La finzione della realtà

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La finzione della realtà
giornalino 06 ok
12-05-2006
9:41
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Javier Cercas
martedì 6 giugno
con la voce di Valerio Mastandrea e la musica di Francesco Bruno
La finzione della realtà
di Luigi Guarnieri
“Quella che segue è la storia di
Rodney, o almeno la sua storia così
come me la raccontò suo padre quel
pomeriggio e come io la ricordo, e
come emerge anche dalle sue lettere
e da quelle di Bob. Non ci sono discrepanze fondamentali tra le due fonti,
e sebbene abbia verificato alcuni nomi,
luoghi e date, ignoro quali parti di
questa storia corrispondano a verità e
quali vadano attribuite all’immaginazione, alla cattiva memoria o alla
malafede dei narratori: io racconto
soltanto quello che loro hanno raccontato (e quello che io ho dedotto o
immaginato basandomi su quanto mi è
stato raccontato), non ciò che accadde
realmente” (il corsivo è mio).
Direi che questo brano de La velocità
della luce illustra alla perfezione il
metodo di Cercas, per alcuni versi
molto simile a quello di un altro
grande autore, W.G. Sebald, soprattutto nell’uso narrativo dei testi storici
e dei materiali autobiografici: per
Cercas, come per Sebald, lo scrittore
ricostruisce la realtà dalle fonti e
trasfigura la propria vita in materiale
narrativo (citerei inoltre, sia pur di
sfuggita, il cileno Roberto Bolaño,
molto noto e apprezzato nei paesi di
lingua spagnola, meno da noi: non a
caso è anche uno dei personaggi-chiave
di Soldati di Salamina).
I buoni libri, almeno a
me, fanno venire voglia di
scrivere – e i libri di Javier
Cercas sono così. Per me,
il fascino maggiore della
narrativa di Cercas risiede
proprio nel ruolo fondamentale che viene
riservato ai meccanismi
della narrazione
(almeno nei due romanzi che ho letto,
Soldati di Salamina e La velocità della
luce, del resto molto simili nella concezione e nell’esecuzione).
In questo senso, Cercas ha
qualcosa di postmoderno
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ma con in più una grande
attenzione per l’architettura
del romanzo, che spesso i
postmoderni puri non
hanno.
della luce e il “Javier Cercas” fra
molte virgolette di Soldati di Salamina
mi sembrano ricoprire la stessa funzione di alter-ego dell’Henry Chinaski
di Bukowski, diversamente – ad esempio – dal Nathan Zuckerman di Philip
Sappiamo abbastanza bene, credo,
che nei libri quello che appare in
scena è il vero io dell’autore, il suo sé
più segreto: nei romanzi di Cercas,
però, questo assioma filosofico e narratologico diventa quasi letterale.
Nato a Ibahernando nel 1962, catalano, Javier Cercas approda alla scrittura attraverso il
giornalismo. Sebbene ritenuto dalla critica un autore di talento, resta uno scrittore poco noto
anche nel suo stesso paese fino al 2001, quando pubblica Soldati di Salamina (2002). Venti
ristampe in pochi mesi, centinaia di migliaia di copie vendute, traduzioni in quindici lingue:
il libro dell’autore quarantenne diventa un caso letterario nazionale e un grande successo
internazionale di pubblico e di critica. La vicenda è ambientata in Spagna, alla fine della
guerra civile. Un gruppo di prigionieri franchisti sta per essere fucilato; uno di loro riesce a
fuggire fino a quando un miliziano lo raggiunge e gli risparmia la vita. Perché? La risposta a
questa domanda diventa per l’autore l’ossessione da cui nasce la storia dipanata dall’io narrante, un giornalista di nome appunto Javier Cercas. La storia che si muove tra romanzo e
réportage, è scritta con grande passione e prende spunto da un episodio realmente accaduto. Anche in Italia Cercas è passato in poco tempo dall’anonimato alla popolarità grazie ai
Soldati di Salamina che nel 2003 ha vinto il premio Grinzane Cavour. Dal 1989 è professore
di Letteratura Spagnola all’Università di Gerona; come giornalista collabora abitualmente
con l’edizione catalana di «El País».
Bibliografia Soldati di Salamina, Guanda, 2002; Il movente, Guanda, 2004; La velocità della
luce, Guanda, 2006.
Personalmente, amo e ammiro i
romanzieri (non molti, per la verità)
che ancora si dedicano alla difficile
operazione di strutturare bene il racconto, con precisione e accuratezza,
e che sono consapevoli dell’enorme
importanza che la spesso vituperata
struttura riveste per qualsiasi romanzo. Questa strategia architettonica
riesce perfettamente a Cercas nei suoi
due ultimi romanzi, opere innovative
sul tema classico dell’aspirante scrittore - o dello scrittore di successo che non riesce a scrivere un romanzo
e poi invece lo scrive (e il risultato
finale è quello che leggiamo). E riesce
perché Cercas risolve con grande
abilità il gigantesco problema di innovare una formula consolidata, grazie
appunto a un’angolazione originale
che si fonda su un uso sofisticato delle
fonti storiche e - soprattutto - della
propria bukowskiana “autobiografia
d’autore”. Se parlo di Bukowski è perché, nel rapporto fra vita e scrittura, il
narratore anonimo de La velocità
Roth, altro scrittore che comunque
accosterei a Cercas per l’approccio
alla costruzione del romanzo.
Cercas, direi quasi con la
scusa di raccontare due
episodi della guerra civile
spagnola e della guerra
del Vietnam, nei suoi
ultimi romanzi compone
in realtà un brillante
trattato sulla narrazione e
compie il miracolo di far
capire al lettore – attraverso mezzi squisitamente
romanzeschi – in cosa
consista, oggi, il duro
lavoro di uno scrittore alle
prese con la storia che sta
cercando di scrivere, e
che cosa significhi in
concreto scrivere.
E’ questa la vera invenzione dei libri
di Cercas, che ha una vera ossessione
per il gioco di specchi che si innesca
fra scrittura e vita: e, anzi, a me sembra che il suo segno d’autore consista
proprio in questo continuo mescolare
narrazione e autobiografia traslata,
obliqua. Sotto questo aspetto, trovo
soprattutto Soldati di Salamina una
vera scoperta, uno dei romanzi più
solidi e illuminanti degli ultimi anni.
Ne La velocità della luce Cercas torna
su tutti i leit-motiv del romanzo precedente: la difficoltà di narrare una storia oggi, la letteratura come salvezza,
l’autobiografia come finzione più vera
del vero, l’eroismo vitalistico e perdente delle vittime della storia.
Ma aggiunge allo spartito una nuova nota,
anch’essa derivata dall’autobiografia.
Credo che il vero tema de La velocità della
luce sia proprio quello del rischio della
sterilità creativa dopo il successo: ma
bisogna sempre ricordare che
Cercas, nell’arte della dissimulazione,
è davvero un maestro.