incidenti e complicanze loco-regionali in chirurgia estrattiva

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incidenti e complicanze loco-regionali in chirurgia estrattiva
INCIDENTI E COMPLICANZE LOCO-REGIONALI
IN CHIRURGIA ESTRATTIVA
Società Italiana di Chirurgia Odontostomatologica
Susanna Annibali e Roberto Pippi
“Sapienza” Università di Roma - Facoltà di Medicina e Odontoiatria
Scuola di Specializzazione in Chirurgia Odontostomatologica
1. Introduzione
2. Incidenti
3. Complicanze
4. Conclusioni
5. Bibliografia
1.INTRODUZIONE
Ogni estrazione, per quanto semplice, può essere occasione di incidenti e/o di
complicanze che l’odontoiatra deve essere in grado di prevedere, evitare o
fronteggiare.
Nella maggior parte dei casi un’accurata diagnosi clinica, completata dagli opportuni
accertamenti radiografici, consente all’operatore di individuare le condizioni a rischio
e di evitare, mediante l’adozione di tecniche chirurgiche adeguate e di uno
strumentario idoneo, l’insorgenza di problematiche intra e post-operatorie.
Esistono, tuttavia, situazioni, che malgrado vengano affrontate con perizia, prudenza
e diligenza, determinano il verificarsi di incidenti o il manifestarsi di complicanze che
debbono essere correttamente affrontati per ridurre al minimo il disagio postoperatorio del paziente ed evitare l’instaurarsi di esiti permanenti, che potrebbero
implicare responsabilità medico-legali.
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Sebbene gli incidenti e le complicanze di ordine generale, come quelli correlati alle
pratiche anestesiologiche o conseguenti a stati morbosi sistemici preesistenti, siano
esclusi dalla presente trattazione, meritano di essere ricordate:
-la lipotimia e la sincope vaso-vagale, che si possono verificare durante l’evento
estrattivo, in assenza di qualsivoglia patologia, in seguito a una reazione psicogena
scatenata dalla paura, dall’ansia e/o dal dolore, emozioni spesso associate alle
procedure odontoiatriche. L’obnubilamento e la perdita di coscienza per anossia
cerebrale acuta si risolvono ponendo il paziente in posizione di Trendelenburg, in
modo da facilitare l’afflusso di sangue al cervello;
- le complicanze di origine settica, causate dall’improvviso passaggio in circolo di
germi dalla sede dell’estrazione e caratterizzate da febbre elevata, che usualmente
recedono dopo opportuno trattamento antibiotico.
2. INCIDENTI LOCO-REGIONALI
Si definiscono incidenti loco-regionali quegli eventi che, nel corso di un intervento
avulsivo, possono verificarsi a carico degli elementi dentari e di altre strutture
anatomiche del cavo orale per l’esistenza di condizioni anatomiche e/o patologiche
predisponenti, per l’uso di strumenti non appropriati, per l’adozione di tecniche errate
(Tab.I).
La frattura della corona o della radice del dente da estrarre rappresenta una delle
evenienze più frequenti in chirurgia estrattiva e spesso è inevitabile in presenza di
particolari situazioni, come estesi processi cariosi, anomalie morfologiche radicolari,
ipercementosi, perni endocanalari o anchilosi. Questo incidente può tuttavia essere
conseguente anche a errori di tecnica operatoria o a movimenti improvvisi del
paziente.
Qualora si verifichi una frattura coronale, la rimozione delle radici, mediante
l’utilizzo di leve o pinze, è generalmente di semplice esecuzione; in presenza invece
di residui o di apici radicolari (soprattutto se non lussati), l’avulsione diviene più
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complessa e richiede sempre la localizzazione visiva o eventualmente radiografica
dei frammenti dentari da asportare.
Tabella I - INCIDENTI LOCO-REGIONALI
A CARICO DEI DENTI DA ESTRARRE
• Frattura
• Dislocazione
• Caduta
A CARICO DEI DENTI CONTIGUI O DI ALTRI DENTI
• Lussazione
• Avulsione
• Frattura della corona
• Rottura o distacco di manufatti protesici o conservativi
• Lesioni a carico delle gemme o avulsione
A CARICO DEI TESSUTI MOLLI
• Contusione
• Abrasione
• Lacerazione
• Enfisema sottocutaneo
A CARICO DELLE GHIANDOLE SALIVARI MAGGIORI
• Lacerazione
A CARICO DEI VASI
• Emorragia
A CARICO DEI NERVI
• Neuroprassia
• Assonotmesi
• Neurotmesi
A CARICO DELLE OSSA MASCELLARI
• Frattura del processo alveolare
• Frattura della tuberosità dei mascellari
• Frattura del pavimento del seno
• Frattura del tetto del canale mandibolare
• Frattura della mandibola
In caso di elementi poliradicolati non è di solito necessario incidere un lembo perché
si può intervenire dall’interno della cavità alveolare, usurando i setti che separano i
singoli monconi radicolari fratturati, che vengono estratti singolarmente; in caso di
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vicinanza a strutture a rischio come il seno mascellare o il canale mandibolare, è
importante che la trazione esercitata con piccole leve apicali o pinze per radici sia
orientata verso l’esterno e non si traduca in una spinta.
Se il dente è monoradicolato, la porzione di radice rimasta all’interno dell’alveolo va
lussata con leve sottili utilizzando lo spazio dento-alveolare, manovra questa resa
sicura dal fatto che questi elementi dentari non sono usualmente localizzati in
vicinanza di tronchi nervosi o del seno mascellare.
In presenza di un frammento apicale si può utilizzare la tecnica chirurgica detta “a
oblò”, che consiste nell’esecuzione di un lembo paramarginale e di un’ostectomia di
limitate dimensioni in corrispondenza dell’apice fratturato, che può essere estratto
farlo attraverso la breccia ossea oppure spingendolo in direzione coronale per
ottenerne il disimpegno dalla cavità alveolare rimasta beante (Peterson et al. 2003).
La dislocazione del dente o di una sua porzione nei tessuti molli adiacenti, nelle logge
limitrofe, nel seno mascellare o nel canale mandibolare è dovuta esclusivamente
all’inesperienza e all’imperizia dell’odontoiatra che, in occasione di una tale
evenienza, attraverso l’esecuzione di un esame radiografico, deve individuare con
precisione la posizione dell'elemento dentario, valutando l’opportunità di procedere
alla sua rimozione nel corso della stessa seduta o di rimandare l’intervento,
affidandolo eventualmente a un collega più esperto.
Affinché si determini la dislocazione in uno spazio limitrofo, oltre all’azione di spinta
da parte dell'operatore, deve anche sussistere un tramite attraverso il quale il dente
possa disimpegnarsi dalla sua cavità alveolare. Questo tramite può: essere presente
fisiologicamente, per l'esistenza di una deiscenza o di una fenestrazione del processo
alveolare; essere conseguente a una frattura ossea legata ad un’eccessiva forza
dislocante; essere stato creato dall'ostectomia o anche da uno scollamento eccessivo
dei tessuti molli, in assenza di protezione adeguata.
Gli elementi che si dislocano più frequentemente sono i terzi molari, perché il loro
processo alveolare è di solito sottile (nella mandibola sul versante linguale e nel
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mascellare su quello vestibolare e a livello sinusale) oppure presenta una
discontinuità. La dislocazione delle radici è di più frequente riscontro nel seno
mascellare e interessa in particolare quella palatina del primo molare superiore, che
contrae rapporti più stretti con il pavimento sinusale, e soprattutto quella del 2.6
piuttosto che dell’ 1.6, perché la maggior parte degli operatori è destrimane e sul lato
sinistro ha una minore visibilità durante le manovre estrattive, il che facilita il
verificarsi dell'incidente.
Le sedi più frequenti di dislocazione sono pertanto il seno mascellare e i tessuti molli
circostanti. Nel seno mascellare la dislocazione può avvenire al di sotto della mucosa
sinusale o all’interno dello spazio aereo e si verifica in seguito alla perforazione del
pavimento antrale per il non corretto impegno della leva o per una presa non salda
della pinza. In queste situazioni la perdita del punto di appoggio dentale fa sì che la
forza impegnata nella fase lussativa si trasformi in una spinta incontrollata
responsabile della dislocazione in posizione extra-alveolare. La risoluzione di questo
incidente richiede tecniche diverse a seconda che l’elemento dentario o i suoi
frammenti siano in prossimità o meno della breccia di comunicazione oro-sinusale.
Nel primo caso il recupero può essere tentato, dopo ampliamento della breccia ossea
già esistente, con l’impiego di piccoli cucchiai chirurgici, specilli o pinze
emostatiche; nel secondo, è invece necessario ricorrere alla rimozione per via transsinusale.
La dislocazione nei tessuti molli può interessare la mucosa alveolare, il palato molle,
i fornici, i solchi alveolo-linguali, il pavimento orale e le logge, nel caso della
mandibola la loggia sottomandibolare e gli spazi vicini come quelli latero- e retrofaringei (Pippi & Perfetti 2002) mentre nel mascellare la zona retro-tuberositaria e la
loggia pterigo-mascellare, il cui accesso chirurgico è molto difficile, tanto che, se
l’elemento rimane in prossimità del processo alveolare, può essere ancora recuperato
per via orale ma se si disloca più posteriormente, l’approccio dovrà essere extraorale.
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La dislocazione di un residuo radicolare nel canale mandibolare può essere associata
al coinvolgimento del fascio vascolo-nervoso alveolare inferiore; è un evento
piuttosto raro che, sebbene sia favorito dall’esistenza di stretti rapporti di contiguità, è
legato anch’esso a errori di tecnica operatoria nell’utilizzo delle leve.
L’incidente può essere risolto per via endo-alveolare, ampliando l’accesso chirurgico,
in caso contrario è necessario accedere al canale mandibolare attraverso la parete
alveolare vestibolare, in corrispondenza dell’apice dislocato.
La caduta del dente o di una sua parte nelle prime vie aeree interessa con maggiore
frequenza il terzo molare superiore, sia per la sua localizzazione in arcata sia per la
posizione fatta assumere durante l’avulsione al paziente, con il tronco inclinato e la
testa in iperestensione. Si tratta di un incidente grave che può richiedere la
tracheotomia d’urgenza e la rimozione del corpo estraneo per via endoscopica.
L’ingestione dell’elemento estratto o di un suo frammento è invece un’evenienza non
preoccupante, che si risolve spontaneamente al termine del normale transito
intestinale, con l’eliminazione del corpo estraneo ingerito.
La lussazione di un dente contiguo a quello da estrarre, che può arrivare fino
all’avulsione, si verifica quando l’elemento adiacente, utilizzato come fulcro
dell’azione di leva impegnata nello spazio interdentale, non sia in grado di contrastare
la forza applicata per la presenza di condizioni anatomiche sfavorevoli, quali una
radice unica o corta, un supporto parodontale ridotto o la mancanza di denti contigui
nell’arcata. Il trattamento, non necessario se la lussazione è di lieve entità, prevede la
solidarizzazione dell’elemento lussato a quelli vicini, in presenza di una mobilità
accentuata, e il reimpianto in caso di avulsione (Peterson et al. 2003).
La frattura parziale o totale della corona, la rottura o il distacco di ricostruzioni
protesiche e conservative sono incidenti che possono interessare i denti contigui a
quello da estrarre, durante la fase di lussazione con le leve, oppure quelli antagonisti
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per il contraccolpo della pinza impegnata sull’arcata antagonista. Quest’ultima
evenienza è più frequente nel mascellare, durante l’estrazione dei denti inferiori,
perché nella mandibola la corticale linguale è più cedevole, così che il disimpegno
improvviso dell’elemento avviene durante la sua inclinazione all'interno del cavo
orale.
I denti contigui a quello da estrarre possono essere coinvolti anche durante
un'estrazione chirurgica, per l'impiego non corretto degli strumenti rotanti utilizzati
per l'ostectomia o l'odontotomia, i quali possono danneggiarne le radici, la corona dei
oppure il fascio vascolo-nervoso, determinando una necrosi.
Le lesioni a carico delle gemme dei denti permanenti o la loro avulsione sono
correlate all’estrazione dei decidui sovrastanti e, sebbene siano favorite dalla stretta
contiguità anatomica, sono causate dal mancato rispetto delle norme che debbono
essere seguite per la loro avulsione, che prevedono di non impegnare la leva in
profondità o all’interno della forcazione nei molaretti da latte. La terapia è diversa in
funzione del differente coinvolgimento strutturale o morfologico degli elementi
permanenti di sostituzione. In caso di avulsione, la gemma deve essere reimpiantata,
purché non abbia riportato alterazioni tali da impedirne l’ulteriore sviluppo e la
regolare eruzione in arcata; in presenza di un suo coinvolgimento strutturale durante
l'odontotomia del deciduo è buona norma, dopo aver eseguito una radiografia intraoperatoria, attendere l’eruzione del permanente che, qualora sia stato coinvolto solo
a livello dello smalto e non della radice, avverrà normalmente e potrà richiedere una
ricostruzione di tipo conservativo.
Le lesioni dei tessuti molli sono rappresentate dalla contusione, che si manifesta con
un lieve edema della zona interessata, dall’abrasione, che consiste in una soluzione di
continuo del solo strato epiteliale, e dalla lacerazione, che interessa la mucosa a tutto
spessore. Queste lesioni sono dovute all’utilizzo scorretto dello strumentario
exodontico per imperizia o imprudenza dell’odontoiatra, come nel caso delle
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lacerazioni gengivali, conseguenti a una periotomia incompleta, delle ferite provocate
dall’uso delle leve dritte, dei danni causati dall’impiego degli strumenti rotanti in
assenza di un’adeguata protezione delle mucose e dei lembi di accesso, delle
contusioni o lacerazioni del labbro inferiore per schiacciamento tra i manici della
pinza o tra questi e i denti dell’arcata inferiore. L’unica a richiedere un trattamento è
la lacerazione, che prevede l’apposizione di punti di sutura, mentre la contusione e
l’abrasione non necessitano di alcun tipo di terapia e vanno incontro a guarigione
spontanea.
L’enfisema sottocutaneo è un evento piuttosto raro che si manifesta con un
improvviso e repentino aumento di volume nella sede di intervento, in seguito alla
penetrazione, tra la mucosa e la parete alveolare, dell’aria emessa dalla turbina
durante l’odontotomia. La tumefazione, contraddistinta dal classico segno palpatorio
del crepitio gassoso, a neve fresca, è generalmente di lieve entità, anche se nel
mascellare superiore può assumere dimensioni notevoli, fino a determinare la
chiusura della rima palpebrale, per diffusione dell’aria verso l’orbita. Molto
importante è tranquillizzare il paziente, che avverte una sensazione di tensione e
pressione, sulla spontanea e rapida risoluzione del gonfiore, che viene favorita da
un leggero massaggio, prolungato nel tempo, e dalla compressione con impacchi
freddi, che aiutano il riassorbimento dell’aria intrappolata nei tessuti; può anche
essere consigliata una copertura antibiotica al fine di prevenire la sovra-infezione
favorita dalla penetrazione di microbi in profondità.
L’emorragia, che costituisce la conseguenza inevitabile di ogni intervento estrattivo,
si configura come un incidente intra-operatorio quando è di particolare intensità e
durata; è pulsante o continua in relazione al coinvolgimento rispettivamente di un
vaso arterioso o venoso e può insorgere a livello dell’osso o nel contesto dei tessuti
molli.
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L’emorragia endo-alveolare è legata per lo più alla presenza di tessuto di
granulazione o di frammenti radicolari e cessa con la loro rimozione; può essere
causata anche dalla frattura alveolare o/e dalla lacerazione dei tessuti molli
sovrastanti.
L'emorragia di origine intraossea si può arrestare spontaneamente, perché il vaso leso
tende a retrarsi per l’elasticità delle fibre muscolari contenute nella sua parete, può
essere controllata tramite una pressione che determini il collabimento delle trabecole
ossee o, infine, può essere trattata con presidi emostatici. È in ogni caso
indispensabile non suturare il lembo di accesso fintanto che il sanguinamento non sia
cessato, per evitare l’infiltrazione incontrollata del sangue nel contesto dei tessuti
molli e nelle logge limitrofe, con la comparsa di grossi ematomi.
L’emorragia dei tessuti molli, che è di intensità e durata variabili in relazione al
calibro del vaso interessato dalla lacerazione accidentale, può essere risolta con il
semplice tamponamento compressivo, con l’elettrocoagulazione o con la sutura del
vaso che va comunque individuato e isolato dai tessuti circostanti.
Gli incidenti intra-operatori a carico dei tronchi nervosi, che in chirurgia estrattiva
coinvolgono nervi a prevalente o esclusiva componente sensitiva (alveolare inferiore,
linguale, naso-palatino, mentoniero), sono rappresentati dalla neuroprassia,
dall’assonotmesi e dalla neurotmesi e sono legati quasi esclusivamente a grossolani
errori di tecnica estrattiva, tranne nel caso in cui i tronchi nervosi contraggano stretti
rapporti di contiguità con le radici degli elementi dentari in particolare con quelle del
terzo molare inferiore (Auyong & Le 2011, Chiapasco et al.1993, Peterson et al.
2003).
La neuroprassia è causata da ischemia, trazione o compressione di brevissima durata;
consiste in un disturbo funzionale della conduzione nervosa per interruzione non
strutturale delle fibre nervose, senza interruzione degli assoni; si manifesta con una
compromissione sensitiva, che regredisce spontaneamente e in modo completo entro
qualche settimana.
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L’assonotmesi si manifesta in seguito a contusione, a trazione, compressione o
ischemia prolungate del tronco nervoso, coinvolgendo alcuni assoni all'interno di uno
o più fascicoli nervosi senza danno ai tessuti peri-neurali, provocando quindi una
parziale interruzione della continuità del tronco nervoso, che può ripristinarsi in
qualche mese per rigenerazione del moncone prossimale dei cilindrassi danneggiati, ,
con un recupero pressoché totale della funzione sensitiva.
La neurotmesi consegue alla sezione completa del tronco nervoso, corrisponde alla
perdita completa della sensibilità e può essere trattata unicamente con
l’affrontamento micro-chirurgico dei monconi resecati (neurorrafia).
La frattura del processo alveolare, che interessa la parete verso la quale vengono
eseguiti i movimenti lussativi e avulsivi di maggior ampiezza e forza, può essere
favorita dalla presenza di condizioni anatomiche o patologiche predisponenti, quali
anomalie radicolari, pareti alveolari sottili, ipercementosi apicale e anchilosi.
La porzione ossea fratturata deve essere asportata, se è di piccole dimensioni o/e non
aderente al periostio, altrimenti va mantenuta e stabilizzata tra i lembi mucosi dei due
versanti alveolari mediante punti di sutura.
La frattura della tuberosità del mascellare (Bell 2011, Chrcanovic & Freire-Maia
2011, Perterson et al. 2003) si verifica quasi esclusivamente nell’avulsione del terzo
molare superiore per l’applicazione di una forza lussativa eccessiva o non
correttamente orientata oppure per la presenza delle succitate condizioni
predisponenti. Il trattamento è chirurgico e varia in relazione alle dimensioni della
porzione fratturata, alla presenza di un’ emorragia abbondante per coinvolgimento del
plesso venoso pterigoideo e all’esistenza di una comunicazione oro-sinusale. Un
frammento rimasto adeso al periostio, se di piccole dimensioni può essere asportato,
se di maggiore entità va conservato e immobilizzato nella sua posizione originaria
mediante sutura dei lembi mucosi sovrastanti. Non è più conservabile invece la
porzione di tuberosità rimasta adesa al dente estratto, nel qual caso è sempre
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necessario provvedere alla chiusura del sito post-estrattivo affrontando i margini della
ferita chirurgica o, se questo non fosse possibile, mediante l’allestimento di lembi
trasposti.
La frattura del pavimento antrale, pur riconoscendo nella propria eziologia alcune
situazioni predisponenti, quali la stretta contiguità tra seno e radici dentarie o la
presenza di una patologia osteolitica peri-apicale, è più spesso dovuta a errori di
tecnica operatoria. Questo incidente frequentemente comporta una lesione della
mucosa di rivestimento, con la conseguente comparsa di una comunicazione orosinusale, che può manifestarsi con il passaggio di aria attraverso l’alveolo durante la
manovra di Valsalva o con la fuoriuscita di sangue o acqua dal naso durante gli
sciacqui (Bell 2011, Peterson et al. 2003). Il trattamento prevede la chiusura ermetica
della comunicazione mediante uno stretto accollamento di lembi mucosi a
scorrimento o peduncolati, opportunamente mobilizzati e traslati al disopra della
cavità alveolare, e la somministrazione per almeno due settimane di una terapia
antibiotica ad ampio spettro per prevenire l'eventuale sovra-infezione sinusale. Deve,
inoltre, essere raccomandato al paziente di evitare tutti quei movimenti, come il
soffiare il naso o lo sciacquare violentemente la bocca, e tutte quelle situazioni, come
viaggiare in aereo o fare immersioni subacquee, che possano provocare squilibri
pressori oro-antrali.
La frattura del tetto del canale mandibolare è un evenienza piuttosto rara che espone
al rischio di lesione le strutture vascolari e nervose in esso contenute. Il frammento
osseo fratturato, dopo essere stato individuato ampliando l’accesso al fondo della
cavità alveolare, può: essere rimosso con l’aiuto di un piccolo escavatore o con delle
pinzette da medicazione; essere lasciato in situ, in caso di insuccesso o di evidente
rischio di danno al fascio vascolo-nervoso; essere recuperato successivamente, con un
approccio per via vestibolare, qualora si manifesti una sintomatologia di tipo nervoso.
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La frattura della mandibola è legata per lo più a manovre estrattive incongrue, in
presenza di alcune situazioni predisponenti di carattere generale (osteoporosi,
rachitismo, osteomalacia) o locale (osteiti acute e croniche, displasie ossee, cisti di
notevoli dimensioni, tumori primitivi e secondari) oppure per l’esistenza di brecce
ossee particolarmente estese, create per l’estrazione di un terzo molare profondo,
soprattutto se distoverso e in terza classe di Pell & Gregory. Anche un’ostectomia
troppo ridotta, in relazione alle dimensioni, alla morfologia e alla profondità del
dente, può rappresentare una predisposizione alla frattura qualora vengano eseguiti
movimenti lussativi d'intensità elevata. L’approccio terapeutico consiste nella
riduzione della frattura e nell’osteosintesi dei segmenti fratturativi da eseguire in
ambiente ospedaliero. Qualora questo non fosse possibile è necessario mantenere le
arcate in occlusione e impedire la mobilizzazione dei monconi, in corrispondenza
della rima di frattura, mediante un bendaggio contentivo del viso o un blocco
intermascellare provvisorio (Peterson et al. 2003).
La lussazione dell' articolazione temporo-mandibolare, che può essere favorita da
condizioni anatomopatologiche preesistenti come la lassità legamentosa e capsulare,
si verifica generalmente per la mancata immobilizzazione della mandibola durante
l’estrazione dei denti posteriori o per l’eccessiva apertura della bocca. La comparsa,
in concomitanza con le manovre estrattive, d'impotenza funzionale, di deformazione
articolare, di atteggiamento obbligato in latero-deviazione controlaterale, se la
lussazione è monolaterale, e di apertura stabile della bocca sono segni
patognomonici. Nel caso di soggetti cronicamente esposti alla lussazione articolare, il
riposizionamento avviene spontaneamente con una manovra autoindotta dal soggetto
stesso, in tutte le altre circostanze si deve ricorrere alla riduzione manuale. Questa
deve essere adottata immediatamente e può essere eseguita ponendosi dietro o
davanti al paziente, a cui viene immobilizzata la testa onde evitare che questi, a causa
del dolore provocato dai movimenti della mandibola guidati dall’operatore, possa
assecondarli, ostacolandone la corretta esecuzione. Nel caso di un approccio anteriore
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la manovra consiste nell’appoggiare i pollici internamente sui trigoni retro-molari, gli
indici sui gonion e le altre dita sul bordo inferiore della mandibola, che viene spinta
dapprima verso il basso e l’avanti, così da allontanare il condilo dalla cavità glenoide
e dal tubercolo pre-articolare, e poi posteriormente e in alto in modo da riposizionarlo
nella sua sede fisiologica . È quindi opportuno applicare un bendaggio contentivo e
prescrivere una dieta semiliquida per 5-6 giorni, in modo da favorire il riposo
funzionale dell’articolazione temporo-mandibolare.
3. COMPLICANZE
Le complicanze sono condizioni patologiche che si manifestano nel periodo postestrattivo e che interferiscono con il normale processo di guarigione. Le complicanze
locali sono eventi piuttosto frequenti e possono verificarsi a carico delle strutture
contigue all’elemento estratto o come conseguenza di incidenti intra-operatori (Tab.
II).
L’edema, che consiste in un eccessivo accumulo negli spazi interstiziali di liquido
proveniente dal plasma sanguigno (trasudato), è una sequela post-operatoria correlata
all’entità del trauma chirurgico e alla durata dell’intervento. Viene considerato una
complicanza quando diviene rilevante per estensione e consistenza, così da
influenzare negativamente il processo di guarigione e creare disagi al paziente nel
decorso post-operatorio. In genere regredisce nel corso di alcuni giorni senza lasciare
postumi, anche se la sua risoluzione può essere accelerata dalla somministrazione di
farmaci antinfiammatori.
L’infiammazione si manifesta con edema, essudato e dolore e, nella maggior parte dei
casi, è causata dalla sovra-infezione batterica della ferita estrattiva. La terapia, che
prevede l’assunzione per via sistemica di farmaci antibiotici e antinfiammatori, deve
essere associata a una corretta igiene orale domiciliare, integrata dall’uso di collutori,
gel o nebulizzatori a base di clorexidina allo 0,12-0,20%. Peculiare forma di
infezione post-operatoria è l'ascesso muco-periosteo tardivo, tipico dell'estrazione
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chirurgica del terzo molare inferiore, che si manifesta dopo almeno 4 settimane
dall'avulsione con una tumefazione extra-alveolare e che richiede per la sua
risoluzione una terapia antibiotica adeguata ed eventualmente la riapertura del lembo
di accesso.
Il trisma è una complicanza correlata all’estrazione dei denti del giudizio, soprattutto
di quelli inferiori, e consiste in una contrattura dei muscoli masticatori, in particolare
del massetere e dello pterigoideo interno, indotta da stimoli periferici di origine
traumatica o infiammatoria.
Tabella II - COMPLICANZE LOCO-REGIONALI
A CARICO DEI TESSUTI MOLLI
•
Edema
•
Infiammazione
•
Ecchimosi, ematoma
•
Trisma
•
Mucocele
•
Ascesso muco-periosteo tardivo
•
Deiscenza della ferita
•
Ulcerazioni
A CARICO DEI VASI
•
Emorragia
A CARICO DEI NERVI
•
Anestesia
•
Ipoestesia
•
Parestesia
•
Iperestesia
A CARICO DELLE OSSA MASCELLARI
•
Alveolite
•
Osteite
•
Sinusite
•
Frattura della mandibola
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La terapia prevede l’impiego di farmaci antinfiammatori, analgesici e miorilassanti ad
azione periferica e, per agevolarne e affrettarne la risoluzione, deve essere associato a
manovre di apertura forzata e progressiva della bocca mediante l’interposizione tra le
arcate dentarie di mezzi di varia natura (cunei, divaricatori, apribocca). Questo
trattamento, qualora il trisma sia associato a un’infezione post-operatoria della ferita
chirurgica, deve essere rimandato fino a quando non sia stata ottenuta la risoluzione
del quadro infettivo, mediante una terapia antibiotica adeguata.
L’ecchimosi, ossia uno stravaso di sangue infiltrante i tessuti superficiali, e
l’ematoma, cioè una raccolta ematica circoscritta, sono condizioni patologiche
conseguenti a lesione di vasi periferici e, nel caso di estrazioni non chirurgiche, a
incidenti traumatici di tipo contusivo o lacero-contusivo. La loro comparsa può essere
favorita da interventi estrattivi particolarmente estesi e complessi, dal non rispetto
delle istruzioni impartite per l’immediato post-operatorio (applicazione di ghiaccio,
tamponamento compressivo, dieta liquida e fredda), dalla fragilità vasale tipica di
alcuni soggetti, soprattutto se anziani, dall'assunzione di farmaci antiaggreganti o
anticoagulanti. Si tratta di complicanze non gravi, che vanno incontro a regressione
spontanea anche se il riassorbimento di quelli cutanei è favorito da un’appropriata
terapia locale a base di venutonici e vasoprotettori. Solo se l’ematoma è recente e di
notevole entità, è necessario intervenire procedendo alla sua evacuazione mediante
ago-aspirazione e alla successiva compressione sui tessuti molli sovrastanti, per
evitare la recidiva. In caso di ematomi estesi e non drenati, può essere opportuno
instaurare una profilassi antibiotica, in modo da ostacolarne la sovra-infezione.
Il mucocele è una complicanza di raro riscontro, che insorge soprattutto a carico del
labbro inferiore per stravaso del contenuto mucoso delle ghiandole salivari minori nei
tessuti circostanti. È una condizione secondaria a un evento traumatico legato a
manovre errate dell’operatore o indotto dalla masticazione su zone anestetizzate in
occasione dell'intervento estrattivo. In relazione alle sue dimensioni e alla sua
localizzazione, può risolversi per rottura spontanea o autoindotta oppure con la
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semplice ago-aspirazione, richiedendo in tutti gli altri casi un trattamento chirurgico
di enucleazione o di marsupializzazione.
La deiscenza è la diastasi completa o parziale dei margini di una ferita chirurgica
suturata, che può determinare un sanguinamento post-operatorio. Si verifica più
spesso quando la linea di sutura del lembo cade al disopra di una breccia ossea
(Peterson et al. 2003). Nel caso del terzo molare inferiore, questa situazione si
verifica distalmente al secondo molare in corrispondenza dei tessuti molli
riposizionati al di sopra della cavità residuata dall'avulsione del dente.
Questa complicanza è comune anche nei casi in cui il lembo abbia una base
d'impianto limitata rispetto al suo margine libero, esistano tensioni intramurali, non
contrastate con opportune incisioni di rilasciamento, o i punti di sutura siano stati
passati troppo vicino al bordo della ferita chirurgica, così da determinarne la
lacerazione. La comparsa di una deiscenza, costituendo una porta d'ingresso per i
microbi, espone al rischio di sovra-infezione e obbliga quindi a un attento
monitoraggio della guarigione e all'impiego di una profilassi antibatterica con
prodotti topici a base di clorexidina allo 0,20%.
Le ulcerazioni possono essere dovute al trauma esercitato sul lembo da margini ossei
non regolarizzati oppure essere espressione di una stomatite aftosa recidivante o di
una manifestazione erpetica, scatenate dal trauma psico-fisico dell'intervento
chirurgico. Nel primo caso, relativamente frequente in corrispondenza della parete
linguale dell'alveolo post-estrattivo del terzo molare inferiore (Peterson et al. 2003), è
spesso necessario eseguire una piccola incisione mucosa attraverso cui effettuare una
regolarizzazione del margine osseo sottostante; più raramente si determina la
formazione di un piccolo sequestro osseo, la cui espulsione spontanea determina la
risoluzione del quadro clinico.
L’emorragia tardiva o secondaria avviene solitamente dopo qualche ora o nei primi
due giorni dopo l’estrazione e può essere conseguente a persistenza endo-alveolare di
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tessuto granulomatoso o di residui radicolari, a fratture alveolari misconosciute o a
lisi del coagulo, causata dal mancato rispetto da parte del paziente delle istruzioni
impartitegli per il decorso post-operatorio, come l’uso dello spazzolino a livello della
ferita, gli sciacqui con acqua calda o la masticazione di cibi solidi. Il trattamento è
diverso in relazione alla causa dell’emorragia e può includere la revisione alveolare,
il tamponamento compressivo con garza sterile, il riempimento della cavità con
spugne di fibrina, gelatina o garze di cellulosa ossidata e la sutura. Nelle estrazioni
chirurgiche, l’emorragia può anche essere legata all'instabilità del lembo di accesso,
non adeguatamente suturato o laceratosi, nel qual caso, rimossi i punti della
precedente sutura, il lembo va riposizionato correttamente e nuovamente suturato.
I disturbi della sensibilità, conseguenti a lesione dei tronchi nervosi, negli interventi
in anestesia locale, si manifestano solo al termine dell’azione farmacologica svolta
dall’anestetico e possono regredire o persistere in relazione all’entità del danno
anatomico. Qualora sia possibile un recupero funzionale dell’attività nervosa, questo
avviene in modo lento e progressivo e può essere facilitato dall’uso di farmaci
neurotrofici. Le alterazioni possono essere correlate sia alla sensibilità specifica sia a
quella generale ed essere di tipo quantitativo (anestesia, ipoestesia, iperestesia,
ageusia, ipoageusia) o qualitativo (parestesia, disestesia, disgeusia). L'evoluzione del
quadro clinico va seguita nel tempo, per valutare l'entità e la rapidità del recupero,
con la mappatura dell’area cutaneo-mucosa interessata dall’alterazione della
sensibilità e con i test neurologici di funzionalità dei tronchi nervosi.
L’alveolite è una complicanza infiammatoria a carico dell’alveolo, che si manifesta
con particolare frequenza dopo l’avulsione dei denti del giudizio inferiori; ne esistono
due forme: umida e secca.
L’alveolite umida è caratterizzata dalla presenza di una secrezione siero-purulenta e
da una mucosa iperemica ed edematosa in sede peri-alveolare; richiede un
trattamento antibiotico a largo spettro di tipo sistemico, associato a una corretta
igiene orale domiciliare e all’uso di collutori a base di clorexidina allo 0,20%.
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L’alveolite secca (Chiapasco et al. 1993, Houston et al. 2002) è una complicanza
infiammatoria, forse di tipo infettivo, che compare entro 24-72 h da un’estrazione
spesso impegnativa, potendo insorgere per un difetto di formazione, per la perdita
prematura o per la disgregazione del coagulo ematico endo-alveolare, dovuta a
fibrinolisi presumibilmente conseguente ad infezione da parte di batteri proteolitici.
Dal punto di vista sintomatico l'alveolite secca è caratterizzata da alito fetido, cattivo
sapore e da dolore continuo, forte, che si irradia dall’alveolo alle zone circostanti e
che non recede completamente al trattamento con analgesici. All’esame obiettivo
l’alveolo si presenta vuoto, può contenere residui di cibo saliva e materiale necrotico,
la cui rimozione fa rivelare pareti ossee ischemiche. Dopo aver effettuato una
radiografia endorale periapicale per escludere la presenza di frammenti radicolari, si
esegue l’anestesia locale, la revisione e il lavaggio con soluzione fisiologica della
cavità alveolare, il curettage con cucchiai endoalveolari, frese o ultrasuoni delle pareti
ossee (e non del fondo per evitare di ledere il fascio vascolo-nervoso) in modo che
l’alveolo si riempia di sangue proveniente dal tessuto osseo e non dai tessuti molli, la
zaffatura con emostatici o garza iodoformica, che va sostituita a giorni alterni, fino
alla scomparsa dei sintomi che avviene in circa 10 giorni. Nel caso in cui l’estrazione
sia stata chirurgica, queste manovre debbono essere precedute dalla riapertura del
lembo di accesso. La terapia antibiotica non è necessaria, se non in presenza di
malattie sistemiche. In alcuni casi, è possibile intercettare la comparsa dell'alveolite
prima che il quadro clinico diventi eclatante, eseguendo un lavaggio con soluzione
fisiologica e prescrivendo l'applicazione topica di prodotti a base di clorexidina.
L’osteite è un’infezione delle ossa mascellari, che può essere produttiva o non e può
o non essere conseguente alla diffusione di un processo settico a partenza
dall'alveolo. È caratterizzata da dolore, febbre, leucocitosi, linfadenopatia e
interessamento dei tessuti molli. Il quadro clinico è caratterizzato dalla presenza di
una tumefazione duro-elastica, calda al termotatto e dolente alla palpazione e
all’esame radiografico si evidenziano aree di radiotrasparenza a nuvola a livello
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dell’alveolo, estese anche al di fuori dello spazio alveolare. Il trattamento è sistemico
e prevede la somministrazione di antibiotici ed antiinfiammatori che, in presenza di
una reazione produttiva, deve essere associata alla revisione chirurgica del sito
osteitico. Il trattamento antibiotico deve essere combinato anche contro i batteri
anaerobi e, in caso di inefficacia, deve essere rimodulato sulla base di un
antibiogramma.
La sinusite è una complicanza che insorge per contaminazione batterica del seno
mascellare, che può verificarsi: nel corso di un intervento estrattivo; durante il
periodo di guarigione, per deiscenza della ferita o persistenza di una comunicazione
oro-sinusale; come conseguenza della dislocazione di un dente o di un suo frammento
all’interno dello spazio sinusale. Il processo può presentarsi con un quadro acuto, che
se non opportunamente trattato tende alla cronicizzazione, oppure esordire fin
dall’inizio come cronico, i cui sintomi più comuni sono mal di testa, pesantezza in
corrispondenza del seno mascellare, dolorabilità in corrispondenza della fossa canina
e talvolta secrezione sierosa o siero-purulenta che esce dal naso.
Il trattamento prevede la terapia antibiotica per via sistemica, sciacqui orali con
collutori a base di clorexidina allo 0,20%, irrigazioni con soluzione salina attraverso
l’orifizio nasale e l’uso di spray nasali decongestionanti. Qualora l’infezione tenda a
peggiorare, siano presenti una comunicazione oro-sinusale o/e un dente o una radice
dislocati, si impone l’intervento di revisione del seno al fine di rimuovere il corpo
estraneo eventualmente presente e le formazioni iperplastiche della mucosa sinusale,
associando una plastica di chiusura dell'eventuale fistola oro-antrale, eseguita con un
lembo trasposto di mucosa orale.
La frattura della mandibola avviene per lo più in corrispondenza dell'angolo dopo
l'estrazione dei terzi molari inferiori e dopo le prime due settimane, quando il
paziente, dopo aver masticato cibi di scarsa consistenza a causa del dolore,
ricomincia a mangiare normalmente. Fattori predisponenti sono ovviamente ampie
brecce d'accesso o patologie associate al terzo molare, che abbiano causato una
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marcata usura delle corticali. In queste situazioni è necessario avvisare il paziente di
evitare cibi duri per almeno un mese e, in casi estremi, programmare l'intervento in
anestesia generale, in modo da applicare contestualmente una placca che eviti la
frattura post-operatoria (Pippi et al. 2010).
4. CONCLUSIONI
Gli incidenti e le complicanze loco-regionali correlati alle estrazioni dentarie
condizionano in modo negativo la prognosi. Per questo motivo il primo obiettivo da
perseguire è la loro prevenzione, che si realizza attraverso un’attenta valutazione
clinico-radiografica, un’accurata pianificazione della procedura estrattiva, l’adozione
di tecniche operatorie adeguate, l’uso di strumentario idoneo e una corretta gestione
del periodo post-operatorio. Altrettanto importante è la diagnosi e il trattamento degli
incidenti e delle complicanze, che deve essere tempestivo ed efficace, per ridurre al
minimo i disagi intra e post-operatori ed evitare esiti permanenti.
Da ultimo non va dimenticata la necessità di una corretta ed esauriente informazione
che faccia comprendere al paziente i rischi legati all’intervento.
5.BIBLIOGRAFIA
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