eccezionali. Avverso la decisione della Corte d’Appello è proponibile, entro dieci giorni, ricorso in cassazione da parte del Procuratore generale, della persona condannata e del suo difensore (26). Il ricorso non sospende l’esecutività della decisione. La Corte di cassazione si pronuncia entro trenta giorni dalla richiesta. Se il riconoscimento della decisione è negato, sul presupposto che un altro è lo Stato competente, l’autorità italiana deve trasmettere d’ufficio gli atti allo Stato di esecuzione. L’art. 12, dando attuazione all’art. 7 della decisione quadro, elenca i motivi di rifiuto del riconoscimento che, sembrano tutti facoltativi (27) e che possono consistere, oltre che nella mancanza del certificato che accompagna la decisione, nella carenza del requisito della doppia punibilità ovvero nell’accertamento che la decisione è relativa a reati non previsti nel nostro ordinamento e non riconducibili all’elenco dei gravi reati nel catalogo dell’art. 10 o, ancora, nel fatto che la decisione sia già stata eseguita in Italia o in altro Stato o che la sanzione pecuniaria prescritta. A tale ultimo proposito, va rilevato che la prescrizione della pena è disciplinata dagli artt. 172 e 174 c.p. Secondo la prima disposizione, la pena della multa si estingue nel termine di dieci anni. Quando, congiuntamente alla pena della reclusione, è inflitta la pena della multa, però, per l’estinzione dell’una e dell’altra pena si ha riguardo soltanto al decorso del tempo stabilito per la reclusione. In caso di delitto non si ha prescrizione della pena per i recidivi, i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ovvero se il condannato, durante il tempo necessario per l’estinzione della pena, riporta una condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole. L’art. 173 c.p., invece, dispone che la pena dell’ammenda si estingue nel termine di cinque anni. Tale termine è raddoppiato se si tratta di recidivi, di delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Alle predette ipotesi di rifiuto si aggiunge la sussistenza di una causa di immunità riconosciuta dall’ordinamento italiano ovvero l’irrogazione di una sanzione pecuniaria comminata a colui che, al momento dei fatti, non era imputabile per età o che la decisione è relativa a un soggetto che, per varie ragioni, era impossibilitato a partecipare al relativo giudizio (perché non informato o non comparso per causa a lui non imputabile). Conformemente alla c.d. clausola di territorialità, costituisce motivo di rifiuto il fatto che la decisione sia relativa a fatti compiuti anche in parte nel territorio italiano ovvero comunque fuori dello Stato che ha emesso la decisione. Non può essere data attuazione, inoltre, ad una sanzione pecuniaria inferiore a euro settanta. Tra i motivi di diniego del riconoscimento e dell’esecuzione, inoltre, va ricordata la clausola generale di ordine pubblico e di garanzia del diritto di difesa contenuta nell’art. 6 TUE. Infatti, all’art. 20, par. 3, della decisione quadro 2005/214/GAI è espressamente previsto che il reciproco riconoscimento debba avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi di libertà, di democrazia e dello stato di diritto. Se la Corte d’appello riconosce la decisione che applica una sanzione pecuniaria, l’esecuzione della decisione compete al Procuratore generale presso la Corte d’Appello. L’art. 13 specifica che, se la sanzione pecuniaria è più elevata rispetto al massimo consentito - in relazione allo specifico illecito - nel nostro ordinamento, la Corte d’Appello possa ridurre l’importo della sanzione all’indicato importo massimo consentito. In caso di impossibilità, anche parziale, di procedere alla riscossione, possono essere applicate sanzio- (26) Avverso il riconoscimento è ammesso il ricorso per Cassazione, analogamente a quanto già previsto dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, in materia di esecuzione del mandato di ar- resto europeo. (27) M. Castellaneta, L’autorità competente, cit., 91. Diritto penale e processo 8/2016 1031 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria ni alternative solo se espressamente previsto nel certificato che accompagna la decisione. Le somme riscosse spettano allo stato di esecuzione, salvo diverso accordo con l’autorità competente dello Stato della decisione; lo stesso Stato italiano, ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs., sostiene le spese per l’esecuzione della decisione. Nella relazione illustrativa, al riguardo, è stato rilevato che “le statistiche ministeriali evidenziano un grave stato di ineffettività della pena pecuniaria: esse mostrano infatti che le pene pecuniarie vengono poco eseguite e convertite. Il dato percentuale che ne scaturisce è che il riscosso non supera il 2,66%, con una perdita secca per le casse dello Stato stimata in circa 600 milioni di euro”. In base all’art. 14, l’esecuzione della decisione sulle sanzioni pecuniarie deve cessare se viene meno l’esecutività della decisione stessa. Il Capo IV, agli artt. 16 e 17, detta le disposizioni transitorie e finali. In particolare, l’art. 16 contiene l’ormai consueta clausola di invarianza finanziaria, mentre l’art. 17 rimanda, per quanto non espressamente previsto dallo schema di decreto legislativo, alle disposizioni compatibili del codice di procedura penale. Riflessioni conclusive Conseguimento delle finalità previste dalla fonte sovranazionale recepita e profili di criticità Il D.Lgs. n. 37 del 2016, dunque, rappresenta un’ulteriore “concretizzazione” del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie per realizzare, sulla base della reciproca fiducia, non solo la piena attuazione dei principi di libertà e di libera circolazione, ma soprattutto le imprescindibili esigenze di giustizia, consentendo di recuperare importi nei confronti di cittadini residenti all’estero. Si vuole evitare che la residenza in un diverso Stato dell’Unione sia condizione sufficiente per eludere una sanzione pecuniaria e per continuare ad avvalersi del patrimonio, nonostante le sanzioni irrogate. È certamente ragionevole ritenere che, per mezzo del nuovo meccanismo, possa aumentare la percentuale di riscossione delle sanzioni pecuniarie, che è attualmente attestata su livelli molto bassi. (28) Cfr. S. Monici, Legge di delegazione europea 2014, cit., La formulazione del decreto legislativo, però, genera talune incertezze quando si analizzano e si confrontano le definizioni che sono state impiegate. L’art. 2, comma 1, lett. a), n. 2, in particolare, ricalca l’art. 1, lett. a), n. ii), della decisione quadro, facendo riferimento a sanzioni penali irrogate da un’autorità diversa da quella giudiziaria. È stato osservato che nel nostro ordinamento non è consentito a un’autorità non giudiziaria di pronunciare in relazione a un fatto costituente reato. La norma nazionale, dunque, riproduce pedissequamente la disposizione europea la quale, però, contiene un’ipotesi che riflette le peculiarità di altri ordinamenti europei (28). Questa disposizione, di conseguenza, sembra destinata a trovare applicazione solo per il riconoscimento di provvedimenti stranieri. Nell’ambito delle “decisioni”, inoltre, sono ricomprese non solo quelle che concernono sanzioni pecuniarie di natura penale, ma anche quelle comminate per violazioni amministrative, pure da un’autorità non giudiziaria, “purché alla persona interessata sia data la possibilità di fare ricorso all’autorità giudiziaria”. L’estensione alle sanzioni amministrative va collegata ai consideranda n. 2 e 4 della decisione, che fanno riferimento alle sanzioni amministrative e, in particolare, a quelle per la violazione del codice della strada. La nozione di sanzione pecuniaria che è stata adottata, però, sembra limitare l’area operativa del mutuo riconoscimento alle sanzioni penali. In particolare, nella parte in cui fa riferimento a una somma di denaro da pagare “a titolo di pena” - e, dunque, impiega il termine “pena” - induce a ritenere che il meccanismo regolato dal decreto legislativo in esame concerna soltanto le condanne pecuniarie penali (29). In alternativa, com’è stato evidenziato, dovrebbe ritenersi che il termine “pena”, di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), n. 1), sia stato adoperato in modo generico, come sinonimo di “sanzione”. La difficoltà interpretativa si ripropone nella parte del decreto legislativo in cui sono disciplinate, in modo distinto, le procedure di riconoscimento attiva e passiva. La trasmissione all’estero, infatti, può riguardare, secondo quando si desume dall’art. 4, anche provvedimenti di un’autorità amministrativa che si è pronunciata su una sanzione di tale natura. L’ambito di applicazione del mutuo riconoscimento, nel caso di trasmissione dall’estero, invece, è circoscritto ai reati di cui al catalogo contenuto nell’art. 10 ovvero, in base all’art. 9, ai fatti che, (29) M. Castellaneta, L’autorità competente, cit., 89. 5. 1032 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione, sia considerato come reato nella legislazione nazionale. In uno dei primi commenti che si sono soffermati sul decreto legislativo, pur senza analizzare puntualmente questi aspetti, pertanto, è stato affermato che il decreto legislativo attua il principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie legate esclusivamente ad una condanna penale (30). Da questa interpretazione, però, deriva che la procedura in esame non sarebbe applicabile quando la sanzione pecuniaria è stata comminata per un’infrazione al codice della strada che non integra anche un reato. Si tratta di una conclusione che contrasta con una delle finalità esplicitate della decisione quadro nei consideranda. Le incertezze illustrate, in verità, riflettono analoga situazione che ricorre quando si confronta l’art. 1 della stessa decisione quadro con il successivo art. 5. Anche in questo caso, infatti, all’allargamento della decisione definitiva che infligge una sanzione pecuniaria a quelle adottate a titolo di infrazione a regolamenti contenuta nella prima disposizione, segue la limitazione dell’ambito di applicazione ai “reati” contemplati nell’art. 5. Al riguardo, però, va segnalato che nella versione in inglese, all’art. 5, par. 1 e 3, la decisione quadro impiega il termine “offence” con il quale non si designano solo i reati, ma in modo più ampio le violazioni o infrazioni. La Corte di Giustizia, inoltre, ha affermato che, ai sensi dell’art. 5, par. 1, l’ambito di applicazione della decisione quadro comprende anche le “infrazioni al codice della strada”, precisando che tali infrazioni non sono soggette a trattamento uniforme nei vari Stati membri, perché alcuni di essi le qualificano illeciti amministrativi, mentre altri come illeciti penali. Questo profilo esclude che sia decisiva la qualificazione delle infrazioni da parte degli Stati membri, dovendo, invece, preferirsi un’interpretazione in grado di garantire l’effetto utile della decisione (31). L’art. 1 della decisione quadro, del resto, non fa riferimento solo a sanzioni pecuniarie penali, ma anche a sanzioni amministrative, purché, come si è visto, “alla persona interessata sia stata data la possibilità di essere giudicata da un’autorità giudiziaria competente, in particolare, in materia penale”. Quest’ultima condizione è stata ritenuta, in sede europea, sufficiente a giustificare l’adozione di un simile provvedimento che riguardava anche sanzioni amministrative, nell’ambito del terzo pilastro relativo alla cooperazione giudiziaria tra gli stati membri, perché assicura all’interessato il conoscimento delle garanzia che operano nel procedimento penale (32). Appare possibile prospettare, allora, un’interpretazione del decreto legislativo conforme alla decisione quadro (33), così come, a sua volta, interpretata dalla Corte di Giustizia UE (34). In particolare, l’art. 2 del D.Lgs. n. 37 del 2016, nel definire la sanzione pecuniaria come una somma di denaro “a titolo di pena” irrogata a seguito di condanna, non limita lo spazio operativo del mutuo riconoscimento alle sole sanzioni penali, ma farebbe riferimento anche a quelle amministrative, pure se comminate da “una autorità diversa dall’autorità giudiziaria”, “purché alla persona interessata sia stata data la possibilità di fare ricorso all’autorità giudiziaria”. In questo modo, l’art. 4 del medesimo D.Lgs., che permette la trasmissione all’estero anche di provvedimenti amministrativi non contrasta con la nozione di sanzione pecuniaria di cui all’art. 2. In tema di trasmissione dall’estero, poi, gli artt. 9 e 10 del D.Lgs. n. 37 del 2006, interpretati alla luce della decisione quadro, non escluderebbero il riconoscimento delle sanzioni pecuniarie irrogate con provvedimenti di altro Paese membro di natura amministrativa, dunque per fatti che non sono “reati”, non dovendo riconoscersi particolare rilievo alla qualificazione giuridica della decisione irrevocabile che si esegue (amministrativa e non penale), sempre che ricorra il presupposto rappresentato dalla possibilità per l’interessato di impugnare la decisione dinanzi ad “un’autorità giurisdizionale penale”. Basterebbe, insomma, che in caso di impugnazione siano assicurate all’interessato le medesime garanzie che operano nel procedimento pena- (30) M. Castellaneta, L’Autorità competente, cit., 89. (31) Corte di Giustizia UE 14 novembre 2013, causa C60/12, Mariàn Balàz, in A. Damato - P. De Pasquale - N. Parisi, Argomenti di diritto penale europeo, cit., 190. (32) A. Damato - P. De Pasquale, N. Parisi, Argomenti di diritto penale europeo, cit., 183. (33) Sull’interpretazione conforme del diritto interno a quello euro-unitario, tra gli altri, si veda V. Manes, Metodo e limiti dell’interpretazione conforme alle fonti sovranazionali in materia penale, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 9 luglio 2012; E. Aprile, I rapporti tra diritto processuale penale e diritto dell’Unione europea dopo la sentenza della corte di Giustizia sul caso Pupino, in Cass. pen., 2006, 1165; F. Viganò, Recenti sviluppi in tema di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale, in questa Rivista, 2005, 1433. (34) Corte di Giustizia UE 14 novembre 2013, causa C60/12, Mariàn Balàz, cit. Diritto penale e processo 8/2016 1033 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria le perché sia riconoscibile una sanzione pecuniaria irrogata all’estero. L’art. 2 del D.Lgs., poi, precisa che solo qualora le vittime non si sono costituite parte civile nel processo penale, la sanzione pecuniaria può comprendere anche la somma liquidata dal giudice con la sentenza di condanna come risarcimento delle stesse. Si tratta di una norma che ricalca fedelmente la corrispondente disposizione della decisione quadro. È già stato rilevato, però, che, se il danneggiato dal reato non si è costituito parte civile, esercitando l’azione civile nel processo penale, il giudice penale non adotta alcuna statuizione di condanna al risarcimento del danno. La norma, allora, riguarda il riconoscimento di una misura di compensazio- ne prevista in taluni ordinamenti di common law (35) ed è destinata ad operare solo per il riconoscimento di sanzioni estere. Infine, anche la previsione, contenuta ancora nell’art. 2 del D.Lgs., della qualificazione come “sanzione pecuniaria” delle somme, fissate sempre con la sentenza di condanna, da versare in favore di fondi pubblici o di organizzazioni di assistenza alle vittime, genera incertezze. In questi casi, ove si facesse riferimento all’ordinamento interno, si potrebbe alludere alla costituzione come parte civile di enti esponenziali i quali, però, fanno valere propri diritti di matrice civilista nel processo penale, situazione che espressamente esula dall’area operativa della nuova normativa. (35) P. De Pasquale, Sul reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie tra gli stati membri dell’unione europea, cit., 541. 1034 Diritto penale e processo 8/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Misure di sequestro L’attuazione della d.q. 577/2003 sul reciproco riconoscimento dei provvedimenti di sequestro a fini di prova o di confisca di Girolamo Daraio (*) La decisione quadro n. 577/2003, cui il D.Lgs. n. 35/2016 dà attuazione, costituisce la prima forma di concretizzazione del c.d. “principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie” in materia di procedure in rem, per la preservazione di fonti probatorie o l’ablazione di patrimoni illeciti, esperibili in territorio europeo. L’operatività del principio di reciproco riconoscimento è tuttavia circoscritta alla sola fase cautelare del sequestro del bene collocato all’estero, mentre la fase “a monte” - relativa alla ricerca del bene sequestrabile - e quella “a valle” - relativa alla destinazione finale del bene sequestrato - sono affidate alle tradizionali procedure di assistenza giudiziaria in materia probatoria o di confisca. A cagione delle sue ridotte potenzialità operative, l’Europa ha soppiantato tale strumento con nuovi e più efficaci meccanismi di cooperazione - alcuni, ancora in attesa di recepimento da parte del legislatore italiano - che forniscono una disciplina completa del mutuo riconoscimento rispetto all’intera procedura in rem. Pur consapevole che trattasi ormai di disciplina inattuale poiché ampiamente superata da più recenti atti dell’Unione, il legislatore italiano - preoccupato di incorrere in procedure di infrazione - ha comunque optato per il suo recepimento, benché tardivo. Il presente lavoro mira a verificare se, come e in che misura siano stati adempiuti gli obblighi di risultato imposti dalla decisione quadro de qua. Decisione quadro 2003/577/GAI del 22 luglio 2003 Esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio. D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 35 G.U. 11 marzo 2016, n. 59 (in vigore 26 marzo 2016). Modifiche Non si rilevano modifiche al c.p.p. La decisione quadro 2003/577/GAI Con il D.Lgs. n. 35 del 15 febbraio 2016 (1), il Governo italiano, nel contesto di un complessivo intervento normativo delegato volto a trasporre nel nostro ordinamento numerose direttive europee e ben dieci atti del vecchio terzo pilastro dell’Unione (concernente la “Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale”), dà finalmente attuazione alla decisione quadro 2003/577/GAI (2), relativa all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro proba- (*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee. (1) Pubblicato l’11 marzo 2016 in G.U. ed entrato in vigore il 26 marzo 2016. (2) Adottata dal Consiglio dell’Unione europea in data 22 luglio 2023 e pubblicata in GUUE L 196 del 2 agosto 2003. Il recepimento tardivo di uno strumento giuridico ormai obsoleto per sopravvenienze normative eurounitarie Diritto penale e processo 9/2016 1133 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria torio, atto comunitario al quale gli Stati membri avrebbero dovuto adeguarsi non più tardi del 2 agosto 2005 (ex art. 14 d.q.). Giunge così a conclusione un iter normativo avviato sin dalla XV legislatura, con il conferimento di delega al Governo per l’implementazione nel nostro ordinamento della decisione quadro de qua (3), delega mai esercitata - benché fossero stati indicati in modo puntuale i principi e i criteri per l’esercizio - e scaduta il 21 marzo 2009. Migliore sorte ha avuto la nuova delega, conferita con l’art. 18, L. 9 luglio 2015, n. 114 (4), unitamente ad altre deleghe per l’adozione di misure di trasposizione di ulteriori e rilevanti decisioni quadro in materia di giustizia penale, anch’esse rimaste a lungo inattuate. A determinare la svolta è stato, probabilmente, il timore di incorrere concretamente in una procedura di infrazione - suscettibile di sfociare nella irrogazione di una sanzione pecuniaria ex art. 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) - per violazione del diritto dell’Unione, essendo venuto meno, il 1° dicembre 2014, il regime transitorio quinquennale fissato dal protocollo n. 36, allegato al Trattato di Lisbona (5), relativo ai meccanismi di tutela giurisdizionale per gli atti del c.d. (ex) terzo pilastro dell’Unione europea (6), atti destinati a restare in vigore sino alla loro abrogazione o modificazione, in forza della regola di ul- trattività espressamente sancita nell’art. 9 del citato protocollo n. 36 (7). A tale ultimo riguardo, giova ricordare che, nel post Lisbona, la politica perseguita dall’Unione nei settori del dissolto terzo pilastro, in funzione del ravvicinamento delle legislazioni penali sul piano processuale, è stata quella di avviare sin da subito un processo di graduale sostituzione e aggiornamento delle decisioni quadro con altrettante direttive. Siffatta opera di revisione (invocata, peraltro, nella dichiarazione n. 50 allegata all’atto finale della conferenza intergovernativa adottante il trattato di Lisbona) ha investito diversi atti ante Lisbona (8) e certamente non può dirsi conclusa. Relativamente alla cooperazione giudiziaria penale in materia probatoria, di particolare rilievo è l’adozione, in data 3 aprile 2014, da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, della direttiva 2014/41/UE, relativa all’ordine europeo di indagine penale (OEI) (9), che il Governo italiano dovrà trasporre nel nostro ordinamento nei prossimi mesi, in base a delega conferitagli dal Parlamento con l’art. 1 L. n. 114/2015 cit. (10). Con questa iniziativa legislativa, le istituzioni dell’UE puntano a creare uno strumento unico (l’OEI, appunto) che garantisca la ricerca, l’acquisizione e il trasferimento delle fonti probatorie da uno Stato all’altro dell’Unione, al fine di superare la frammentarietà e la complessità del quadro giuridico (3) Cfr. art. 30, L. 25 febbraio 2008, n. 34, recante “Disposizioni di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee (Legge comunitaria 2007). (4) Recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea Legge di delegazione europea 2014”. (5) Pubblicato in GUUE L 196 del 17 dicembre 2007 ed entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009. (6) È noto come l’art. 35 TUE pre-Lisbona non prevedesse, con riferimento agli atti riguardanti la cooperazione giudiziaria in materia penale, la possibilità di censurare, per il tramite della procedura di infrazione, l’eventuale violazione degli obblighi da essi derivanti (in primis, la mancata adozione di misure per la loro trasposizione negli ordinamenti nazionali). Tale regime, nonostante l’unificazione dei pilastri operata dal Trattato di Lisbona, è rimasto in vigore ancora per cinque anni, giusta il disposto dell’art. 10, par. 1 e 3 del protocollo n. 36; con conseguente impossibilità, fino alla scadenza del quinquennio di vigenza transitoria, di avvio di procedura di infrazione da parte della Commissione e di ricorso per inadempimento alla Corte di Giustizia. (7) L’abolizione, da parte del Trattato di Lisbona, dell’“architettura a pilastri” dell’Unione europea - come configurata dal trattato di Maastricht e perpetuata dal Trattato di Amsterdam, sebbene con riscrittura del terzo pilastro sia sul piano contenutistico sia su quello programmatico - ha fatto venire meno il carattere meramente intergovernativo della cooperazione giudiziaria penale e comportato l’applicazione alla stessa degli strumenti normativi comuni a tutte le altre materie, costituiti, prevalentemente, da “regolamenti” e “direttive”. Ciò nondimeno, alla dissoluzione del terzo pilastro nell’unico quadro nor- mativo dell’Unione non è seguita la cessazione degli effetti giuridici degli atti adottati ante Lisbona in tale ambito, che manterranno vigore sino a quando non saranno oggetto di un’apposita revisione o abrogazione in base alle procedure legislative disciplinate dal TFUE. (8) Si ricordano, in particolare, la d.q. 2002/629/GAI sulla lotta alla tratta degli esseri umani, che è stata sostituita dalla dir. 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime; la d.q. 2004/68/GAI, sostituita dalla dir. 2011/92/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile; la d.q. 2001/220/GAI, sostituita dalla dir. 2012/29/UE, dettante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato; le d.q. 2001/500/GAI e 2005/212/GAI, le cui disposizioni sono state modificate ed ampliate dalla dir. 2014/42/UE, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea. (9) Pubblicata in GUUE L 130 del 1° maggio 2014. (10) L’art. 36 della direttiva de qua prevede quale termine ultimo per il suo recepimento da parte degli Stati membri dell’Unione il 22 maggio 2017. Nell’ordinamento italiano, tuttavia, dovrà essere trasposta entro il 22 gennaio 2017; ciò, in base alla regola di cui all’art. 31, comma 1, L. 24 dicembre 2012, n. 234, come modificato dall’art. 29, comma 1, lett. b), L. 29 luglio 2015, n. 115 (legge europea 2014), secondo cui la delega legislativa per il recepimento di direttive conferita con legge di delegazione europea va esercitata dal Governo con un anticipo di quattro mesi rispetto alla data di scadenza fissata nella direttiva. 1134 Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria esistente (11). Il risultato finale che s’intende conseguire è la sostituzione, nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, degli attuali strumenti di assistenza o di cooperazione giudiziaria in materia probatoria penale (siano essi convenzionali o meno), con un nuovo, e più agile, modello cooperativo basato sulla diretta interazione tra autorità giudiziarie e sul mutuo riconoscimento delle relative decisioni (12), adottabile per quasi tutte le più rilevanti misure investigative finalizzate alla ricerca ed acquisizione delle fonti di prova (13). Con l’avvento dell’“ordine europeo di indagine penale” (14), dunque, usciranno di scena, con riguardo ai rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, i principali strumenti normativi di mutua assistenza giudiziaria penale finora operanti nel Vecchio Continente, imperniati sul tradizionale schema della rogatoria internazionale (15), vale a dire la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale” (16) (con i relativi protocolli addizionali e gli accordi bilaterali conclusi a norma dell’art. 26 della stessa Conv.), la Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea” (17) (con il relativo protocollo addizionale del 2001) e la Convenzione applicativa degli Accordi di Schengen (18) (art. 34, par. 1, dir. n. 41/2014). L’OEI, peraltro, è destinato a rimpiazzare anche strumenti di nuova concezione, regolati da atti dell’Unione (decisioni-quadro) e costituenti forme di concretizzazione in campo probatorio del principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Il riferimento è, innanzitutto, ai provvedimenti di blocco o sequestro di beni per finalità probatorie adottabili sulla base della d.q. 577/2003, sostituita, in parte qua, proprio dalla direttiva sull’OEI (art. 34, par. 2, dir. n. 41/2014), che, tuttavia, ne preserva l’ulteriore campo applicativo, vale a dire l’esecuzione di decisioni di blocco o sequestro per la successiva confisca dei beni. Analogo destino è riservato al mandato europeo di ricerca della prova (MER) (19), la cui fonte istitutiva, la d.q. 2008/978/GAI del 18 dicembre 2008, è stata formalmente abrogata di recente, ad opera del regolamento (UE) 2016/95 del 20 gennaio 2016 (20), a causa del suo ambito di applicazione troppo limitato: due soli Stati dell’Unione su ventotto avrebbero continuato ad applicare tale strumento nei loro rapporti reciproci, avendo deciso di non partecipare all’adozione della direttiva sull’OEI; per gli altri ventisei, il MER - ove pure fosse stato adottato (21) - sarebbe comunque uscito di scena con l’implementazione nei rispettivi ordinamenti giuridici della direttiva sull’OEI, così come previsto dall’art. 34, par. 2, dir. n. 41/2014. In effetti, l’introduzione dell’OEI, quale unico strumento per l’acquisizione e la circolazione delle prove in ambito UE, muove dalla insoddisfazione - palesata nei considerando n. 3 e 4 della dir. n. (11) Sul progressivo superamento, in ambito europeo, del modello classico dell’assistenza giudiziaria internazionale e la evoluzione verso nuovi modelli di cooperazione transfrontaliera su base non rogatoriale, cfr., volendo, G. Daraio, La circolazione della prova nello spazio giudiziario europeo, in AA.VV., “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano. Adattamenti normativi e approdi giurisprudenziali, a cura di L. Kalb, Torino, 2012, 508 ss. (12) Nelle Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie è individuato quale fondamento della cooperazione giudiziaria sia in materia civile sia in quella penale e collocato tra i capisaldi del costituendo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. (13) Restano fuori dal campo di applicazione dell’OEI alcuni tipi di provvedimenti (come, ad es., quelli concernenti l’istituzione delle squadre investigative comuni o le intercettazioni satellitari) che, per la loro peculiarità, richiedono disposizioni specifiche. (14) Definito, nella dir. 2014/41/UE, come “una decisione giudiziaria emessa o convalidata da un’autorità competente di uno Stato membro (lo ‘Stato di emissione’) per compiere uno o più atti d’indagine specifici in un altro Stato membro (lo ‘Stato di esecuzione’) ai fini di acquisire prove” ovvero “per ottenere prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione” (art. 1) nell’ambito dei procedimenti penali, o anche nei procedimenti amministrativi con implicazioni penali (art. 4). (15) Per una ricostruzione della disciplina - di fonte interna- zionale ed interna - dell’istituto della rogatoria e per un tentativo di delimitarne esattamente i confini rispetto a strumenti e a pratiche di cooperazione di polizia o giudiziaria di diversa natura, rinvenenti specifica regolamentazione in sede internazionale pattizia o da parte del diritto dell’Unione europea, cfr., volendo, Daraio, Le rogatorie, in AA.VV., Procedura penale. Teoria e pratica del processo, diretto da G. Spangher-A. Marandola-G. Garuti-L. Kalb, Vol. IV, Impugnazioni. Esecuzione penale. Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, a cura di L. Kalb, Torino, 2015, 1066 ss. (16) Siglata a Strasburgo il 20 aprile 1959, nell’ambito del Consiglio d’Europa. (17) Firmata a Bruxelles il 29 maggio 2000 e la cui ratifica da parte dall’Italia è stata autorizzata solo di recente, con la L. 21 luglio 2016 n. 149, che ha impegnato il Governo a darvi attuazione, con uno o più decreti legislativi, entro sei mesi. (18) Sottoscritta a Schengen il 19 giugno 1990. (19) Concepito come decisione giudiziaria emessa dall’autorità competente di uno Stato membro allo scopo di acquisire oggetti, documenti e dati di carattere probatorio da un altro Stato membro, occorrenti per le esigenze di un procedimento penale in corso nello Stato emittente. (20) Relativo all’abrogazione di alcuni atti nel settore della cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria in materia penale. (21) Non così per l’Italia, che non ha mai recepito la d.q. 978/2008, sicché, con riguardo al nostro Paese, la cooperazione giudiziaria mediante MER (nel suo versante attivo o passivo) non ha avuto possibilità di estrinsecazione. Diritto penale e processo 9/2016 1135 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria 41/2014 - per il modo in cui la disciplina relativa all’esecuzione dei provvedimenti di sequestro probatorio, espressa nella d.q. 577/2003, e quella concernente l’euromandato per la ricerca delle prove, contenuta nella d.q. 978/2008, si prestano ad attuare la cooperazione giudiziaria penale. Come meglio si vedrà in appresso, infatti, la d.q. 577/2003, pur consentendo di dare rapida esecuzione, in ogni Stato membro, ai provvedimenti giudiziari di blocco o sequestro di beni potenzialmente utilizzabili in chiave probatoria - onde impedirne, in via urgente e provvisoria, la distrazione o modificazione - lascia inevitabilmente scoperto il successivo trasferimento delle relative acquisizioni probatorie, ancora disciplinato formalmente dalle tradizionali procedure di assistenza giudiziaria; dunque, reciproco riconoscimento per il blocco o sequestro, rogatoria per il trasferimento: una procedura a due fasi, suscettibile di compromettere l’efficienza della cooperazione, con conseguente tendenza degli Stati a prediligere direttamente il ricorso ai classici strumenti di assistenza giudiziaria. La d.q. 978/2008, a sua volta, pur fornendo una disciplina completa del mutuo riconoscimento rispetto all’intera procedura in rem, comprensiva sia della fase del sequestro sia di quella relativa alla destinazione finale del bene, forgia uno strumento, per l’acquisizione e il trasferimento transfrontaliero della res localizzata all’estero, dalle potenzialità operative decisamente ridotte, poiché circoscritte, essenzialmente, alla raccolta di fonti probatorie già nella disponibilità delle autorità di esecuzione (22). Di qui la determinazione delle istituzioni dell’Unione di puntare a creare un sistema globale di acquisizione delle prove nelle cause aventi dimensione transfrontaliera, in sostituzione di tutti gli strumenti esistenti nel settore, compresi quelli regolamentati dalle decisioni quadro 577/2003 e 978/2008. Mentre, però, d.q. 978/2008 è sostituita in toto dalla direttiva sull’OEI, la d.q. 577/2003 lo è solo relativamente alle disposizioni sul sequestro probatorio (art. 34, par. 2, dir. 41/2014), sicché gli Stati dell’Unione vincolati da detta direttiva, una volta che l’avranno implementata nei rispettivi sistemi nazionali, potranno continuare ad adottare od ese- guire decisioni di blocco o sequestro di beni ai sensi della d.q. 577/2003, se finalizzate a congelare e privare i criminali del profitto economico, movente fondamentale e nucleo stesso della criminalità. In effetti, la d.q. 577/2003, a dispetto di quanto potrebbe far pensare la sua intitolazione, non disciplina solo il “sequestro ai fini della prova”, vale a dire l’attività di assicurazione di quelle res che s’intende utilizzare ai fini dell’accertamento di un ipotizzato delitto, bensì anche il “sequestro ai fini della confisca”, assolvente cioè alla funzione, propriamente cautelare-preventiva, di preservare l’esistenza delle cose al momento dell’esecuzione di un eventuale provvedimento di confisca, di cui viene anticipato in via provvisoria il peculiare effetto ablativo. Dunque, due distinte figure di sequestro, due “misure provvisorie” caratterizzate da specifiche ed autonome finalità. Orbene, la formale sostituzione, ad opera della dir. n. 41/2014, delle sole disposizioni della d.q. 577/2003 riguardanti il sequestro probatorio ha probabilmente convinto il nostro legislatore (al di là della già rimarcata impellente necessità di estinguere il risalente debito giuridico contratto con l’Unione europea, per non incorrere in procedure d’infrazione) della utilità di recepire la d.q. in questione, sia pure a quasi tredici anni dalla sua adozione e benché la disciplina in essa espressa sia in parte superata dalla sopraggiunta regolamentazione dell’OEI. E tuttavia, anche in materia di misure provvisorie finalizzate ad istituire vincoli di indisponibilità riguardo beni potenzialmente confiscabili non sono mancate sopravvenienze normative di fonte comunitaria rispetto alla d.q. 577/2003. Il riferimento è alla dir. 2014/42/UE del 3 aprile 2014 (23), relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea, il cui termine di recepimento (24) è fissato al 4 ottobre 2016: il nostro Governo è stato delegato a tal uopo con la L. 7 ottobre 2014, 154 (legge di delegazione europea 2013), delega non ancora esercitata. Tale direttiva, infatti, benché faccia espressamente salva la d.q. 577/2003 (considerando n. 27), muove dalla presa d’atto che le misure provvisorie a fini di (22) Per considerazioni più ampie su tale aspetto, sia consentito il rinvio a G. Daraio, La circolazione, cit., 569 ss. Per una complessiva riflessione su genesi, finalità e limiti dello strumento de quo, cfr., tra gli altri, Belfiore, Il mandato europeo di ricerca delle prove e l’assistenza giudiziaria nell’Unione europea, in Cass. pen., 2008, 3894 ss. e G. De Amicis, Limiti e prospettive del mandato europeo di ricerca della prova, in AA.VV., L’evoluzione del diritto penale nei settori di interesse europeo alla luce del Trattato di Lisbona, a cura di G. Grasso-L. Picotti-R. Sicurella, Milano, 2011, 10. (23) In GUUE L 127 del 29 aprile 2014. (24) Oggetto di rettifica pubblicata sulla GUUE L 138 del 13 maggio 2014. 1136 Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria confisca ivi regolate, così come, del resto, i vigenti regimi di confisca estesa e di riconoscimento reciproco di provvedimenti di sequestro e di confisca, siano solo parzialmente efficaci, a cagione delle divergenze tra il diritto degli Stati membri (considerando n. 8). Sicché, pur perseguendo, fondamentalmente, l’obiettivo di agevolare la confisca dei beni di origine criminosa (considerando n. 41), non si limita a dettare norme minime per ravvicinare i regimi nazionali in materia di “confisca” (25), ma stabilisce norme minime anche relativamente al “congelamento” di beni (26), in vista di un’eventuale conseguente confisca (art. 1); invitando, in particolare, gli Stati ad adottare - con riguardo ad alcune fattispecie criminose, di particolare gravità, individuate in una serie di atti UE indicati nell’art. 3 - ogni misura necessaria per consentire di individuare e rintracciare i beni da congelare (o - il che è lo stesso - sequestrare) e successivamente confiscare, per garantire l’adeguata gestione dei beni sottoposti a sequestro in vista di un’eventuale conseguente confisca e per assicurare l’esecuzione efficace di un provvedimento di confisca, se quest’ultimo è già stato emesso (artt. 7, 9-10); tutto ciò, senza pregiudizio per i diritti e le garanzie dei soggetti i cui beni siano sottoposti a sequestro o a confisca, ed in particolare del diritto ad una pronta comunicazione del provvedimento di sequestro e dei motivi per cui è stato disposto, del diritto a un giudice imparziale e del diritto ad un ricorso effettivo (art. 8) (27). Orbene, stando così le cose, v’è da chiedersi se la trasposizione di un atto dell’Unione ormai inattuale, poiché in gran parte superato dalle anzidette sopravvenienze normative eurounitarie, lungi dal (25) Intesa come “la privazione definitiva di un bene ordinata da un’autorità giudiziaria in relazione a un reato” (art. 2, par. 1, n. 4). La confisca, ai sensi dell’art. 4, può essere totale o parziale, può riguardare sia beni strumentali e proventi da reato sia beni di valore equivalente e, in relazione agli strumenti del reato ed ai profitti di accertata origine illecita, può essere disposta anche se non vi sia stata condanna penale definitiva, ma solo nell’ambito di procedimenti - aventi ad oggetto reati suscettibili di produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico - a carico di imputati non processabili, per malattia o fuga, ma che avrebbero potuto essere condannati, se processati. (26) Tale dovendo considerarsi “il divieto temporaneo di trasferire, distruggere, convertire, eliminare o far circolare un bene o di assumerne temporaneamente la custodia o il controllo” (art. 2, par. 1, n. 5). Come rilevato da A. M. Maugeri, La direttiva 2014/42/UE relativa alla confisca degli strumenti e dei proventi da reato nell’unione europea tra garanzie ed efficienza: un “work in progress”, in Dir. pen. cont., Rivista trimestrale, 2015, 1, 328, il termine “congelamento”, sconosciuto al linguaggio giuridico italiano, deve farsi rientrare nella nozione di “sequestro”. Diritto penale e processo 9/2016 mettere il nostro ordinamento al passo con gli altri Stati UE che da tempo hanno adeguato il rispettivo sistema giuridico alle istanze del legislatore europeo in materia di sequestro (per fini probatori o di confisca), rechi, piuttosto, il pericolo reale di discrasie, scollature o difettose coordinazioni con l’attuale assetto legislativo dell’Unione e con altre più avanzate normative nazionali di recepimento in subiecta materia e, comunque, esponga i nostri operatori giuridici a difficoltà interpretative, anche di ordine intertemporale, a cagione delle mutazioni normative che, presumibilmente, sopraggiungeranno a breve nel nostro Paese, con il recepimento delle dir. n. 41 e 42 del 2014 (28). Obiettivi e contenuti della decisione quadro L’obsolescenza giuridica dell’impianto normativo della d.q. 577/2003 non può tuttavia esimerci dall’analizzarne - sia pure sommariamente - ratio e contenuti, per poi verificarne la corretta attuazione da parte del D.Lgs. n. 35/2016. Come innanzi rimarcato, questa decisione quadro costituisce la prima forma di concretizzazione, in materia di procedure in rem volte alla preservazione di fonti probatorie o all’ablazione di patrimoni illeciti che abbiano collocazione oltre i confini territoriali dello Stato in cui sia stato commesso il reato presupposto, del “principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie” (29), che, com’è noto, comporta lo spostamento dell’asse della cooperazione interstatuale dai tradizionali rapporti politico-diplomatici a un livello semplicemente giudiziario, imponendo una collaborazione direttamente tra le autorità giudiziarie interessate, senza il “fil(27) Per approfondimenti sulla direttiva de qua, cfr., tra gli a l t r i, A . M a ra n d o la , C o n s i d e ra zi o n i m i n i m e s u l l a Di r. 2014/42/UE relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato fra gli Stati dell’UE, in questa Rivista, 2016, 121 ss. e A. M. Maugeri, La direttiva 2014/42/UE, cit., 300 ss. (28) Esprimeva questa preoccupazione il C.S.M., nel suo parere - formulato con delibera del 20 gennaio 2016, consultabile in http://www.csm.it - sullo schema di decreto legislativo di attuazione della decisione quadro 2003/577/GAI. Nell’evidenziare gli aspetti problematici nascenti dal notevole ritardo con cui il Governo italiano si accingeva a recepire la decisione quadro de qua, l’organo di autogoverno dei magistrati ordinari invitava il Governo italiano a soprassedere dal recepimento ed a procedere, piuttosto, all’immediata trasposizione delle dir. n. 41/2014 e n. 42/2014. (29) In assoluto, la prima concretizzazione di tale principio con riguardo alla giustizia penale è rappresentata dalla decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, recepita in Italia con la L. 22 aprile 2005, n. 69. 1137 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria tro” delle autorità centrali, relegato ad una funzione di mero supporto tecnico-amministrativo (30). Essa, prevedendo, per un rilevante numero di reati (individuati nell’art. 3), l’esecutività extraterritoriale dei provvedimenti di blocco o di sequestro di beni “alla stessa stregua di una decisione di blocco o sequestro emanata da un’autorità dello Stato membro di esecuzione” (art. 5 par. 1), punta ad innovare profondamente i rapporti di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri dell’Unione relativamente all’esecuzione, ultra fines, di misure coercitive reali, rapporti sviluppatisi, fino a quel momento, almeno per quanto concerne la cooperazione per fini probatori, nell’ambito della classica assistenza su base rogatoriale, fondata, come si sa, sul c.d. “principio della richiesta” (uno Stato presenta una richiesta ad un altro Stato, che decide di darle o non darle séguito sulla base di valutazioni politiche e vagli giurisdizionali). Giova, infatti, ricordare che, anteriormente all’adozione della d.q. 577/2003, la normativa di fonte sovranazionale - negoziata a livello multilaterale governante la materia dei sequestri internazionali è costituita, fondamentalmente, da due strumenti pattizi, entrambi partoriti nell’ambito del Consiglio d’Europa: 1) la citata Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale” (31), che nel descrivere la rogatoria come diretta, oltre che al “compimento di atti istruttori”, alla “trasmissione di corpi di reato, fascicoli o documenti” (art. 3, par. 1), sembra lasciar fuori dalla sua sfera di operatività il sequestro dei beni al fine di una loro definitiva privazione mediante confisca; in ogni caso, la stessa, pur impegnando gli Stati ad “accordarsi reciprocamen- te [...] l’assistenza giudiziaria più ampia possibile” (art. 1, par. 1), concede loro la possibilità di subordinare la cooperazione per l’imposizione di vincoli di natura reale (rogatoria a scopo di perquisizione o sequestro) a specifiche condizioni di ammissibilità, riproducenti limiti e principi tradizionali dell’estradizione (art. 5, par. 1); 2) la Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato (32), che disciplina una peculiare forma di cooperazione internazionale in materia di ricerca, di sequestro e/o di confisca di beni illeciti non assimilabile alla mutua assistenza giudiziaria, ma improntata, in parte, a regole e itinerari procedimentali autonomi rispetto a quelli propri delle rogatorie classiche, nonché fondata sull’idea di obbligatorietà della cooperazione transfrontaliera, non solo giudiziaria, ma anche amministrativa e di polizia (33). Orbene, la cooperazione interstatuale richiesta dalla d.q. 577/2003 va al di là sia della mera assistenza di tipo rogatoriale per la ricerca, individuazione ed assicurazione di beni strumento di attività delittuose, come configurata dalla Convenzione di Strasburgo del 1959; sia della peculiare forma di collaborazione interstatuale prevista dalla Convenzione sul riciclaggio del 1990, contemplante, in particolare, l’obbligo per gli Stati di prestarsi la più ampia assistenza possibile nelle indagini patrimoniali con finalità ablative (art. 8) e di adottare, a richiesta di un’altra Parte che procede (34), le necessarie misure provvisorie (congelamento di conti bancari, sequestri di proventi illeciti, ecc.) funzionali all’eventuale successiva confisca della res temporaneamente bloccata (art. 11) (35). (30) Principio applicabile, secondo le linee prospettiche tracciate dal Consiglio europeo di Tampere del 1999, sia alle procedure in personam (finalizzate alla consegna di persone ricercate per fini di giustizia) sia a quelle in rem (finalizzate alla raccolta delle fonti probatorie e/o all’ablazione dei patrimoni illeciti), ed in particolare, relativamente a quest’ultimo versante, “alle ordinanze [...] che permettono alle autorità competenti di procedere rapidamente al sequestro probatorio e alla confisca di beni” (punto 36 delle Conclusioni di Tampere). (31) Siglata a Strasburgo il 20 aprile 1959 e resa esecutiva in Italia con L. 23 febbraio 1961, n. 215. (32) Firmata a Strasburgo l’8 novembre 1990, in vigore sul piano internazionale dal 1° settembre 1993 e in Italia dal 1° maggio 1994 (ratificata con la L. 9 agosto 1993, n. 328). (33) Osserva E. Andolina, Misure reali e spazio giudiziario europeo, in Dir. comm. internaz., 2009, 862, come tale strumento pattizio colmi un vero e proprio vuoto normativo a livello convenzionale in materia di sequestro cautelare di beni a fini di futura confisca, vuoto normativo determinatosi sia per l’inapplicabilità, in subiecta materia, della Convenzione di assistenza giudiziaria del 1959, sia per effetto della mancata ratifica, da parte del maggior numero degli Stati membri delle Comunità europee, della Convenzione europea del Consiglio d’Europa sull’efficacia internazionale delle decisioni penali definitive, del 28 maggio 1970, la quale contiene una (prima) specifica previsione di collaborazione in materia di cautele reali finalizzate alla confisca dei proventi illeciti. (34) Richiesta che, al di fuori dei casi d’urgenza, è formulata dall’autorità centrale designata dallo Stato Parte, non dall’autorità giudiziaria procedente (come per le rogatorie), alla quale tuttavia spetta un potere di preventiva autorizzazione nel caso in cui l’assistenza nelle indagini implichi l’imposizione di vincoli di natura reale su beni (cfr. artt. 18, par. 3, 23 e 24). (35) La convenzione de qua, peraltro, disciplina pure un meccanismo diretto a consentire l’esecuzione sul territorio di uno Stato di ordini di confisca di strumenti o proventi di reato a beneficio di altro Stato Parte, confisca possibile indipendentemente dalla condanna e dallo stesso svolgimento di un procedimento penale (artt. 13 ss.). Va ricordato che, nel 2005, il Consiglio d’Europa ha deciso di aggiornare e ampliare questo strumento normativo, adottando a Varsavia, in data 16 maggio 2005, una nuova Convenzione (“sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo”) diretta a potenziare l’attività di prevenzione e 1138 Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Ai sensi della normativa espressa nella d.q. 577/2003, allorché si renda necessario attivare la cooperazione giudiziaria tra Stati membri dell’Unione per l’apprensione materiale di beni riconducibili (sul piano strumentale o funzionale) ad un reato e collocati in territorio estero, l’autorità giudiziaria interessata, piuttosto che azionare lo strumento della rogatoria oppure la richiesta di procedere a sequestro preventivo in vista dell’irroganda confisca (a seconda della finalità, probatoria o cautelare, perseguita in concreto), adotta direttamente un provvedimento di blocco o di sequestro (36) e lo trasmette all’autorità giudiziaria dello Stato membro nel cui territorio si trova il bene. Quest’ultima, dopo averlo riconosciuto, provvede alla sua immediata esecuzione alla stessa stregua di una decisione adottata nel territorio nazionale, salva la ricorrenza di cause ostative al riconoscimento o all’esecuzione o di un motivo di rinvio dell’esecuzione (art. 5). Alle farraginose procedure dell’assistenza giudiziaria - incerte tanto nei tempi, quanto nei risultati (capitando spesso che l’assistenza venga prestata quando l’apporto richiesto è ormai diventato inutile) - subentra, dunque, nei rapporti tra Stati membri dell’Unione, una procedura semplificata e vincolata nell’an (salva la previsione di casi tassativamente predeterminati di rifiuto) di riconoscimento ed esecuzione extra-territoriale del provvedimento di coercizione reale adottato da qualsiasi Stato membro, secondo il proprio diritto interno. Passando in rassegna le condizioni - stabilite nella d.q. 577/2003 - alle quali ogni Stato membro dell’Unione “riconosce ed esegue nel suo territorio un provvedimento di blocco o di sequestro emesso da un’autorità giudiziaria di un altro Stato membro” (art. 1), viene in rilievo, innanzitutto, la c.d. doppia incriminabilità, ossia la previsione come reato, sia nello Stato membro che ha adottato il provvedimento (c.d. “Stato di emissione”) sia nello Stato membro che riceve la richiesta di esecuzione (c.d. “Stato di esecuzione”), del fatto che è alla base del provvedimento di blocco o di sequestro. Tale requisito, in verità, non è richiesto dalla decisione quadro, che si limita ad annoverare la mancata previsione del fatto come reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione tra i possibili motivi di non riconoscimento o di non esecuzione (art. 7, par. 1, lett. d) (37) e sempre che la richiesta di assistenza non sia originata da procedimenti relativi a talune specifiche e tassative fattispecie di reato (associazione per delinquere, terrorismo, tratta di esseri umani, corruzione, riciclaggio, frode comunitaria, traffico illecito di armi e stupefacenti, ecc.) suscettibili di comportare, secondo il diritto dello Stato di emissione, l’applicazione di “una pena privativa della libertà di almeno tre anni” (art. 3, par. 2). Ad ogni modo, la doppia incriminabilità - laddove imposta dalla legislazione dello Stato di esecuzione - non comporta necessariamente la perfetta identità delle figure di reato sotto il profilo degli elementi costitutivi e con riguardo alla qualificazione giuridica. Se, infatti, il provvedimento di blocco o di sequestro di cui si chiede l’esecuzione è stato emesso per fini probatori, lo Stato di esecuzione, appurato che i fatti per i quali esso è stato adottato integrano una fattispecie di reato contemplata dal proprio diritto interno, può darvi esecuzione indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica degli stessi ai sensi della legge dello Stato di emissione. Allo stesso modo, se il provvedimento di blocco o di sequestro di cui si chiede l’esecuzione è stato emesso per fini di confisca, lo Stato di esecuzione può ritenere sufficiente, per l’esecuzione, che i fatti per i quali esso è stato adottato costituiscano un reato per il quale la propria legge interna consente il sequestro, quali che siano la struttura e il nomen iuris del reato secondo la legge dello Stato di emissione (art. 3, par. 4). Quanto ai beni sequestrabili, dalla definizione di “bene” fornita nell’art. 2, lett. d) si evince che il sequestro disposto a fini di confisca può riguardare controllo del riciclaggio di denaro ed il finanziamento - anche attraverso attività lecite - del terrorismo. Tale Convenzione, in vigore sul piano internazionale dal 1° maggio 2008, solo in questi giorni ha ricevuto ratifica ed esecuzione nel nostro Paese, in base alla L. 28 luglio 2016, n. 153, in materia di contrasto al terrorismo. (36) La decisione quadro parla di provvedimento di “blocco” (oltre che di “sequestro”) di beni. Tuttavia, come evidenziato dai suoi lavori preparatori, il termine “blocco” non è impiegato con un preciso significato tecnico-giuridico, quanto piuttosto per ricomprendere convenzionalmente tutte le misure volte al congelamento di beni per finalità probatorie o di confisca e non soltanto il tradizionale provvedimento di “sequestro” in senso stretto. Tant’è che le due tipologie di provvedimenti vengono accomunate in un’unica nozione dall’art. 2, lett. c), che definisce “provvedimento di blocco o di sequestro” “qualsiasi provvedimento adottato da un’autorità giudiziaria competente dello Stato di emissione per impedire provvisoriamente ogni operazione volta a distruggere, trasformare, spostare, trasferire o alienare beni che potrebbero essere oggetto di confisca o costituire una prova”. (37) Motivi recepibili dagli Stati membri, nelle rispettive legislazioni interne, come motivi “facoltativi” di rifiuto. Diritto penale e processo 9/2016 1139 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria qualsiasi bene, mobile o immobile, materiale o immateriale, ivi compresi dati e documenti, di natura anche elettronica o telematica, sempre che siano riconducibili (sul piano strumentale o funzionale) ad un reato. A fini di prova, invece, può essere sequestrato ogni oggetto, documento o dato preesistente suscettibile di utilizzazione in chiave probatoria all’interno di un procedimento penale: deve trattarsi, cioè, di fonti probatorie reali reputate necessarie per l’accertamento dei fatti inerenti al thema decidendum del procedimento penale che ha originato la richiesta di cooperazione. Poiché il provvedimento di blocco o di sequestro di cui si chiede l’esecuzione dev’essere stato “preso, convalidato o comunque confermato” - da un’“autorità giudiziaria” (quale definita nel diritto interno dello Stato di emissione) - “nell’ambito di un procedimento penale” (art. 2, lett. a), se ne deduce la tendenziale estraneità al raggio d’azione della decisione quadro de qua dei provvedimenti adottati da autorità amministrative (38) o comunque non riconducibili ad un procedimento penale (ad es., le misure ablative emesse nell’ambito del procedimento di prevenzione). Relativamente alla procedura di esecuzione del provvedimento di sequestro, si prevede che questo - corredato da un “certificato” (il cui formulario figura nell’allegato alla decisione quadro (art. 9, par. 1) - sia trasmesso “dall’autorità giudiziaria che l’ha adottato direttamente all’autorità giudiziaria competente per la sua esecuzione”; se questa non è nota, saranno i punti di contatto della Rete giudiziaria europea a dover fornire informazioni (art. 4). Il certificato (39), firmato dall’autorità giudiziaria di emissione e tradotto nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato di esecuzione (art. 9), dovrà contenere le informazioni minime indispensabili per la realizzazione della cooperazione: autorità emittente, bene o prova da sottoporre al provvedimento e sua localizzazione, reati per cui si procede e mezzi d’impugnazione esperibili nello Stato di emissione. L’autorità giudiziaria emittente dovrà, altresì, specificare la finalità del sequestro di cui chiede l’esecuzione - se cioè è funzionale all’assicurazione di fonti probatorie o alla preservazione di beni da sottoporre a confisca - nonché il trattamento che dovrà essere riservato dallo Stato di esecuzione alla res sequestrata: si può chiedere, infatti, che il bene sia trasferito allo Stato di emissione o si può indicare che sia temporaneamente conservato presso lo Stato di esecuzione in attesa della sua trasmissione (art. 10). Ricevuto il provvedimento con l’allegato formulario, l’autorità competente dello Stato di esecuzione provvederà in ordine al riconoscimento, limitandosi, a tal uopo, ad un controllo cartolare sulla completezza e sulla regolarità della documentazione inviata (40), senza che siano necessarie altre formalità (art. 5, par. 1). Nessuna previsione specifica è fatta con riguardo ai tempi della procedura di riconoscimento, se non che la decisione dovrà essere comunicata all’autorità giudiziaria emittente “al più presto” e, “quando possibile, entro 24 ore dal ricevimento del provvedimento di blocco o di sequestro” (art. 5, par. 3). Per quanto concerne la fase esecutiva del provvedimento di blocco o sequestro, si precisa che l’autorità giudiziaria ricevente, se non reputi sussistente un motivo di rifiuto del riconoscimento o dell’esecuzione tra quelli tassativamente enunciati nell’art. 7 (41) o uno dei motivi di rinvio previsti all’art. 8 (42), deve adottare “senza indugio” (43) le misure necessarie alla “esecuzione immediata” del provvedimento. La scelta della misura più appropriata al raggiungimento dello scopo spetta in ogni caso all’autorità competente dello Stato di esecuzione, che dovrà valutare se, per sottrarre il bene al detentore ed acquisirne la materiale disponibilità, sia oppur no necessario fare ricorso a misure coercitive: dovendole disporre, applicherà le norme procedurali vigenti nel proprio Stato. Tuttavia, nel caso di sequestro a fini di prova, per la cui esecuzione lo Stato di emis- (38) Così E. Calvanese, Perquisizioni e sequestri, in AA.VV., Manuale di procedura penale europea, a cura di R. E. Kostoris, Milano, 2014, 319. (39) Che per G. Iuzzolino, Il congelamento dei beni da sottoporre a sequestro o confisca, in AA.VV., Diritto penale europeo e ordinamento italiano, Milano, 34, integrerebbe una nuova specie di ordine europeo. (40) Così E. Calvanese, Perquisizioni, cit., 321. (41) Tra i motivi di rifiuto, oltre ai casi di incompletezza o irregolarità formale del certificato (lett. a) e alle altre “ipotesi classiche”, della esistenza di immunità o privilegi a norma del diritto dello Stato di esecuzione (lett. b) e della violazione del divieto di bis in idem (lett. c), anche la mancanza del requisito della doppia incriminabilità per i reati non compresi nella lista di cui all’art. 3 par. 2. (42) Tra i quali vanno segnalati, soprattutto, il possibile pregiudizio per un’indagine penale in corso (lett. a) e il già intervenuto blocco o sequestro dei beni o della prova nell’ambito di un altro procedimento penale (lett. b). (43) Formula, questa, che indubbiamente evoca esigenze di speditezza, ma che, tuttavia, lascia agli Stati - in sede di trasposizione della decisione quadro - una certa discrezionalità nel fissare i concreti termini di conclusione dell’iter esecutivo del provvedimento di sequestro. 1140 Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria sione abbia richiesto l’osservanza di specifiche formalità e procedure, occorrerà rispettarle, se risulti necessario per garantire la validità della prova ottenuta, e sempre che le stesse non siano in conflitto con i principi fondamentali del diritto dello Stato di esecuzione (art. 5). All’esecuzione del provvedimento di blocco o sequestro non consegue, quale effetto automatico, il trasferimento del bene all’autorità giudiziaria emittente. La richiesta in tal senso formulata da quest’ultima (in alternativa alla richiesta di mero congelamento del bene, in attesa di successive determinazioni), infatti, sarà trattata - dall’autorità giudiziaria di esecuzione - “ai sensi delle norme applicabili all’assistenza giudiziaria in materia penale e delle norme applicabili alla cooperazione internazionale in materia di confisca” (art. 10, par. 2). Ciò significa che potranno essere opposti al momento conclusivo della procedura esecutiva (la consegna) i motivi di rifiuto facoltativo individuati, dal sistema convenzionale vigente tra i due Stati membri, per le richieste di assistenza finalizzate all’esecuzione di atti di coercizione reale e per la cooperazione negli atti di confisca (44); con la sola eccezione della condizione di doppia incriminabilità, che non è invocabile quale motivo di rifiuto della consegna del bene qualora il provvedimento di blocco o sequestro sia stato adottato per fini probatori e riguardi uno dei reati di cui all’art. 3, par. 2 della decisione quadro (art. 10, par. 3). Nell’attesa che l’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione decida sulla destinazione del bene sequestrato, quest’ultimo resta in ogni caso congelato. Le normative di recepimento, tuttavia, potranno stabilire condizioni al fine di limitare la durata del blocco o del sequestro (art. 6). A tutela dei legittimi interessi di qualsiasi parte interessata, ivi compresi i terzi di buona fede, le normative nazionali di attuazione dovranno assicurare l’impugnabilità, dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione, dei provvedimenti di blocco o di sequestro; i motivi di merito su cui si basa il provvedimento di blocco o di sequestro, tuttavia, potranno costituire oggetto di contestazione soltanto dinanzi ad un’autorità giudiziaria dello Stato di emissione. Quest’ultimo deve assicurare che i termini per la proposizione dell’azione giudiziaria siano tali da garantire che i soggetti interessati dispongano di un mezzo di impugnazione effettivo (art. 11). Infine, per quanto riguarda eventuali danni causati a talune delle parti dall’esecuzione di un provvedimento di blocco o di sequestro, ferma restando la legislazione nazionale degli Stati membri relativamente ad azioni di risarcimento promosse da persone fisiche o giuridiche, si prevede che lo Stato di emissione debba rimborsare allo Stato di esecuzione gli importi versati a titolo di risarcimento alla parte lesa, tranne se e nella misura in cui il danno o parte di esso è dovuto esclusivamente alla condotta dello Stato di esecuzione (art. 12). Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 35 Questioni definitorie Tratteggiati, per sommi capi, obiettivi e contenuti della decisione quadro, passiamo ad analizzare le disposizioni di attuazione contenute nel D.Lgs. n. 35/2016. Il provvedimento de quo si compone di 13 articoli, racchiusi in due Titoli: il primo, contenente disposizioni generali (artt. 1 e 2); il secondo, contenente norme di recepimento interno (artt. 3-13). I primi due articoli fissano, rispettivamente, le finalità e le definizioni rilevanti. Così, la prima disposizione generale chiarisce che il provvedimento attua nell’ordinamento interno la decisione quadro 2003/577/GAI, “nei limiti in cui tali disposizioni non sono incompatibili con i principi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali nonché in tema di diritti di libertà e di giusto processo” (art. 1). La previsione è in linea con quanto enunciato nel preambolo della d.q. 577/2003 secondo cui “La presente decisione quadro non osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo, alla libertà di associazione, alla libertà di stampa e alla libertà di espressione negli altri mezzi di comunicazione”. La seconda disposizione generale, al pari dell’omonima disposizione dell’atto UE, affronta questioni definitorie, puntualizzando il significato da attribuire - per le finalità proprie dello strumento in esame - a termini od espressioni ricorrenti nel testo legislativo. Per quanto concerne le definizioni di “Stato di emissione” e di “Stato di esecuzione” (art. 2, lett. a e b), il legislatore italiano mutua, pressoché pedissequamente, il lessico del legislatore europeo; mentre, rispetto alla nozione di “provvedimento di blocco o di sequestro” presente nella d.q., omette, (44) Così E. Andolina, Misure, cit., 882. Diritto penale e processo 9/2016 1141 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria inspiegabilmente, ogni riferimento - nell’analoga nozione enunciata nell’art. 2 lett. c del d.lgs. - ai beni che potrebbero costituire una prova. L’espresso richiamo ai concetti di “corpo del reato” e di “cose pertinenti al reato” consente, tuttavia, di rimediare sul piano interpretativo alla dimenticanza (45). Per quanto concerne i beni suscettibili di confisca, il richiamo ai casi e limiti previsti dall’art. 240 c.p. potrebbe indurre a ritenere escluso dal raggio di operatività della normativa di attuazione la c.d. confisca “per equivalente”; tuttavia, il riferimento all’equivalente del valore del prodotto del reato quale “bene” aggredibile con un provvedimento di blocco o di sequestro, operato dall’art. 2, lett. d), denota la voluntas legis di non circoscrivere il recepimento della decisione quadro alle sole ipotesi di confisca “diretta”. La definizione di “bene” fornita dal decreto legislativo pare del tutto conforme alla corrispondente definizione espressa nella decisione quadro. In entrambi gli atti, infatti, si considera tale ogni bene (materiale o immateriale, mobile o immobile) nonché ogni atto giuridico o documento attestante un titolo o un diritto su tale bene, individuabile come strumento, oggetto o prodotto (o equivalente del valore del prodotto) di un reato. È letteralmente ripresa dall’analoga previsione della decisione quadro altresì la definizione di “prova”, identificata negli oggetti, documenti o dati che possono essere utilizzati a fini probatori in procedimenti penali riguardanti un reato di cui all’art. 3 (art. 2, lett. e), con esclusione, pertanto, delle c.d. prove costituende, quelle cioè da raccogliere in fieri (es.: intercettazioni telefoniche, monitoraggio di conti bancari, assunzione di prove dichiarative, prelievi di materiale biologico, ecc.). Come già la decisione quadro, il decreto attuativo stabilisce che il provvedimento di blocco o sequestro dev’essere stato emesso o - se adottato in via d’urgenza dalla polizia giudiziaria - convalidato o confermato da “un’autorità giudiziaria” dello Stato di emissione e “nell’ambito di un procedimento pe(45) Infatti, il “corpo di reato” (che, secondo la definizione offerta dall’art. 253 c.p.p., s’identifica con “le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso” o “che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo”) e le “cose pertinenti al reato” (nozione generica nella quale la giurisprudenza fa rientrare, oltre ai corpora delicti ed ai producta sceleris, ogni altra cosa che sia in rapporto, anche solo indiretto, con la fattispecie concreta e che sia strumentale all’accertamento dei fatti e delle circostanze dell’illecito) possono costituire oggetto tanto di un sequestro preventivo - c.d. impeditivo (art. 321 comma 1 c.p.p.) ovvero funzionale alla confisca (art. 321 com- 1142 nale” (art. 2, lett. a), restando così fuori dal perimetro operativo dello strumento in esame i provvedimenti di analogo contenuto cautelare emessi all’interno di procedimenti amministrativi o di prevenzione (46). La procedura “passiva” di riconoscimento ed esecuzione del provvedimento di blocco o sequestro Passando all’esame delle “norme di recepimento interno” (espresse nel Titolo II), si constata come ben otto degli undici articoli che compendiano tale disciplina attengano alla procedura di riconoscimento ed esecuzione in Italia del provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro (Capo I, artt. 3-10); dei restanti tre, due sono dedicati alla richiesta di riconoscimento all’estero di provvedimenti di analogo contenuto emessi dall’autorità giudiziaria italiana (Capo II, artt. 11-12) ed uno è riservato alle disposizioni finanziarie, alla conseguente clausola di invarianza finanziaria e alle indicazioni dei mezzi per far fronte agli oneri derivanti dall’attuazione dei provvedimenti (Capo III, art. 13). Il legislatore nazionale, pertanto, si è preoccupato principalmente di disciplinare le modalità di esecuzione in Italia del provvedimento emesso da un’autorità straniera. Relativamente a questo primo percorso (che potremmo definire, con linguaggio rogatoriale, “passivo”), vengono innanzitutto elencati i casi di riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti di blocco o sequestro adottati in un procedimento penale in corso all’estero, in conformità all’art. 3 della decisione quadro. Al riguardo, il comma 1 dell’art. 3, D.Lgs. n. 35/2016 contiene un elenco tassativo di reati in relazione ai quali si prescinde dal controllo della doppia incriminabilità, purché puniti nello Stato di emissione della misura con una pena non inferiore nel massimo a tre anni. Al di là della maggiore specificazione di alcune fattispecie individuate nel decreto legislativo rispetto ma 2 c.p.p.) - quanto di un sequestro probatorio (disposto dall’autorità giudiziaria o, in via d’urgenza, dalla polizia giudiziaria: artt. 253 e 354 c.p.p.). (46) Sul punto, cfr. A. Cisterna, Ancora escluse le misure di prevenzione, in Guida dir., 2016, 18, 75, che ritiene la scelta di circoscrivere l’efficacia delle norme di adeguamento ai provvedimenti di blocco o di sequestro emessi “nell’ambito di un procedimento penale” foriera di un possibile “grave vulnus per l’efficacia in ambito europeo dei decreti emessi ai sensi del D.Lgs. 159/2011 (codice antimafia)”. Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria alle più generiche formulazioni della decisione quadro (47), o della maggiore o minore ampiezza operativa prefigurata dall’atto delegato per alcune fattispecie contemplate nell’atto di fonte europea (48), sembra si possa affermare che le 32 condotte di reato enunciate dal comma 1 dell’art. 3 del decreto legislativo siano sostanzialmente speculari a quelle indicate nell’art. 3, par. 1, della decisione quadro. Per le fattispecie illecite non comprese nell’elenco vale il principio della doppia incriminabilità. Rispetto a queste, infatti, il legislatore italiano, avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 3, par. 4, d.q., ha subordinato il riconoscimento delle decisioni di sequestro a fini di prova provenienti da altro Stato membro UE alla condizione che i fatti, per i quali è stato emesso il provvedimento di blocco o di sequestro, siano puniti come reato dalla legge italiana, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualificazione giuridica individuati dalla legge dello Stato di emissione (art. 3, comma 2). Analogamente, esercitando la facoltà prevista dall’art. 3, par. 5, d.q., ha previsto che il provvedimento estero di sequestro finalizzato alla confisca possa ottenere riconoscimento ed esecuzione in Italia solo se riguardi un fatto costituente reato per la legge italiana e si tratti di un reato per cui è consentito il sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p. (art. 3, comma 3). La regola della doppia incriminabilità, già inapplicabile ai 32 reati inseriti nel catalogo di cui all’art. 3, comma 1, incontra un’ulteriore rilevante eccezione rispetto ai reati tributari. Se, infatti, il provvedimento di blocco o di sequestro è stato emesso in relazione a violazioni tributarie, doganali o valutarie, l’esecuzione non può essere rifiutata per il fatto che la legge italiana non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte, o per il fatto che la legislazione italiana in materia tributaria, valutaria o doganale è diversa da quella dello Stato di emissione (art. 6, comma 4, lett. e). E veniamo alla procedura di riconoscimento ed esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro adottato dall’autorità dello Stato di emissione. Gli artt. 4 e 5 dettano disposizioni volte ad individuare, rispettivamente, l’autorità giudiziaria competente alla ricezione del provvedimento e quella deputata a provvedere sulla richiesta di riconoscimento ed esecuzione dello stesso. Precisamente, l’autorità italiana cui deve essere indirizzata la richiesta di riconoscimento ed esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro, unitamente al certificato relativo alle informazioni contenute nel provvedimento estero, è individuata nel procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui territorio si trova il bene o la prova oggetto del provvedimento (art. 4); il quale dovrà altresì provvedere sulla richiesta di riconoscimento ed esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro emesso a fini probatori, mentre, in caso di blocco o sequestro emesso a fini di confisca, sarà il giudice per le indagini preliminari territorialmente competente a provvedere con ordinanza, su richiesta dello stesso procuratore della Repubblica (art. 5, commi 1 e 2). Nell’ipotesi, poi, in cui i beni si trovino in più circondari di tribunale, la legittimazione a provvedere è conferita al procuratore della Repubblica del luogo in cui si trova il maggior numero di beni o prove, ovvero, a parità di numero, all’autorità giudiziaria che per prima ha ricevuto il provvedimento di blocco o di sequestro (art. 5, comma 4). Come rilevato dal CSM nel citato parere sullo schema del D.Lgs. n. 35/2016, questa “polverizzazione” di competenze può essere fonte di complicazioni per l’autorità straniera emittente, la quale potrebbe incorrere in errori o, quanto meno, in difficoltà nell’individuare esattamente l’autorità giudiziaria competente per territorio con cui in concreto rapportarsi: con conseguente vanificazione dei vantaggi connessi alla eliminazione, nella procedura de qua, di ogni intermediazione dell’autorità centrale (49). (47) Ad es., il decreto attuativo impiega la locuzione associazione per delinquere in luogo di partecipazione a un’organizzazione criminale; parla di violenza sessuale piuttosto che di stupro. (48) Così, ad es., la fattispecie di favoreggiamento dell’ingresso e del soggiorno illegali, enunciata sic et simpliciter nella d.q., viene riferita dalla norma di recepimento al solo ingresso e soggiorno illegali di cittadini extracomunitari; di maggiore rilievo è la difformità con riguardo al reato di incendio, atteso che il D.Lgs. vi include la fattispecie dolosa e colposa, mentre la d.q. contempla il solo incendio doloso. (49) Per tale ragione, il CSM prospettava l’opportunità di modifiche volte a concentrare la competenza a ricevere la ri- chiesta di riconoscimento ed esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro nell’ufficio del Procuratore generale ovvero nella Procura avente sede nel capoluogo di distretto. Quest’ultima soluzione, peraltro, costituisce criterio direttivo fissato nella delega al Governo per la riforma del libro XI del c.p.p. conferita dalla citata L. n. 149/2016: in materia di disciplina processuale dell’assistenza giudiziaria a fini di giustizia penale, infatti, si prescrive al legislatore delegato di “prevedere che le richieste di assistenza giudiziaria per attività di acquisizione probatoria e sequestro di beni a fini di confisca siano trasmesse al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto nel quale si deve procedere” (art. 4, comma 1, lett. c, n. 2). I conditores del D.Lgs. 35/2016, incuranti del Diritto penale e processo 9/2016 1143 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Non è chiaro se le richieste di cui va inviata copia al procuratore generale presso la corte di appello se si procede per taluno dei delitti c.d. di maggiore allarme sociale previsti dall’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. - oppure al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo - se si procede per taluno dei delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater, c.p.p. - siano le richieste di riconoscimento provenienti dall’autorità straniera oppure le richieste inoltrate al g.i.p. dal procuratore della Repubblica ai sensi dell’art. 5, comma 2. Considerata la finalità meramente informativa dell’adempimento previsto dal comma 3 dell’art. 5, funzionale alla piena esplicazione della funzione di coordinamento investigativo rispetto alle anzidette fattispecie di reato, non pare azzardato il ritenere che l’obbligo di invio di copia riguardi entrambi i tipi di richiesta. Di fondamentale importanza è la trasmissione, in uno al provvedimento da eseguire, del “certificato” (art. 4), che, come si è già avuto modo di dire, consiste nel formulario tipico allegato al decreto legislativo in esame (50), con il quale l’autorità giudiziaria dello Stato di emissione attesta l’esattezza delle informazioni contenute nel provvedimento da eseguire. La rilevanza del certificato si coglie, chiaramente, ove si consideri quanto stabilito nell’art. 6, comma 4, circa la possibilità di rigettare, con decreto motivato, la richiesta di riconoscimento o di esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro se il certificato non è stato prodotto unitamente alla richiesta, ovvero se risulti incompleto ovvero se le informazioni in esso contenute risultino manifestamente non corrispondenti al provvedimento di blocco o di sequestro oggetto della richiesta (51). Quid iuris nel caso in cui il certificato proveniente dall’autorità estera non fosse tradotto nella lingua italiana? Sotto tale profilo, infatti, si registra una lacuna nell’art. 6, non prevedendosi la traduzione in italiano del certificato, diversamente dagli obblighi di traduzione previsti dall’art. 12, comma 4, per il caso di richiesta di esecuzione del sequestro disposto dall’autorità giudiziaria italiana (procedura “attiva”). Ciò, come puntualmente rilevato in dottrina, contrasta non solo con la previsione di cui all’art. 9, par. 2, d.q., che impegna l’autorità di emissione a tradurre il certificato nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato di esecuzione, ma altresì con l’art. 201 disp. a.c.t. c.p.p., secondo cui le domande provenienti da un’autorità straniera, nonché i relativi atti e documenti, debbono essere accompagnati da una traduzione in lingua italiana (52). In aderenza, invece, a quanto stabilito nella decisione quadro (art. 10), la normativa di recepimento prevede che la richiesta di riconoscimento debba essere corredata da una richiesta di trasferimento della prova nello Stato di emissione, ovvero da una richiesta di confisca. L’autorità competente dello Stato di emissione, peraltro, può dare indicazioni, all’interno del certificato, per il mantenimento del bene nel territorio dello Stato, sino alla data ivi precisata di formulazione delle richieste di trasferimento o di confisca (art. 4). Ricevuta la richiesta di riconoscimento ed esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro, l’autorità giudiziaria italiana competente, senza poter esercitare alcuna forma di controllo sulle ragioni che ne fondano la motivazione, ma limitandosi a delibare gli aspetti formali del provvedimento estero e ad accertare l’eventuale ricorrenza di taluno degli elementi ostativi di cui agli artt. 7 e 8 del decreto legislativo, provvede “senza ritardo” al riconoscimento, con proprio decreto o ordinanza, disponendo altresì l’immediata esecuzione del provvedimento (art. 6, comma 1). A tal fine, osserverà le formalità e le procedure espressamente indicate dall’autorità competente dello Stato di emissione per l’esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro probatorio (lex fori), se ciò risulti necessario per garantire la conformità della prova ottenuta ai requisiti dell’ordinamento dello Stato di emissione e la conseguente utilizzabilità nell’ambito del procedimento che ha suggerimento del CSM e in dissonanza con le stesse indicazioni fornite nella Relazione illustrativa del decreto attuativo (che invitavano a coordinarsi sul punto con le disposizioni del ddl. AS n. 1949, poi divenuto L. n. 149/2016), preferiscono adottare la soluzione testé descritta, pur impegnando il procuratore della Repubblica ricevente, che dovesse ritenersi non legittimato a provvedere in ordine al riconoscimento ed esecuzione del provvedimento estero di blocco o sequestro, a trasmettere immediatamente gli atti all’ufficio competente ed a darne comunicazione all’autorità dello Stato di emissione (art. 5 comma 5). (50) I cui elementi costitutivi, tuttavia, come chiarito nella Relazione illustrativa del decreto attuativo, sono fissati direttamente dalla decisione quadro, sicché sono comuni a tutti gli Stati membri. (51) Le irregolarità meramente formali relative alla redazione del certificato, tuttavia, potrebbero essere sanate imponendo all’autorità giudiziaria dello Stato di emissione un termine per la produzione del certificato completo o corretto, ovvero di un documento ad esso equipollente (art. 6, comma 5). (52) Così C. Pesce, nel suo articolo dal titolo “Il recepimento italiano degli atti UE in materia di sequestro e confisca” pubblicato in data 27 aprile 2016 su http://rivista.eurojus.it. 1144 Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria originato la domanda di assistenza, fermo restando il rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento; osserverà, invece, le disposizioni del nostro codice di rito penale relative all’esecuzione del sequestro preventivo (lex loci), qualora il provvedimento di blocco o di sequestro sia stato emesso a fini di confisca (art. 6, comma 2). Le disposizioni codicistiche interne dovranno essere osservate anche per tutte le ulteriori misure rese necessarie dal provvedimento di blocco o di sequestro (art. 6, comma 3). Il legislatore italiano, conformemente alle prescrizioni della decisione quadro (artt. 7 e 8), ha individuato i possibili motivi di rifiuto di riconoscimento od esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro nonché i casi di rinvio dell’esecuzione da parte della nostra autorità giudiziaria. Relativamente ai motivi di non riconoscimento, al di là di quanto già rimarcato con riguardo all’esistenza del certificato ed alla completezza e veridicità delle informazioni in esso contenute, va osservato che la richiesta di riconoscimento ed esecuzione potrà essere rigettata, con decreto motivato, nel caso di sussistenza di una causa di immunità, di violazione del principio del ne bis in idem, ovvero nel caso di non ricorrenza dei presupposti indicati nell’art. 3 per il riconoscimento (tipologie di reato e limiti edittali di pena), salvo che - come si è visto - il provvedimento di blocco o di sequestro non sia stato emesso in relazioni a violazioni tributarie, doganali o valutarie, per le quali non opera il principio della doppia incriminabilità (art. 6, comma 4). Quanto ai motivi di rinvio dell’esecuzione, essi sono conformi a quelli individuati nell’art. 8 della decisione quadro: esistenza nello Stato di esecuzione di una indagine penale in corso che potrebbe essere pregiudicata dal blocco o sequestro del bene (53); già avvenuta sottoposizione del bene a provvedimento di blocco o sequestro nell’ambito di altro procedimento penale (54); intervenuto blocco o sequestro del bene a fini confisca in altri procedimenti (55) (art. 7). All’autorità giudiziaria dello Stato di emissione dovranno essere comunicati “immediatamente” sia l’avvenuta esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro (art. 6, comma 2), sia l’eventuale provvedimento di rifiuto (art. 6, comma 6) o di rinvio dell’esecuzione (art. 7, comma 2). “Senza ritardo”, invece, va comunicata l’impossibilità di dare esecuzione al provvedimento di blocco o di sequestro nei casi in cui il bene o la prova siano scomparsi o siano stati distrutti, oppure non si trovino nel luogo indicato nel certificato, ovvero l’ubicazione indicata in quest’ultimo sia risultata insufficiente (art. 6, comma 6). Nell’ipotesi di rinvio dell’esecuzione, l’autorità giudiziaria dello Stato di emissione dovrà essere informata, altresì, dell’emissione del provvedimento richiesto, una volta venuta meno la causa del rinvio, e dell’eventuale adozione di altri provvedimenti cautelari riguardanti il bene o la prova oggetto del provvedimento di blocco o di sequestro (art. 7, comma 3). In linea con il dettato normativo della decisione quadro è altresì la disciplina attuativa relativa al trattamento del bene o della prova cui sia stato apposto un vincolo d’indisponibilità per effetto del riconoscimento e dell’esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro. Si prevede, infatti, che tale vincolo rimanga fermo sino all’adozione della decisione definitiva sulla richiesta di trasferimento della prova nello Stato di emissione, ovvero sulla richiesta di confisca. Qualora l’autorità di emissione abbia formulato l’opzione per il mantenimento del bene nel territorio dello Stato (art. 12, comma 3) senza però fare pervenire la richiesta nel termine stabilito nel relativo certificato, il procuratore della Repubblica inviterà l’autorità di emissione a formularla entro un termine perentorio non superiore a trenta giorni. Persistendo l’omissione oltre tale termine, l’autorità giudiziaria italiana revocherà il provvedimento di blocco o di sequestro, disponendo la restituzione del bene o della prova all’avente diritto secondo le disposizioni di cui all’art. 263 c.p.p., informandone senza ritardo lo Stato di emissione (art. 8, commi 1 e 2). La revoca del provvedimento di blocco o di sequestro, da parte dell’autorità giudiziaria italiana, potrà conseguire anche alle osservazioni formulate dall’autorità emittente - spontaneamente o su invito dell’autorità di esecuzione - in ordine alla “concreta persistenza” delle esigenze probatorie su cui è fondato il provvedimento (art. 8, comma 3). Al di fuori delle richiamate ipotesi, tuttavia, la revoca del provvedimento di blocco o di sequestro è (53) In tal caso, la durata “ragionevole” del rinvio, evocata dall’art. 8, par. 1, lett. a d.q., è stata individuata dal decreto attuativo in un periodo massimo di sei mesi (art. 7, comma 1, lett. a). (54) In questa ipotesi, il rinvio opera fino alla revoca di tale provvedimento. (55) Ciò che legittima il rinvio sino alla sospensione dell’efficacia del provvedimento aliunde adottato. Diritto penale e processo 9/2016 1145 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria nel più ampio potere dell’autorità di emissione, che, ove lo eserciti, ha l’onere di darne pronta comunicazione all’autorità di esecuzione, a sua volta vincolata a revocare immediatamente il proprio provvedimento (art. 8, comma 4). Aderente al testo europeo pare anche il regime delle impugnazioni avverso il riconoscimento e l’esecuzione del provvedimento di blocco o sequestro, stabilito nell’art. 9 del decreto legislativo. Analogamente, infatti, a quanto previsto dall’art. 11 della d.q., che attribuisce ad ogni parte interessata, compresi i terzi in buona fede, la legittimazione ad impugnare, quali che siano le finalità - probatorie o di confisca - del provvedimento estero, la normativa interna accorda all’indagato o imputato, al suo difensore, alla persona alla quale la prova o il bene confiscabile siano stati sequestrati ed a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, il diritto di proporre impugnazione ai sensi degli artt. 322, 322 bis, 324 e 325 c.p.p. (art. 9, commi 1 e 4); ferma restando, però, la sindacabilità ad opera della sola autorità giudiziaria dello Stato di emissione dei motivi di merito su cui si basa il provvedimento di blocco o di sequestro (art. 9, comma 2). All’autorità giudiziaria dello Stato di emissione è dato tempestivo avviso della data in cui dovrà celebrarsi l’udienza ex art. 324, comma 6, c.p.p., affinché possa presentare, entro quella data, sue osservazioni. Alla stessa è poi comunicato l’esito del giudizio (art. 9, comma 3). In attuazione di quanto disposto nell’art. 12 d.q., si prevede, infine, che, in caso di responsabilità dello Stato italiano per i danni causati nell’esecuzione di una decisione di sequestro, il Ministro della giustizia debba attivarsi senza ritardo per ottenere dallo Stato di emissione il rimborso degli importi versati alle parti a titolo di risarcimento, salvo che il danno sia imputabile esclusivamente alla condotta dello Stato italiano in qualità di Stato di esecuzione. Gli importi così ottenuti dovranno affluire al Fondo unico giustizia, di cui alla L. n. 133/2008 (art. 11). ... e la procedura “attiva” Relativamente alla procedura di assistenza giudiziaria c.d. “attiva”, che vede cioè l’autorità giudiziaria italiana autrice del provvedimento di blocco o di (56) Nell’ambito della procedura “attiva”, la legittimazione a richiedere il riconoscimento e l’esecuzione di un sequestro è conferita alla sola autorità giudiziaria che abbia “emesso” il provvedimento, non essendo ipotizzabile, alla stregua della 1146 sequestro di cui si richiede l’esecuzione all’estero, c’è ben poco da osservare. Gli artt. 11 e 12 del decreto, infatti, disciplinano la procedura “attiva” in termini pressoché analoghi a quelli descritti negli artt. 1-10 per la procedura “passiva”. Così, ricorrendo uno dei casi di riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti di blocco o di sequestro disciplinati nell’art. 3 D.Lgs., ed entro i limiti stabiliti da quest’ultima disposizione, l’autorità giudiziaria italiana che abbia emesso, nell’ambito di un procedimento penale, un provvedimento di sequestro - probatorio o preventivo - il cui oggetto sia ubicato nel territorio di un altro Stato membro, può rivolgersi direttamente all’omologa autorità straniera (individuabile anche grazie all’apporto dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea) per ottenerne il riconoscimento e l’immediata esecuzione in quel territorio (art. 11) (56). In stretta analogia con le regole che sovrintendono alla procedura di assistenza giudiziaria “passiva” poc’anzi esposte, anche nell’ipotesi di assistenza giudiziaria “attiva”, la richiesta prende avvio con la trasmissione diretta del provvedimento e del relativo certificato. Quest’ultimo, redatto sulla base del formulario allegato al decreto legislativo, dev’essere tradotto dalla lingua italiana nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato di esecuzione, prima del suo inoltro all’autorità giudiziaria straniera. Il certificato, oltre ad attestare l’esattezza delle informazioni contenute nel provvedimento ablativo, può dare indicazioni per il mantenimento del bene nel territorio dello Stato di esecuzione fino alla formulazione - entro una determinata data, individuata nello stesso certificato - delle richieste di trasferimento o di confisca (sempre che, ovviamente, non fossero già state formulate al momento della trasmissione del provvedimento da eseguire) (art. 12). Riflessioni conclusive Alla luce di quanto sin qui esposto, appare chiaro come le criticità dell’operazione normativa condotta in porto con il recepimento della d.q. 577/2003 ad opera del D.Lgs. n. 35/2016, a prescindere dalle lacune ed incongruenze che pur non mancano nell’atto interno di recepimento e che in parte abbiamo cercato di segnalare, sono criticità ascrivibili, normativa vigente nel nostro Paese, l’adozione in via d’urgenza, e successiva convalida dell’autorità giudiziaria, di un sequestro in territorio estero da parte della polizia giudiziaria. Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria fondamentalmente, all’atto di fonte europea, che, nel 2003, forgia uno strumento di cooperazione dalle potenzialità operative decisamente ridotte, poiché lascia scoperte, affidandole ai tradizionali meccanismi di assistenza giudiziaria, sia la fase a monte sia quella a valle dell’esecuzione ultra fines dei provvedimenti di blocco o di sequestro per finalità probatorie o di confisca. Così, per es., se, per l’esecuzione al di là dei confini nazionali di un provvedimento di blocco o di sequestro, vi fosse necessità di compiere ricerche per accertare l’esistenza nel territorio estero e/o per individuare l’esatta ubicazione dei beni da sequestrare, non potrebbe attivarsi la procedura di assistenza disciplinata dalla d.q. 577/2003, occorrendo piuttosto azionare altri strumenti, ed in particolare lo strumento rogatoriale. Ma il principale elemento di criticità della normativa espressa nella d.q. 577/2003 (57) pare potersi individuare nell’avere essa circoscritto l’operatività del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie alla sola fase cautelare del sequestro del bene collocato all’estero, affidando la successiva fase - relativa alla destinazione finale del bene sequestrato - alle tradizionali procedure di assistenza giudiziaria in materia probatoria o di confisca. Sicché, ben può accadere che l’obiettivo di consentire una rapida adprehensio della res illicita, per effetto della rapida e pressoché automatica esecuzione dell’ordine di blocco o di sequestro - atteso il numero esiguo di motivi di rifiuto opponibili venga vanificato dalla ricorrenza di ipotesi di diniego dell’assistenza giudiziaria previste nelle convenzioni (multilaterali o bilaterali) vigenti tra gli Stati membri (58). Si è visto, tuttavia, come l’Unione europea sia giunta, già con l’abrogata d.q. 978/2008 sul MER, ma soprattutto con la dir. 41/2014 sull’OEI, ad una disciplina completa del mutuo riconoscimento rispetto all’intera procedura di acquisizione probato- ria ultra fines, comprensiva sia della fase del sequestro sia di quella relativa al trasferimento del bene, disciplina destinata a soppiantare quella dettata in punto di sequestro probatorio dalla d.q. 577/2003. Per sopperire invece al deficit di disciplina che connota questo strumento normativo riguardo la fase post-sequestro del bene destinato a confisca, l’Unione - dopo avere ridisegnato il complessivo assetto normativo in tema di confisca dei proventi illeciti, con l’approvazione, in un’ottica di ravvicinamento delle normative nazionali, della d.q. 2005/212/GAI del 24 febbraio 2005 (relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato) (59) - ha adottato, in data 6 ottobre 2006, la d.q. 2006/783/GAI (60), relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, con la quale ha inteso favorire una più rapida esecuzione dei provvedimenti di confisca di beni costituenti strumento o prodotto di reato, ovvero di beni equivalenti, in tutto o in parte, al valore di tale prodotto, eliminando i sistemi di conversione dei provvedimenti di confisca in atti nazionali. A tale atto normativo (61) è sopraggiunta la citata dir. 42/2014 (62), che ha regolamentato ex novo ed organicamente la materia della confisca internazionale, ridimensionando notevolmente, rispetto a tale misura ablativa, l’impatto della clausola di rinvio enunciata nell’art. 10, par. 2, d.q. 577/2003. Non resta, allora, che attendere fiduciosamente il pronto recepimento, da parte del legislatore italiano, nei termini previsti, delle dir. 41 e 42 del 2014, perché siano introdotti e resi operativi anche nel nostro sistema giuridico forme e metodi innovativi di cooperazione interstatuale in materia penale, e perché il nostro Paese cessi di essere fanalino di coda dell’Europa nella trasposizione interna sia della normativa pattizia, negoziata in via multilaterale nell’ambito del Consiglio d’Europa, sia degli atti dell’Unione che necessitino di recepimento da parte degli Stati membri. (57) Rimarcato anche dal C.S.M. nel suo parere sullo schema del D.Lgs. n. 35/2016, cit. (58) Cfr., ad es., le specifiche condizioni di ammissibilità previste dall’art. 5 della citata Convenzione europea di assistenza giudiziaria del 1959, per quanto riguarda l’esecuzione delle rogatorie aventi per scopo perquisizioni o sequestri; o dall’art. 18 della citata Convenzione sul riciclaggio del 1990, per quanto concerne la cooperazione in materia di ricerca, sequestro e confisca dei proventi di reato. (59) Atto normativo dell’Unione, a tutt’oggi, inattuato nel nostro Paese. (60) In GUUE L 328 del 24 novembre 2006. (61) Trasposto nel nostro ordinamento giuridico con il D.Lgs. 7 agosto 2015, n. 137, che ha provveduto a recepirlo già integrato delle revisioni apportategli dalla d.q. 2009/299/GAI del 26 febbraio 2009. (62) In fase di recepimento da parte dello Stato italiano. Diritto penale e processo 9/2016 1147 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Esecuzione delle misure non restrittive Gli effetti del reciproco riconoscimento per l’esecuzione delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive di Felice Pier Carlo Iovino (*) Il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 38 detta la disciplina sul trasferimento e la sorveglianza delle misure di sospensione condizionale della pena e delle sanzioni sostitutive tra Stati della comunità, per favorire il reinserimento e la riabilitazione sociale del condannato, nel rispetto del diritto alla libera circolazione all’interno dell’Unione europea, e migliorare il controllo del rispetto degli obblighi e delle prescrizioni. Decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio del 27 novembre 2008 Applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive. D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 38 G.U. 14 marzo 2016, n. 61 (in vigore dal 29 marzo 2016). Modifiche Il D.Lgs. n. 38 del 2016 non ha introdotto alcuna modifica alle leggi vigenti. La decisione quadro 2008/947/GAI Il D.Lgs. n. 38/2016 dà attuazione alla decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio europeo, del 27 novembre 2008, volta ad estendere tra gli Stati dell’Unione il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie relative all’esecuzione delle pene non restrittive della libertà personale (1). La disciplina - che sostituisce le disposizioni della Convenzione del Consiglio d’Europa, firmata a Strasburgo il 30 novembre 1964 e ratifi(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee. (1) Cfr. N. Plastina, L’esecuzione delle pene detentive, in “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano, a cura di L. Kalb, Torino, 2012, 616. (2) M. Pisani, La “Convenzione europea per la sorveglianza delle persone condannate o liberate con la condizionale” e l’ordinamento italiano, in L’indice penale, 1992, fasc. 2, 193 ss.; N. 1148 cata dall’Italia con la L. 15 novembre 1973, n. 772, che regolavano la sorveglianza delle persone condannate o liberate con la condizionale (2) detta le norme alle quali le autorità competenti degli Stati membri si devono attenere per riconoscere e garantirne l’esecuzione e la sorveglianza, sul proprio territorio, delle misure che seguono alla sospensione condizionale della pena ed alla applicazione delle sanzioni sostitutive, imposte da autorità competenti di uno Stato straniero membro. Il Galantini, Esecuzione di misure condizionali all’estero: problemi applicativi, in L’indice penale, 1985, fasc. 1, 210 ss.; M.L. Padelletti, Esecuzione della Convenzione per la sorveglianza delle persone condannate o liberate sotto condizione, in Riv. dir. int., 1983, fasc. 1, 48 ss.; V. Esposito, La convenzione europea per la sorveglianza delle persone condannate o liberate con la condizionale, in Giust. pen., 1977, fasc. 6, pt. 3, 381 ss. Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria provvedimento completa il quadro delle disposizioni che danno attuazione al principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei paesi dell’Unione, che ha già ricevuto applicazioni relativamente alla disciplina: del mandato d’arresto europeo e delle procedure di consegna tra Stati membri (L. 22 aprile 2005, n. 69); delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale (D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161); delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare nella fase pre-processuale (D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36). Si aggiunge così un altro tassello al modello che persegue la libera circolazione, nell’ambito dei Paesi aderenti, dei provvedimenti emanati dall’autorità giudiziaria di uno Stato, in conformità alla propria legislazione, riconosciuti ed idonei a produrre effetti diretti sul territorio di Stati diversi, senza necessità di interventi di forme di determinante intermediazione politico-amministrativa, ma con ricorso a contatti diretti tra le autorità giudiziarie nazionali. L’intento è di garantire, in un comune spazio di giustizia basato sulla fiducia reciproca, a tutte le persone da sottoporre alla esecuzione di sanzioni penali limitative della libertà la possibilità di scontarle nel luogo di residenza, di fatto o d’elezione, a condizioni non diverse da quelle riservate ai residenti, favorendo, nel contempo, il reinserimento sociale, mediante il mantenimento dei legami familiari, linguistici, sociali e culturali con il Paese di abituale dimora e rafforzando il senso di sicurezza, facendo ricorso ai necessari controlli ed all’eventuale repressione di atteggiamenti contrari agli obblighi discendenti dalle misure penali, nel luogo di effettiva residenza (considerando n. 8). Condizione preliminare al giudizio di riconoscimento è la compatibilità delle decisioni, da rendere eseguibili sul territorio di uno Stato diverso da quello di emissione, nella fattispecie il nostro, con i principi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali di libertà e del giusto processo. L’art. 25 della decisione quadro ne prevedeva l’attuazione da parte degli Stati membri entro il 6 dicembre 2011. Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 38 L’oggetto Oggetto della normativa può essere una decisione definitiva, emessa da un organo giurisdizionale, con la quale è applicata, in luogo di una pena de- tentiva o restrittiva, una sanzione che non esclude, ma limita la libertà, mediante imposizione di obblighi e prescrizioni. Nell’impossibilità di procedere ad una elencazione compiuta degli istituti interessati, che vigono in ciascuno degli Stati dell’Unione, è rimesso all’interprete il compito di risalirvi ricorrendo, da una parte, ai criteri generali che delimitano la categoria (art. 2), dall’altra, agli obblighi ed delle prescrizioni che possono importare (art. 4). Nella categoria rientrano istituti che importano: - la sospensione condizionale, concessa al momento della condanna, di una pena detentiva o di una misura restrittiva della libertà personale, con una corrispondente imposizione di obblighi e prescrizioni; - una condanna ad una pena condizionalmente differita, con l’imposizione di uno o più obblighi e prescrizioni disposti in luogo della pena detentiva o della misura restrittiva; -una sanzione sostitutiva, diversa da una pena detentiva, da una misura restrittiva della libertà, da una pena pecuniaria, che impone obblighi ed impartisce prescrizioni; - una liberazione condizionale, che prevede la liberazione anticipata di persona condannata, dopo che abbia scontato parte della pena detentiva, anche attraverso l’imposizione di obblighi e prescrizioni (3), tutte decisioni che rispondono alla doppia condizione di una condanna a pena detentiva o restrittiva della libertà personale, sospesa o differita, con sottoposizione ad uno o più tra obblighi e prescrizioni. Gli obblighi e le prescrizioni, che possono rientrare tra quelli che, imposti con la sospensione condizionale della pena, le sanzioni sostitutive o la liberazione condizionale, danno contenuto alla sanzione, sono elencati nell’art. 4 del decreto e comprendono: - l’obbligo di comunicare i cambiamenti di residenza o di posto di lavoro; - il divieto di frequentare determinate località; le restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato di esecuzione; le istruzioni riguardanti il comportamento, la residenza, l’istruzione e la formazione, le attività ricreative, o contenenti limitazioni o modalità di esercizio di un’attività professionale; - l’obbligo di presentarsi nelle ore fissate presso una determinata autorità;- l’obbligo di evitare contatti con determinate persone; - l’obbligo di evitare contatti con determinati oggetti che sono stati usati o che potrebbero essere usati dalla persona condannata a fini di (3) Vedi, sub art. 2, lett. c-d-e-f, L. 15 ottobre 1973, n. 772. Diritto penale e processo 9/2016 1149 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria reato; - l’obbligo di risarcire finanziariamente i danni causati dal reato; - l’obbligo di svolgere un lavoro o una prestazione socialmente utile; - l’obbligo di cooperare con un addetto alla sorveglianza della persona o con un rappresentante di un servizio sociale; - l’obbligo di assoggettarsi a trattamento terapeutico o di disintossicazione. Trattasi di elencazione, indicativa non esaustiva, che rende irrilevante, perché superflua, la mancata riproposizione nel decreto della disposizione che, nella legge quadro, prevedeva la possibilità, per uno Stato membro di dichiarare la propria disponibilità ad esercitare la sorveglianza su misure diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste. Le decisioni delle nostre autorità giudiziarie che possono rientrare nella previsione Le decisioni delle nostre autorità giudiziarie che, come Stato di emissione, rispondono alle caratteristiche su indicate, sono: la liberazione condizionale, nelle ipotesi in cui sono imposte prestazioni (4); la sospensione condizionale della pena (5); la sanzione sostitutiva della libertà controllata (6); il lavoro di pubblica utilità per i tossico dipendenti (7). La liberazione condizionale è prevista per il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, ha tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento. Potrà essere ammesso alla misura se ha scontato almeno trenta mesi, e comunque, almeno metà della pena inflittagli, ed il rimanente non superi i cinque anni; se recidivo, nei casi preveduti dai capoversi dell’art. 99, se ha scontato, almeno, quattro anni di pena e non meno di tre quarti; se condannato all’ergastolo, almeno, ventisei anni. La concessione del beneficio è subordinata all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che l’interessato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle. Alla concessione segue la sottoposizione del condannato alla libertà vigilata (art. 230, comma 1, n. 2, c.p.), misura di sicurezza che importa obblighi e prescrizioni che possono prevedere ore di obbligatoria permanenza nell’abitazione, limitazioni alla libertà di muoversi sul territorio, l’impegno di presentarsi periodicamente alle autorità di polizia, di avere rapporti con l’UEPE, - ufficio di esecuzione penale esterno - il tutto finalizzato a favorire il reinserimento sociale mediante il lavoro. (4) Art. 176 c.p. (5) Art. 163 c.p. (6) Art. 53, L. 24 novembre 1981, n. 689. 1150 La sospensione condizionale della pena, più propriamente sospensione condizionale dell’esecuzione (8), è un istituto che consente al giudice, anche a quello d’appello, di sospendere, anche d’ufficio, l’esecuzione della pena che infligge alla presenza di una serie di presupposti che riguardano tipo e l’ammontare della sanzione, i precedenti penali del condannato, la formulazione di una prognosi favorevole sui comportamenti futuri del beneficiario: si asterrà dal commettere ulteriori reati (art. 164, comma 1, c.p.). Il giudice può subordinare la sospensione; deve subordinarla, quando la concessione è a favore di persona che ne ha già beneficiato, al risarcimento del danno ed alla prestazione di attività non retribuite a favore della collettività, obblighi tassativi, che trovano riscontro nelle lett. h) ed i) dell’art. 4 D.Lgs., che in caso di rifiuto di prestazione importano revoca del beneficio. Tra le sanzioni sostitutive disciplinate dalla L. 24 novembre 1981, n. 689 - semidetenzione, libertà controllata, pena pecuniaria della specie corrispondente -, non rientrano nella disciplina né la semidetenzione (art. 55), che comportando l’obbligo di permanere in un istituto di detenzione, almeno dieci ore al giorno, è da definire pena, sia pure ad ore privativa della libertà, e la pena pecuniaria. Vi rientra, invece, la libertà controllata, misura limitativa della libertà, da eseguire fuori dall’ambiente carcerario, il cui contenuto sostanziale è costituito dall’obbligo di soggiorno e da prescrizioni, espressamente previste (art. 56), tra le quali l’obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno, compatibilmente con le esigenze di studio o di lavoro, presso l’ufficio di pubblica sicurezza o l’Arma dei carabinieri territorialmente competente. Il comma 5 bis dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990 prevede che quando il reato è commesso da persona tossicodipendente o assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’art. 444 c.p.p., su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste, per una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Con la decisione il (7) Art. 73, comma 5 bis, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. (8) G. Marinucci - E. Dolcini, Manuale di diritto penale, Milano, 2015, 688 ss. Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Il procedimento di trasmissione all’estero Le procedure che disciplinano la materia si articolano secondo due percorsi che prevedono: la trasmissione di una sentenza di condanna o di una decisione che importa la sospensione condizionale di una pena o sanzioni sostitutive, all’estero, per il suo riconoscimento ed esecuzione sul territorio di quello Stato; la ricezione dall’estero, con analoga richiesta, di un provvedimento emesso dalle autorità di quello Stato (12). Nella prima ipotesi, una disposizione, in linea con il principio fissato negli artt. 655, 665 c.p.p., fa obbligo al pubblico ministero, promotore dell’esecuzione, di trasmettere la sentenza o l’ordinanza di liberazione condizionale all’autorità competente dello Stato membro, nel quale la persona condannata ha la residenza legale e abituale, oppure, di uno Stato d’elezione. Allo Stato membro di legale od abituale residenza, obbligato in quanto sottoscrittore della Convenzione, all’esecuzione sul proprio territorio delle decisioni penali di uno Stato membro, non deve essere richiesto un previo assenso, che deve essere, invece, richiesto allo Stato di elezione. Nel primo caso, l’iniziativa, anche se non è da escludere un’attività sollecitatoria del condannato, è rimessa al procuratore generale, nella seconda, al condannato, implicando una scelta che importa, è da ritenere, un obbligo di motivazione ad evitare manovre dilatorie. La disciplina, di fatto, pone una ulteriore eccezione all’obbligo fatto al pubblico ministero, artt. 659, 661 c.p.p., di promuovere l’esecuzione, che è sospesa in attesa della decisione sul riconoscimento da parte dell’autorità dello Stato estero. Avverso il mancato accoglimento dell’invito a trasmettere gli atti all’autorità straniera, sia che si tratti di provvedimento formale di rigetto di un sollecito in tal senso rivoltogli, oppure, indiretto, come l’emissione dell’ordine di esecuzione, l’interessato può promuovere incidente di esecuzione (13). Il provvedimento, con il quale è disposta la trasmissione all’estero, è inviato, unitamente a copia del titolo esecutivo e ad un certificato, come da previsto modulo (allegato I) (14), al Ministero della giustizia che provvede all’inoltro, con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta, previa traduzione, se necessaria, nella lingua dello Stato di destinazione, per consentire all’autorità che li riceve di prenderne immediata cognizione, e favorire la per- (9) M. Canepa - S. Merlo, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2010, 237. (10) Cfr. D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 51 ss. (11) Vedi art. 13, comma 1, lett. g),e l’art. 13, lett. g). (12) Ad agevolare lo sviluppo delle previste procedure, è fatto obbligo agli Stati membri, di comunicare al segretario generale del Consiglio Europeo le autorità competenti a compiere atti di esecuzione e sorveglianza che, qualora, in ragione della diversità dei sistemi, dovessero risultare assegnati ad autorità non giudiziarie, devono consentire l’intervento, a garanzia, di un tribunale o di un organismo giurisdizionale indipendente. (13) Cass., sez. I, 23 marzo 1999, P.M. in proc. Arangio, in CED Cass. 216086. (14) Il menzionato allegato consiste in un certificato da usare per lo scambio delle informazioni salienti, relative al caso. In pratica, è formato da un complesso di voci, campi da riempire e caselle da barrare. giudice incarica l’UEPE, di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro e di riferire periodicamente. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro, su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che procede in quel momento, o quello dell’esecuzione, con le formalità di cui all’art. 666 c.p.p., tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della sanzione sostitutiva con conseguente ripristino di quella sostituita. La presenza di un comune dato distintivo, rappresentato dalla previsione di procedure che consentono al condannato a pena detentiva di recuperare, fin dal momento della condanna o nel corso della successiva esecuzione, quote di libertà con la sostituzione della misura privativa con altre limitative, induce ad escludere dalla previsione, la liberazione condizionale speciale, concessa ex art. 8, L. 9 maggio 1982, n. 304, che prevede la sospensione dell’esecuzione senza imposizione di obblighi o prescrizioni; la sospensione condizionale della pena, nelle ipotesi in cui non è prevista l’applicazione di prescrizioni; la sospensione dell’esecuzione, per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza, art. 90, d.P.R. n. 309/1990, che importa la disapplicazione della pena, senza introduzione di meccanismi sostitutivi, sanzionatori o di controllo (9). Sono fuori dalla previsione, ma per motivo ben diverso, le sanzioni inflitte dal giudice di pace (10) in quanto pene che per durata non superano i sei mesi. Il decreto legislativo, infatti, per un motivo di ordine pratico, evitare trasferimenti di adempimenti che potrebbero risultare sostanzialmente inutili in ragione di una ridotta durata, esclude il ricorso alla procedura di riconoscimento per sanzioni che all’atto in cui la richiesta perviene al Ministero (o alle autorità competenti in caso di corrispondenza diretta), devono essere adempiute o osservate per un periodo inferiore a sei mesi (11). Diritto penale e processo 9/2016 1151 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria sona assoggettata al procedimento nell’esercizio del suo diritto di difesa (15). Alla traduzione può, anche, provvedere direttamente l’autorità giudiziaria che, in tal caso, procederà direttamente all’invio dandone comunicazione al Ministero della giustizia. L’intermediazione del ministero, sostituibile con il ricorso ad una informativa, trova spiegazione, sotto un profilo pratico, nel fatto che è l’autorità in grado di dare certezze in ordine alla sussistenza del regime di reciprocità, posto a base del rapporto diretto tra autorità giudiziarie dei due Stati, sotto un profilo strutturale, nell’interesse politico dello Stato ad essere informato in ordine a provvedimenti, incidenti sul diritto di libertà, da eseguire, nei confronti di residenti sul proprio territorio. L’attribuzione della funzione al ministero, non al ministro, serve a rimarcare che trattasi di attività materiali che non comportano poteri decisionali. La trasmissione all’estero del titolo, esonera le autorità dello Stato di emissione dal dovere di applicare obblighi e prescrizioni del quale si faranno carico le autorità competenti dello Stato estero che avvieranno la procedura di riconoscimento ed, all’intervento di questo, vi daranno esecuzione. Questo iter può essere interrotto, in qualunque momento, per rinuncia del condannato alla residenza nello Stato di elezione: prima che abbia avuto inizio l’esecuzione, per il ritiro del certificato da parte del pubblico ministero dello Stato di emissione, perché l’autorità competente dello Stato estero ha comunicato che la propria legislazione prevede, in riferimento al reato per cui è intervenuta condanna e per il caso di violazione degli obblighi e prescrizioni, l’applicazione di una misura restrittiva della libertà personale per una durata superiore a quella prevista per situazioni corrispondenti dalla legislazione interna e che ha assunto la decisione di adattare a quelle le misure; ad esecuzione avviata, quando il pubblico ministero procedente è informato, dall’autorità dello Stato estero che la persona condannata si è sottratta all’esecuzione o non ha più in quello Stato la residenza e la dimora abituale; quando assume ad elementi di valutazione, ai fini della decisione in ordine ad eventuali, nuovi provvedimenti in sede esecutiva (cumuli, revoche), la durata ed il grado di osservanza delle prescrizioni e degli obblighi impartiti durante il periodo in cui la persona condannata è stata sorvegliata all’estero. (15) L. Kalb, Il rafforzamento dei diritti e gli effetti nell’ordinamento italiano, in Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano, cit., 353. 1152 Il pubblico ministero deve dare comunicazione delle decisioni all’interessato, al Ministero della giustizia e all’autorità competente dello Stato di esecuzione, con l’indicazione dei motivi che le hanno determinate, entro dieci giorni. Nella logica del sistema la comunicazione al Ministero deve essere sempre data, anche se è legislativamente prevista nei soli casi in cui è stato quell’ufficio a provvedere alla trasmissione del primo atto (art. 7, comma 4). L’Autorità dello Stato di esecuzione La competenza a decidere sul riconoscimento del titolo emesso da un’autorità straniera, al trasferimento sul territorio dello Stato italiano della relativa esecuzione e sorveglianza, appartiene alla Corte di appello nel cui distretto la persona condannata ha, oppure, ha dichiarato di voler prendere la residenza legale o abituale. La Corte officiata, controlla, anzitutto la propria competenza; se rileva la sua incompetenza territoriale, la dichiara con sentenza e ordina la trasmissione degli atti a quella competente, dandone tempestiva informazione, anche tramite il Ministero della giustizia, all’autorità dello Stato di emissione. Accerta, successivamente, che il titolo da eseguire, emesso e sottoscritto da un giudice, sia esecutivo. Nel caso sia pervenuto non tradotto in lingua italiana, come previsto, è da ritenere, pur mancando una disposizione sanzionatoria, che debba restituirlo per richiedere l’adempimento, a meno che possa provvedere direttamente senza oneri per lo Stato. Condizioni per il riconoscimento sono, con quella relativa alla residenza: che il fatto, per il quale la condanna è stata irrogata, costituisca reato, anche, per l’ordinamento italiano secondo una valutazione che prescinda dagli elementi costitutivi o nominativi; che la durata e la natura degli obblighi e prescrizioni imposti siano compatibili con la legge italiana, con possibilità di ricorrere agli adeguamenti opportuni con deroghe minime. Nel procedere al riconoscimento, la Corte è vincolata alla natura giuridica e alla durata della sanzione, entro i limiti previsti dallo Stato della condanna, il superamento dei quali, importerebbe la rottura di quell’ordinamento (16). Gli adattamenti ammessi sono quelli strettamente necessari; non possono essere introdotti aggravamenti che importano violazione del principio di tipizzazione delle sanzioni e di durata, con effetto di reformatio in pejus. (16) Corte cost. sent. 19 marzo 2001, n. 73, in Foro it., 2001, I, 1441. Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Il procedimento di riconoscimento A differenza dell’art. 5, comma 4, D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161, recante “Disposizioni per confor- mare il diritto interno alla Decisione quadro 2008/909/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea” - che stabilisce le ipotesi in cui la trasmissione all’estero della sentenza di condanna deve essere oggetto di consenso da parte della persona condannata - il D.Lgs. in esame nulla dice in proposito. Il silenzio lascia intendere che il trasferimento dell’esecuzione, nell’ipotesi cui non è il condannato ad eleggere lo Stato di esecuzione, come esercizio di una sorta di elezione di domicilio che importa, anche quella del giudice incaricato della sorvegliarla, può avvenire senza il suo consenso. Competente è la Corte di appello nel cui distretto la persona condannata ha la residenza legale od abituale, nel momento in cui la richiesta è trasmessa, ovvero, dove ha manifestato la volontà di trasferirsi. Il richiamo all’art. 127 c.p.p., indica la procedura da seguire per fissare il calendario d’udienza, per comunicazioni, notifiche, presentazione di memorie, rinvii, esclusione del pubblico dalle udienze, verbalizzazioni, necessità di garantire all’interessato una partecipazione consapevole al procedimento, effettivo esercizio del diritto al contraddittorio, mediante l’assistenza gratuita di un interprete tutte le volta in cui non parli o non comprenda la lingua utilizzata (18). Ricordato che, in ordine alla previsione della verbalizzazione, soltanto in forma riassuntiva (comma 10), la Corte costituzionale (19) ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui non ammette la possibilità di ricorrere ad una verbalizzazione integrale, ulteriori dubbi di legittimità costituzionale si propongono con riferimento alla previsione di una udienza, che già tollera l’irrilevanza per il legittimo impedimento del difensore (20), per la quale è esclusa la forma pubblica. (17) Deroghe a tale principio, sono presenti sia a livello di normativa dell’Unione europea, sia di legislazione nazionale. L’art. 8, comma 1, della L. 22 aprile 2005, n. 69, sul mandato di arresto europeo, prevede la consegna obbligatoria dell’arrestato, anche indipendentemente dalla sussistenza della doppia incriminazione, per una lunga serie di fatti puniti per i quali sono previste pene o misure privative della libertà personale pari o superiori a tre anni; analoga la disposizione del D.Lgs. n. 161/2010 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione quadro 2008/909/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea), articolo 11 (Deroghe alla doppia punibilità), che fa richiamo al citato art. 8, comma 1, L. n. 69/2005; art. 14 della Decisione quadro 2009/829/GAI, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unio- ne europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare e dall’art. 11 del D.Lgs. n. 36/2016. (18) Il diritto all’assistenza linguistica è richiamata nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 5, par. 2 e 6, par. 3, lett. a) ed e), e nel Patto internazionale dei diritti civili e politici, art. 14, par. 3, lett. f), come garanzia di ogni accusato di essere informato in una lingua a lui comprensibile ed in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, nonché il diritto all’assistenza gratuita di un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza. (19) Corte cost. sent. 3 dicembre 1990, n. 529, in Giur. cost., 1990, 3052. (20) L’effettività del diritto di difesa, non deve necessariamente comportare che il suo esercizio debba essere disciplina- Qualora la natura o la durata degli obblighi e delle prescrizioni imposti dovessero risultare incompatibili con la disciplina del nostro ordinamento, per reati corrispondenti, la Corte, previa informativa all’autorità estera, procede ai necessari adeguamenti per rendere durata, obblighi, prescrizioni, non più gravi rispetto a quanto previsto nelle due legislazioni. Da premessa, però, ad ogni condizione vale il principio che l’attuazione di una decisione, che ha ad oggetto la libertà della persona, non può importare rinuncia a nessuna delle garanzie costituzionali poste a salvaguardia della libertà della persona in tema di diritti fondamentali di libertà e di giusto processo. Il principio di doppia punibilità e le deroghe Sulla premessa del necessario concorso della doppia punibilità, oppure, doppia incriminabilità (17), nello Stato a richiedente ed in quello ricevente, del fatto per cui è intervenuta condanna, indipendentemente dalla diversità dei regimi sanzionatori, è dettato (art. 11), in deroga, un nutrito elenco di reati che, se sanzionati nello Stato di emissione con una pena detentiva o una misura privativa della libertà personale della durata massima non inferiore a tre anni, devono essere, comunque, riconosciuti nello Stato di esecuzione. Tra le fattispecie enumerate si evidenziano delitti tra i più gravi, come l’associazione a delinquere, terrorismo, tratta di esseri umani, e reati poco più che bagatellari, come truffa e frode. La Corte, investita della richiesta, dopo quello sulla competenza, deve procedere all’accertamento della corrispondenza tra la definizione dei reati per i quali è richiesta il riconoscimento e le fattispecie medesime, rigettando, in caso negativo, la richiesta. Diritto penale e processo 9/2016 1153 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria La Corte di Strasburgo, ha, con vari interventi. censurato previsioni analoghe reputandole in contrasto con l’art. 6, par. 1, Convenzione EDU, nella parte in cui stabilisce che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata ... pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente e imparziale ...”. Ha motivato che l’indicata disposizione ritiene “essenziale” che “le persone coinvolte in un procedimento di applicazione delle misure di prevenzione si vedano, almeno, offrire la possibilità di sollecitare una pubblica udienza davanti alle sezioni specializzate dei tribunali e delle corti di appello”. “La pubblicità delle procedure”, aggiunge, “tutela le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico … contribuendo … a realizzare lo scopo dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU: ossia l’equo processo” (21). Il tema è stato recepito dalla Corte costituzionale, la quale in aderenza all’interpretazione data alla fonte convenzionale - assurta al rango di fonte interposta rispetto all’art. 117, comma 1, Cost., ha dichiarato l’illegittimità: degli artt. 666, comma 3, e 678, comma 1, c.p.p., nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di fronte al Tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza si svolga nelle forme dell’udienza pubblica (22); degli artt. 666, comma 3, 667, comma 4, e 676 c.p.p., nel procedimento di opposizione avverso l’ordinanza in materia di applicazione della confisca (23); artt. 4, L. 27 dicembre 1956, n. 1423, e 2 ter, L. 31 maggio 1963, n. 575, nel procedimento di prevenzione (24); artt. 666, comma 3, 678, comma 1, 679, comma 1, c.p.p., nel procedimento di applicazione delle misure di sicurezza (25). Orbene, se si considera che oggetto del procedimento in esame è il riconoscimento di to in modo identico nella multiforme tipologia dei procedimenti disciplinati nel codice di procedura penale, dovendosi tener conto che la specificità dei procedimenti di esecuzione e sorveglianza rende necessario assicurare celerità nell’applicazione del giudicato per cui la partecipazione del difensore può essere soddisfatta mediante l’intervento di altro difensore, immediatamente reperibile, designato come sostituto ai sensi dell’art. 97, comma 4, c.p.p., Cass., SS.UU., 27 giugno 2006, Passamani, in CED Cass. 234147. (21) Cfr. CEDU, sent. 15 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia in www.echr.coe.it; vedi pure A. Macchia - P. Gaeta, Procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione e regime di pubblicità, in Cass. pen., 2008, 2657; sent. 8 luglio 2008, Pierre ed altri c. Italia in www.echr.coe.it; sent. 5 gennaio 2010, Bongiorno c. Italia in www.echr.coe.it. (22) Corte cost. sent. 15 aprile 2015, n. 97, in Dir. pen. cont., 2015 con nota di L. Carboni, La corte costituzionale prosegue il suo cammino verso l’affermazione del principio di pubblicità. 1154 decisioni che importano conferma, oppure, l’adattabilità di misure che sostanzialmente coincidono con gli obblighi e le prescrizioni delle misure di sicurezza (libertà vigilata), o di una sanzione sostitutiva (libertà controllata), non è difficile prevedere che anche rispetto alla procedura richiamata (art. 127 c.p.p.) debba proporsi una analoga soluzione. La decisione è definita sentenza (artt. 9, comma 2, 12, comma 5, 14, comma 1), contrariamente alla definizione che ne dà l’art. 127, comma 7, c.p.p., per il quale è ordinanza. Deve essere emessa nel termine di trenta giorni dal ricevimento della richiesta che, per circostanze eccezionali, è prorogato di venti giorni, con corrispondente obbligo per il presidente della Corte di informarne dei motivi l’autorità dello Stato di emissione. La sentenza è impugnabile, anche per motivi di merito, con ricorso per Cassazione, a sensi delle disposizioni di cui all’art. 22 della L. 22 aprile 2005, n. 69, in attuazione del principio costituzionale (art. 111, comma 7, Cost.) che prevede la ricorribilità dei provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali. Legittimati al ricorso sono il procuratore generale, il condannato, il difensore. Non è prevista la legittimazione delle autorità dello Stato di emissione, malgrado non le si possa negare un interesse a promuovere il controllo giurisdizionale su una decisione di cui è stata richiedente (26). Il ricorso, che non sospende l’esecuzione, deve essere deciso entro trenta giorni. La decisione Il “riconoscimento”, è il provvedimento con il quale l’autorità competente dello Stato di esecuzione conclude, favorevolmente, il procedimento finalizzato a rendere eseguibile sul territorio dello Stato una decisione giudiziaria emessa dalle autorità di (23) Corte cost. sent. 15. giugno 2015, n. 109, in Dir. pen. cont., 2015. (24) Corte cost. sent. 12 marzo 2010, n. 93, in Giur. cost., 2010, 1053. Cfr. P.V. Molinari, L’assenza di pubblicità dell’udienza nel procedimento di prevenzione, in Cass. pen., 2010, 3818; M. Naddeo, Un passo avanti verso il consolidamento garantistico del processo di prevenzione, in questa Rivista, 2010, 832. (25) Corte cost. sent. 21 maggio 2014, n. 135, in Dir. pen. cont., 2014, con nota di E. Lorenzetto, Applicazione delle misure di sicurezza innanzi al giudice di sorveglianza: una declaratoria di incostituzionalità “convenzionale” imposta dal principio di pubblicità dei procedimenti giudiziari; Cfr. pure M.G. Coppetta, L’udienza “a porte chiuse” nei procedimenti di merito per l’applicazione delle misure di sicurezza: ancora un rito camerale incompatibile con il giusto processo, in Cass. pen., 2014, 4114. (26) Cass., Sez. VI, 5 febbraio 1999, in Arch. n. p.p., 1999, 311. Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria uno Stato estero. Può essere rifiutato solo se ricorre uno dei motivi tassativamente elencati (art. 13): a) se il condannato non ha residenza o dimora abituale nello Stato e non ha manifestato la volontà di stabilirvisi; b) se il fatto per cui la condanna è stata irrogata non è previsto come reato anche dall’ordinamento italiano; c) se il reato per il quale è intervenuta condanna non rientra tra quelli previsti; d) se gli obblighi imposti sono, per durata e natura, incompatibili con la legislazione italiana; e) se il certificato trasmesso è incompleto o non corrisponde manifestamente alla sentenza o alla decisione di liberazione condizionale e, richiesto, non è stato completato o corretto entro il termine fissato; f) se il riconoscimento della sentenza e il trasferimento della sorveglianza violerebbe il divieto di ne bis in idem e sottoporrebbe una persona, già definitivamente giudicata, ad una nuova esecuzione per i medesimi fatti; g) se la pena è prescritta secondo la legge dello Stato e per il fatto per il quale è intervenuta condanna sussiste la giurisdizione di quello Stato; h) se sussiste una causa di immunità riconosciuta dall’ordinamento italiano che rende impossibile l’esecuzione; i) se la pena è stata irrogata nei confronti di una persona che, alla data di commissione del fatto, non era imputabile per l’età, secondo la legge di quello Stato; l) se, alla data di ricezione della sentenza o della decisione di liberazione condizionale da parte del Ministero della giustizia, gli obblighi e le prescrizioni imposti debbano essere adempiuti e osservati per un periodo inferiore a sei mesi; m) se l’interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la sentenza, a meno che il certificato attesti: 1) che, a tempo debito, è stato citato personalmente ed informato della data e del luogo fissati per il processo, o che ne è stato, di fatto, informato ufficialmente, in modo da stabilirsi inequivocabilmente che ne era al corrente ed informato del fatto che una decisione poteva essere emessa anche in caso di mancata comparizione in giudizio; 2) ovvero che, essendo al corrente della data fissata per il processo, ha conferito mandato ad un difensore, anche se originariamente nominato d’ufficio, da cui è stato assistito in giudizio; ovvero; 3) ovvero che, dopo aver ricevuto la notifica della decisione ed essere stato espressamente informato del diritto a un nuovo processo o ad un ricorso in appello, ha dichiarato espressamente di non L’esecuzione Per effetto della sentenza di riconoscimento il titolo emesso dall’autorità straniera è equiparato ad un titolo equivalente, emesso da una autorità giudiziaria nazionale (27), con il conseguente obbligo per il pubblico ministero competente, che ne deve essere informato, di darvi esecuzione. L’equiparazione attiene alla sola esecuzione, ai giudizi connessi (28), con esclusione di ogni estensione a giudizi diversi. Compete, perciò, alle autorità di esecuzione estera, in ipotesi a quelle italiane, di procedere per l’eventuale riduzione dei tempi di durata della sanzione, per concessione della liberazione anticipata (29), non quella di pronunciarsi su una do- (27) N. Plastina, L’esecuzione delle pene detentive, in Spazio europeo di giustizia e procedimento penale italiano, a cura di L. Kalb, 2012, 613. (28) La Corte costituzionale, con sent. 22 marzo 2001, n. 73, in Giur. it., 2001, 1801, si è pronunciata per l’applicazione degli istituti di diritto penitenziario ai detenuti trasferiti dall’estero. (29) Sarebbe irrazionale concedere la liberazione anticipata all’affidato in prova e non al libero condizionale sul quale gravano prescrizioni più restrittive; conforme, Cass., Sez. I, 19 lu- Diritto penale e processo 9/2016 opporsi alla decisione o non ha richiesto un nuovo processo o presentato ricorso in appello entro il termine stabilito; m) se la sentenza o la decisione di liberazione condizionale prevede una misura di trattamento medico o psichiatrico incompatibile con il sistema penitenziario o sanitario dello Stato, fatta salva possibilità di ricorrere ad adeguamenti; n) se la sentenza si riferisce a reati che, in base alla legge dello Stato, sono considerati commessi per intero o in parte all’interno del suo territorio o in altro luogo a questo equiparato. In specifiche situazioni, richiamate nel comma 3 dell’art. 13, per motivi inerenti alla rilevata insussistenza delle condizioni per il riconoscimento, tra le quali la violazione del principio di ne bis in idem, della clausola di territorialità, delle regole che disciplinano il procedimento in absentia, la Corte prima di decidere per il rifiuto del riconoscimento, è tenuta a consultare, anche tramite il Ministero della giustizia, l’autorità competente dello Stato di emissione, richiedendo ogni informazione utile; in altre, invece, le è consentito di decidere, d’accordo con l’autorità dello Stato di emissione, di sorvegliare gli obblighi e le prescrizioni imposti con la decisione, senza assumere la competenza ad adottare decisioni di modifica o revoca, ovvero, di imposizione di misure restrittive della libertà personale. In tali ipotesi è tenuta ad informare, ricorrendo ad un particolare modulo (allegato II al decreto) l’autorità dello Stato di emissione di qualsiasi circostanza o elemento conoscitivo che potrebbe comportare l’adozione di uno o più decisioni per l’inosservanza degli obblighi e prescrizioni imposti. 1155 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria manda di revisione (art. 629 c.p.p.), o su un ricorso per cassazione per errore materiale o di fatto (art. 625 bis c.p.p.), che attengono, comunque, al merito, ma neppure sulla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso in violazione dell’art. 164, comma 4, c.p., in presenza di cause ostative, non documentalmente note al giudice della cognizione, anche se trattasi di competenza riconosciuta al giudice di esecuzione dell’autorità remittente (30). L’espresso richiamo all’amnistia, causa di estinzione del reato, ed all’indulto e alla grazia, cause di estinzione della pena, contenuto nell’art. 14, comma 1, del decreto, è dovuto alla ritenuta opportunità di prevenire l’insorgere di contrasti registrati, in materia analoga, sull’applicabilità dell’indulto ai detenuti trasferiti dall’estero in Italia con la procedura prevista dalla Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 (31). Il riconoscimento del titolo esecutivo, l’assunzione dell’impegno a darvi esecuzione, da parte delle autorità di uno Stato diverso da quello della condanna, non estingue il dovere di esecuzione che fa carico all’autorità di quello Stato, più limitatamente lo sospende e condiziona ad una collaborazione che importa l’obbligo di rifarsi carico delle relative attività quando l’impegno dell’altro dovesse venir meno. In questo quadro di concorso di competenze, risultano evidenti le ragioni che importano l’obbligo per le due autorità di tenersi, reciprocamente e tempestivamente, informate, di tutte le circostanze che dovessero intervenire a modifica o cessazione della sanzione. A provvedere all’esecuzione in Italia della decisione delle autorità estere riconosciuta, è chiamato, nel rispetto del principio generale, artt. 655 c.p.p., il Procuratore generale presso la Corte d’appello che ha proceduto. La disposizione non importa l’attribuzione diretta del compito, ma l’obbligo di farsene promotore, di assumere le opportune iniziative, di officiare gli organi secondo le proprie competenze. Queste, considerati anche, i ripetuti richiami del decreto legislativo alla funzione rieducativa attribuita alle sanzio- La sorveglianza sull’esecuzione Risocializzare il condannato non è il fine delle sole pene detentive, ma di tutte le pene, in particolare di quelle misure e sanzioni accumunate nell’obbligo di non provocare rotture nelle relazioni tra soggetto e comunità, di favorirne il ristabilimento quando la rottura si è verificata. Questa esigenza, rientrante tra le motivazioni che giustificano l’esecuzione di una decisione penale sul territorio di uno Stato diverso da quello nel quale sono state inflitte, deve essere assunta tra le linee guida di interpretazione delle norme del decreto. Le fattispecie richiamate nella previsione, a prescindere dalle definizioni, si compendiano in sanzioni non restrittive che, in differenziati regimi di libertà vigilata, controllata, consentono al condannato, con il supporto di persone specializzate, di superare momenti di difficoltà, in ambito familiare, sociale, per riportarli a rapporti di vita ordinata. Nel nostro ordinamento tra gli istituti che ne possono risultare interessati, sopra individuati, i principali sono: la liberazione condizionale e le sanzioni sostitutive, che si sostanziano nell’imposizione di obblighi e prescrizioni, diverse dalla pena detentiva e dalla pena pecuniaria, ma che importano limitazioni e controlli della libertà. La liberazione condizionata importa l’anticipata liberazione del condannato e la sua ammissione a proseguire nella espiazione della pena residua in regime di libertà vigilata, misura di sicurezza personale, non detentiva (art. 228 c.p.), in funzione di misura alternativa (32). Questa, applicata al caso, importa la sottoposizione a prescrizioni, dettate dal magistrato di sorveglianza, che ne è il dominus, che hanno riguardo agli orari di obbli- glio 2012, Cicciù, in CED Cass. 253691. (30) Le sezioni unite della cassazione con sentenza 23 aprile 2015, P.M. in proc. Longo, in CED Cass. 264381, nel risolvere un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che “il giudice dell’esecuzione deve revocare la sospensione condizionale della pena in presenza di cause ostative salvo che tali cause risultassero documentalmente al giudice di cognizione”. (31) Cass., SS.UU., sent. 10 luglio 2008, Napoletano, in CED Cass. 240399. (32) La liberazione condizionale, disciplinata come uno sta- dio dell’esecuzione della pena, a seguito dell’intervento della Corte costituzionale, sent. 4 luglio 1974, n. 204, in Giust. pen., 1975, I, c. 17. Cfr. Patane, Giudice competente e procedimento per la concessione della liberazione condizionale dopo la sentenza 4 luglio 1974, n. 204, della Corte costituzionale, in Giust. pen., 1975, III, c. 247; che sul presupposto dell’art. 27, comma 3, Cost., dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 43, R.D. 28 maggio 1931, n. 602, che attribuiva al ministro la facoltà di concederla e del legislatore, che prima ne assegnò la competenza, L. 12 febbraio 1975, n. 6, alla Corte d’Appello, poi con 1156 ni da eseguire, sono sostanzialmente riconducibili a quelle disciplinate dagli artt. 659, comma 2, e 661 c.p.p., quindi, alla magistratura di sorveglianza, giudice specializzato. Pertanto, il procuratore generale, cui perviene una sentenza di riconoscimento, emessa dalla corte d’appello, che prevede l’applicazione di obblighi e prescrizioni da osservare e controllare, deve trasmetterla per l’esecuzione al magistrato di sorveglianza competente per territorio. Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria gatoria presenza nell’abitazione, alle limitazioni dei movimenti sul territorio, all’obbligo di presentarsi periodicamente all’autorità di polizia, di tenere rapporti con l’UEPE che favoriscano il reinserimento sociale mediante accesso al lavoro. La sanzione sostitutiva, definita libertà controllata, è, a sua volta, una misura limitativa della libertà personale, da eseguire fuori dall’ambiente carcerario, il cui contenuto sostanziale è costituito dall’obbligo di soggiorno e da prescrizioni, espressamente previste, tra le quali l’obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno, compatibilmente con le esigenze di studio o di lavoro, presso l’ufficio di pubblica sicurezza o l’Arma dei carabinieri territorialmente competente. Nei confronti di chi vi è sottoposto, il magistrato di sorveglianza può richiedere l’intervento del servizio sociale quando lo ritenga utile per favorire il reinserimento sociale. Com’è facile rilevare libertà vigilata, in funzione di misura alternativa, e libertà controllata, sanzione sostitutiva, sono strutturate secondo un comune modello che importa limitazioni della libertà personale. Nonostante questa affinità di strutture, le due misure si differenziano nei contenuti. La libertà vigilata, si caratterizza per la previsione di prescrizioni non predeterminate dalla legge, associati ad interventi di sostegno e assistenza da svolgere dal servizio sociale, mentre la libertà controllata, con la fissità e predeterminazione delle prescrizioni prevede un intervento solamente facoltativo del servizio sociale. Il magistrato di sorveglianza è l’organo giudiziario preposto a gestire e controllare l’esecuzione di entrambe le misure; a lui il procuratore generale dove rimettere i titoli esecutivi, anche quando, provenienti da Stato estero, sono stati riconosciuti dalla Corte d’appello. La figura specializzata del magistrato di sorveglianza, del resto, è quella che meglio si adatta alla predisposizione di idonee modalità esecutive, in una funzione che consente possibilità di conoscenza della personalità del condannato, delle sue concrete condizioni di vita, delle esigenze risocializzatrici. In questo senso la figura del magistrato di sorveglianza è quella che meglio si presta ad assolvere il compito in quanto giudice più “vicino”. L’espiazione nel comune in cui il soggetto ha la sua dimora abituale e prevalente, estero rispetto allo Stato di condanna, sotto questo profilo, potrà meglio rispondere sia allo scopo della rieducazione, facilitando l’inserimento del condannato nella società nella quale vive, ha scelto di vivere, sia della sicurezza rendendo questa se non partecipe, quanto meno testimone della relativa attività. L. 10 ottobre 1986, n. 663, art. 22, che modificò l’art. 70, L. 26 luglio 1975, n. 6, al tribunale di sorveglianza, fu ritenuto da un largo indirizzo di pensiero, spogliato degli originali connotati clemenziali, per assumere le vesti di misura alternativa, F.P.C. Iovino, Sulla diversa natura giuridica della liberazione condizionale generale - art. 176 c.p. - e speciale - art. 8.5.1982, n. 304, in Cass. pen., 1991, 1547, 2091, contra, Canepa, Merlo, Manuale di diritto penitenziario, cit., 301. Tale indirizzo ha trovato successiva convalida nella decisione della Corte costituzionale, sent. 17 maggio 2001, n. 1274, in Giur. cost., 2001, 1108; che ha riconosciuto la liberazione condizionale come istituto che non solo si inserisce decisamente nell’ambito della finalità rieducativa della pena, ma che si pone, altresì, come momento tendenzialmente terminale del trattamento progressivo di risocializzazione. Vedi, L. Degli Innocenti - F. Faldi, I benefici penitenziari, Milano, 2014, 322 ss. Diritto penale e processo 9/2016 La revoca del riconoscimento Qualora la persona condannata si sottragga all’osservanza degli obblighi e delle prescrizioni impartiti, non mantenga la residenza legale e abituale nel territorio dello Stato, commetta un nuovo reato, il procuratore generale chiede alla corte di appello i provvedimenti del caso. Questa, può disporre, se ne ricorrono gli estremi, anche, la revoca del riconoscimento e la cessazione della sorveglianza, facendo ricorso al rito dell’art. 127 c.p.p. Qualora, invece, è lo Stato di emissione ad avanzare la richiesta, perché a carico della persona condannata, nello Stato estero, è in corso un nuovo procedimento penale, la Corte di appello può decidere, su richiesta del procuratore generale, senza formalità, di rimettere all’autorità competente dello Stato di emissione l’esercizio dei poteri di sorveglianza. In quest’ultima ipotesi, non è previsto un procedimento, perché, si ritiene, che non vi è nulla da accertare e da decidere, eppure, la restituzione dei poteri di sorveglianza alle autorità dello Stato di emissione, non può ignorarsi, implica la revoca di una decisione giudiziaria, la sentenza di riconoscimento, inaudita altera parte. Riflessioni conclusive L’esame del testo legislativo consente un giudizio positivo sulla estensione sul territorio di tutti gli Stati membri dell’efficacia dei giudicati penali, pronunciati dalle autorità di uno Stato, al fine di perseguire, come fine comune, la riabilitazione sociale delle persone condannate o liberate con la condizionale, oppure, condannate con sanzioni sostitutive. La possibilità di eseguire la sanzione, anziché sul territorio dello Stato della condanna, su quello sul quale vive e lavora abitualmente, consente al condannato di non interrompere i rapporti 1157 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria familiari e sociali, essenziali ai fini dell’auspicabile reinserimento sociale, ma anche, di proporre alla comunità una comunicazione visiva della presenza dello Stato, del suo impegno a combattere il crimine. Quest’ultima considerazione rende, ex adverso, meno comprensibile la scelta, come Stato estero di esecuzione non quello di residenza abituale o di fatto, ma di uno Stato elettivo che, se non sia condizionata ad una valida motivazione, lodevole, quando indicativa di un luogo di possibile, certo lavoro, o di sottrazione ad ambienti non consigliabili, ma poco meritevole di encomio se finalizzata a sottrarsi al controllo sociale della comunità offesa dal reato. È una menda alla quale potrà, dovrà, se gli verrà riconosciuto in sede applicativa il relativo potere, porre riparo prima il giudice del riconoscimento, poi, con maggiore, incisività il giudice incaricato della sorveglianza sull’esecuzione, quello che benché ignorato nel decreto, sarà quello chiamato a valutare, con la personalità del condannato, prescrizioni ed obblighi e la loro idoneità al fine. Non sempre impeccabile la tecnica legislativa che, impegnata ad inseguire i particolari, non cura, talora, il disegno generale. Sarebbe stato auspicabile, e più facile da praticare, un percorso unico, sviluppato lungo due generali itinera, per il trasferimento all’estero delle decisioni, tutte, emesse dalle nostre 1158 autorità e per il riconoscimento e l’esecuzione in Italia delle decisioni giudiziarie delle autorità di uno Stato membro, anziché ricorrere a tante normative quante sono le categorie. Con richiamo esemplificativo, sarebbe stata più pratica una previsione unica per le misure alternative, le sanzioni sostitutive, per tutti quegli istituti che si collocano tra la pena carceraria e quelle che si attenuano la prevista, originaria detenzione carceraria secondo modalità difformi, in qualcosa di diverso, che nonnina la libertà. Particolare è l’incongruenza che si rileva nelle regole procedimentali dettate dal decreto. L’art. 6, fa carico della trasmissione delle decisioni da eseguire all’estero, al pubblico ministero indicato nell’art. 665 c.p.p., cioè al pubblico mistero presso il giudice dell’esecuzione, che nella specie è coerentemente indicato nel procuratore generale, presso la Corte d’appello che ha operato il riconoscimento. Questa coerenza di sistema non viene, però, rispettata riguardo alle richieste di riconoscimento provenienti dall’estero. A ricettore della richiesta è designato (art. 12) non il procuratore generale, bensì la Corte d’appello, che con l’attribuzione delle incombenze relative alle attività burocratiche è eletta ad organo promotore della decisione che dovrà rendere, con uno stravolgimento delle funzioni. Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Giudicato penale La considerazione dei precedenti penali “europei” nell’ordinamento interno di Roberta Troisi (*) Il D.Lgs. 12 maggio 2016, n. 73 consente all’autorità giudiziaria italiana di prendere in considerazione, anche in assenza di riconoscimento, le decisioni definitive di condanna adottate dall’autorità giudiziaria penale di uno Stato membro dell’Unione europea nei confronti della stessa persona ma per fatti diversi, per ogni determinazione sulla pena, per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna, per dichiarare l’abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere, o per assumere decisioni nella fase delle indagini preliminari o nella fase esecutiva. Decisione quadro 2008/675/GAI del Consiglio del 14 luglio 2008 Considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell’Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale D.Lgs. 12 maggio 2016, n. 73 G.U. 20 maggio 2016, n. 117 (in vigore dal 4 giugno 2016) Modifiche Il D.Lgs. n. 73 del 2016 non ha introdotto alcuna modifica alle leggi vigenti La decisione quadro 2008/675/GAI Tappa fondamentale nel processo di realizzazione dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, le conclusioni del Consiglio di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 (1) hanno, come noto, “eletto” a fondamento della cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie (2), alla cui base vi è la reciproca fiducia che gli Stati membri dell’Unione pongono nella loro capacità di garantire un processo equo e di costruire un sistema in grado di produrre decisioni suscettibili di essere eseguite (*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee. (1) F. Spiezia, La cooperazione giudiziaria internazionale e lo spazio di giustizia europeo, in AA.VV., Procedura penale. Teoria e pratica del processo, IV, Impugnazioni. Esecuzione penale. Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, a cura di L. Kalb, Milano, 2015, 844. (2) La sua importanza nel settore della giustizia penale nell’Unione europea, confermata sia dal Programma dell’Aja del Diritto penale e processo 9/2016 sul territorio europeo evitando procedure di convalida. Tra le principali misure per l’attuazione del principio è stata, da subito, indicata “l’adozione di uno o più strumenti volti ad introdurre il principio secondo cui il giudice di uno Stato membro deve essere in grado di tener conto delle decisioni penali definitive rese negli altri Stati membri per valutare i precedenti penali del delinquente, prendere in considerazione la recidiva e determinare la natura delle pene e le modalità di esecuzione applicabili” (3). novembre 2004 (in GUUE 3 marzo 2005, C 53), che dal Programma di Stoccolma del dicembre 2009 (in GUUE 4 maggio 2010, C 115), è ora espressamente sancita nel Trattato di Lisbona (artt. 67 e 82, § 1 del TFUE). (3) Misura n. 2, con grado di priorità 4, del programma di misure per l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali (in GUCE 15 gennaio 2001, C 12, 13). 1159 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria La prospettiva si è concretizzata con la decisione quadro 2008/675/GAI del 24 luglio 2008, relativa “alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell’Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale” (4). L’obiettivo non è far eseguire in uno Stato membro decisioni giudiziarie adottate in altri Stati membri (5), ma consentire alle autorità giudiziarie di prendere in considerazione, in occasione di un procedimento penale nei confronti di una persona, le sentenze penali definitive pronunciate dai giudici di altri Stati membri contro la stessa persona per fatti diversi (art. 3) (6). È stato, così, previsto l’obbligo degli ordinamenti nazionali di assimilare alle condanne domestiche quelle pronunciate in altri Stati europei, con riguardo agli effetti che i precedenti penali esplicano in un nuovo procedimento. La condanna, cioè, deve essere presa in considerazione come se fosse stata pronunciata dai giudici nazionali e deve poter esplicare effetti equivalenti a quelli prodotti dalle precedenti condanne nazionali (7). Nell’interesse di un’efficace giustizia penale, si è, infatti, ritenuto opportuno che gli Stati membri dispongano di norme che permettano di appurare, in tutte le fasi di un procedimento penale, se l’autore abbia commesso per la prima volta il reato o se sia stata già pronunciata una condanna nei suoi confronti in altro Stato membro, al fine di valutare il passato criminoso del soggetto e trarne tutte le conseguenze previste dalla legge. L’obbligo di “assimilazione” è stato riferito ad “ogni decisione definitiva di una giurisdizione penale che stabilisca la colpevolezza di una persona per un reato” (8), con esclusione, quindi, dei carichi pendenti, e non comporta l’armonizzazione o il ravvicinamento degli effetti che, nei singoli Stati membri, i precedenti penali esplicano in un nuovo procedimento (9). Gli Stati hanno, dunque, ampia discrezionalità in ordine alla scelta del tipo di effetto da attribuire nella fase precedente al processo, nel corso del processo stesso ed in occasione dell’esecuzione della condanna (soprattutto con riferimento alla misura della pena e alle disposizioni che regolano l’esecuzione della sentenza) - alle decisioni di condanna rese dalle autorità giurisdizionali dei Partner europei (10), purché si tratti di “effetti giuridici equivalenti a quelli derivanti da precedenti condanne nazionali” e fermo il divieto di revocarle o sottoporle a riesame. (4) La decisione quadro, pubblicata in GUUE 15 agosto 2008, L 220, sostituisce l’art. 56 della Convenzione del Consiglio d’Europa del 28 maggio 1970 sulla validità internazionale delle sentenze penali, riguardante la considerazione delle condanne penali tra gli Stati membri contraenti di tale convenzione. (5) A tale scopo si applica il D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161 (pubblicato in GU 1° ottobre 2010, n. 230 e contenente disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/909/GAI del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea - in GUUE 16 dicembre 2008, L 337), che prevede la possibilità di eseguire nel nostro Paese una pena detentiva, o una misura di sicurezza, inflitta all’esito di un processo penale celebrato in un altro Stato membro dell’Unione europea, subordinandola alla formale iniziativa dello Stato estero, nel cui territorio sia stata pronunciata la sentenza che si vuole venga eseguita in Italia, e alla sussistenza di ben precisi requisiti, anche di natura formale. Ai fini del riconoscimento e dell’esecuzione, occorre che la sentenza trasmessa sia stata pronunciata a carico di cittadino italiano, avente residenza, dimora o domicilio nel territorio dello Stato (o di cittadino italiano che debba essere espulso verso l’Italia per effetto della sentenza di condanna o di altro provvedimento adottato in seguito alla sentenza), e che si trovi in Italia o nel territorio dello Stato di emissione. È altresì necessario che il fatto, oggetto della sentenza, sia previsto come reato anche dalla legge nazionale (tranne che non si tratti di fattispecie, punita con pena detentiva non inferiore nel massimo a tre anni, rientrante tra quelle che consentono l’esecuzione del mandato di arresto europeo anche in deroga al requisito della doppia punibilità) e che la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza applicate nello Stato di emis- sione siano compatibili con la legislazione italiana. La sentenza straniera può essere riconosciuta ed eseguita nel territorio dello Stato, in presenza delle altre condizioni, anche se pronunciata nei confronti di persona che non abbia la cittadinanza italiana o non abbia residenza, dimora o domicilio in Italia. In questo caso, è necessario il consenso sia del ministro della giustizia, che della persona condannata (art. 10, D.Lgs. n. 161 del 2010). Cfr. sul tema, A.A. Dalia-M. Ferraioli, Manuela di diritto processuale penale, Padova, 2016, 977 ss.; N. Plastina, L’esecuzione delle pene detentive, in AA.VV., “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano, cit., 604. (6) L. Kalb, Il sistema informativo giudiziario: il casellario e l’anagrafe, in AA.VV., Procedura penale. Teoria e pratica del processo, cit., 783. (7) G. Iuzzolino, La recidiva europea. Il valore dei precedenti penali negli Stati membri, in AA.VV., “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano, a cura di L. Kalb, Torino, 2012, 669. (8) La trasmissione di informazioni estratte dal casellario giudiziale, nonostante riguardi esclusivamente le persone fisiche che abbiano la cittadinanza europea, non dovrebbe pregiudicare l’eventuale futura estensione dell’ambito di applicazione di tali meccanismi allo scambio di informazioni relative alle persone giuridiche (cfr. considerando n. 7 decisione quadro 2009/315/GAI). Diversamente, per i cittadini di Stati terzi continueranno ad applicarsi le regole della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959. (9) La regolamentazione di questi effetti continua a ricadere interamente nella lex loci. (10) V. P.P. Paulesu, Profili esecutivi, in AA.VV., Manuale di procedura penale europea, a cura di R.E. Kostoris, Milano, 2015, 450. 1160 Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria È chiaro che la “considerazione” dei precedenti penali “europei” presuppone la circolazione, tra gli Stati membri, dei dati e delle informazioni relative alle sentenze di condanna iscritte nei casellari giudiziali nazionali. In vista di questo obiettivo, sono state adottate la decisione quadro 2009/315/GAI del 26 febbraio 2009, relativa “all’organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario” (11), e la decisione 2009/316/GAI del 6 aprile 2009, che istituisce “il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS)” (12). Le due decisioni - che sostituiscono lo scarsamente efficace meccanismo della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 (13) - pur senza armonizzare la disciplina nazionale dei casellari giudiziali (14), mirano ad ottimizzare la condivisione dei dati relativi alle decisioni di condanna pronunciate in ambito europeo, condizione, questa, ritenuta fondamentale per la costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (15). Si pongono, pertanto, in un’ottica di completamento rispetto agli intenti sottesi alla decisione quadro n. 675 del 2008. I due meccanismi si integrano, in effetti, a vicenda: lo scambio dei dati estratti dai casellari è funziona- (11) Pubblicata in GUUE 7 aprile 2009, L 93, è stata attuata nel nostro ordinamento, soltanto di recente, con il D.Lgs. 12 maggio 2016, n. 74 (in GU 20 maggio 2016, n. 117). La genesi della decisione quadro è da ricondurre alla proposta presentata il 22 dicembre 2005 dalla Commissione [COM(2005) 690]. In realtà, in seguito all’adozione del Programma dell’Aia, la Commissione aveva redatto un “Libro bianco relativo allo scambio di informazioni sulle condanne penali e sull’effetto di queste ultime nell’Unione europea” [COM(2005) 10]. In tale documento si prospettava la creazione di uno “schedario europeo delle persone già condannate”, che consentisse di individuare rapidamente gli Stati membri nei quali la persona fosse stata già condannata, e l’elaborazione di un “formato europeo standardizzato”, riconosciuto da tutti gli Stati membri, idoneo a trasmettere le informazioni in modo che fossero facilmente traducibili e giuridicamente comprensibili da tutti. Nella riunione del 14 aprile 2005, il Consiglio GAI - sulla scorta del progetto pilota di interconnessione dei casellari giudiziari avviato da Belgio, Francia, Germania e Spagna e a cui ha aderito, successivamente, anche l’Italia (NJR, acronimo di Network of Judicial Registers) - aveva, però, espresso preferenza per un sistema di scambio di informazioni che avvenisse attraverso lo Stato membro di cittadinanza della persona condannata. Si optava, quindi, per una interconnessione degli archivi nazionali, anziché per la realizzazione di uno schedario centralizzato, sia pure con la funzione limitata - escogitata dal Libro bianco - di indentificare lo Stato di condanna. Nel recepire le indicazioni del Consiglio GAI, la Commissione ha, pertanto, approntato la proposta n. 690 del 2005. L’interconnessione telematica dei casellari giudiziari a livello dell’Unione europea è stata ulteriormente sollecitata dal Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007. Su questi temi v. in dottrina, tra gli altri, L. Kalb, Il sistema informativo giudiziario: il casellario e l’anagrafe, in AA.VV., Procedura penale. Teoria e pratica del processo, cit., 784 ss.; P. Troisi, Il potenziamento della cooperazione transfrontaliera. Lo scambi di informazioni, in AA.VV., “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano, cit., 221; D. Cimadono, Il casellario giudiziario, in AA.VV., “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano, cit., 842 ss.; D. Cimadomo, Le iscrizioni nel casellario e le spese di giustizia, in AA.VV., Trattato di procedura penale, coordinato da G. Spangher, vol. 6, Esecuzione e rapporti con autorità giurisdizionali straniere, a cura di L. Kalb, Torino, 2009, 360; M Gialuz, Il casellario giudiziario europeo: una frontiera dell’integrazione in materia penale, in AA.VV., Cooperazione informativa e giustizia penale nell’Unione europea, a cura di F. Peroni - M. Gialuz, Trieste, 2009, 190. (12) La decisione, pubblicata in GUUE del 7 aprile 2009, L 93 ha dato seguito ad una proposta della Commissione del maggio 2008 [COM(2008) 332] ed è stata recepita dal legislatore italiano con il D.Lgs. 12 maggio 2016, n. 75 (in GU 20 maggio 2016, n. 117). (13) Nei rapporti tra gli Stati membri, la decisione n. 315 del 2009, per un verso, completa le disposizioni dell’art. 13 della Convenzione di assistenza giudiziaria (secondo cui “la Parte richiesta trasmetterà, nella misura in cui le sue autorità giudiziarie potranno ottenerli esse stesse in un caso simile, gli estratti del casellario giudiziale e tutte le informazioni relative al medesimo che le saranno chieste dalle autorità giudiziarie di una Parte Contraente per i bisogni di un affare penale”) e, per l’altro, sostituisce le disposizioni dell’art. 22 della medesima Convenzione (che prevede l’obbligo dello Stato di condanna di notificare allo Stato di cittadinanza, almeno una volta l’anno, le informazioni relative alle sentenze penali). Abroga, inoltre, la decisione n. 876 del 2005, relativa allo scambio di informazioni estratte dal casellario giudiziario, adottata nel novembre 2005 allo scopo di integrare la disciplina dettata dalla Convenzione di assistenza giudiziaria (cfr. art. 12 decisione quadro n. 315 del 2009). (14) Per un approfondimento sul tema, si rinvia infra, A.A. Sammarco, ….… (15) È chiaro che l’apertura delle frontiere nazionali e la libera circolazione delle persone in ambito europeo rendono indispensabile, ai fini di un’efficace contrasto alla criminalità transfrontaliera e allo scopo di agevolare l’applicazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, assicurare una efficace circolazione delle informazioni relative alle condanne e alle interdizioni. Nel considerando n. 12 della decisione quadro n. 315 del 2009 si rileva che “il meccanismo istituito dalla presente decisione quadro mira, tra l’altro, ad assicurare che una persona condannata per reati sessuali commessi su bambini, qualora il suo casellario giudiziario nello Stato membro di condanna contenga la condanna stessa e, ove comminata e iscritta nel casellario giudiziario, un’interdizione da essa derivante, non possa più occultare tale condanna o interdizione al fine di esercitare l’attività attinente alla cura dei bambini in un altro Stato membro”. In tal modo, si è inteso realizzare l’obiettivo perseguito da una proposta del Regno del Belgio del 5 novembre 2004, relativa “al riconoscimento e all’esecuzione nell’Unione europea dei divieti risultanti da condanne per reati sessuali ai danni di bambino” (documento del Consiglio n. 14207/04). In questa direzione si muove, altresì, la direttiva 2011/92/UE (in GUUE 17 dicembre 2011, L 335), concernente la lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI. Si prevede, all’art. 10, che gli Stati membri adottino le misure necessarie per assicurare che le informazioni sull’esistenza di condanne per i reati oggetto della direttiva o di eventuali misure interdittive dell’esercizio di attività che comportano contatti diretti e regolari con minori derivanti da tali condanne penali siano trasmesse in conformità delle procedure previste dalla decisione quadro n. 315 del 2009. Diritto penale e processo 9/2016 1161 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria le a consentire che, all’interno di ciascun ordinamento, in occasione di un procedimento penale, vengano presi in considerazione, per gli effetti riconosciuti dalla legislazione nazionale, i precedenti penali maturati in altri Stati (16). In questo modo, diviene possibile ottenere informazioni esaustive ed aggiornate sui precedenti penali di ogni cittadino europeo (17), a prescindere da quale sia lo Stato membro di condanna, per riconoscergli effetti in occasione di un nuovo procedimento penale. Il D.Lgs. 12 maggio 2016, n. 73 Nonostante la decisione quadro n. 675 del 2008 doveva essere attuata negli Stati membri entro il 15 agosto 2010, l’Italia l’ha recepita solo con il D.Lgs. 12 maggio 2016, n. 73 (18). Si prevede che le decisioni definitive di condanna adottate dall’autorità giudiziaria penale (19) di uno Stato membro dell’Unione europea - pronunciate per fatti diversi da quelli per i quali procede l’autorità giudiziaria italiana e ottenute in virtù degli strumenti applicabili all’assistenza giudiziaria reciproca in materia penale tra gli Stati membri o allo scambio di informazioni estratte dai casellari giudiziali (20) - sono valutate, nei confronti della persona a cui si riferiscono, anche in assenza di riconoscimento (e purché non contrastanti con i principi (16) Le nozioni di “condanna” e di “procedimento penale”, fatte proprie dalle decisioni quadro n. 315 del 2009 e n. 675 del 2008, sostanzialmente si equivalgono. Per “condanna” si intende ogni decisione definitiva di una giurisdizione penale che stabilisca la colpevolezza di una persona per un reato. Con la locuzione “procedimento penale” si fa riferimento alla fase precedente al processo penale, a quella del processo vero e proprio e all’esecuzione della condanna. Cfr., sul punto, P. Troisi, La circolazione di informazioni per le investigazioni penali nello spazio giuridico europeo, Padova, 2012, 47. (17) Questo sistema, infatti, si riferisce esclusivamente ai cittadini europei e non tiene sufficientemente conto delle caratteristiche delle richieste riguardanti i cittadini di paesi terzi. Infatti, sebbene sia ormai possibile scambiare informazioni sui cittadini di paesi terzi tramite ECRIS, manca una procedura o un meccanismo che consenta di farlo in modo efficace in quanto le informazioni sui cittadini di paesi terzi sono solo conservate negli Stati membri in cui le condanne sono state pronunciate. Pertanto, per ottenere un quadro completo dei precedenti penali di una determinata persona è necessario chiedere informazioni a tutti gli Stati membri. Per questo motivo, l’Unione europea ha ritenuto opportuno istituire un sistema che permetta all’autorità centrale di uno Stato membro di individuare rapidamente ed efficacemente in quale altro Stato membro sono conservate informazioni sui precedenti penali di un cittadino di un paese terzo, in modo che l’attuale quadro di ECRIS possa poi essere utilizzato anche nei confronti dei cittadini di Stati terzi. A tal fine, è stata predisposta la proposta di direttiva del parlamento europeo e del consiglio che modifica la decisione quadro 2009/315/GAI del Consiglio per quanto riguarda lo scambio di informazioni sui cittadini di paesi terzi e il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziali 1162 generali dell’ordinamento giuridico dello Stato), per ogni determinazione sulla pena, per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna, ovvero per dichiarare l’abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere. Tali decisioni hanno rilevanza e devono essere considerate anche per l’adozione delle decisioni nella fase delle indagini preliminari e nella fase dell’esecuzione della pena. La valutazione delle condanne non può, però, comportare la loro revoca o il loro riesame, non può avere effetto sulla loro esecutività e non rileva per le determinazioni relative al procedimento di revisione (art. 3). Il legislatore ha, in tal modo, inteso adempiere all’obbligo di “assimilazione”. Gli ambiti di valutazione dei precedenti “europei” - determinazioni sulla pena, recidiva, effetti penali della condanna, dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere, rilevanza nelle indagini preliminari e in fase esecutiva - consentono, infatti, di riconoscere alle condanne rese in altri Stati membri effetti equivalenti a quelli che l’ordinamento interno collega alle informazioni estratte dal casellario giudiziale nazionale. Unica condizione posta dal legislatore italiano è che si tratti di decisioni di condanna non contra(ECRIS), e che sostituisce la decisione 2009/316/GAI del Consiglio. L’obiettivo di questa direttiva è quello di consentire uno scambio rapido ed efficace anche delle informazioni estratte dal casellario giudiziale relative ai cittadini di paesi terzi (cfr. COM(2016) 7 final, del 19 gennaio 2016). (18) Emanato in ottemperanza agli artt. 1 e 21 della l. 9 luglio 2015, n. 114, “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea Legge di delegazione europea 2014”, in GU 31 luglio 2015, n. 176, è stato pubblicato in GU 20 maggio 2016, n. 117 ed è entrato in vigore il 4 giugno 2016. (19) Ciò che emerge, in maniera lampante, è la diversa definizione di “condanna” data dal legislatore italiano rispetto a quello europeo. Infatti, mentre la decisione quadro intende per condanna ogni decisione definitiva di una “giurisdizione penale” che stabilisca la colpevolezza di una persona per un reato, il decreto legislativo la equipara ad ogni decisione definitiva di condanna adottata dall’“autorità giudiziaria” penale di un altro Stato membro nei confronti di una persona fisica in relazione ad un reato. Da una semplice lettura di queste definizioni, potrebbe desumersi che il legislatore italiano abbia voluto far riferimento non soltanto alle decisioni di condanna emesse da organi giurisdizionali europei, ma anche alle decisioni adottate da altri organi giudiziari, come ad esempio dal magistrato del pubblico ministero. Tale conclusione, però, non solo non è conforme a quanto stabilito dalla decisione quadro, ma contrasterebbe con i principi fondamentali dell’ordinamento interno, che richiedono il rispetto della terzietà e della imparzialità dell’organo che pronuncia decisioni di condanna. (20) Per un approfondimento sull’argomento,cfr. infra, A.A. Sammarco, …… Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria stanti con i principi generali dell’ordinamento giuridico interno. Da qui si ricava l’idea che il nostro legislatore, rispetto alla decisione quadro, si sia posto nell’ottica della giustapposizione, anziché della mera attuazione, stabilendo condizioni che non sempre sono in sintonia con le direttive dell’Unione europea. Infatti, si tratta di una clausola che va sicuramente a limitare il principio del mutuo riconoscimento, in quanto, nonostante non preveda alcun riconoscimento, richiede un controllo sulla conformità delle condanne europee ai principi fondamentali del nostro ordinamento. Continua, pertanto, a non esserci piena fiducia nella capacità degli Stati membri di garantire un processo equo. Passando alla disamina degli effetti prodotti, in forza della nuova disciplina, dai precedenti “europei”, essi assumono rilevanza sin dalla fase delle indagini preliminari. L’autorità procedente, attraverso l’acquisizione, subito dopo aver iscritto il nome della persona alla quale il reato è attribuito nel registro delle notizie di reato, del certificato del casellario nazionale e di quello europeo apprende notizie sul soggetto nei cui confronti sono svolte le indagini al fine di appurare se si tratta di persona destinataria di provvedimenti definitivi adottati da un’autorità italiana o da altra autorità europea (art. 110 disp. att. c.p.p.). Le informazioni relative a precedenti condanne possono essere utilizzate dal magistrato del pubblico ministero, ad esempio, per contestare la recidiva (art. 99 c.p.) (21), per chiedere l’applicazione di una misura cautelare (art. 291, comma 1, c.p.p.) o l’applicazione provvisoria di una misura di sicurezza (art. 312 c.p.). In sede cognitiva, il certificato del casellario giudiziale nazionale e, di conseguenza, in virtù del principio di assimilazione, anche di quello europeo entra a far parte, al momento della sua formazione, del fascicolo per il dibattimento (art. 431, comma 1, lett. g, c.p.p.) ed è valutabile, come prova documentale, ai fini del giudizio sulla personalità dell’imputato (art. 236 c.p.p.) (22). Non può essere, però, utilizzato in relazione ai fatti il cui accertamento è contenuto nelle sentenze irrevocabili che ivi sono riportate, in quanto solo con l’acquisizione e l’utilizzazione della sentenza stessa può essere data prova di un fatto ex art. 238 bis c.p.p. Inoltre, nella fase post dibattimentale, la conoscenza di una precedente condanna orienta il giudice, ad esempio, nella determinazione della gravità del reato ai fini dell’applicazione della pena (art. 133, comma 2, n. 2, c.p.); nel calcolo degli aumenti di pena, in caso di constatazione della recidiva (art. 99 c.p.); nella valutazione della sussistenza dei presupposti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena (artt. 163 e 163 c.p.), nonché per la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario rilasciato all’interessato (art. 175 c.p.) (23); per la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere (artt. 102-109 c.p.); per l’accertamento della pericolosità sociale della persona ai fini dell’applicazione di una misura di sicurezza (artt. 215-240 c.p.) (art. 533 c.p.p.) (24). Il precedente è, dunque, un significativo elemento di valutazione del fatto, che guida il giudice unitamente agli elementi di prova formatisi nel corso della istruttoria dibattimentale e concorre alla decisione finale (25). Sebbene non pare possano esservi margini per ritenere che il libero convincimento del giudice subisca una limitazione, il certificato rappresenta, di certo, un orientamento della discrezionalità del magistrato. Nella fase esecutiva, delle condanne europee deve tener conto sia il giudice dell’esecuzione - allorché, ad esempio, debba decidere in ordine alla concessione o alla revoca della sospensione condizionale della pena, della non menzione della condanna nel certificato del casellario, dell’amnistia e dell’indulto (artt. 671, 672 e 674 c.p.p.) - sia la magistratura di sorveglianza, per tutti i provvedimenti per cui è competente (art. 678 c.p.p.). Non limitate ad una fase specifica del procedimento, sono le ipotesi in cui il giudice che procede deve prendere in considerazione i precedenti penali del soggetto per poter valutare l’applicazione, in via provvisoria, di una misura di sicurezza (artt. 312 e 313 c.p.p. e 206 c.p.) o l’adozione di un (21) La recidiva contestata alla persona sottoposta al procedimento proprio in considerazione dei precedenti penali, è determinante ai fine della valutazione delle esigenze cautelari nel procedimento di applicazione delle misure cautelari (art. 274, lett. c, c.p.p.), della conseguente scelta (art. 275, comma 2 ter, c.p.p.), della valutazione del giudice in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte (art. 276 c.p.p.) e, anche, della definizione della vicenda processuale con l’applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444, comma 1 bis, c.p.p.). (22) Per approfondimenti v. L. Kalb, Il documento nel sistema probatorio, Torino, 2000, 87 ss. (23) Valutazione analoga è compiuta dal giudice di appello (artt. 597, comma 5, e 599, comma 1, c.p.p.). (24) Questa può essere applicata anche in caso di assoluzione ex art. 530, comma 4, c.p.p. (25) Così, L. Kalb, Il sistema informativo giudiziario: il casellario e l’anagrafe, in AA.VV., Procedura penale. Teoria e pratica del processo, cit., 762. Diritto penale e processo 9/2016 1163 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria provvedimento cautelare (art. 274, lett. c, c.p.p.) (26). Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 73 del 2016, la sentenza di condanna resa da uno Stato membro dell’Unione europea doveva essere riconosciuta, attraverso la procedura di delibazione prevista dall’art. 730 c.p.p., anche per poter produrre effetti giuridici sul piano penale. Il riconoscimento era, infatti, necessario per stabilire la recidiva o altro effetto penale della condanna, per la dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere, per l’applicazione di una pena accessoria o di una misura di sicurezza (artt. 730 c.p.p. e 12 c.p.). Con la nuova disciplina, il giudice italiano può dare rilievo, in occasione di un nuovo procedimento penale, a precedenti decisioni di condanna pronunciate in altri Stati membri anche in assenza di tale riconoscimento. Sicché, mentre per eseguire sentenze che irrogano pene detentive o misure di sicurezza rese dalle autorità giudiziarie di altri Stati membri si deve eseguire la procedura di riconoscimento regolata dal D.Lgs. n. 161 del 2010, per la valutazione dei precedenti penali “europei”, ai medesimi fini delle condanne iscritte nel casellario nazionale, non è necessaria alcuna procedura delibativa (27). L’intervento normativo, recependo le disposizioni della decisione quadro 2008/675/GAI, se da un lato contribuisce ulteriormente al rafforzamento della cooperazione giudiziaria in materia penale all’interno dell’Unione europea ed alla realizzazione di un effettivo spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, dall’altro attua solo in parte il principio del reciproco riconoscimento sul fronte della considerazione delle decisioni penali di condanna. Infatti, mentre la decisione quadro dà piena attuazione al mutuo riconoscimento, richiedendo a tutti gli Stati membri di equiparare automaticamente, quanto agli effetti penali prodotti in altri procedimenti, le decisioni di condanna europee a quelle rese dai giudici italiani, il legislatore italiano subordina tale assimilazione alla loro conformità ai principi generali dell’ordinamento interno. La condizione, così come congegnata, sembra evocare un controllo diffuso ad opera del singolo magistrato ogniqualvolta occorra considerare i precedenti penali del soggetto. Controllo da effettuarsi esclusivamente sulla scorta delle informazioni del casellario giudiziale trasmesse attraverso il sistema informativo europeo (28), ferma restando la possibilità - che non pare possa escludersi - di acquisire la sentenza straniera, semmai su impulso della difesa. La valutazione, dovendo riguardare i “principi generali” dello Stato (primi fra tutti, quindi, i principi costituzionali in tema di diritti fondamentali, giurisdizione e giusto processo), dovrà necessariamente avere ad oggetto la verifica del rispetto di condizioni analoghe a quelle che l’art. 730 c.p.p. pone al riconoscimento delle sentenze straniere (si pensi al rispetto dei principi di indipendenza e imparzialità del giudice, del diritto di difesa dell’imputato, del divieto di discriminazione, del principio di legalità penale, ecc.). Con la differenza che, mentre per il riconoscimento la valutazione è effettuata una volta per tutte dalla Corte di Appello, secondo un procedura rispettosa del contraddittorio, qui è rimessa, lo si ripete, al singolo magistrato chiamato, nel corso di un procedimento, a prendere in considerazione i precedenti penali dell’imputato. Sicché, o la verifica sul “non contrasto” con i principi generali dello Stato si risolverà, nella prassi, in una mera “clausola di stile” o il riconoscimento, formalmente eliminato, verrà sostituito da una valutazione, analoga nei contenuti, certamente più rapida, ma anche meno garantita, e in ogni caso idonea a sfociare in esiti differenti nello stesso o in diversi procedimenti. (26) La loro applicazione può avvenire in ogni stato e grado del procedimento penale. (27) In relazione, invece, alle sentenze di condanna emesse dalle autorità giudiziarie di Stati terzi, non appartenenti quindi all’Unione europea, deve continuare ad applicarsi il procedimento di riconoscimento disciplinato dagli artt. 730 ss. c.p.p., sia per la loro esecuzione in Italia, che per la loro considerazione nell’ambito di un nuovo procedimento penale. (28) Le informazioni relative alle condanne che devono essere iscritte nel casellario giudiziale europeo sono: - quelle obbligatorie necessariamente trasmesse dallo Stato di condanna (nome completo, data di nascita, luogo di nascita, composto di città e Stato, sesso, cittadinanza ed eventuali nomi precedenti; data della condanna, nome dell’organo giurisdizionale, data in cui la decisione è diventata definitiva; data del reato, qualificazione giuridica del fatto, riferimento alle disposizioni giuridiche applicabili; pena, principale ed accessoria, misure di sicurezza e decisioni successive che modificano l’esecuzione della pena); - quelle facoltative trasmesse se iscritte nel casellario giudiziale dello Stato di condanna (nome dei genitori della persona condannata; numero di riferimento della condanna; luogo del reato; interdizioni derivanti dalla condanna); - quelle supplementari che devono essere trasmesse se sono a disposizione dell’autorità centrale dello Stato di condanna (numero di identità o tipo e numero del documento di identificazione della persona condannata; impronte digitali della persona condannata, conservate ai sensi dell’art. 43; eventuali pseudonimi della persona condannata) (cfr. art. 5 ter d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti”). Riflessioni conclusive 1164 Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Casellario giudiziale europeo L’introduzione del casellario giudiziale europeo nel processo penale italiano di Angelo Alessandro Sammarco (*) L’attuazione del sistema del casellario giudiziale europeo ha rafforzato significativamente l’integrazione europea verso l’obiettivo della cooperazione giudiziaria al fine di garantire sempre più lo spazio comune di libertà sicurezza e giustizia. La nuova disciplina attuativa tuttavia non sempre risulta coerente con i principi fondamentali del processo penale italiano posto che la circolazione delle informazioni del casellario giudiziale europeo a volte contrasta con le regole previste in tema di utilizzabilità della prova, di diritto di difesa e di presunzione di innocenza. Decisione quadro 2009/315/GAI del 26 febbraio 2009 Decisione quadro 2009/316/GAI del 6 aprile 2009 Relativa all’organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario. Istitutiva del sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS), in applicazione dell’articolo 11 della decisione quadro 2009/315/GAI. D.Lgs. 12 maggio 2016, n. 74 D.Lgs. 12 maggio 2016, n. 75 G.U. 20 maggio 2016, n. 117 (in vigore 4 aprile 2016). G.U. 20 maggio 2016, n. 117 (in vigore 4 aprile 2016). Modifiche D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271. d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313. Le decisioni quadro 2009/315/GAI e 2009/316/GAI Il completamento del percorso di integrazione in tema di cooperazione giudiziaria Con i D.Lgs. n. 74 e n. 75 del 2016 il legislatore italiano ha dato attuazione alle Decisioni quadro n. 2009/315/GAI del 26 febbraio 2009 e n. 2009/316/GAI del 6 aprile 2009, la prima relativa “all’organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario” e la seconda “che istituisce il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS)”. La normazione attuativa introdotta dai due decreti legislativi è di molto successiva all’emanazione delle due decisioni quadro entrambe del 2009. A distanza quindi di oltre sette anni il legislatore italiano si è adeguato ad una previsione considerata strategica rispetto all’obiettivo fondamentale dell’Unione Europea di “fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”; da perseguire nel caso specifico attraverso “lo scambio di informazioni estratte dal casellario giudiziario tra le competenti autorità degli Stati membri” (così il punto 1 della Decisione quadro 315/GAI). Data la tardività della risposta alla chiara indicazione, si potrebbe pensare che il legislatore italiano abbia colpevolmente sottovalutato l’esigenza di un pronto recepimento delle prescrizioni europee, fi- (*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee. Diritto penale e processo 9/2016 1165 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria nendo così per porsi in una situazione di “inadempienza”, fin troppo pubblicizzata nei ritornelli ossessivi sull’inadeguatezza del Nostro Paese rispetto all’Europa, ma, in realtà spesso insussistente considerati i moltissimi problemi di coordinamento tra un sistema normativo europeo talvolta astratto e privo di collegamenti precisi con i principi fondamentali e irrinunciabili degli ordinamenti giuridici degli Stati chiamati all’attuazione di normative che, allorché recepite d’émblée creerebbero più problemi che risolverli. Infatti, dal punto di vista dell’armonia tra sistema normativo europeo e diritto interno occorre rilevare che l’esigenza dello scambio di informazioni assicurato dall’istituzione del casellario europeo e dall’aggiornamento elettronico dello stesso mediante il sistema ECRIS in tanto può avere un senso reale ed effettivo, in quanto siano già stati istituiti i meccanismi concreti di coordinamento operativo tra gli Stati tra i quali deve realizzarsi lo scambio informativo. In altre parole, la circolazione delle informazioni tra gli Stati membri dell’UE presuppone l’esistenza di norme che ne prevedano modalità e finalità di utilizzazione all’interno degli ordinamenti giuridici dei singoli Stati; in assenza di tali normative che rendano concretamente operativa la cooperazione a livello europea il mero scambio informativo risulta quindi del tutto secondario e privo di reale utilità. Diversamente, rispetto ad un sistema di cooperazione effettivamente armonizzato e già divenuto operativo, lo scambio informativo assicurato dall’istituzione di un casellario unico e centralizzato si pone come elemento fondamentale di potenziamento dell’intero sistema in termini di aumento significativo di efficienza e precisione. In questa prospettiva, allora bisogna considerare i numerosi interventi legislativi europei a partire dall’introduzione del mandato di arresto europeo (primo vero esempio di concreta attuazione della cooperazione giudiziaria) per comprendere che forse è proprio ora, al culmine di un’integrazione normativa finalmente operativa e quasi completa che il casellario unico europeo può svolgere la sua ef- fettiva funzione di strumento di facilitazione della cooperazione giudiziaria tra gli Stati nel rispetto della predetta finalità dell’aumento del livello di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia (1). Se quindi, per quanto detto, l’intervento normativo dello Stato italiano non può che essere visto come un momento di significativo impulso al percorso condiviso e ritenuto fondamentale della cooperazione giudiziaria tra gli Stati dell’UE, non può però sottacersi che in alcuni casi si pongono evidenti problemi di mancanza di coordinamento tra principi fondamentali o comunque regole inderogabili del nostro sistema normativo e le previsioni o le esigenze di matrice europea con conseguenti difficoltà attuative e interpretative che nel prosieguo verranno esaminate. (1) Sul fenomeno dell’integrazione progressiva delle fonti normative comunitarie con l’ordinamento italiano cfr. il volume AA.VV., “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano. Adattamenti normativi e approdi giurisprudenziali, a cura di L. Kalb, Torino, 2012; cfr. pure R. Kostoris, Processo penale, diritto europeo e nuovi paradigmi del pluralismo giuridico postmoderno, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, 1177. (2) Sui compiti e le funzioni dell’Ufficio centrale del casellario giudiziale, cfr. L. Kalb, Il sistema informativo giudiziario: il ca- sellario e l’anagrafe, in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, Vol. IV, Impugnazioni. esecuzione penale. Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, a cura di Kalb, Milano, 2015, 748. (3) L’esigenza della reciprocità dell’informazione e delle modalità di acquisizione e di trasmissione delle notizie è già presente nelle decisioni quadro n. 315 e 316 del 2009; sul punto cfr. D. Cimadomo, Il casellario giudiziario, in AA.VV., “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano, cit., 835. 1166 I D.Lgs. n. 74 e n. 75 del 2016 Gli aspetti procedurali La normativa di recente introduzione si propone di dare attuazione allo scambio di informazioni sulle condanne definitive, attraverso l’uso di un sistema informatizzato (ECRIS) istituito ai sensi della decisione 2009/316/GAI del Consiglio, del 6 aprile 2009. L’Autorità centrale competente per la realizzazione della menzionata finalità è l’Ufficio del casellario giudiziale che ha sede presso il Ministero della Giustizia e svolge i compiti indicati nell’art. 19 del Decreto del Presidente della Repubblica del 14/11/2002, n. 313 (Testo Unico del casellario giudiziale) (2). Il sistema del coordinamento informativo si basa sul principio della reciprocità nel senso che la condanna viene comunicata dall’Ufficio centrale italiano alla corrispondente autorità centrale dello Stato di cittadinanza della persona condannata; viceversa, le condanne pronunciate in altro Stato membro nei confronti di un cittadino italiano sono comunicate all’Ufficio centrale dello Stato italiano e vengono iscritte nel casellario giudiziale italiano (3). Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria Lo stesso regime di reciprocità di comunicazioni è naturalmente previsto con riferimento alle modifiche e alle eliminazioni dei dati del casellario giudiziale che devono essere immediatamente trasmesse all’autorità centrale dello Stato competente a ricevere l’informazione. È previsto anche il diritto dell’interessato di richiedere informazioni sulle condanne direttamente sia all’ufficio centrale italiano sia alle autorità centrali degli Stati membri. L’Ufficio centrale può inoltre rivolgersi per ottenere le informazioni alle autorità centrali di altri Stati membri. Anche l’interessato può rivolgersi alle autorità centrali degli Sati membri, purché sia o sia stato cittadino italiano o sia residente in Italia o sia o sia stato cittadino o residente nello Stato membro alla cui autorità centrale la richiesta è diretta. In questo caso, la richiesta deve essere indirizzata all’Ufficio centrale italiano che provvede a trasmetterla all’autorità centrale dello Stato di cui l’interessato è cittadino. È previsto che le autorità centrali di Stati membri possano richiedere le informazioni anche per “finalità diverse” o “fini diversi” dall’utilizzazione in un procedimento penale; ma allora, in tal caso, l’Ufficio centrale specifica che i dati personali trasmessi possono essere utilizzati solo per il fine per il quale sono stati richiesti (art. 7, D.Lgs. n. 74/2016). Non è chiarito quale possa essere l’utilizzazione per “finalità diverse” o per “fini diversi” rispetto al procedimento penale. Sembra possibile una soluzione sistematica raccordando questa espressione con la previsione di cui al comma 2 dell’art. 9 del D.Lgs. n. 74/2016 secondo cui i dati personali “sono in ogni caso utilizzabili per la prevenzione di un pericolo grave ed immediato per la pubblica sicurezza”. È dunque ipotizzabile che la “finalità diversa” consentita sia solo quella comunque funzionale alla prevenzione di un pericolo per la sicurezza pubblica che dovrebbe essere specificato in sede di richiesta di informazioni e nei limiti del quale deve mantenersi rigorosamente l’utilizzabilità dell’informazione (4). In ogni caso, anche quando le informazioni richieste servono all’interno di un procedimento penale, i dati personali “possono essere utilizzati solo ai fini del procedimento penale per il quale sono stati richiesti o per i fini e nei limiti della richiesta” (art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 74/2016). Sono poi previsti adeguamenti sotto forma di interpolazioni nella disciplina vigente che tengono conto dell’introduzione del casellario giudiziale europeo. Quanto infine al sistema ECRIS, si tratta di un sistema informatizzato che coopera con il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziali, conformemente all’articolo 3 della decisione quadro 2009/316/GAI del 6 aprile 2009 (5). Questo sistema è gestito dall’Ufficio centrale secondo particolari codici di classificazione delle tipologie delle informazioni da trasmettere. (4) Per uno spunto in tal senso desumibile dalla decisione quadro n. 315/2009, cfr. D. Cimadomo, op. cit., 844. (5) Si tratta di un sistema computerizzato che realizza l’interconnessione tra le banche dati dei casellari giudiziali nazionali velocizzando la circolazione delle informazioni, trasferite in un formato standard (cfr. D. Cimadomo, op. cit., 845). (6) Sul fenomeno giuridico della prova legale, cfr. il classico ed imprescindibile lavoro di A. Giuliani, Il concetto di prova: contributo alla logica giuridica, Milano, 1971, 110; in prospettiva storica, R. Alessi Palazzolo, Prova legale e pena: la crisi del sistema tra Evo medio e moderno, Napoli, 1979, 9. Diritto penale e processo 9/2016 Utilizzabilità del certificato del casellario giudiziale e diritto di difesa Né l’articolato della decisione quadro, né l’articolato del decreto legislativo attuativo hanno minimamente preso in considerazione il problema molto importante - quanto meno nel sistema processuale italiano, ma che comunque ha portata generale - del valore probatorio del certificato del casellario giudiziale. Se infatti a tale certificato si attribuisse valore di prova si dovrebbe certamente parlare di “prova legale” scaturendo la certificazione da una fonte legale; in tal caso, dunque, l’estensione della disciplina a livello europeo significherebbe l’istituzione di una “prova legale europea”, nel senso di prova scaturente da fonte legale di matrice europea, ma con effetti nel nostro ordinamento. Senza troppo addentrarci nel concetto di prova legale ben noto nella teoria generale del processo (6), è sufficiente in questa sede considerare lo schema per così dire basico di tale fenomeno giuridico, caratterizzato, non tanto dalla natura dell’indicazione dei mezzi di prova (che spesso, se non praticamente sempre, sono prescelti dal legislatore), quanto, piuttosto, dalla statuizione, in questo caso di natura legislativa, circa il valore dimostrativo del mezzo di prova predeterminato ex lege. In questa prospettiva di analisi emergono due diversi aspetti a seconda che si consideri il contenuto del certificato del casellario (cartaceo o elettroni- 1167 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria co) oppure l’utilizzazione delle stesso nell’ambito del procedimento penale. Nel primo caso, il certificato è documento che attesta le notizie in esso dichiarate e dunque trattandosi di certificato del casellario, le avvenute condanne definitive o comunque gli altri eventi giudiziari avvenuti a carico della persona a cui si riferisce il certificato; nel secondo caso, occorre invece considerare la possibile utilizzabilità del certificato come prova di altri fatti o eventi non direttamente coincidenti con quanto attestato nel certificato stesso. Sotto il primo aspetto, occorre rilevare che non esiste, nella decisione quadro, né nel decreto legislativo attuativo, una disciplina che stabilisca una specifica procedura di contestazione del certificato del casellario giudiziale o comunque di garanzia dell’attendibilità dei suoi contenuti soprattutto sotto il profilo dell’aggiornamento. Insomma, se da un lato viene prevista come inderogabile l’acquisizione del certificato del casellario giudiziale in un procedimento penale, dall’altro, non è prevista a favore del soggetto cui si riferisce tale acquisizione uno strumento di difesa specifica sul punto. Il tema riguarda non tanto la questione della falsità dell’atto, posto che appare sinceramente molto difficile che possa verificarsi il caso dell’invio di un certificato del casellario falso; soprattutto con riferimento al sistema ECRIS che verosimilmente non può generare risultati “falsi”, quanto, piuttosto, la questione dell’“aggiornamento” del certificato che non è previsto come “diritto” della persona cui il certificato stesso si riferisce. Il che determina il problema, di non poco conto, che ove il certificato trasmesso non sia “aggiornato”, la persona che ne subisce l’acquisizione non possa disporre di una garanzia all’acquisizione immediata del certificato “aggiornato” e, corrispondentemente, alla declaratoria di inutilizzabilità del certificato “non aggiornato”. E così, appare destinata a protrarsi la discutibile e ambigua prassi giurisprudenziale secondo cui se da un lato non vi sono preclusioni, neppure in sede di giudizio abbreviato, alla successiva acquisizione del certificato del casellario aggiornato, dall’altro, non (7) “...il fatto che si tratti di giudizio abbreviato non ha rilevanza alcuna, sul punto. Lo “stato degli atti” cui si riferiscono le norme sul rito abbreviato ha riguardo al contenuto probatorio. Il certificato penale dell’imputato è acquisito ai sensi dell’art. 236 c.p.p. e art. 431 c.p.p., comma 1, lett. g, norme generali per ogni “giudizio” ed il suo doveroso aggiornamento risponde alla logica normativa della previsione della sua presen- 1168 si esclude la legittimità della decisione giudiziaria che si sia fondata sul certificato non aggiornato o incompleto (7). Quanto all’utilizzazione probatoria del certificato rispetto a fatti diversi da quelli oggetto dell’attestazione, la decisione quadro e conseguentemente il decreto attuativo non forniscono indicazioni limitandosi a prevedere una generica “utilizzazione nel procedimento” o “per altre finalità”. Il codice di procedura penale italiano prevede che in base al combinato disposto degli artt. 236 e 431 il certificato del casellario giudiziale sia inserito nel fascicolo per il dibattimento e utilizzato ai fini del giudizio sulla personalità dell’imputato o della persona offesa “se il fatto per cui si procede deve essere valutato in relazione al comportamento o alle qualità morali di questa” (art. 236 c.p.p.). L’espressione, molto ambigua, che consente, che il giudizio sulla personalità dell’imputato, essendo per sua natura di portata ampia e generale, possa, inevitabilmente, finire per incidere anche sul giudizio “sul fatto per cui si procede” (peraltro espressamente menzionato con riferimento alla valutazione del comportamento e alle qualità materiali della persona offesa dal reato), deve quindi oggi, dopo l’intervento attuativo, essere riferita anche al certificato del casellario giudiziale europeo. Ne consegue che, grazie all’attuale normativa, anche il carico penale europeo finirà per condizionare l’esito del procedimento penale italiano. Anche su questo particolare aspetto, sarebbe stato probabilmente necessario un chiarimento normativo sull’utilizzabilità del certificato del casellario al fine di risolvere le citate ambiguità della disciplina attuale. L’inserimento nel fascicolo del dibattimento Quanto poi all’inseribilità nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431 c.p.p., occorre dire che la stessa appare certa anche per quanto riguarda il certificato del casellario giudiziale europeo (con la conseguente utilizzabilità ai fini sopra indicati; anche se, in effetti, il D.Lgs. n. 74/2016 non prevede un’espressa modifica nell’art. 431 c.p.p. con specifico riferimento al casellario giudiziale europeo, introdotto comunque con nuovi articoli nel Testo unico za nel fascicolo, condizione imprescindibile per esercitare secondo legittimità le valutazioni afferenti il trattamento sanzionatorio, ai sensi degli artt. 62 bis, 133, 164 e 175 c.p., anche per l’eventuale esercizio dei poteri d’ufficio che sul punto al giudice d’appello attribuisce l’art. 597 c.p.p., comma 5” (Cass., Sez. VI, 24 settembre 2013, Haka, n. 42823). Diritto penale e processo 9/2016 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria sul casellario giudiziale di cui al d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313). In ogni caso, quanto all’acquisibilità nel fascicolo del dibattimento, va precisato che, come sopra accennato, secondo un determinato orientamento giurisprudenziale, la disposizione dell’art. 431 c.p.p. non è stata intesa in senso tassativo, ritenendosi acquisibili al fascicolo dibattimentale anche altri documenti utili al giudizio sulla personalità dell’imputato, quali, ad esempio, le sentenze non ancora divenute definitive (8). Senonché, la lett. a) dell’art. 1 del D.Lgs. n. 74/2016 che espressamente stabilisce che per “condanna”, si deve intendere “ogni decisione definitiva di condanna adottata dalla autorità giudiziaria penale nei confronti di una persona fisica in relazione a un reato e iscritta nel casellario giudiziale”, contrasta questa tendenza interpretativa giurisprudenziale che d’ora in poi non dovrebbe più essere consentita; a meno che non si voglia operare, ma in modo assolutamente improbabile, un distinguo inammissibile in chiave di coordinamento normativo europeo, tra una certificazione italiana che dovrebbe essere più “elastica” estendendosi a precedenti giurisprudenziali non riferiti a sentenze di condanna definitive ed invece una certificazione europea rigorosamente definita dalla normativa attuativa della decisione quadro. Ma l’idea di una doppia certificazione italiana ed europea sui precedenti giudiziari dell’imputato, sembra francamente sconcertante. grado di assicurare il necessario coordinamento e la necessaria armonizzazione tra sistema europeo e sistema italiano. Il problema del carico pendente Sotto questo aspetto, si pone un’ulteriore riflessione su un’istituzione tutta italiana quella del “carico pendente” che non è stata considerata nel D.Lgs. n. 74/2016 e che pure è incompatibile con l’iscrizione comunicabile a livello europeo che, come detto, può riguardare solo le sentenza di condanna “definitive”. Il tema è di ampia portata e riapre, sotto altra forma, il problema del coordinamento tra la nostra disciplina processuale e il sistema dei principi della normativa europea. In pratica, posto che il quadro normativo italiano non è comunque adeguato a quello europeo ci si chiede e questo è un problema la cui soluzione non potrà che essere affidata più che alla saggezza giurisprudenziale, in tale settore per la verità non sempre presente, ad un nuovo intervento legislativo in Doppia punibilità e conformità ai principi fondamentali dell’ordinamento Altro tema di interesse fondamentale e riguardante in generale la cooperazione giudiziaria tra Stati è il requisito della “doppia punibilità” che costituisce principio irrinunciabile della cooperazione dal momento che nessuno Stato può divenire esecutore di decisioni o provvedimenti emessi da Autorità di Stati diversi se non per fatti che nel proprio ordinamento rivestano il carattere dell’illiceità o comunque se la cooperazione richiesta non contrasti con principi fondamentali e irrinunciabili riconosciuti nell’ordinamento interno nelle Stato che è il destinatario della richiesta di cooperazione. Infatti, anche nella disciplina istitutiva e attuativa del mandato di arresto europeo, fondata sulla regola generale del tendenziale automatismo dell’esecuzione dei provvedimenti restrittivi nello Spazio territoriale dell’Unione Europea, le condizioni della doppia punibilità e dell’inderogabilità di principi e garanzie fondamentali dell’ordinamento sono state assicurate in modo chiaro e tassativo (9). Tuttavia, per quanto riguarda il casellario giudiziale europeo questo tipo di problema non è stato considerato, né nella decisione quadro né nel decreto attuativo D.Lgs. n. 74/2016. Il problema non si porrebbe, naturalmente, ove la disciplina del coordinamento delle informazioni afferenti al casellario giudiziale non implicasse anche la sopra indicata questione della doppia incriminabilità e dell’inderogabilità di alcuni principi e garanzie fondamentali. Ma certamente così non è, posto che è proprio l’utilizzabilità delle informazioni del casellario giudiziale originata dalla circolazione tra i procedimenti dei vari Stati che impone di comprendere se questo flusso informativo possa essere o meno precluso o limitato nel caso in cui le informazioni contenute nel casellario di un Paese riguardino reati o fatti non illeciti o non procedibili o che comunque risultino in contrasto con regole inderogabili o garanzie fondamentali secondo l’ordinamento del Paese che dovrebbe fare uso della certificazione. Stante il silenzio legislativo sul punto, l’unica plausibile soluzione sembra essere quella di ritenere che laddove l’utilizzazione dei dati contenuti nel certi- (8) Cfr. Cass., Sez. II, 5 maggio 2010, Delaie, n. 18189. (9) Cfr. sul punto G. Della Monica, Il mandato di arresto eu- ropeo, in “Spazio europeo di giustizia” e procedimento penale italiano, cit., 750. Diritto penale e processo 9/2016 1169 Sinergie Grafiche srl Speciale Cooperazione giudiziaria ficato del casellario di fonte europea contrasti con i sopra menzionati principi fondamentali dell’ordinamento italiano, dovrà ritenersi sussistente e concretamente operante un divieto di acquisizione e quindi di valutazione discendente direttamente dall’art. 191 c.p.p. che prevede l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di un divieto di legge. Coordinamento informativo e presunzione di innocenza In generale, si può dire che la disciplina introdotta dai D.Lgs. n. 74 e n. 75 del 2016 certamente consegue l’obiettivo di dare concreta attuazione alla disciplina prevista nelle decisione quadro n. 315 e n. 316 del 2009. Indubbiamente, questo risultato normativo rappresenta un significativo passo in avanti verso l’integrazione tra i diversi ordinamenti degli Stati membri dell’Unione Europea che sempre meglio si realizza quando sempre più diventi penetrante la cooperazione giudiziaria tra gli Stati. In questo senso, indubbiamente la circolazione delle informazioni afferenti al casellario giudiziale rende possibile la conoscenza di un complesso di dati che non possono essere trascurati ai fini dell’adozione delle decisioni delle Autorità competenti nei vari Stati e che maggiormente incidono sulla sicurezza dei cittadini e quindi sugli spazi di libertà e giustizia degli stessi. Tuttavia, in alcuni casi è mancata, sia in sede di normazione primaria, si in sede di normazione attuativa, la necessaria sensibilità giuridica su temi fondamentali che in un settore così delicato necessariamente si sarebbero dovuti considerare. Al di là delle specifiche questioni alcune delle quali sono state oggetto di trattazione nella precedente esposizione, si può dire, in generale, che se vi è stata sufficiente attenzione al tema della sicurezza e della prevenzione - esigenza fondante dell’istituzione del casellario unico europeo - è purtroppo sfuggito, peraltro in modo piuttosto evidente, il tema della libertà e delle garanzie del singolo che, gravato di “certificazioni” a carico ed in quanto tali per- sino per certi versi dotate del valore invincibile di prova legale, rischia in taluni casi di vedere pregiudicata la propria posizione processuale, in quanto, appunto, “pregiudicato” ex actis. L’assenza delle doverose attenzioni normative all’imprescindibile tema delle garanzie di difesa del singolo rispetto all’attivazione dell’automatismo informativo a suo carico appare in netto contrasto con il principio della presunzione di innocenza, per di più recentemente ribadito in ambito europeo con la Direttiva del 27 gennaio 2016 (“sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”). In tale Direttiva, peraltro, si legge espressamente che: “gli Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza” (art. 3; principio confermato nell’art. 27 della nostra Costituzione e negli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nell’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e nell’art. 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo); e che quando la legge prevede il ricorso a presunzioni di fatto o di diritto riguardanti la responsabilità penale di un indagato o un imputato, “tali presunzioni dovrebbero essere confinate entro limiti ragionevoli, tenendo conto dell’importanza degli interessi in gioco e preservando i diritti della difesa, e i mezzi impiegati dovrebbero essere ragionevolmente proporzionati allo scopo legittimo perseguito. Le presunzioni dovrebbero essere confutabili e, in ogni caso, si dovrebbe farvi ricorso solo nel rispetto dei diritti della difesa” (considerandum n. 22). Dunque, rispetto all’attivazione all’interno di un procedimento o di un processo penale della presunzione di responsabilità inevitabilmente scaturente dalle informazioni contenute nei certificati del casellario giudiziale, occorrerebbe la previsione di adeguate garanzie difensive che, però, come detto, non sono state previste (10). (10) Sul punto, cfr. N. Canestrini, La direttiva sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del dirit- to di presenziare al processo nei procedimenti penali. Un’introduzione, in Cass. pen., 2016, 2224. Riflessioni conclusive 1170 Diritto penale e processo 9/2016