n. 14 - Autunno 2010 - Le Montagne Divertenti
Transcript
n. 14 - Autunno 2010 - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina n°14 - autunno 2010 - EURO 3 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio Parole in vetta I messaggi degli alpinisti Funghi Quelli che non raccoglieresti mai Alpinismo e v r i D tenti Bernina, cima Piazzi, Punta di Scais e Cengalo Artigiani L'ultimo mugnaio Valchiavenna Monte Mater, la sentinella di Chiavenna Cipriano Valorsa Il Raffaello grosino Sondrio Valmalenco L'otto della scala dei Pizzi Porte di Valtellina Dal Vivione all'Aprica Valtellinesi nel mondo La magia delle Ande Natura Locuste e anfibi Fotografia I tramonti Passo dopo passo La valle del Saiento Inoltre Ricette, poesie, giochi, leggende... Le grandi creste quattro vie per cavalcare il cielo valchiavenna - bassa valtellina - Valmasino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina 1 Le Montagne Divertenti Editoriale Beno «Cosa provi ad andare in montagna?» E' domanda ricorrente di chi in montagna non va spesso e ne è incuriosito. Dare risposta è tuttavia molto difficile. Forse ci era ben riuscito il nostro amico Fausto che, in una email, scriveva così: «In quanto alla montagna, sai, io ci ho sempre un po’ passeggiato ma, sulle cime, fino a due anni fa non ero mai stato: in due anni ne ho fatte almeno cento (non le ho contate ma più o meno ci siamo) e se ci sono andato è perchè mi davano qualcosa … L’effetto non sono in grado di spiegartelo: banalmente ti dà sensazioni di libertà e di immensità; credo ci vorrebbe un poeta, un pittore o un musicista per trasmettere qualcosa che vada oltre a delle banali parole, oppure, in alternativa, lo devi capire da solo. L’effetto, comunque è soggettivo: immagino che alla maggior parte della gente dica poco o niente o non ritenga la fatica comparabile ai benefici; se paragoniamo il numero di persone che se ne stanno sulle montagne a quelle che se ne stanno in città e fanno shopping, oppure non fanno niente, la proporzione è ridicola…» In copertina: Autunno al lago Azzurro (27 ottobre 2009, foto Roberto Moiola). In questa pagina: valle dei Ratti, alpe Camerà (1 novembre 2009, foto Beno). Ultima di copertina: la "schiena del mulo" sullo spigolo Vinci (15 luglio 2009, foto Mario Sertori). 2 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Montagne Divertenti 1 Legenda Spiegazione delle schede tecniche Ottimo anche per anziani non autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (in “scala Beno”) che vengono assegnati agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si riferiscono al periodo in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni del tracciato. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale. Le schede sintetiche sono anche corredate da indicatori grafici che vi permetteranno, a colpo d’occhio, di valutare l’itinerario. Bellezza pericolosità Quasi meglio il centro commerciale Carino Ne vale veramente la pena Assolutamente sicuro Basta stare un po’ attenti Assolutamente fantastico Fatica Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (è necessaria una guida) ore di percorrenza Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. dislivello in salita Una passeggiata! meno di 5 ore meno di 800 metri Nulla di preoccupante dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri Impegnativo dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri Un massacro oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). E’ meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! su RADIO TSN FM 101.100/97.700 ogni martedì con Beno & special guests ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45 WWW.RADIOTSN.IT Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati. Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. E’ consigliabile una guida. E’ una valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica e buona esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. LE MONTAGNE DIVERTENTI Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Editore Beno Direttore Responsabile Maurizio Torri Redazione Alessandra Morgillo Enrico Benedetti (Beno) Roberto Moiola Responsabile della fotografia Sommario Speciali d'autunno Itinerari d’alpinismo Itinerari d’escursionismo Rubriche 6 Roberto Moiola Realizzazione grafica Beno Revisore di bozze Mario Pagni Responsabile cartografia Matteo Gianatti Hanno collaborato a questo numero: Antonio Boscacci, Associazione Micologica Martino Anzi di Sondrio, Enrico Minotti, Fabio Locatelli, Fabio Pusterla, Eliana e Nemo Canetta, Franco Benetti, Giacomo Meneghello, Gianni De Stefani, Gioia Zenoni,Giordano Gusmeroli, Giorgio Orsucci, Giorgio Urbani, Giovanni Bolognini, Guido Scaramellini, Jacopo Merizzi, Kim Sommerschield, Luciano Bruseghini, Luisa Angelici, Marcello Di Clemente, Marino Amonini, Mario Sertori, Matteo Gianatti, Nicola Giana, Pascal van Duin, Paolo Rossi, Pietro Pellegrini, Renzo Benedetti, Sergio Scuffi. Si ringraziano inoltre Ezio Gianatti, Mario Maffezzini, Matteo Tarabini, Fabrizia Vido, Johnny Mitraglia, Eva Fattarelli, Enrico Minotti, Roberto Lisignoli, la Tipografia Bonazzi e tutti gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e tutti gli sponsor che credono in noi e in questo progetto. Redazione Via S. Francesco, 33/C – 23020 Montagna (SO) Abbonamenti per l’Italia annuale (4 numeri della rivista): costo € 20 euro da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio Sede di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico Via S. Francesco 33/C 23020 Montagna SO NELLA CAUSALE specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” comunicare il versamento con email a: [email protected] oppure telefonicamente (0342 380151 - basta lasciare i dati in segreteria) Arretrati [email protected] - € 5,00 PDF scaricabili dal sito della rivista Prossimo numero 21 dicembre 2010 Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380151 Stampa Bonazzi Grafica Via Francia, 1 23100 Sondrio Per ricevere la nostra newsletter fate richiesta a: [email protected] Contatti, informazioni e merchandising [email protected] www.lemontagnedivertenti.com Errata corrige n. 13 Estate 2010 Il modello 3D di Ark Sound a pag. 116 è opera di Nicola Poletti, mentre la simulazione grafica a pag 117 è di Barbara Ligari. Parole in vetta 12 30 Valmalenco Biancograt al Bernina 59 Sondrio-Valmalenco L'otto della Scala dei Pizzi Valtellinesi nel mondo: La magia delle Ande 84 Il mondo in miniatura: Locuste sotto la lente Funghi: quelli che non mangeresti mai 18 78 37 Valmasino Spigolo Vinci al Cengalo 64 Valchiavenna Monte Mater 89 Fauna Vita negli specchi d'acqua montani Möla, möla, ch’el vè la farina! 23 L'ultimo mugnaio 24 29 93 Arte e montagna Cipriano Valorsa 98 Poesia in dialetto 45 Orobie Cresta Corti alla Punta di Scais 70 Passo dopo passo La valle del Saiento Il pietrone malenco negli Urali Le grandi creste 99 L'arte della fotografia I tramonti in montagna 104 Le foto dei lettori 52 Alta Valle Cresta Sinigaglia alla Piazzi 74 Porte di Valtellina Vivione-Aprica 1 1 0 Giochi 1 12 Le ricette della nonna Speciali d'autunno Testi e foto Giorgio Orsucci Pensieri, emozioni, annotazioni e qualche racconto. Ecco la piccola grande storia dei libri di vetta. 6 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Sulla cima del Monte Masuccio (7 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello- www.clickalps.com) Le Montagne Divertenti Parole in vetta 7 Speciali d'autunno freddo". Alcuni giorni, i più belli, quelle domeniche autunnali di cielo terso, si attardano nel quaderno assediando varie pagine e accendendo di gioia i commenti e le annotazioni. Altri, forse per condizioni meteorologiche insostenibili, trovano in loro rappresentanza solo pochi e brevi interventi; a volte nemmeno quelli. Si vedono poi calligrafie di ragazzi e giovanissimi accanto a scritte più tremolanti di ammirevoli ottantenni: “è stato un po' faticoso ma alla fine c'è lo fatta” annota nel Ferragosto 2005 Vera di anni 10, che ci auguriamo si sia fatta nel frattempo più giudiziosa nella grammatica; solo poche pagine prima Margherita da Bellano informava che era tornata a cinquant'anni di distanza dalla prima volta! Si vedono naturalmente lodi, preghiere ed afflati religiosi, dai più classici - “Ti lodo, mio Dio, di fronte alle montagne”, recita la preghiera dell'alpinista - ad altri più inconsueti - “L'allenamento per il Kima sia sotto la tua protezione, o Signore”, si limita E ancora. Si vedono i commenti più disparati, alcuni banali, altri più profondi; questo scherzoso e puramente autoreferenziale, quello melanconico e riflessivo. ad annotare Massimo, probabilmente impaziente di continuare la sua sessione di allenamento. M olti seguono ancora - e giustamente - la tradizione di annotare la sintesi dell'itinerario, effettuato e in previsione, informazioni, è bene ricordarlo, per le quali è nato e si è sviluppato l'uso dei quaderni di vetta, utili in caso di intervento del soccorso. Una parentesi meriterebbe la storia di questa tradizione, se solo si sapesse di più di quello che già s'è detto. Già i primi alpinisti solevano forse lasciare annotato in cima alle montagne le vie di salita e di discesa da loro affrontate, forse non su un quaderno, quanto più probabilmente su un semplice foglietto fermato da un sasso, una sorta di testimonianza, di prova, della loro conquista. Da quei foglietti si è passati a più resistenti quaderni, e al posto del sasso si è posizionata qualche cassetta metallica. Per il resto, poco è cambiato. Ancora oggi, molti alpinisti ed escursionisti mantengono l'abitudine di specificare la via di accesso da loro seguita e le tappe che prevedono di effettuare, oltre che informazioni sulle proprie tempistiche - "Barconcelli > Varrone > Pizzo in 3 ore 14 minuti e 4 secondi! Eccezzionale!" esulta Claudio da Bolzano. Oltre a queste informazioni, minimo comun denominatore della maggior parte degli interventi, vi è poi un ampio corollario di commenti che vanno da “Wind segnale pieno!” al resoconto di un fortunato Samuele “Abbiamo visto 18 stambecchi, 3 picchi, uno scoiattolo e 3 marmotte”, a Una pagina di un libro di vetta del pizzo dei Tre Signori, celebre vetta orobica amata parimenti da valtellinesi e bergamaschi. Il libro è "conservato" presso la sede CAI di Piazza Brembana (19 luglio 2010). N on c'è dubbio! Per un'anonima agenda annuale di una banca non può esistere destino migliore: assurgere a libro di vetta è un vero e proprio passaggio di grado. È tuttavia un compito di responsabilità che la trattiene autunno, inverno, primavera ed estate in qualche umida cassetta su una vetta alpina, protesa verso il cielo. Ciò le impone di raccogliere e custodire nelle sue pagine ogni frammento di umanità che voglia riversarvi l'alpinista che sale sin lassù. Un compito, infine, cui segue una meritata pensione, quando questa agenda, satura di ricordi ed esperienze, scende finalmente a valle, dopo un anno o due di lavoro, se la vetta è frequentata, addirittura dopo vari decenni per vette più d'élite, come la Cresta Guzza o la Punta di Scais, su cui dopo 30 anni giace ancora il primo quaderno. Finite 8 Le Montagne Divertenti le pagine il libro andrà a riposare nell'armadio di una sede CAI o di qualche altra associazione alpinistica. Ammetto la mia pigrizia: è proprio in una sede CAI, e non su qualche vetta come sarebbe stato più logico fare, che sono andato a ricercare qualcuno di questi volumi. Ma la suggestione è stata la stessa. Anzi, finanche maggiore. Entrare quasi per caso nella sede della sezione CAI di Piazza Brembana, nelle Orobie bergamasche, e trovarvi, fra gli altri, un pensionato libro di vetta del pizzo dei Tre Signori (anni 2005-2006), gentilmente messomi a disposizione, m'ha fatto sentire - seppur molto alla lontana – come il cardinale Angelo Mai al ritrovamento in Vaticano di un codice col De re publica di Cicerone. A tale sensazione ha contribuito il pessimo stato di conservazione del volumetto, un raccoglitore di Nel silenzio sonnacchioso della prima mattinata, la lettura di quelle pagine si rivela sorprendente, quando non addirittura emozionante. fogli mangiati dall'usura e macchiati dall'umidità, che esortava a maneggiarlo con la massima delicatezza, quasi fosse un antico manoscritto. i vedono i giorni dell'anno rincorrersi uno dopo l'altro, ciascuno con la sua particolare atmosfera: "23 luglio 2005, bella giornata, l'aria è fresca; 24 luglio, la vetta è avvolta da una nebbia impenetrabile; 27 luglio, ancora nebbia, fa molto S Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Parole in vetta 9 Speciali d'autunno più elaborate poesie, a raffinati disegni, a lunghe narrazioni. Insomma, è l'occasione per molti di dare sfogo al proprio desiderio primordiale di raccontare, di scrivere, di disegnare. Si vede, in definitiva, in questo come in qualunque altro libro di vetta, quanto variegata sia la presenza umana che popola le nostre montagne e ne conquista le vette, una moltitudine di individui che vive la montagna diversamente, ciascuno coi suoi tempi, col suo temperamento, con la sua età, con le sue convinzioni. er concludere, un invito. Un invito, a chi non è solito farlo, a cercare l'agenda custodita nella croce o nell'ometto di vetta, ma anche all'interno dei bivacchi o nel salone dei rifugi. Un invito a sfogliare e leggere le parole dei grandi e piccoli alpinisti che ci hanno preceduto su quel monte, per poi apporvi le proprie considerazioni, i propri pensieri, la propria esperienza, oltre che il proprio punto di partenza e di arrivo, per lasciare quella traccia del passaggio che tornerà utile in caso di inconvenienti. P Un racconto di una pagina sul libro del Bivacco Suretta, nell'alta valle Spluga (28 luglio 2007). Il libro di vetta del Monte San Primo (19 luglio 2010). Qualche ricordo dal pizzo dei Tre Signori Ecco qualche pagina del quaderno del pizzo dei Tre Signori. Gli interventi sono scelti senza un particolare criterio perchè sarebbe impossibile stilare una graduatoria di fronte ad un così vario assortimento di commenti. 10 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Parole in vetta 11 Funghi: Speciali d'autunno Associazione Micologica Retica Martino Anzi Sondrio quelli che non mangeresti mai velenosi, troppo brutti, troppo duri o semplicemente non li conosci! Albatrellus ovinus (Schaeff. :Fr.) Kotlaba & Pouzar, commestibile. 12 Le Montagne Divertenti E cco, allora, come da tutti dipende il delicato equilibrio della nostra foresta montana: occorre essere prudentissimi nel fumare una sigaretta, non si devono provocare rumori, né insistere nella raccolta dei funghi, non scalciarli, non tagliare rami o bastoni. Nessuna traccia dovrebbe restare dopo il nostro passaggio: le persone civili non lasciano tracce. L'eccessivo calpestio, la predazione, il chiasso, i rifiuti abbandonati non sono per il bosco che si rinnova e vive. Mario Rigoni Stern, Stagioni, pag. 83, Einaudi 2006 Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Funghi 13 Funghi L a “stagione” dei funghi sarà arrivata? Dopo un giugno e luglio all’insegna della parsimonia e un agosto più generoso, speriamo che settembre e ottobre ci invitino a entrare nel bosco con la consapevolezza che, come abbiamo già avuto modo di mostrare dati alla mano, non è l'intossicazione la principale causa di morte tra i cercatori, bensì l'imprudenza nella raccolta che porta molti fungiàtt, spesso mal equipaggiati, in situazioni pericolose. Raccomandiamo perciò la massima prudenza! n questo numero tratteremo altre 4 specie di funghi che la maggior parte di noi mai raccoglierebbe, sebbene alcuni di loro siano commestibili... I Gomphidius glutinosus (Fries) Fries - commestibile. Albatrellus ovinus (Schaeff. :Fr.) Kotl. & Pouz. Gomphidius glutinosus (Fries) Fries Q uesta specie è la più nota del genere Gomphidius (gruppo molto omogeneo per il numero di caratteri che condividono quali: decorrenza delle lamelle, glutinosità di tutto il fungo, colorazione della carne) e non ha sosia velenosi con i quali potrebbe essere confusa. Cresce solitario o in gruppetti sotto conifere, prevalentemente abete rosso, ma anche sotto Pinus, dalla tarda estate all’autunno inoltrato. Presenta un cappello molto viscido e brillante se umido, grigio brunastro, talvolta con tonalità violacee, e con macule sparse di colore nerastro. E’ ricoperto da glutine, una strato mucillaginoso simile a gelatina. Le lamelle sono piuttosto spaziate e tendono a decorrere sul gambo, pallide e quasi nere con la completa maturazione delle spore. Il gambo è cilindrico, carnoso e centrale, a volte ingrossato alla base, bianco ma con colorazione giallo oro intenso per un tratto anche esteso a partire dalla base. La carne è all’inizio compatta e piuttosto tenera quella del cappello, bianca sfumata della tinta del cappello in prossimità della cuticola e gialla nel gambo in corrispondenza alla porzione con lo stesso colore. L’odore è debole e il sapore acidulo. E’ una specie inconfondibile per il colore del cappello (bruno-grigio-vinaccia) che a prima vista ricorda quello del pinarolo (Suillus luteus), e per il gambo giallo cromo. E’ un buon commestibile, ma come tutti i funghi commestibili glutinosi, per il suo uso in cucina va asportata l'indigesta cuticola con il glutine, separabile completamente dal cappello. 14 Albatrellus ovinus (Schaeff. :Fr.) Kotlaba & Pouzar,ù commestibile. Speciali d'autunno Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Albatrellus ovinus è conosciuto con il nome di “fungo del pane” per il caratteristico aspetto screpolato del cappello che ricorda la crosta del pane. E’ un fungo terricolo che cresce nei pendii più umidi e bui dei boschi di conifere (simbionte abete rosso), dall’estate al primo autunno, redditizio per i cercatori, perché molto abbondante nei siti di crescita. Si presenta con esemplari singoli con cappello e gambo ben distinto, e con colorazioni giallo-verdastro sporco. Ha cappello con superficie finemente vellutata, opaca, spesso grossolanamente screpolata. La superficie imeniale (la parte fertile del fungo che si trova sotto il cappello) è di colore da bianco a crema, apparentemente liscia, ed è costituita in realtà da minutissimi pori con tubuli molto brevi, non separabili dalla carne. Il gambo, generalmente corto, è centrale e eccentrico, di colore bianco brunastro. Fungo di notevole consistenza, ha carne bianca poi giallastra, soda e compatta e con odore e sapore gradevole: i giovani esemplari si prestano alla conservazione sott’olio o sott’aceto, mentre non è adatto ad essere consumato fresco. Da adulto diventa coriaceo e perciò inservibile per i micofagi. Suo simile è Albatrellus confluens, che si differenzia per la tendenza a presentarsi come una massa irregolare di numerosi individui saldati tra loro, che possono anche superare i 30 cm, e con cappelli di colore arancio sabbia screpolati che ricordano la crosta di pane ben cotta. Alla cottura la carne di Albatrellus ovinus assume tonalità verdastre, mentre Albatrellus confluens tende ad arrossare. Per questa caratteristica le due specie si prestano a divertenti composizioni nella conservazione in vasi di vetro. Le Montagne Divertenti Funghi 15 Funghi Speciali d'autunno Ganoderma lucidum (Leyss. :Fr.) P.Karsten, non commestibile. Paxillus involutus (Batsch) Fries, velenoso. Ganoderma lucidum (Leyss. :Fr.) P.Karsten versione 2 Paxillus involutus (Batsch) Fries versione 3 E’ un fungo lignicolo, cresce su ceppaie o legno interrato di latifoglie: sembra prediligere in particolare la quercia; piuttosto comune sul nostro territorio dalla primavera all’autunno inoltrato. Si caratterizza per l’aspetto lucido della superficie del cappello (larghezza fino a 100 mm e 12-30 mm di spessore), di un bel color marrone castagna, con orlo biancastro, e dalla forma vagamente reniforme. Il gambo (fino a 150 mm di lunghezza e 20-30 mm di spessore), inserito lateralmente sul cappello, è anch’esso lucido, noduloso-bitorzoluto, dello stesso colore marrone scuro del cappello. Ha superficie imeniale (parte fertile del fungo che si trova al di sotto del cappello) costituita da pori così minuti da sembrare liscia, di colore bianco ocraceo (tubuli alti 10-20 mm con spessore 0,2-0,3 mm). Come la maggior parte dei funghi lignicoli ha consistenza coriacea, di nessun interesse alimentare, desta però la nostra curiosità per la fama di cui gode nella cultura asiatica. Pare infatti che sia conosciuto e usato nella medicina tradizionale asiatica (Cina, Giappone e Corea) da almeno duemila anni. Noto come REISHI in Giappone e LING-ZHI in Cina, ha meritato l’appellativo di Medicine of Kings o Fungo dell’Immortalità, per le sue proprietà benefiche. Anticamente il suo valore era inestimabile e l’uso riservato a pochi, mentre le moderne pratiche di coltivazione l’hanno reso accessibile e di largo consumo. Le proprietà che vanta spaziano da attività anti-infiammatoria, a anti-ipertensiva, da anti-trombotica e ipo-glicemica, a immuno-stimolante e persino anti-tumorale. Recenti ricerche hanno consentito di isolare i composti organici contenuti in Ganoderma lucidum, ai quali sembrano essere attribuite le sue proprietà benefiche. Merita senz’altro la nostra considerazione per la sua eccezionale fama in oriente. 16 versione 1 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 versione 4 Il genere Paxillus comprende funghi terricoli e lignicoli, con lamelle sempre decorrenti ed il margine involuto. E’ un fungo molto comune e lo si ritrova in qualunque tipo di bosco a gruppi numerosi dall’estate all’autunno. Tutto il fungo, compresa la carne, se si strofina, o si appone un leggera pressione, subisce un viraggio di colore al bruno-rossiccio. Ha un cappello prima convesso, poi appianato e infine imbutiforme con un orlo involuto, con una superficie feltrata se tempo secco, o vischiosa se umido, con colorazione bruno-ocra, bruno-fulva con marcati riflessi olivastri. Le lamelle sono fitte e decorrenti sul gambo, di colore ocra pallido poi brunastre con riflessi olivastri. Il gambo è cilindrico, eccentrico e concolore al cappello. La carne è compatta giallastra con odore debole e sapore amarognolo. La specie più importante è Paxillus involutus, fino a pochi anni fa considerato commestibile, ora responsabile della sindrome paxillica, un tipo di avvelenamento che può portare, con un consumo a più riprese ravvicinate, a esiti mortali. P lizar La nomenclatura I funghi come tutti gli esseri viventi hanno un nome e un cognome che li rende ovunque riconoscibili senza ambiguità. Esistono per questo codici di nomenclatura internazionali che si occupano di dare alle singole specie un nome semplice, univoco e universalmente applicabile. Per i funghi è obbligatorio utilizzare il Codice Internazionale di Nomenclatura Botanica (CINB) che stabilisce: di utilizzare la lingua e la grammatica latina come linguaggio universale, di depositare in un erbario per la comunità scientifica un esemplare tra quelli utilizzati per definire la nuova specie e di indicare la singola specie in forma binomia e con il nome degli autori. Ad esempio: Paxillus involutus (Batsch) Fr. Paxillus = nome di genere con iniziale maiuscola involutus = nome di specie con iniziale minuscola Batsch = (August Johann Georg Karl Batsch botanico e medico tedesco del 1700) nome di colui che per primo ha determinato la specie. Fr. = abbreviazione di Fries (Magnus Elias Fries botanico e micologo svedese del 1800 considerato il padre della micologia) nome di colui che ha modificato l’inquadramento della specie. Le Montagne Divertenti Funghi 17 I mulini Rubriche interesse suscitato dai L’ modelli di Giovanni Morelli ci induce a volgere 1 uno sguardo sui “lavori del passato”, da lui in parte vissuti, poi tradotti e ricreati negli originalissimi ambienti che formano la sua straordinaria collezione. Tra le eccellenze gastronomiche che oggi la valle sfoggia per deliziare i palati e catturare gli ospiti figurano i piatti poveri - polenta e pizzoccheri che hanno radici lontane, profonde nel territorio e nella memoria delle generazioni più stagionate. L embi di fondovalle e dei versanti erano coltivi di “fromento autunnale/marzuolo, segale autunnalemarzuola, grano turco quarantino detto turcassino, fraina, grano di Siberia, orzo, domega, miglio precoce/tardivo, panico” unitamente a “fagioli, rape, pomi di terra, verze, lino e canape” e costituivano i pilastri della dieta quotidiana, come ben descrive Melchiorre Gioia in “Statistica del dipartimento dell’Adda” del 1813. Possiamo avere una fotografia più nitida di queste coltivazioni e dei mulini dalla testimonianza diretta di Ercole Bassi, posteriore di quasi un secolo. e nel 1890 “questa industria è pure in grande diminuzione” oggi possiamo quasi definirla “archeologia rurale” visto che tra abbandono ed incuria poche sopravvivenze hanno retto alla civiltà dei consumi. Appezzamenti grandi come francobolli punteggiano il versante retico di granturco, segale e furmentùn; una nota di merito va attribuita al solatio versante tiranese di Baruffini per un modesto quanto orgoglioso recupero di queste colture. Il mais di fondovalle, per estensione più significativo, è trinciato e insilato: S Möla, möla, ch’el vè la farina! 1 - Giovanni Morelli, classe 1923, è l'uomo che da oltre 17 anni sta realizzando dei modelli miniaturizzati degli ambienti e macchinari un tempo diffusi in Valtellina [vd. M. Amonini, Adèss té spiéghi, in Le Montagne Divertenti n. 12, Sondrio 2010, pp. 17-21]. Marino Amonini La delMontagne mulino Rusina a Vendolo (Castione, 11 aprile 2010, foto Marino Amonini). Divertenti 18ruota Le Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Taglio della segale a Ligone (22 luglio 1985, foto Marino Amonini). Da “La Valtellina” di Ercole Bassi, 1890 I molini per la macinazione dei cereali sono 523 ripartiti in 72 comuni, con una forza idraulica di 457 cavalli e con circa 800 operai. Il prodotto si calcola in quintali 16.746 e cioè quintali 1109 frumento, il resto granturco segale e farina. Meno quelli Ongania a Sondrio, e Bertolazzi a Delebio, sono tutti vecchi molini a macina, molti con lavoro intermittente, che servono per il bisogno locale. I comuni che contano maggior numero di molini sono i seguenti: Teglio 38, Montagna 26, Berbenno 23, Torre 20, Chiesa 20, Castione 19, Sondrio 19, Chiuro 18, Chiavenna 17, Piateda 17, Villa di Tirano 16, Delebio 15, Ardenno 14, Albosaggia 13, Cosio 13, Sondalo 12, Morbegno 11, Caiolo 10, Grosio 10, Grosotto 10, Mello 10, Piantedo 10, Val Masino 10, gli altri comuni 218. Dagli annali di statistica (Statistica industriale della provincia di Sondrio) da cui è tolto questo prospetto, rilevasi che i molini sono in tutto 611 con 885 motori idraulici ed altrettante copie di macine e 101 buratti e un apparecchio cilindrico per la rimacinazione a Delebio. Di questi molini erano nel 1886 in attività 506 con 733 motori idraulici della forza di 458 cavalli con 511 operai, fra i quali 156 donne e 18 ragazzi sotto i quattordici anni, che lavoravano in media 224 giorni all’anno. La rimacinazione si eseguisce in 14 molini, dei quali 6 a Morbegno, 3 a Sondrio e 3 a Tirano. La produzione di frumento fu nel 1882 di quintali 12.052, degli altri grani inferiori nel 1878 di quintali 157.706 per un totale di quintali 169.758. Adunque questa industria è pure in grande diminuzione, non potendo reggere alla concorrenza dei molini meccanici. Möla, möla, ch’el vè la farina! 19 I mulini Rubriche è prerogativa alimentare dei bovini quando non viene spudoratamente proposto come combustibile per stufe d’avanguardia! Quanto ai mulini, si è assommata al declino delle colture una negligente trascuratezza culturale che ha minato la loro conservazione nel tempo. Nell’ultimo decennio, un sussulto di buon senso ha determinato il recupero di qualche manufatto, vuoi con interventi e risorse erogate dalle Istituzioni o, in alcuni casi, con i sacrifici di volonterosi privati. Se il mercato e la schizofrenia normativa sanitaria ne impediscono l’impiego molitorio, ai mulini rimane il compito di essere silenziosi testimoni di un passato tanto attivo quanto essenziale: questi beni etnografici, in altre regioni già ben valorizzati, assumono così un ruolo didattico, come negli ambienti ricostruiti da Giovanni Morelli, per trasmettere alle nuove generazioni il senso delle proprie radici. Attualmente in media valle sono stati riordinati mulini a: Berbenno valle di Mulini, Cedrasco Mulino Carmelino Oberti, Castione Mulin de la Rusina, Montagna in Valtellina Mulino a Cà Mazza, Poggiridenti Mulino in valle della Rogna, Castello dell’Acqua Mulino a Cà d’Albert Mulin del Celest, e Teglio Mulino Menaglio a San Rocco; alcuni raggiungibili comodamente, altri con una salutare camminata. Se per un verso è lodevole aver restituito dignità a questi preziosi opifici non si può dire che sia stato altrettanta positiva la promozione del territorio con adeguato e sostenuto slancio ad orientare flussi di scolaresche, visitatori locali e turisti su quei circuiti slow food in cui arte, natura, storia e paesaggio siano intimamente saldati. Diventa talvolta impresa individuare dove e chi ne detiene le chiavi, come e con chi si possano visitare. Insomma si percepisce un déjà vu tutto italico: si progetta, si spende, si inaugura sotto i riflettori poi si spegne la luce. Aldilà delle valutazioni individuali è Ruttico gomme incontestabile che una maggior attenzione collettiva a questi manufatti che costituiscono un valore aggiunto all’offerta turistica ed alla delicata risorsa ambientale non può che far bene. Proprio nel momento in cui ci si gongola per essere tornati padroni delle nostre acque sarebbe il caso di fare un ulteriore passo avanti e pensare di riappropriarci del biologico dei nostri padri, dissipato senza ritegno, nonostante oggi risulti molto chic. Sporcandoci le mani di farina macinata a km zero, potremmo riscoprire armonie e sapori dimenticati ma di sicuro incancellabili. DAL 1967 ti aiuta a guidare sicuro • PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA; • TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI; • MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA; • RIPARAZIONE GOMME E CERCHI; • BILANCIATURA E CONVERGENZA; • ASSISTENZA SUL POSTO; • OFFICINA MOBILE; • CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO. Il mulino tradizionale Era costruito in prossimità di una fonte d’acqua che costituiva la forza motrice dell’apparato meccanico. Il primo contenitore del grano era la tramoggia a forma di tronco di piramide rovesciato, con base quadrata; il fondo era staccato di un minimo spessore dalla tramoggia e si muoveva per poter determinare il quantitativo di grano che doveva passare per essere macinato. La registrazione dello spessore veniva fatta dal mugnaio con un regolatore a verricello in base al quantitativo che il mulino riusciva a macinare. Il fondo rimaneva in continuo movimento tramite una punta inserita in un perno che muoveva un triangolo “capel de prét” il quale a sua volta muoveva il fondo. Il grano usciva e andava in mezzo alla macina rotante “bucaia”. C’erano due macine, una fissa e una rotante. La distanza fra loro era di uno o due millimetri nella parte centrale per facilitare l’entrata del grano, invece andando verso l’esterno la distanza diminuiva ulteriormente fino a mezzo millimetro; i chicchi per forza centrifuga andavano verso l’esterno ed erano obbligati a rompersi sempre di più. Alla fine di questa operazione il grano così triturato, per mezzo di una canalina di legno, andava a finire in un prisma ottagonale chiamato “bùrata” che ad una estremità era rivestita di seta a trama fine da cui usciva la farina migliore, più fine; vi era quindi un rivestimento di seta a trama leggermente più rada che faceva passare la farina più grossa. Infine usciva la crusca. La farina più fine era quella ottenuta dalla segale e dal frumento (semola) e pertanto la “bùrata” del mulino adibito alla loro lavorazione era rive- MONTAGNA IN VALTELLINA (SO) FINE TANGENZIALE DIREZIONE BORMIO TEL.0342/215328 FAX 0342/518609 E-mail: [email protected] WWW.RUTTICOGOMME.191.IT Il mulino Rusina a Vendolo (Castione, 11 aprile 2010, foto Marino Amonini). 20 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Montagne Divertenti stita di seta. Se un mulino doveva macinare anche granoturco, dopo la seta veniva posta la canapa. La farina finiva poi nel cassone; prima vi si depositava quella di prima qualità, poi l’altra che si chiamava “sentrel” (Villa) o “fìuret” (Chiuro) e veniva usata per la panificazione, in quanto era stesa sulle assi di legno prima di porvi il pane per la lievitazione, e inoltre si utilizzava per il pasto delle bestie. Nel caso della segale e del frumento, la crusca e il “sentrel” venivano macinati una seconda volta per ricavarne altra farina. Al primo passaggio si otteneva il 40-45% di farina; il massimo possibile per la segale era il 65%, per il frumento il 70-72%. Se il cliente voleva tanta farina la si ripassava anche due volte ottenendo una farina un po’ più scura, però fine. All’interno della “bùrata” c’erano due martelli che battevano alternativamente sulla tela in modo che non vi rimanesse attaccata della farina. Il suono provocato dal movimento era to-to to-to. Da qui il detto “Tó fó el to” che alludeva alla diceria che i mugnai fossero ladri e cercassero di trattenere della farina. Quando il contadino non aveva la possibilità di pagare il lavoro del mugnaio, questi tratteneva da 5 a 7 kg di farina per ogni quintale di frumento “la multura”; il quantitativo prelevato dipendeva anche dalla Möla, möla, ch’el vè la farina! 21 Rubriche naturale di cava. Normalmente i mugnai avevano 2 o 3 mulini adibiti alla macinatura dei diversi cereali di produzione locale che erano frumento, segale, saraceno, granoturco, miglio e orzo; quest’ultimo si poteva macinare per ricavarne farina per minestra. La farina per la polenta veniva macinata più grossa, mentre quella per i pizzoccheri doveva essere più fine. Il mulino “a schiaffo” difficoltà della lavorazione, come nel caso della segale che avendo un chicco molto duro da sfarinare richiedeva un maggior lavoro. La segale coltivata nel piano era più tenera, quella di montagna era durissima ma di qualità migliore. La macina faceva 120 giri al minuto mentre la “bùrata” circa 30. Il mulino non doveva mai funzionare a vuoto perché si sarebbero potute staccare delle piccole schegge di sasso. In genere la macina doveva essere martellata ogni due mesi, ma la frequenza dipendeva dalla quantità di cereale macinato. Sulla macina veniva fatta la rabbigliatura cioè una serie di scanalature ravvicinate. Questi incavi portavano verso il centro il grano oltre a favorire l’immissione di aria, evitando il surriscaldamento della pietra. La macina fissa, chiamata “francésa”, era un agglomerato molto resistente e serviva per macinare segale e frumento; per la lavorazione di granoturco e grano saraceno “furmentùn” si utilizzavano macine in pietra locale. La “francésa”, diffusasi alla fine dell’ Ottocento, non era un sasso monolitico, ma era formata da spicchi legati col cemento. Un altro tipo di macina in uso era “la brianzòla” che a vista sembrava un impasto di graniglia, ma era sasso La differenza sostanziale fra questo mulino e quello tradizionale stava nella ruota ad acqua che lo azionava, che era una turbina a cucchiaio. Posta orizzontalmente sotto le macine in posizione parallela evitava l’impiego delle ruote dentate di trasmissione. Il mulino “a schiaffo” si trovava più facilmente in montagna dove c’era meno disponibilità d’acqua in quanto esso funzionava non con il peso ma con la pressione dell’acqua; per questo richiedeva che la condotta terminale fosse il più possibile verticale in modo che si creasse una pressione di caduta dell’acqua che raggiungendo attraverso la canaletta i cucchiai della turbina li “schiaffeggiasse” con forza facendoli girare. La parte superiore del mulino (carico e macine) era uguale a quella del mulino tradizionale, con la tramoggia, il sollevatore, il regolatore e la “bucaia”. Nel cassone al posto della “bùrata” c’era una specie di setaccio rettangolare con un rivestimento di seta o canapa che veniva sostituito in base al tipo di grano che si doveva macinare e veniva mosso da un sistema di leve che poggiando su una camme calettata sull’albero di trasmissione la faceva vibrare lateralmente provocando la caduta della farina nel cassone e della crusca nella “marna”; oltre alla crusca si otteneva quindi una sola qualità di farina. A Castello dell’Acqua esiste un mulino “a schiaffo” ormai in disuso1. 1 - Schede di Giovanni Morelli riprese da "Ambienti, vita e lavoro nel passato”, Edizioni Biblioteca “L. Faccinelli”, Chiuro 1983. 22 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 L'ultimo mugnaio I l giorno di Ferragosto del 1987, per vincere l’afa ed il puzzo di palta che regnava ovunque dopo le calamità di quella tragica estate, salii a San Rocco di Teglio per godere un momento della tradizionale festa e smaltire i pizzoccheri scarpinando tra le contrade disseminate tra i castagni. Capitai tra un pugno di rustiche case. Prima lo scorrere di un fiotto d’acqua, poi l’inconfondibile ruota incendiarono la mia curiosità: ero giunto a un vecchio mulino. Trovai una coppia di regiùr seduti su un sedile di pietra a godersi uno scampolo di fresco e chiesi avidamente notizie sul mulino. Con genuina calma l’uomo mi disse: “L'è mè”, accompagnato dal sorriso ironico e divertito della moglie. Con eguale calma entrò in casa a prendere le chiavi, l’aprì, e mi introdusse nell’infarinato locale occupato dal complesso di ruotismi, tramogge, cassoni, utensili ed un ovattato ricamo di ragnatele. Armeggiò liberando la possente ruota dentata in ghisa ed il mulino si animò. Con gesti misurati versò qualche palettata di grani di furmentùn, le macine li masticarono con sordo rumore, e dopo pochi minuti il mugnaio, aprendo l’antone del cassone, mi mostrò un sottile strato di farina. Mi spiegò con collaudata sapienza il suo lavoro, palpò quasi con delicatezza la farina, la raccolse con un consumato scopaccio di saggina in un mestolo e me la consegnò in un sacchetto di tela. Per quanto fossi concentrato nella ripresa dei suoi gesti, provai un fremito nel ricevere quel dono, semplice quanto antico. E pensare che la letteratura racconta quasi sempre di mugnai balòss, scaltri a scambiare granaglie, imbrogliare sulla qualità e sul peso del macinato. In Antonio Menaglio, così lo conobbi, colsi un malcelato orgoglio per il suo sapere, ma anche un velo Le Montagne Divertenti Il mugnaio Antonio Menaglio (15 agosto 1987, foto Marino Amonini). di malinconia per le ragnatele che, inequivocabilmente, segnavano l’agonia dell’attività del mulino di San Rocco. Già sul finire degli anni ’60, con una drastica riduzione dell’attività, stava per chiudersi un capitolo di storia di almeno tre generazioni di mugnai: Antonio figlio aveva ereditato il mulino dall’omonimo padre, condotto ancor prima dal nonno Andrea, mentre sfuma la memoria dei discendenti sulla genesi dell’opificio. Da quando Antonio mancò, nel 1993, il mulino restò chiuso ed abbandonato. Nel 2006 il Comune ha avviato un progetto di recupero, cui sono seguiti graduali interventi. Ad oggi non si conoscono i tempi di ultimazione né i propositi di gestione anche se si sussurra vi sia l’intenzione di fare del minuscolo borgo dei Mulini di San Rocco e del suo storico forno per il pane un sito museale. Möla, möla, ch’el vè la farina! 23 La Valtellina nel mondo Speciali d'autunno Il pietrone malenco negli Urali Finalmente ce l’ha fatta! Ci riferiamo al “pietrone” di serpentino che oggi troneggia -in rappresentanza dell’Italia- presso il confine Europa-Asia sugli Urali. In provincia di Sondrio sicuramente molti avranno sentito di questo progetto: ne hanno parlato stampa e televisione locali. Ma vale la pena certo di raccontare in dettaglio come mai una scheggia (meglio dire uno scheggione ...) delle nostre montagne sia finito a migliaia di chilometri dalle Retiche. Testi e foto Eliana e Nemo Canetta E ra l’estate del 2008 e un grande battello zeppo di russi, con due isolati turisti italiani, scendeva le placide acque del Volga. Quei due italiani eravamo noi, ben decisi a navigare il padre dei fiumi europei da Perm ad Astrahan non assieme a una torma di turisti euro-occidentali ma con un battello e croceristi russi doc. Non solo quindi una esperienza turistica ma pure sociale ed umana. Dato che le nostre conoscenze della lingua di Tolstoi sono piuttosto scarse, un’amica di Perm ottima conoscitrice del francese ci scortava per aiutarci a meglio comprendere e a meglio socializzare. Ecco quindi che sul “ponte alto” di quella nave oltre al russo risuonava pure la lingua di Victor Hugo. Un bel giorno una giovane russa assai carina si avvicinò e chiese, in perfetto idioma gallico, chi eravamo e cosa facessimo laggiù. Era una professoressa di francese del Politecnico di Ekaterinburg, la grande città di 2 milioni e mezzo di abitanti posta sugli Urali proprio al confine tra Europa ed Asia. erto affascinata dalla nostra lingua sciolta e dai racconti delle nostre valli e montagne, ci chiese se saremmo stati disposti, nell’inverno seguente, a recarci nella sua città a tenere un paio di conferenze (in francese) sulla Valtellina e le sue caratteristiche turistiche, culturali ed economiche. Poteva sembrare una proposta irrealizzabile, ma i Canetta un po’ folli lo sono e decisero che la cosa si poteva fare. C E Il rappresentante del Sindaco di Ekaterimburg e il direttore del Museo Geologico dell'Università "battezzano" con spumante russo la pietra malenca. così, eccoci ad Ekaterinburg in giacca e cravatta a parlare di Bernina ma pure di dighe, di turismo invernale e di vini tellini. Un successo: anche nelle altre università della città si parlava dei due italiani che erano giunti a raccontare storie e vicende di 24 Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Autunno 2010 La cerimonia del Pane e Sale. In primo piano il Rettore dell'Università di Geologia e il Mufti di Ekaterinburg (15 luglio 2010). quelle Alpi lontane che per moltissimi russi sono un mito. Ed ecco che Svetlana, la nostra nuova amica professoressa di francese, ci guidò presso scuole ed istituti di cultura. Tra i tanti l’Università di Geologia San Nicola II. Strane cose succedono ad Ekaterinburg, la città dove lo zar con la sua famiglia fu brutalmente assassinato per ordine di Lenin. Viene dedicata allo zar l’università (che aveva fondato nel 1914), mentre nella piazza accanto troneggia ancora la statua di chi comandò l’eccidio dei Romanov ... ma questa è un’altra storia. icordiamo che gli Urali - e la provincia di Ekaterinburg non fa certo eccezione - sono un vero paradiso per gli appassionati di rocce, minerali e geologia. La lunga R Il pietrone malenco negli Urali 25 Speciali d'autunno ed antica catena montuosa rigurgita di miniere e giacimenti di pietre ornamentali e preziose. Ovvio quindi che l’Università di Geologia sia un punto cardine, non solo a livello locale, ma pure rispetto all’intera Russia. opo aver incontrato i vertici degli istituti fummo condotti a visitare lo splendido museo dove il baffuto e simpatico direttore ci illustrò un suo progetto: realizzare con rocce provenienti dai vari paesi d’Europa ed Asia un sentiero geologico, proprio nei pressi del monumento che pochi chilometri fuori città indica il punto esatto in cui i continenti europeo ed asiatico si incontrano. ncora una volta i Canetta furono travolti dall’entusiasmo. Un po’ più difficile fu convincere il direttore che le rocce delle Retiche rappresentavano a puntino l’Italia. Naturalmente il buon geologo conosceva serpentini e graniti, ma per lui lo stereotipo delle rocce italiane erano i marmi di Carrara e dintorni. Ma poteva il direttore del Museo di Tirano abitante in Valmalenco perdere una simile occasione? Quando partimmo dalla città uraliana era già mezzo convinto. Il colpo finale glielo portammo con una forbita relazione di più pagine, con tanto di cartine geologiche in cui dimostravamo (a ragione) come le serpentine fossero tipiche rocce alpine, di eccezionale significato geologico e per di più, presenti pure negli Urali, come potessero costituire il naturale segno della nuova amicizia italo russa. D A Libri potrebbe credere. Al battesimo erano presenti oltre a Pietro Cabello e Laura Lenatti, pure il vicesindaco di Chiesa dal cui territorio giungeva il blocco di serpentino e l’assessore alla cultura Bruno Ciapponi Landi, del Comune di Tirano, che sin dall’inizio, assieme al museo cittadino, aveva appoggiato senza riserve la nostra idea. La spedizione era pure patrocinata dal Prefetto Chiara Marolla nonché dalla Comunità Montana Valtellina di Sondrio e dall’Unione dei Comuni della Valmalenco. I l viaggio del ciclopico blocco di circa 4 tonnellate e mezza, si svolse in meno di 10 giorni. Quanto allo sdoganamento ... beh diciamo che la burocrazia è uguale in tutti i paesi del mondo: quindici giorni di viaggio da Chiesa ad Ekaterinburg e 10 mesi per le procedure di dogana. Ma finalmente nella primavera del 2010 il pietrone fu definitivamente consegnato al baffuto Direttore che poté iniziare, con l’aiuto dei suoi studenti, a posare la pietra: prima rappresentante in assoluto dei paesi che parteciperanno a questo interessante e bel progetto. E così il 15 luglio eravamo in parecchi al monumento Europa Asia. Giustamente i Cabello a rappresentare i cavatori e noi con in mano le lettere di saluto e di amicizia del Presidente della Provincia, del Presidente della Comunità Montana Valtellina di Sondrio e del Sindaco di Tirano. Ma con noi erano anche tutti gli altri tellini che in un modo o nell’altro avevano appoggiato l’impresa. Il presidente Medvedev era a Ekaterinburg ma, troppo impegnato dai colloqui con la cancelliera Merkel, non aveva potuto essere presente. In compenso vi erano molti altri che citiamo un po’ alla rinfusa: i vertici delle Università, i rappresentanti dell’amministrazione cittadina nonché quelli dell’ufficio di tutela dei beni culturali della regione uraliana, il Muftì della città e molti rappresentanti di stampa e TV, provenienti pure da altre lontane repubbliche come quella del Tatarstan. Il servizio d’onore era assicurato dagli studenti, qualcuno in costume tipico altri nelle sgargianti uniformi blu e oro tipiche di molte università geologiche della Federazione. E domani? La nostra pietra resterà laggiù nel bosco di pini e betulle sola e dimenticata? Non è così, altre pietre giungeranno ma soprattutto il politecnico di Ekaterinburg ha chiesto alla Valtellina ed al Museo di Tirano di collaborare con loro ad un progetto europeo per la preparazione degli studenti della facoltà di turismo. Tirano ha già risposto positivamente: ritorneremo sugli Urali ad illustrare come nelle valli dell’Adda e della Mera si sia organizzato il turismo in questi ultimi decenni, dalle Alte Vie alla gastronomia, dalla cultura allo sci. Il ponte tra Alpi e Urali è gettato. C onvinto il Direttore bisognava trovare un cavatore disposto non solo a donare il pietrone, ma pure spedirlo a sue spese sino a Ekaterinburg. Fummo fortunati. Trovando nel Consorzio Estrattori Pietre Ornamentali della Provincia di Sondrio, ed in particolare nel suo presidente Pietro Cabello un disponibile e ottimo interlocutore che subito comprese quale importanza avesse per l’industria estrattiva locale una simile azione. A questo punto non si doveva far altro che scegliere la roccia, ridurla nelle giuste dimensioni e poi spedirla. Il tutto fu realizzato con meno problemi di quanto si 26 Le Montagne Divertenti Il Rettore dell'Università di Geologia di Ekaterinburg al taglio del nastro (15 luglio 2010). Autunno 2010 Fiori di ciliegio Bambini anni ’50, ciak si gira! Marino Amonini Quando le lancette dell’anagrafe scandiscono una certa età si è colti dall’irresistibile onda di ricordi che hanno segnato il cammino percorso; si affacciano volti, si delineano i momenti di paura e di gioia, emergono le esperienze. L’alpinista e scrittore di montagna Oreste Forno ci consegna il primo libro di una trilogia, un gustoso cesto di racconti della sua infanzia, che sono uno spaccato del vissuto di ogni overcinquanta cresciuto nei paesi di montagna della Valtellina. Centoquarantacinque coriandoli, questi brevi racconti, colorati di innocenza, genuinità e humour montanaro davvero godibile. "Non c'era bianco più candido dei fiori dei ciliegi. Nemmeno quello della neve. Li guardavamo e dentro di noi era tutto un ribollir di gioia. L'inverno era già dimenticato e la primavera era tutta intorno con i suoi colori, i profumi, il cinguettio vivace degli uccelli e la promessa di giornate lunghe e calde, di giochi e scorribande fino a tarda sera. Era la nostra vita che tornava, che riprendeva forte dopo la sonnolenza della stagione fredda e, con entusiasmo, andava avanti. Ciliegi erano un po'ovunque. Bianchissimi nei boschi che incominciavano a tingersi di verde, nei prati con l'erba appena nata, nelle vigne, tra le case. Le api ronzavano da un fiore all'altro e presto quei fiori si sarebbero trasformati in frutti, prima ciliegine verdi, poi più grosse e tonde, poi ancora un po' più grosse e chiare fino a che non avrebbero cominciato a farsi rosse per noi che eravamo lì ad aspettarle! Sarebbero state una grande festa quelle ciliegie, sarebbe stata una grande estate! Così dicevano quei fiori..." Così si apre il libro, così l’autore ne spiega il senso che dà origine al titolo, Le Montagne Divertenti Oreste Forno, Fiori di ciliegio. Bambini anni ’50, ciak si gira!, Ed. Bellavite Missaglia, 176 pagg., € 15. così dovrebbero dire ancora quei fiori che evocano l’irripetibile stagione dell’infanzia. Oreste, di cui son ben noti l’amore per la montagna e la sensibilità letteraria, in Fiori di ciliegio ripercorre i suoi anni verdi presentando una galleria di ritratti ed episodi che, come in un colorato caleidoscopio, ruotano negli anni ’50. O, come recita il sottotitolo del libro, parte il film, la bobina dei ricordi si srotola e la lettura si fa sempre più piacevole di pagina in pagina. Recensioni 27 Speciali d'autunno Grandi creste Beno L' Enciclopedia dell'alpinismo1 definisce "cresta" la "linea di congiunzione di due versanti rocciosi o nevosi di una montagna; può essere larga o stretta, rocciosa o innevata. Una cresta può essere orizzontale, inclinata o molto ripida e interrotta da gendarmi, forcelle o selle". L e grandi creste sono le regine: scale per il cielo che superano notevoli dislivelli e nel loro sviluppo presentano spesso tutte le morfologie descritte. I n Valtellina questi possenti individui tettonici sono assai diffusi e han fatto la gioia dell'alpinismo d'inizio '900. Per quei pionieri doveva essere un po' come riuscire a cavalcare col surf un'onda nell'oceano in tempesta: non c'erano infatti le attrezzature moderne, i metodi di assicurazione rapidi, nè tantomeno una esauriente conoscenza del territorio da poter garantire loro, una volta lanciati nell'avventura, di tornare a casa vivi. Nelle vecchie relazioni suggerimenti del tipo "si supera con un po' di piramide umana" o "si oltrepassa il trapiombo con una ampia spaccata" rendono tutta la dimensione avventurosa di quei lunghissimi viaggi verso la vetta. olendo invitarvi a percorrere alcune di queste grandi creste, abbiamo selezionato le quattro per noi più rappresentative di Valtellina , anche se talvolta poco frequentate. V 1 - W. Unsworth, Enciclopedia dell'alpinismo, Zanichelli, Bologna 1994 28 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Montagne Divertenti La frastagliata e difficile cresta SO del pizzo Roseg e il rifugio Carate, ravvicinati per effetto del teleobiettivo che li ha ripresi dai pressi dell'alpe Musella (12 settembre 2009, foto Beno). Spesso, infatti, la lunghezza dell'avvicinamento o della via, oppure le rocce non sempre sicure e gli ambienti troppo selvaggi dissuadono gli scalatori da tracciati difficilmente gestibili per chi è abituato a muoversi solo in falesia o su percorsi battuti. a scelta è stata ardua; prova ne sono le grandi escluse che ci ripromettiamo di trattare quanto prima: lo spigolo N del Badile, la cresta SO del Tremogge, la Bumiller al Piz Palù, l'impressionante cresta SO del Roseg, la Hintergrat all'Ortles o la Suldengrat al Gran Zebrù solo per citarne alcune. oi, se vogliamo essere sinceri, sono arrivate in redazione bustarelle, escort e raccomandazioni tali da veicolare le nostre decisioni e le nostre indecisioni verso un verdetto che molti non condivideranno, ma di cui altri andranno orgogliosissimi potendo dire d'averle fatte tutte! e vincitrici pertanto sono: - la Biancograt al Bernina L P L (AD+), una via d'alta quota frequentatissima, tutta in territorio svizzero, che mischia ghiaccio e roccia con passi fino al III+ grado; - lo spigolo Vinci al Cengalo (TD), la più bella lama di granito delle alpi centrali con difficoltà fino al VI grado; - la cresta Corti alla Punta di Scais (D, fino al IV+), via mozzafiato sugli immani strapiombi della cresta occidentale della seconda vetta delle Orobie; - la cresta Sinigaglia alla cima Piazzi (D, fino al IV), altra pietra miliare dell'alpinismo valtellinese che richiede intuito e profonda conoscenza della montagna. Insomma, ce n'è per tutti i gusti, ma senza dimenticare che si tratta di salite alpinistiche impegnative, veri e propri viaggi che richiedono allenamento e velocità per essere conclusi in giornata e per portare a casa la pelle al sopraggiungere del cattivo tempo. Grandi creste 29 Alpinismo Biancograt al Bernina Luciano Bruseghini 30 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Dal pizzo Bianco (m 3995) al pizzo Bernina (m 4050) attraverso la tormentata Breccia del Bernina (16 luglio 2008, foto Beno). Biancograt al Bernina (m 4050) 31 Valmalenco Alpinismo L La Tschierva, la "scala del cielo", il secondo gendarme della breccia del Bernina e l'ultimo tratto verso la vetta (23 luglio 2006, foto L. Bruseghini). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Pontresina (m 1800). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la SS 38 fino a Tirano. Alla rotonda nei pressi del santuario si svolta a sx in direzione del confine di stato. In territorio elvetico si prosegue lungo la strada numero 29 per il passo del Bernina. Superati i 2323 metri del valico si scende fino a Pontresina (76 km da Sondrio). Itinerario sintetico: Pontresina (m 1800) capanna Tschierva (m 2583) - forcola Prievlusa (m 3430) - Biancograt - pizzo Bernina (m 4050) capanna Marco e Rosa (m 3609). Possibilità di discesa: 1- capanna Marco e Rosa (m 3609) - ghiacciaio Scerscen Superiore - rifugio Marinelli (m 2813) - rifugio Carate Brianza (m 2636) Campo Moro (m 1950); 2A- capanna Marco e Rosa passo Belleviste (m 3688) - passo dei Sassi Rossi (m 3510) - passo Marinelli Orientale (m 3120) - rifugio Bignami (m 2400) - Campo Gera (m 2100); 2B- capanna Marco e Rosa - passo Belleviste (m 3688) - Fortezza stazione Morteratsch (m 1900). Tempo previsto: 8 ore dalla capanna Tschierva alla Marco e Rosa (si consiglia di effetturare la traversata in 3 giorni con pernottamenti alla Tschierva e alla Marco e Rosa). Attrezzatura richiesta: corda (50 m), piccozza, imbracatura, ramponi, 3-4 chiodi da ghiaccio, fettucce, cordini, alcuni rinvii, casco. Difficoltà/dislivello: 5- su 6 / 2200 m. Dettagli: Alpinistica AD+. Salita in ambiente con passi di III+ e pendii glaciali impegnativi. Mappe: Kompass foglio 93 - Bernina-Sondrio 1:50000. a Biancograt è la cresta bianca che caratterizza il lato settentrionale del pizzo Bernina ed è definita, per la sua particolare conformazione, “Scala del Cielo”1. E' una lama di ghiaccio così appariscente che lascia a bocca aperta sia chi la vede per la prima volta, sia chi ha la possibilità di ammirarla spesso. Guardandola dalla strada che da St. Moritz porta al passo del Bernina, o meglio ancora dalla terrazza panoramica del Diavolezza, appare come un candido mantello protettivo sopra il serpentino scuro che costituisce la base del 4000 più orientale delle Alpi. Sogno di molti alpinisti provenienti da tutto il mondo, ogni estate è meta di un pellegrinaggio continuo, con anche alcuni pazzi che la ridiscendono con gli sci o lo snowboard! a salita al Bernina dalla Fourcla Prievlusa non presenta in nessun tratto difficoltà sostenute, ma le condizioni di rocce e ghiaccio rendono talvolta l'ascesa pericolosa, specialmente vista la grande esposizione della via. C'è ampia possibilità di assicurazione su spuntoni rocciosi, con chiodi da ghiaccio e anche affidandosi agli spit presenti lungo la via. a prima salita fu nel lontano 12 agosto 1878 ad opera dell'alpinista tedesco Paul Gussfeldt (futuro primo salitore anche alla cresta di Peutèrey al Monte Bianco), accompagnato dalle fortissime guide di Pontresina Hans Grass e Johann Gross; essi, sbucando dalla forcola Prievlusa, raccontano della linea quasi perfetta di questa lama di ghiaccio e neve. L L La scala del cielo (m 3700 ca, 23 luglio 2006, foto Luciano Bruseghini). S i parte dai m 1800 di Pontresina, ameno villaggio svizzero posto all'incontro tra val Bernina e val Roseg, a poca distanza dal più modaiolo St. Moritz. La prima tappa di avvicinamento prevede una lunga camminata di circa 7 km in direzione SO, lungo la carrareccia che percorre la pianeggiante val Roseg fino all'hotel Roseg (m 2000, ore 1:30)2, 1 - Himmelsgrat 2 - In questo tratto è possibile anche usufruire del comodo servizio di carrozze trainate da cavalli, ciò permette di risparmiare un po' di energie in vista della scalata del giorno successivo. 32 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Biancograt al Bernina (m 4050) 33 Valmalenco Alpinismo posizionato in una grande piana coronata a S dall'imponente gruppo di cime delimitate dal Glüschaint a dx e dal pizzo Sella a sx. Terminata la strada sterrata, si imbocca un comodo sentiero che pian piano piega verso S innalzandosi dal bosco di radi larici fino a raggiungere l'enorme morena che delimita la vedretta di Tschierva, un tempo larga centinaia di metri, oggi ridotta a un lumicino nella parte bassa. In lontananza, sulla sx, appare la capanna Tschierva, sovrastata dai tre imperatori: Bernina, Scerscen e Roseg. Sebbene siano tutte grandi cime, la maggior parte degli alpinisti che transita da queste parti è solo per scalare la Biancograt3. La capanna Tschierva (m 2583, ore 2) è di proprietà del Club Alpino Svizzero e dispone di oltre cento posti letto. Il rifugio appare già strano in lontananza, ma quando ci si arriva sembra proprio un'opera d'arte moderna; infatti a fianco della classica struttura di montagna con il tetto spiovente, è stato costruito un enorme cubo di cemento, legno e vetro contenente una grande sala da pranzo in grado di accogliere i numerosi ospiti. Dalla terrazza esterna si può ammirare il profilo O della magnifica Biancograt che nelle ore del tramonto si colora prima di rosso e poi di arancione, per poi brillare d'argento al chiarore della luna e delle stelle. a sveglia al mattino suona molto presto, verso le tre, perchè ci aspetta una giornata assai lunga e faticosa. Aiutati dalla luce delle pile frontali, una moltitudine di alpinisti si incammina, in direzione SE, lungo la morena che delimita il versante idrografico dx della vedretta di Tschierva, costeggiando la parete O del piz Morteratsch. Diversi ometti di pietra e le evidenti tracce di passaggio rendono più agevole individuare il percorso tra i massi e gli sfasciumi lasciati liberi dalla ritirata del ghiaccio. Calzati i ramponi e attraversata una breve conca nevosa, raggiungiamo la base rocciosa che delimita la forcola Prievlusa, che vinciamo facilmente con una breve arrampicata, aiutati anche dai gradini di ferro posizionati per superare il tratto più D Il tratto che dalla Tschierva sale verso la forcola Prievlusa (16 luglio 2008, foto Beno). 34 Le Montagne Divertenti La cresta N del pizzo Bianco del Piz Morteratsch (25 luglio 2006, foto L. Bruseghini). A complicare il tutto ci sono anche i circa 500 metri di vuoto che strapiombano da ambo i lati. L 3 - In percentuale si può dire che il 95 % degli ospiti del rifugio sale al Bernina, il 4 % va al Roseg dalla Eselgrat (cresta dell'asino!) e meno dell'1% osa affrontare il bellissimo naso di ghiaccio per conquistare il monte Scerscen. roccette e neve piegando leggermente a sx (sosta). Imbocchiamo quindi il primo canalino (leggermente a dx) e lo risaliamo fino a rimontare la cresta spartiacque. 'ora in avanti seguiremo il filo di cresta. Raggiunto il tratto pianeggiante che precede un'ardita torre rocciosa, la aggiriamo per il suo versante orientale (neve o sfasciumi), per riguadagnare lo spartiacque dove ha inizio il tratto più caratteristico della Biancograt: l'aerea cresta nevosa. Eccola! Ora appare in tutta la sua grandezza stagliarsi verso il cielo, un disegno divino. L'inizio è subito ripido e mette a dura prova i ramponi e la piccozza. Poi la pendenza cala leggermente dando l'illusione di aver superato il tratto critico, invece di nuovo compare una ripida impennata che solitamente si doma utilizzando anche dei chiodi da ghiaccio. La cresta è molto varia: a tratti abbastanza larga e a tratti affilata come una lama e costringe gli alpinisti a dei giochi di equilibrismo! Dalla forcola Prievlusa alla Punta Prievlusa (16 luglio 2008, foto Beno). ripido.4 Guadagnata la forcola Prievlusa (m 3430, ore 2), appare uno spettacolo meraviglioso: i pizzi Palù e le Belleviste che dominano la sottostante vedretta del Morteratsch, baciati 4 - A seconda delle condizioni ci si può anche affidare al pendio nevoso (35°-40°) che aggira le rocce da dx per ritraversare verso sx e raggiungere il valico (m 3430).. dal sole rosso che fa capolino sopra il Diavolezza! Prima di cavalcare la cresta nevosa bisogna ancora superare l'imponente bastione roccioso della Punta Previulsa (m 3610, III). Con una rampa obliqua, traversiamo in diagonale verso dx portandoci sul versante O della cresta; dopo un piccolo diedro (sosta al termine) continuiamo per Autunno 2010 Vista di profilo sembra uno spigolo perfettamente lineare; in realtà il suo andamento è sinuoso come le tracce lasciate da un serpente sulla sabbia. Superati diversi dossi e ampie curve, si giunge al pizzo Bianco (m 3995, ore 2) dove la spettacolare cresta di neve e ghiaccio ha termine. Per arrivare in cima al Bernina bisogna vincere un tratto di roccia dove due alte guglie di pietra, denominate i "Gendarmi" sbarrano la strada agli alpinisti. Dopo un tratto sul versante E della cresta rocciosa, scendiamo dal primo gendarme con una doppia da 15 metri (soste tutte già attrezzate) e ci caliamo nella breccia del Bernina. Dopo alcuni metri verso S, saliamo direttamente il secondo gendarme di roccia (diedro/ canale con passaggio di III+). Al successivo intaglio torniamo sul filo di cresta, arrivando alla ripida parete rocciosa di circa 50 metri che ci separa dall'ambita vetta. Nella seconda metà la parete diviene più facile e Le Montagne Divertenti Alpinisti lungo la cresta N del pizzo Bianco (m 3800 ca, 23 luglio 2006, foto L. Bruseghini). appoggiata fino alla cima del pizzo Bernina (4050 metri, ore 2). l panorama spazia a 360° dato che nessuna vetta intorno ci eguaglia in altezza. A SE l'occhio viene catturato dall'ampio bacino della vedretta da Morteratsch circondato dalla Cresta Guzza, dai gemelli pizzo Argento e Zupò e dalle Belleviste. A SO vi sono invece il monte Scerscen con la I sua esile cresta rocciosa e il panettone nevoso del Roseg. Tutte le altre cime vicine, anche se superano abbondantemente i 3000 metri, sembrano dei nani visti dal re delle Retiche. L a discesa solitamente non avviene per la via di salita a causa dei pendii ghiacciati, ma ci si abbassa dal versante italiano, lungo il percorso Biancograt al Bernina (m 4050) 35 Alpinismo Spigolo Vinci al Cengalo Testi e foto Mario Sertori (Guida Alpina, tel. 349 6784134 - www.up-climbing.com) Il tracciato di discesa per le Belleviste e la Fortezza (16 luglio 2008, foto Beno). normale alla vetta. Un esile profilo nevoso, con dirupi a sx, ma soprattutto a dx verso il versante elvetico, conduce alla Punta Generale Perrucchetti, la cima italiana del Bernina, leggermente più bassa di quella svizzera. Calandoci lungo il filo di cresta, misto di roccia e neve, si perviene a un salto roccioso di una ventina di metri che si oltrepassa con una calata in corda doppia. Un altro breve tratto di misto tra roccia e neve conduce al facile ghiacciaio che, con una corta discesa, guida al rifugio Marco e Rosa situato alla forcola della Cresta Guzza (m 3609, ore 1:30). Una tappa è d'obbligo, anche solo per salutare il Bianco (Giancarlo Lenatti), gestore del rifugio, nonchè grande alpinista e sciatore estremo. Dalla Marco e Rosa vi sono diverse alternative per rincasare, a seconda del tempo a disposizione e soprattutto dei mezzi di trasporto. itinerario di discesa 1 La via più breve prevede di rientrare utilizzando la ferrata che parte dal rifugio, a fianco del canalone della Cresta Guzza, e che conduce al ghiacciaio di Scerscen Superiore. Raggiunto l'enorme pianoro candido, bisogna attraversarlo diagonalmente, in direzione SE, verso il passo Marinelli Occidentale (m 3000, ore 2). Da qui una traccia su sfasciumi e grossi massi accompagna in poco tempo al rifugio Marinelli (2813 m, ore 0.30). Poi, seguendo il sentiero dell'Alta Via della Valmalenco si scende in direzione S, 36 Le Montagne Divertenti alla Bocchetta delle Forbici, nei pressi della quale sorge il rifugio Carate (2636 m, ore 1). Ci si abbassa quindi compiendo un semicerchio attorno al Sasso Moro per sbucare al parcheggio ai piedi dell'invaso artificiale di Campo Moro (m 1900, ore 1:30). Questa soluzione prevede ovviamente che ci sia qualcuno ad attenderci, perchè per usufruire dei mezzi pubblici, attivi solamente nei mesi di luglio ed agosto, bisogna ulteriormente sgambare fino a Campo Franscia (m 1500 m, ore 2)5. itinerario di discesa 2 al rifugio Marco e Rosa ci si muove in direzione E lungo la Vadret da Morteratsch, molto bella nella prima parte, quanto crepacciata e disseminata di seracchi nella seconda. Si compie un ampio semicerchio verso dx ai piedi della Cresta Guzza, del pizzo Argento, del pizzo Zupò e delle Belleviste fino al passo delle Belleviste (m 3700, ore 2). Da qui si ha un'ottima visuale sulla Biancograt e sembra strano averla superata solo poche ore prima. Il tragitto ora si divide: o si va verso l'Italia (A) o verso la Svizzera (B). D variante 2A Se si sceglie il patrio suolo, si piega in direzione S e si attraversa tutto l'infinito altopiano di Fellaria fino al passo dei Sassi Rossi (m 3500), per poi abbassarsi lungo una zona molto 5 - Per organizzare un viaggio che prevede l'uso dei mezzi pubblici senza l'impiccio dell'auto ci si può organizzare verificando gli orarei su: www.sondriochiesa.com/linee (da Franscia a Sondrio) www.trenitalia.it (da Sondrio a Tirano) www.treninorosso.it (da Tirano a Pontresina) crepacciata (OSO) ai piedi delle pareti S dei pizzo Zupò e Argento, con diversi slalom per superare i numerosi buchi che ostacolano il passaggio. Raggiunto il ghiacciaio sottostante si punta a SO al passo Marinelli Orientale (m 3100, ore 2) proprio ai piedi della Punta Marinelli che come un faro indica la via agli alpinisti. Da questo valico ci si può dirigere a SO verso il rifugio Marinelli e poi scendere a valle per l'itinerario precedentemente descritto, oppure seguendo il ghiacciaio verso SE si perviene a una grande roccia da dove parte un sentierino, tracciato su sfasciumi e morene, che porta al rifugio Bignami (m 2400, ore 1:30). Da qui una piccola mulattiera che costeggia dall'alto il Bacino artificiale di Campo Gera conduce ai piedi del muro della diga (m 2000, ore 1:30) dove arriva una strada sterrata. Anche questa via di rientro prevede di avere un altro mezzo a disposizione o di scendere a piedi fino a Franscia. VAriante 2b Chi invece vuole ritornare a Pontresina, dal passo delle Belleviste deve ripiegare lungo il ghiacciaio in direzione N, fino a raggiungere una balza rocciosa detta Fortezza. Con una calata in corda doppia si supera il dislivello con il ghiacciaio sottostante. Si scende sempre in direzione N prima su ghiacciaio, poi su sfasciumi per toccare la lingua terminale della vedretta del Morteratsch. Seguendola fino al termine e poi utilizzando il comodo sentiero che dal rifugio Boval porta alla stazione del trenino rosso (m 1900, ore 2.30). Una fermata di treno e si è a Pontresina. Autunno 2010 Sulla "schiena di Divertenti mulo", al 5° tiro Le Montagne (VI). Spigolo Vinci al Cengalo (m 3367) 37 Valmasino Alpinismo o giallo oro, o nero carbone; la luce del mattino accende i quarzi uno ad uno tempestandoli di raggi ed è bene proteggere gli occhi per non rimanere accecati. E’ come la gigantesca prua di un vascello schiaffeggiata da venti furiosi di mari agitati che hanno smerigliato per bene i suoi profili, inventando forme irreali. ’arrampicata è magnifica e di gran soddisfazione: dapprima un po’ rude, ricorda gli antenati pionieri dell’alpinismo, poi evolve in rebus gravitazionali su alcuni tratti da antologia del genere granitico. Qui il gesto da primordiale si fa elegante, tecnico, leggero. Non necessita di particolare forza, ma di un briciolo di coraggio nel mettersi alla prova dove le corde scendono tra le gambe e si allontanano senza passare in nessun chiodo di sicurezza. E’ lì che si salto giallo assapora il gusto (V+) deciso della libera, e si ) lame ( I V Pizzo Cengalo, versante meridionale. In evidenza la lama seghettata dello spigolo Vinci. Indicati l'attacco e la Punta Angela (1 settembre 2006). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: rifugio Gianetti (m 2534). Itinerario automobilistico: 6 chilometri dopo Tempo previsto: 3/5 ore dall'attacco. Attrezzatura richiesta: una serie di friends fino Morbegno in direzione Sondrio, appena oltre un ponte, all’altezza del paese di Ardenno, girare a sx e seguire per Valmasino. Ci si inoltra nella valle lungo la strada provinciale e si raggiungono i nuclei abitati di Cataeggio e Filorera. Proseguendo si costeggia il Sasso di Remenno (nota palestra di arrampicata sportiva) e si arriva a San Martino (14 km). Nel paese, al secondo tornante, lasciare a dx la strada per la val di Mello, proseguendo diritti per 4 km fino alle terme dei Bagni di Màsino (m 1171). 6a (5c+ obbligatorio). Guide: Mario Sertori e Guido Lisignoli, Solo granito, ed. Versante Sud, Milano 2007- 2009 Avvicinamento: Dal rifugio seguire per un tratto il sentiero Roma verso il rifugio Allievi, passando sotto l’ isolato sperone di Punta Enrichetta. Attraversare, salendo verso l’evidente anfiteatro posto sopra la prima torre dello spigolo SO del Cengalo, quindi salire in un diedro canale a dx con un masso incastrato che Discesa: in doppia sulla via Carosello. La prima delle 7 calate è molto evidente nei pressi di Punta Angela (spuntone con cordoni e maillon, poi spit) oppure si prosegue facilmente tra blocchi fino alla cima del Cengalo e si scende dalla via normale (versante O). La Prua I l pizzo Cengalo è l’enorme bastione che fiancheggia la più celebre montagna delle Alpi Centrali, il Badile, e insieme se ne stanno in quella postura dalla notte dei tempi, quando furono scaraventati dal mondo ipogeo verso i cieli boreali, costringendo al raffreddamento coatto i loro graniti incandescenti. Sono come due orsi pietrificati che danno le spalle alla Bregaglia e guardano a meridione, verso le desolate 38 porta in cresta facilmente (ore 1:30). Le Montagne Divertenti al 3 e nuts, rinvii, 2 corde da 50 m, casco, imbraco. In via chiodi. Per la discesa dalla normale: scarponcini e piccozza. Difficoltà/dislivello: 5.5 su 6 / oltre 2000 m. Dettagli: Alpinistica TD. 350 m (12 lunghezze), sassaie del Màsino fino alle nebbie della pianura lombarda. Hanno schiene larghe ed attraenti, tanto che, osservandoli da nord, con quelle levigate muraglie formano un quadro tra i più suggestivi delle Alpi. Anche dal versante opposto però la visione è armoniosa, seppure meno impressionante, e non mancano alcune linee di qualità, decisamente ardite. Tra queste una posizione di primo piano se l’aggiudica lo spigolo S del Cengalo, essenziale e seghettato come l’intuizione di un architetto futurista. L diedro nero (V+/VI) Parte in sordina e prende il volo man mano che si alza, acquistando slancio e decisione, corpo e sostanza, colore e lucentezza: le lastre diventano monoliti, gli spuntoni torri di una fortezza, gli appigli cristalli affilati, le fessure esplosioni geometriche. Scalare su quel crinale che galleggia nell’aria dà respiro all’azione, la pietra punge ed entra nel palmo delle mani trafiggendo polpastrelli e suole delle scarpe, ma tiene gli arrampicatori saldamente attaccati alla montagna. La tinta del sasso non conosce compromessi, Autunno 2010 sente l’eco della storia passata sulla pelle del Cengalo. Molte mani hanno spolverato quei cristalli e si sono aggrappate alle lame dorate seguendo i passi di Alfonso Vinci, colui che trovò la soluzione verticale di quel capolavoro della natura. La Storia l primo che rivolse le sue attenzioni allo spigolo S del Cengalo fu il conte Aldo Bonacossa, un nobiluomo milanese poco avvezzo alla mollezze del suo rango, tra i più assidui frequentatori delle selvatiche montagne del Màsino e tra i massimi conoscitori di quelle vallate. Bonacossa scalò con successo la prima parte della cresta in due riprese, nel 1922 con Sarfatti e nel 1925 con Orio, ma alla base della “Schiena di Mulo”, un promontorio appiccicato al vuoto e privo di appigli, dovette arrendersi. Forse se avesse avuto per compagno Gervasutti il “Fortissimo” come alla Torre Re Alberto, le cose sarebbero andate in modo diverso1. Forse. Deviarono ad ovest e con un percorso sinuoso conclusero l’ascensione sull’anticima meridionale della montagna, che il conte battezzò Punta Angela in onore di sua madre. A quel tempo nei cieli delle Alpi brillavano molte stelle e tra di esse una particolarmente scintillante, quella del lecchese Riccardo Cassin (1909 – 2009, è stato uno dei più importanti alpinisti del ‘900). I 1 - Nell’ottobre del 1933 Giusto Gervasutti, accompagnato da Bonacossa, sale sull’inviolata torre Re Alberto, in alta val Torrone, supera una placca di 30 metri improteggibile e dichiara:” è il passaggio più duro della mia carriera”. VI grado, abbondantemente confermato dalle rarissime ripetizioni moderne (6a). (V) Alla sua corte ogni tanto facevano capolino “i comaschi”, alpinisti coriacei tra i quali sicuramente il più dotato era Alfonso Vinci. Spirito libero e sognatore, ben presto si stancò di portare lo zaino alla base delle pareti al seguito del grande Riccardo e iniziò a cercare la sua strada. Riempì un quaderno di vie da aprire e, come spesso succede nella storia, alcune gli riuscirono e altre gli vennero soffiate sotto il naso. Il suo era un alpinismo giovane e fresco di idee, praticato con mezzi rudimentali, ma che coglieva risultati sorprendenti. Nel luglio del 1938 con Paolo Riva venne a capo dell’ostica muraglia settentrionale del pizzo Ligoncio, nel Màsino: 600 metri di ripide placche e fessure da brivido, paragonabile alla Cassin sulla NE del Badile, anche se un po’ meno lunga. Ma i suoi orizzonti erano ampi; l’interesse per il nuovo e la risoluzioni di problemi considerati impossibili lo portarono lontano dalle montagne di casa. Nelle Dolomiti gettò l’occhio sull’allora inviolata O del monte Agner, una parete gigantesca che domina una valle selvaggia. Nell’estate del 1939 in tre giorni di battaglia con Elia Bernasconi venne a capo di quell’abisso di 1300 metri. Nelle Alpi centrali, Vinci si innamorò a prima vista della cresta S del Cengalo, sapeva che altri l’avevano provata invano. Forte di una gran classe in arrampicata e dei successi precedenti, si sentiva pronto per un tentativo. Attaccò il 16 agosto del 1939 con Il profilo dello spigolo Vinci e a dx il "salto giallo", terzultimo tiro (V+ ). schiena di mulo (VI) (III/IV) Le Montagne Divertenti Spigolo Vinci al Cengalo (m 3367) 39 Valmasino Alpinismo la medaglia d’oro al valore atletico. Alfonso Vinci è sicuramente tra i maggiori alpinisti italiani degli anni ’30. Di ideali libertari, partecipa attivamente alla resistenza: è il partigiano Bill, capo della divisione valtellinese delle Brigate Garibaldi che si distinse per l’audacia delle sue azioni. Nel 1945, dopo aver disarmato un’intera caserma con cinquanta carabinieri, è catturato e rinchiuso nel carcere di San Vittore. A guerra terminata decide di cercare fortuna altrove, si imbarca per il Sudamerica con 200 dollari in tasca e una cassa piena di materiale da arrampicata. i fidati Bernasconi e Riva e, arrivato alla cosiddetta “Schiena di Mulo”, superò con le scarpette di gatto (come erano nominate allora le pedule in manchon già usate da Emilio Comici sulla Dolomia) un passo arduo, senza possibilità di assicurazione, pinzando dal dorso giallo di granito i cristalli affioranti che gli permisero di acciuffare la splendida lama successiva. Il dado era tratto. Piantò alcuni chiodoni artigianali, quelli ereditati da Mario Molteni2 e sbucò sul terrazzo sotto la lancia strapiombante, una sorta di totem inaccessibile.3 Ad indicargli la strada fu un sentiero di funghi neri, provvidenziali erosioni rocciose che lo condussero di nuovo in cresta, ma ancora in un punto insormontabile. Con grande intuito scese una decina di metri sul versante occidentale e s’infilò sul “Diedro nero”, un atletico angolo di lastre sovrapposte che porta alla base dell’ultimo ostacolo rilevante, il “Salto giallo”. Qui un comodissimo ballatoio senza parapetti fa da anticamera ad una scaglia inclinata incisa da una regolare fessura. Vinci la superò con eleganza, sospeso sul vuoto frizzante del versante E. Dalla parte opposta lo osservava il pilastro orientale di Punta Sertori su cui, un paio di giorni prima, con gli stessi compagni, aveva tracciato un percorso diretto. Doveva essere una grande soddisfazione risolvere così due grossi problemi della zona e depennarli dal libro degli itinerari da aprire. Oggi la sua via sul Cengalo è una classica della regione, tra le più belle del Màsino e non ha perso smalto nonostante l’età e l’attacco dei driller. All’inizio del terzo 2 - Mario Molteni, soprannominato Mario Preet, per il suo sguardo serio e melanconico, un po’ da prete di borgata, era un alpinista comasco del gruppo di Vinci, morto di sfinimento nel luglio del 1937 dopo aver aperto con Cassin e compagni la via sulla NE del Badile. Alla sua scomparsa la madre di Molteni regalò ad Alfonso Vinci il materiale alpinistico del figlio (compreso un mazzetto di chiodi artigianali). 3 - Nelle prime ripetizioni e a tutti gli anni ’60 per superare senza rischi il primo sprotetto tratto della Schiena di Mulo venne usato un grosso filo di ferro uncinato lungo alcuni metri, che permetteva di arpionare il primo chiodo, distante appunto un po’ di metri. Se ne trova testimonianza in alcune foto d’epoca. 40 Le Montagne Divertenti Dovrebbe partire con Gervasutti, che nel frattempo è impegnato sul Mont Blanc du Tacul: attenderà invano il suo compagno, perché da quei graniti il Fortissimo non farà ritorno4. A. Sione 4 - Giusto Gervasutti (1909 – 1946) detto il Fortissimo è stato uno dei più importanti alpinisti degli anni ’30 e ’40. Scomparve in un incidente durante la discesa da un pilastro del Mont Blanc du Tacul che successivamente porterà per sempre il suo nome (monte Bianco). millennio infatti sono spuntati, per mano elvetica, in coppia alle soste e sporadici sui tiri, luccicanti fittoni e placchette inox. Uno sfregio all’opera d’arte? Certamente sì, secondo un manipolo di valorosi valligiani che ha liberato a martellate il Vinci dalle quelle catene. Così adesso si possono ancora passare i rinvii nei consumati chiodi del primo salitore o solleticare le fessure con i friends, geniali invenzioni che semplificano molto le cose. In ogni caso è puro piacere per i moderni arrampicatori ripercorrere questa pietra luminosa che Alfonso Vinci ci ha lasciato, lui che di sassi preziosi era un grande esperto. Alfonso Vinci lfonso Vinci nasce a Dazio, in Valtellina, nel 1915, studia all’università di Milano laureandosi in lettere e filosofia e successivamente in scienze naturali con specializzazione in geologia. Trasferitosi a Como, frequenta l’ambiente alpinistico locale e lecchese e, dopo un periodo di formazione con scalatori celebri come Riccardo Cassin, trova un suo personale percorso verticale contraddistinto da alcune importanti prime ascensioni. Gli anni che precedono l’inizio della seconda guerra mondiale lo vedono protagonista nel Màsino e nelle Dolomiti agordine con nuove salite di alto livello, tanto che gli viene conferita dal regime fascista A Autunno 2010 Un gendarme sulla cresta. Le Montagne Divertenti Alfonso Vinci (foto Jacopo Merizzi). Scrive di lui Franco Brevini: "sembra uscito da un romanzo di Jack London, ma è nato a Dazio, in Valtellina, nel 1915. Nella sua vita Alfonso Vinci ha fatto di tutto: scalare montagne, esplorare nuove terre, valicare la Cordigliera, inseguire tesori scomparsi sui manoscritti dei conquistadores, cercare diamanti in Venezuela". H a in tasca un visto per Brasile, Venezuela e Cile. Nell’emisfero australe Vinci scala montagne, esplora vallate dal Messico alla Terra del Fuoco. Compie la prima traversata transandina, mettendo piede sulle principali vette della Cordillera dal Venezuela al Perù, passando da Colombia ed Ecuador. Nella Guayana riesce, con il botanico venezuelano Cardona, a raggiungere la sommità dell’Ayuàn Tepuy, da dove cade la più alta cascata del mondo, il Salto Angel. Ma la sua sete di conoscenza va ben oltre l’aspetto geografico o sportivo: risalendo il corso dell’Orinoco è il primo occidentale ad entrare in contatto con la tribù degli indios Yanoama sui quali compie approfonditi studi etnografici. Da questa esperienza nasce il libro Samatari che entrerà a far parte della trilogia sudamericana di Vinci, composta anche da Diamanti e Cordigliera. Un altro elemento importante dell’esperienza in quel continente è la scoperta dei diamanti di cui diviene in breve tempo, anche grazie ai suoi studi in geologia, ma soprattutto ad un fiuto insuperabile, uno dei massimi esperti. Per sette anni, spesso da solo, setaccia la foresta con una bussola e un enorme zaino riuscendo a sopravvivere in quell’ambiente infernale dove neppure il sole riesce a filtrare, tra serpenti, insetti velenosi e vegetazione impenetrabile, ma alla fine trova il più grande giacimento del Venezuela e uno dei più importanti di quel continente. I n breve la zona è invasa da una moltitudine di cercatori, avventurieri e disperati di ogni risma e Vinci cambia aria. Così racconta nel suo libro Diamanti5 il tentativo di vendere il bottino del suo team: “…Era cominciata la corte attorno ai nostri diamanti, il vecchio Paul era stato mandato perché ci valutasse il lotto e facesse un’offerta. Ci appartammo 5 - Dal libro Alfonso Vinci, Diamanti – A caccia di fortuna in Venezuela, Vivalda editori, Torino 2005 Spigolo Vinci al Cengalo (m 3367) 41 Valmasino Alpinismo dietro la capanna e in un grande piatto di portata, prestatoci dalle donne di Armando, rovesciammo le bottigliette dei diamanti. Questi facevano un mucchio enorme, irreale, da prendere a manciate. Paul dilatò gli occhi e immobilizzò l’espressione del volto, come se l’emozione l’avesse paralizzato. Indietreggiò visibilmente e solo allora osò dire:” Troppi, troppi diamanti, io non li posso valutare, metteteli via prima che li vedano”. onostante questo non diventerà ricco, perchè l’area, in virtù della legge di quel paese, entrerà a far parte del patrimonio dello Stato. Ma Vinci più che dall’agiatezza è affascinato dalla scoperta, in ogni campo è quella che lo riempie di nuove energie. A lui si rivolgono per consulenze governi e compagnie che intendono sfruttare i minerali. Alfonso Vinci ha anche insegnato per tre anni all’università venezuelana di Mérida ed ha trovato il tempo, in un’esistenza da Indiana Jones, di scrivere, tra romanzi e saggi, una dozzina di libri. Insomma un personaggio poliedrico, una sorta di moderno Ulisse, come l’eroe omerico attratto invincibilmente dal sapere, in ogni campo a cui si affaccia, dalla scalata di una muraglia vertiginosa, all’esplorazione di una vallata sconosciuta, dalla scoperta di pietre sfavillanti, alla vita tra gli Yanoama. In tutto questo il suo agire è alimentato dall’ansia del nuovo e permeato dal tocco sublime della bellezza. Vinci è un artista, ma le sue opere sono tracciate sulla pietra di pareti sconfinate o sulla carta stampata dei libri che ha scritto. Queste le sue parole, dal testo di una conferenza tenuta a Sondrio nel 19896 : "Quando entrai per la prima volta nelle terre dell’Alto Amazzoni e della Guayana, il mio programma di esploratore di molta curiosità e di pochi mezzi, era vario e ambizioso: vivere con gli indi primitivi, riconoscere flora e fauna esotica, navigare i grandi fiumi pericolosi, scalare le vertiginose cime di arenaria, e per portare avanti tutte queste attività, affidarmi alla geologia, cioè trovare oro e diamanti che potessero pagare le spese. Ricordo una frase: “ Io N 6 - Conferenza di Alfonso Vinci tenutasi a Sondrio il 12.5.1989 il cui testo integrale è pubblicato alle pagine 143-149 dell’Annuario del CAI sez. Valtellinese, Sondrio 1989 . Montagne 42 xxxxLexxxx xxxx xxxxx Divertenti Il "diedro nero", 8° tiro (V+/VI). Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Cordate sulla Schiena di Mulo. non vado in giro a ricercare diamanti, ma ricerco diamanti per poter andare in giro.” Naturalmente nei tempi lunghi e negli spazi immensi delle regioni sconosciute, tutto finì per mescolarsi inestricabilmente ma alla fine, pagato lo scotto dell’apprendistato, come in tutte le cose, i programmi funzionarono. Vissi con le tribù primitive, raccolsi nuove specie botaniche, navigai i fiumi pericolosi, scalai quelle montagne incantate e resi positivo il bilancio economico scoprendo il più ricco giacimento di diamanti del Venezuela”. I mportante per i suoi studi geologici e la ricerca di oro e diamanti è anche la traversata del Borneo, la maggior isola dell’arcipelago indonesiano e la terza al mondo per superficie, che l’esploratore portò a termine quando era già un affermato e conosciuto scopritore di giacimenti. Terminata la stagione delle pietre preziose rimase in Sudamerica lavorando come geologo sulle grandi dighe del bacino del Rio delle Amazzoni, divenendo un esperto di movimenti franosi. Vinci tornava spesso in Valtellina, nella sua Dazio, ma d’estate amava soggiornare Spigolo Vinci al Cengalo (m 3367) 43 Alpinismo in un solitario maggengo della valle di Albaredo, sulla sommità di un dosso, sospeso tra la visione ad occidente delle docili montagne che si affacciano sul lago di Como e a nord degli amati graniti del Màsino. In un’intervista7 di Giuseppe “Popi” Miotti, pochi anni prima della scomparsa di Vinci, avvenuta a Roma nel 1992, alla domanda: “Seppure valtellinese lei ha passato la giovinezza a Como?” Vinci risponde: “In effetti io non mi considero molto valtellinese. Sono nato a Dazio ma poi ho trascorso l’infanzia e la giovinezza a Como. Posso dire di essere stato comasco; oggi non sono più niente di tutto ciò, perché vado qua e là per il mondo.” Rifugio Gianetti (m 2534) E infine: “Ha mai nostalgia di tutte queste avventure, di questa vita?” “Nostalgia? La nostalgia non esiste”. Il rifugio Gianetti e il pizzo Badile (11 ottobre 2009, foto Beno). 7 -Intervista pubblicata alle pagine 164/168 del libro Dal Corno Stella al K2 edito dal CAI sezione di Sondrio 44 Le Montagne Divertenti Cresta Corti alla Punta di Scais Beno E' il luogo ideale dove pernottare se si vuole affrontare lo spigolo Vinci. Per raggiungerlo, dal parcheggio dei Bagni di Màsino, proseguire lungo la stradina che costeggia il caseggiato e un campo da tennis fino ad una radura con cartelli indicatori. Prendere il sentiero di dx ben segnalato e salire nel bosco, raggiungendo l’alpe Corte Vecchia e poco oltre le Termopili, caratteristica strettoia tra due massi. Proseguire ancora nel bosco e poi in salita piuttosto ripida fino a una grande cascata attraversata dal sentiero. Oltrepassato il “Pianone” ed un ponte, ancora in salita tra dossi e pietraie fino al rifugio Gianetti (ore 3:30). E’ gestito da Giacomo “Mimmo” Fiorelli e dalla sua famiglia, tel. 0342 645161, aperto da metà giugno a fine settembre. Autunno 2010 Il possente sperone occidentale della Punta di Scais, inizio della bellissima cresta Corti (2 aprile 2006, foto Beno). I valtellinesi Giuseppe Miotti e Pietro Scherini che compirono nel 1987 una delle prime ripetizioni invernali, dissero che quella salita li Le Montagne aveva impegnatiDivertenti più della NE del Cengalo! Cresta Corti alla Punta di Scais (m 3039) 45 Versante orobico Alpinismo 1 E F Fatica Pericolosità Partenza: Agneda (m 1223). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la SS 38 in direzione Tirano fino alla fine della tangenziale. Poco prima del passaggio a livello si svolta a dx e si segue la SP che unisce Montagna Piano e Piateda fino a Busteggia. 100 metri oltre l'ex canile si prende la stradina sulla dx che sale a Pam per poi ricongiungersi all'arteria principale per Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al bivio in località Mon. Si segue sulla dx la carrozzabile che si inoltra in val Vedello. Oltre la Centrale di Vedello (m 1000, 6 km) il fondo diviene sterrato. Ignorato il successivo bivio per Ambria (dx) seguita per 2.5 km fino al paesino di Agneda, oltre il quale, quasi in fondo alla piana, si trova un'area attrezzata per picnic neii pressi della quale si può lasciare l'auto. Itinerario dona sangue e torna a donare. Se hai compiuto 18 anni e sei in buona salute, scegli di donare il tuo sangue. Un gesto semplice e prezioso che aiuterà molte vite a ripartire. 46 AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO: AVIS DI BORMIO 0342 902670, AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954, AVIS DI CHIAVENNA 0343 67297, AVIS DI LANZADA 0342 452633, AVIS DI MORBEGNO 0342 610243, AVIS DI 0342 800593000 Le POGGIRIDENTI Montagne Divertenti 380292, AVIS DI SONDALO 0342 801098, AVIS DI SONDRIO Autunno 2010 3 4 5 6 1- Torrione Occidentale della Punta di Scais (m 2970); 2- grande depressione; 3- Canale Bonomi; 4- Punta di Scais (m 3039); 5- Torrione Curò (m 2996); 6 - Fetta di Polenta (m 2970). Ripresa effettuata dal pizzo Brunone (4 luglio 2007, foto Beno). Bellezza Non lasciarci a secco: 2 L sintetico: Agneda (m 1223) - diga di a cresta Corti è una via leggendaria, una cavalcata di oltre 1000 metri di dislivello positivo che raggiunge la Punta di Scais per la sua lunghissima cresta occidentale, dorsale rocciosa che separa il vallone di Porola da quello di Scais. E' un banco di prova per tutti gli alpinisti di buon livello, un viaggio sospesi alle nuvole che negli ultimi anni è immeritatamente poco frequentato. orfologicamente la cresta, partendo dalla vetta (m 3039) e andando verso O, presenta un lungo tratto pianeggiante e dentellato che, raggiunta M Le Montagne Divertenti Scais (m 1494) - alpe Caronno - rifugio Mambretti (m 2004) - Punta di Scais per la cresta Corti (m 3039)- discesa per il canale Bonomi - ghiacciaio di Scais - rifugio Mambretti - Agneda . Tempo previsto: 15 ore per l'intero giro (8 ore per la sola cresta Corti) Attrezzatura richiesta: scarponi, corda (50 m), piccozza, imbracatura, ramponi, cordini, fettucce, 4-5 friend, alcuni rinvii, casco. Difficoltà/dislivello: 5+ su 6 / oltre 2000 m. Dettagli: Alpinistica D. Via lunghissima e complessa (IV+ obbligatorio) su roccia malsicura, possibili tratti innevati o ghiacciati. Richiesta ottima conoscenza dell'ambiente alpino. Mappe: Kompass foglio 105 - Foppolo-Valle Seriana - 1:50000. una netta depressione, s'innalza fino ai m 2970 del Torrione Occidentale, ben visibile anche dal rifugio Mambretti. La cresta quindi scende ripida fino alla base, situata tra le morene di Scais e di Porola, dando vita a quel robustissimo bastione roccioso che domina l'alta val Caronno. e rocce sono a tratti buone e a tratti malsicure e scivolose. Ciò, unito alla lunghezza del tragitto e ai molti passi su roccia non banali (fino al IV+ obbligatorio), rende sconsigliabile l'avventura a chi non ha buona tecnica e pratica di monta- L gna. L a storia alpinistica della cresta Corti può essere suddivisa in quattro fasi: - il 20 maggio 1909 P. Berizzi, B. Sala e A. Iosi salgono dalla vedretta di Scais al Torrione Occidentale; - il 16 luglio 1911 P. Berizzi, G. Pellegrini e B. Sala compiono la prima traversata dalla Punta di Scais al Torrione Occidentale; - l'1 ottobre 1916 B. Sala e F. Perolari traversano il Torrione, salendolo per il suo versante orientale e scendendo per il tratto superiore della sua cresta occidentale (passaggio Cresta Corti alla Punta di Scais (m 3039) 47 Versante orobico Alpinismo chiave della cresta Corti); - il 22 luglio 1926 Alfredo Corti e Augusto Bonola compiono il primo percorso integrale della cresta dalla base alla vetta estrema. u un'impresa straordinaria: la cresta occidentale della Punta di Scais rimaneva l'ultimo grande problema irrisolto dell'alpinismo orobico. Se a questo aggiungiamo che a compierla fu il fortissimo professor Alfredo Corti, alpinista di indubbia fama e bravura, uno dei maggiori conoscitori delle Alpi Orobie e delle vette valtellinesi, va da sè che la cresta Corti divenne immediatamente una via mitica e da subito frequentatissima. Detto ciò, mi è difficile giustificare l'abbandono di questo percorso negli anni recenti. Forse le ragioni vanno ricercate nella severità dell'ambiente, nella difficoltà a fuggire in caso di imprevisti, nella mancanza di spirito d'avventura delle ultime generazioni di montanari che preferiscono una via super ripetuta e assediata da aitanti alpinisti come un centro commerciale di sabato, piuttosto che andare alla ricerca di luoghi dove è la grandiosità della Natura la padrona assoluta delle rocce e dei cieli. E' importante inoltre sapere che sono possibili scappatoie lungo gli impegnativi canaloni che si originano dalla cresta, in modo particolare nella parte medio-alta. Nella relazione ho utilizzato tempistiche che fanno riferimento a persone allenate, quindi un po' più rapide dell'escursionista medio1. Gli lascio il casco in macchina e si parte. Su per i tornanti cementati che portano alla diga di Scais, quindi, fedeli alle indicazioni per la Mambretti, traversiamo il ponte della Padella. Il buio cela le forre del torrente Caronno, la cui presenza si manifesta nel gorgoglìo delle acque. Siamo ora nel fitto bosco; il buio pesto è ancor più accentuato dai fari della diga che mi accecano. I miei compagni hanno i frontalini accesi, io, morto di fame o fedele al risparmio energetico, tengo il mio nello zaino e cerco di non scivolare sulla rocce umide che rivestono il sentiero. Poco dislivello e siamo alla casa del custode. Dormono tutti. Costeggiamo la diga dalla sua sponda settentrionale, quindi torniamo a salire fino alla ex capanna Guicciardi e alla bucolica piana dell'alpe Caronno (m 1612, ore 1). Le mucche pascolano già. La flebile luce dell'alba ancor lontana ci aiuta a scavalcare la recinzione elettrificata senza prendere la scossa. Sempre a E, dopo il ponte sul torrente che scende dall'alpe Rodes, la via bollata si fa coraggio e con qualche tornante guadagna presto quota. Un piccolo piano con boschetto, poi su per il crinale alberato finchè i larici lasciano il posto ai pascoli, ai fiori e al tetto rosso della capanna Mambretti (m 2004, ore 1). Ci fermiamo a bere nel piazzale di cemento a E del rifugio. Davanti a noi la cupa sagoma del Torrione Occidentale della Punta di Scais. Ricontrolliamo il libro del Corti2. Troppo lunga, troppo complessa la via e la descrizione per ricordarsela. alutata Miriam, che per ammazzare il tempo si dedicherà a pizzo degli Uomini, Biorco e Rodes, seguiamo per un tratto il sentiero verso E, quindi per neve e sassi mobili, puntiamo alla morena che divide i ghiacciai di Scais e Porola e che porta proprio alla base della cresta. Due nette spaccature verticali solcano la parete. Noi ci affidiamo a quella di dx: iniziamo la scalata. La roccia è buona, facile e ricca di appigli (III). Ogni tanto ci sono chiodi e fettucce forse per soste o per calate. F 4 luglio 2010 ono le 2:45 quando risalgo in moto la val Venina alla volta della Centrale di Vedello e quindi Agneda. C'è un'umidità pazzesca, eredità dei temporali di ieri sera. L'asfalto è ancora bagnato, le pozzanghere disseminate sullo sterrato mi fanno schizzare acqua ovunque. Alle 3 in punto arrivo nella piana di Agneda (m 1228). Vicino alla staccionata dell'area pic-nic, Pietro e Miriam, miei compagni d'avventura, sono già dritti in piedi come le marmotte fuori dalla tana. Facciamo le dovute presentazioni, visto che è la prima volta che ci vediamo off-line. 4 3 2 1 S 1 - Su tratti senza difficoltà tecniche vengono calcolati 400 m/ora. 48 Le Montagne Divertenti S La prima parte della cresta Corti vista dalla Mambretti(4 luglio 2010, foto Beno). Coi numeri sono indicate le posizioni delle foto alla pagina seguente. Autunno 2010 2 - S. Saglio, A. Corti e B. Credaro, Guida ai Monti d'Italia. Alpi Orobie, CAI-TCI, Milano 1956. Le Montagne Divertenti 1- Il diedro a cui culmina la grande spaccatura verticale. 2- La cresta che segue la spaccatura (4 luglio 2010, foto Pietro Pellegrini / Beno). L'uscita, dopo circa 6 lunghezze di corda, è costituita da un diedro di 10 m, un po' infame perchè bagnato. Ci sono alcune cordate sul ghiacciaio di Scais che ci guardano, forse sbalordite dalla nostra abilità nel salire una parete che sembra inaccessibile. "Se vuoi far colpo su una ragazza devi dirle che siamo passati di qui, ma mai farla avvicinare abbastanza da capire che in realtà è facile!". Traversiamo verso dx e, seguendo lo spigolo sfasciumato (II), guadagnamo un primo piccolo intaglio da cui usciamo con un tratto ripido su roccia buona (III, 5 m). Cerchiamo di rimanere sempre in cresta, dove si alternano tratti su roccia e tratti su rottami che, superato un primo torrione, portano ad un secondo più marcato, separato dal Torrione Occidentale della Punta di Scais da una forcella. Vi scendiamo con prudenza (dx) e ci troviamo dinnanzi al passaggio chiave dell'intera via. Dall'intaglio scendono due canali di cui quello settentrionale (sx) è attrezzato a chiodi per la fuga. Direttamente sopra l'intaglio c'è un chiodo di quando ancora c'erano i prati nel fondovalle e un picchetto di ferro che ai tempi veniva usato per facilitare il passaggio. Oggi sono entrambi inservibili. Levato lo zaino attacco sulla verticale del chiodo, che risulterà non essere la soluzione migliore. 3- Il passaggio chiave della salita: un muro strapiombante con infisso una sbarra metallica (4 luglio 2010, foto P. Pellegrini). 4- Gli ultimi lastroni verso il Torrione Occidentale (4 luglio 2010, foto Beno). Cresta Corti alla Punta di Scais (m 3039) 49 Versante orobico Alpinismo La roccia non è solida e strapiomba, metto un paio di sicure, rinvio anche all'anello, ma con la consapevolezza che nulla mi reggerebbe in caso di caduta. All'altezza del chiodo mi sposto sulla sx, dove con fatica e ghisata di braccia riesco a salire sul pianerottolo sovrastante (10 m, V)3 da cui, con arrampicata più agevole a sx dello spigolo (III+) raggiungo lo spuntone con fettuccia marcia per la sosta (circa 25 m dall'intaglio). Arriva Pietro con anche il mio zaino, poi due tiri facili ed aerei ci regalano la sommità del Torrione Occidentale della Punta di Scais (m 2970, ore 4). na lunga lama esposta ci porta alla grande depressione a E del Torrione4. Grazie ad una cengia sul lato settentrionale prima, e a una su quello meridionale poi, superiamo il successivo pennacchio e, attraversato un breve corridoio espostissimo (sugli strapiombi a S si vedono delle soste su friend che lasciano presumere una fuga disperata), siamo alla zona delle grandi placche. Si tratta di una serie di lucide lastre inclinate, scure, scivolose e di roccia cattiva. La parte bassa non è problematica, anche perchè ci si affida agli sfasciumi sulla sx, mentre quella alta rivela 30 metri difficili, specie l'uscita che porta al ballatoio sommitale (30 m, IV+). Quassù Pietro prova l'ebbrezza di volare assieme agli appigli stufi di stare in cima alla montagna: la mia sosta tiene; e chi ci avrebbe scommesso?!? Il tragitto quindi diventa più semplice fino ad un liscione rossiccio inclinato verso S. Al suo termine c'è una sosta recente su chiodi. Valuto di non usarla: la corda appoggerebbe I chiodi del canale Bonomi su cui effettuare le 4 doppie (4 luglio 2010, foto P. Pellegrini). U 3 - Alla linea descritta esistono due varianti: - la Longo-Giudici che scende a dx (O) in un canalino per circa 10 metri, per risalire in seguito una marcata fessura fino al suo termine (20 m, IV-); dal termine della fessura superare a sinistra un camino leggermente strapiombante (10 m, IV+), che riporta in cresta; - la linea originale che dall'intaglio percorre la cengetta esposta sulla sx, per poi risalire il primo muro per rocce più semplici di quelle da noi seguite (III+) e ricongiungersi alla nostra linea sul pianerottolo 10 m sopra l'intaglio; 4 - Abbiamo aggirato i maggiori problemi dal lato settentrionele. 50 Le Montagne Divertenti L'affilatissima lama che scende quasi 100 metri dal Torrione Occidentale verso la grande depressione a E di quest'ultimo (4 luglio 2010, foto Pietro Pellegrini). su uno spigolo affilato e potrebbe tagliarsi. Scendiamo così di 3-4 metri sul versante N (II) e affidiamo le nostre pellacce ad un chiodo fossile. Sembra stabile, poi la calata da qui è di soli 5 metri fino alla neve che ricopre la breccia. A S il precipizio è immane, mentre a N qualche cengetta mitiga l'orrore del paesaggio. Dire che siam stanchi è un eufemismo, per cui zitti zitti ci trasciniamo verso altre dentellature finchè ci si presenta un gendarme aggettante su un muro verticale. Sul suo lato meri- dionale vi è una corda per aggirarlo da S. Vi arriviamo e strisciando in una spaccatura ci abbassiamo nel canale oltre la torre da cui, con attenzione, risaliamo in cresta (IV)5. Senza più paura arriviamo all'ultima prominenza che, salita e discesa appoggiandoci al suo versante settentrionale, ci regala la forcella a cui culmina il canale Bonomi. Siamo ai piedi della cuspide finale, marcata dalle due piccole croci che da ore vedevamo in lontananza. C'è un po' di neve fino al ripiano detritico sotto la piodessa per la vetta, quella dove 110 anni fa il Bonomi salì scalzo, mentre Bruno Galli Valerio lo guardava incredulo. 5 - Il passaggio migliore dovrebbe invece essere, dopo un tratto di cavalcata sulla groppa del gendarme, con appoggio sugli sfasciumi del versante settentrionale. Autunno 2010 La piodessa del Bonomi, ultimo passaggio (IV+) per sbucare in vetta alla Punta di Scais (4 luglio 2010, foto Pietro Pellegrini). I o di solito percorro la spaccatura che solca la faccia meridionale (III), ma oggi voglio imitare il mio eroe baffuto e, pur tenendo le calzature ai piedi, m'arrampico sulla scivolosa placca (IV+). Sono 15 metri duri, con gli appigli che si sbriciolano e i piedi che scivolano sulle rocce inumidite dalla nuvola dell'impiegato che ci ha raggiunto. Attimi di apprensione, ma eccoci all'apice della Punta di Scais in compagnia delle due croci, un cordino per la calata in doppia e una calorosa stretta di mani (m 3039, ore 4 dal Torrione Occidentale). I nostri occhi sbarrati dicon tutto di queste ore fuori dal mondo, soli con una montagna tanto bella quanto ostica, promossi a gitanti di buon livello dopo una lunga lotta contro la paura del vuoto e una spasmodica Le Montagne Divertenti Calata in corda doppia dalla vetta (5 luglio 2007, foto Beno). ricerca della concentrazione e della fiducia nelle nostre capacità. Credete sia finita? Assolutamente no! La Punta di Scais non ha accessi facili. L a via di discesa migliore è il canale Bonomi, subito a O della cima. Dopo una calata in doppia dalla vetta, torniamo all'ultima forcella. Ci abbassiamo (S) di circa 10 metri nel canale e sulla sponda dx troviamo il primo chiodo con anello per la calata. Giù in doppia, stando attentissimi alle continue scariche di massi. Ogni 25 metri c'è un chiodo e contati 4 siamo sulla ripida scarpata innevata6 che scende fino alla vedretta di Scais. Pietro esibisce una grandiosa tecnica da ninja che rende superflui i ramponi. Magari un giorno la imparerò anche io. Allo sbocco del canale ci spostiamo a sx (E), quindi proseguiamo giù per la rampa innevata fino alle balze rocciose sopra il ghiacciaio e le vinciamo con attenzione per cenge. ' fatta, scivoloni giù per la neve e siamo alla base della cresta Corti. Intercettato il sentiero per la Mambretti (m 2004, ore 2:30), dove ci aspettano Miriam, 'na brenta d'acqua gelta e il piacere di un'ora e mezza di cammino senza l'angoscia dei precipizi. E 6 - A stagione inoltrata è una facile pietraia. Cresta Corti alla Punta di Scais (m 3039) 51 Alpinismo Cresta Sinigaglia alla cima Piazzi Beno Cima Piazzi, versante N, ritratta da Kim Sommerschield (www.kimsommerschield.com). E' sorprendente che solo nel 1971 una cordata, quella composta da Bruno Gilardi e Duilio Strambini, si impegnò a traversare integralmente la fantastica cresta che dal colle delle Pecore sale in vetta alla cima Piazzi (m 3439). Quale dimenticanza per gli alpinisti che, già votati da anni ai gradi elevati, si erano scordati di risolvere una delle vie più appariscenti ed estetiche che si possono ammirare anche stando comodamente seduti in macchina sulla strada per Livigno! La cresta supera una moltitudine di torri e gendarmi, incisioni e colletti, per portarsi sulla maggiore delle vette di val Viola e val Grosina. 52 Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Cresta Sinigaglia alla cima Piazzi (m 3439) 53 Alta Valle Alpinismo Cresta Sinigaglia: placche sui Corni di Verva (14 luglio 2010, foto Beno). Bellezza Fatica 3Passi Pericolosità Morbegno MorbegnoPartner Patner Store Store PiazzaMarconi Marconi 12/13 12/13 Piazza 23017 MORBEGNO (SO) 23017 MORBEGNO (SO) Tel.++ 39 39 0342 Tel. 0342613590 613590 [email protected] [email protected] Le Montagne Divertenti prendere la SS 301 del Foscagno e dopo circa 16 km e aver superato Isolaccia, Semogo e San Carlo si arriva ad Arnoga. Avvicinamento: Si attraversa la SS 301 in 54 Partenza: Cascina di Verva (m 2123). Itinerario automobilistico: Da Bormio Autunno 2010 prossimità del tornante dove sorge l'albergo Li Arnoga e si segue la strada bassa indicata da tabelle segnavia del Parco Nazionale dello Stelvio. Si imbocca la val Viola Bormina sul versante orografico sinistro scendendo dopo qualche chilometro (località Baite Paluetta, m 1938, km 2.5) fino al torrente Viola, lo si attraversa su di un ponte di cemento per proseguire, su una sterrata, verso la val Verva. La vallata corre da N a S e unisce val Viola e val Grosina. Dopo alcuni strappi si esce dal bosco e si arriva alla cascina di Verva (m 2123, ore 1:30). L a cresta Sinigaglia alla cima Piazzi deve il suo nome al Corno Sinigaglia (m 3316), la più appariscente delle torri che si traversano nella via, salito per la prima volta da Giorgio Sinigaglia in compagnia di Pietro Rinaldi (18 agosto 1897). La roccia è generalmente cattiva, uno gneiss frantumato che solamente in brevi tratti si presenta compatto. Le Montagne Divertenti Itinerario sintetico: Cascina di Verva (m 2123) - colle delle Pecore (m 2437) - Corni di Verva - Corno Sinigaglia (m 3316) - cima Piazzi (m 3439) - discesa per il versante SO (via Normale) - cascina di Verva. Tempo previsto: 15 ore per l'intero giro (10 ore per la sola cresta Sinigaglia) Attrezzatura richiesta: scarponi, corda (50 m), piccozza, imbracatura, ramponi, cordini, fettucce, 4-5 friend, alcuni rinvii, casco. Difficoltà/dislivello: 5+ su 6 / oltre 1800 m. Dettagli: Alpinistica D. Via lunghissima e complessa (IV obbligatorio) su roccia malsicura, possibili tratti innevati o ghiacciati. Richiesta ottima conoscenza dell'ambiente alpino. Mappe: Kompass foglio 72 - Parco Nazionale dello Stelvio - 1:50000. Lo sviluppo è notevole: dal colle dell Pecore alla vetta sono ben 4 km, che uno strabiliante Fabio Meraldi chiuse in sole 3 ore nel 1986 e che Giovanni Ongaro e Matteo Galli per primi (e unici per ora) vinsero in invernale nel febbraio 1993. A livello paesaggistico si domina il ghiacciaio tormentato che ricopre il versante N della cima Piazzi e i ben più dolci pascoli della val di Verva. Spesso nella prima parte della via le capre pascolano pochi metri sotto cresta e invitano gli scalatori a raggiungere i maggiori dei Corni di Verva aggirando da O tutte le prime difficoltà. Diabolica tentazione: le capre che vedete sono in realtà alpinisti tramutati in cornuti per aver millantato di aver fatto la cresta Sinigaglia senza averla percorsa integralmente! Cresta Sinigaglia alla cima Piazzi (m 3439) 55 Alpinismo 14 luglio 2010 lle 6 di mattina alla cascina di Verva (m 2123) le vacche son già sveglie, mentre un gran numero di Apache dorme nelle tende ad igloo. Gli passiamo accanto; qualcuno russa emettendo dei latrati disumani. Ci allontaniamo velocemente prima che il lupo mannaro si svegli e traversiamo decisamente verso N fino ad entrare nel vallone sfasciumato che sale verso l'evidente colle delle Pecore, ampia sella che mette in comunicazione la val Cardonè e la val di Verva. La traccia è discontinua, ma l'obbiettivo è ovvio e presto raggiunto (m 2437, ore 1). A Calata doppia traDivertenti l'ultimo dei Le Montagne Corni di Verva e il Corno Sinigalia 56 in corda (14 luglio 2010, foto Beno). Autunno 2010 Cresta Sinigaglia, sullo sfondo la vetta della cima Piazzi e il possente ghiacciaio (14 luglio 2010, foto Beno). D'ora in poi la via va letta con l'intuito, cercando i passaggi migliori. Dei principali problemi darò traccia in questa breve relazione che però, vista la lunghezza e la complessità del tragitto, non potrà mai essere del tutto esaustiva. La cresta Sinigaglia vista dall'inizio della via, poco prima del Corno delle Pecore (14 luglio 2010, foto Beno). Le placconate che portano al maggiore dei Corni di Verva (14 luglio 2010, foto Beno). Dal valico, prendiamo il canale detritico che sale ripido verso S e sbuca sui macereti a pochi minuti dalla sommità del Corno delle Pecore (m 2610). Un tratto di cresta pianeggiante, con qualche scalino nella roccia e ampie zone erbose, porta fino alla quota 2773, il primo dei Corni di Verva. Appoggiandoci a dx, ci abbassiamo con attenzione a una sella. Da qui, come da molte delle altre incisioni che incontreremo, capiamo che per qualsiasi necessità si può comodamente fuggire per il canalone detritico che scende in val di Verva. Ci spostiamo sulla dx e dopo un camino marcio (III+), per rocce più comode siamo al secondo corno. Oltre il successivo intaglio affrontiamo un delicato spuntone, quindi tocchiamo per rocce rotte le quote 2923 e 3079. Alla successiva depressione troviamo le maggiori difficoltà della via: saliti di qualche metro sulle rocce, ci portiamo per una cengetta sul lato della val Verva. Ci abbassiamo di 3 metri, attraversiamo un colatoio e ci arrampichiamo su un camino (IV) a cui segue un lungo diedro che ci fa ricavalcare la cresta, ora molto aerea fino al corno quotato 3135. Nuova- Alla ricerca del passaggio migliore (14 luglio 2010, foto Beno). Le Montagne Divertenti Cresta Sinigaglia alla cima Piazzi (m 3439) 57 Alpinismo mente un intaglio, ma questa volta arriviamo facilmente al maggiore dei Corni di Verva (m 3139, ore 5). Discesi per qualche metro disarrampicando, troviamo una prima sosta su chiodi per la discesa in corda doppia1. Con una calata (20 m) che obliqua verso sx ci portiamo alla seconda sosta (fettuccia), quindi obliquando ancora verso sx e calando quasi nel vuoto (20 m) siamo alla breccia. Una bella arrampicata per placche e canali ci regala il Corno Sinigaglia (m 3316), dove un paletto metallico con freccia segnala la sommità raggiunta. Ed ecco un'altra forcella, questa volta con neve e una prominenza centrale che, con qualche difficoltà, aggiriamo da sx. Inizia quindi un tratto più facile, ma di roccia a dir poco pessima. Tra pietraie e qualche muro da arrampicare, superiamo agevolmente gli ultimi su e giù che ci regalano la vetta (cima Piazzi, m 3439, ore 5). Oggi è brutto tempo, altrimenti da quassù il paesaggio è sterminato, visto che questo massiccio isolato è punto di vedetta sia sui vicini Ortles e Cevedale, sia sul più lontano gruppo del Bernina. cendiamo per la facile via normale, quella che calca la cresta S e i nevai e le pietraie del lato SO 2. 30 metri di semplici roccette (S, II) ci accompagnano ad una selletta. S 1 - Controllare gli ancoraggi! 2 - La via fu seguita per la prima volta in discesa da Damiano Marinelli, Battista Pedranzini e Alfonso Holskneckt nel 1876. 58 Le Montagne Divertenti Giorgio Sinigaglia Fabio Locatelli D i origini torinesi - come il più noto cugino Leone, musicista ed alpinista - nacque a Milano nel 1875; di formazione classica, si iscrisse al Politecnico di Milano frequentandone i corsi di matematica, poi nel 1897, divenne studente di Scienze Naturali alla facoltà di Pavia. Fu un appassionato alpinista e, già molto giovane (1893), compì numerose ascensioni nelle Dolomiti, su cime ancor oggi piuttosto note come il Pelmo, l’Antelao, il Cristallo, il Becco di Mezzodì ed altre. Altresì, nel tempo che trovava tra i suoi doveri di studente, fu autore di belle prime ascensioni in tutta la catena alpina: nel 1897 con Leone Sinigaglia e la guida Baroni tracciò la prima via sulla rocciosa parete orientale del pizzo Redorta, che prospetta il bacino di Coca; sempre nel 1897 compì la prima traversata della Grignetta da Ballabio a Mandello, percorrendo la notissima cresta che ora porta il suo nome. E nel medesimo anno salì in traver- Insistiamo verso S per poi smontare a dx per un lungo pendio di neve e ganda. Spostandoci gradualmente verso dx (N) arriviamo in vista del canalone delimitato dalle rocce del versante S della Piazzi e da una barriera rocciosa. A circa m 3000, all'imbocco del suddetto canalone, troviamo una rampa che obliqua sulla barriera rocciosa e ci riporta sull'orografica sx della valle dove ci lasciamo scivolare per chiazze di neve (O) fino sata il prospiciente torrione detto Corno Verva, che svetta sulla cresta della cima Piazzi e che sarà poi rinominato Corno di Sinigaglia, così come la cresta stessa. Nonostante la giovane età si rese subito interessato e partecipe alla vita della neonata sezione CAI di Milano, entrando a far parte del Direttivo e distinguendosi da subito per la solerzia e l’entusiasmo che lo resero noto ed amato; fu collaboratore della Climber’s Guide, per la quale intrattenne fitta corrispondenza con il rev. W. A. B. Coolidge, uno dei più famosi e coraggiosi alpinisti dell’epoca pionieristica. Nel 1898, per una furiosa quanto improvvisa ricaduta di tifo, dal quale credevasi esser ormai guarito, morì a Milano, a soli 23 anni. Un monumento fu a lui dedicato, con commossa e massiccia partecipazione dei più noti alpinisti, nel 1903 e posto in val Grosina, che tra tutti fu il luogo che in assoluto egli più aveva amato e frequentato. L'otto della Scala dei Pizzi Beno al laghetto di quota 2600. A stagione inoltrata comunque, il passaggio delle persone scava nella ghiaia una traccia ben riconoscibile che facilita l'individuazione del percorso corretto. Dal lago, senza aver più via obbligata, continuiamo per pascoli verso ONO fino ad intercettare e seguire la strada sterrata (dx) che scende alla cascina di Verva (m 2123, ore 2:30). Autunno 2010 Marsciana vista da Carnale (31 Le Montagne Divertenti ottobre 2009, foto Marino Amonini). L'otto della scala dei Pizzi 59 Versante Retico Escursionismo Monte Rolla (2277) Bocc. Valdone (2176) L' Monte Canale (2523) Marsciana L Pra Scervera Cagnoletti Involto Gualtieri Bressia Valdone Cà Ceschina Arquino Il tracciato dell'otto della Scala dei Pizzi visto dalla strada che da Arquino sale in val di Togno (23 luglio 2010, foto Beno). Bellezza Fatica Pericolosità - Partenza: Arquino (m 475). Itinerario automobilistico/ciclistico: da Sondrio, piazza Garibaldi, si prende la strada che costeggia il Mallero e pianeggia verso N fino al ponte del Gombaro. Si passa vicino al complesso industriale "Fossati", quindi, attraversata una fascia di vigneti, si giunge a Ponchiera. Al termine della frazione, la strada entra nel bosco e pianeggia per 1.5 km fino all'abitato di Arquino. Lasciare la macchina o la bici (30' pedalando piano) nel parcheggio che precede il ponte sull'Antognasco (lì è pure la fermata del bus che parte da Sondrio, 4.5 km). Itinerario Vol. 1 , bardia ap 1 ied i in Italia DIA R A B LOM in ida. na gu ito i gran e ar di calc a 2 ba in Lom piedi 1 rdia e razion team di da un ia di med : natori regione ono la anzoni, isl ardo Gh ordinato co tti. Ha ra alpina ltu o e cu i a pied GA SPLU A g ekkin ni e tr ursio atura n te, esc eggia erta della ss a p 74 op alla sc sintetico: Arquino (m 475) - Gualtieri (m 624) - Cà Ceschina (m 630) - Involto (m 701) - Cagnoletti (m 723) - Pra Scervera (m 934) - Marsciana (m 1231) - Pizzi (m 1036) - La Masun (m 1004) - scala dei Pizzi (m 900 ca) Guzzun - Bressia - Involto - Cà Ceschina - Arquino. Tempo di percorrenza: 4 ore. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà: 2 su 6. Dislivello in salita: 756 metri. Dettagli: EE. Escursione su sentieri segnalati o carrereccie, nel tratto Masun - Guzzun la via è piuttosto stretta e un po' esposta. A piedi in Lombardia vol. 1 Una guida ai sentieri più belli delle Alpi e Prealpi lombarde 74 passeggiate, escursioni e trekking alla scoperta della natura E' da poco in libreria la terza edizione completamente rinnovata della guida “A piedi in Lombardia” (Iter Edizioni, 264 pagg., € 14), curata da un team di autori – escursionisti, alpinisti, giornalisti e accompagnatori di media montagna – esperti frequentatori delle montagne lombarde, coordinati da Beno e Giorgio Orsucci. Dalle nevi perenni del pizzo Bernina ai laghi di Como e della Brianza, dal pizzo Coca al lago Maggiore, con passeggiate classiche e frequentate, ma anche con una moltitudine di itinerari insoliti e sorprendenti che per la priva volta han voce in una guida. E così, scarpinando dai vigneti alle immani torri di granito della Valmasino, dalle riviere fiorite fino alle guglie di calcare del lecchese, escursionisti ed amanti della natura - di ogni gamba e preparezione - troveranno in questo volume una ineguagliabile fonte di ispirazione per il proprio tempo libero. :09 /10 15 09/07 0 E 14,0 60 Le Montagne Divertenti otto della Scala dei Pizzi è un itinerario escursionistico che prende il nome dalla scala in pietra che supera un salto roccioso nel collegamento tra Cagnoletti e la contrada Pizzi nel comune di Torre Santa Maria. In particolare d'autunno regala colori e quadri di rara bellezza. a planimetria del tracciato è un otto il cui lobo inferiore, quello che sale da Arquino a Gualtieri, attraversa il ponte del Valdone e ridiscende ad Arquino, è una passeggiatina da un'oretta scarsa, ideale per digerire la polenta della domenica tra bei sentieri e l'orrido del ponte; il lobo superiore, quello che culmina alla panoramicissima Marsciana, richiede invece 3 ore di cammino e un po' di attenzione nella discesa dai Pizzi a Cagnoletti. Per raggiungere il punto di partenza consiglio vivamente di evitare l'auto, tant'è piacevole la pedalata in bici/ passeggiata da Sondrio ad Arquino. otto della Scala dei Pizzi è ottimo pure per chi si vuole allenare per la corsa in montagna su un tracciato con discesa tecnica e salite ripide immerse in un fresco bosco di latifoglie. Io stesso lo faccio di frequente partendo da casa mia a Montagna. Le tempistiche? Dipendono ovviamente dalla vostra gamba. In configurazione "lento defaticante" ci vogliono 2 ore scarse a compiere l'otto, a "fuoco" sono riuscito in 32' a salire da Arquino a Marsciana per chiudere il giro in 1 ora. Autunno 2010 L' itinerario Arrivati ad Arquino, piccolo borgo alla confluenza tra la val di Togno, la Valmalenco e la valle del Valdone, abbandoniamo la carrozza al parcheggio che precede (per chi proviene da Ponchiera) il ponte sull'Antognasco. Questo torrente dalle acque limpide discende dalla val di Togno e nella sua parte bassa, quella proprio al di sopra dell'abitato, genera delle splendide forre dove i ragazzi vanno d'estate a fare bagno e tuffi. Già da qui possiamo individuare tutte le principali tappe della nostra salita, tra cui Marsciana, l'alpeggio che sormonta l'imponente fascia rocciosa a NO di Cagnoletti. Attraversato l'Antognasco, prendiamo l'antico ponte sul Mallero (ora solo Le Montagne Divertenti ad accesso pedonale), quindi attraversiamo la strada principale e iniziamo a salire su asfalto (SO). Al primo tornante troviamo i cartelli segnaletici. Noi prendiamo lo sterrato a sx, attraversiamo il ponte sul Valdone e, giunti in un frutteto, pieghiamo a dx e incominciamo a salire il ripido e tortuoso sentiero per Gualtieri. Non ci sono nè bolli nè segnavia, ma la traccia è evidente. In circa mezz'ora di cammino siamo all'antica contrada, al centro della quale troviamo una fontana che reca incisa la data 1888. Entriamo nel portico a dx (N) della fontana e, tenendo la dx, attraversiamo l'antico e suggestivo nucleo per sbucare nel piazzale a S del gigantesco ponte del Valdone. Qui vi sono le baracche/ufficio della Impregilo. Uno stretto marciapiede tra il guard rail e le reti di protezione ci accompagna lungo il ponte fino a Cà Ceschina (m 630 ca, ore 0:35). Sulla dx scende il tratturo che riporta ad Arquino, noi invece attaversiamo la SP 15 e imbocchiamo il sentierino che costeggia le reti a protezione di un'opera dell'acquedotto e, dopo 2 curve (sx), esce dal bosco e pianeggia a fianco di un muretto fino ad una stalla, per poi tornare a salire (dx) fra gli ultimi vigneti/meleti ed emergere nel cuore La chiesa di San Pietro a Cagnoletti (23 luglio 2010, foto Beno). L'otto della scala dei Pizzi 61 Versante Retico Escursionismo 62 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 di Involto, uno dei tre nuclei storici di Cagnoletti. Ripresa l'asfaltata saliamo fino alla chiesa di San Pietro (XVI sec.), da cui si domina l'intera valle. Una rampa acciottolata ci porta a Cagnoletti propriamente detto. Le sue case, in parte ristrutturate, in parte fatiscenti, sono a testimonianza dell'antica architettura rurale della Valmalenco. Per via non obbligata, ci portiamo nella parte alta della contrada, dove possiamo ammirare un fienile in ottimo stato di conservazione. Il sentiero ora non fa più sconti di pendenza e prende quota fino al caratteristico avvallamento pascolivo di Prà Scervera (m 934). Qui gli splendidi colori autunnali delle latifoglie fanno da cornice alle baite a secco dei pastori. Sull'altra sponda si notano i cavi delle teleferiche che un tempo mettevano in comunicazione tutti gli alpeggi della valle del Valdone. Avanziamo ancora paralleli al corso della valle (O) fino a incontrare il bivio Fiessa1 (sx) - Marsciana/ Pizzi (dx). Preso a dx, dopo qualche curva ed esserci spostati più ad E2, saliamo una dozzina di tornanti ravvicinati fino al bivio che a sx ci porterebbe in 5' alla Marsciana di Cagnoletti, alpeggio completamente abbandonato. Pianeggiando verso dx arriviamo a Marsciana (m 1231, ore 1:30), splendido balcone panoramico posto sulla spalla orientale del monte Canale. Da Marsciana si ha un'ottima visuale sia sulle più alte vette della Valmalenco (gruppi del Bernina, del Sella-Glüschaint e delle Tre Mogge), sia sulle vette delle Orobie, nonchè sugli abitati di Sondrio, Ponchiera e Mossini. Marsciana era un alpeggio di transito: i pastori in primavera, durante la trasumanza verso i pascoli alti, e d'autunno, quando tornavano ai Pizzi, vi si fermavano una ventina di giorni. A Marsciana scarseggiava l'acqua, per cui furono costruite delle cisterne di calcestruzzo per raccogliere quella piovana incanalata dalle grondaie delle abitazioni. Quando pure questa finiva i pastori erano costretti ad andare a prendere l'acqua coi gerli o alla piccola sorgente a Prà Curati, o addirittura al torrente Valdone. I prati sono ora a sterpaglie e, eccezion fatta per un paio di baite, è tutto in rovina. a Marsciana ci abbassiamo leggermente traversando verso N fino ad imboccare e seguire in discesa per 2 tornanti la strada che da Torre sale ai Piasci. Al termine del secondo tornante ha inizio un lungo traverso (N) che porta ai Pizzi. Smontati dalla rotabile (dx), per sentierino scendiamo lungo i prati, quindi, oltre la prima fila di case, traversiamo la contrada verso SSE per giungere alla chiesetta dei Pizzi (m 1036, ore 0:30)3, nei pressi della quale si trova un bivio. E' quantomeno ironica la freccia che segnala i Bianchi a 40', puntando proprio in direzione N uno sbarramento di ortiche che l'incuria ha fatto crescere fino a 1 metro e mezzo di altezza! rendiamo a SSE il sentiero pianeggiante che si immerge nel bel bosco di latifoglie e arriva al maggengo abbandonato "La Masun", che in dialetto significa "fienile". La segnaletica su paletti verticali qui invita ad abbassarsi di qualche metro, per poi proseguire nel lungo traverso (S). Il tratto successivo taglia una scarpata abbastanza scoscesa ed il sentiero è talvolta molto stretto. Si sconsiglia pertanto ad escursionisti non esperti di avventurarsi da queste parti in caso di pioggia, neve o ghiaccio. D'improvviso, quando la via pare interrompersi con un salto nel vuoto, una scala in pietra, la Scala dei Pizzi, ci aiuta a superare il dislivello e avanzare. In breve siamo al tratto più suggestivo dell'intera passeggiata: Guzzun, un avvallamento di pochi metri sovrastato da due grandi massi appuntiti. Si dice siano residui di una frana paleolitica avvenuta circa 10000 anni fa e dovuta al ritiro dei grandi ghiacciai quaternari. Gli alberi coi fusti alti e dritti, il tappeto di muschi verdi e foglie ingiallite non fanno che completare la magia del posto. Mancan solo gli 1 - Sicuramente questa piccola contrada merita una visita, distando solo 5 minuti dal bivio. 2 - In questo tratto è frequente incontrare i cervi. 3 - Cartelli in loco, mappe e libri discordano sulle quote. Come riferimento altimetrico in questo articolo è usata l'IGM. Le Montagne Divertenti D gnomi! Ma continua la discesa. Incontriamo il sentiero che a dx sale alla bella falesia del Valdone, mentre la nostra via si fa piana e diventa una strada sterrata che attraversa i prati di Bressia. Ed eccoci di nuovo sull'asfalto. A S si vede la bella chiesetta di Involto4, da cui arriviamo a Cà Ceschina (m 630, ore 1) ripercorrendo l'itinerario di salita. Senza tornare a Gualtieri, scendiamo direttamente per comodo tratturo5 tra vigne colte e incolte fino ad Arquino (m 475, ore 0:25). 4 - Nella conca fra Bressia e Involto sono stati trovati alcuni graffiti (distrutti negli anni '70), segno di insediamenti preistorici forse favoriti dall'antica presenza di un piccolo lago. 5 - Questa stradicciola a tornanti è chiamata in dialetto Turnaché, dal francese tourniquet. P Cagnoletti (23 luglio 2010, foto Beno). Verso Guzzun (25 maggio 2010, foto Beno). L'otto della scala dei Pizzi 63 Escursionismo Monte Mater la sentinella di Chiavenna Beno Monte Mater (2415) Cima Fariolo Il monte Mater (m 2415) e l'ultimo tratto dell'ascesa. Per evitare la disarrampicata dall'anticima (II), obbligatoria dalla quota 2100 (grande ometto) si decide di mantenere il filo di cresta, si può preventivamente scendere nelle pietraie a dx e sfuttare uno dei faticosi canali detritici per guadagnare la vetta. (12 giugno 2009, foto Gianni De Stefani). Bellezza Partenza: 10° tornante della strada che da San Fatica Itinerario automobilistico: da Chiavenna si segue la SS 36 dello Spluga fino a S. Giacomo Filippo (m 552), quindi si prende a sx la deviazione per Olmo. Si lascia la macchina al 10° tornante, dove c'è una casetta ristrutturata e un piccolo parcheggio. Calones Pericolosità Zecca Costa Tegial Giacomo sale a Olmo (m 839). Itinerario sintetico: parcheggio (m 839) - Sommarovina (m 956) - Tegial - alpe Calones (m 1407) - cima Fariolo 2180 ca - monte Mater per cresta ESE (m 2415) - crestina delle Colmanette (NE) - lago Grande (m 1888) - Laguzzolo (m 1768) Zecca (m 1162) - Olmo (m 1056) - parcheggio. Tempo di percorrenza: 8 ore. Attrezzatura richiesta: scarponi. Difficoltà: 3 su 6. Dislivello in salita: 1600 metri. Dettagli: EE. Itinerario selvaggio che necessita conoscenza della montagna: la parte alta della salita si svolge su tracce labili, dall'anticima alla vetta c'è un canalino da disarrampicare (10 m, II; aggirabile faticosamente per i ghiaioni); la discesa fino al lago Grande è priva di sentieri. Mappe: Kompass foglio n.92, Valchiavenna e Val Bregaglia, 1:50000; Olmo Sommarovina Motta di Olmo parcheggio (839 Il monte Mater (m 2415) visto da Agunc (13 ottobre 2009, foto Roberto Moiola). 64 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Monte MonteMater Mater(m (m2415) 2415) 65 Valchiavenna Approfondimenti Sommarovina T Sergio Scuffi e Guido Scaramellini S La chiesa di S. Giacomo a Sommarovina (11 marzo 2005, foto Sergio Scuffi). diretti soprattutto verso l’Austria e l’Ungheria, dove facevano generalmente gli spazzacamini. Ne fa fede ancor oggi la grande croce cimiteriale fusa in ferro con una targa dalle tipiche lettere in rilievo, attestante il dono dei patrioti, cioè degli emigrati nel regno austro-ungarico nel 1886 (anno importante per la valle, perché a Chiavenna arrivò il treno). Anche altre tabelle in ferro sono fuse come questa e provengono quasi certamente dall’Austria, non essendo tale fattura presente in altri cimiteri della valle. Le famiglie originarie di Sommarovina, come i Bedognetti, i Belella, i Fontana, i Giovanettoni, i Mastai, i Masolini ecc., sono tuttora presenti a Chiavenna e nei paesi del piano. Ora le case, in gran parte ristrutturate (grazie all’uso prima della teleferica e da alcuni anni della strada carrozzabile), sono divenute abitazioni per vacanze. 66 Le Montagne Divertenti ommarovina è un borgo nel comune di San Giacomo Filippo, a quota 956, raggiungibile da una pista che si dirama da un tornante della strada per Olmo e San Bernardo (parcheggio presso alcuni rustici ristrutturati), attraversando la val Genasca e continuando verso S. Il paese sorge in una posizione panoramica, da cui si può scorgere tutta la val Bregaglia italiana e buona parte del piano di Chiavenna. Il nucleo fino alla metà del ’900 era permanentemente abitato, con prati ben curati, orti, campicelli, molte piante da frutta. La chiesa dedicata a San Giacomo fu benedetta il 4 ottobre 1667. Il campanile fu eretto nel secolo successivo. Nel piccolo cimitero a lato, la cappella, con graziosa abside semicircolare, fu costruita nel 1768 e decorata con affreschi raffiguranti nella volta il Giudizio Universale. Questi ultimi, attribuiti a Giovan Giacomo Rieg di Somvix nei Grigioni, sono stati restaurati da Ornella Sterlocchi di Chiavenna per conto del Centro di studi storici valchiavennaschi tra il 2007 e il 2008. A spese dell’amministrazione comunale è pure stata rifatta la tipica copertura in piòte locali e sistemato tutto l’apparato murario. cominciare almeno dal ’500, molti emigranti partirono da Sommarovina A Gli affreschi della cappella del cimitero di Sommarovina (11 marzo 2005, foto Sergio Scuffi). Autunno 2010 anto era originale il nome, di monte Mater in Valchiavenna ne sono stati battezzati ben 2: quello famoso a m 3023 in alta valle di San Giacomo a S del pizzo d'Emet, e quello meno noto a m 2415, una sentinella che si eleva a O di Chiavenna, alpinisticamente eclissata dalla vicinanza del bel Pizzaccio, la cima più alta della dorsale che separa la valle del Drogo a N da quella della Forcola a S. Non sarà una cima altissima, nè da mettere a curriculum, ma il monte Mater (m 2415) merita sicuramente una visita per la bellezza del paesaggio che si gode dalla vetta e dalle parti alte delle sue creste. Per arrivare in vetta non ci sono sentieri, ma solo piste evanescenti, tracce delle capre e gande su cui improvvisare una direzione; ciò vale a dire che bisogna sapersi ben muovere in montagna. Su consiglio dell'amico Gianni De Stefani, propongo questo anello che ha come punto più alto il monte Mater (m 2415), raggiunto passando per Sommarovina e Calones e disceso per il lago Grande e Laguzzolo. 22 luglio 2010 Mi sveglio alle 5 di mattina per andare di corsa con Andrea a fare colazione al rifugio Carate, alle 10 sono di nuovo a casa, faccio un po' l'agricolo, pranzo, mi rimetto in macchina, consegno a Piuro il quadro - premio del concorso del n. 13 della rivista-, consegno riviste all'edicola di Campodolcino e alle 16:42 sono al parcheggio al decimo tornante della strada che da S. Giacomo-Filippo sale ad Olmo. Maledico le troppe cose che ho voluto fare oggi, i 30°C e quanto dovrò correre per chiudere il giro prima che la notte mi mangi. Il cielo è nero e qualche tuono lascia presagire la fine del mondo. Nello zaino ho solo k-way, cartina e la macchina fotografica che, visto il meteo, mi servirà a poco. Prendo la strada che si diparte a sx del tornante (S) e m'incammino sullo stesso tracciato del Trofeo Simone Manzi, bella gara di corsa in montagna che si correva ad agosto. La pista sale gradualmente inoltrandosi in val Le Montagne Divertenti La pala erbosa che porta alla cresta SE del monte Mater (12 giugno 2009, foto G. De Stefani). Genasca1, passa in galleria sotto una cascatella e raggiunge un bivio. Prendo a dx in salita verso Sommarovina alta. Per fortuna ben presto il sentiero bollato si distacca dalla rotabile e, dopo essersi tuffato nel bosco, emerge a Sommarovina2, dove ad attrarmi, qualche metro più sotto (cartello), è la chiesetta (m 956, ore 0:35). E' posta su un poggio panoramico da cui si ammirano la bassa val Bregaglia, la testata della val Schiesone con l'imponente parete N del pizzo di Prata (m 2727) e il monte Beléniga (m 2639) più a sx. Svettano anche le cime della val Codera e della val Masino, ma l'angolazione insolita le rende difficili da riconoscere. In basso è invece Chiavenna. Ritornato al sentiero, passo fra le baite di Sommarovina fino ad un bivio dove seguo a dx per Cigolino (indicato a 45'). Dopo un traverso (SE), il sentiero sale più deciso fino alle baite di Tegial, quindi piega nuovamente a sx, entra nel bosco e raggiunge una provvidenziale fontana, dove a dx c'è il bivio per Calones, indicato a caratteri cubitali su un muro di cemento. La salita è rapida e ripida, fino a due baite in un pratone. Lo attraverso (S) e scorgo la rotabile per l'alpe. Il sentiero la evita e taglia il tornante, quidi sbuca a Calones (m 1407, ore 1:15). 1 - La val Genasca scende direttamente a E del monte Mater. 2 - Deve il suo nome alla frana, ben visibile dal fondovalle, che si trova più a S, sul lato settentrionale del dosso Cigolino. Un pastore fuma vicino al suo Ape. Gli passo accanto affannato. Sono le 17:15. Senza che io gli dica nulla punta il dito verso l'alto e, indicandomi il monte Mater (o meglio la sua anticima), vista l'ora mi invita a limitarmi a guardarlo da lì con lui. Gli dico che un'ora e mezza sarà sufficiente. "Anche meno!?" ironizza l'uomo dalla barba bianca. Proseguo fino alle baite alte dell'alpe, dove le mucche sono sdraiate e ruminano il loro pasto. Mi si attacca dietro uno sciame di mosche e tafani: non potrò più rallentare o verrò mangiato. A testa bassa risalgo il crinale (ONO), quando è possibile seguendo una debole traccia. Attraverso boschi e incontro alcune fontane, mentre il mio obbiettivo, l'ometto in cima la pala erbosa a NO, pare molto lontano. Continuo a perdere la traccia, a sbucciarmi le gambe con ginepri, maross, marovin e erbacce varie di cui non so il nome. Ogni tanto passo proprio sul bordo alla cui sx precipita la valle della Forcola: un bel paesaggio che ha la sua perla nell'alpe Cima, di cui si distingue il campanile bianco. Più salgo più gli infestanti pungono, specialmente i ginepri che ricoprono la via fuori dal bosco. Un paio di ometti di pietra, di fettucce appese ai pali e uno scheletro di capra mi confermano l'esattezza della direzione. Ho una sete tremenda e pioviggina. Su al dritto per i prati cerco di uscire dalla ripidissima pala erbosa che si vedeva anche da Monte Mater (m 2415) 67 Valchiavenna Escursionismo Calones. Per facile cresta raggiungo il gendarme (m 2180 ca., ore 2). Sempre sul filo di erba, erba iva e roccia seguito verso la vetta del monte Mater, che ora si palesa e sembra ancora molto lontana. Sulla dx c'è un grande vallone colmo di pietroni grigi d'ogni calibro e decido perciò d'evitarlo3. Raggiungo l'anticima, separata dalla cuspide finale da una breccia. Vi discendo con molta attenzione per il canale sulla dx (II, 6 metri), quindi traverso su roccette fino all'intaglio, da cui proseguo un po' per rocce un po' per erba fino alla vetta (monte Mater, m 2415, ore 1). Sono le 18:40 e mi godo i 5 minuti di vantaggio sulla tabella di marcia seduto su un massone a contemplare l'orizzonte, il cielo nero verso il lago di Como e le lame di luce che trafiggono le nubi nella valle del Drogo. Dalla vetta si dipartono 4 creste: quella SE è la mia di salita, la cresta O raggiunge il Pizzaccio e assieme a quella N delimita il bacino dove si trova Lendine; a NE un crestone molto lungo s'abbassa verso il Pizzetto e poi si perde nelle pietraie. A NNE si vedono chiaramente il lago Grande e Laguzzolo. Tutto quel che devo fare è arrivare al lago Grande, poi di lì, correndo giù per il sentiero, in poco sarò alla macchina. Mi guardo in giro, ma non si capisce quale sia il percorso più rapido. Sottocresta a dx le capre hanno solcato la terra col loro passaggio, un invito da non rifiutare: in breve per questa traccia sono su un tratto pianeggiante della cresta. Il cantiere delle cornute s'è fermato qui. Smonto a sx per il primo canale utile e mi lascio trasportare dalle frane giù fino alla grande ganda che sovrasta a S il lago. La attraverso per ritrovarmi in una vallecola di grosse pietre, larici e rododendri. La scendo cavalcando i massi, piuttosto che i simpatici arbusti sotto cui si cela sempre un buco. Ecco finalmente il bel lago Grande (m 1888, ore 1:15) e, dopo una salitina, l'agognato sentiero che comodamente giunge a Laguzzolo. La mia corsa è salutata dall'ovazione degli 3 - La via più semplice, benchè non la più veloce, passa per il vallone e si porta in vetta grazie a uno dei faticosi canali detritici che scendono dalle pendici orientali del monte Mater. 68 Le Montagne Divertenti La Valchiavenna dalla cresta occidentale del monte Mater (febbraio 2009, foto Beno). asini. Fiero del riconoscimento e carico anche di parte del loro sciame di insetti, compio un lungo traverso (E), prima di piegare a sx (N), attraversare i pascoli abbandonati di Zecca e scivolare fino a Olmo (m 1056, ore 1:45). Alla chiesa prendo la strada asfaltata (dx). Oltre le case del successivo nucleo (Motta di Olmo), la bandierina bianco rossa annuncia che finalmente il sentiero si decide a tagliare (sx) i tornanti e accorciare la mia pena. Grazie al cielo qui se ne sbattono di pulire i sentieri e le ortiche mi aiutano a prevenire l'artrosi in vecchiaia. Ma dove sarà il tornante n.10? La Kompass qui è precisa come la bindella nel misurare lo spessore dei capelli. Di tornanti ne segna 6 su 18 e per di più indica un fantomatico sentiero che costeggia tutti i tornanti pari (salendo, quelli destrorsi). Capisco che la fantasia non ha limiti e cerco di ragionare. Non vorrei mai abbassarmi troppo, così, dopo il primo taglione e un taglio brevissimo su scalinata di Savogno cemento nei pressi di un tornante dispari con casetta, vedo a S, all'incirca alla mia altezza, Sommarovina. Opto per rimanere sullo stradone asfaltato: non mancherà molto. Faccio bene: due curve e sono al parcheggio, che mai avrei trovato se mi fossi abbassato ancora per sentiero (m 839, ore 0:30). Sono le 20:15, puzzo da fare schifo e ho una fame boia. Chiamo a casa ordinando di uccidere il vitello grasso e salgo sul Panda che mi condurrà fino alla tavola imbandita. R i f u g i o Il rifugio Savogno sorge nell’omonimo borgo raggiungibile a piedi, partendo da Borgonuovo di Piuro e seguendo la vecchia mulattiera. L’apertura è annuale. Oltre ad offrire la possibilità di trascorrere la notte, il rifugio prepara anche deliziose pietanze. Menù: garganelli al ragù di cinghiale, stinco alla birra con polenta e verdure, semifreddo cioccolato e menta, vini sfusi e in bottiglia della casa vinicola "Mamete Prevostini" . A Savogno d’inverno si possono compiere meravigliose passeggiate. Il grande ometto sulla cima Fariolo a m 2180 ca (12 giugno 2009, foto Gianni De Stefani). Autunno 2010 Locali tà Savogno - Piuro (So) - Te l. e Fa x O343.34699 - w w w.s avogno.i t - r if ugio@s avogno.i t Le Montagne Divertenti Monte Mater (m 2415) 69 Passo dopo passo Escursionismo Diario di Viaggio di Antonio Boscacci Valchiavenna La valle del Saiento Hanno cambiato l’ora legale e quindi si dovrebbe dormire un’ora in più. Mi alzo come faccio da mesi alla stessa ora e parto da Sondrio che sono quasi le 7. Attraverso una città ancora addormentata, con una pioggerellina sottile sottile che mi costringe ad aprire quasi subito l’ombrello. Le montagne intorno, in un cielo che si sta lentamente schiarendo, appaiono avvolte da dense cortine di nuvole. Mentre mi dirigo verso i Trippi, camminando lungo la pista ciclabile al bordo della strada, osservo, ancora distesa sui prati, una spessa coltre di nebbia. L’umidità del mattino che si sta aprendo al giorno sembra per un momento sollevarsi e svanire. Attraverso la statale 38 ai Trippi e imbocco 29 novembre 1998 rima di uscire dalle case di Sondrio, incontriamo un nostro vecchio amico, Felice, che fa l’autostop. Gli diamo un passaggio perché sappiamo che dobbiamo andare più o meno dalle sue parti. Infatti lui tutte le domeniche lascia Sondrio e torna a casa sua a Rogorbello. E noi abbiamo deciso di andare a Nova, altra frazione di Vervio. Salendo verso Tirano, chiacchieriamo di maggenghi e lui ci dà qualche notizia sull’itinerario che abbiamo intenzione di percorrere. Lo lasciamo a Vervio e, seguendo una strada parallela al corso dell’Adda, arriviamo a Nova, che è l’ultima contrada di Vervio sul confine con il comune di Lovero. archeggiamo l’auto poco più avanti, nei pressi di un crocifisso. Qui, al posto di questo piccolo monumento, c’era un tempo una costruzione che veniva utilizzata dalla guardia comunale di Lovero per P Pradil (22 novembre 2009, foto Antonio Boscacci). Bellezza Fatica - Partenza: bivio per Nova (poco oltre il ponte di Lovero) (m 520). Itinerario automobilistico: da Tirano proseguire sulla SS 38 per 5.5 km, quindi uscire a dx per Lovero. Proseguire fino al ponte di Lovero e prendere il bivio per Nova (6.5 km da Tirano). Itinerario Pericolosità - 70 sintetico: bivio per Nova (m 510) - Le Baite (m 666) - Bollata (m 825) - La Possola (m 1085) - Pradil (m 1320) - torrente Saiento (m 1330) - Calunga (m 1285) - Quattro Rui (m 1081) - Rogorbello (m 785) - Nova (m 522) Dislivello in salita: 800 m. Dettagli: E/EE, sentieri inghiottiti dalla vegetazione in alcuni tratti. Carte: Fogli LOVERO e GROSIO dell’Istituto Geografico Militare 1:25000 foglio VAL POSCHIAVO – MORTIROLO della Carta Tecnica della Comunità Montana Valtellina di Tirano 1: 25000 foglio TIRANO-VAL POSCHIAVO ediz. Multigraphic 1:25000 (su base IGM). Tempo per l'intero giro: 4-5 ore. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà: 1-2 su 6. Le Montagne Divertenti Autunno 2010 P Le Montagne Divertenti controllare, durante la notte, che non ci fossero furti nelle vigne circostanti. Saliamo verso la montagna e, fortunatamente, incontriamo due persone che stanno potando le piante di un meleto. Fa molto freddo e ci sembra strano che, con quel freddo, abbiano già cominciato a potare. «Cominciamo adesso che non c’è il sole, perché quando arriva sarà ancora più freddo». Strana teoria questa, che non avevo mai preso in considerazione. Ci spiegano molto bene che strada dobbiamo prendere e ci incamminiamo verso le ultime vigne. Che questa fosse un tempo una terra piena di vigneti, lo dimostrano molto bene i resti dei numerosissimi piccoli terrazzi ricavati sui ripidi fianchi della montagna ben oltre il limite attuale del bosco e ce lo conferma il nome stesso della zona: Vignai. Superato un ruscello, lasciamo la la strada per Piateda, osservato, mentre attraverso il ponte sull’Adda, da un grosso corvo nero appollaiato su un grande albero. Leggo gli avvisi di una pesa pubblica e, poco dopo, mi infilo a sinistra lungo una strada sterrata che mi porterà a Piateda. Chiedo conferma ad un contadino mattiniero, intento a spargere letame sull’argine di un fosso e lui annuisce. La pioggia cessa e posso infilare l’ombrello dentro lo zaino. Ma è una tregua di brevissima durata perché, fatti duecento metri, la pioggia riprende più vigorosa di prima. E’ una pioggia fastidiosa e, quando passo davanti al centro sportivo e al municipio di Piateda, mi accorgo di avere le scarpe già per metà bagnate. stradicciola che stiamo percorrendo per prendere sulla destra, una larga mulattiera selciata, che sale tra gli ultimi vigneti e passa accanto a una costruzione dove stanno, ben allineate, alcune decine di arnie. Era da qualche anno che, transitando sul fondovalle, mi ero riproposto di salire a guardare da vicino questo apiario. Poco sopra incontriamo il gruppetto di abitazioni della località Le Baite (m 666); qualche metro oltre le case, imbocchiamo a sinistra la vecchia mulattiera ingombra di vegetazione e raggiungiamo le baite di Bollata (m 825), dove arriva anche la stradicciola che abbiamo seguito per un tratto alla partenza. Sopra Bollata la mulattiera, sempre soffocata dalla vegetazione, ma visibile, compie un'improvvisa inversione verso ovest e diventa pianeggiante, passando sotto una fascia rocciosa. Qui ci sono le tracce evidenti di un La valle del Saiento 71 Escursionismo Passo dopo passo Possola (22 novembre 2009, foto Luisa Angelici). incendio che ha devastato la zona e, a macchia di leopardo, tutto il versante sud del monte Masuccio. Contornata la fascia rocciosa, la mulattiera torna verso est. Passata la baita bruciata di Muiana (m 960), sfioriamo il maggengo di Rella (m 1075) e arriviamo a Possola (m 1085), un minuscolo gruppetto di baite con un vecchio crocifisso di legno che ci indica l’imbocco della larga mulattiera per Pradil. Seguiamo la mulattiera acciottolata, che si sta riempiendo di vegetazione, ma è ancora ben percorribile. Con lunghi zigzag (c’è un po’ di neve nelle zone in ombra) superiamo una fascia di bosco ripido e usciamo accanto ai resti delle baite più basse (m 1275) del maggengo di Pradil e poi saliamo al gruppetto più in alto (m 1320). Siccome è quasi mezzogiorno, ci 72 Le Montagne Divertenti fermiamo a mangiare sulle scale in pietra di una baita, appoggiando la schiena a una vecchissima porta di legno. I chiodi che servono a tenere insieme le assi della porta hanno grosse teste e sono stati fatti a mano. Il buco in basso per far passare il gatto è stato chiuso usando un pezzo di badile rotto. Il panorama sulla valle dell’Adda e soprattutto sui monti di fronte, che appartengono ai comuni di Sernio, Lovero, Tovo di S. Agata e Mazzo, è abbellito da vezzose nuvolette arricciate, che disegnano lunghe scie in un cielo azzurro intenso. La neve mette in risalto i maggenghi, che appaiono come delle macchie bianche sul fondo scuro dei boschi. Con la cartina in mano, cerchiamo di individuarne almeno i principali. In alto, al di sopra dei maggenghi, appare la lunga linea bianca della strada che da Trivigno raggiunge il passo del Mortirolo. Pradil è il più ampio dei maggenghi che abbiamo incontrato salendo. Vi si può arrivare anche lungo una stradicciola che si stacca dalla strada che da Baruffini sale a Pra’ Campo. Lasciamo le baite allineate di Pradil e seguiamo un sentierino pianeggiante che dovrebbe portarci, secondo i nostri calcoli, sulla sponda opposta della valle Saiento. Superato un dosso, il sentierino taglia il fianco destro della valle, seguendo quello che un tempo era il piccolo canale di derivazione dell’acqua per gli usi del maggengo. Poiché la zona è in ombra, sul sentiero sono rimasti alcuni centimetri di neve. Arriviamo al torrente e troviamo una spessa lastra di ghiaccio. In alto c’è una grande cascata ghiacciata, sotto la quale si sente comunque rumoreggiare l’acqua, che scende dai laghi di Schiazzera, situati nella parte alta del vasto alpeggio omonimo, nei pressi del confine con la Svizzera. L’attraversamento del torrente è facilitato dalla presenza sul ghiaccio di uno strato di neve che aiuta a non scivolare. aggiunta la sponda opposta e fatti pochi metri, il sole ci accoglie di nuovo e la temperatura sale di almeno 20 gradi in un attimo. Il sentierino che percorriamo taglia il fianco sinistro della valle Saiento con qualche saliscendi, poi confluisce in una larga mulattiera che più ripida non si può. La mulattiera passa davanti a una baita ristrutturata (m 1318) e scende sulla strada che da Vervio sale a Susen nei pressi del maggengo di Calunga (m 1285). Passiamo davanti al gruppetto più basso di queste baite, che si affaccia sulla strada (accanto a un tornante della stessa) e che probabilmente, per la sua forma, ha dato il nome alla località. Scendiamo lungo la strada ed incontriamo le baite di Pestai (m 1175), poi passiamo sopra a quelle del Sasso del Sole (m 1102) e incontriamo il gruppetto di baite di Quattro Rui (m 1081). Qui lasciamo la strada e R Autunno 2010 Diario di Viaggio di Antonio Boscacci imbocchiamo sulla destra la mulattiera che scende accanto a queste baite fino ad incontrare una baita ristrutturata e, poco sotto, una cappelletta posta a un bivio. Qui le mulattiere che salivano dal basso si dividevano: un ramo portava ai Quattro Rui e proseguiva per la Volta ed i Piani; l’altro prendeva a sinistra per Pestai. La cappelletta, voluta da un tal Quadrio Giacomo, è stata edificata nel 1886. Vi si trovano, in cattivo stato di conservazione, degli affreschi che raffigurano la Madonna col Bambino, e alcuni santi (S. Sebastano, S. Ilario, S. Antonio e S. Giacomo). Continuando a scendere, attraversiamo la strada asfaltata e poco sotto incontriamo le case della località Solt (m 1015), il cui nome nasce dall’essere sopra un ripido salto di roccia. Passiamo accanto a due case abbandonate (località La Presa, m 958) e incontriamo di nuovo la strada. Riprendiamo la mulattiera poco avanti, sulla destra di un tornante, e scendiamo alla località Molini (m 840). Il mulino, che era utilizzato in passato da tutte le famiglie della zona, funzionava con l’acqua derivata dal torrente Saiento. Il minuscolo gruppo di edifici è stato ristrutturato e una piccola macina in pietra è stata posta ad ornamento del giardino. Un centinaio di metri sotto incontriamo la contrada Ca’ Giacomo (m 829) e, sempre lungo la mulattiera, scendiamo fino alla chiesa di S. Sebastiano di Rogorbello (m 785). Con il termine di Rogorbello, è indicata la zona del comune di Vervio nei pressi della chiesa e della contrada Bertoli. Una lapide all’interno della chiesa ricorda che questa fu consacrata il 23 luglio 1697, mentre un’altra lapide, più grande, sul muro esterno, ci fa saper che la strada di Rogorbello venne costruita grazie all’interessamento del senatore valtellinese Ezio Vanoni, nel 1956. Dalla chiesa scendiamo alla contrada Roncale e, lungo un sentierino (è tutto quello che è rimasto di una larga mulattiera) alle case di Scalotti. Poi dobbiamo seguire la strada fin quasi a Vervio. Prima del paese, pieghiamo a Le Montagne Divertenti Valchiavenna I maggenghi di Vervio da Pradil (22 novembre 2009, foto Luisa Angelici). destra e, costeggiando dall’alto l’Adda, ci incamminiamo in direzione di Nova. Colpiti in fronte dagli ultimi raggi di un sole pallido e ormai al tramonto, attraversiamo questa contrada, dove incontriamo un anziano contadino. Siccome anche lui insegue quest’ultimo scampolo di sole, facciamo un tratto di strada insieme (un tratto breve ma sufficiente per sentirlo raccontare un sacco di cose sulla sua vita di contadino-muratore-contrabbandiere, da riempire un libro). E, mentre il sole se ne va dietro una nuvola, sull’orizzonte basso e grigio, arriviamo alla nostra auto. Da qualche parte, oltre l’Adda, il campanile di Lovero suona la fine delle funzioni domenicali. 22 novembre 2009, variante di tracciato lle baite di Possola, si può arrivare anche seguendo un itinerario diverso, ma molto A simile al precedente quanto a invadenza della vegetazione, più difficile però nella parte finale (che richiede escursionisti esperti). Seguire la strada che si imbocca all’inizio, fino a superare le baite di Bollata e incontrare quelle di Fenendrol (m 819), poste su un ripiano circondato dal bosco (qui passa il sentiero che va da Baruffini a Grosotto). Qualche metro sopra le baite, la strada si biforca: a destra si va a Reguzzo e a sinistra si sale a Dos Bas. Seguire la ripida strada per Dos Bas fino a raggiungere questo maggengo che, come dice il nome si trova su un dosso. Da qui in avanti le cose si fanno più complesse. Proseguire seguendo una mulattiera che sale dritto e poi a destra, invasa dalle felci. Compiere una lunga traversata salendo verso sinistra fino a incontrare un valloncello che si risale per un centinaio di metri. Salire e spostarsi sempre verso sinistra fino a raggiungere i prati abbandonati nella parte bassa del maggengo di Possola. La valle del Saiento 73 Escursionismo Porte di Valtellina Vivione-Aprica Bellezza Fatica sulle mulattiere di pastori, soldati e contrabbandieri Eliana e Nemo Canetta Pericolosità Il piccolo mare artificiale orobico del lago di Belviso. Nella pagina a fianco: ultimi metri sulla mulattiera militare prima del passo del Gatto. Partenza: Vivione (m 1828). Itinerario automobilistico: bisogna prevedere 2 automobili, una da lasciare all'Aprica e una al passo del Vivione. Dall'Aprica scendere per la SS 39 fino a Edolo, quindi per la SS 42 proseguire verso S fino a Malonno (25 km), dove si prende a dx la SPBS 294 che giunge tortuosa a Paisco, quindi al passo del Vivione (km 45 dall'Aprica). Itinerario sintetico: rifugio del Vivione (m 1828) - passo del Gatto (m 2405) - passo del Venerocolo (m 2314) - alpe di Pisa - valle del Latte - malga Magnola (m 1995) - malga Magnolta (m 1945) Aprica (m 1176). Tempo di percorrenza: 7 ore e mezza. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà: 2 su 6. Dislivello in salita: 500 metri. Dettagli: E/EE. Passeggiata su sentieri segnalati. Punti d’Appoggio: rifugio Passo Vivione (m 1828) - aperto da fine giugno ai primi di settembre - proprietà privata - posti letto 20 - tel. 0346-55259; bivacco Aprica (m 2227) - sempre aperto (informazioni presso CAI sez. Aprica) - posti 15 - dotato cucina e stoviglie. I l volume Guida alla Valtellina e alle sue acque minerali, edito nel 1884 dalla Sezione Valtellinese del CAI, è una vera miniera d’informazioni sugli aspetti dell’epoca della nostra Provincia: il Bernina è stato vinto, per la prima volta, da meno di 30 anni e lo splendido Disgrazia ha visto il primo piede umano sulla sua vetta solo 22 anni prima. Se questa era la situazioni delle vette maggiori, ben si può comprendere come quelle minori fossero ancor meno note, qualche volta del tutto sconosciute. Inoltre il volume ci proietta in una realtà, pure economica e sociale, lontanissima da quella odierna. Ecco ciò che dice del borgo di Carona (a S di Tresenda): “... villaggio interessante per il geologo e per il cacciatore1, dove il parroco offre 1 - Ai tempi non pochi alpinisti – il Galli Valerio tra i tanti – non disdegnavano di combinare le gite con qualche “buon colpo”. 74 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Vivione-Aprica 75 Escursionismo Porte di Valtellina Passo del Vivione: una breve sosta prima di iniziare a risalire la Valbona. ospitale alloggio e dove può vedersi una vecchia torre ...”. Oggi la torre è crollata ed il parroco ... non c’è più; come del resto, in inverno, nel pur allegro villaggio non risiede stabilmente più nessuno. La guida del 1884 è una vero affresco di una Valtellina cancellata dal tempo; forse da non rimpiangere, ma certo meritevole di essere conosciuta e ricordata. a veniamo alla val Belviso. Siamo nell’angolo più orientale delle Orobie: oltre si apre il solco dell’Aprica; più in là sono i placidi colli della costiera del Mortirolo, che secondo i geografi moderni appartengono all’estrema periferia del massiccio Ortles–Cevedale. Il bacino di Belviso è quindi un vero pilastro orobico, che fa da contrappunto al Legnone ed alla val Lesina che limitano, ad ovest, la medesima costiera. Ma la val Belviso ha molti altri spunti di interesse: percorsa, se non abitata, da tempi immemorabili, come provano le incisioni del lago Nero, costituì per secoli un facile e rapido collegamento tra la val di Scalve e la conca di Tirano; salvo poi proseguire verso l’Engadina, la valle del Reno e la Germania. Oggi un simile viaggio può far sorridere, le montagne le sorvoliamo oppure le traversiamo su veloci nastri d’asfalto. Ma ancora sino alla Grande Guerra le idee erano diverse: la gente, le greggi e pure molte mercanzie traversavano le Alpi a dorso di mulo, quando andava bene su carretti le cui caratteristiche non differivano dai mezzi utilizzati secoli e secoli prima. Viaggiatori, pellegrini, emigranti e persino i touristes che iniziavano a percorrere ed esplorare le nostre vallate M 76 Le Montagne Divertenti impiegavano il cavallo di San Francesco. Per cui era inutile fare lunghi giri alla ricerca di valichi più comodi: si utilizzava la mulattiera o il sentiero più breve. Ecco allora che il pastore bergamasco, che portava le sue pecore verso le Retiche, preferiva i più rapidi passi della val Belviso, rispetto all’ampio giro lungo la Valcamonica, per raggiungere Tirano. Non per nulla la nostra guida scrive del Venerocolo: "... questo è il più facile fra i passi che legano la Valtellina alla Val di Scalve; da esso transitano annualmente migliaia di pecore che gli industri pastori bergamaschi conducono ai pascoli delle alte alpi della Valtellina e della Svizzera ...”. a non solo pecore valicavano i passi della val Belviso: il Tiranese, per la sua vicinanza con il cuneo grigionese di Poschiavo sino a tempi recenti è stato un tipico luogo di contrabbando. E da Tirano scavalcare l’Aprica, oltre che lungo era pericoloso: troppo facili le ispezioni dei doganieri lungo la carrozzabile. Meglio allora risalire il Belviso, guadagnare la cresta orobica, divallando verso Brescia e Bergamo per sentieri di ben più difficile controllo. itmi secolari, che sarebbero proseguiti a lungo, ma vennero il 1914 e Sarajevo! E pure le tranquille ed isolate valli delle Orobie, tanto lontane dal Carso e dall’Isonzo, balzarono all’attenzione di Cadorna: se gli austrogermanici avessero violato la neutralità svizzera (valutata meno solida di quanto fosse in realtà) ci si sarebbe dovuti difendere lungo una linea che da Domodossola, per le Prealpi Varesine e Comasche, giungeva al Lario. Più oltre il fronte avrebbe coronato le M R Orobie, sino all’Aprica. Qui la nuova linea si sarebbe saldata, nell’area del Mortirolo, con le trincee arretrate di Grosio e di Vezza d’Oglio, per difenderci dagli attacchi provenienti dallo Stelvio e dal Tonale. Evidente la fondamentale importanza della val Belviso: non solo doveva “coprire” i facili passi verso Schilpario e la val di Scalve ma pure “fare da spalla” all’Aprica ed all’area fortificata del Tiranese. Proprio per questo i nostri comandi decisero di porre le difese oltre la cresta spartiacque: tutta la valle sarebbe restata nelle nostre mani, a costituire una sorta di “piazza d’armi” ma pure una posizione avanzata di potenti artiglierie che, battendo la Valtellina, ne avrebbero impedito il transito da parte dell’avversario. Tali posizioni furono ben scelte: il dosso Pasò ad E, il monte Lavazza ad O. Poi si incominciò a fortificare, scavar trincee e gallerie, realizzare postazioni d’artiglieria. Ma non bastava: pochi ci pensano ma, come diceva Napoleone, i soldati combattono con lo stomaco! Ed i cannoni hanno bisogno di munizioni. Di qui la necessità di facili e sicuri collegamenti con le retrovie, i cui centri erano oltre la cresta orobica. Fu così che in tempi brevissimi si realizzò una rete di mulattiere che, dalla val di Scalve e dal passo del Vivione, attraverso i valichi del Venerocolo, di Venano e di Belviso, penetravano nella nostra valle, percorrendone poi i fianchi a mezza quota, sino a malga Magnolta, sotto il dosso Pasò, sul lato orografico destro; sino ai laghi di Torena, lungo il versante sinistro. Un’opera ciclopica, iniziata nella primavera del 1916 ed interrotta (ma in val Belviso era quasi terminata) con la vittoria nell’autunno del 1918. Ed anche un’opera ben eseguita, pure con i limitati mezzi del tempo: senza ruspe e scavatori, solo con l’ausilio di qualche mina. A distanza di un secolo queste mulattiere, realizzate quasi completamente a mano e con muri a secco, resistono quasi ovunque molto meglio di tante vie di comunicazione moderne, costate milioni di euro! La traversata che proponiamo, oltre ad offrire vasti panorami e la scoperta di zone a torto poco note, è pure un ricordo di questi uomini che, in tempi tremendi, senza stravolAutunno 2010 gere la montagna ed i suoi equilibri, hanno saputo lasciare un passaggio sicuro, segno indelebile della loro maestria. Traccia di un sapere antico che oggi sarebbe assai utile! Dal Passo del Vivione all'aprica Dal rifugio del Vivione (m 1828), si prosegue a SO per qualche decina di metri sino a un tabellone ove si imbocca, verso NO, una stradella che dirige verso la Valbona. Traversato il corso d’acqua si è nei pressi di malga Gaffione, dominata a SSO dal cono verdeggiante del monte Busma; qui terminata la sterrata, si continua verso N sulla mulattiera militare, ben tracciata e larga in media oltre un metro. Si infila una strettoia ove scrosciano pittoresche cascatelle per sbucare alla baita di quota 2009. Ancora un breve tratto ed eccoci in presenza di un ampio, caratteristico circo, tra il monte Poiat e la costa di Valbona. Osservando dinnanzi a noi, sulle ripide coste di erba e rocce si scorge il tracciato militare che andremo a percorrere. Prima però si compie un lungo e panoramico giro attorno al lago quota 2054, dominati da rupi rigate da cascatelle; in qualche tratto le frane hanno trasformato la mulattiera in sentiero che comunque si percorre agevolmente. Eccoci a quota 2171 ove alcuni tornanti ci portano sopra la prima fascia rocciosa. Ritornando verso ONO2, la vista si fa sempre più ampia sulle antistanti Prealpi bergamasche e gli erbosi colli circostanti. Altri tornanti ci fanno raggiungere l’ultima conca sotto la tozza sommità della quota 25033, sovente frequentata da pecore e capre. La sua cresta meridionale, seghettata e rocciosa, è divisa dal passo dallo stretto intaglio del passo del Gatto4 (m 2405), reso più agevole dal lavoro dei militari. Sull’opposto versante ci si affaccia alla testata della val Venerocolino che, 1300 metri più a valle, conduce a Schilpàrio; verso O sono ben visibili le vette del Gleno e del pizzo dei Tre Confini che separano la val di Scalve dalla val Seriana. 2 - Un paio di punti (funi e catene) richiedono un minimo di attenzione. 3 - La Guida ai Monti d'Italia chiama questa quota monte Sellerino. 4 - E' chiamato anche passo di Valbona. Le Montagne Divertenti Il lago di Valbona salendo al Passo del Gatto; sullo sfondo il gruppo del Cimone della Bagozza (Prealpi Lombarde tra Bergamo e Brescia). La mulattiera perde un poco quota tra ampi macereti, oltrepassa una valletta per poi risalire ad un altipiano punteggiato da laghetti (m 2294). Poco oltre si lascia a dx il tracciato per il passo del Sellerino, continuando a ONO per raggiungere una selletta: qui si lascia a sx (S) il percorso segnalato che scende a Schilpario. Costeggiamo invece un laghetto solitario per raggiungere in breve il passo del Venerocolo (m 2314, ore 3.30 dal rifugio Vivione). La vista, pur non amplissima è interessante: a N sul gruppo del Telenek e la sottostante verde val di Campo, a mezzodì sul dolomitico pizzo Camino e la val di Scalve. Oltre il valico inizia un tratto suggestivo e di notevole interesse ambientale e panoramico: trascurato il sentiero che scende a N, si prende a dx (ENE) il tracciato militare che continua a mezza costa, ben lastricato. Con qualche saliscendi, assecondando le anfrattuosità del pendio ci si porta sopra malga di Campo, nei pressi del massiccio costone del monte Colombaro. Si entra ora nella Foppola, una solitaria conca a quota 2200 circa, dominata a NE dai pendii rocciosi del monte Sellero, uno dei maggiori della costiera. Subito dopo si valica il Rio di Pisa, pianeggiando sull’alpe di Pisa. Qui un sentiero segnalato scende facilmente a malga di Campo. Continuando invece a mezza costa, la mulattiera perde lentamente quota, affacciandosi sopra la boscosa conca del lago Belviso; proprio di fronte l’imponente massa del Torena, con i suoi m 2911 massima vetta della valle. Il nostro tracciato piega ora a N, aggirando il monte Frera, spalla occidentale del Telenek; poco oltre taluni ripidi valloni, orientati a N, colmi di neve di valanga all’inizio di stagione, possono creare problemi nell’attraversamento. Si guadagna così la valle del Latte, aperta ed ampia, a quota 1950, proprio sopra il ponte di Frera. Continuando a mezza costa il tracciato asseconda i monti Torsolazzo e Cadin e, superata la val Carognera, guadagna malga Magnola (m 1995), ove giunge dall’Aprica una stradella; si è dominati dalle rocce del dosso Pasò mentre sull’opposto versante della valle spicca la punta verdeggiante del monte Lavazza. Poco oltre è il bivio (a dx) per il bivacco Aprica ed il Pasò; non lungi, a monte e valle del tratturo resti di sentieri, gallerie e trincee risalenti alla Grande Guerra. In breve si è agli ampi pianori di malga Magnolta (barristorante, m 1945), sul costone dove sono presenti gli impianti di risalita dell’Aprica. Seguendo la stradella silvopastorale si divalla ripidamente, prima tra pascoli, poi nel bosco, sempre su sterrata sino alla stazione a valle degli impianti di Magnolta (m 1200) nei pressi del centro di Aprica m 1176 (ore 4). Vivione-Aprica 77 Rubriche valtellinesi nel mondo Valle della Luna, San Pedro de Atacama, Cile (5 luglio 2009). Il vulcano Tunupa visto da quota 4500 metri, Bolivia (10 luglio 2009). La magia delle Geiser geotermico El Tatio, Cile (6 luglio 2009). Montagne Divertenti 78 nelLecampo Autunno 2010 Ande Testi e foto Roberto Moiola La delle ande (Pseudalopex Le volpe Montagne Divertenti culpaeus) (8 luglio 2009). La magia della Bolivia 79 Valtellinesi nel mondo Rubriche S S iamo davvero piccoli qui, nel cuore della Bolivia. Un’infinita estensione di sale ci fa da tappeto mentre, esterrefatti, ammiriamo il sole che lentamente viene a galla dietro la Cordillera di vulcani che tracciano il confine con il Cile. e il nostro viaggio avesse come missione quella di scovare il luogo del mondo in cui si incontrano cielo e terra, qui, a 3600 metri di altitudine, si potrebbe innalzare la bandiera di conquista. Fenicotteri spiccano il volo presso la laguna Colorada, Bolivia (8 luglio 2009). I l cammino ora risale abbastanza ripido e distinguiamo una traccia solo grazie ai muri a secco perfettamente disegnati dai campesiños della zona. E’ quasi irragionevole che anche qui l’uomo debba tracciare delle proprietà. Tanto irrazionale quanto pensare che qui, probabilmente solo in estate, possano pascolare dei lama o delle vigogne. Ora è tutto così silenzioso, quasi irreale. Non si scorgono all’orizzonte nemmeno i flebili puntini dei fuoristrada che solcano il Salar. Mai come in questa occasione siamo così lontani dalla realtà. Quando raggiungo la quota di 4500 metri mi risveglio di colpo, calamitato fatalmente dalla vetta che per la prima volta si para di fronte a me. Mi accorgo che i miei compagni si sono attardati, così li aspetto con un venticello frizzante che mi congela il viso. Quando mi raggiungono mi comunicano l’intenzione di tornare indietro, tranne Josef, che non vuole desistere. Le giornate in inverno sono molto corte, motivo per cui il sole è già alto. Ma non ce ne preoccupiamo e ci diamo appuntamento direttamente all’Hotel De Sal, il nostro alloggio presso Tahua, l’altro villaggio all’estremità del Salar. Da qui in poi procediamo su sfasciumi, tra ripidi pendii franosi che si alternano alle ultime macchie di Yareta (llareta), il verdissimo cuscino di muschio andino che mi ricorda i più familiari pulvini di fiori che adornano i macereti sulle Alpi. A queste altezze il cuore e la testa aumentano ulteriormente il ritmo e di conseguenza l’andatura subisce un colpo netto. E' come se a 5000 metri vi fosse un confine biologico che ci indirizza alla cautela. Un cartello eloquente segnala il pericolo in una zona vulcanica del Sud Lipez, Bolivia (8 luglio 2009). C on me c’è Josef, indaffarato come sempre con i pulsanti della sua reflex. Più avanti la nostra guida, Alex Téran, sta raccontando qualcosa ad Eva e Katia. Alex, ragazzo dagli inconfondibili tratti boliviani, vive a La Paz e da anni organizza tour nel Sud Lipez, la più meridionale delle 16 province nel distretto di Potosì. Ha sempre i capelli tirati dal gel e il sorriso sulle labbra. Alle nostre spalle, sonnecchiante, si erge isolato il Vulcano Tunupa, indiscusso dueňo1 del Salar de Uyuni. Sulle sue pendici accadde che un certo Atahualpa sfregiò il seno di una donna di nome Tunupa: il latte che ne sprizzò diede origine alla più vasta distesa di sale al mondo. 1 - Padrone, proprietario. 80 Le Montagne Divertenti C osì vuole la leggenda, che Alex ci racconta mostrando la massima convinzione. La realtà ci dice invece che sotto di noi si estende una coltre di sale spessa fino a 10 metri e, in questa stagione, liscia come una suola di scarpa, talmente piatta da poter testare un bolide fino a raggiungere la velocità del suono. Rimaniamo qui ancora per poco dato che la nostra meta è 1800 metri più vicino al cielo. Alleggerito lo zaino il più possibile ci incamminiamo verso il promontorio che si allunga in direzione della cima. Al momento però non si avvista alcuna guglia che possa distinguersi come una vetta. E’ tutto un susseguirsi di bastioni e canali che formano un castello invalicabile. Passiamo presto per Coquesa, uno dei due pueblos in cui incon- trare un’anima e un ristoro dopo centinaia di chilometri provenendo dal confine cileno. A dire il vero scopriamo ben presto che è più facile trovare delle mummie che persone in carne ed ossa. Sono molti infatti i cimiteri e le chullpas lasciateci in eredità dal periodo incaico. In una di queste grotte rimaniamo increduli di fronte a quattro esili corpi perfettamente conservati. Tutto intorno il microclima claustrofobico sembra aver fermato il tempo: le offerte in sacrificio alla montagna si compongono in gran parte di vasellame, ma riusciamo a scorgere anche fiori e vestiario. Ripartiamo con affanno, certo più lenti di quanto le gambe desidererebbero. D’altra parte l’altezza si fa sentire e siamo anche un po’ frastornati dalla visione curiosa a cui abbiamo appena assistito. Autunno 2010 Passeggiando tra le pozze di fango bollenti presso l'area geotermica Sol De Manana, Bolivia (8 luglio 2009). Le Montagne Divertenti La magia della Bolivia 81 Rubriche Valtellinesi nel mondo P assare certi limiti senza considerazione può significare pagarne in seguito gli effetti. Così Josef, scorta un’agevole via di discesa, mi comunica di voler cominciare il rientro. Ci diamo appuntamento sulla via del ritorno. Fatti bene i calcoli ho ancora alcune ore a disposizione, perciò procedo. Sono su un terreno dominato dal rosso che mi ricorda i paesaggi dei western americani. Mi fermo a curiosare fra le pietre, ne trovo di bizzarre e colorate. Tornato repentinamente bambino, voglio alcuni portafortuna e alla fine ne carico un chilo nello zaino. Forse, mi dico, non serviranno a nulla, ma anche Armstrong in fondo si riportò a casa i sassi dal suo viaggio lunare. Un ultimo tratto a zig-zag mi permette di raggiungere quello che fino ad ora mi era apparso come un passo. Scopro invece con grande gioia di aver raggiunto la caldera del vulcano. La mia mente si lancia di nuovo a fantasticare, tra geologia e un po’ di timore. Negli ultimi giorni ho avuto modo di ammirare di cosa possa essere capace la natura: i magnifici geysers di El Tatio o i ribollii di fango al campo geotermico di Sol De Mañana sono chiare dimostrazioni dal vivo di come sia vitale evitare passi falsi. uesto non è un documentario e posso finalmente godermi lo spettacolo di forme e colori, smorzati solamente da alcune velature che stanno insinuandosi sopra la vetta. Per un altro capriccio della geografia sembra ora di essere sulle Dolomiti. Riparto in direzione dell’anticima, con il GPS che mi fa compagnia e che traccia il mio percorso. Il colpo d’occhio sull’altiplano mi sbalordisce, non trovo una fine. E quando la mente vaga, ci pensa il freddo a pungermi violento e a farmi ripartire. aggiunta l’anticima, a 5200 metri, il mal di testa ha preso il sopravvento. Mi volto, scruto la vetta, questa volta la distinguo, poco più alta di alcune guglie che la precedono. Ce l’ho buio per raggiungere Tahua. Ne valeva la pena anche se questo mi rovinerà i giorni successivi del viaggio perché passati a letto con la febbre. Prima di addormentarmi guardo la vetta, rischiarata dalla luna e, stringendo nelle mani le pietre del vulcano, ripenso a questa giornata, così lontana dai ritmi frenetici del mondo moderno. Incontro ravvicinato con le mummie in una chullpas (tomba) di Coquesa, Bolivia (10 luglio 2009). Q R 82 Le Montagne Divertenti Terra rossa presso il colle a quota 5000 metri durante la salita al vulcano Tunupa, Bolivia (10 luglio 2009). Tramonto verso il vulcano Tunupa, Bolivia (10 luglio 2009). Roberto Moiola Gli ultimi raggi del sole colorano il piatto Salar de Uyuni. Sullo sfondo il vulcano Tunupa, Bolivia (9 luglio 2009). a portata di mano ma è ormai evidente che continuare è pericoloso. In condizioni normali l’avrei raggiunta in meno di un’ora. Così guardo il pendio piramidale che scende verso le alture del villaggio, ad almeno dieci chilometri da qui, e comincio la mia discesa, a capofitto ma in forte preda alla stanchezza. Il sole è basso all’orizzonte e proietta ombre perfette sulla candida distesa di sale. Ora è più facile scorgere tutti gli isolotti di roccia vulcanica e cactus che spezzano la monotonia dell’Uyuni. cendo abbastanza spedito, quanto il terreno franoso me lo permette. Dopo un’ora raggiungo Josef che, fortunatamente, ha rallentato. Ora ci godiamo il tramonto, combattuti tra l’emozione ed il forte mal di testa che attanaglia anche lui. Ci vorranno ancora un paio d’ore al S Autunno 2010 Mi chiamo Roberto Moiola e vivo da sempre (32 anni) nella splendida Valtellina. "Sysa", il mio soprannome, deriva dal nome di mio nonno: Cesare. La fotografia per me è prima di tutto una passione, col tempo è diventata il mezzo che mi ha permesso di legare l'innata passione per la montagna con quella per il computer ed internet. Non ultima, l'inesauribile passione per i viaggi in qualsiasi angolo del mondo (che organizzo con la mia stupenda ragazza Eva), mi hanno spronato ad ideare siti internet con i quali posso pubblicare le meraviglie che popolano il mondo così come le vedo io: waltellina.it, waltellina.com, Le Montagne Divertenti sysaworld.com o viaggiandonelmondo.com. Sono tra i fondatori di questa rivista per la quale mi appassiono nella realizzazione di ogni nuovo numero. Collaboro attualmente come fotografo free-lance con alcune riviste specializzate di montagna ed enti turistici della zona, organizzo corsi di fotografia e realizzo lavori grafici legati alla fotografia, come ad esempio calendari. Voglio ringraziare il mio maestro Vincenzo Martegani al quale devo una buona parte delle mie conoscenze fotografiche e la cui spinta mi ha permesso di partire, 10 anni or sono, in questo magico mondo digitale. Roberto Moiola (2010, foto M. Ceschina). La magia della Bolivia 83 Il mondo in miniatura Speciali d'autunno locuste sotto la lente Alessandra Morgillo A Carletto piace moltissimo passeggiare in montagna in compagnia del nonno che gli insegna sempre tante cose interessanti. La curiosità di un bambino di otto anni lo spinge a cercare le stravaganze di un mondo straordinario e tutto da scoprire: il microcosmo e i suoi abitanti. È una tiepida mattina di settembre e Carletto, armato di lente di ingrandimento, come un piccolo detective, precede di buon passo il nonno e perlustra i dintorni alla ricerca di qualche strano insetto da osservare. “Nonno nonno, oggi siamo fortunati, ho trovato un insetto gigante!” esclama d’un tratto indicando qualcosa tra i ciuffi d’erba a bordo sentiero. Vedendo che l’anziano fatica ad individuarlo aggiunge: “sembra una cavalletta, è lì ferma ed è proprio dello stesso colore delle foglie!” Finalmente l’uomo la trova: “la nostra amica è proprio brava a mimetizzarsi.” “Mime..che?” balbetta il bimbo. “Mimetizzarsi significa confondersi con il proprio ambiente, cioè imitarne il colore e rimanere poi immobili per non farsi notare” spiega il nonno. Anacridium aegyptium il più grosso Acrididae italiano e una delle più grandi locuste europee. È diffuso in Africa settentrionale, Europa e AsiaDivertenti (foto Paolo Rossi). Le Montagne 84 meridionale “Sarà anche mimetica, ma io non ho mai visto una cavalletta così grande, sai come si chiama nonno?” “Pensa, Carletto, che è ancora giovane, gli adulti di questa specie assumono di solito una colorazione grigio-bruna, e, se si tratta di una femmina, potrebbe raggiungere i sette centimetri! Il suo nome scientifico è Anacridium aegyptium, comunemente detta locusta egiziana…” “Che nome difficile!”, lo interrompe il nipotino, “sarebbe stato più divertente chiamarla cavalletta, è una parola così buffa, non trovi?”. “E’ vero Carletto, infatti se la osserviamo bene potrebbe ricordare quasi un piccolo cavallo: il capo è allungato, la parte iniziale del dorso presenta una specie di corazza, chiamata pronoto, che sembra Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Locuste sotto la lente 85 Speciali d'autunno insetti Il mondo in miniatura una sella e, infine, è capace di compiere grandi salti.” “Sì nonno, ma allora in cosa differisce dalle altre cavallette?” “Ci sono moltissime specie di Ortotteri, ordine di insetti di cui fanno parte anche i grilli e quelle cavallette con le antenne lunghissime, anche più della lunghezza del proprio corpo. terraneo, ma anche in Liguria e in Pianura Padana e qualcuna arrivava anche qui, nelle nostre serre, poiché trasportate insieme alle piante. Oggi è abbastanza frequente imbattersi in qualche esemplare, ma, nonostante le dimensioni, ciò non deve destare preoccupazioni perché questa locusta di indole solitaria non risulta particolarmente dannosa per la vegetazione e non vi è rischio di invasioni.” “Invasioni?” chiede stupito Carletto. Così, per distinguerle, si preferisce chiamare locuste quelle con le antenne corte, specialmente se hanno grandi dimensioni.” Il bimbo assume un’aria pensierosa: “Ah gli Ortotteri… gli insetti che vanno nell’orto?” E sorridendo il nonno: “Li potremmo anche incontrare nell’orto, ma il termine deriva da una parola greca che significa ali dritte; appartengono a questo gruppo tutti quegli insetti che oltre a questa caratteristica possiedono lunghe zampe posteriori, adatte al salto, e un apparato boccale masticatore, cioè delle mandibole molto sviluppate per divorare con efficacia i vegetali di cui si nutrono.” “Ali? Quindi oltre a saltellare… volano?” “Eccome! Adesso non vediamo le ali vere e proprie perché sono ripiegate a ventaglio sotto le elitre, cioè delle false ali indurite e resistenti, modificate a protezione delle prime.” Carletto alza lo sguardo forse sperando di scorgerne qualcuna in volo, allora il nonno aggiunge: “questa è una specie solitaria, non credo che ne vedremo altre nei dintorni, anche se...” “Anche se?” chiede curioso il bimbo. “In questo periodo si spostano facilmente perché hanno necessità di trovare un rifugio per l’inverno. Cercano un riparo tra la vegetazione, ma anche presso le costruzioni umane. Se ci saranno giornate invernali particolarmente miti, è anche possibile che si destino temporaneamente dal loro sonno e può capitare di vederle, un po’ intorpidite, ferme sui muri a prendere il sole. Torneranno attive in primavera e i nuovi nati compariranno verso aprile.” “Nonno, ma come faremo ad essere 86 Le Montagne Divertenti “Alcune specie di locuste si riuniscono in grandi sciami che oscurano addirittura il cielo e percorrono rapidamente grandi distanze per divorare in pochi giorni tutto ciò che incontrano. Arcyptera fusca (della famiglia Acrididae) è una specie di montagna che si trova spesso sui pascoli in quota. Solo il maschio, leggermente più piccolo (circa 3 cm), è in grado di volare; la femmina presenta delle ali brevi non completamente sviluppate (brachittere) (foto P. Rossi). sicuri che si tratta proprio di questa specie? E i piccoli, assomiglieranno un po’ ai loro genitori?” “Guarda bene i suoi occhi, Carletto, cosa vedi?” “Sono a righe!” “Esatto, quelle strie verticali scure sono la caratteristica più evidente per identificare questa specie, poi il pronoto è attraversato da numerosi solchi, anziché presentare un’unica intaccatura come nella maggior parte delle locuste. Quando nascono dall’uovo le forme giovanili, chiamate neanidi, sono chiare e piccoline, ma hanno già l’aspetto dell’insetto adulto, salvo per l’assenza delle ali. Si dice che questo gruppo di insetti, infatti, compia una metamorfosi di tipo incompleto, cioè non vi sono nel corso della vita grandi trasformazioni (come dal bruco alla farfalla), ma cambiano semplicemente le dimensioni.” “Crescono come noi, giusto nonno?” “Non proprio direi… Pensa che la parte esterna del corpo, chiamata esoscheletro, non può crescere e a un certo punto, quando questa sorta di vestito incomincia a star loro stretto, devono liberarsene per sostituirlo con uno più grande che si sviluppa durante la muta! È facile rinvenire esoscheletri abbandonati, chiari ed esili, sembrano cavallette fantasma…” ffascinato da questi racconti il bimbo quasi non si accorge che la locusta egiziana silenziosamente si è arrampicata su un ramo più alto e, forse sentendosi troppo osservata, sembra decisa a spiccare il volo. E così accade! Un grande salto e le sue elitre si aprono liberando le ampie ali membranose. Queste, con gran fragore, portano su in alto l’enorme insetto che poi, un po’ traballante, sparisce nel fitto della vegetazione. A bocca aperta Carletto la segue con lo sguardo e poi si rivolge al nonno: “ Andrà lontano?” “Non credo. Gli inverni sempre più miti consentono ormai a questi insetti di svernare con facilità anche alle nostre latitudini. Qualche anno fa erano comuni nella zona del Medi- A Autunno 2010 Ma questi fenomeni si verificano generalmente in Africa, dove il clima è caldo e siccitoso. Benché i nostri prati e pascoli, anche in alta quota, accolgano un elevato numero di specie e alcune zone registrino un’apprezzabile densità di individui (specialmente i prati assolati e dotati di pendenza per cui meno soggetti a ristagni idrici) non si verificano fenomeni di gregarismo e migrazione.” Carletto non è sicuro di aver capito perfettamente ciò che intendeva dire il nonno, ma è rassicurato dal fatto che le cavallette pericolose si trovano lontano, mentre dalle nostre parti sono sostanzialmente innocue. Proseguendo lungo il sentiero nonno e nipotino giungono nei pressi di una radura. Qui vengono accolti da un insistente frinire delle cavallette dei prati: “Nonno, come fanno a fare questo rumore?” “Sfregando le zampe posteriori contro il primo paio d’ali i maschi, per attirare le femmine, producono dei suoni caratteristici con tonalità e ritmi distinti da specie a specie”. Carletto le guarda saltellare, alcune mostrano ali colorate, talora azzurre o rosate, ma nessuna vola in alto come la locusta egiziana che oggi ha imparato a riconoscere. Non dimenticherà mai questo incontro straordinario e tutto ciò che ancora una volta il saggio nonno gli ha insegnato. Le Montagne Divertenti Calliptamus italicus, la cavalletta dei prati detta anche dalle ali rosa per il caratteristico colore nella parte basale delle ali posteriori. Specie polifaga, si nutre a spese di diverse piante, sia spontanee che coltivate. In talune circostanze può formare aggregati molto numerosi, potenzialmente dannosi per le colture (novembre 2009, foto Beno). Chorthippus brunneus sp. (famiglia Acrididae) Locusta lunga circa 2 cm, dal colore molto variabile che va dal verde al bruno. E’ presente sia in ambienti di pianura che montani, fino ai pascoli di alta quota. Ha un “canto” particolare: produce una serie di frinii ripetuti ogni due secondi circa (foto Paolo Rossi). Locuste sotto la lente 87 Rubriche fauna alpina PERIODICO CULTURALE DI VALTELLINA E VALCHIAVENNA VITA Il nuovo numero a ottobre in edicola Dopo il PECCATO e i SOGNI... la Testi e foto Alessandra Morgillo MEMORIA Arte, musica, fotografia, cinema, sport, letteratura, astronomia, natura, viaggi, psicologia, antropologia, collezionismo, medicina e tanto altro ancora... 88 Le Montagne Divertenti www.seiinvalle.it Tutti gli specchi d'acqua, dai più belli a quelli che paiono insignificanti pozze d’acqua stagnante, costituiscono importanti ecosistemi, capaci di offrire prospettive di vita a numerose specie animali e vegetali tipiche delle zone umide montane. Autunno 2010 Un girino di rospo corre inconsapevole un serio pericolo poichè nascosta sul fondale, ben mimetizzata dai sedimenti, è in agguato una larva di (Libellula depressa) Vita negli specchi d'acqua montani Le libellula Montagne Divertenti (laghetto dell'alpe Tagliato, 25 aprile 2009, foto Alessandra Morgillo). 89 Fauna Rubriche Rana temporaria in stadio di transizione tra girino e giovane adulto ad Arcoglio (17 agosto 2009, foto Alessandra Morgillo). C ome lucenti zaffiri incastonati qua e là nei morbidi pascoli d’alta quota, i laghetti alpini impreziosiscono il paesaggio e sono al contempo delle vere e proprie sorgenti di vita. A volte sembrano racchiudere il cielo e con esso mutare continuamente d’aspetto: da liscio specchio per le vanitose cime assolate a ricamo di mille increspature che seguono l’umore del vento. n altri contesti, invece, sono gelosamente custoditi dal bosco e regalano atmosfere uniche grazie ai giochi di riflessi e alle sfumature pregiate che infonde loro la fitta vegetazione. Ci sono specchi d’acqua la cui superficie è un vetro cristallino che rivela i ciottoli disordinati del fondale, oppure stagni torbidi su cui galleggiano grovigli di vegetali. Tutti comunque, dai più belli a quelli che paiono insignificanti pozze d’acqua stagnante, costituiscono importanti ecosistemi, capaci di offrire prospettive di vita a numerose specie animali e vegetali tipiche delle zone umide montane. I Il segreto degli anfibi asta sostare per qualche minuto presso le rive di uno qualsiasi di B 90 Le Montagne Divertenti questi specchi d’acqua per notare una gran varietà di forme viventi. I primi a catturare l’attenzione sono i numerosi girini che nuotano frenetici in pochi centimetri di acqua: si tratta dello stadio larvale di rane e rospi, i più famosi esponenti degli anfibi. Creature molto particolari, tanto da costituire una delle cinque grandi classi dei vertebrati (pesci, rettili, anfibi, uccelli, mammiferi). La loro peculiarità è tutta nel nome: dal greco amphi = doppio e bìos = vita, il che significa che, pur non vivendo due volte, la loro esistenza riveste due forme, prima quella acquatica e poi quella terrestre. Infatti dalle uova, deposte in acqua, nascono erbivori natanti provvisti di coda e di vere e proprie branchie. Solo dopo una complessa metamorfosi, forse la più spettacolare del mondo animale, la respirazione diviene polmonare (seppur primitiva, in quanto coadiuvata dalla respirazione cutanea) e si sviluppano le zampe. Si trasformano fisiologicamente e morfologicamente per conquistare la terraferma e nutrirsi di insetti. Il loro ciclo vitale rievoca quindi il cruciale step evolutivo dalla vita acquatica a quella terrestre che hanno compiuto gli esseri viventi milioni di anni fa, un passaggio che, per questi animali, è rimasto incompleto. Non sono riusciti, infatti, a svincolarsi del tutto dal mezzo acquatico al quale rimangono legati per la deposizione delle uova e lo sviluppo delle forme giovanili. Specie d’alta quota li anfibi che vivono nel nostro territorio appartengono a due distinti gruppi: Anuri (rane, rospi e raganelle) e Urodeli (salamandre e tritoni). Nei primi la coda è assente e gli arti posteriori sono più sviluppati per saltare e nuotare; salamandre e tritoni invece possiedono una lunga coda e gli arti anteriori e posteriori sono simili. Tra le rane più comuni dell’ambiente alpino vi è la Rana rossa montana (Rana temporaria). Come pare sottolineare il suo nome scientifico, il tempo è prezioso per questa specie, che infatti tra le prime si risveglia dal letargo invernale, anche alle quote più alte, quando la neve non è ancora fusa del tutto, ed è in grado di riprendere le proprie funzioni con temperature prossime allo zero. Sono note per l’abitudine di radunarsi in gran numero per deporre tutte insieme migliaia di uova in stagni ancora parzialmente gelati. Questa strategia è indispensabile per garantire la sopravvivenza di una buona percentuale di girini, visto che sono completamente G Autunno 2010 Rana temporaria femmina saltella nei pascoli a un centinaio di metri dal laghetto d’Arcoglio (11 agosto 2009, foto Alessandra Morgillo). indifesi e quindi facile bocconcino per i più svariati predatori. In autunno si apprestano ad affrontare il gelo invernale sistemandosi sotto il fango del sottobosco per il lungo letargo. Fu forse il risveglio primaverile delle rane a suggerire agli antichi greci l’idea che le creature nascessero dal fango, un elemento capace di plasmare la vita stessa. A nche il rospo comune (Bufo bufo) raggiunge quote elevate, è resistente e la sua pelle è meno delicata di quella delle altre rane, che, allontanarsi troppo dagli ambienti umidi, rischierebbero la disidratazione. Questa caratteristica contribuisce tuttavia ad imbruttirne l’aspetto e, come accade di consueto per gli animali più “strani”, porta alla nascita di diverse credenze popolari. Da quelle più fantasiose, come il famoso bacio che tramuterebbe il rospo in un principe, a quelle che possiedono una base parzialmente veritiera, come la pericoLe Montagne Divertenti losa urina che verrebbe spruzzata negli occhi accecando i malcapitati che si imbattono in un animale indispettito. Effettivamente, se si sente minacciato, un animale lento e goffo come il rospo ha sviluppato questa singolare strategia difensiva: rilascia istantaneamente del liquido così da sorprendere il predatore e guadagnare qualche prezioso istante per la fuga. Tuttavia questa sostanza non viene spruzzata e non è pericolosa trattandosi sostanzialmente di urea. Ciò che invece può irritare gli occhi o le mucose è la bufalina, una sostanza bianca lattiginosa dall’odore d'aglio, che viene secreta (non spruzzata) dalle ghiandole ai lati del capo e del dorso solo quando l’animale si sente in imminente pericolo vitale: è una estrema difesa che ha lo scopo di infiammare la bocca del predatore che si trova quindi costretto a “sputare il rospo”, il quale, il più delle volte, riesce a mettersi in salvo ancora integro e sano. Benché questo secreto non sia pericoloso per la nostra pelle, si raccomanda di non toccare i rospi o comunque ricordarsi di lavare le mani per evitare il contatto con occhi, naso e bocca. A differenza di rane e rospi che frequentano gli specchi d’acqua soprattutto in primavera, il tritone, che si ciba di invertebrati acquatici, è maggiormente legato all’elemento liquido e lo abbandona in inverno, quando, a causa del gelo, è costretto a rifugiarsi sotto ceppaie, pietre o nel muschio. Appartiene al gruppo degli Urodeli, come la salamandra, ed è confuso spesso con quest’ultima a causa della lunga coda. Occorre molta fortuna per imbattersi in questi animali, in quanto, purtroppo, sono attualmente in regresso su tutto l’arco alpino. Due specie sono presenti sulle nostre montagne: il tritone alpestre (Triturus alpestris), inconfondibile quando, sentendosi minacciato, inarca il tronco per mettere in evidenza la vivace colorazione ventrale, deterrente per i potenziali predatori, e il tritone crestato (Triturus cristatus), chiamato così per la cresta dorsale che ostenta il maschio durante il periodo degli amori. Vita negli specchi d'acqua montani 91 arte e montagna Rubriche I n giornate piovose autunnali è invece facile incontrare tra le foglie del sottobosco la salamandra pezzata (Salamandra salamandra), dai tipici colori aposemantici (d’avvertimento) nero-giallo o nero-arancio che servono a classificarla come inappetibile agli occhi di chi vorrebbe cacciarla. Il suo corpo lucido, infatti, è costantemente rivestito da una mucosa secreta dalle ghiandole cutanee che, oltre a proteggere l’animale dalla disidratazione, risulta molto irritante per le mucose di qualsivoglia predatore avesse l’ardire di assaggiarla. La salamandra pezzata è tipicamente ovovivipara, ovvero non depone uova ma partorisce larve dotate di branchie e capaci di vita autonoma in torrenti o specchi d’acqua ben ossigenati. Tuttavia esiste una specie che mostra una completa viviparità: la salamandra alpina (Salamandra atra). Tutta nera, come indica il suo nome latino, vive nelle praterie rocciose e negli arbusteti alto-montani fino a 2800 metri di quota e ha adottato questo peculiare adattamento per sopravvivere alle condizioni estreme dell’alta quota. I suoi piccoli nascono dopo una gestazione che può durare anche due anni nel corso dei quali compiono la delicata fase della metamorfosi all’interno del corpo materno. In questo modo alla nascita non necessitano di acqua e ciò consente alla salamandra nera di vivere fino al limite delle nevi e tollerare temperature rigide prima di rifugiarsi sotto il terreno ghiacciato durante i lunghi mesi invernali. luoghi frequentati dagli anfibi possono ritenersi ad elevata qualità ambientale. Sono animali molto delicati, tra i primi a risentire dei cambiamenti climatici e degli interventi dell’uomo sull’ambiente; per questo infatti, moltissime specie sono a rischio di estinzione. La loro pelle sottile è così sensibile che può subire gravi danni se l’acqua in cui vivono presenta sostanze inquinanti e in generale la minaccia più grande rimane legata alla riduzione degli ambienti umidi a cui sono indissolubilmente vincolati. Ogni raccolta d’acqua, dunque, può essere un prezioso scrigno di biodiversità da salvaguardare. Cipriano Valorsa: il raffaello grosino Gioia Zenoni Il tritone crestato nuota lentamente sotto il pelo dell’acqua emergendo di tanto in tanto per respirare (23 maggio 2010, foto Alessandra Morgillo) e Salamandra atra a Prabello (luglio 1991, foto Antonio Boscacci). I 92 Le Montagne Divertenti Salamandra pezzata nel canyon (maggio 2010, foto Pascal van Duin). Chiuro, Portico dei Disciplini, dettaglio dell'affresco con Santa Marta e i disciplini (28 luglio 2010, foto Beno). Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Cipriano Valorsa - parte I 93 Arte e montagna Rubriche Il Raffaello grosino. E’ una definizione un po’ altisonante, quella convenzionalmente attribuita al pittore Cipriano Valorsa. verso l’autoflagellazione; continuano ad essere presenti le figure mostruose, di sapore un po’ medievale, che incarnano l’errore, il peccato, il malvagio. Per contro, la pacata serenità dei volti della Vergine e dei santi assurti alle sfere celesti rassicurano sulla sorte ultraterrena di chi conduce una vita pia nel pieno rispetto della comunità cattolica. Non manca un amore per i dettagli, specialmente nei sontuosi costumi dei committenti, delle autorità ecclesiastiche e delle famiglie nobili, qualora trovino spazio nella raffigurazione: tutto ciò concorre a creare uno spaccato della società dell’epoca, della mentalità e delle istituzioni. Ed è senza dubbio eccessiva se riferita alla qualità e all’intuizione artistica del pittore che ha firmato le più importanti opere valtellinesi nella seconda metà del XVI secolo: il paragone va piuttosto colto nell’ottica del rapporto fra artista e committenza - a lui è, infatti, accordata la preferenza delle istituzioni religiose - e del grande riconoscimento ottenuto già in vita e mai mancato dopo la riscoperta critica delle sue opere da parte dello storico valtellinese Francesco Saverio Quadrio attorno alla metà del ‘7001. Ma cos’è che ha reso questo artista così apprezzato, da far sì che per un lungo periodo le parrocchie e le confraternite di mezza Valtellina volessero solo la sua firma per la decorazione dei propri edifici? Basta ammirare qualcuno dei suoi affreschi per capirlo: se da un lato un osservatore attento noterà la precisa riproposizione di modelli pittorici ampiamente diffusi in area lombarda, segno questo della piena adesione del pittore alla temperie artistica dell’epoca, dall’altro non mancherà di essere colpito dalla misura e dalla grazia con cui sono trattati i soggetti, non per questo privi di forza espressiva. Se anche è stata osservata una certa disomogeneità fatta di alti e bassi nel corso della produzione, facilmente dovuti alla diversa maestria degli aiutanti reperiti sul posto, si può a ragione affermare che la cifra distintiva del Valorsa è proprio quell’eleganza, che, forse, ha suggerito l’accostamento con la soavità tipica del meritatamente ben più noto Raffaello. La capacità del grosino di rielaborare i cartoni dei grandi pittori che operarono sul Lario e in Valtellina (Bernardino Luini, Gaudenzio Ferrari, Sigismondo De Magistris, Fermo Stella) con un linguaggio immediato ed estetico – osservano gli studiosi – rivela un istinto artistico che avrebbe potuto crescere e portare a risultati ben più ambiziosi, se solo il pittore avesse avuto modo di continuare la sua formazione fuori dalla valle, a diretto contatto con le tendenze pittoriche peninsulari in continua evoluzione. Cipriano, la cui biografia è nota dal testamento scoperto e pubblicato una quarantina d’anni fa2, resta invece saldamente attaccato alle sue radici per una precisa scelta di vita, quella di dedicare la sua opera al Signore e alla sua comunità, come testimonierebbero il grande fervore religioso con cui aderì alla confraternita dei disciplini3 e l’impegno civile che lo spinse ad accettare più volte la carica di decano. Anche l’attardamento stilistico e la 1 - Fra i diversi studi, si ricordano in questa sede solo i lavori più recenti: S. Coppa, I dipinti e le sculture, in G. Antonioli, G. Galletti, S. Coppa, La chiesa di San Giorgio a Grosio, Sondrio 1985; C. D’Adda, Cipriano Valorsa e la cultura storico-artistica lombarda del XVI secolo, in Notiziario della Banca Popolare di Sondrio, n. 70, aprile 1996; M. Paini, N. Pozzi (a cura di), Cipriano Valorsa. Grosio 1515-1604, Villa di Tirano 2003. 2 - T. Salice, Il testamento di C. Valorsa, in Bollettino della Società Storica Valtellinese, n. 23, 1970, pp. 51-58. 3 - Confraternita laica, i cui membri sono riconoscibili nelle raffigurazioni perché indossano una tunica bianca con un cappuccio che, coprendo viso e indumenti, annulla ogni distinzione sociale fra i membri in riunione 94 Le Montagne Divertenti Chiuro, Portico dei Disciplini. Santa Marta protettrice dei disciplini di Chiuro. A fianco: le volte a crociera con i quattro evangelisti e i puttini che reggono i simboli della passione (28 luglio 2010, foto Beno). costante reiterazione degli schemi sono stati interpretati come consapevole espressione di conservatorismo religioso nel movimentato contesto culturale della Valtellina del Cinquecento, segnata dalla ferma risposta cattolica della cosiddetta Controriforma al dilagare del protestantesimo. Un secolo di diffidenza, attriti e oscurantismo intercorre fra l’avvio dell’occupazione grigiona (1512) e lo sfociare delle ostilità contro lo straniero e la sua religione nel drammatico episodio del Sacro Macello (1620): la pittura del Valorsa incarna pienamente lo spirito dell’epoca e di una terra di frontiera, che vede nell’attaccamento ai valori tradizionali la possibilità di sopravvivere al turbinio della storia. Così, prevalgono i temi strettamente tradizionali e quelli emblematici dei dogmi cattolici messi in discussione dal luteranesimo: per questo motivo risultano centrali la Madonna e i santi che possono intercedere per la salvezza delle anime. Dominano le composizioni figure austere di santi che richiamano le coscienze alla preghiera e alla penitenza, ricorrono con una certa frequenza inquietanti figure incappucciate che ricordano le consuete pratiche della mortificazione attraAutunno 2010 Le raffigurazioni del Valorsa ci permettono di fare un tuffo nella Valtellina dei fieri borghi cinquecenteschi e offrono uno spunto per meditare su cosa significhi, ancora oggi, essere una terra di passaggio, cosa cogliere dei nuovi apporti culturali e cosa invece tutelare del patrimonio tradizionale, nell’ottica di una vita in comunità che continua ad essere l’elemento fondante di un territorio dal popolamento organizzato in piccoli centri rurali. Le opere del Valorsa sono ospitate negli edifici sacri di diversi paesi della media e alta Valtellina4, che costituiscono la meta ideale di piacevoli passeggiate nei weekend autunnali ed invernali: vi proponiamo quindi, in questo e nel prossimo numero, due percorsi alla ricerca di alcuni degli affreschi e delle tele del pittore grosino. Il primo itinerario, ideale da compiere in bicicletta sfruttando il sentiero Valtellina, tocca il comprensorio di Ponte, Chiuro, Teglio e 4 - Un elenco delle opere certe è consultabile sul sito: http://www.scuolegrosio.it/progetti/valorsa/ opera.htm Le Montagne Divertenti Cipriano Valorsa - parte I 95 Rubriche Arte e montagna Bianzone; meta di un’ulteriore gita, o meglio punto di sosta al ritorno da un’ascensione sulle Orobie può essere la chiesa di S. Agostino ad Agneda, che conserva una Madonna col Bambino all’interno dell’ancona lignea collocata dietro l’altare. Portico dei Disciplini a Chiuro A sinistra della Chiesa parrocchiale dei SS. Andrea e Giacomo5, nel cuore del centro storico di Chiuro, si trova il piccolo e grazioso portico che oggi dà accesso alla canonica e che un tempo era annesso al cimitero dei membri della confraternita, come confermano l’iscrizione dedicatoria e la raffigurazione dei disciplini stretti attorno alla loro protettrice Santa Marta, disposte entrambe sulla parete di fondo. Il portico ha subito numerosi rifacimenti nel corso del tempo e il ciclo pittorico6 è quindi limitato alle porzioni di muro sopravvissute e alla volta a crociera, di cui restano due campate. Sopra il primo arco è raffigurata l’Annunciazione; i due sottarchi recano dei tondi con le raffigurazioni di santi e profeti. All’interno del portico, nelle lunette sottostanti gli archi si susseguono la deposizione e la resurrezione di Cristo, mentre sulla parete di sinistra è 5 - Anche la decorazione della lunetta sovrastante il portale d’accesso al sagrato della chiesa, una Pietà accompagnata dai SS. Andrea e Giacomo sembra opera del Valorsa, ma mancano fonti dirette che ne comprovino l’attribuzione. 6 - Portato a compimento nel 1591, come ricorda un’altra iscrizione che conferma, inoltre, l’intervento del Valorsa. Sazzo, tela con crocifissione. Sazzo, parrocchiale di S. Luigi. narrato il miracolo di Gesù che resuscita il figlio della vedova di Naim. Sulla volta, la prima campata reca la raffigurazione di un evangelista in ogni vela, mentre nella seconda campata si trovano quattro coppie di putti che mostrano i simboli della passione di Cristo. Non mancano le autorità ecclesiastiche, raffigurate con dovizia di particolari in due tondi che colmano gli spazi lasciati vuoti dalle raffigurazioni principali. Chiesa parrocchiale di S. Luigi a Sazzo (Ponte) In una cappella della bella chiesa seicentesca di Sazzo, sopra il fonte battesimale si trova una tela dipinta ad olio dal Valorsa nel 1596. Due momenti salienti della vita di Cristo sono raffigurati in due registri: in quello inferiore, il Battesimo nel fiume Giordano è accompagnato ai lati da S. Francesco che riceve le stig- mate e da S. Maurizio con il labaro; in quello superiore una Gerusalemme idealizzata fa da sfondo alla Crocifissione. Attorno a Gesù, la Madonna, Maria Maddalena e S. Giovanni; ai lati i due ladroni con la rappresentazione delle loro anime sorrette da un angelo e da un diavolo. Boalzo, chiesa e oratorio di S. Abbondio (28 luglio 2010, foto Beno). Bianzone, chiesa di S. Siro (25 luglio 2010, foto Beno). Boalzo, oratorio di S. Abbondio: Madonna con Bambino e i SS. Rocco e Sebastiano. Bianzone, chiesa di S. Siro. Cappella di S. Pietro. Oratorio di S. Abbondio a Boalzo (Bianzone) Su un poggio panoramico circondato da vigneti, di fianco all’omonima chiesa, si erge un piccolo edificio sul cui muro di fondo, nel 1563, il Valorsa dipinse una Madonna in trono col Bambino, affiancata dai SS. Rocco (con il mantello, la bisaccia e il bastone da pellegrino e la piaga della peste sulla gamba) e Sebastiano (trafitto da frecce). Lo schema compositivo di questo soggetto, racchiuso da un’evanescente architettura dipinta, ricorre nella coeva chiesa in località Bratta; i delicati lineamenti dei personaggi e i colori accesi delle loro vesti sono tornati a nuova vita dopo i recenti interventi di restauro. Chiesa di S. Siro a Bianzone Il superbo complesso di S. Siro è un vero e proprio scrigno delle opere del Valorsa: oltre a due cappelle affrescate, la chiesa racchiude due grandi ante lignee dipinte a tempera (con gli apostoli e i dottori della Chiesa), mentre nell’attiguo oratorio di S. Pietro è esposto un dittico ligneo intagliato e dorato, dipinto con le raffigurazioni dei SS: Agostino e Bernardo. La confraternita dei disciplini ha commissionato, per la nicchia semicircolare della cappella di S. Pietro martire, Bratta, dei SS. Bernardo e Antonio: Le Montagne Divertenti Madonna con Bambino e i SS. Rocco e Sebastiano (21 febbraio 2010). 96 chiesa Autunno 2010 un ciclo con le scene della passione di Gesù: fra la presentazione alla folla da parte di un Pilato dal costume arabeggiante, la coronazione con le spine e la flagellazione, al centro Cristo porta la croce attorniato dai SS. Pietro e Rocco, assistito dai disciplini in preghiera e sovrastato da una Madonna col Bambino in un tondo di nuvolette. Nei rimanenti spazi, trovano posto santi e profeti. La cappella di S. Orsola (poi dei Martiri) è stata affrescata, grazie all’impegno della famiglia Besta, con figure di santi e vescovi. Le Montagne Divertenti Chiesa dei SS. Bernardo e Antonio a Bratta (Bianzone) In località Bratta, fra le poche case per lo più abbandonate, spicca il campanile di una piccola chiesa cinquecentesca. La sua facciata, preceduta da un portico a due colonne, doveva essere interamente ricoperta da un affresco, diviso in più registri compositivi, che oggi si conserva solo nella porzione meridionale del muro. Sopra la porta d’ingresso è dipinta una Pietà con Cristo sorretto dalla madre e da Maria Maddalena. Circonda il suo capo la data di realiz- zazione dell’opera (1563). A destra, sulla parte superiore della parete in cui è stata successivamente ricavata una finestra, si conservano i resti della rappresentazione della Madonna con il Bambino e con i SS. Rocco e Sebastiano. Malgrado le asportazioni, il buono stato di conservazione della superficie pittorica permette di cogliere una raffigurazione più matura e attenta ai dettagli rispetto all’affresco dell’oratorio di Boalzo, di cui condivide il modello d’ispirazione. Cipriano Valorsa - parte I 97 Rubriche RimA e prosa in dialetto fotografia I tramonti in montagna Camp... Testi e foto Roberto Moiola Giovanni Bolognini Ansè sü a la “Cruséta de Camp1”. Su tütt ross, südat e da moschi e müschìn che ne corr adrèe, trovi miga scamp... Me fermi a la funtàna longa, quela di vachi e ne bevi ‘n tracc': “Ancöo ufrìsi mì!” ghe disi. Pö me resenti giö ‘l müs. “Brrr... se l’é gelda!” Dal ruzzach tiri fö ‘l telefunin. Vöoli ciamà cà! “Vaca lögia! Ancöo gh’é miga camp...” “ ‘Stu gàfen el ciàpa miga!” Sü üna di tanti sacòci del ruzzàch al me scapa là l’öcc, su n’etichéta biànca, an ross gh’é scritt, Camp... “Ma varda!” “Chi söta al stalòn, ‘na volta, gh’éra an camp de slavàzzi, cui föi verdi-verdi e grandi. Adess ghe n’è noma ‘n rünchétt!” An sè olsa sü finu al sentèe de Càmpudula, pö, a l’ümbria di pin e int ‘na smagia de füngg ross-ross an taja fö vers Camp de Pesc. “Ancöo gh’é ‘n gir tropa rüfàna e poch füng!” Alùra ‘n và là in Urtighèra. A mesdì an se senta giö ‘nde l’erba che la spüngg. Gh’é ‘n gir nigün, en maja an bucùn, ansé varda atùren... Al Combul, al Denc del Coca, al Denc del Diaul... “I Denc de la Vegia”... “Quanc denc!” pensi e bevi an sors de ross... “Vinesa!” L’à mes’ciàt cun l’acqua: -“ ’Nsedenò se camina pù!” La ne fà! Quant levi sü me scapa: -“ Ma seca gh’è pusèe bell de la muntàgna?” Speci miga la risposta… La su già! E m’envii sü pian-pianìn vers al “Doss Majù” Quant an sè sbasa, pö, a cercà ‘l sentèe, an truà i crap: -“Chi s’gh’à de fà atenziòn ‘ndua se mett i pèe! Chi gh’é miga tant de dì sù cüméla. Vuréss miga truàss fò drizz a l’otru Camp...” -“ Qual?” I me fà. I -“ Fö al Camp dela camamèla!” tramonti alpini non sono come quelli che si ammirano al mare o nei classici scatti della savana, ma non per questo sono meno spettacolari e, anzi, per ritrarne tutta l'intrigata magia si rischia di rimanere incollati al pulsante di scatto della fotocamera fino ad averne esaurito la scheda di memoria. Se però ne capiamo le dinamiche, scopriremo anche i trucchi per realizzare scatti di pregevole fattura. 1 - L'alpeggio di Campo si trova a m 1700 sopra Ponte in Valtellina, circa 1 ora e mezza di cammino da San Bernardo. 98 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Anemone in Valgerola (30 maggio 2009). Le Montagne Divertenti L'arte della fotografia 99 Il monte Berlinghera si specchia nel lago di Mezzola (27 ottobre 2007, foto Josef Ruffoni). L a linea dell’orizzonte in montagna è assai differente da quella della pianura. Il profilo delle montagne infatti nasconde la magica palla rossa del sole nel momento in cui questa si nasconde dietro la terra, perciò una foto di tramonto in montagna non può prescindere dalla presenza di alcune nuvole nel cielo che rimpiazzano l'assenza dell'astro. a cerchiamo di capire come e quando un buon tramonto si può verificare. La luce solare, o luce bianca, presenta una gamma di colori che vanno dagli infrarossi agli ultravioletti, ognuno è composto da una diversa lunghezza d’onda. L’interazione della luce con l’atmosfera fa sì che essa venga deviata a seconda della composizione chimica dell’aria (molecole e piccole particelle). Quando la luce è incidente viene facilmente diffusa dall’atmosfera con una serie di rifrazioni, riflessioni e diffrazioni. La componente blu (che contiene minor lunghezza d’onda) è quella che viene più facilmente deviata “al mittente” da queste particelle, e ciò spiega la colorazione del cielo. La componente rossa (con maggior lunghezza d’onda) riesce, per così dire, a scavalcare questo ostacolo causato dalle particelle presenti nell’ aria, non abbastanza grosse da riuscire M 100 Le Montagne Divertenti a fermarne il tragitto. Si sono già visti anche cieli di color rosso, ma solo in presenza di grandi particelle capaci di deviare la componente rossa: è capitato in passato con eruzioni vulcaniche in regioni molto lontane dalle nostre latitudini. l sole normalmente appare giallo perché la componente blu viene rimossa dai raggi diretti. Quando il sole è vicino all’orizzonte i raggi devono attraversare uno strato maggiore di atmosfera, viene tralasciata quindi la componente blu a favore di quella rossa. L’effetto rosso risulta ancor più amplificato in presenza di atmosfera sgombra da qualsiasi impedimento: pulviscoli di vapore acqueo, afa e ogni genere di inquinamento industriale. La condizione ideale la si ha con vento da nord (foehn). Se il favonio è elemento meteorologico prevedibile, è invece il fattore fortuna a regalare nuvole dalle forme originali al momento giusto. L’intensità nella saturazione delle nuvole è proporzionale alla loro altitudine nel cielo. La presenza di cirri o di un cielo a pecorelle è la spia che anticipa un gran finale di giornata. I Autunno 2010 Enrosadire sul gruppo delle Odle (Dolominti, 5 giugno 2010). Le Montagne Divertenti L'arte della fotografia 101 Rubriche Tramonto favonico all'alpe Granda (6 dicembre 2003). Importante è inoltre la scelta del luogo; io amo ad esempio rimanere in posizione il più possibile elevata e distante dal fondovalle. Pernottando in un rifugio tra le montagne si ha infatti una situazione migliore rispetto ad un paese con i disturbi luminosi ed inquinamenti vari. Un buon consiglio è quello di porsi di fronte ad un laghetto. La superfice riflettente, fungendo da specchio, ed il colore argenteo dell’acqua esaltano al meglio le luci all’orizzonte. Un’altra buona idea è tenere il rifugio in primo piano, con le luci appena accese che fuoriescono dalla finestra e creano un forte contrasto con l’ultimo bagliore crepuscolare. nalizzando gli aspetti di natura tecnica, ci si deve innanzitutto dotare di un treppiede che regga senza troppe vibrazioni il peso della fotocamera: è fuor di dubbio che ci troveremo sempre in condizioni di luminosità non sufficiente a poter scattare completamente a mano libera. Per evitare indesiderate fotografie con effetti di micromosso possiamo impostare l’autoscatto ed in caso di vento anche la funzione del blocco dello specchio, opportunamente celato tra le funzioni speciali della fotocamera. Alziamo il valore di sensibilità (ISO) solo se veramente necessario, il valore di apertura del diaframma dovrebbe essere il più A 102 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Montagne Divertenti possibile impostato al numero “f ” al quale l’obiettivo fotografico lavora al meglio secondo le recensioni degli esperti. In condizioni di scarsa luce evitiamo di chiudere troppo il diaframma perché possono scaturire, a seconda della qualità della lente, forti imprecisioni dovute ad aberrazione cromatica e vignettatura. Quando il sole è già sceso sotto la linea dell’orizzonte è inutile, talvolta dannoso, l’utilizzo di filtri come, ad esempio, il polarizzatore. Per esaltare meglio colori e contrasto nella scena è bene sottoesporre con l’apposito comando di correzione dell’esposizione: più forte sarà la sottoesposizione e più ci troveremo di fronte a gradevoli silhouettes. E' una buona tecnica disporre qualche persona in controluce per ottenere scatti di grande impatto emotivo. Prima che le nuvole assumano il massimo della colorazione possiamo dedicarci ad inquadrare le pareti delle montagne caratterizzate da forti contrasti, talvolta delle inquadrature molto spinte ci regalano scatti impensabili, tagli originali grazie al teleobiettivo. Molto interessante è infine anche la colorazione che assume la superficie di un ghiacciaio. L'arte della fotografia 103 le foto dei lettori Rubriche 1 La graziosa chiesetta di Susen tra i mucchi e la luce del tramonto. La località di Susen è situata sopra Vervio, a m 1500, in Alta Valtellina (23 novembre 2009, foto Giacomo Meneghello). Attrezzatura utilizzata: Canon EOS 450D. Parametri foto: 1/250s f/9.0 ISO800 18mm di focale. D ue sezioni dedicate ai nostri lettori: una che premia il fotografo più bravo, l’altra che mostra la fantasia di chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo (la foto deve avere anche un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo!). Le foto giunte a [email protected] sono state tantissime, per cui, nonostante sia stata ampliata la sezione, qualcuno vedrà la propria pubblicata solo sul prossimo numero. P er ogni numero de “Le Montagne Divertenti” sceglieremo e premieremo la foto migliore fra quelle ambientate sulle nostre montagne (inviare il materiale a [email protected]) e la pubblicheremo con una recensione dettagliata e la scheda di presentazione del fotografo. Se questa sarà a taglio verticale e con soggetto autunnale potrà essere scelta con l'ultima di copertina del prossimo numero! Lo scatto migliore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di: il fotografo M i chiamo Giacomo Meneghello, ho 28 anni, sono nato in provincia di Verona, ma vivo a Sondalo. La montagna, assieme alla fotografia, posso dire di averla iniziata a conoscere veramente solo da un anno, ma da allora è stato un continuo crescendo. La montagna nasconde situazioni e sensazioni bellissime e la fotografia è la mia opportunità di condividerle con chi non le ha vissute. Credo che a volte la natura regali delle emozioni uniche per chi le sa vivere, credo che a volte possa bastare un tramonto per scaldare il cuore di una persona e spero che a volte possa bastare una fotografia per non farcelo dimenticare. 104 Le Montagne Divertenti 3 recensione di sysa L ’ autunno è il momento più bello per realizzare scatti con la luce del tramonto. Il colore giallo dell’erba si infiamma con la luce calda degli ultimi raggi del sole nel momento in cui esso scompare dietro l’orizzonte. l taglio scelto da Giacomo è molto interessante, con la chiesa tenuta in disparte e con i covoni di fieno quasi in primo piano, ad aggiungere un tocco di interesse all’immagine. Sicuramente è stata la tenacia del fotografo nell’aspettare fino all’ultimo a permettergli di realizzare uno scatto così grandioso, di forte impatto visivo ma allo stesso tempo melanconico. La chiesetta di Susen sopra Vervio, a m 1500 di quota, è una delle tante chiesette valtellinesi che ben si prestano ad essere fotografate. A noi il compito di scovarle e mostrarle in tutta la loro bellezza. I 2 4 1) Immersione all'isola Zabargad nel Mar Rosso. L'isola si trova nel sud dell'Egitto, quasi al confine con il Sudan (14 aprile 2010, foto Vittorio Mitta). 2) Bruna Sarotti con la sua amica Graziella sul vulcano Stromboli il (26 aprile 2010). 3) Paul, Francesca, Karin, Anna, Helga e Harald sullo Squaw Peak (Phenix, Arizona, maggio 2010). 4) Rocco Del Nero e l'amico kosovaro Nehat nella periferia della città di Mitrovica (maggio 2010). Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Le Lefoto fotodei deilettori lettori 105 le foto dei lettori Rubriche Rubriche 5 9 10 6 6 10a 7 8 12 11 5) Il CAI Berbenno alle isole Eolie (aprile 2010). 6) Sosta per piedi fumanti dei nordic walkers nelle rosee acque del lago salato Tuz Golü (Turchia, 26 maggio 2010). 7) Viviana Castellini e Stefano Vecchi alla alla partenza della Streif a Kitzbuhel. Sullo sfondo la cima con ricevitore "Kitzbuheler Horn" (13 luglio 2010). 8) Valli Aldo, Patrizia, Alessandro e Nicole a Marsa Alam, Egitto (giugno 2010). 9) Franco Vaninetti e Elisabetta Saligari all'isola Vulcano nelle Eolie (aprile 2010). 10) Eccezionale incontro dei N.W. nostrani con il Bonomi turco al Galata Bridge, sul Bosforo - Istambul (Turchia, 6 giugno 2010). 10 A) Negrini Filippo e Bricalli Fabio alla Bocchetta Roma (4 agosto 2010). 11) Dialogo interreligioso con il Mufti di Ekaterinburg (Eliana e Nemo Canetta, Russia, luglio 2010). 12) Gaia ai piedi del ghiacciaio del Ventina (14 luglio 2010). 106 Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Lefoto fotodei deilettori lettori 107 le foto dei lettori Rubriche Rubriche 16 15 13 18 17 14 13) Gruppo di buiatei, fedeli lettori di LMD, in visita alle Cinque Terre (Vernazza, 2 maggio 2010). 14) Tita e Guata al passo del Barbacan (11 luglio 2010). 108 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 19 15) Luciana Bosio a Porto Santo (Madeira, 9 maggio 2010). 16) Eleonora, Silvia e Alessandro durante la gita Savogno-Dasile (17 maggio 2010, foto Giacomo Berra). 17) Sara e Sergio alla capanna Tschierva (val Roseg - Svizzera) ringraziano Pia ed Ermanno per la collaborazione all'impresa (luglio 2010) 18) Castello di Edinburgo: Pierangela e Gianfranco Roda con gli amici Giuseppe e Emilia. 19) Molinari Ferruccio in attesa della partenza della 34^ maratona di Parigi (11 aprile 2010). Le Montagne Divertenti Le Lefoto fotodei deilettori lettori 109 13 n. Giochi de on i Ma ch'el? so lu zi vinti l Rubriche Vincitori e ma ch'el? ma 'n gh'el? L’utensile misterioso, fotografato da Gianfranco Lalli, è una macchina orlatrice manuale, usata per confezionare e ricaricare in casa le cartucce per fucili da caccia. Dopo aver riempito la cartuccia di polvere da sparo e pallini in dosi rigorosamente prestabilite, veniva messo un cartoncino come tappo, dopodiché la cartuccia veniva posizionata in orizzontale nella macchina orlatrice. La manovella di destra si teneva tirata per dare pressione e la sinistra si faceva girare creando un orlo nella cartuccia che sigillava la chiusura. L’edificio ritratto da Kim Sommerschield sul n.13 de "Le Montagne Divertenti" è la facciata della ex scuola “I.P.S. officine e cantiere” di Chiavenna situata all’incrocio tra via Gian Giacomo Macolino e via Francesco Novi. I vincitori sono stati: 1) Jonni Molinari di Busteggia 2) Bianca Fiorina di Bianzone 3) Ivano Contrio di Albosaggia 4) Franco Parolini di Lanzada 5) Morena Marchetti di Piateda Sei pratico di cose strane? Eccoti un oggetto misterioso. Dimmi di che cosa si tratta e come veniva utilizzato. I 2 più veloci dalle ore 20:00 del 25 settembre 2010 vinceranno l’esclusiva maglietta de “Le Montagne Divertenti / Waltellina”, il 3° classificato ricevera' una fascetta de "Le Montagne Divertenti / Waltellina.it ", il 4° e il 5° I vincitori sono stati: 1) Bruno Mortocchi di Prosto 2) Sergio Proh di Mossini 3) Cristina Luzzi di Paniga 4) Lina Bordoni di Mossini 5) Alan Muscetti di Sondalo un libro a sua scelta tra quelli disponibili su www.lemontagnedivertenti.com/libri Hanno inoltre indovinato la soluzione: Andrea Farovini, Valentino Grossi, Felice Bassola, Giovanna Vitalini, Giovanna e Gloria Soragni. Hanno inoltre indovinato: Adriano Maffi, Leonardo e Matilde Giacomini, Stefano Crapella, Mirco Gastaldini, Mirko Pedroli, Enrico Cometti, Giuseppe Torchiana, Siro Buzzetti e Chiara Battisti. Manda le tue risposte a: [email protected] oggetto della mail: “ma ch'el?” Ricordati di specificare il tuo indirizzo e la tua taglia. Ma che scimma i-è? Se sei un attento osservatore, indovina quali sono le 2 cime principali che ritrae questa foto realizzata dalla cima di R osso. Il più veloce dalle ore 20:00 del 25 settembre 2010 vincerà la foto (40x60cm in pregevole cornice di legno artigianale). Il 2° e il 3° classificato avranno l’esclusiva fascetta de “Le Montagne Divertenti / Waltellina”, il 4° e il 5° un libro a sua scelta tra quelli disponibili su www.lemontagnedivertenti.com/libri Manda le tue risposte a [email protected] oggetto della mail: “Ma che scimma i-è?”. ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO O ALL'INDIRIZZO SBAGLIATO VERRANNO RITENUTE NULLE 110 Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Giochi 111 Rubriche lE RICETTE DELLA NONNA Rosa canina una marmellata squisita Mario Pagni V La rosa canina è una specie spontanea che si trova diffusamente nei paesi di montagna. La maturazione dei suoi frutti avviene nel periodo autunnale, tra la fine di settembre e gli inizi d’ottobre, ed è evidente quando cominciano ad assumere un colore rosso acceso. Per le proprietà tonificanti, astringenti e antinfiammatorie, il consumo di marmellata di rosa canina è particolarmente indicato per affrontare a piene forze la stagione invernale. Il frutto della rosa canina è inoltre ben conosciuto per il suo altissimo contenuto di vitamina C. INGREDIENTI PER la marmellata di rosa canina - 1 kg di frutti di rosa canina - acqua q.b. - eventualmente 1 o 2 mele - 1 kg di zucchero preparazione Una volta colti i frutti maturi della rosa canina è bene privarli dei semi, incidendoli col pollice, un cucchiaino o con lo strumento che si ritiene più idoneo. Questa operazione, che richiede pazienza infinita e molto, molto tempo, risulterà utilissima nella successiva fase di passatura. Porre i frutti privi di semi in una pentola e riempire d’acqua fino al loro totale galleggiamento. Se si vuole produrre più marmellata, aggiungere opzionalmente una o 112 Le Montagne Divertenti Frutto di rosa canina (27 settembre 2006, foto Beno). due mele per ogni chilo di prodotto, sbucciate, private di torsolo e ridotte a pezzettini. Far cuocere per un’ora e mezza mescolando di tanto in tanto. Passare col passatutto prima e con un setaccio poi, per garantire la totale privazione dei semi residui e della buccia. La resa finale è di circa il 50%. Porre nuovamente nella pentola e aggiungere un chilo di zucchero per ogni chilo di frutta. Cuocere per 3 o 4 minuti fino a quando il tutto risulta ben amalgamato. Mettere in vasi sterilizzati a tenuta ermetica. La marmellata può essere consumata non appena si sia raffreddata. Autunno 2010 “ Io non vado in giro a ricercare diamanti, ma ricerco diamanti per poter andare in giro.” 114 Alfonso Vinci (alpinista ed esploratore) Le Montagne Divertenti Autunno 2010 Le Montagne Divertenti Ricette 115