Estratto Il nuovo procedimento amministrativo
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Estratto Il nuovo procedimento amministrativo
CAPITOLO II 69 1. L’importanza della certezza del tempo amministrativo Le modifiche all’art. 2 L. 241/1990 costituiscono senza dubbio il cuore della riforma del 2009, la quale dedica una grande attenzione alla completa riscrittura della norma, incidendo profondamente sui connotati e sulla disciplina dell’istituto del silenzio dell’amministrazione, tanto che non sembra azzardato parlare di “nuovo silenzio della P.A.” In realtà, l’attenzione del legislatore ai tempi procedimentali era già desta all’epoca dell’emanazione della legge sul procedimento, della quale una delle novità salutate con maggior favore da dottrina e giurisprudenza fu, appunto, la consacrazione dell’obbligo, in capo a tutte le amministrazioni, di concludere il procedimento amministrativo con un provvedimento espresso e, soprattutto, in tempi certi. È evidente, infatti, che il rapporto tra i termini del procedimento e l’esercizio del potere amministrativo incide notevolmente sull’effettività dell’esercizio di quest’ultimo: la pendenza di un procedimento amministrativo a tempo indefi nito vanifica, di fatto, le aspettative dell’istante, e più in generale dei titolari delle posizioni soggettive coinvolte nel procedimento112. A tali soggetti, invero, non importa solo il conseguimento di un provvedimento positivo di ampliamento delle propria sfera giuridica, ma, anche – e per certi versi soprattutto – il conseguimento di tale atto in tempi brevi e certi. In defi nitiva, il passare indefi nito del tempo frustra non poco la stessa utilità del bene della vita al quale l’istante aspira, di guisa che il suo ottenimento a distanza di troppo tempo non si manifesta più come effettivamente satisfattivo. Analoghe considerazioni, poi, possono svolgersi in riferimento ai provvedimenti negativi, destinati ad incidere restrittivamente sulle posizioni giuridiche dei soggetti coinvolti nell’iter procedimentale: è evidente, infatti, che il protrarsi del procedimento amministrativo implica un’intollerabile incertezza sull’effettiva consistenza degli interessi coinvolti nello stesso. 2. I precedenti normativi Alla luce del ruolo centrale svolto dalla tempistica procedimentale, il legislatore, dietro reiterate sollecitazioni di dottrina e giurisprudenza, aveva previsto, già all’inizio degli anni Novanta, due importanti innovazioni riguardanti la rilevanza dei tempi procedimentali113. Innanzitutto era stato novellato il reato di omissione di atti di ufficio, mediante la riscrittura dell’art. 328 c.p.114, che, al co. 2, aveva incriminato 112 F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano 2008, 977. Lo evidenzia M. LIPARI, I tempi del procedimento amministrativo. Certezza dei rapporti, interesse pubblico e tutela dei cittadini, in Dir. amm., 2003, 310. 114 “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto 113 70 Il nuovo procedimento amministrativo l’omissione del pubblico ufficiale e la mancata esposizione delle ragioni del ritardo nel compimento dell’atto oltre il termine di 30 giorni dalla richiesta scritta di chi vi abbia interesse. La riscrittura della norma in parola aveva consentito all’elaborazione pretoria e dottrinaria di colmare la lacuna normativa relativa alla mancata previsione di un termine finale del procedimento mediante il ricorso all’applicazione dell’art. 328 c.p., che costitutiva all’epoca l’unica fonte normativa che, nel criminalizzare l’omissione di atti d’ufficio, imponeva un obbligo di attivazione da parte dei funzionari pubblici. Si trattava, tuttavia, di uno strumento normativo assai limitato115, che mal si apprestava a superare i confini della sua collocazione schiettamente penalistica. La norma in questione, infatti, forniva una tutela parziale ed incompleta all’istante: lungi dal prevedere un generale obbligo di conclusione del procedimento, l’art. 328 c.p. si limita a consacrare, ai fini dell’esonero della responsabilità penale, l’obbligo di un più generico – ed agevole – riscontro da parte del funzionario attinto dalla richiesta del privato, idoneo a giustificare il mancato compimento dell’atto richiesto. Inoltre – e soprattutto – l’art. 328 c.p., nel rivolgersi al singolo funzionario e non già alla P.A. nel suo complesso, non prevede alcuna forma di attivazione specifica, ancorché postuma, che imponga, al di là della irrogazione della sanzione penale, l’emanazione, sia pur intempestiva, del provvedimento, onde dare riscontro, ancorché tardivo, alle istanze del privato. Per tali ragioni, onde dare un’adeguata risposta in termini di tutela positiva alle esigenze, fortemente avvertite dalle istanze dottrinarie e pretorie, di effettività dell’azione amministrativa e di certezza giuridica dei suoi provvedimenti, il legislatore del 1990 stabilì, all’art. 2 L. 241/1990, con una disposizione di portata generale, il generale obbligo per la P.A. di concludere il procedimento amministrativo mediante l’adozione di un provvedimento espresso116. Per la prima volta, dunque, veniva consacrato a livello generale l’obbligo per tutte le P.A., generalmente intese, di formalizzare le proprie determinazioni procedimentali in un atto esplicito, in guisa da rispondere all’esigenza di disporre di uno strumento forte di garanzia per il corretto svolgimento dell’iter procedimentale, assicurando l’esame delle istanze dei del suo ufficio, che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal co. 1 il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro 30 giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 1.032 euro. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di 30 giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa” (testo modificato dall’art. 16 L. 26 aprile 1990, n. 86). 115 Come ben evidenziato da F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, op. cit., 977. 116 T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 20 gennaio 2009, n. 249, in Foro amm. TAR, 2009, 1 179. CAPITOLO II 71 cittadini e, più in generale, la certezza del diritto, ed evitando che la pendenza ad oltranza di un procedimento amministrativo di fatto creasse situazioni “precarie” di incertezza giuridica. Sempre nel corso degli anni 90, in un clima storico coevo all’emanazione della L. 241, altri interventi normativi confermarono l’interesse del legislatore per il rispetto dei tempi procedimentali. Si pensi, ad esempio, alla riforma del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, che, nell’ambito di una generale valorizzazione del ruolo della dirigenza nell’attuazione degli strumenti di accelerazione del procedimento, prevede espressamente il potere sostituivo dei dirigenti generali in caso di inerzia dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi117. Ancora più signif icativo, pur se rimasto largamente inattuato, è il disposto di cui all’art. 17, lett. f ) della L. 59/1997, che prevede un indennizzo automatico e forfettario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento “per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento e di mancata o ritardata adozione del provvedimento”. Un passo decisivo verso il ristoro del pregiudizio patrimoniale patito dal privato a causa del silenzio dell’amministrazione, poi, è stato compiuto grazie alla storica sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 500 del 1999, che ha dato la stura alla risarcibilità degli interessi legittimi, con il riconoscimento in capo al G.A., al quale la L. 205/2000 ha affidato la tutela risarcitoria degli interessi legittimi, del potere di conoscere anche del c.d. “danno da ritardo”, caratterizzato, come si dirà più innanzi, dalla mera inosservanza del termine, a prescindere dal giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita (v. Cap. 3). In definitiva, le fonti sin qui citate hanno sancito il principio generale secondo cui, salve specifiche eccezioni enucleate in sede pretoria (cfr §8), la P.A. ha sempre l’obbligo di provvedere entro un tempo prestabilito sull’istanza del privato volta al conseguimento di un provvedimento ampliativo della sua sfera giuridica. Si è così conferita dignità formale ad un principio già da tempo enunciato in sede pretoria, pur se in assenza di norme esplicite, sulla base dei principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost.118 3. L a genera l izzazione del l’obbl igo d i concludere i l procedimento 3.1. L’art. 2 L. 241/1990 L’obbligo di concludere il procedimento amministrativo non poteva prescindere dalla previsione di un termine definito, che rendesse certa e 117 118 122. Art. 16, lett. e) D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165. T.A.R. Lazio, sez. II ter, 7 gennaio 2008, n. 70, in Foro amm. TAR, 2008, 1 Il nuovo procedimento amministrativo 72 prevedibile la collocazione temporale della defi nizione dell’iter procedurale: la mancanza di un termine espresso e predeterminato entro il quale la P.A. dovesse adempiere all’obbligo di provvedere, infatti, avrebbe svuotato di contenuto la norma, venendo meno le garanzie di esame delle istanze dei cittadini e, più in generale, di certezza del diritto, che sottendono l’istituto in esame. Per tale ragione l’art. 2, nella sua originaria determinazione stabiliva che: “1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’uffi cio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. 2. Le pubbliche amministrazioni determinano per ciascun tipo di procedimento, in quanto non sia già direttamente disposto per legge o per regolamento, il termine entro cui esso deve concludersi. Tale termine decorre dall’inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda se il procedimento è ad iniziativa di parte. 3. Qualora le pubbliche amministrazioni non provvedano ai sensi del co. 2, il termine è di 30 giorni. 4. Le determinazioni adottate ai sensi del co. 2 sono rese pubbliche secondo quanto previsto dai singoli ordinamenti”. La norma, dunque, prevedeva una scansione temporale riferita non di volta in volta al singolo procedimento, ma alla relativa “tipologia procedimentale astratta”119 al fi ne di garantire imparzialità e trasparenza all’azione amministrativa. A tal fi ne, l’originaria versione dell’art. 2 conferiva alle singole P.A. il potere di individuare il termine di conclusione di ciascuna tipologia procedimentale di propria competenza, prevedendo altresì un termine suppletorio di 30 giorni nel caso in cui le amministrazioni non avessero provveduto a determinarlo in via autonoma. La previsione originaria dell’art. 2 della legge sul procedimento può essere considerata il “nocciolo duro” dell’istituto della tempistica procedimentale: le diverse modifiche successivamente subite dalla norma, infatti, hanno precisato e regolamentato in maniera più incisiva il generale dovere della P.A. di concludere il procedimento ed il relativo schema disciplinatorio, basato sulla dicotomia autodeterminazione del termine – termine suppletorio, previsti per la prima volta dall’originaria formulazione della norma in esame. 3.2. [Segue] le successive leggi di riforma: la novella del 2005 In questo quadro di crescente interesse per la tempistica amministrativa, il legislatore era intervenuto nuovamente con due distinti provvedimenti normativi: la L. 15/2005 e, ancor più, il D.L. 35/2005 (convertito nella L. 119 S. TENCA, Il termine del procedimento amministrativo, in Comuni d’Italia, n. 7-8/06, 2006, 26. CAPITOLO II 73 80/2005) che riscriveva interamente gli artt. 2, 19 e 20 della L. 241/1990, rivoluzionando completamente, tra l’altro, il modo di concepire l’inerzia della P.A. L’attenzione del legislatore della riforma del procedimento amministrativo, dunque, investiva globalmente l’intero fenomeno dell’inattività della P.A., disegnando un modello normativo che, per un verso, liberalizzava gran parte delle attività private prima sottoposte ad autorizzazioni amministrative (art. 19) ed implementava le ipotesi di silenzio significativo -e segnatamente di silenzio – assenso (art. 20) – in guisa da ridurre considerevolmente le ipotesi in cui non fosse possibile ascrivere alla condotta omissiva della P.A. veste attizia, sia pur implicita; d’altro canto, la riforma del 2005 ribadiva l’obbligo generale per tutte le P.A. di concludere il procedimento nel termine stabilito per legge, introducendo specifici meccanismi di determinazione dello stesso da parte delle amministrazioni. La riforma in esame, dunque, era fi nalizzata a limitare il più possibile i casi in cui l’inerzia della P.A. si traducesse di fatto in una intollerabile situazione di incertezza per i privati: non poteva perciò non dedicare importanti modifiche anche ai tempi di conclusione del procedimento amministrativo, per conferire maggiore pregnanza ed efficacia ad un istituto nella prassi assai spesso trascurato e poco applicato120. La disciplina tratteggiata dal legislatore della riforma121 prevedeva la fissazione dei termini entro i quali i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali dovevano concludersi, ove non fossero direttamente previsti per legge, ad opera di uno o più regolamenti governativi (da adottare entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 35/2005). Da tale previsione, peraltro, erano esclusi gli enti pubblici nazionali, i quali dovevano procedere alla individuazione, secondo i propri ordinamenti, dei termini entro i quali dovevano concludersi i procedimenti di propria competenza. La determinazione dei termini di conclusione del procedimento doveva avvenire considerando “la loro sostenibilità, sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa e della natura degli interessi pubblici tutelati”122. L’art. 2, nella sua formulazione post 2005, peraltro, conservava il meccanismo del termine suppletorio nel caso in cui le P.A. non avessero provveduto all’individuazione dei tempi procedurali, determinandolo in 90 giorni dall’avvio del procedimento. La norma, poi, prevedeva ipotesi di sospensione dei termini procedimentali in caso di acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, ovvero di acquisizione di informazioni o certif icazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso 120 GAROFOLI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2009, 517. Ci si riferisce, nello specifico, alla L. 15/2005, nonché all’art. 3, co. 6-bis, del D.L. 35/2005. 122 Cfr la vecchia formulazione dell’art. 2, co. 2. 121 Il nuovo procedimento amministrativo 74 dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre P.A., da acquisirsi, eventualmente, anche mediante conferenza di servizi di cui agli artt. 14 ss. L. 241/1990. Infi ne, con riferimento a quei casi, resi residuali dalla riscrittura del citato art. 20, in cui l’inerzia della P.A. continuava a non avere valore provvedimentale, il Novellato art. 2, da un lato semplificava il procedimento di formazione del silenzio-rifiuto, eliminando la necessità della preventiva diffida a provvedere; d’altro canto sottraeva il termine per proporre ricorso alle forche caudine dell’ordinario termine impugnatorio di 60 giorni, prevedendo che il ricorso avverso il silenzio-inadempimento potesse essere esperito “fi ntanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini” procedurali. Il legislatore, inoltre, aveva potenziato l’intensità del sindacato giurisdizionale consentito al G.A. in sede di ricorso contro il silenzio-rifiuto, riconoscendo espressamente al giudice amministrativo il potere di conoscere la fondatezza dell’istanza. 3.3. [Segue] la riforma del 2009 A distanza di soli quattro anni dalle leggi del 2005 salutate come “la riforma” del procedimento amministrativo, il legislatore parlamentare, nel porre mano ancora una volta al lavoro di restyling della legge sul procedimento123, è tornato ad occuparsi dell’istituto del silenzio e dell’obbligo procedimentale di adottare un provvedimento espresso. L’intento che ha mosso stavolta il legislatore risiede nell’esigenza di “creare un ambiente di infrastrutture burocratiche più favorevole allo svolgimento delle attività economiche e, al tempo stesso, garantire ai cittadini la qualità dei servizi resi, sia dalla amministrazione pubblica, che dai soggetti che ad essa si sono sostituiti in settori di rilevante importanza per la vita quotidiana (come i gestori di servizi pubblici)”124. Tale risultato viene perseguito mediante la semplificazione e l’accelerazione dei tempi e delle modalità di svolgimento dell’attività amministrativa, improntato, da un lato, al principio della ragionevolezza delle disposizioni che fi ssano termini più lunghi di quelli previsti dalla legge, nonché al controllo costante dei tempi dell’azione amministrativa, nella logica della manutenzione continua dei procedimenti; dall’altro, all’individuazione di misure volte a rendere concretamente efficaci e perseguibili gli obiettivi di certezza e di riduzione dei tempi, mediante l’introduzione di forme di responsabilità volte a scoraggiare l’inerzia ingiustificata dell’amministrazione. Nei successivi paragraf i verranno affrontati in via sistematica ed esaustiva tutti gli aspetti e le implicazione problematiche della nuova 123 124 Con la Legge 18 giugno 2009, n. 69. V. la relazione governativa alla Legge 18 giugno 2009, n. 69. CAPITOLO II 75 disciplina, nonché i diversi punti di contatto ed i meccanismi di interazione con gli altri istituti procedimentali. Sembra tuttavia opportuno tracciare preliminarmente un breve quadro della nuova disciplina, così come ridisegnata dall’art. 7 della legge di riforma 2009, onde fornire un quadro di insieme dei nuovi connotati dell’istituto, che verranno singolarmente esaustivamente esaminati nei paragrafi seguenti. Innanzitutto, resta inalterato il generale obbligo per ogni amministrazione pubblica, di concludere ciascun procedimento, indipendentemente dalle modalità del suo avvio, con l’adozione di un provvedimento espresso ed entro termini prefissati. Anche la nuova versione dell’art. 2 stabilisce un termine suppletorio entro il quale le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali sono obbligate a concludere il procedimento amministrativo in assenza di un diverso termine fissato dalla legge o dalle stesse amministrazioni competenti, individuato in 30 giorni dall’avvio del procedimento. Resta inalterata, poi, la possibilità per ciascuna amministrazione di determinare il termine di conclusione per i procedimenti di propria competenza. La legge di riforma, tuttavia, si è preoccupata di fi ssare dei limiti per le P.A. nella determinazione dei termini di conclusione del procedimento, onde evitare che la determinazione di termini abnormi di fatto vanificasse la ratio di celerità e certezza dell’agere amministrativo. Costituiva infatti una prassi ormai invalsa, evidentemente poco rispettosa del dettato normativo, la determinazione da parte di molti enti pubblici di termini assolutamente incongrui (spesso addirittura di anni)125. Per tale ragione, il nuovo art. 2 stabilisce che i termini che possono essere fissati per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, non possono in via generale superare i 90 giorni. Inoltre, la determinazione di tali termini per le amministrazioni statali non è più rimessa a regolamenti governativi (da adottare con D.P.R. ai sensi dell’art. 17, co. 1, della L. 400/1988) ma a regolamenti, da adottare (ex art. 17, co. 3, della stessa L. 400/1988) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro di volta in volta competente di concerto con i Ministri per la Pubblica Amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa. Ai fini di contemperare l’esigenza di certezza e celerità dell’azione amministrativa con la complessità di taluni procedimenti, per ragioni connesse all’organizzazione amministrativa o per la particolare natura degli interessi pubblici tutelati, poi, la nuova norma prevede che tali procedimenti possano concludersi in un termine superiore ai 90 giorni, a condizione che esso venga determinato con D.P.C.M., adottato anche su 125 Ne dà atto S. TENCA, Il termine del procedimento amministrativo, in Comuni d’Italia, op. cit., 26. Il nuovo procedimento amministrativo 76 proposta dei Ministri per la Pubblica Amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il termine in questione, peraltro, non può in ogni caso superare i 180 giorni, salvo che si tratti di procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana ovvero relativi all’immigrazione. Il termine per la conclusione del procedimento, sia suppletorio che determinato in via regolamentare, può essere sospeso, a mente del nuovo disposto normativo, per una sola volta, onde consentire alla P.A. procedente di acquisire informazioni o certificazioni non in suo possesso. In ogni caso la sospensione non può protrarsi per un periodo superiore ai 30 giorni. Una assoluta novità, infi ne, è costituita dal co. 9 dell’art. 2, il quale, onde incentivare il rispetto dei termini di conclusione del procedimento, prevede espressamente che la mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce “elemento di valutazione” della responsabilità dirigenziale. Allo stesso fi ne, da ultimo, risponde il nuovo art. 2-bis, introdotto ex novo dalla legge di riforma, il quale, a corredo della disciplina dispositiva di cui all’art. precedente, prevede una particolare forma di “danno da ritardo”, ponendo a carico di tutte le amministrazioni pubbliche – nonché dei soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative di cui all’art. 1, co. 1-ter, della medesima L. 241/1990 – l’obbligo di risarcire il danno ingiusto causato dall’inosservanza, dolosa o colposa, dei termini procedimentali (sul tema del danno da ritardo v. il Cap. 3). 4. Trovano conferma la portata generale dell’obbligo di conclusione del procedimento e la natura non perentoria del termine Il co. 1 del riscritto art. 1 conferma la regola generale dell’obbligatorietà della defi nizione del procedimento con un provvedimento espresso126. La norma recita, infatti, che “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’uffi cio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso” (in riferimento ai limiti dell’obbligo a provvedere, v. il §8). Si è già osservato in precedenza che tale norma ha codificato un principio pretorio127 ricavato già in precedenza in base ai canoni costituzionali che reggono il dispiegarsi dell’azione amministrativa. 126 Sul tema v. GAROFOLI, Manuale di diritto amministrativo, op. cit., 524; F.G. SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, in Dir. Proc. Amm., 2002, 255. 127 Così T.A.R. Campania – Napoli, sez. III, 20 gennaio 2009, n. 249, op. cit., secondo cui ai sensi dell’art. 2, L. 241 del 1990, è stato canonizzato l’obbligo di