Giacomo Canale Un Presidente di minoranza: le assurde

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Giacomo Canale Un Presidente di minoranza: le assurde
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Giacomo Canale
Un Presidente di minoranza: le assurde conseguenze della logica elettorale
“premiale” sul procedimento di elezione del Capo dello Stato
1. Il problematico esito elettorale 2. L’esaltazione degli effetti distorsivi della logica elettorale
premiale 3. La possibile elezione di un Presidente della Repubblica doppiamente minoritario
4.Osservazioni conclusive
1. Il problematico esito elettorale
Come è noto, l’esito delle ultime elezioni politiche non ha fornito una risposta immediatamente
soddisfacente alle istanze di stabilità politica e governabilità, anzi. È emerso un quadro parlamentare
complesso, che rende difficile la formazione del prossimo Governo.
Infatti, la Camera dei Deputati sarà composta da1:
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345 deputati di centro sinistra (297 PD, 37 SEL, 6 Centro Democratico e 5 SVP), con il
29,5% (25,4% PD, 3,2% SEL, 0,5 Centro Democratico e 0,4 SVP);
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125 deputati di centro destra (98 PDL, 18 Lega Nord e 9 Fratelli d’Italia), con il 29,1%
(21,6% PDL, 4,1% Lega Nord e 2% Fratelli d’Italia);
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109 deputati del Movimento 5 Stelle, con il 25,5%;
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49 deputati del centro montiano (41 Lista civica Monti e 8 UDC), con il 10,5 %, (8,3% Lista
civica Monti e 1,8% UDC);
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2 deputati di altre forze politiche minori,
ed il Senato della Repubblica da:
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121 senatori di centro sinistra (111 PD, 7 SEL, 1 Lista Crocetta e 2 SVP), con il 31,6%
(27,4% PD, 3% SEL, 0,4% Lista Crocetta e 0,5% SVP);
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Dottorando in diritto pubblico nell’Università di Roma “Tor Vergata”
Fonti: il Centro Italiano Studi Elettorali della Luiss, diretto dal Prof. D’Alimonte, per quanto riguarda la
composizione numerica della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il sito Repubblica.it per le
percentuali di voto. Per semplicità si è fatto riferimento alla sola circoscrizione nazionale, la più significativa
da un punto di vista numerico. Si precisa che sono state riportate soltanto le percentuali dei partiti o delle
liste che hanno avuto degli eletti e pertanto può esserci uno scostamento tra la percentuale della coalizione e
la somma delle percentuali dei partiti che la compongono.
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117 senatori di centro destra (99 PDL, 17 Lega Nord e 1 Grande Sud), con il 30,7% (22,3%
PDL, 4,3% Lega Nord e 0,4 Grande Sud);
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54 senatori del Movimento 5 Stelle, con il 23,8%;
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22 senatori del centro montiano, con il 9,1%;
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1 senatore del VALLÉE D'AOSTE, con lo 0,2%.
La semplice osservazione di tali dati evidenzia plasticamente la straordinaria sproporzione della
rappresentanza parlamentare, che deriva dall’applicazione di una logica elettorale fortemente
premiale.
Ad esempio, alla Camera vi è un sostanziale pareggio tra il centro sinistra e il centro destra, ma
con solo lo 0,4% di voti in più si ottengono 200 deputati in più.
Ciononostante, non è comunque assicurata la governabilità del Paese, perché la coalizione (centro
sinistra) aggiudicataria del premio di maggioranza alla Camera dei deputati non ha la maggioranza
al Senato della Repubblica, non avendo conseguito il premio di maggioranza in sette Regioni:
Lombardia, Veneto, Puglia, Calabria, Campania, Sicilia e Abruzzo.
2. L’esaltazione degli effetti distorsivi della logica elettorale premiale
Se la situazione di stallo può essere attribuita alla vigente legge elettorale, in particolare per la
previsione di premi regionali al Senato, gli effetti distorsivi dell’alterazione della rappresentanza
parlamentare, amplificati dal contesto multipolare dipendono, invece, dalla mancata manutenzione
dell’edificio costituzionale all’introduzione di logiche elettorali “premiali”.
Al riguardo, tale scelta avrebbe dovuto richiedere una ponderata attività di revisione
costituzionale o perlomeno l’adeguamento delle maggioranza qualificate previste nel testo
costituzionale, onde evitare il rischio di pericolosi colpi di mano da parte di maggioranze
sproporzionalmente sovradimensionate.
Di ciò era pienamente consapevole l’On. Costantino Mortati, che, nella seduta del 7 novembre
1946 della seconda sottocommissione dell’Assemblea costituente, aveva proposto di inserire in
Costituzione quei principi che condizionano il funzionamento di determinati organismi
costituzionali e tra questi, il principio della rappresentanza proporzionale2, perché, rispetto agli altri
sistemi elettorali, il proporzionale è anche un modo di organizzazione dello Stato e avrebbe
consentito l’armonizzazione della rappresentanza delle due Camere.
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Questa proposta, come è noto, non venne accolta, per il giustificato timore di irrigidire troppo
l’evoluzione del sistema politico. E, difatti, se fosse stata accolta, l’abbandono del sistema proporzionale per
via referendaria sarebbe stato inconcepibile.
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Egli si mostrava dunque consapevole del rischio di provocare profonde alterazioni costituzionali,
attraverso la modifica della legislazione elettorale ordinaria.
In particolare, Mortati faceva notare che se alle Camere legislative fosse stato affidato il compito
di eleggere il Capo dello Stato, questa nomina poteva essere influenzata dal sistema elettorale: è ciò
che è, infatti, accaduto.
L’evidente ratio del procedimento per l’elezione del Capo dello Stato è di garantire una sua
ampia legittimazione democratica, attraverso il necessario consenso dei due terzi del collegio
presidenziale3 nelle prime tre votazioni e comunque della maggioranza assoluta a partire dalla
quarta, che, in un contesto elettorale proporzionale, come quello presupposto dal legislatore
costituente, equivaleva alla maggioranza del corpo elettorale.
È di tutta evidenza che l’introduzione di una logica elettorale premiale alteri il significato
originario della maggioranza assoluta.
Ciò ha come conseguenza il rischio che si possa avere un Capo dello Stato eletto da una
coalizione minoritaria4.
Ma vi è di più: è possibile addirittura l’elezione del Presidente della Repubblica da parte di una
doppia minoranza, cioè di una coalizione che non ha la maggioranza elettorale, né quella
parlamentare.
Quest’ultimo apparente paradosso è determinato dal forte premio di maggioranza alla Camera,
che consente di compensare i seggi mancanti al Senato al fine di avere la maggioranza assoluta del
Parlamento in seduta comune e, quindi, con molta probabilità del collegio presidenziale5.
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Il quale, come è noto, è composto da tutti i parlamentari (630 deputati più 315 senatori più i 5 eventuali
senatori a vita: oggi sono soltanto quattro) e dai delegati regionali (58: tre per Regione e uno per la Valle
d’Aosta).
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In verità, già in occasione dell’ultima elezione del Presidente della Repubblica (Napolitano) ci si poteva
accorgere di questo potenziale vulnus democratico. Infatti, egli è stato eletto alla quarta votazione con una
maggioranza di 543 voti su 990 votanti dei 1009 aventi diritto, corrispondente alle sole forze della coalizione
di centro sinistra, le quali avevano avuto, limitatamente alla sola circoscrizione Italia, alla Camera il 49,81% e
al Senato il 48.96% contro rispettivamente il 49,74% e 50.21% della coalizione di centro destra. Si trattava
dunque di una elezione “maggioritaria”, anche se l’influenza sui partiti della precedente legislazione
elettorale (il c.d. Mattarellum) era ancora forte, come dimostra la circostanza che le coalizioni erano
estremamente ampie, ancorché eterogenee, e quindi abbiano finito per raccogliere la quasi totalità del
consenso elettorale, rendendo più tollerabile il lieve sovradimensionamento parlamentare.
I successivi appuntamenti elettorali avrebbero mandato in soffitta la logica comportamentale maggioritaria
delle ampie coalizioni e inaugurato una stagione di significativo sovradimensionamento parlamentare.
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Come è noto, nella lunga prassi repubblicana il ruolo dei delegati è stato sostanzialmente irrilevante, ma
già nel sistema proporzionale essi potevano essere fondamentali, nel caso meramente speculativo di
un’esigua maggioranza nazionale e di opposte maggioranze regionali (Baldassare). Nel nuovo contesto
elettorale, l’incidenza dei delegati nell’elezione del Capo dello Stato perde il suo carattere teorico e diventa
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3. La possibile elezione di un Presidente della Repubblica doppiamente minoritario
È questa la situazione che potrebbe verificarsi nella prossima elezione del Presidente della
Repubblica.
Infatti, i menzionati numeri parlamentari evidenziano la possibilità di eleggere il Presidente della
Repubblica alla quarta votazione, con un eventuale accordo tra il centro sinistra e il centro montiano,
che dispongono della maggioranza assoluta del collegio6, malgrado rappresentino poco più del 40%
dell’elettorato e non abbiano nemmeno la maggioranza parlamentare.
Ma c’è di più. Infatti, la situazione avrebbe potuto essere ancora più paradossale, se soltanto il
centro sinistra fosse riuscito ad aggiudicarsi il premio di maggioranza al Senato in una delle
maggiori Regioni in cui ha perso (Puglia, Campania, Veneto, Lombardia e Sicilia) o nelle due
minori (Abruzzo e Calabria)7.
In questo caso, il centro sinistra avrebbe avuto la maggioranza assoluta del collegio
presidenziale8 e avrebbe potuto eleggere in autonomia il prossimo Presidente della Repubblica, pur
rappresentando meno di un terzo del corpo elettorale e senza la maggioranza parlamentare.
Tra l’altro, va evidenziato che se il centro sinistra avesse vinto il premio regionale solo in
Abruzzo o in Calabria non avrebbe avuto la maggioranza assoluta dei parlamentari eletti9, ma
avrebbe potuto avere di strettissima misura quella del collegio presidenziale, grazie ai senatori a vita
una concreta possibilità, perché le ipotesi di forte incertezza sono di più probabile verificazione (Bartole,
Bin, Falcon e Tosi).
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Infatti, in questa ipotesi il voto dei delegati regionali e dei senatori a vita sarebbe del tutto irrilevante,
poiché la somma dei voti di queste due coalizioni è di 537, quindi di molto superiore alla maggioranza
assoluta del collegio che è di 504. Infatti, il collegio presidenziale sarà composto da 945 parlamentari
neoeletti, 4 senatori a vita e 58 delegati regionali, per un totale di 1007.
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Il centro sinistra infatti ha 466 parlamentari eletti, cioè 7 parlamentari in meno della maggioranza
assoluta (senza i senatori a vita). Maggioranza che avrebbe ottenuto, vincendo in Puglia (473), Campania
(476), Sicilia (475), Veneto (476), Lombardia (482) oppure in Calabria e Abruzzo (473) e che in aggiunta ai
delegati e ai senatori a vita avrebbe consentito il raggiungimento del quorum per eleggere il Capo dello
Stato.
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Infatti, alla maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune si sarebbero aggiunti anche i 30
delegati regionali, che secondo una stima realistica dovrebbero andare al centro sinistra.
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-03-02/dopo-napolitano-calcolo-voti105453.shtml?uuid=AbiVPvZH.
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Infatti, vincendo soltanto in Calabria (470) o in Abruzzo (469), il centro sinistra sarebbe rimasto sotto la
soglia della maggioranza assoluta.
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e ai delegati regionali, sia nell’ipotesi scolastica in cui tutti i consigli regionali siano della stessa
maggioranza della coalizione vincente10, sia, soprattutto, a causa di qualche forzatura maggioritaria.
Quest’ultima ipotesi, in realtà potrebbe verificarsi anche adesso.
Infatti, al centro sinistra potrebbero mancare nella migliore ipotesi soltanto 4 voti11, che si
potrebbero raggiungere con dei colpi di mano sui delegati regionali, resi possibili sia dalla mancata
regolamentazione statutaria delle discipline regionali dei procedimenti per l’elezione dei delegati 12,
sia dal meccanismo della loro convalida, che non vede coinvolti gli organismi di garanzia regionali
o organi del Parlamento in seduta comune, ma soltanto il Presidente della Camera dei Deputati13.
E anche se ciò non accadrà in concreto, la sua stessa astratta possibilità rappresenta l’indice
sintomatico delle gravi disarmonie oggi esistenti sul procedimento per l’elezione del presidente del
Presidente della Repubblica.
Inoltre, come già detto, senza giungere a queste ipotesi limite, l’elezione del prossimo inquilino
del Quirinale potrebbe essere molto probabilmente il frutto del voto congiunto di una doppia
minoranza, che dispone largamente della maggioranza assoluta del collegio.
4. Osservazioni conclusive
Dovrebbero essere chiaramente evidenti i rischi derivanti da un’elezione minoritaria del Capo
dello Stato, soprattutto, di fronte ad uno scenario politico complesso, come quello attuale, che tende
ad esaltarne il ruolo, o usando una felice metafora, ad aprire al massimo la fisarmonica dei suoi
poteri.
Si potrebbe, infatti, creare un crescente clima di sfiducia istituzionale e politica sull’operato del
Presidente della Repubblica, qualora le sue scelte fossero ritenute finalizzate alla tutela della parte
politica che lo ha eletto.
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In questo ipotetico caso, i delegati regionali della maggioranza parlamentare potrebbero essere al
massimo 39 (2 per le 19 regioni più uno della Valle d’Aosta).
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Contando i 30 delegati e ipotizzando il voto favorevole dei senatori a vita. Tra l’altro, si osserva che in
questi specialissimi casi si potrebbe procedere alla nomina dei senatori a vita mancanti, anche allo scopo di
raggiungere il quorum.
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Soltanto lo statuto regionale, in ragione del procedimento aggravato richiesto per la sua adozione, pone
al riparo le minoranze dal rischio di colpi di mano della maggioranza (Pinzeri). Inoltre, è già stato evidenziato
come il sistema di voto limitato non sempre sia in grado di assicurare la rappresentanza delle minoranza
(Camilli, Paladin e De Siervo).
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Il Presidente della Camera, soprattutto se espressione della maggioranza, ad esempio potrebbe
contestare l’elezione dei delegati delle Regioni avversarie, confidando che la loro rielezione non avvenga in
tempo e alterando dunque la composizione del collegio impercettibilmente, ma quanto basta per avere i
pochissimi seggi mancanti.
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Si pensi, per esempio, al tentativo di formare un governo di coalizione tra centro sinistra e centro
montiano, che avrebbe una oceanica maggioranza alla Camera dei deputati e mancherebbe quella al
Senato della Repubblica per poco più di una decina di voti.
Un Presidente della Repubblica eletto da questa maggioranza potrebbe pensare di sciogliere il
solo Senato della Repubblica, anche al nobile scopo di evitare il rischio di nuove elezioni politiche
con analogo esito destabilizzante. Questa ipotesi provocherebbe un fortissimo effetto costrittivo
sull’elettorato, che dovrebbe in ultima analisi scegliere di votare a favore della coalizione di
maggioranza alla Camera ovvero alimentare il caos.
È chiaro che si tratta di un’ipotesi estrema, ma anche la meno estrema ipotesi di un governo del
Presidente (nelle eterogenee forme che questo può assumere nel nostro panorama istituzionale)
diventerebbe assai problematica in presenza di un Presidente di minoranza.
Per evitare il rischio di un Presidente della Repubblica minoritario, si possono formulare delle
proposte di soluzioni attuali e future.
Per il futuro - se, come è probabile, non si vuole reintrodurre un sistema proporzionale, anche in
una sua versione corretta - sarebbe necessario procedere perlomeno all’armonizzare delle
maggioranze qualificate previste dalla Costituzione ai sistemi elettorali premiali o maggioritari14:
potrebbe essere sufficiente, nel caso specifico, prevedere la maggioranza dei tre quinti in luogo della
vigente maggioranza assoluta, indicando cioè una frazione superiore a quella assegnata col premio
di maggioranza alla Camera dei Deputati, così da ridurre drasticamente l’incidenza del principale
fattore di distorsione della legislazione elettorale15.
Per l’immediato, si ritiene auspicabile che le forze parlamentari si impegnino a compiere tutti gli
sforzi possibili affinché non sia eletto un Presidente della Repubblica “minoritario”.
D’altronde, la coalizione di maggioranza relativa non avrebbe nulla da temere da questo
tentativo, poiché comunque il forte premio di maggioranza alla Camera le attribuisce un sostanziale
potere di veto per l’elezione del Capo dello Stato, cosa che non avveniva col proporzionale.
In conclusione, se si vuole evitare il rischio di una grave involuzione democratica, è
fondamentale che il prossimo Capo dello Stato goda di una solida e ampia legittimazione
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Naturalmente, queste considerazioni decadrebbero immediatamente, qualora si realizzasse una riforma
istituzionale radicale, ora in verità assai improbabile, visto che le criticità evidenziate attengono al ruolo e alla
funzione del Capo dello Stato di un regime parlamentare, che presuppone un sistema elettorale proporzionale.
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Questa conclusione, in realtà, potrebbe applicarsi anche al procedimento di revisione costituzionale,
dove la previsione del referendum confermativo potrebbe non costituire un sufficiente argine garantistico,
come è già stato dimostrato (D’Atena).
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parlamentare, affinché possa operare con serena determinazione le difficili scelte politiche
necessarie al Paese.
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